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Dokument 62017CJ0135

Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 26 febbraio 2019.
X-GmbH contro Finanzamt Stuttgart - Körperschaften.
Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione dei capitali – Movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi – Clausola di standstill – Normativa nazionale di uno Stato membro riguardante società intermedie stabilite in paesi terzi – Modifica di tale normativa, seguita dalla reintroduzione della normativa precedente – Redditi di una società stabilita in un paese terzo provenienti dalla detenzione di crediti presso una società stabilita in uno Stato membro – Inclusione di siffatti redditi nella base imponibile di un soggetto passivo avente la propria residenza fiscale in uno Stato membro – Restrizione alla libera circolazione dei capitali – Giustificazione.
Causa C-135/17.

Samling af Afgørelser – Retten – afsnittet "Oplysninger om ikke-offentliggjorte afgørelser"

ECLI-indikator: ECLI:EU:C:2019:136

Causa C‑135/17

X GmbH

contro

Finanzamt Stuttgart – Körperschaften

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesfinanzhof)

Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 26 febbraio 2019

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione dei capitali – Movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi – Clausola di standstill – Normativa nazionale di uno Stato membro riguardante società intermedie stabilite in paesi terzi – Modifica di tale normativa, seguita dalla reintroduzione della normativa precedente – Redditi di una società stabilita in un paese terzo provenienti dalla detenzione di crediti presso una società stabilita in uno Stato membro – Inclusione di siffatti redditi nella base imponibile di un soggetto passivo avente la propria residenza fiscale in uno Stato membro – Restrizione alla libera circolazione dei capitali – Giustificazione»

  1. Libera circolazione dei capitali e libertà dei pagamenti – Restrizioni ai movimenti di capitali diretti a paesi terzi o in provenienza da essi – Restrizioni ai movimenti di capitali implicanti investimenti diretti in vigore al 31 dicembre 1993 – Ammissibilità – Restrizione estesa dopo tale data alle partecipazioni non implicanti un investimento diretto – Irrilevanza

    (Artt. 63, § 1, TFUE e 64, § 1, TFUE)

    (v. punti 28, 30‑34, dispositivo 1)

  2. Libera circolazione dei capitali e libertà dei pagamenti – Restrizioni ai movimenti di capitali diretti a paesi terzi o in provenienza da essi – Restrizioni ai movimenti di capitali implicanti investimenti diretti in vigore al 31 dicembre 1993 – Nozione di restrizione esistente al 31 dicembre 1993 – Modifica successiva della normativa nazionale che ha dato origine alla restrizione, seguita dalla reintroduzione della normativa precedente prima dell’applicazione di detta modifica nella pratica – Esclusione, salvo in caso di differimento dell’applicabilità di detta modifica che l’ha resa inapplicabile ai movimenti di capitali transfrontalieri prima della sua abrogazione – Verifica da parte del giudice del rinvio

    (Artt. 63, § 1, TFUE e 64, § 1, TFUE)

    (v. punti 39‑41, 46, 47, 51, dispositivo 2)

  3. Libera circolazione dei capitali e libertà dei pagamenti – Restrizioni – Normativa tributaria – Imposta sulle società – Redditi di una società stabilita in un paese terzo provenienti dalla detenzione di crediti presso una società stabilita in uno Stato membro – Inclusione di tali redditi nella base imponibile di un soggetto passivo fiscalmente residente in uno Stato membro – Inammissibilità – Giustificazione – Lotta contro l’evasione e l’elusione fiscale – Presupposto – Assenza di obblighi convenzionali di scambio di informazioni tra lo Stato membro e il paese terzo

    (Art. 63, § 1, TFUE)

    (v. punti 55, 58, 64, 68, 69, 75, 78, 87, 88, 90‑92, 95, 96, dispositivo 3)

Sintesi

Nella sentenza X (Società intermedie stabilite in paesi terzi) (C‑135/17), pronunciata il 26 febbraio 2019, la Grande Sezione della Corte ha stabilito che l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE sulla libera circolazione dei capitali non osta ad una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale i redditi realizzati da una società stabilita in un paese terzo, non derivanti da un’attività propria di tale società, quali i «redditi intermedi da investimento di capitale», ai sensi di tale normativa, sono inclusi, proporzionalmente alla partecipazione detenuta, nella base imponibile di un soggetto passivo residente in detto Stato membro, qualora tale soggetto passivo detenga una partecipazione pari almeno all’1% in detta società e qualora i redditi stessi siano sottoposti, in detto paese terzo, a un livello di imposizione inferiore a quello esistente nello Stato membro interessato, salvo che esista un quadro giuridico che preveda, segnatamente, obblighi convenzionali tali da consentire alle autorità tributarie nazionali dello Stato membro in parola di controllare, se del caso, la veridicità delle informazioni relative a questa stessa società, fornite allo scopo di dimostrare che la partecipazione del citato soggetto passivo in quest’ultima non deriva da un’operazione di carattere artificioso.

Osservando che la normativa di cui trattasi è destinata ad applicarsi solamente in situazioni transfrontaliere, la Corte ha anzitutto ritenuto che essa sia tale da dissuadere gli investitori integralmente assoggettati ad imposta nello Stato membro interessato dall’effettuare investimenti in società stabilite in taluni paesi terzi e rappresenta, pertanto, una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata, in linea di principio, dall’articolo 63, paragrafo 1, TFUE.

In seguito, la Corte si è dedicata a verificare se detta restrizione sia giustificabile alla luce dell’articolo 65 TFUE, in forza del quale una disparità di trattamento fiscale può essere considerata compatibile con la libera circolazione dei capitali se riguarda situazioni non oggettivamente comparabili. A tale proposito, la Corte ha osservato che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale ha lo scopo di assimilare quanto più possibile la situazione delle società residenti che hanno investito capitali in una società stabilita in un paese terzo a «basso» livello di imposizione a quella di società residenti che hanno investito i loro capitali in un’altra società residente nello Stato membro interessato, al fine, segnatamente, di neutralizzare gli eventuali vantaggi fiscali che le prime potrebbero trarre dall’investimento di capitali in un paese terzo, ragion per cui la disparità di trattamento in esame non è giustificata da una differenza di situazione oggettiva.

In tali circostanze, la Corte ha valutato se la disparità di trattamento fiscale possa essere giustificata da un motivo imperativo di interesse generale. Osservando che la normativa di cui trattasi mira alla prevenzione dell’evasione e dell’elusione fiscali, essa ha stabilito che detta normativa è idonea a garantire il conseguimento di detto obiettivo. Infatti, nel prevedere l’inclusione dei redditi di una società stabilita in un paese terzo a «basso» livello di imposizione nella base imponibile di una società integralmente assoggettata ad imposta nello Stato membro, la normativa controversa nel procedimento principale è in grado di neutralizzare gli effetti di un eventuale trasferimento artificioso di redditi verso un siffatto paese terzo.

Tuttavia, a parere della Corte, detta normativa, in quanto presuppone l’esistenza di comportamenti artificiosi per la sola ragione che ricorrono le condizioni enunciate nella normativa stessa, senza concedere al soggetto passivo interessato alcuna possibilità di confutare tale presunzione, eccede, in linea di principio, quanto necessario al conseguimento del proprio obiettivo.

Nel sottolineare che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale riguarda non gli Stati membri, bensì paesi terzi, la Corte ha però osservato che l’esistenza dell’obbligo gravante sullo Stato membro di porre un soggetto passivo in grado di produrre elementi atti a dimostrare le eventuali ragioni commerciali della sua partecipazione in una società stabilita in un paese terzo dev’essere valutata in funzione della disponibilità di misure amministrative e regolamentari che consentano, se del caso, un controllo della veridicità di siffatti elementi. Pertanto, spetta al giudice nazionale verificare se sussistano, in particolare, obblighi convenzionali tra lo Stato membro e il paese terzo di cui trattasi che istituiscano un quadro giuridico di cooperazione e meccanismi di scambio di informazioni tra le autorità nazionali interessate, che siano effettivamente tali da consentire alle autorità tributarie dello Stato membro di verificare, se del caso, la veridicità delle informazioni riguardanti la società stabilita nel paese terzo fornite al fine di dimostrare che la partecipazione del citato soggetto passivo in quest’ultima non deriva da un’operazione di carattere artificioso.

Il giudice del rinvio aveva altresì sottoposto alla Corte questioni preliminari vertenti sull’ambito di applicazione della clausola di standstill di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, in forza del quale uno Stato membro può applicare, nelle relazioni con i paesi terzi, restrizioni ai movimenti di capitali che implichino, in particolare, investimenti diretti, anche se dette restrizioni sono contrarie al principio della libera circolazione dei capitali sancito all’articolo 63, paragrafo 1, TFUE, a condizione che tali restrizioni esistessero già al 31 dicembre 1993. Nel procedimento principale, la normativa tributaria all’origine della restrizione era stata oggetto, dopo il 31 dicembre 1993, di una modifica sostanziale a seguito dell’adozione di una legge che era entrata in vigore, ma era stata sostituita, ancor prima di essere applicata nella pratica, da una normativa sostanzialmente identica a quella applicabile al 31 dicembre 1993. La Corte ha dichiarato che, in una tale fattispecie, il divieto sancito dall’articolo 63, paragrafo 1, TFUE si applica, a meno che l’applicabilità di tale modifica sia stata differita in base al diritto nazionale, in modo tale che, nonostante la sua entrata in vigore, quest’ultima non sia stata applicabile ai movimenti transfrontalieri di capitali di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Op