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Documento 62020CC0420

Conclusioni dell’avvocato generale J. Richard de la Tour, presentate il 3 marzo 2022.


Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2022:157

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 3 marzo 2022 ( 1 )

Causa C‑420/20

HN

Procedimento penale

con l’intervento di

Sofiyska rayonna prokuratura

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sofiyski Rayonen sad (Tribunale distrettuale di Sofia, Bulgaria)]

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva (UE) 2016/343 – Articolo 8, paragrafo 1 – Diritto di presenziare al processo – Articolo 8, paragrafo 2 – Rinuncia al diritto di presenziare al proprio processo – Esecuzione di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno pronunciata nei confronti di un cittadino di un paese terzo, imputato in un procedimento penale – Compatibilità»

I. Introduzione

1.

La presente causa è contraddistinta da un paradosso che sfocia in una contraddizione difficilmente superabile. L’interessato, un cittadino albanese, è imputato in un procedimento avviato dalle autorità giudiziarie penali bulgare a causa della commissione di un reato grave per il quale le disposizioni del codice di procedura penale bulgaro richiedono che egli sia presente al processo. Al contempo, le disposizioni della legge bulgara sugli stranieri impongono che egli sia allontanato verso il suo paese di origine e che gli sia vietato il soggiorno e l’ingresso nel territorio bulgaro per un periodo di cinque anni. Ne discende che detto interessato si trova impossibilitato a comparire al proprio processo, pur avendone l’obbligo, ai sensi del diritto nazionale, e il diritto, ai sensi del diritto dell’Unione.

2.

Con le sue questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chiede quindi, in sostanza, alla Corte di precisare entro quali limiti il diritto dell’imputato di presenziare al proprio processo, garantito all’articolo 8 della direttiva (UE) 2016/343 ( 2 ), consenta a uno Stato membro di procedere all’esecuzione di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno nei confronti di un cittadino di un paese terzo sottoposto a un procedimento penale per la commissione di un reato grave e che non è ancora stato giudicato.

3.

Nell’ambito delle presenti conclusioni esporrò, anzitutto, le ragioni per le quali dette questioni devono essere esaminate tenendo conto, da un lato, delle prescrizioni della direttiva 2016/343 sul diritto di presenziare al processo e, dall’altro, delle norme enunciate nella direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ( 3 ).

4.

Spiegherò, poi, i motivi per i quali, in una situazione in cui una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno viene adottata nei confronti di un cittadino di un paese terzo imputato in un procedimento penale, per garantire il rispetto dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 è necessario verificare caso per caso se l’immediata esecuzione di tale decisione consenta a detto cittadino di presenziare al processo che lo riguarda e se non occorra eventualmente rinviare l’allontanamento oppure revocare o sospendere il divieto d’ingresso e di soggiorno, conformemente alle pertinenti disposizioni della direttiva 2008/115.

5.

Preciserò parimenti che le disposizioni enunciate all’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 non ostano a che uno Stato membro giudichi detto cittadino in assenza di quest’ultimo, a condizione che questi sia stato informato in un tempo adeguato non solo del processo e delle conseguenze della mancata comparizione, ma anche delle misure particolari messe a sua disposizione affinché egli possa presenziare al processo, o purché tale persona, informata del processo, sia adeguatamente rappresentata da un difensore da lei stessa incaricato o nominato d’ufficio.

6.

Per contro, illustrerò le ragioni per le quali tale articolo osta a che un processo si svolga in assenza dell’imputato, qualora quest’ultimo, benché informato delle conseguenze della mancata comparizione, abbia espresso la volontà di rinunciare al suo diritto di presenziare al processo soltanto nel corso delle indagini preliminari, quando ancora non era stata fissata la data del processo.

7.

Infine, preciserò perché l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343, in forza del quale gli Stati membri garantiscono che gli imputati abbiano il diritto di presenziare al proprio processo, osti, a mio avviso, a una legislazione nazionale ai sensi della quale l’imputato ha l’obbligo di comparire al processo che lo riguarda.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

1. Direttiva 2016/343

8.

La direttiva 2016/343 stabilisce, a norma del suo articolo 1, rubricato «Oggetto», norme minime comuni concernenti, da un lato, alcuni aspetti della presunzione di innocenza e, dall’altro, il diritto di presenziare al processo.

9.

L’articolo 8 di tale direttiva, rubricato «Diritto di presenziare al processo», ai paragrafi da 1 a 4 così dispone:

«1.   Gli Stati membri garantiscono che gli indagati e imputati abbiano il diritto di presenziare al proprio processo.

2.   Gli Stati membri possono prevedere che un processo che può concludersi con una decisione di colpevolezza o innocenza dell’indagato o imputato possa svolgersi in assenza di quest’ultimo, a condizione che:

a)

l’indagato o imputato sia stato informato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione; oppure

b)

l’indagato o imputato, informato del processo, sia rappresentato da un difensore incaricato, nominato dall’indagato o imputato oppure dallo Stato.

3.   Una decisione adottata a norma del paragrafo 2 può essere eseguita nei confronti dell’indagato o imputato.

4.   Qualora gli Stati membri prevedano la possibilità di svolgimento di processi in assenza dell’indagato o imputato, ma non sia possibile soddisfare le condizioni di cui al paragrafo 2 del presente articolo perché l’indagato o imputato non può essere rintracciato nonostante i ragionevoli sforzi profusi, gli Stati membri possono consentire comunque l’adozione di una decisione e l’esecuzione della stessa. In tal caso, gli Stati membri garantiscono che gli indagati o imputati, una volta informati della decisione, in particolare quando siano arrestati, siano informati anche della possibilità di impugnare la decisione e del diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, in conformità dell’articolo 9».

10.

L’articolo 9 di detta direttiva, rubricato «Diritto a un nuovo processo», enuncia quanto segue:

«Gli Stati membri assicurano che, laddove gli indagati o imputati non siano stati presenti al processo e non siano state soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 2, questi abbiano il diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, che consenta di riesaminare il merito della causa, incluso l’esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione originaria. In tale contesto, gli Stati membri assicurano che tali indagati o imputati abbiano il diritto di presenziare, di partecipare in modo efficace, in conformità delle procedure previste dal diritto nazionale e di esercitare i diritti della difesa».

2. Direttiva 2008/115

11.

Ai sensi del suo articolo 1, rubricato «Oggetto», la direttiva 2008/115 «stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto [dell’Unione] e del diritto internazionale (…)».

12.

L’articolo 3 di tale direttiva, rubricato «Definizioni», enuncia quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

4)

“decisione di rimpatrio” decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio;

5)

“allontanamento” l’esecuzione dell’obbligo di rimpatrio, vale a dire il trasporto fisico fuori dallo Stato membro;

6)

“divieto d’ingresso” decisione o atto amministrativo o giudiziario che vieti l’ingresso e il soggiorno nel territorio degli Stati membri per un periodo determinato e che accompagni una decisione di rimpatrio;

(…)».

13.

L’articolo 9 della suddetta direttiva, rubricato «Rinvio dell’allontanamento», al suo paragrafo 2 così dispone:

«Gli Stati membri possono rinviare l’allontanamento per un congruo periodo, tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso. Gli Stati membri tengono conto in particolare:

a)

delle condizioni fisiche o mentali del cittadino di un paese terzo;

b)

delle ragioni tecniche, come l’assenza di mezzi di trasporto o il mancato allontanamento a causa dell’assenza di identificazione».

14.

L’articolo 11 della direttiva medesima, rubricato «Divieto d’ingresso», al suo paragrafo 3, quarto comma, stabilisce quanto segue:

«In casi individuali o in talune categorie di casi gli Stati membri possono revocare o sospendere un divieto d’ingresso per altri motivi [rispetto a quelli enunciati ai due precedenti commi]».

B.   Diritto bulgaro

1. Codice di procedura penale

15.

L’articolo 247b del Nakazatelno‑protsesualen kodeks (codice di procedura penale) ( 4 ) così dispone:

«(1)   (…) Per ordine del giudice relatore, all’imputato viene consegnata una copia dell’atto di imputazione. La notifica dell’atto di imputazione informa l’imputato della data fissata per l’udienza preliminare e delle questioni di cui all’articolo 248, paragrafo 1, del suo diritto di comparire con un difensore di sua scelta e della possibilità di farsi assegnare un difensore d’ufficio nei casi previsti all’articolo 94, paragrafo 1, nonché del fatto che la causa può essere esaminata e decisa in sua assenza, a norma dell’articolo 269.

(2)   L’avviso di udienza preliminare e le questioni di cui all’articolo 248, paragrafo 1 sono notificati al pubblico ministero e al difensore, nonché alla persona offesa dal reato e ai suoi eredi o alla persona giuridica lesa, che sono informati del loro diritto di conferire mandato a un difensore.

(…)».

16.

L’articolo 248, paragrafo 1, dell’NPK, nella sua versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, enuncia quanto segue:

«(…) Nell’udienza preliminare sono esaminate le seguenti questioni:

(…)

2.

se vi siano motivi per la conclusione o la sospensione del procedimento penale;

3.

se nel corso delle indagini preliminari si sia verificata una violazione sostanziale delle norme procedurali cui sia possibile porre rimedio, che ha comportato una limitazione dei diritti processuali dell’imputato, della persona offesa o dei suoi eredi;

4.

se occorra sottoporre a norme particolari l’esame della causa;

(…)

8.

la fissazione dell’udienza e le persone che devono essere citate».

17.

L’articolo 269 dell’NPK così stabilisce:

«(1)   Nelle cause penali in cui l’imputato è accusato di un reato grave, la sua presenza all’udienza è obbligatoria.

(2)   Il giudice può disporre che l’imputato compaia anche nelle cause in cui la sua presenza non è obbligatoria ove ciò risulti necessario per determinare la verità oggettiva.

(3)   La causa può essere esaminata in assenza dell’imputato, qualora ciò non impedisca di accertare la verità oggettiva, se:

1.

quest’ultimo non si trovi all’indirizzo da lui indicato o abbia cambiato indirizzo senza informarne l’autorità competente;

2.

il suo luogo di residenza nel paese non sia conosciuto e non sia stato individuato a seguito di una ricerca approfondita;

3.

(…) debitamente convocato, questi non abbia addotto alcuna ragione valida che giustifichi la sua mancata comparizione e sia stata rispettata la procedura di cui all’articolo 247b, paragrafo 1;

4.

(…) [quest’ultimo] si trovi al di fuori del territorio della Repubblica di Bulgaria e:

a)

il suo luogo di residenza sia sconosciuto;

b)

non possa essere citato per altri motivi;

c)

sia stato debitamente convocato e non abbia addotto alcuna ragione valida per la sua mancata comparizione».

2. Legge sugli stranieri nella Repubblica di Bulgaria

18.

Lo Zakon za chuzhdentsite v Republika Bulgaria (legge sugli stranieri nella Repubblica di Bulgaria) ( 5 ), del 23 dicembre 1998, nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale, recepisce la direttiva 2008/115 ( 6 ).

19.

Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, dello ZChRB:

«(1)   (…) Il rilascio di un visto o l’ingresso nel paese di uno straniero è rifiutato se:

(…)

7.

(…) questi ha tentato di entrare o di transitare nel territorio utilizzando documenti, un visto o un permesso di soggiorno falsi o contraffatti;

(…)

22.

(…) dalle informazioni disponibili risulta che lo scopo del suo ingresso è costituito dall’utilizzare il paese come punto di transito ai fini della migrazione verso un paese terzo;

(…)».

20.

A norma dell’articolo 10, paragrafo 2, dello ZChRB:

«(2)   (…) Nei casi di cui al paragrafo 1, il visto può essere rilasciato o l’ingresso nel territorio della Repubblica di Bulgaria può essere autorizzato per motivi umanitari o quando è nell’interesse dello Stato o è richiesto dall’osservanza degli obblighi internazionali».

21.

A termini dell’articolo 41, paragrafo 5, dello ZChRB:

«(…) Il rimpatrio è disposto, se:

(…)

5.

(…) [v]iene accertato che lo straniero è entrato nel paese attraversando legittimamente la frontiera, ma ha tentato di lasciare il paese tramite un passaggio non autorizzato a tal fine o con un passaporto o documento sostitutivo falso o contraffatto».

22.

L’articolo 42h, paragrafo 1, dello ZChRB dispone quanto segue:

«(…) Un divieto d’ingresso e di soggiorno nel territorio degli Stati membri dell’Unione europea è imposto se:

1.

sono soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 10, paragrafo 1;

(…)

(3)

(…) Il divieto d’ingresso e di soggiorno nel territorio degli Stati membri dell’Unione europea è imposto per [un periodo massimo di] cinque anni. Il divieto d’ingresso e di soggiorno nel territorio degli Stati membri dell’Unione europea può avere una durata superiore a cinque anni se la persona costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale.

(4)

(…) Il divieto d’ingresso può essere imposto contemporaneamente alla misura amministrativa coercitiva prevista all’articolo 40, paragrafo 1, punto 2, o all’articolo 41, se sono soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 10, paragrafo 1».

23.

L’articolo 44, paragrafo 5, dello ZChRB stabilisce quanto segue:

«(5)   (…) Qualora sussistano ostacoli che impediscano allo straniero di lasciare immediatamente il territorio o di entrare in un altro paese e non sia prevista alcuna misura per il suo imminente allontanamento, l’autorità che ha emesso l’ordinanza che impone la misura amministrativa coercitiva o il direttore della Direzione “Immigrazione”, previa valutazione delle circostanze individuali e del rischio di fuga o di impedimento al rimpatrio in altro modo, dispongono con decreto secondo le modalità previste dal decreto di applicazione della presente legge, l’esecuzione congiunta o separata di una delle seguenti misure cautelari:

1.

detto straniero ha l’obbligo di presentarsi settimanalmente dinanzi alla sezione locale del Ministero dell’Interno del suo luogo di residenza;

(…)».

24.

In forza dell’articolo 44, paragrafo 6, dello ZChRB:

«(6)   (…) Qualora sia stata adottata una misura amministrativa coercitiva ai sensi dell’articolo 39a, paragrafo 1, punti 2 e 3, nei confronti di uno straniero e quest’ultimo ostacoli l’esecuzione del decreto che infligge la suddetta misura, o laddove sussista un rischio di fuga, le autorità menzionate al paragrafo 1 possono adottare un provvedimento affinché lo straniero venga collocato in un centro speciale di permanenza temporanea per stranieri al fine di predisporre il suo accompagnamento forzato alla frontiera della Repubblica di Bulgaria o la sua espulsione. Il collocamento forzato viene ordinato anche quando lo straniero non rispetta le condizioni delle misure cautelari previste al paragrafo 5».

III. Fatti del procedimento principale e questioni pregiudiziali

A.   Fatti

25.

La Sofiyska rayonna prokuratura (Procura della Repubblica del distretto di Sofia, Bulgaria) ha avviato un procedimento penale nei confronti di HN, un cittadino albanese, in base alla motivazione che quest’ultimo, in data 11 marzo 2020, avrebbe utilizzato documenti d’identità stranieri falsi, ossia un passaporto e una carta d’identità, al valico di frontiera dell’aeroporto di Sofia, allo scopo di lasciare il territorio bulgaro per recarsi nel Regno Unito. Tale illecito costituisce, ai sensi della legislazione nazionale applicabile, un reato grave, punibile con una pena privativa della libertà superiore a cinque anni.

26.

Dalla decisione di rinvio emerge che, in occasione dell’arresto di HN, l’11 marzo 2020, il Granichno politseysko upravlenie (Dipartimento della Polizia di frontiera bulgara, Bulgaria) ha avviato le indagini preliminari dinanzi alla Procura del distretto di Sofia. Il giorno successivo, il direttore del Dipartimento della Polizia di frontiera bulgara di Sofia ha adottato a carico di HN, da un lato, una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 41, punto 5, e dell’articolo 44, paragrafo 1, dello ZChRB e, dall’altro, un «divieto d’ingresso e soggiorno» per un periodo di cinque anni decorrente dal 12 marzo 2020 all’11 marzo 2025, ai sensi dell’articolo 43 h, paragrafi 3 e 4, in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 1, punti 7 e 22, nonché con l’articolo 44, paragrafo 1, dello ZChRB.

27.

Contro queste due misure amministrative coercitive non è stato proposto alcun ricorso.

28.

In data 27 aprile 2020 è stata notificata a HN, accompagnato dal suo difensore d’ufficio, l’imputazione per utilizzo intenzionale di documenti d’identità falsi, a norma dell’articolo 316, in combinato disposto con l’articolo 308, paragrafi 1 e 2, del Nakazatelen kodeks (codice penale). In tale occasione, in presenza di un interprete, HN è stato informato dei suoi diritti, inclusi quelli enunciati all’articolo 269 dell’NPK sullo svolgimento del procedimento in sua assenza e sulle relative conseguenze. Durante l’audizione tenutasi lo stesso giorno egli ha dichiarato di aver compreso i diritti comunicatigli e di non voler comparire al processo.

29.

Il 27 maggio 2020 la Procura del distretto di Sofia ha sottoposto l’atto di imputazione al giudice del rinvio sulla cui base è stato avviato il procedimento penale principale.

30.

Il 16 giugno 2020 HN ha lasciato il centro di permanenza temporanea per cittadini di paesi terzi ed è stato accompagnato alla frontiera presso il valico di Gyueshevo, in esecuzione delle misure emesse a suo carico.

31.

Con decreto del 24 giugno 2020, è stata fissata la data dell’udienza pubblica preliminare al 23 luglio 2020 e il giudice relatore ha disposto la notifica a HN, tramite gli agenti della Direzione «Immigrazione» del Ministero dell’Interno bulgaro, delle copie del decreto e dell’atto di imputazione in lingua albanese, nel rispetto delle disposizioni dell’articolo 247b, paragrafo 3, dell’NPK. Detto giudice ha parimenti precisato che la presenza di HN all’udienza era obbligatoria, a norma dell’articolo 269, paragrafo 1, dell’NPK, e che il processo avrebbe potuto svolgersi in assenza dell’imputato solo alle condizioni di cui all’articolo 269, paragrafo 3, dell’NPK.

32.

Il 16 luglio 2020 il giudice del rinvio è stato informato dalla Direzione «Immigrazione» del Ministero dell’Interno bulgaro del fatto che HN aveva lasciato il centro di permanenza temporanea ed era stato accompagnato alla frontiera. Dalla decisione di rinvio risulta che HN non è stato informato dell’avvio del procedimento penale a suo carico.

33.

Durante la pubblica udienza tenutasi il 23 luglio 2020, la Procura del distretto di Sofia ha dichiarato che sussistevano le condizioni richieste per lo svolgimento del procedimento in assenza dell’imputato, in quanto HN si trovava al di fuori del territorio bulgaro e il suo luogo di residenza era sconosciuto. Le autorità giudiziarie bulgare ignorano infatti dove tale persona si trovi attualmente.

B.   Procedimento principale

34.

Il giudice del rinvio rileva che, ai sensi dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, dello ZChRB, nell’ipotesi in cui sia avviato un procedimento penale nei confronti di un cittadino di un paese terzo perché questi ha tentato di entrare o di transitare nel territorio utilizzando documenti ufficiali falsi o contraffatti, il diritto di tale persona di partecipare personalmente al procedimento penale a suo carico è compromesso.

35.

Il giudice del rinvio considera quindi tre possibilità per porre rimedio a tale violazione dei diritti dell’imputato.

36.

Nell’ipotesi in cui l’imputato fosse allontanato e assoggettato a un divieto d’ingresso e di soggiorno nello Stato che esercita l’azione penale, il giudice del rinvio ritiene che sarebbe possibile, in linea con gli strumenti internazionali applicabili, determinare il luogo di residenza di tale persona all’estero per informarla del procedimento e svolgere il processo in sua assenza, fermo restando che essa sarebbe rappresentata da un difensore d’ufficio.

37.

Una seconda possibilità consisterebbe nel sospendere il procedimento penale fino alla scadenza del divieto d’ingresso e di soggiorno al fine di garantire il rispetto dei diritti processuali di detto imputato.

38.

Una terza possibilità consisterebbe nello stabilire previamente le date delle udienze e nell’informare i servizi della polizia di frontiera presso il Ministero dell’Interno bulgaro del fatto che essi sono tenuti ad ammettere l’imputato nel territorio nazionale affinché questi possa esercitare pienamente il diritto di cui dispone in forza dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 di presenziare al processo a suo carico, nonostante il divieto d’ingresso adottato nei suoi confronti. Tuttavia, ciò equivarrebbe a subordinare il diritto di presenziare al proprio processo al previo rilascio di un’autorizzazione di ammissione nel territorio nazionale da parte del potere esecutivo. Il giudice del rinvio evidenzia che tale autorizzazione non può essere oggetto di ricorso giurisdizionale, ragion per cui si creerebbe di fatto una serie di impedimenti amministrativi che inciderebbero sul diritto a un equo processo.

C.   Questioni pregiudiziali

39.

In tali circostanze, il Sofiyski Rayonen sad (Tribunale distrettuale di Sofia, Bulgaria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se una limitazione del diritto dell’imputato di presenziare al processo che lo riguarda, di cui all’articolo 8, paragrafo 1, della [direttiva 2016/343] prevista dalla normativa nazionale, in forza della quale può essere adottato nei confronti di imputati stranieri un divieto amministrativo di ingresso e soggiorno nel paese in cui il procedimento penale è in corso, sia consentita.

2)

In caso di risposta affermativa alla prima questione, se le condizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 2, lettere a) o b), della [direttiva 2016/343], debbano ritenersi osservate, per lo svolgimento del processo in assenza dell’imputato straniero, qualora quest’ultimo sia stato debitamente informato del procedimento penale e delle conseguenze della mancata comparizione e sia rappresentato da un difensore incaricato, nominato dall’imputato o dallo Stato, ma sia tuttavia impossibilitato a comparire in forza di un divieto d’ingresso e soggiorno nel paese in cui il procedimento penale è in corso, emesso in un procedimento amministrativo.

3)

Se sia consentito che il diritto dell’imputato di cui all’articolo 8, paragrafo 1, della [direttiva 2016/343], sia convertito dalla normativa nazionale in un obbligo processuale a carico di tale persona. In particolare: se gli Stati membri assicurino in tal modo un livello di tutela più elevato ai sensi del considerando 48, o se piuttosto tale approccio sia incompatibile con il considerando 35 della direttiva, secondo il quale il diritto dell’imputato non è assoluto e vi si può rinunciare.

4)

Se una rinuncia preventiva dell’imputato al diritto di presenziare al processo che lo riguarda, di cui all’articolo 8, paragrafo 1, della [direttiva 2016/343], espressa in modo inequivocabile nel corso delle indagini preliminari, sia consentita, nei limiti in cui l’imputato sia stato informato delle conseguenze della mancata comparizione».

D.   Procedimento dinanzi alla Corte

40.

Tali questioni sono state oggetto di osservazioni scritte da parte dei governi tedesco, ungherese e dei Paesi Bassi, nonché da parte della Commissione europea.

41.

Il 5 ottobre 2021 la Corte ha inviato una richiesta di informazioni al giudice del rinvio riguardante il contesto normativo della controversia nel procedimento principale, alla quale quest’ultimo ha risposto l’11 ottobre 2021.

42.

HN e la Commissione hanno presentato le loro osservazioni orali all’udienza.

IV. Analisi

A.   Osservazione preliminare

43.

Formulerò un’osservazione preliminare in merito al contesto normativo pertinente.

44.

Ritengo infatti che le questioni sollevate richiedano di tenere conto di altre norme giuridiche dell’Unione rispetto a quelle espressamente indicate nella decisione di rinvio ( 7 ).

45.

Il giudice del rinvio invita infatti la Corte a interpretare il testo dell’articolo 8 della direttiva 2016/343 in una situazione particolare in cui l’imputato è stato oggetto, da un lato, di un provvedimento di allontanamento e, dall’altro, di un divieto d’ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale per un periodo di cinque anni, in applicazione dello ZChRB.

46.

Tali provvedimenti non costituiscono una pena, bensì misure coercitive che possono essere adottate a prescindere dall’avvio di un procedimento penale. A seguito della richiesta di chiarimento formulata dalla Corte, il giudice del rinvio ha precisato che lo ZChRB, a norma del quale detti provvedimenti sono stati adottati, recepisce la direttiva 2008/115. Alla luce di tali informazioni e in mancanza di precisazioni che avrebbe potuto fornire il governo bulgaro nella presente causa, ritengo che la situazione di HN rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, quale stabilito dal suo articolo 2, paragrafo 1. Nulla sta a indicare che la Repubblica di Bulgaria abbia scelto di non applicare tale direttiva alle situazioni contemplate all’articolo 2, paragrafo 2, di quest’ultima.

47.

Di conseguenza e fatte salve, ancora una volta, le precisazioni che avrebbe potuto fornirci il governo bulgaro, sembra, da una parte, che la decisione con la quale le competenti autorità nazionali hanno disposto il rimpatrio dell’interessato nel suo paese di origine costituisca una «decisione di rimpatrio» ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115, che comporta pertanto l’«allontanamento» di quest’ultimo dal territorio bulgaro, ai sensi dell’articolo 3, punto 5, di tale direttiva e, dall’altra parte, che la decisione con la quale tali autorità hanno adottato un divieto d’ingresso e di soggiorno costituisca un «divieto d’ingresso» ai sensi dell’articolo 3, punto 6, di detta direttiva.

48.

Pertanto, a mio avviso, le questioni poste dal giudice del rinvio richiedono di ricordare le norme stabilite dalla direttiva 2008/115 al fine di collegarle con i principi enunciati nell’ambito della direttiva 2016/343.

B.   Portata del diritto di presenziare al proprio processo, quale sancito all’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 (prima questione)

49.

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di dichiarare se l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi nazionale in base alla quale le competenti autorità nazionali possono eseguire una decisione di rimpatrio, accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno, nei confronti di un cittadino di un paese terzo, benché questi sia imputato in un procedimento penale per la commissione di un reato grave e non sia ancora comparso nel processo che lo riguarda.

50.

È evidente che la questione si pone nei limiti in cui l’esecuzione di una decisione di rimpatrio, in quanto implicante il trasferimento fisico dell’interessato fuori dello Stato membro di cui trattasi ( 8 ), e l’adozione di un divieto d’ingresso e di soggiorno nel territorio di tale Stato per un periodo di cinque anni, in quanto facente divieto a quest’ultimo di fare nuovamente ingresso in tale territorio e di soggiornarvi successivamente ( 9 ), sono idonee a violare il diritto di tale interessato di comparire al proprio processo laddove egli sia oggetto di un procedimento penale parallelamente all’adozione di detti provvedimenti.

51.

È quindi necessario che vi sia un collegamento tra il procedimento penale e la procedura di allontanamento e rimpatrio. Al fine di determinarne le modalità, inizierò la mia analisi esaminando il dettato dell’articolo 8 della direttiva 2016/343, il quale sancisce il diritto dell’imputato di presenziare al proprio processo, prima di concentrarmi sull’impianto sistematico e sugli obiettivi della direttiva medesima ( 10 ). Terrò parimenti in considerazione la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il legislatore dell’Unione ha infatti chiaramente esposto, ai considerando 11, 13, 33, 45, 47 e 48 di detta direttiva, la sua volontà di rafforzare e garantire un’effettiva applicazione del diritto a un equo processo nei procedimenti penali recependo nel diritto dell’Unione la giurisprudenza di tale Corte riguardante il rispetto dell’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ( 11 ).

1. Tenore letterale dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343

52.

L’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 sancisce il diritto degli indagati e degli imputati di presenziare al proprio processo ( 12 ). Richiedendo agli Stati membri di «garanti[re] che [questi ultimi] abbiano il diritto di presenziare al proprio processo», il legislatore dell’Unione pone a carico di tali Stati un obbligo di adottare i provvedimenti necessari al fine di consentire a detti soggetti l’esercizio del diritto in parola.

53.

Il diritto di presenziare al proprio processo rientra, infatti, nel diritto fondamentale a un equo processo ( 13 ). Ricordo che i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza ( 14 ). Il diritto a un equo processo è sancito sia all’articolo 47, commi secondo e terzo ( 15 ), e all’articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ( 16 ), sia all’articolo 6 della CEDU.

54.

L’articolo 48, paragrafo 2, della Carta sancisce, in particolare, che il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato ( 17 ). Questi diritti richiedono, segnatamente, che l’imputato sia posto in grado di far valere in modo adeguato il suo punto di vista sulle accuse mosse a suo carico.

55.

A tal riguardo, dalla sentenza Spetsializirana prokuratura (Udienza in assenza dell’imputato) risulta che lo svolgimento di un’udienza pubblica è di particolare importanza in materia penale, in quanto l’imputato può legittimamente esigere di essere «ascoltato» e avere la possibilità, in particolare, di esporre oralmente i suoi motivi di difesa, di sentire le deposizioni a suo carico, di esaminare i testimoni in contraddittorio ( 18 ). La Corte europea dei diritti dell’uomo ha altresì dichiarato, sulla stessa linea, che la presenza dell’imputato al processo riveste un’importanza capitale in ragione sia del suo diritto di essere ascoltato sia della necessità di verificare l’esattezza delle sue affermazioni e di raffrontarle con le dichiarazioni della vittima, della quale occorre parimenti tutelare gli interessi, nonché dei testimoni ( 19 ).

56.

Dalla sentenza del 29 luglio 2019, Gambino e Hyka, risulta inoltre che coloro che hanno la responsabilità di decidere sulla colpevolezza o l’innocenza dell’imputato devono, in linea di principio, sentire di persona i testimoni ( 20 ). Uno degli elementi fondamentali di un processo penale è la possibilità per l’imputato di essere messo a confronto con i testimoni e/o le vittime in presenza del giudice che dovrà pronunciarsi sulla sua colpevolezza al termine del dibattimento. Tale principio di immediatezza sarebbe un’importante garanzia del processo penale, in quanto le osservazioni fatte dal giudice quanto al comportamento e all’attendibilità di un testimone potrebbero produrre gravi conseguenze per detto imputato ( 21 ). Questa giurisprudenza si fonda quindi sul convincimento secondo cui solo il procedimento penale può condurre alla dichiarazione formale di responsabilità penale ( 22 ).

57.

Tenuto conto del tenore letterale dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 e del rango occupato dal diritto di presenziare al proprio processo in seno al diritto dell’Unione, le autorità di uno Stato membro che hanno deciso di avviare un procedimento penale nei confronti di un cittadino di un paese terzo non possono, a mio avviso, procedere all’esecuzione di un provvedimento di allontanamento nei confronti di tale cittadino, per giunta accompagnato da un divieto d’ingresso e di soggiorno per un periodo di cinque anni, senza che siano previste le misure di organizzazione del procedimento necessarie al fine di consentire a detto cittadino di esercitare pienamente il suo diritto di presenziare al processo che lo riguarda, a meno che questi non vi abbia rinunciato con cognizione di causa e in modo inequivocabile.

58.

Tale interpretazione è, a mio avviso, confermata dall’impianto sistematico della direttiva 2016/343.

2. Impianto sistematico della direttiva 2016/343

59.

In primo luogo, va rilevato che la situazione in cui l’imputato è impossibilitato a presenziare al proprio processo non è contemplata dal legislatore dell’Unione al capo 3 della direttiva 2016/343, né all’articolo 8 né all’articolo 9 di quest’ultima.

60.

L’articolo 8 di tale direttiva ha come unico oggetto e scopo di sancire, al suo paragrafo 1, il diritto di detto imputato di presenziare al processo e di definire, al suo paragrafo 2, i casi in cui è possibile giudicare una persona in assenza di quest’ultima. Il legislatore dell’Unione precisa infatti, al considerando 35 di detta direttiva, che tale diritto non è assoluto, potendo l’imputato rinunciarvi, esplicitamente o tacitamente, purché in modo inequivocabile, a determinate condizioni.

61.

Ai sensi dell’articolo 8, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2016/343, gli Stati membri possono prevedere di giudicare l’imputato in sua assenza e di eseguire una decisione di condanna pronunciata al termine del processo a condizione che l’imputato sia stato informato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione o purché l’imputato, informato del processo, sia rappresentato da un difensore incaricato, nominato dallo stesso imputato oppure dallo Stato. Tali condizioni sono in grado di dimostrare che l’imputato ha rinunciato a comparire personalmente al proprio processo con cognizione di causa.

62.

Nell’ipotesi in cui l’imputato non sia stato informato dello svolgimento del processo a suo carico perché non ha potuto essere rintracciato, nonostante i ragionevoli sforzi profusi dalle autorità competenti, il legislatore dell’Unione consente agli Stati membri, a norma dell’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva 2016/343, di prevedere la possibilità di giudicare tale persona in assenza di quest’ultima. Tuttavia, gli Stati membri devono prevedere nella loro normativa che l’imputato sia informato, in particolare quando sia arrestato in applicazione di una condanna, della possibilità di impugnare la decisione adottata al termine del processo in cui non sia comparso e del suo diritto a un nuovo processo, in conformità dell’articolo 9 della direttiva in parola ( 23 ).

63.

Si deve constatare che la situazione in cui l’imputato è impossibilitato a presenziare al proprio processo, ad esempio perché allontanato dal territorio e assoggettato a un divieto d’ingresso e di soggiorno, non ricade nell’ambito di tali disposizioni.

64.

Da una parte, una situazione del genere si distingue di per sé dalla situazione in cui l’imputato rinuncia con piena cognizione di causa al proprio diritto di comparire al processo, di cui all’articolo 8, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2016/343.

65.

Dall’altra parte, una siffatta situazione non può necessariamente essere considerata nell’ottica dell’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva 2016/343, la cui applicazione richiede che le competenti autorità nazionali si trovino di fronte all’impossibilità di rintracciare e informare tale imputato del processo a suo carico, nonostante i ragionevoli sforzi profusi a tal fine. Infatti, procedendo all’allontanamento di un cittadino di un paese terzo nei confronti del quale le autorità hanno deciso di avviare un procedimento penale prima che questi sia stato informato del processo a suo carico e non compiendo le azioni necessarie per garantire che, una volta rientrato nel suo paese di origine, il medesimo possa essere informato dello svolgimento del processo in corso, le competenti autorità nazionali rischiano di non poter più rintracciare l’imputato per comunicargli la data e il luogo del processo che lo riguarda. Nella fattispecie, dalle discussioni orali risulta che il procedimento penale avviato nell’aprile 2020 a carico di HN è stato ritardato a causa della pandemia di COVID‑19. Tuttavia, mi sembra che, alla luce della successione cronologica dei fatti, non siano stati profusi tutti gli sforzi necessari al fine di garantire che HN, all’epoca trattenuto in un centro di permanenza temporanea, fosse informato dello svolgimento del processo a suo carico. Si sarebbe potuta, ad esempio, sospendere l’esecuzione dell’allontanamento in attesa dello svolgimento del processo penale. Si potevano parimenti attivare gli strumenti di assistenza giudiziaria internazionale ( 24 ).

66.

Tali circostanze m’inducono, in secondo luogo, a precisare che la situazione in cui l’imputato è impossibilitato a comparire al processo a suo carico è, invece, contemplata al considerando 34 della direttiva 2016/343.

67.

A termini di tale considerando, «[q]ualora, per ragioni che sfuggono al loro controllo, (…) gli imputati siano impossibilitati a presenziare al processo, [questi ultimi] dovrebbero avere la possibilità di chiedere che il processo sia aggiornato ad altra data entro i termini stabiliti dal diritto nazionale».

68.

È vero che detto considerando non si riflette nelle disposizioni della direttiva 2016/343 e che, secondo la giurisprudenza della Corte, i considerando degli atti dell’Unione non possiedono alcun valore giuridico autonomo, ma sono descrittivi e non hanno natura prescrittiva ( 25 ). Tuttavia, non è men vero che in esso il legislatore dell’Unione dimostra la sua volontà di tenere conto delle situazioni in cui l’imputato sia impossibilitato a comparire al processo per ragioni indipendenti dalla sua volontà e in cui lo Stato membro è quindi tenuto a dar prova della dovuta diligenza al fine di garantire l’effettivo godimento del diritto di tale persona di presenziare al proprio processo.

69.

Questo principio si ispira alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale effettua una valutazione caso per caso della natura e della gravità dei motivi di impedimento addotti dall’imputato e della diligenza di cui devono dar prova le competenti autorità nazionali al fine di garantire la presenza di detta persona all’udienza ( 26 ). Nella sentenza del 28 agosto 1991, FCB c. Italia, detta Corte ha in tal senso dichiarato contrario all’articolo 6 della CEDU il fatto che un giudice d’appello italiano non avesse rinviato il dibattimento benché l’imputato, accusato di crimini molto gravi, fosse detenuto in un istituto penitenziario dei Paesi Bassi e non avesse espresso la volontà di rinunciare a comparirvi ( 27 ).

70.

La formulazione del considerando 34 della direttiva 2016/343 è, a mio avviso, sufficientemente ampia da ricomprendere le situazioni in cui all’imputato non è consentito di presenziare al proprio processo perché allontanato verso un paese terzo e impossibilitato a recarsi e a soggiornare nel territorio dello Stato del procedimento a causa dell’adozione nei suoi confronti di misure amministrative coercitive. Tuttavia, tale considerando sembra riguardare le situazioni in cui detto imputato è a conoscenza della data del processo a suo carico, dal momento che può chiederne il rinvio, circostanza che non si è verificata nella presente causa. Inoltre, le misure previste dal legislatore dell’Unione nel considerando in parola non sono sufficienti al fine di consentire a detto imputato di presentarsi al processo. Infatti, nello stesso considerando detto legislatore contempla esclusivamente l’aggiornamento del processo ( 28 ). Orbene, la natura, la portata e la durata dell’impedimento derivante dall’esecuzione di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno che, come ricordo, può essere pari a cinque anni, richiedono che siano adottate altre misure per l’organizzazione del procedimento, da parte sia delle autorità amministrative, disponendo ad esempio il rinvio dell’allontanamento, sia delle autorità giudiziarie, ricorrendo, in particolare, all’assistenza giudiziaria internazionale.

71.

Siffatte misure sono necessarie alla luce della finalità della direttiva 2016/343.

3. Finalità della direttiva 2016/343

72.

Conformemente al suo considerando 9 e al suo articolo 1, la direttiva 2016/343 intende rafforzare il diritto a un equo processo e i diritti della difesa dell’imputato nei procedimenti penali, stabilendo norme minime comuni concernenti, in particolare, il diritto di presenziare al proprio processo.

73.

In primo luogo, l’accesso effettivo a un giudice e l’esercizio dei diritti della difesa implicano che tale imputato possa presenziare al proprio processo. Orbene, procedere all’allontanamento del cittadino di un paese terzo, contro il quale le autorità dello Stato membro abbiano avviato un procedimento penale a causa della commissione di un reato grave, e inoltre vietare a quest’ultimo di entrare e soggiornare nel territorio di detto Stato, benché il suo processo non sia stato ancora celebrato, priva di ogni effettività il diritto di presenziare al proprio processo se tali misure non sono affiancate da particolari disposizioni che consentano di informare detta persona della data e del luogo del processo a suo carico e di garantirne la comparizione o la rappresentanza all’udienza.

74.

In secondo luogo, dai considerando 2, 4 e 10 della direttiva 2016/343 risulta che il legislatore dell’Unione mira parimenti a rafforzare la fiducia degli Stati membri nei rispettivi sistemi di giustizia penale, così da favorire il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie di condanna dell’imputato, ivi comprese quelle che irrogano la pena privativa della libertà da scontare ( 29 ). Orbene, il reciproco riconoscimento di una decisione di condanna pronunciata in assenza dell’imputato presuppone che la sua pronuncia sia avvenuta in condizioni tali da garantire il rispetto dei diritti processuali di detto imputato. La mancanza di questi presupposti costituisce un motivo di rifiuto di riconoscimento previsto, ad esempio, all’articolo 9 della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea ( 30 ). È vero che la presente causa s’inserisce in un contesto diverso, coinvolgendo uno Stato membro e un paese terzo. Rilevo, tuttavia, che le disposizioni del diritto internazionale relative all’estradizione vengono interpretate nel medesimo senso ( 31 ). Di conseguenza, in tale contesto è indispensabile che le competenti autorità nazionali adottino tutte le misure necessarie per garantire che l’imputato verrà informato dello svolgimento del processo, prima o dopo il suo allontanamento, e che, eventualmente, dette autorità intraprendano le azioni necessarie affinché l’imputato possa comparire al processo qualora sia stato allontanato.

75.

In terzo luogo, il diritto a un equo processo, sul quale si fonda la direttiva 2016/343, richiede una corretta amministrazione della giustizia. Orbene, l’esecuzione di una decisione di rimpatrio che sia non solo immediata, ma anche concomitante a un procedimento penale, senza l’adozione di provvedimenti che consentano di garantire di rintracciare l’imputato nel territorio del paese terzo, rischia di porre, di fatto, le autorità giudiziarie nell’impossibilità di informare detto imputato del processo a suo carico. In tal senso, nella presente causa, l’allontanamento dell’interessato verso un paese terzo ha prodotto una serie di iniziative, rimaste tuttavia infruttuose, presso le autorità consolari di tale paese. Una situazione del genere rischia di comportare una sospensione di fatto del procedimento penale, e quindi un allungamento dello stesso, o una condanna in contumacia, che potrebbe non essere riconosciuta da detto paese a cui fosse avanzata una richiesta di assistenza giudiziaria, o essere impugnata in applicazione dell’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva 2016/343 per ottenere un nuovo processo.

76.

In considerazione di tali elementi, da una parte, mi sembra essenziale che le autorità penali e amministrative cooperino. Non si può infatti dimenticare la cronologia dei fatti della presente causa: arrestato l’11 marzo 2020, l’interessato ha ricevuto notifica della decisione di imputazione da parte delle autorità giudiziarie il 23 aprile 2020 ed è stato allontanato dal territorio dalla polizia di frontiera il 16 giugno 2020, ossia otto giorni prima della fissazione della data dell’udienza preliminare al 23 luglio 2020.

77.

Dall’altra parte, ritengo indispensabile che le competenti autorità nazionali effettuino un bilanciamento dei vari interessi in gioco, al fine di salvaguardare, al contempo, i diritti fondamentali dell’imputato e l’interesse generale dello Stato membro. Tale bilanciamento richiede, a mio avviso, che dette autorità pongano rimedio alle conseguenze connesse all’esecuzione dei provvedimenti amministrativi di cui trattasi o che vi pongano rimedio mediante meccanismi processuali adeguati, idonei a garantire un soddisfacente livello di equità nel procedimento. Ritengo che le stesse dovrebbero interrogarsi sulle modalità di esecuzione della decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno e, in particolare, sulla necessità di procedere all’immediata esecuzione di quest’ultima, benché vi sia un procedimento penale in corso. In tale contesto, esse dovrebbero poter tenere conto della gravità del reato asseritamente commesso e dei pericoli rappresentati dalla presenza dell’interessato nel territorio. A tale riguardo, il solo fatto che un cittadino di un paese terzo sia sospettato di aver commesso un reato grave non può di per sé giustificare che detto cittadino sia immediatamente allontanato dal territorio, senza che siano adottate le misure adeguate affinché egli possa presenziare al processo che lo riguarda.

78.

Alla luce di tale analisi del tenore letterale, ma anche dell’impianto sistematico e della finalità della direttiva 2016/343, ritengo che l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva medesima debba essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi nazionale in base alla quale si procede all’esecuzione di una misura di rimpatrio, accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno, nei confronti di un cittadino di un paese terzo, imputato in un procedimento penale per la commissione di un reato grave, senza che le competenti autorità nazionali adottino le particolari misure necessarie a consentire a tale cittadino di esercitare pienamente i suoi diritti della difesa e di presenziare al proprio processo.

79.

Poiché la direttiva 2016/343 non contempla siffatti meccanismi, ritengo che, in forza del principio dell’autonomia processuale, spetti agli Stati membri istituirli, avvalendosi, se del caso, degli strumenti messi a loro disposizione dalla direttiva 2008/115.

4. Meccanismi processuali previsti dalla direttiva 2008/115

80.

A norma dell’articolo 79, paragrafo 2, lettera c), TFUE e come evidenziato dai considerando 2 e 24 della direttiva 2008/115, quest’ultima è intesa all’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme e garanzie giuridiche comuni, affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità ( 32 ). Ne deriva che le misure adottate ai sensi di tale direttiva devono essere eseguite senza pregiudicare il diritto a un equo processo del cittadino di un paese terzo e nel rispetto del diritto di quest’ultimo di presenziare al processo a suo carico.

81.

Inoltre, al considerando 6 di detta direttiva, il legislatore dell’Unione precisa che gli Stati membri dovrebbero provvedere a porre fine al soggiorno irregolare dei cittadini di paesi terzi secondo una procedura equa e ad adottare, in conformità dei principi generali del diritto dell’Unione, decisioni caso per caso, tenendo conto di criteri obiettivi non limitati al semplice fatto del soggiorno irregolare di detto cittadino. La Corte ha in tal senso precisato che gli Stati membri sono tenuti a rispettare il principio di proporzionalità nel corso di tutte le fasi della procedura di rimpatrio stabilita dalla succitata direttiva, compresa la fase relativa alla decisione di rimpatrio ( 33 ). Essa ha inoltre aggiunto che le competenti autorità nazionali hanno l’obbligo di ascoltare l’interessato prima di adottare una decisione di rimpatrio, avendo questi il diritto di esprimere il proprio punto di vista circa le modalità del rimpatrio ( 34 ).

82.

Date le circostanze, l’adozione di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno richiede, a mio avviso, che le competenti autorità nazionali esaminino caso per caso in quale misura la loro immediata esecuzione rischi di compromettere i diritti della difesa del cittadino di un paese terzo interessato.

83.

Il legislatore dell’Unione contempla d’altronde, all’articolo 9 della direttiva 2008/115, disposizioni riguardanti il rinvio dell’allontanamento.

84.

Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, di detta direttiva, gli Stati membri possono «rinviare l’allontanamento per un congruo periodo, tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso». Benché, a tal fine, il legislatore dell’Unione inviti gli Stati membri a tenere conto delle motivazioni riguardanti le condizioni fisiche o mentali del cittadino di un paese terzo o delle ragioni tecniche, come ad esempio l’assenza di mezzi di trasporto, l’uso dell’avverbio «in particolare» dimostra che si possono tenere in considerazione altre circostanze. L’esame individuale che le competenti autorità nazionali sono tenute a effettuare dovrebbe quindi consentire di venire a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a carico di tale cittadino al fine di stabilire in quale misura occorra prevedere il rinvio, e non la mancata esecuzione, dell’allontanamento.

85.

A tal riguardo, preciso che, in caso di rinvio dell’allontanamento, l’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2008/115 consente agli Stati membri d’imporre all’interessato taluni obblighi volti a evitare il rischio di fuga, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità o l’obbligo di dimorare in un determinato luogo. Tali obblighi sono enunciati all’articolo 7, paragrafo 3, di detta direttiva.

86.

Il legislatore dell’Unione contempla parimenti, all’articolo 11, paragrafo 3, quarto comma, della direttiva medesima, disposizioni relative alla revoca o alla sospensione del divieto d’ingresso.

87.

Tale meccanismo consente agli Stati membri di revocare o sospendere un divieto d’ingresso «[i]n casi individuali o in talune categorie di casi (…) per altri motivi». È evidente che l’articolo in parola concede agli Stati membri un margine discrezionale relativamente ampio riguardo alle situazioni in cui essi possono decidere di revocare o sospendere un divieto d’ingresso. In tale contesto, e per gli stessi motivi ricordati al paragrafo 83 delle presenti conclusioni, ritengo che gli Stati membri dovrebbero essere in grado di revocare o di sospendere l’esecuzione del divieto d’ingresso e di soggiorno nel loro territorio al fine di garantire il rispetto dei diritti del cittadino di un paese terzo interessato, consentendogli, all’occorrenza, di comparire al processo che lo riguarda.

88.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo quindi alla Corte di dichiarare che l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi nazionale in base alla quale si proceda all’esecuzione di un provvedimento di allontanamento, accompagnato da un divieto d’ingresso e di soggiorno, nei confronti di un cittadino di un paese terzo, benché l’interessato sia oggetto di un procedimento penale per la commissione di un reato grave, senza che le competenti autorità nazionali adottino le particolari misure volte a consentire a detto cittadino di presenziare al processo a suo carico. In tali circostanze, propongo parimenti alla Corte di dichiarare che l’adozione di un provvedimento di allontanamento accompagnato da un divieto d’ingresso e di soggiorno nei confronti di una persona oggetto di un procedimento penale richiede che sia verificato se l’immediata esecuzione del provvedimento sia compatibile con i diritti della difesa di detta persona ed, eventualmente, se non sia necessario rinviare l’allontanamento, oppure revocare o sospendere il divieto d’ingresso e di soggiorno, in conformità dell’articolo 9 e dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2008/115.

C.   Ammissibilità della rinuncia al diritto di presenziare al proprio processo, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343

89.

Occorre ora esaminare le questioni seconda e terza, relative alle condizioni alle quali l’imputato, nei confronti del quale sia stata adottata una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno, possa rinunciare a comparire al proprio processo, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343.

90.

In via preliminare, si deve osservare che l’articolo 8, paragrafi 2 e 3, di tale direttiva prevede la possibilità di giudicare una persona in sua assenza e di eseguire la decisione di condanna eventualmente adottata al termine del processo come se quest’ultimo si fosse svolto in contraddittorio. L’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva in parola prevede anche la possibilità di giudicare detta persona in sua assenza, ma associata al diritto per quest’ultima di impugnare la decisione di condanna e di ottenere un nuovo processo alle condizioni di cui all’articolo 9 della direttiva medesima. Le due situazioni si differenziano a seconda che l’imputato sia stato informato del processo a suo carico e abbia deliberatamente rinunciato a comparire o che tale persona non sia venuta a conoscenza del processo.

1. Situazione in cui l’imputato sia impossibilitato a comparire al proprio processo a causa dell’esecuzione di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno (seconda questione)

91.

Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte se l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro può giudicare l’imputato in assenza di quest’ultimo qualora tale imputato, benché impossibilitato a comparire al proprio processo a causa della decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno adottata nei suoi riguardi, sia stato informato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione e sia rappresentato da un difensore incaricato, nominato dallo stesso imputato o d’ufficio.

92.

Ai sensi dell’articolo 8, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2016/343, gli Stati membri possono prevedere di giudicare una persona in sua assenza e di eseguire un’eventuale decisione di condanna senza che tale persona abbia diritto a un nuovo processo, laddove sussistano determinate condizioni.

93.

Il legislatore dell’Unione afferma, infatti, al considerando 35 di detta direttiva, che il diritto degli indagati e imputati di presenziare al processo non è assoluto e che, a determinate condizioni, gli indagati e imputati dovrebbero avere la possibilità di rinunciarvi, esplicitamente o tacitamente, purché in modo inequivocabile ( 35 ). In linea di principio, una siffatta rinuncia può pertanto avvenire solo nelle due ipotesi enunciate all’articolo 8, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2016/343 ( 36 ).

94.

La prima ipotesi, contemplata all’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva, riguarda le informazioni fornite all’imputato. Essa contempla il caso in cui quest’ultimo sia stato informato, in un tempo adeguato, del processo e delle conseguenze della mancata comparizione. Dal considerando 36 della direttiva medesima risulta che la validità delle suddette informazioni implica, da un lato, che l’imputato sia stato citato personalmente o sia stato informato ufficialmente e in tempo utile, con altri mezzi, della data e del luogo fissati per il processo, in modo tale da consentirgli di venire a conoscenza di quest’ultimo e, dall’altro, che egli sia stato informato del fatto che potrebbe essere pronunciata una decisione di condanna a suo carico nel caso in cui non compaia in giudizio. In conformità del considerando 38 della citata direttiva, le competenti autorità nazionali devono esercitare la dovuta diligenza nell’informare l’interessato, il quale, a sua volta, è tenuto a prestare la dovuta diligenza al fine di ricevere tali informazioni ( 37 ), onde fugare ogni dubbio circa la sua volontà di non presenziare al processo.

95.

La seconda ipotesi, contemplata all’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2016/343, riguarda la rappresentanza dell’imputato da parte di un difensore. Essa concerne il caso in cui l’imputato, informato del processo, abbia deliberatamente scelto di essere rappresentato da un difensore anziché comparire personalmente al processo ( 38 ). Tale scelta, in linea di principio, è in grado di dimostrare che questi ha rinunciato a presenziare al proprio processo, pur garantendo il suo diritto di difendersi, ragion per cui non potrà successivamente avvalersi del diritto a un nuovo processo, quale previsto all’articolo 9 della direttiva in parola.

96.

Alla luce di tali elementi, nulla osta a che l’imputato, che sia anche oggetto di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno, rinunci a comparire al suo processo. Questo diritto è infatti riconosciuto a ogni imputato in un procedimento penale, a prescindere dal suo status giuridico nello Stato membro ( 39 ).

97.

Tuttavia, in un caso di specie come quello di cui trattasi, una siffatta rinuncia dev’essere accompagnata da particolari garanzie.

98.

In primo luogo, la rinuncia dell’imputato al diritto di presenziare al proprio processo, in conformità dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2016/343, implica di per sé che questi possa effettivamente rinunciare a tale diritto con cognizione di causa. Non si può infatti ritenere che l’imputato abbia rinunciato liberamente e in modo inequivocabile a detto diritto nel caso in cui egli sia privato della libertà di movimento, o perché trattenuto in un centro di permanenza temporanea ai fini dell’esecuzione del provvedimento di allontanamento, o in quanto sottoposto a un divieto d’ingresso e di soggiorno. In questo caso, le competenti autorità nazionali dovrebbero stabilire misure particolari che consentano a tale imputato di presentarsi al processo (ad esempio, autorizzando un’uscita dal centro di permanenza, disponendo il rinvio dell’allontanamento o sospendendo il divieto d’ingresso e di soggiorno) e informarne quest’ultimo.

99.

In secondo luogo, la rinuncia dell’imputato al diritto di presenziare al proprio processo, in conformità dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2016/343, implica che siano tenute in considerazione le modalità di rappresentanza da parte di un difensore dell’imputato allontanato dal territorio. Ricordo, infatti, che la Corte europea dei diritti dell’uomo attribuisce una grande importanza al fatto che la mancata comparizione dell’imputato al processo a suo carico non venga sanzionata in deroga al diritto all’assistenza di un difensore ( 40 ). Infatti, «[p]er quanto non assoluto, il diritto il diritto di ogni imputato ad essere effettivamente difeso da un avvocato, se necessario nominato d’ufficio, figura tra gli elementi fondamentali del processo equo. Un imputato non perde il beneficio di tale diritto per il solo fatto di non essere comparso al dibattimento» ( 41 ). Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, «[è] (…) d’importanza fondamentale per l’equità del sistema penale che l’imputato sia adeguatamente difeso sia in primo grado che in appello» ( 42 ). Poiché, come dimostra la presente causa, l’esecuzione di un provvedimento di allontanamento comporta il rischio di un’interruzione dei contatti tra l’imputato e il suo difensore, ritengo si debba, di conseguenza, prestare una particolare attenzione alle modalità di tale rappresentanza.

100.

In terzo luogo, simili garanzie si rendono necessarie alla luce delle finalità della direttiva 2016/343, indicate ai paragrafi 72 e seguenti delle presenti conclusioni. Infatti, se è vero che all’articolo 8, paragrafo 2, di tale direttiva il legislatore dell’Unione riconosce all’imputato il diritto di rinunciare a comparire al processo, tuttavia, in considerazione del carattere fondamentale del diritto a un equo processo e delle conseguenze connesse alla rinuncia a comparire, è indispensabile che la formulazione di quest’ultima sia assistita da condizioni tali da non lasciare spazio ad alcun equivoco.

101.

Alla luce di tutti questi elementi, ritengo che l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 debba essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro giudichi un cittadino di un paese terzo sottoposto a una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale in assenza di quest’ultimo, a condizione che non solo l’imputato sia stato informato in un tempo adeguato dello svolgimento del processo e delle conseguenze della mancata comparizione, ma che siano anche state messe a sua disposizione misure particolari per consentirgli di comparire a tale processo e che egli vi abbia rinunciato liberamente e in modo inequivocabile, o che tale imputato, informato dello svolgimento del processo, sia rappresentato in modo adeguato da un difensore da lui stesso incaricato o nominato d’ufficio.

2. Situazione in cui l’imputato ha espresso la rinuncia al diritto di presenziare al proprio processo nel corso delle indagini preliminari (quarta questione)

102.

Con la sua quarta questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte se l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro può giudicare l’imputato in assenza di quest’ultimo qualora tale persona, dopo essere stata informata delle conseguenze della mancata comparizione, abbia espresso, in modo inequivocabile nel corso delle indagini preliminari, la rinuncia al diritto di presenziare al processo prima della fissazione della data del processo.

103.

Ritengo che, all’articolo 8, paragrafo 2, di tale direttiva, il legislatore dell’Unione non abbia espressamente previsto la fattispecie contemplata dal giudice del rinvio.

104.

Ciò premesso, occorre pertanto chiedersi se uno Stato membro possa prevedere di giudicare una persona in assenza di quest’ultima anche in situazioni diverse da quelle espressamente contemplate all’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343. Orbene, come osservato al paragrafo 89 delle presenti conclusioni, la differenza tra la disciplina dell’articolo 8, paragrafi 2 e 3, di tale direttiva e quella dell’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva medesima non risiede nella possibilità di giudicare una persona in sua assenza, bensì nelle conseguenze rispetto all’esecuzione della decisione pronunciata al termine di tale procedimento in absentia.

105.

In primo luogo, infatti, le disposizioni enunciate all’articolo 8, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2016/343 devono essere interpretate in modo restrittivo, dato che qualsiasi rinuncia al diritto di comparire comporta l’esecuzione della decisione pronunciata al termine del processo in assenza dell’imputato e l’impossibilità per quest’ultimo di ottenere un nuovo processo. È la ragione per cui le fattispecie previste all’articolo 8, paragrafo 2, lettere a) e b), della citata direttiva riguardano situazioni nelle quali detto imputato, informato della data e del luogo del processo ( 43 ), è al corrente dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico e conosce la natura e la causa dell’imputazione, sicché rinuncia a comparire personalmente in modo inequivocabile.

106.

Orbene, una siffatta rinuncia espressa «preventivamente» nel corso delle indagini preliminari non è inequivocabile, non essendo risolutivo il fatto che l’imputato sia informato delle conseguenze della mancata comparizione. Tale rinuncia, infatti, interviene in una fase prodromica del procedimento penale, in cui la competente autorità giudiziaria svolge le indagini preliminari, ossia indaga su fatti che possono o meno costituire un reato. Ammettere che una siffatta rinuncia equivalga a un consenso a essere giudicati in sua assenza sarebbe quindi in contrasto con i principi enunciati dal legislatore dell’Unione e con la linea giurisprudenziale adottata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ricordo che quest’ultima richiede che a tale persona siano state personalmente notificate le accuse elevate a suo carico e che essa sia stata citata in debita forma ( 44 ). In alternativa, detta Corte richiede che la suddetta rinuncia sia accertata sulla base di fatti precisi, oggettivi e pertinenti che consentano di dimostrare che l’imputato era al corrente del procedimento penale a suo carico, che conosceva la natura e la causa dell’imputazione e che ha quindi rinunciato in modo inequivocabile al suo diritto di comparire e di difendersi ( 45 ). Ad ogni modo, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, non è sufficiente che l’imputato «sia venuto a conoscenza» del procedimento contro di lui instaurato ( 46 ).

107.

In secondo luogo, la precisione delle situazioni previste all’articolo 8, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2016/343 testimonia, a mio avviso, la volontà del legislatore dell’Unione di stabilire, in modo esaustivo e per ragioni di certezza del diritto, i casi in cui non si devono considerare violati i diritti processuali di una persona che non è personalmente comparsa al processo a suo carico. Si tratta certamente di norme minime comuni agli Stati membri, tuttavia la loro definizione deve consentire di favorire la cooperazione giudiziaria, agevolando il riconoscimento reciproco delle decisioni in materia penale ( 47 ). In tali circostanze, ammettere che uno Stato membro possa giudicare una persona in assenza di quest’ultima e con il suo consenso per un motivo diverso da quelli previsti all’articolo 8, paragrafo 2, di tale direttiva, rischia di violare tale finalità.

108.

Alla luce di tali elementi, ritengo che l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro possa ritenere che una persona abbia liberamente rinunciato a presenziare al proprio processo qualora quest’ultima, pur essendo stata informata delle conseguenze della mancata comparizione, abbia espresso tale volontà nel corso delle indagini preliminari in una fase in cui non era ancora stata fissata la data del processo.

109.

Nella specie, la rinuncia dell’interessato al suo diritto di comparire al processo è stata sicuramente assistita da garanzie minime. In base alle informazioni pervenute alla Corte, egli era effettivamente accompagnato dal suo difensore nominato d’ufficio, gli è stata notificata l’imputazione e, in presenza di un interprete, è venuto a conoscenza dei suoi diritti, inclusi quelli enunciati all’articolo 269 dell’NPK, relativi allo svolgimento e alle conseguenze di un processo «in contumacia». Pur avendo dichiarato di comprendere tali diritti e di non intendere comparire nel procedimento, egli non ha tuttavia ricevuto copia dell’atto di imputazione né del decreto di fissazione della data dell’udienza preliminare al 23 luglio 2020, essendo stato allontanato dal territorio il 16 giugno 2020 ed essendo il suo indirizzo al momento sconosciuto. Ne discende che l’interessato non è stato quindi informato in un tempo adeguato della data e del luogo del processo a suo carico ai sensi dell’articolo 8 paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2016/343, ragion per cui non si può ritenere che egli abbia rinunciato a presenziarvi volontariamente e in modo inequivocabile.

D.   Esistenza di un obbligo processuale di presenziare al proprio processo (terza questione)

110.

Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte se l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343, in forza del quale gli Stati membri garantiscono che l’imputato abbia il diritto di presenziare al proprio processo, osti a una legislazione nazionale che preveda che l’imputato ha l’obbligo di comparire al processo che lo riguarda.

111.

Tale questione trae origine dal fatto che, ai sensi dell’articolo 269, paragrafi 1 e 2, dell’NPK, la presenza dell’imputato all’udienza è obbligatoria se quest’ultimo ha commesso un reato grave, come quello commesso nel procedimento principale, o se ciò risulti necessario per determinare la verità oggettiva ( 48 ).

112.

È evidente che la direttiva 2016/343 non ha né l’oggetto né lo scopo di porre a carico degli indagati e degli imputati un obbligo di comparire al processo.

113.

La direttiva in parola mira a «rafforzare» il diritto a un equo processo degli imputati in un procedimento penale, richiedendo agli Stati membri di garantire che queste persone abbiano il diritto di presenziare al loro processo. Come ho precedentemente indicato, l’articolo 8 di detta direttiva impone un obbligo positivo a carico di tali Stati, dovendo questi ultimi adottare le misure per salvaguardare i diritti derivanti dagli articoli 47 e 48 della Carta.

114.

L’articolo 8 della direttiva 2016/343 ha come unico oggetto e scopo di sancire, al suo paragrafo 1, il diritto dell’imputato di presenziare al proprio processo e di definirne, al suo paragrafo 2, i limiti, precisando le condizioni alle quali quest’ultimo possa rinunciarvi ( 49 ). Il legislatore dell’Unione precisa infatti, al considerando 35 di detta direttiva, che tale diritto non è assoluto, potendo l’imputato rinunciarvi, esplicitamente o tacitamente, purché in modo inequivocabile, a determinate condizioni. Contrariamente a quanto sostiene la Commissione nelle sue osservazioni, ritengo che il legislatore dell’Unione sancisca pertanto un diritto di non presenziare al proprio processo, così come all’articolo 7 della direttiva 2016/343 esso sancisce il diritto al silenzio e il diritto di non autoincriminarsi.

115.

Nella sua opinione concordante nella causa Van Geyseghem c. Belgio ( 50 ), il Giudice Bonello ha d’altronde rilevato che «[i]l diritto [dell’imputato] di non presenziare al proprio processo corrisponde alquanto strettamente al suo diritto al silenzio. Se, in nome degli indiscussi benefici che ne deriverebbero per l’amministrazione della giustizia, occorresse considerare la presenza dell’imputato al processo a suo carico come una condizione preliminare a ogni difesa, si potrebbero addurre gli stessi argomenti per obbligarlo a rinunciare al suo diritto al silenzio, ossia invocare anche l’interesse di una corretta amministrazione (…) Di fatto, non riesco a immaginare una causa nella quale, ricercando un equilibrio tra gli interessi della società e tale diritto fondamentale dell’imputato (anche ammettendo che un simile esercizio sia legittimo), quest’ultimo venga meno di fronte ai primi».

116.

È certo vero che, come ha rilevato la Corte, la direttiva 2016/343 ha l’obiettivo di stabilire norme minime comuni e non costituisce pertanto uno strumento completo ed esaustivo avente lo scopo di stabilire la totalità dei requisiti per l’adozione di una decisione giudiziaria ( 51 ). Il legislatore dell’Unione precisa infatti al considerando 48 di tale direttiva che gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di ampliare «i diritti da essa previsti al fine di assicurare un livello di tutela più elevato». Orbene, mi sembra che, imponendo che l’imputato compaia al processo a suo carico, uno Stato membro non ampli il suo diritto di presenziare al processo, ma al contrario lo limiti, trasformandolo in un dovere e privando tale persona della possibilità, peraltro espressamente riconosciuta dalla direttiva medesima, di rinunciare, per sua libera scelta, a comparirvi. Non si può ritenere che una siffatta misura contribuisca al rafforzamento dei diritti processuali di detto imputato, fermo restando che, ove lo richieda un importante interesse, gli Stati membri possono adottare provvedimenti diretti a garantire che l’imputato compaia all’udienza, quali la comparizione immediata, oppure l’assoggettamento a sorveglianza giudiziaria o a custodia cautelare dell’interessato.

117.

Tale interpretazione si inserisce nella linea giurisprudenziale tracciata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Quest’ultima, pur riconoscendo l’importanza della comparizione dell’imputato, in ragione tanto del diritto di quest’ultimo di essere ascoltato quanto della necessità di verificare l’esattezza delle sue affermazioni e di raffrontarle con le dichiarazioni delle vittime e dei testimoni, lascia agli Stati membri la massima discrezionalità nell’organizzare le norme processuali al fine di garantire che il dibattimento sia caratterizzato dal contraddittorio e di «agevolare» la presenza dell’imputato. Tale Corte si limita quindi a invitare il legislatore nazionale a «scoraggiare» le astensioni ingiustificate ( 52 ) avvalendosi dei mezzi di cui dispone nel proprio ordinamento giuridico nazionale. Come dimostra la terminologia utilizzata, detta Corte non sancisce quindi alcun obbligo per l’imputato di comparire al processo.

118.

Alla luce di tutti questi elementi, propongo alla Corte di dichiarare che l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343, in forza del quale gli Stati membri garantiscono che gli imputati abbiano il diritto di presenziare al proprio processo, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione nazionale ai sensi della quale l’imputato ha l’obbligo di comparire al processo che lo riguarda.

V. Conclusione

119.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Sofiyski Rayonen sad (Tribunale distrettuale di Sofia, Bulgaria) nel modo seguente:

1)

L’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi nazionale in base alla quale si proceda all’esecuzione di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno nei confronti di un cittadino di un paese terzo, benché tale persona sia oggetto di un procedimento penale per la commissione di un reato grave, senza che le competenti autorità nazionali adottino le particolari misure necessarie al fine di consentire a detto cittadino di presenziare al processo a suo carico.

In tali circostanze, l’adozione di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno richiede che sia verificato, caso per caso, se l’immediata esecuzione di detta decisione sia compatibile con i diritti della difesa dell’imputato ed, eventualmente, se non occorra rinviare l’allontanamento, oppure revocare o sospendere il divieto d’ingresso e di soggiorno, in conformità dell’articolo 9 e dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva in parola.

2)

L’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro giudichi un cittadino di un paese terzo sottoposto a una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale in assenza di quest’ultimo, a condizione che non solo l’imputato sia stato informato in un tempo adeguato dello svolgimento del processo e delle conseguenze della mancata comparizione, ma che siano anche state messe a sua disposizione misure particolari per consentirgli di comparire al processo e che egli vi abbia rinunciato liberamente e in modo inequivocabile, o che tale imputato, informato dello svolgimento del processo, sia rappresentato in modo adeguato da un difensore da lui stesso incaricato o nominato d’ufficio.

3)

L’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro possa ritenere che una persona abbia liberamente rinunciato a presenziare al proprio processo qualora quest’ultima, pur essendo stata informata delle conseguenze della mancata comparizione, abbia espresso tale volontà nel corso delle indagini preliminari in una fase in cui non era ancora stata fissata la data del processo.

4)

L’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343, in forza del quale gli Stati membri garantiscono che gli imputati abbiano il diritto di presenziare al proprio processo, osta a una legislazione nazionale ai sensi della quale l’imputato ha l’obbligo di comparire al processo che lo riguarda.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (GU 2016, L 65, pag. 1).

( 3 ) GU 2008, L 348, pag. 98.

( 4 ) In prosieguo: l’«NPK».

( 5 ) DV n. 153; in prosieguo: lo «ZChRB».

( 6 ) A seguito della richiesta di chiarimenti formulata dalla Corte, il giudice del rinvio ha precisato che il paragrafo 16 dello Zakon za izmenenie i dopalnenie na zakona za Chuzhdentsite v Republika Balgaria (legge recante modifica della legge sugli stranieri nella Repubblica di Bulgaria, DV n. 36) del 15 maggio 2009, indica che le disposizioni della direttiva 2008/115 sono state attuate.

( 7 ) Ricordiamo che da una costante giurisprudenza risulta che, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice del rinvio una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli. In tale prospettiva, la Corte può prendere in considerazione norme di diritto dell’Unione alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nel formulare le sue questioni pregiudiziali nella misura in cui tali norme siano necessarie ai fini dell’esame della causa nel procedimento principale. V., in particolare, sentenze del 29 aprile 2021, Banco de Portugal e a. (C‑504/19, EU:C:2021:335, punto 30 e giurisprudenza citata), e del 23 novembre 2021, IS (Illegittimità dell’ordinanza di rinvio) (C‑564/19, EU:C:2021:949, punto 99).

( 8 ) V. sentenza del 6 dicembre 2012, Sagor (C‑430/11, EU:C:2012:777, punto 44 e giurisprudenza citata).

( 9 ) V., in particolare, sentenza del 3 giugno 2021, Westerwaldkreis (C‑546/19, EU:C:2021:432, punto 52 e giurisprudenza citata).

( 10 ) Si deve rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, nell’interpretare una disposizione del diritto dell’Unione, occorre tener conto non solo dei termini di tale disposizione, ma anche del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dal regolamento di cui fa parte. V., a titolo di esempio, sentenza del 14 ottobre 2021, Dyrektor Z. Oddziału Regionalnego Agencji Restrukturyzacji i Modernizacji Rolnictwa (C‑373/20, EU:C:2021:850, punto 36 e giurisprudenza citata).

( 11 ) Firmata a Roma il 4 novembre 1950; in prosieguo: la «CEDU».

( 12 ) Sentenza del 17 dicembre 2020, Generalstaatsanwaltschaft Hamburg (C‑416/20 PPU, EU:C:2020:1042, punto 43).

( 13 ) V. considerando 33 della direttiva 2016/343.

( 14 ) Sentenza del 26 giugno 2007, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (C‑305/05, EU:C:2007:383, punto 29).

( 15 ) Ai sensi dell’articolo 47, secondo comma, della Carta, ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.

( 16 ) In prosieguo: la «Carta».

( 17 ) Sentenza del 29 luglio 2019, Gambino e Hyka (C‑38/18, EU:C:2019:628, punto 38).

( 18 ) V., in particolare, sentenza del 13 febbraio 2020 (C‑688/18, EU:C:2020:94, punto 36), la quale si riferisce alle sentenze della Corte EDU del 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia (CE:ECHR:2006:1123JUD007305301, § 40), e del 4 marzo 2008, Hüseyin Turan c. Turchia (CE:ECHR:2008:0304JUD001152902, § 31).

( 19 ) V. sentenza della Corte EDU del 23 maggio 2000, Van Pelt c. Francia (CE:ECHR:2000:0523JUD003107096, § 66).

( 20 ) C‑38/18, EU:C:2019:628, punto 42.

( 21 ) V. sentenza del 29 luglio 2019, Gambino e Hyka (C‑38/18, EU:C:2019:628, punto 43).

( 22 ) Rammento in proposito che, secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di «processo terminato con la decisione» deve essere interpretata come indicante il procedimento che ha condotto alla decisione giudiziaria recante la condanna definitiva della persona e, nel caso in cui il processo penale abbia comportato vari gradi che hanno dato luogo a decisioni in successione tra loro, essa ha dichiarato che detta nozione si riferisce all’ultimo grado di tale processo nel corso del quale un giudice, dopo aver esaminato la causa tanto in fatto quanto in diritto, ha statuito in modo definitivo in merito alla colpevolezza dell’interessato e lo ha condannato a una pena privativa della libertà. V., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2017Ardic (C‑571/17 PPU, EU:C:2017:1026, punti 6465). La Corte ha statuito che detta nozione deve essere oggetto di un’interpretazione autonoma e uniforme all’interno dell’Unione, indipendentemente dalle qualificazioni e dalle norme sostanziali e procedurali, per loro natura divergenti, in materia penale, nei vari Stati membri (punto 63). La Corte ha inoltre precisato che la nozione medesima comprende anche un procedimento successivo, al termine del quale viene emessa una decisione giudiziaria che modifica definitivamente l’entità di una o più pene inflitte in precedenza, nei limiti in cui l’autorità che ha adottato quest’ultima decisione abbia beneficiato a tale riguardo di un margine di discrezionalità (punto 66).

( 23 ) Per quanto riguarda l’interpretazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 2016/343, v. le mie conclusioni nella causa Spetsializirana prokuratura e a. (Processo di un imputato latitante) (C‑569/20, EU:C:2022:26), attualmente pendente dinanzi alla Corte, che concerne la misura in cui una persona latitante può beneficiare di un nuovo processo.

( 24 ) V., ad esempio, Convenzione europea sull’assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, STE n. 30.

( 25 ) V., in merito al valore dei considerando, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Planet49 (C‑673/17, EU:C:2019:246, paragrafo 71).

( 26 ) V., ad esempio, in caso di detenzione, sentenze della Corte EDU del 28 agosto 1991, FCB c. Italia (CE:ECHR:1991:0828JUD001215186), nonché del 31 marzo 2005, Mariani c. Francia (CE:ECHR:2005:0331JUD004364098), per quanto riguarda la violazione dell’articolo 6 della CEDU. In caso di rischio di persecuzioni, v., in particolare, sentenza della Corte EDU del 2 ottobre 2018, Bivolaru c. Romania (CE:ECHR:2018:1002JUD006658012), sulla mancata violazione di tale articolo della CEDU. Per motivi di salute, v., a titolo di esempio, decisione della Corte EDU del 12 febbraio 2004, De Lorenzo c. Italia (n. 69264/01, CE:ECHR:2004:0212DEC006926401), relativa alla mancata violazione di detto articolo della CEDU. Per il rintracciamento in un paese straniero, v. sentenza della Corte EDU del 24 marzo 2005, Stoichkov c. Bulgaria (CE:ECHR:2005:0324JUD000980802), relativa alla violazione del medesimo articolo della CEDU.

( 27 ) CE:ECHR:1991:0828JUD001215186.

( 28 ) Tale aspetto distingue la direttiva 2016/343 dalla direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (GU 2012, L 315, pag. 57), il cui articolo 17 è dedicato ai diritti delle vittime residenti in un altro Stato membro.

( 29 ) V. sentenze del 22 dicembre 2017, Ardic (C‑571/17 PPU, EU:C:2017:1026), e del 13 febbraio 2020, Spetsializirana prokuratura (Udienza in assenza dell’imputato) (C‑688/18, EU:C:2020:94).

( 30 ) GU 2008, L 327, pag. 27. V., inoltre, articolo 2 della decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo (GU 2009, L 81, pag. 24), nella parte in cui aggiunge l’articolo 4 bis alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1). Come risulta dalla stessa formulazione del paragrafo 1 di tale articolo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione, salvo che detto mandato indichi che sono soddisfatte le condizioni enunciate rispettivamente alle lettere da a) a d) di tale disposizione. V., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2020, Generalstaatsanwaltschaft Hamburg (C‑416/20 PPU, EU:C:2020:1042, punto 38 e giurisprudenza citata).

( 31 ) V., ad esempio, sentenza della Corte EDU del 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (CE:ECHR:2012:0117JUD000813909, § 258 e 259).

( 32 ) V. considerando 2 e 11 della direttiva 2008/115, nonché sentenze del 18 dicembre 2014, Abdida (C‑562/13, EU:C:2014:2453, punto 42), e del 2 luglio 2020, Stadt Frankfurt am Main (C‑18/19, EU:C:2020:511, punto 37 e giurisprudenza citata).

( 33 ) Sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 49 e giurisprudenza citata).

( 34 ) V. punti 69 e 70 di tale sentenza.

( 35 ) Il legislatore dell’Unione recepisce qui la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale né la lettera né lo spirito dell’articolo 6 della CEDU impediscono a una persona di rinunciare di sua spontanea volontà alle garanzie di un processo equo in modo espresso o tacito. Tuttavia, tale rinuncia deve risultare in modo inequivocabile. V., a titolo di esempio, sentenza della Corte EDU, 1o marzo 2006, Sejdovic c. Italia (CE:ECHR:2006:0301JUD005658100, § 86), nonché del 13 marzo 2018, Vilches Coronado e altri c. Spagna (CE:ECHR:2018:0313JUD005551714, § 36). V. inoltre, a tal riguardo, sentenza del 13 febbraio 2020, Spetsializirana prokuratura (Udienza in assenza dell’imputato) (C‑688/18, EU:C:2020:94, punto 37).

( 36 ) Nel caso in cui tali condizioni non possano essere rispettate perché l’imputato non può essere rintracciato, nonostante gli sforzi profusi dalle competenti autorità nazionali, l’articolo 8, paragrafo 4, e l’articolo 9 della direttiva 2016/343 impongono agli Stati membri di garantire un nuovo processo.

( 37 ) Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, i giudici nazionali devono quindi esercitare la dovuta diligenza facendo citare l’imputato nella debita forma. V., per un esempio, sentenze della Corte EDU del 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia (CE:ECHR:1985:0212JUD000902480, § 32), e del 12 giugno 2018, M.T.B. c. Turchia (CE:ECHR:2018:0612JUD004708106, § da 49 a 53). Ciò implica che egli sia avvisato dello svolgimento di un’udienza in modo tale che non solo conosca la data, l’ora e il luogo dell’udienza, ma disponga anche di un tempo sufficiente per preparare la sua difesa e per presentarsi dinanzi al giudice. V., in tal senso, sentenza della Corte EDU del 28 agosto 2018, Vyacheslav Korchagin c. Russia (CE:ECHR:2018:0828JUD001230716, § 65).

( 38 ) V., inoltre, considerando 37 della direttiva 2016/343.

( 39 ) V., a tal riguardo, considerando 12 della direttiva 2016/343.

( 40 ) V., in particolare, sentenza della Corte EDU del 14 giugno 2001, Medenica c. Svizzera (CE:ECHR:2001:0614JUD002049192), in cui tale Corte rileva, a proposito dell’interessato, il quale era stato informato in un tempo adeguato del procedimento penale avviato a suo carico e della data del processo, che «nel corso del dibattimento, [la sua] difesa era garantita dai due avvocati di sua scelta» (§ 56).

( 41 ) V., a tal riguardo, sentenze della Corte EDU del 13 febbraio 2001, Krombach c. Francia (CE:ECHR:2001:0213JUD002973196, § 89), e del 1o marzo 2006, Sejdovic c. Italia (CE:ECHR:2006:0301JUD005658100, § 91).

( 42 ) V., in particolare, sentenza della Corte EDU del 1o marzo 2006, Sejdovic c. Italia (CE:ECHR:2006:0301JUD005658100, § 91). Il corsivo è mio.

( 43 ) Rammento, in proposito, che, secondo la Corte, la nozione di «processo terminato con la decisione» deve essere oggetto di un’interpretazione autonoma e uniforme all’interno dell’Unione, indipendentemente dalle qualificazioni e dalle norme sostanziali e procedurali, per loro natura divergenti, in materia penale, nei vari Stati membri. Tale nozione è definita dalla Corte come indicante il procedimento che ha condotto alla decisione giudiziaria recante la condanna definitiva della persona. Nel caso in cui il processo penale comporti vari gradi che hanno dato luogo a decisioni in successione tra loro, la Corte ha dichiarato che detta nozione si riferisce all’ultimo grado di tale processo nel corso del quale un giudice, dopo aver esaminato la causa tanto in fatto quanto in diritto, ha statuito in modo definitivo in merito alla colpevolezza dell’interessato e lo ha condannato a una pena privativa della libertà. V., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2017, Ardic (C‑571/17 PPU, EU:C:2017:1026, punti da 63 a 65 e giurisprudenza citata).

( 44 ) V., a titolo di esempio, sentenze della Corte EDU del 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia (CE:ECHR:1985:0212JUD000902480, § 32), e del 12 giugno 2018, M.T.B. c. Turchia (CE:ECHR:2018:0612JUD004708106, § da 49 a 53). Secondo la giurisprudenza di tale Corte, una rinuncia del genere non può essere dedotta né da una conoscenza vaga e non ufficiale [v., in particolare, Corte EDU, 23 maggio 2006, Kounov c. Italia (CE:ECHR:2006:0523JUD002437902, § 47)], né da una semplice presunzione, né dalla mera qualità di persona in fuga [v. Corte EDU del 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia (CE:ECHR:1985:0212JUD000902480, § 28)].

( 45 ) V. sentenze della Corte EDU del 1o marzo 2006, Sejdovic c. Italia (CE:ECHR:2006:0301JUD005658100, § 98 e 99); del 23 maggio 2006, Kounov c. Bulgaria (CE:ECHR:2006:0523JUD002437902, § 47); del 26 gennaio 2017, Lena Atanasova c. Bulgaria (CE:ECHR:2017:0126JUD005200907, § 52), nonché del 2 febbraio 2017, Ait Abbou c. Francia (CE:ECHR:2017:0202JUD004492113, § da 62 a 65).

( 46 ) V. Corte EDU, 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia (CE:ECHR:1985:0212JUD000902480, § 28).

( 47 ) V. considerando 2, 3, 4 e 10 della direttiva 2016/343.

( 48 ) Rilevo tuttavia che tale norma è soggetta a numerose eccezioni. In particolare, l’articolo 269, paragrafo 4, dell’NPK precisa che la presenza dell’interessato non è obbligatoria qualora ciò non impedisca di accertare la verità oggettiva, se quest’ultimo si trova al di fuori del territorio della Repubblica di Bulgaria e il suo luogo di residenza è sconosciuto.

( 49 ) V., inoltre, considerando 35 della direttiva 2016/343.

( 50 ) V. opinione concordante del giudice Giovanni Bonello nella sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 1999, Van Geyseghem c. Belgio (CE:ECHR:1999:0121JUD002610395).

( 51 ) V., in tal senso, sentenze del 19 settembre 2018, Milev (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732, punti da 45 a 47), e del 13 febbraio 2020, Spetsializirana prokuratura (Udienza in assenza dell’imputato) (C‑688/18, EU:C:2020:94, punto 30 e giurisprudenza citata).

( 52 ) V., in particolare, sentenze della Corte EDU del 23 novembre 1993, Poitrimol c. Francia (CE:ECHR:1993:1123JUD001403288, § 35), e 9 luglio 2015, Tolmachev c. Estonia (CE:ECHR:2015:0709JUD007374813, § 47).

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