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Documento 62019CC0693

Conclusioni dell’avvocato generale E. Tanchev, presentate il 15 luglio 2021.
SPV Project 1503 Srl e Dobank SpA contro YB e Banco di Desio e della Brianza SpA e a. contro YX e ZW.
Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Tribunale di Milano.
Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Principio di equivalenza – Principio di effettività – Procedimenti d’ingiunzione di pagamento e di espropriazione presso terzi – Autorità di cosa giudicata che copre implicitamente la validità delle clausole del titolo esecutivo – Potere del giudice dell’esecuzione di esaminare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo di una clausola.
Cause riunite C-693/19 e C-831/19.

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Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2021:615

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

EVGENI TANCHEV

presentate il 15 luglio 2021 ( 1 )

Cause riunite C‑693/19 e C‑831/19

SPV Project 1503 Srl,

Dobank SpA

contro

YB (C‑693/19)

e

Banco di Desio e della Brianza SpA,

Banca di Credito Cooperativo di Carugate e Inzago Sc,

Intesa Sanpaolo SpA,

Banca Popolare di Sondrio ScpA,

Cerved Credit Management SpA

contro

YX,

ZW (C‑831/19)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Milano (Italia)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Articolo 6, paragrafo 1, e articolo 7, paragrafo 1 – Principio di effettività – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Procedimento d’ingiunzione di pagamento – Procedimenti di esecuzione forzata – Decreto ingiuntivo avente autorità di cosa giudicata – Potere del giudice nazionale dell’esecuzione di esaminare l’abusività delle clausole contrattuali – Principio dell’autorità di cosa giudicata – Preclusione processuale»

I. Introduzione

1.

Le due domande di pronuncia pregiudiziale di cui trattasi, proposte dal Tribunale di Milano (Italia), vertono sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori ( 2 ) e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Esse si collocano nell’ambito di procedimenti di esecuzione di decreti ingiuntivi avverso i quali non è stata proposta opposizione e che sono pertanto passati in giudicato.

2.

La principale questione posta dalle presenti cause è in sostanza se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e l’articolo 47 della Carta ostino a una normativa nazionale che non consente al giudice dell’esecuzione di esaminare l’eventuale abusività delle clausole del contratto costituente il fondamento del decreto ingiuntivo a causa del passaggio in giudicato dello stesso.

3.

Le presenti cause vengono trattate dalla Corte parallelamente ad altre tre cause (C‑600/19, C‑725/19 e C‑869/19), nell’ambito delle quali le mie conclusioni sono presentate in data odierna. Esse si basano su domande di pronuncia pregiudiziale provenienti dalla Spagna e dalla Romania e riguardano altresì questioni analoghe e potenzialmente delicate relative alla portata dell’obbligo del giudice nazionale di esaminare di propria iniziativa (d’ufficio) l’abusività delle clausole contrattuali conformemente alla giurisprudenza della Corte relativa all’interpretazione della direttiva 93/13 e il rapporto con taluni principi procedurali, tra cui il principio dell’autorità di cosa giudicata.

4.

Di conseguenza, le cause in esame offrono alla Corte l’opportunità di sviluppare la sua giurisprudenza sulla direttiva 93/13 e, in particolare, di chiarire questioni relative al principio dell’autorità di cosa giudicata in relazione al sindacato giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole ai sensi della medesima direttiva. Le presenti cause pongono inoltre questioni relative al rapporto tra il principio di effettività e l’articolo 47 della Carta in tale contesto.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

5.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 così recita:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

6.

L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

B.   Diritto italiano

7.

Il decreto legislativo del 6 settembre 2005, n. 206 – Codice del consumo (supplemento ordinario alla GURI n. 235 dell’8 ottobre 2005) (in prosieguo: il «codice del consumo»), ha recepito la direttiva 93/13 nell’ordinamento italiano.

8.

L’articolo 633 del codice di procedura civile è così formulato:

«Su domanda di chi è creditore di una somma liquida di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili, o di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento o di consegna:

1)

se del credito fatto valere si dà prova scritta;

(…)».

9.

L’articolo 641 del codice di procedura civile stabilisce quanto segue:

«Se esistono le condizioni previste nell’art[icolo] 633, il giudice, con decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso, ingiunge all’altra parte di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose chieste o invece di queste la somma di cui all’art[icolo] 639 nel termine di quaranta giorni, con l’espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione a norma degli articoli seguenti e che, in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata.

(…)».

10.

L’articolo 647 del codice di procedura civile così dispone:

«Se non è stata fatta opposizione nel termine stabilito, oppure l’opponente non si è costituito, il giudice che ha pronunciato il decreto, su istanza anche verbale del ricorrente, lo dichiara esecutivo. Nel primo caso il giudice deve ordinare che sia rinnovata la notificazione, quando risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza del decreto.

Quando il decreto è stato dichiarato esecutivo a norma del presente articolo, l’opposizione non può essere più proposta né proseguita, salvo il disposto dell’articolo 650, e la cauzione eventualmente prestata è liberata».

11.

L’articolo 650 del codice di procedura civile è così formulato:

«L’intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto, se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore.

(…)

L’opposizione non è più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione».

12.

L’articolo 2909 del codice civile così dispone:

«L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa».

III. Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

A.   Causa C‑693/19, SPV Project 1503 e a.

13.

Secondo l’ordinanza di rinvio, YB ha stipulato, in qualità di consumatore, tre contratti di finanziamento, per una somma complessiva di EUR 18200, con Findomestic Banca SpA. Detta società ha in seguito ceduto il proprio credito ad Activa Factor SpA, che l’ha a sua volta ceduto a SPV Project 1503 Srl (in prosieguo: «SPV»). In base alle clausole di detti contratti, in caso di ritardo nell’adempimento, era prevista l’applicazione di una clausola penale e di un interesse moratorio.

14.

Con decisione del 10 luglio 2012, il giudice competente ha emesso un decreto ingiuntivo nei confronti di YB, corrispondente alla somma di EUR 16290,52 a titolo di somme dovute in base ai contratti di finanziamento oltre agli interessi di mora così come riconosciuti dalle clausole in oggetto. YB non ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo, il quale è quindi passato in giudicato.

15.

In seguito, SPV ha notificato a YB un atto di precetto, avente data 21 settembre 2016, per crediti di YB nei confronti di terzi dell’importo di EUR 31332, comprensivi di EUR 16290,52 a titolo di capitale e di EUR 13539,27 a titolo di interessi come da decreto, e, quanto al residuo importo, a titolo di spese e compensi.

16.

SPV e un altro creditore hanno quindi instaurato un procedimento esecutivo nei confronti di YB dinanzi al giudice del rinvio.

17.

Nel corso di tale procedimento, il giudice del rinvio ha ritenuto che la clausola relativa alla quantificazione del tasso di interesse moratorio, che era superiore, su base annua, al 14%, potesse essere considerata vessatoria. Il medesimo giudice ha disposto la produzione, da parte di SPV, dei contratti di finanziamento sulla base dei quali è stato emesso il decreto ingiuntivo e ha invitato YB a manifestare la propria eventuale volontà di avvalersi della vessatorietà delle clausole riguardanti l’interesse moratorio, con conseguente possibilità di riduzione del credito di SPV ove tale vessatorietà fosse accertata. In risposta, YB si è avvalso della vessatorietà della clausola determinativa della misura dell’interesse moratorio. Il giudice del rinvio ha rilevato la possibilità di esaminare d’ufficio la vessatorietà della clausola in questione e ha fissato una nuova udienza al fine di consentire alle parti di interloquire sulla questione. A tale proposito, SPV ha affermato, in particolare, che l’autorità di cosa giudicata del decreto ingiuntivo non poteva essere superata.

18.

Il giudice del rinvio spiega che, secondo la giurisprudenza della Corte suprema di cassazione (Italia), il principio dell’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico. Tale orientamento trova applicazione in riferimento a un decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda. Pertanto, il principio di creazione giurisprudenziale del cosiddetto «giudicato implicito» è fondato sull’argomento secondo il quale se il giudice si è pronunciato su una determinata questione, ha risolto in senso non ostativo tutte le altre questioni da considerare preliminari a quella esplicitamente decisa.

19.

Il giudice del rinvio sottolinea che, come nella fattispecie, una volta conseguito il titolo esecutivo giudiziale, il creditore, previa notifica dell’atto di precetto, può instaurare un procedimento esecutivo, designato come procedimento di espropriazione forzata ai sensi del diritto nazionale, e che, mediante l’espropriazione presso terzi, il creditore, sulla base del decreto ingiuntivo quale titolo esecutivo, sottopone ad espropriazione forzata i crediti del proprio debitore nei confronti di terzi. Nell’ambito del procedimento esecutivo, il giudice può esercitare poteri d’ufficio diretti a verificare l’esistenza del titolo esecutivo e la corretta quantificazione del credito, ma ciò non può estendersi anche al contenuto intrinseco del titolo stesso.

20.

Il giudice del rinvio nutre dubbi sulla conformità al codice del consumo e alla direttiva 93/13 della clausola mediante la quale è quantificato l’interesse moratorio e di quella che prevede una clausola penale. Secondo il giudice del rinvio, il giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo non si è pronunciato sull’eventuale vessatorietà delle clausole di cui trattasi. Tuttavia, in base al diritto nazionale, per effetto della mancata proposizione dell’opposizione da parte di YB, il decreto ingiuntivo ha acquistato efficacia di cosa giudicata e la questione relativa alla vessatorietà delle clausole dei contratti di finanziamento è oggetto di giudicato implicito. Ne discende che il giudice del rinvio, in quanto giudice dell’esecuzione, non può rilevare l’eventuale vessatorietà delle clausole, poiché il giudice dell’esecuzione non può, nell’ordinamento nazionale, effettuare un controllo del contenuto del decreto ingiuntivo e tale decreto ha acquisito efficacia di giudicato.

21.

Il giudice del rinvio osserva che, secondo la giurisprudenza della Corte sulla direttiva 93/13, a determinate condizioni il principio dell’autorità di cosa giudicata può essere superato. Il medesimo giudice si chiede quindi se l’esigenza di sostituire all’equilibrio formale tra i contraenti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra di loro, consenta al giudice dell’esecuzione di informare il consumatore della possibile vessatorietà di clausole contrattuali che non sia stata espressamente esclusa dal decreto avente efficacia di giudicato, e se, in caso di manifestata volontà da parte del consumatore di avvalersi dell’abusività delle clausole, lo stesso giudice possa scrutinare la vessatorietà delle clausole contrattuali, dal momento che il mancato scrutinio giudiziale potrebbe comportare una tutela del consumatore incompleta ed insufficiente. Il giudice del rinvio osserva che, per quanto concerne l’articolo 47 della Carta, l’iniziativa giudiziale di informazione del consumatore in ordine alla possibile violazione di norme poste a tutela dei consumatori non pregiudica l’imparzialità del giudice e che la Corte ha attribuito particolare rilievo a tale disposizione nella prospettiva dell’efficacia dei diritti derivanti dalla direttiva 93/13.

22.

Stanti tali circostanze, il Tribunale di Milano ha deciso di sospendere il procedimento principale e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se ed a quali condizioni gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e l’articolo 47 della [Carta] ostino ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato e che preclude allo stesso giudice, in caso di manifestazione di volontà del consumatore di volersi avvalere della abusività della clausola contenuta nel contratto in forza del quale è stato formato il titolo esecutivo, di superare gli effetti del giudicato implicito».

B.   Causa C‑831/19, Banco di Desio e della Brianza e a.

23.

Secondo l’ordinanza di rinvio, il 18 novembre 2005, Banco di Desio e della Brianza SpA (in prosieguo: «BDB») ha concluso con YX e ZW contratti di fideiussione diretti a garantire i crediti assunti dalla società commerciale Bimecar Trade Srl.

24.

Con decisione del 20 dicembre 2012, il Tribunale di Monza (Italia) ha emesso un decreto ingiuntivo in favore di BDB nei confronti, in particolare, di YX e ZW. Non essendo stata presentata opposizione avverso tale decreto, quest’ultimo è passato in giudicato.

25.

BDB ha in seguito instaurato un procedimento di esecuzione dinanzi al Tribunale di Milano per ottenere l’espropriazione immobiliare dei beni di proprietà, per la metà ciascuno, dei coniugi YX e ZW. Bimecar Trade e altri creditori di YX e ZW sono intervenuti nel procedimento.

26.

YX e ZW si sono costituiti nel procedimento di esecuzione. A fronte della richiesta del giudice del rinvio, BDB ha depositato i contratti di fideiussione. Il giudice del rinvio, esclusa la qualificabilità come consumatore di YX, in quanto legale rappresentante di Bimecar Trade e socio al 51% della stessa, ha rilevato la possibile qualificabilità come consumatore di ZW, in quanto la stessa risultava socia al 22% di tale società e non risultava aver mai assunto cariche sociali nell’ambito della medesima. Nel documentare il proprio status di consumatrice, ZW ha depositato l’atto di cessione con il quale, il 29 gennaio 2013, la stessa era divenuta socia di Bimecar Trade, nonché la documentazione comprovante la sua titolarità di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un’altra società dal 1976. ZW ha inoltre dichiarato di voler far valere la vessatorietà di numerose clausole contenute nei contratti conclusi con tutti i creditori in base al codice del consumo. BDB e gli altri creditori hanno contestato, tra l’altro, la qualificabilità di ZW come consumatrice e la superabilità del giudicato formatosi in relazione al decreto ingiuntivo.

27.

Il giudice del rinvio spiega, in termini simili a quanto enunciato nella causa C‑693/19, che, in base all’ordinamento e alla giurisprudenza nazionali, il giudicato implicito si fonda sull’argomento logico per il quale, se il giudice si è pronunciato su una determinata questione, ha necessariamente risolto tutte le altre questioni da considerare preliminari rispetto a quella espressamente decisa, e tale orientamento trova applicazione in riferimento ai decreti ingiuntivi. Una volta conseguito un decreto, il creditore instaura un procedimento esecutivo e, con l’espropriazione immobiliare, come avviene nel caso di specie, il creditore, sulla base di tale decreto quale titolo esecutivo, previa notifica dell’atto di precetto, sottopone ad espropriazione forzata i beni immobili dei quali il debitore è titolare.

28.

Il giudice del rinvio, premessa la qualificabilità di ZW come consumatrice, esprime dubbi circa la conformità al codice del consumo e alla direttiva 93/13 della clausola contenuta nel contratto di fideiussione concluso tra BDB e ZW, la quale prevede la competenza territoriale di un foro che non è quello del luogo di domicilio del consumatore. Per effetto della mancata proposizione dell’opposizione da parte di ZW, il decreto ingiuntivo ha acquistato efficacia di cosa giudicata e la questione relativa alla vessatorietà delle clausole dei contratti di finanziamento è oggetto di giudicato implicito. Mentre i creditori sostengono che al giudice del rinvio è preclusa la possibilità di valutare la vessatorietà di tali clausole, in particolare alla luce della sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones ( 3 ), il giudice del rinvio si interroga circa l’applicabilità di detta sentenza, alla luce delle differenze tra gli ordinamenti nazionali in questione e delle circostanze della presente causa.

29.

A tale riguardo, il giudice del rinvio sottolinea che ZW ha assunto un ruolo attivo nell’ambito del procedimento esecutivo e che al tempo dell’emissione del decreto ingiuntivo non esisteva ancora la giurisprudenza della Corte ( 4 ) che ha indicato i parametri alla stregua dei quali un fideiussore come ZW poteva essere considerato consumatore. Neppure la giurisprudenza della Corte suprema di cassazione aveva ancora adottato un approccio analogo ( 5 ), ma all’epoca aveva escluso la qualificabilità del fideiussore, garante di una società commerciale, quale consumatore ( 6 ). Di conseguenza, ZW non poteva far valere la vessatorietà delle clausole in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, in quanto ciò era possibile solo dopo l’instaurazione del procedimento esecutivo, quando, stando al diritto nazionale, è preclusa la superabilità di detto decreto. Il giudice del rinvio si chiede se, in una situazione del genere, la normativa nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile per il consumatore l’esercizio dei diritti attribuiti dalla direttiva 93/13.

30.

Il giudice del rinvio osserva che, nella sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus ( 7 ), la Corte ha escluso la superabilità del giudicato esplicito, ma che essa non ha ancora esaminato la compatibilità del giudicato implicito con gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13 e l’articolo 47 della Carta. Secondo il giudice del rinvio, è probabile che, nell’emettere il decreto ingiuntivo, il giudice non abbia svolto l’indagine relativa alla vessatorietà delle clausole contrattuali, escludendo la possibilità di qualificare ZW come consumatrice. Il giudice del rinvio si chiede pertanto se gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13 e l’articolo 47 della Carta consentano di superare il giudicato implicito, qualora esso comporti una privazione del diritto del consumatore a un ricorso effettivo e dei diritti conferiti allo stesso da tale direttiva.

31.

Stanti tali circostanze, il Tribunale di Milano ha deciso di sospendere il procedimento principale e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«a)

Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’articolo 47 della [Carta] osti ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato, allorquando il consumatore, avuta consapevolezza del proprio status (consapevolezza precedentemente preclusa dal diritto vivente), richieda di effettuare un simile sindacato.

b)

Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’articolo 47 della [Carta] osti ad un ordinamento come quello nazionale che, a fronte di un giudicato implicito sulla mancata vessatorietà di una clausola contrattuale, preclude al giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere su un’opposizione all’esecuzione proposta dal consumatore, di rilevare una simile vessatorietà e se una simile preclusione possa ritenersi esistente anche ove, in relazione al diritto vivente vigente al momento della formazione del giudicato, la valutazione della vessatorietà della clausola era preclusa dalla non qualificabilità del fideiussore come consumatore».

IV. Procedimento dinanzi alla Corte

32.

Nell’ambito della causa C‑693/19, hanno presentato osservazioni scritte dinanzi alla Corte i governi spagnolo, italiano e ungherese nonché la Commissione, mentre nell’ambito della causa C‑831/19 hanno presentato osservazioni scritte BDB, ZW ( 8 ), i governi spagnolo e italiano e la Commissione.

33.

Il 27 aprile 2021, si è svolta un’udienza di discussione comune, nel corso della quale BDB, ZW, i governi tedesco, spagnolo e italiano e la Commissione hanno presentato osservazioni orali.

V. Sintesi delle osservazioni delle parti

34.

BDB sostiene che la questione posta nella causa C‑831/19 è irricevibile in quanto ZW non è qualificabile come consumatrice e la direttiva 93/13 non è pertanto applicabile. In ogni caso, la medesima afferma che la decisione relativa alla validità delle clausole contrattuali è passata in giudicato, senza che ZW abbia proposto opposizione o rivendicato il suo status di consumatrice. Secondo la giurisprudenza della Corte, il giudicato non può essere superato, anche a fronte di violazioni del diritto dell’Unione, e, come evidenziato all’udienza, la tutela garantita ai consumatori nella direttiva 93/13 non prevale sulla certezza del diritto.

35.

ZW sostiene che, nella causa C‑831/19, la propria qualificazione come consumatrice ai sensi della direttiva 93/13 è evidente. ZW spiega di non aver proposto un’opposizione al decreto ingiuntivo a causa di una giurisprudenza nazionale che escludeva la qualificabilità di persone nella sua situazione come consumatori, ma che è in seguito mutata, in linea con la giurisprudenza della Corte. Come sostenuto da ZW all’udienza, precludere al giudice dell’esecuzione la possibilità di effettuare un sindacato di clausole la cui vessatorietà non è stata valutata al momento dell’emissione del decreto priverebbe i consumatori della tutela effettiva di cui alla direttiva 93/13.

36.

Il governo tedesco afferma che la ripartizione delle competenze tra giudice di merito e giudice dell’esecuzione si fonda sul principio dell’autonomia procedurale nazionale e che la direttiva 93/13 non impone un sindacato nel merito nell’ambito del procedimento esecutivo, sempreché il primo procedimento offra al consumatore sufficienti opportunità di far valere i diritti conferiti dalla direttiva 93/13. Pertanto, se, come risulta nelle presenti cause, l’ordinamento nazionale prevede un sindacato giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole nella fase del decreto ingiuntivo, non è necessario un secondo controllo nella fase dell’esecuzione.

37.

Il governo spagnolo sostiene che gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13 non ostano alla normativa nazionale di cui trattasi. In materia di clausole abusive, l’ordinamento giuridico dell’Unione non richiederebbe che il giudice nazionale riesamini indefinitamente una domanda sulla quale è stata pronunciata una sentenza definitiva, il che trova applicazione nel caso in cui il consumatore non si sia avvalso entro i termini dei mezzi di tutela previsti dal diritto nazionale, e la possibilità di controllo della vessatorietà delle clausole al di fuori della procedura specificamente prevista a tal scopo comporterebbe una perdita di effettività del procedimento di esecuzione. Come affermato in udienza, il principio di effettività presupporrebbe un’analisi della normativa nazionale sotto il profilo del sistema procedurale nazionale nel suo complesso e, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, le presenti cause riguarderebbero l’autorità di cosa giudicata. Esso aggiunge che, per quanto riguarda la causa C‑831/19, il fatto che, quando il decreto ingiuntivo è passato in giudicato, la Corte non si fosse ancora pronunciata sui parametri alla stregua dei quali il fideiussore può essere considerato un consumatore non influisce sulla sua posizione.

38.

Il governo italiano sostiene che gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13 non ostano alla normativa nazionale di cui trattasi. Le presenti cause differirebbero dalla precedente giurisprudenza della Corte e detta normativa rispetterebbe il principio di equivalenza, in quanto il giudice dell’esecuzione non può riesaminare d’ufficio la sussistenza delle condizioni per l’emissione di un decreto ingiuntivo avente autorità di giudicato, neanche quando si tratti dell’eventuale violazione di una norma di ordine pubblico. Come evidenziato in udienza, il giudice che si pronuncia sul decreto può esaminare d’ufficio la vessatorietà delle clausole contrattuali e al consumatore sono attribuiti mezzi di tutela per evitare che egli sia vincolato da simili clausole; tuttavia, se il giudice non ha effettuato tale esame e il consumatore non si è avvalso di detti mezzi, il giudice dell’esecuzione non può che dare esecuzione alla decisione fondata sul decreto, la quale esclude implicitamente la natura abusiva delle clausole contrattuali, poiché altrimenti essa non sarebbe stata emessa. Al contrario di quanto sostenuto dalla Commissione nella causa C‑693/19, indipendentemente dalla causa di invalidità della clausola su cui si fonda il diritto del creditore, dal momento in cui tale diritto è accertato, anche implicitamente, mediante una decisione avente autorità di cosa giudicata, detta invalidità non potrebbe più essere dichiarata dal giudice che le deve dare esecuzione, e ciò varrebbe anche in casi aventi ad oggetto interessi eccessivi. Esso aggiunge che, per quanto riguarda la causa C‑831/19, è irrilevante che la giurisprudenza nazionale e dell’Unione che riconosce la qualificazione del fideiussore come consumatore non esistesse al momento dell’adozione della decisione sul decreto, poiché il giudice avrebbe potuto ricorrere al procedimento pregiudiziale.

39.

Il governo ungherese sostiene che, per quanto riguarda la causa C‑693/19, gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13 e l’articolo 47 della Carta non ostano alla normativa nazionale di cui trattasi. Esso afferma che il passaggio in giudicato avvenuto in assenza di un’opposizione da parte del debitore non è superabile, e consentire al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato sulla vessatorietà delle clausole del contratto sul quale il decreto ingiuntivo è basato svuoterebbe di significato il procedimento d’ingiunzione di pagamento.

40.

La Commissione sostiene che, per quanto riguarda la causa C‑693/19, l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non ostano alla normativa nazionale di cui trattasi, purché essa consenta al giudice la verifica della possibile natura abusiva e la conseguente disapplicazione di una clausola relativa al pagamento di interessi in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento di un obbligo contrattuale. Ciò potrebbe accadere ove essa consenta l’accertamento dell’inesistenza giuridica di un titolo esecutivo limitatamente al credito per tali interessi oppure ove essa permetta al giudice di limitare l’esecuzione, in sede di assegnazione delle somme, al credito risultante dalla eliminazione degli interessi considerati eccessivi. Tuttavia, se tale normativa dovesse essere interpretata nel senso che essa non consente al giudice di accertare la presenza di clausole abusive, gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13, interpretati alla luce del principio di effettività, vi osterebbero. Essa afferma che l’autorità di cosa giudicata non si applica a un decreto ingiuntivo nella parte relativa agli interessi su un credito ove il tasso sia eccessivamente elevato ( 9 ) e, se rientra nei poteri del giudice dell’esecuzione accertare che l’espropriazione avvenga in virtù di un titolo valido, in forza del principio di equivalenza, rientrerebbe in questi stessi poteri anche l’accertamento della mancata violazione di norme di ordine pubblico, come l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

41.

La Commissione sostiene che, per quanto riguarda la causa C‑831/19, si deve rispondere congiuntamente alle due questioni pregiudiziali nel senso che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non ostano alla disciplina nazionale di cui trattasi, purché detta disciplina consenta al giudice dell’esecuzione la verifica della possibile natura abusiva e la conseguente disapplicazione di una clausola. In caso contrario, tale disciplina non sarebbe conforme a dette disposizioni, interpretate alla luce del principio di effettività. A suo avviso, i contratti conclusi con ZW rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13, e la tardiva consapevolezza, da parte di ZW, del proprio status di consumatore non è rilevante. In tale causa, come nella causa C‑693/19, l’articolo 47 della Carta dovrebbe essere considerato come disposizione alla luce della quale interpretare l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, e il carattere definitivo del decreto ingiuntivo deriverebbe da una preclusione processuale e non dal passaggio in giudicato. Essa sostiene che il controllo d’ufficio della possibile abusività delle clausole deve essere oggetto di una valutazione esplicita e debitamente motivata da parte del giudice nazionale. Come evidenziato in udienza, i giudici che hanno emesso i decreti nelle presenti cause non hanno effettuato un sindacato sull’abusività delle clausole contrattuali, e non è sufficiente che possa essere individuata l’eventualità di una clausola abusiva; è il giudice che deve procedervi.

VI. Analisi

42.

Con la questione pregiudiziale posta nella causa C‑693/19, che corrisponde in sostanza alla prima questione posta nella causa C‑831/19, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e l’articolo 47 della Carta ostino a una normativa nazionale che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un decreto ingiuntivo passato in giudicato e di superare gli effetti del giudicato implicito nel caso in cui il consumatore abbia manifestato l’intenzione di avvalersi dell’abusività della clausola contenuta nel contratto sulla base del quale è stato formato detto decreto.

43.

Con la seconda questione pregiudiziale posta nella causa C‑831/19, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e l’articolo 47 della Carta ostino a una normativa nazionale che, a fronte di un giudicato implicito, preclude al giudice dell’esecuzione, investito di un’opposizione all’esecuzione proposta dal consumatore, di esaminare l’abusività delle clausole contrattuali, tenuto conto del fatto che, alla luce del diritto vigente al momento della formazione del giudicato, la valutazione dell’abusività delle clausole era preclusa dalla non qualificabilità del fideiussore come consumatore.

44.

Come risulta dall’ordinanza di rinvio e dalle osservazioni del governo italiano, le due questioni in oggetto hanno origine dalle modalità procedurali relative all’esecuzione di decreti ingiuntivi previste dall’ordinamento italiano, secondo cui un decreto che costituisce il fondamento per il successivo procedimento esecutivo e per il pignoramento dei beni da parte dei creditori diventa definitivo e passa in giudicato poiché il consumatore, in qualità di debitore, non propone opposizione avverso il decreto stesso nel termine stabilito. In mancanza di opposizione al decreto ingiuntivo, l’abusività delle clausole del contratto sulla cui base è stato emesso detto decreto è dunque considerata oggetto di giudicato implicito, vale a dire di giudicato formatosi implicitamente. Inoltre, l’ordinamento nazionale prevede che il giudice che emette il decreto possa esaminare d’ufficio l’eventuale abusività delle clausole contrattuali, e, se il consumatore propone opposizione, il giudice che si pronuncia su di essa può altresì effettuare un sindacato d’ufficio dell’abusività di tali clausole. Tuttavia, sembra pacifico che, nelle presenti cause, i giudici hanno emesso decreti ingiuntivi in ordine ai quali non è stata proposta opposizione da parte dei consumatori e in assenza di indicazioni, in tale fase, di eventuali verifiche circa la presenza di clausole abusive.

45.

Mi pare quindi che alle due questioni pregiudiziali di cui trattasi si possa dare una risposta congiunta, in quanto esse vertono su un aspetto centrale, ossia la compatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale che non consente al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato dell’abusività delle clausole del contratto costituente il fondamento del decreto ingiuntivo in virtù del giudicato implicito formatosi in relazione a tale decreto.

46.

Al fine di rispondere a dette questioni, esaminerò anzitutto gli argomenti di BDB in relazione alla ricevibilità della questione sollevata nella causa C‑831/19 (sezione A). Passando al merito delle cause C‑693/19 e C‑831/19, formulerò quindi alcune osservazioni preliminari sulla tardiva consapevolezza di ZW quanto al suo status di consumatrice nella causa C‑831/19 e sull’eventuale pertinenza dell’articolo 47 della Carta in tale contesto (sezione B). Esaminerò poi la giurisprudenza della Corte in relazione al sindacato d’ufficio del giudice nazionale relativo alle clausole abusive ai sensi della direttiva 93/13 (sezione C) e l’applicazione dei principi elaborati da tale giurisprudenza alle circostanze dei casi di specie (sezione D).

47.

Sulla base di tale analisi, sono giunto alla conclusione che la questione sollevata nella causa C‑831/19 è ricevibile e che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, interpretati alla luce del principio di effettività, ostano a una normativa nazionale come quella di cui trattasi.

A.   Ricevibilità della questione sollevata nella causa C‑831/19

48.

In base agli argomenti avanzati da BDB, la questione sollevata nella causa C‑831/19 è irricevibile in quanto ZW non può essere qualificata come consumatrice, il che rende quindi inapplicabile la direttiva 93/13.

49.

A mio avviso, tali argomenti devono essere respinti.

50.

È evidente che, alla luce della giurisprudenza della Corte, il giudice del rinvio può qualificare ZW come consumatrice.

51.

Occorre ricordare che, come enunciato nel decimo considerando della direttiva 93/13, le regole uniformi concernenti le clausole abusive devono essere applicate a «qualsiasi contratto» stipulato tra un professionista e un consumatore, come definiti, rispettivamente, all’articolo 2, lettere b) e c), della direttiva stessa ( 10 ). Secondo l’articolo 2, lettera b), della medesima, per consumatore si intende qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto di tale direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale ( 11 ). Pertanto, è con riferimento alla qualità dei contraenti che la direttiva 93/13 definisce i contratti ai quali essa si applica ( 12 ). La concezione ampia di consumatore consente di garantire la tutela accordata dalla direttiva 93/13 a tutte le persone fisiche che si trovino in una situazione di inferiorità rispetto al professionista ( 13 ).

52.

A tale riguardo, nelle ordinanze del 19 novembre 2015, Tarcău ( 14 ), e del 14 settembre 2016, Dumitraş ( 15 ), la Corte ha dichiarato che la direttiva 93/13 può essere applicata a un contratto di fideiussione concluso tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società. Spetta quindi al giudice nazionale determinare, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie e di tutti gli elementi di prova, se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata.

53.

Nel caso di specie, come indicato dal giudice del rinvio, ZW può essere considerata una consumatrice, atteso che al momento della conclusione dei contratti di fideiussione con BDB e gli altri creditori, ZW agiva al di fuori della sua attività professionale e non aveva collegamenti funzionali con Bimecar Trade. Il giudice del rinvio ha infatti sottolineato che, tenuto conto dei documenti depositati da ZW nell’ambito del procedimento esecutivo di cui al paragrafo 26 delle presenti conclusioni, ZW è diventata socia al 22% di Bimecar Trade il 31 gennaio 2013, mentre i contratti di fideiussione tra ZW e tutti gli altri creditori recano una data anteriore e anche il decreto ingiuntivo ottenuto da BDB è precedente rispetto all’acquisizione di tale partecipazione da parte di ZW. Inoltre, secondo il giudice del rinvio, ZW è titolare di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un’altra società dal 1976 e, all’epoca della conclusione dei contratti di fideiussione, ZW non ricopriva alcuna funzione direttiva in Bimecar Trade.

54.

Di conseguenza, occorre ritenere che, salvo verifiche del giudice del rinvio, ZW è qualificata come consumatrice ai sensi della direttiva 93/13 e tale direttiva è dunque applicabile al procedimento principale.

55.

Ritengo quindi che la questione sollevata nella causa C‑831/19 sia ricevibile.

B.   Osservazioni preliminari

1. Consapevolezza tardiva dello status di consumatore nella causa C‑831/19

56.

Osservo che nella seconda questione nella causa C‑831/19 vi è un elemento aggiuntivo che trae origine dal fatto che, quando il decreto ingiuntivo oggetto del procedimento esecutivo è passato in giudicato, ZW, in qualità di fideiussore, a quanto pare non poteva essere consapevole del proprio status di consumatore e non aveva quindi potuto far valere l’abusività delle clausole contrattuali nel termine stabilito per proporre opposizione al decreto. A tale riguardo, il fatto che, come indicato dal giudice del rinvio e da ZW (v. paragrafi 29 e 35 delle presenti conclusioni), la giurisprudenza dell’Unione e nazionale che riconosce ai fideiussori lo status di consumatori ai sensi della direttiva 93/13 non si fosse ancora formata all’epoca in cui era stato pronunciato il decreto ingiuntivo di cui trattasi e il consumatore avrebbe potuto proporre opposizione avverso il decreto non mi pare una considerazione pertinente nel caso di specie.

57.

Da una consolidata giurisprudenza della Corte (v. paragrafo 63 delle presenti conclusioni) risulta che la direttiva 93/13 impone la verifica d’ufficio delle clausole abusive da parte di un giudice nazionale e, come indicato dalla Commissione, l’istanza di una parte, come il consumatore, non può di per sé sostituire il sindacato giurisdizionale delle clausole abusive ai sensi di detta direttiva. Infatti, la consapevolezza tardiva del proprio status da parte di un consumatore costituisce il fondamento logico dell’esistenza di detto obbligo nell’ambito della giurisprudenza della Corte. Inoltre, come indicato dai governi spagnolo e italiano e dalla Commissione, dalla direttiva 93/13, in particolare dal decimo considerando della stessa, emerge chiaramente che essa si applica a «qualsiasi contratto» (v. paragrafo 51 delle presenti conclusioni) e nulla precludeva un esame dell’abusività delle clausole contrattuali da parte del giudice competente, che avrebbe potuto disporre un rinvio pregiudiziale.

2. Eventuale pertinenza dell’articolo 47 della Carta

58.

Nelle sue questioni, il giudice del rinvio chiede altresì se la normativa nazionale di cui trattasi sia conforme all’articolo 47 della Carta. Occorre ricordare che tale disposizione, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva, sancisce, a favore di ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati, il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice ( 16 ). Non è in discussione l’applicabilità dell’articolo 47 della Carta nelle presenti cause. Mi sembra che, come indicato dalla Repubblica italiana, la normativa nazionale in questione rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e costituisce quindi un’attuazione del diritto dell’Unione ai fini dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta ( 17 ).

59.

Rilevo che, nella giurisprudenza della Corte sulla direttiva 93/13, esiste un particolare rapporto tra l’articolo 47 della Carta e il principio di effettività, che si traduce anch’esso nell’obbligo in capo agli Stati membri di garantire la tutela giurisdizionale dei diritti derivanti dall’ordinamento dell’Unione (v. paragrafo 65 delle presenti conclusioni) ( 18 ). A tale riguardo, la Corte ha precisato che l’obbligo per gli Stati membri di garantire l’effettività dei diritti spettanti ai singoli in forza della direttiva 93/13 implica un requisito di tutela giurisdizionale effettiva, sancita parimenti dall’articolo 47 della Carta, che vale, tra l’altro, per quanto riguarda le modalità procedurali relative alle azioni fondate su tali diritti ( 19 ).

60.

Inoltre, come illustrato finora dalla giurisprudenza della Corte sulla direttiva 93/13, l’articolo 47 della Carta sembra svolgere, in larga misura, una funzione di sostegno o di complementarietà rispetto al principio di effettività in relazione alla valutazione della compatibilità delle norme procedurali nazionali ai requisiti di tale direttiva. Ad esempio, l’articolo 47 della Carta entra in gioco in tale contesto per quanto riguarda le questioni relative all’accesso ad un ricorso effettivo affinché le parti possano esercitare i loro diritti fondati sulla direttiva 93/13 ( 20 ), nonché le questioni relative a un equo processo, come il rispetto dei principi della parità delle armi e del contraddittorio nell’ambito di procedimenti giurisdizionali in cui è in discussione la legittimità delle clausole in relazione a detta direttiva ( 21 ).

61.

Nelle presenti cause, è pacifico che, come indicato dal governo italiano, le parti hanno avuto accesso a mezzi di ricorso effettivi che hanno consentito loro di far valere i diritti loro conferiti dalla direttiva 93/13. Inoltre, come indicato dalla Commissione, le questioni riguardano non l’imparzialità del giudice dell’esecuzione ( 22 ), ma piuttosto la possibilità per tale giudice di sindacare l’abusività di clausole contrattuali che si potrebbe considerare risolta implicitamente da una decisione giurisdizionale passata in giudicato. Pertanto, ciò premesso, pur tenendo conto dell’articolo 47 della Carta ove ciò sia giustificato, si deve ritenere che le cause in esame vertano sull’articolo 6, paragrafo 1, e sull’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, interpretati alla luce del principio di effettività.

C.   Giurisprudenza pertinente della Corte sul sindacato d’ufficio delle clausole abusive da parte dei giudici nazionali

62.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 impone agli Stati membri di prevedere che le clausole abusive contenute in contratti stipulati con i consumatori non vincolino i consumatori ( 23 ). L’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva, in combinato disposto con il ventiquattresimo considerando della stessa, obbliga gli Stati membri a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori ( 24 ). Se è vero che tali disposizioni hanno dato origine a un vasto corpus giurisprudenziale, illustrerò qui i principi applicabili delineati da tale giurisprudenza in relazione all’esistenza e alla portata dell’obbligo del giudice nazionale di effettuare un sindacato d’ufficio dell’abusività delle clausole contrattuali che risultano più pertinenti ai fini della mia analisi delle presenti cause.

1. Esistenza dell’obbligo per il giudice nazionale di effettuare un sindacato d’ufficio

63.

Secondo una giurisprudenza costante, il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse ( 25 ). Per garantire la tutela voluta dalla direttiva 93/13, la situazione di disuguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo esterno al rapporto contrattuale ( 26 ). Pertanto, alla luce della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico su cui si fonda la tutela che la direttiva 93/13 garantisce ai consumatori, il giudice nazionale è tenuto a valutare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale e, in tal modo, a ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista, non appena disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine ( 27 ).

2. Portata dell’obbligo del giudice nazionale di effettuare un sindacato d’ufficio

64.

Secondo una giurisprudenza altrettanto consolidata, la direttiva 93/13 obbliga gli Stati membri a prevedere un meccanismo che garantisca che qualsiasi clausola contrattuale che non sia stata oggetto di una trattativa individuale possa essere controllata al fine di valutarne l’eventuale carattere abusivo ( 28 ). La Corte ha altresì evidenziato che le caratteristiche specifiche dei procedimenti giurisdizionali che hanno luogo, in base al diritto nazionale, tra consumatori e professionisti non possono costituire un elemento atto a pregiudicare la tutela giuridica di cui devono godere i consumatori in forza della direttiva 93/13 ( 29 ).

65.

Se è vero che la Corte ha già inquadrato, sotto vari aspetti e tenendo conto dei requisiti di cui all’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il modo in cui il giudice nazionale deve assicurare la tutela dei diritti che i consumatori traggono dalla direttiva in parola, resta nondimeno il fatto che, in mancanza di armonizzazione da parte dell’Unione, le norme che disciplinano le procedure applicabili all’esame del carattere asseritamente abusivo di una clausola contrattuale sono soggette all’ordinamento giuridico degli Stati membri, purché esse non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe soggette al diritto nazionale (principio di equivalenza) e non rendano impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti ai consumatori dal diritto dell’Unione (principio di effettività) ( 30 ).

66.

Per quanto riguarda il principio di effettività, la Corte ha dichiarato che ogni caso in cui sorge la questione se una norma procedurale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità, nonché, se necessario, dei principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento ( 31 ). A tale riguardo, la Corte ha ritenuto che il rispetto del principio in questione non possa giungere al punto di supplire integralmente alla completa passività del consumatore ( 32 ).

67.

In particolare, la Corte ha dichiarato che una tutela effettiva dei diritti attribuiti al consumatore dalla direttiva 93/13 può essere garantita solo a condizione che il sistema processuale nazionale consenta, nell’ambito del procedimento d’ingiunzione di pagamento o di quello di esecuzione dell’ingiunzione di pagamento, un controllo d’ufficio della potenziale natura abusiva delle clausole inserite nel contratto ( 33 ). Pertanto, nel caso in cui non sia previsto nella fase di esecuzione dell’ingiunzione di pagamento alcun sindacato d’ufficio, da parte di un giudice nazionale, della natura abusiva delle clausole, una normativa nazionale deve essere considerata idonea a compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13 qualora essa non preveda un tale sindacato nella fase di emissione dell’ingiunzione o, qualora un siffatto sindacato sia previsto solo nella fase dell’opposizione contro l’ingiunzione emessa, se sussiste un rischio non trascurabile che i consumatori non propongano l’opposizione richiesta ( 34 ). La direttiva 93/13 osta quindi a che una normativa nazionale consenta che un’ingiunzione di pagamento sia emessa senza che il consumatore possa beneficiare, in nessun momento del procedimento, della garanzia che un controllo sull’assenza di clausole abusive sia svolto da un giudice ( 35 ).

68.

Inoltre, la Corte ha riconosciuto che la tutela del consumatore non riveste carattere assoluto e che il diritto dell’Unione non obbliga un giudice nazionale a disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono, in particolare, autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione di una disposizione, di qualunque natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13 ( 36 ). Infatti, la Corte ha evidenziato l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali e ha precisato che, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possono più essere rimesse in discussione ( 37 ). Allo stesso modo, la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, è compatibile con il diritto dell’Unione ( 38 ). Tuttavia, la normativa nazionale non deve pregiudicare la sostanza del diritto spettante ai consumatori in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 a non essere vincolato da clausole abusive ( 39 ).

69.

Occorre rilevare che, nella sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones ( 40 ), la Corte ha statuito, in particolare, che le norme nazionali che impongono un termine di due mesi, scaduto il quale, in assenza di ricorso d’annullamento, un lodo arbitrale era divenuto definitivo e aveva acquisito quindi autorità di cosa giudicata, risultavano conformi al principio di effettività, osservando che detto principio non poteva giungere al punto di supplire integralmente alla completa passività del consumatore che non aveva proposto alcuna azione per far valere i propri diritti.

70.

Al contrario, nella sentenza del 18 febbraio 2016, Finanmadrid EFC ( 41 ), la Corte ha dichiarato che una normativa nazionale che prevede il principio dell’autorità di cosa giudicata nell’ambito del procedimento d’ingiunzione di pagamento appariva contraria al principio di effettività, dal momento che la decisione dell’autorità che pone fine al procedimento d’ingiunzione di pagamento aveva assunto autorità di cosa giudicata, il che aveva reso impossibile il controllo dell’abusività delle clausole contrattuali nella fase dell’esecuzione per il solo motivo che il consumatore non aveva proposto opposizione entro il termine previsto e sussisteva un rischio non trascurabile che il consumatore non procedesse in tal senso.

71.

Occorre altresì precisare che, nella sentenza Banco Primus ( 42 ), che si inseriva nel contesto di un’opposizione ad un procedimento di esecuzione ipotecaria proposta dal consumatore, la Corte ha dichiarato che la direttiva 93/13 non osta a una normativa nazionale che vieti al giudice di riesaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole, qualora si sia già statuito in via definitiva sulla legittimità di tutte le clausole del contratto alla luce di detta direttiva con una decisione munita di autorità di cosa giudicata. Tuttavia, secondo la Corte, in presenza di una o più clausole la cui eventuale abusività non sia ancora stata esaminata nell’ambito di un precedente controllo giurisdizionale del contratto terminato con una decisione munita di autorità di cosa giudicata, la direttiva 93/13 impone al giudice regolarmente adito dal consumatore mediante un’opposizione incidentale di valutare, su istanza delle parti o d’ufficio, qualora disponga degli elementi di diritti e di fatto necessari a tal fine, l’eventuale abusività di tali clausole. In assenza di un siffatto controllo, la tutela del consumatore prevista da detta direttiva si rivelerebbe incompleta e insufficiente.

72.

Di conseguenza, dalla giurisprudenza summenzionata risulta che la direttiva 93/13 non obbliga gli Stati membri ad adottare un determinato sistema procedurale ai fini del sindacato giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole, a condizione che essi rispettino gli obblighi che derivano loro dal diritto dell’Unione, compresi i principi di equivalenza e di effettività, e pertanto garantiscano che vi sia un giudice nazionale che effettui un controllo in relazione all’abusività di qualsiasi clausola contrattuale, indipendentemente dal procedimento. Deve aver luogo un sindacato d’ufficio o da parte del primo giudice nel procedimento o da parte del secondo giudice, sia esso adito per l’esecuzione o nel merito, che può essere sollecitato dal consumatore, fintantoché non vi sia un rischio non trascurabile che il particolare percorso procedurale non venga intrapreso dal consumatore, ponendo così fine alla possibilità di un sindacato giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole ai sensi della direttiva 93/13.

73.

Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte, se è vero che la tutela dei consumatori non riveste carattere assoluto, lo stesso vale per il principio dell’autorità della cosa giudicata. Come illustrato nelle sentenze menzionate ai paragrafi da 69 a 71 delle presenti conclusioni, la Corte adotta un approccio equilibrato per quanto riguarda l’interazione tra norme nazionali che attuano l’autorità di cosa giudicata e i requisiti di cui alla direttiva 93/13, garantendo al contempo che tali norme non compromettano il sistema di tutela dei consumatori istituito da tale direttiva. In particolare, sebbene la sentenza Banco Primus non riguardi direttamente il giudicato implicito, l’accento posto dalla Corte sulla necessità di una valutazione definitiva dell’abusività delle clausole contrattuali in una decisione avente autorità di cosa giudicata depone tuttavia a favore della tesi secondo cui una normativa nazionale come quella di cui trattasi è in contrasto con la direttiva 93/13. Tornerò su tale sentenza nel prosieguo della mia analisi (v. paragrafo 81 delle presenti conclusioni).

74.

È alla luce di detti principi elaborati nella giurisprudenza della Corte che occorre esaminare le circostanze delle presenti cause.

D.   Applicazione dei principi elaborati nella giurisprudenza della Corte alle circostanze delle presenti cause

75.

Come emerge dai paragrafi 42 e 44 delle presenti conclusioni, nei casi di specie, la normativa nazionale in oggetto prevede che, nel procedimento di esecuzione di decreti ingiuntivi non opposti, e dunque passati in giudicato, il giudice dell’esecuzione non può effettuare un sindacato del decreto ingiuntivo né può esaminare, d’ufficio o su istanza del consumatore, l’abusività delle clausole contrattuali in virtù del giudicato implicito formatosi in relazione al decreto di cui trattasi.

76.

Occorre osservare, in via preliminare, che, contrariamente agli argomenti addotti dalla Commissione, secondo cui le presenti cause riguardano la preclusione processuale e non il principio dell’autorità di cosa giudicata, dalle ordinanze di rinvio risulta evidente che il giudice del rinvio ritiene che i decreti ingiuntivi oggetto del procedimento di esecuzione abbiano autorità di cosa giudicata. Secondo una giurisprudenza consolidata, solo il giudice nazionale è competente a interpretare e applicare il diritto nazionale ( 43 ).

77.

Inoltre, non sembrano esserci, nelle presenti cause, indicazioni che potrebbero far sorgere dubbi riguardo al principio di equivalenza. Risulta che, come indicato dal governo italiano, l’ordinamento nazionale non consente al giudice dell’esecuzione di esaminare un decreto ingiuntivo avente autorità di cosa giudicata, neanche quando si tratti dell’eventuale violazione di norme nazionali di ordine pubblico (v. paragrafo 38 delle presenti conclusioni).

78.

Occorre altresì rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il governo italiano nega la possibilità che, nella causa C‑693/19, la normativa nazionale di cui trattasi possa essere interpretata conformemente alla direttiva 93/13, di modo che il giudice dell’esecuzione possa esaminare l’abusività della clausola relativa ad interessi eccessivi (v. paragrafi 38 e 40 delle presenti conclusioni). Pertanto, il giudice del rinvio deve esaminare tale questione alla luce dell’esigenza, stabilita nella giurisprudenza della Corte, di interpretare il diritto nazionale in modo conforme al diritto dell’Unione ( 44 ).

79.

Passando al fulcro dell’indagine, ritengo che vi siano forti indizi, fondati sulla giurisprudenza della Corte, che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, interpretati alla luce del principio di effettività, ostino alla normativa nazionale di cui trattasi.

80.

A tale riguardo, mi sembra che il sindacato del carattere potenzialmente abusivo delle clausole contrattuali ai sensi della direttiva 93/13 debba essere oggetto di una valutazione esplicita e sufficientemente motivata da parte del giudice nazionale. Come illustrato dalle circostanze di cui alle presenti cause, la normativa nazionale in oggetto implica che la questione relativa all’abusività delle clausole contrattuali si considera decisa nel merito anche quando essa non è stata affatto trattata dal giudice nazionale. A mio avviso, come indicato dalla Commissione, se il sindacato dell’abusività delle clausole contrattuali non è motivato nella decisione contenente il decreto ingiuntivo, il consumatore non sarà in grado di comprendere o analizzare i motivi di tale decisione o, se del caso, di proporre opposizione all’esecuzione in modo effettivo. Non sarà neppure possibile per un giudice nazionale eventualmente investito di un’impugnazione pronunciarsi. A tale riguardo, la Corte ha precisato che, in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito ( 45 ).

81.

Un ulteriore sostegno a tale approccio può essere tratto dalla sentenza Banco Primus ( 46 ). Come indicato al paragrafo 71 delle presenti conclusioni, la Corte ha ritenuto incompatibile con la direttiva 93/13 una normativa nazionale che estendeva gli effetti del giudicato a clausole su cui il giudice nazionale non aveva statuito con una decisione definitiva. La Corte presume quindi che se il giudice nazionale non ha controllato il carattere abusivo delle specifiche clausole contrattuali in questione, sia difficile ritenere pregiudicato il principio dell’autorità di cosa giudicata ( 47 ).

82.

Tale approccio è altresì conforme agli obiettivi perseguiti dalla direttiva 93/13, come interpretati dalla giurisprudenza della Corte. Come emerge dal paragrafo 63 delle presenti conclusioni, l’obbligo del giudice nazionale di effettuare un sindacato d’ufficio è giustificato dalla natura e dall’importanza dell’interesse pubblico su cui si fonda la tutela conferita ai consumatori dalla direttiva 93/13. Il giudice dell’esecuzione è pertanto tenuto a garantire l’effettività di tale tutela se ciò non è stato fatto in una fase precedente del procedimento. Se così non fosse, detto obbligo incombente al giudice nazionale ai sensi della direttiva 93/13 potrebbe essere svuotato del suo contenuto.

83.

Ciò è confermato dalle circostanze di cui alle presenti cause, in cui risulta che il giudice nazionale che ha emesso i decreti ingiuntivi non ha effettuato alcun sindacato d’ufficio dell’abusività delle clausole. È vero, come indicato dal governo tedesco, che, conformemente alla giurisprudenza della Corte richiamata al paragrafo 67 delle presenti conclusioni, rientra nella competenza degli Stati membri decidere se un simile sindacato vada effettuato nella fase del decreto ingiuntivo o nella fase dell’esecuzione dello stesso, e non vi è alcun obbligo ai sensi della direttiva 93/13 che esso debba essere effettuato in entrambe le fasi. Tuttavia, un simile sindacato deve essere realizzato in una o l’altra delle due fasi. Pertanto, vietare al giudice dell’esecuzione di effettuare, per la prima volta, la valutazione del carattere abusivo delle clausole soltanto per via del giudicato implicito del decreto ingiuntivo rende impossibile eseguire un controllo dell’abusività in qualsiasi fase del procedimento.

84.

Occorre aggiungere che tale approccio risulta essere in linea con la giurisprudenza della Corte riguardante una normativa nazionale che attua il giudicato al di fuori del contesto della direttiva 93/13. In talune sentenze ( 48 ), la Corte ha disapprovato la concessione di un’eccessiva tutela alle decisioni definitive per mezzo dell’autorità di cosa giudicata con modalità che ostacolano notevolmente l’effettiva applicazione del diritto dell’Unione ( 49 ). Occorre inoltre osservare che, nella sentenza del 17 ottobre 2018, Klohn ( 50 ), la Corte ha indicato che l’autorità di cosa giudicata si estende unicamente alle pretese giuridiche sulle quali il giudice ha statuito e pertanto non osta a che un giudice, nell’ambito di una successiva controversia, si pronunci sulle questioni di diritto su cui tale decisione definitiva non si è pronunciata. Analogamente, nella sua giurisprudenza relativa all’applicazione dell’autorità di cosa giudicata nel diritto dell’Unione, la Corte ha ripetutamente dichiarato che l’autorità di cosa giudicata riguarda unicamente i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi dalla pronuncia giudiziale di cui trattasi ( 51 ).

85.

Di conseguenza, si deve ritenere che la normativa nazionale in oggetto sia in contrasto con il principio di effettività, in quanto rende impossibile o eccessivamente difficile garantire la tutela conferita ai consumatori dalla direttiva 93/13.

86.

Concludo pertanto che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, interpretati alla luce del principio di effettività, ostano a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

VII. Conclusione

87.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Milano (Italia) come segue:

L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori devono essere interpretati, alla luce del principio di effettività, nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non consente al giudice dell’esecuzione di verificare, d’ufficio o su istanza di una parte, l’abusività delle clausole di un contratto costituente il fondamento di un decreto ingiuntivo passato in giudicato quando tali clausole non sono state oggetto di una valutazione esplicita e sufficientemente motivata alla luce della direttiva citata.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) GU 1993, L 95, pag. 29.

( 3 ) C‑40/08, EU:C:2009:615.

( 4 ) Il giudice del rinvio cita, a tale proposito, le ordinanze del 19 novembre 2015, Tarcău (C‑74/15, EU:C:2015:772), e del 14 settembre 2016, Dumitraș (C‑534/15, EU:C:2016:700).

( 5 ) Il giudice del rinvio cita, a tale proposito, la sentenza del 13 dicembre 2018 (n. 32225).

( 6 ) Il giudice del rinvio cita, in particolare, le sentenze del 13 maggio 2005 (n. 10107) e del 9 agosto 2016 (n. 16827).

( 7 ) C‑421/14, EU:C:2017:60 (in prosieguo: la sentenza «Banco Primus»).

( 8 ) Si osserva che YX ha presentato osservazioni scritte nell’interesse di ZW.

( 9 ) La Commissione si riferisce, a tale riguardo, all’ordinanza del 1o marzo 2019 del Tribunale di Macerata (Italia).

( 10 ) V. sentenza del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 29), e ordinanza del 27 aprile 2017, Bachman (C‑535/16, non pubblicata, EU:C:2017:321, punto 32).

( 11 ) V. sentenze del 2 aprile 2020, Condominio di Milano, via Meda (C‑329/19, EU:C:2020:263, punto 24), e del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Societé Générale (C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punto 70).

( 12 ) V. sentenze del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 30), e del 3 settembre 2015, Costea (C‑110/14, EU:C:2015:538, punto 17).

( 13 ) V. sentenza del 21 marzo 2019, Pouvin e Dijoux (C‑590/17, EU:C:2019:232, punto 28).

( 14 ) C‑74/15, EU:C:2015:772, in particolare punti da 26 a 30.

( 15 ) C‑534/15, EU:C:2016:700, in particolare punti da 31 a 34.

( 16 ) V. sentenza del 20 aprile 2021, Repubblika (C‑896/19, EU:C:2021:311, punto 40).

( 17 ) V., a tale riguardo, sentenza del 10 settembre 2014, Kušionová (C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 47); v. altresì conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Finanmadrid EFC (C‑49/14, EU:C:2015:746, paragrafi 8384).

( 18 ) V., a tale riguardo, le conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Finanmadrid EFC (C‑49/14, EU:C:2015:746, paragrafi da 85 a 97). V., inoltre, ad esempio, van Duin, A., «Metamorphosis? The Role of Article 47 of the EU Charter of Fundamental Rights in Cases Concerning National Remedies and Procedures under Directive 93/13/EEC», Journal of European Consumer and Market Law, vol. 6, 2017, pagg. da 190 a 198.

( 19 ) V. sentenza del 10 giugno 2021, VB e a. (da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 29).

( 20 ) V., in particolare, sentenze del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, in particolare punto 59); del 10 settembre 2014, Kušionová (C‑34/13, EU:C:2014:2189, in particolare punti 45, 4766), e del 21 dicembre 2016, Biuro podróży Partner (C‑119/15, EU:C:2016:987, punti da 23 a 47); confronta sentenza del 27 febbraio 2014, Pohotovosť (C‑470/12, EU:C:2014:101, punti da 36 a 57).

( 21 ) V., in particolare, sentenze del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank (C- 472/11, EU:C:2013:88, punti da 29 a 36); del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García (C‑169/14, EU:C:2014:2099, punti da 21 a 51), e del 29 aprile 2021, Rzecznik Praw Obywatelskich (C‑19/20, EU:C:2021:341, punti da 91 a 99); confronta ordinanza del 16 luglio 2015, Sánchez Morcillo e Abril García (C‑539/14, EU:C:2015:508, punti da 23 a 50).

( 22 ) Vale la pena osservare che il fatto che un giudice nazionale esamini d’ufficio l’eventuale abusività di clausole contrattuali e informi il consumatore della possibilità di invocare i diritti che gli derivano dalla direttiva 93/13 non sembra di per sé compromettere l’imparzialità di tale giudice, poiché il giudice, così facendo, non «prende posizione», ma esercita funzioni allo stesso incombenti in forza del diritto nazionale e dell’Unione. V., a tale proposito, Beka, A., The Active Role of Courts in Consumer Litigation: Applying EU Law of the National Courts’ Own Motion, Intersentia, 2018, pagg. 140 e 141.

( 23 ) V. sentenza del 27 gennaio 2021, Dexia Nederland (C‑229/19 e C‑289/19, EU:C:2021:68, punto 57). V. altresì il ventunesimo considerando della direttiva 93/13. Come ha riconosciuto la Corte, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 è una norma imperativa che mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, atto a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime. V. sentenza dell’11 marzo 2020, Lintner (C‑511/17, EU:C:2020:188, punto 24).

( 24 ) V. sentenza del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Societé Générale (C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punto 52).

( 25 ) V. sentenze del 27 giugno 2000, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (da C‑240/98 a C‑244/98, EU:C:2000:346, punto 25), e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 49).

( 26 ) V. sentenze del 9 novembre 2010, VB Pénzügyi Lízing (C‑137/08, EU:C:2010:659, punto 48), e dell’11 marzo 2020, Lintner (C‑511/17, EU:C:2020:188, punto 25).

( 27 ) V. sentenze del 4 giugno 2009, Pannon GSM (C‑243/08, EU:C:2009:350, punti 3132), e del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius (C‑495/19, EU:C:2020:431, punto 37).

( 28 ) V. sentenza del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch (C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 44).

( 29 ) V. sentenza del 21 aprile 2016, Radlinger e Radlingerová (C‑377/14, EU:C:2016:283, punto 50).

( 30 ) V. sentenza del 26 giugno 2019, Kuhar (C‑407/18, EU:C:2019:537, punti 4546).

( 31 ) V. sentenza del 22 aprile 2021, PROFI CREDIT Slovakia (C‑485/19, EU:C:2021:313, punto 53).

( 32 ) V. sentenza del 1o ottobre 2015, ERSTE Bank Hungary (C‑32/14, EU:C:2015:637, punto 62).

( 33 ) V. sentenza del 13 settembre 2018, Profi Credit Polska (C‑176/17, EU:C:2018:711, punto 44).

( 34 ) V. sentenza del 20 settembre 2018, Danko e Danková (C‑448/17, EU:C:2018:745, punto 46 e punto 2 del dispositivo).

( 35 ) V. sentenza del 20 settembre 2018, Danko e Danková (C‑448/17, EU:C:2018:745, punto 49).

( 36 ) V. sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a. (C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 68).

( 37 ) V. sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus (C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 46).

( 38 ) V. sentenza del 22 aprile 2021, PROFI CREDIT Slovakia (C‑485/19, EU:C:2021:313, punto 57).

( 39 ) V. sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a. (C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 71).

( 40 ) C‑40/08, EU:C:2009:615, punti da 34 a 48.

( 41 ) C‑49/14, EU:C:2016:98, punti da 45 a 55.

( 42 ) V. sentenza del 26 gennaio 2017 (C‑421/14, EU:C:2017:60, punti da 49 a 54).

( 43 ) V. sentenza del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Societé Générale (C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punto 46).

( 44 ) V. sentenza del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius (C‑495/19, EU:C:2020:431, punti da 49 a 51).

( 45 ) V. sentenza del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius (C‑495/19, EU:C:2020:431, punto 35).

( 46 ) V. sentenza del 26 gennaio 2017 (C‑421/14, EU:C:2017:60, punti da 49 a 54).

( 47 ) V., a tale riguardo, García-Valdecasas Dorrego, M.J., Dialogue between the Spanish courts and the European Court of Justice regarding the judicial protection of consumers under Directive 93/13/EEC, Association of Property and Business Registrars of Spain, 2018, pagg. 98 e 99.

( 48 ) V., in particolare, sentenze del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punti da 29 a 32), del 2 aprile 2020, CRPNPAC e Vueling Airlines (C‑370/17 e C‑37/18, EU:C:2020:260, punti da 94 a 96), e del 16 luglio 2020, UR (Assoggettamento degli avvocati all’IVA) (C‑424/19, EU:C:2020:581, punti da 31 a 34).

( 49 ) V., a tale riguardo, Turmo, A., «National Res Judicata in the European Union: Revisiting the Tension Between the Temptation of Effectiveness and the Acknowledgement of Domestic Procedural Law», Common Market Law Review, vol. 58, 2021, pagg. da 361 a 390, in particolare pag. 375.

( 50 ) C‑167/17, EU:C:2018:833, punto 69.

( 51 ) V. sentenze del 29 giugno 2010, Commissione/Lussemburgo (C‑526/08, EU:C:2010:379, punto 27), e del 31 gennaio 2019, Islamic Republic of Iran Shipping Lines e a./Consiglio (C‑225/17 P, EU:C:2019:82, punto 47).

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