Scegli le funzioni sperimentali da provare

Questo documento è un estratto del sito web EUR-Lex.

Documento 62015CJ0469

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 27 aprile 2017.
FSL Holdings e a. contro Commissione europea.
Impugnazione – Concorrenza – Intese – Mercato europeo delle banane in Grecia, in Italia e in Portogallo – Coordinamento nella fissazione dei prezzi – Ammissibilità delle prove trasmesse da autorità tributarie nazionali – Diritti della difesa – Calcolo dell’importo dell’ammenda – Portata del sindacato giurisdizionale – Qualificazione come “accordo avente ad oggetto la restrizione della concorrenza”.
Causa C-469/15 P.

Raccolta della giurisprudenza - generale

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2017:308

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

27 aprile 2017 ( *1 )

«Impugnazione — Concorrenza — Intese — Mercato europeo delle banane in Grecia, in Italia e in Portogallo — Coordinamento nella fissazione dei prezzi — Ammissibilità delle prove trasmesse da autorità tributarie nazionali — Diritti della difesa — Calcolo dell’importo dell’ammenda — Portata del sindacato giurisdizionale — Qualificazione come “accordo avente ad oggetto la restrizione della concorrenza”»

Nella causa C‑469/15 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 4 settembre 2015,

FSL Holdings NV, con sede ad Anversa (Belgio),

Firma Léon Van Parys NV, con sede ad Anversa,

Pacific Fruit Company Italy SpA, con sede a Roma (Italia),

rappresentate da P. Vlaemminck e B. Van Vooren, advocaaten, nonché da C. Verdonck, avocate, J. Auwerx, advocaat, e B. Gielen, avocate,

ricorrenti,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata da A. Biolan, M. Kellerbauer e P. Rossi, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, E. Regan, J.-C. Bonichot (relatore), C.G. Fernlund e S. Rodin, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 novembre 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la loro impugnazione, la FSL Holdings NV, la Firma Léon Van Parys NV e la Pacific Fruit Company Italy SpA chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 16 giugno 2015, FSL e a./Commissione (T‑655/11, EU:T:2015:383; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui quest’ultimo ha annullato solo parzialmente la decisione C(2011) 7273 definitivo della Commissione, del 12 ottobre 2011, relativa a un procedimento a norma dell’articolo [101 TFUE] [caso COMP/39482 – Frutti esotici (banane)] (in prosieguo: la «decisione controversa»).

Contesto normativo

2

L’articolo 12 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1) prevede quanto segue:

«1.   Ai fini dell’applicazione degli articoli [101 e 102 TFUE], la Commissione e le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri hanno la facoltà di scambiare e utilizzare come mezzo di prova qualsiasi elemento di fatto o di diritto, comprese informazioni riservate.

2.   Le informazioni scambiate possono essere utilizzate come mezzo di prova soltanto ai fini dell’applicazione dell’articolo [101 o 102 TFUE] e riguardo all’oggetto dell’indagine per il quale sono state raccolte dall’autorità che le trasmette. Tuttavia qualora la legislazione nazionale in materia di concorrenza sia applicata allo stesso caso e in parallelo al diritto comunitario in materia di concorrenza e non porti ad un risultato diverso, le informazioni scambiate ai sensi del presente articolo possono essere utilizzate anche per l’applicazione della legislazione nazionale in materia di concorrenza.

(…)».

3

L’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 così dispone:

«Per determinare l’ammontare dell’ammenda occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

4

L’articolo 31 del regolamento n. 1/2003 enuncia quanto segue:

«La Corte di giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione irroga un’ammenda o una penalità di mora. Essa può estinguere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità di mora irrogata».

5

La comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3, in prosieguo: la «comunicazione del 2002 sulla cooperazione») definisce le condizioni alle quali le imprese che collaborano con la Commissione nel corso di un’indagine da essa condotta relativa a un’intesa potranno evitare l’imposizione di ammende che altrimenti sarebbero loro inflitte o beneficiare di riduzioni del loro ammontare. Il punto 11, lettera a), di tale comunicazione precisa, a tal riguardo, che l’impresa deve assicurare la piena collaborazione, permanente e tempestiva, per tutta la durata del procedimento amministrativo della Commissione e deve fornirle tutti gli elementi di prova che giungano in suo possesso, o di cui disponga, riguardanti la sospettata infrazione.

Fatti

6

Le ricorrenti, la FSL Holdings e la Firma Léon Van Parys, due società per azioni di diritto belga, e la Pacific Fruit Company Italy, una società per azioni di diritto italiano, importano, commercializzano e vendono in Europa banane con il marchio Bonita.

7

L’8 aprile 2005, la Chiquita Brands International Inc. (in prosieguo: la «Chiquita») ha depositato una domanda d’immunità dalle ammende a norma della comunicazione del 2002 sulla cooperazione per l’attività di distribuzione e commercializzazione di banane e di altra frutta fresca importata in Europa. Tale domanda è stata registrata con il numero di causa COMP/39188 – Banane (in prosieguo: il «caso dell’Europa settentrionale»). Tale immunità le è stata concessa il 3 maggio 2005.

8

Il 26 luglio 2007, la Commissione ha ricevuto dalla Guardia di Finanza documenti rinvenuti durante una perquisizione nel domicilio e nell’ufficio di un dipendente della Pacific Fruit Company Italy nell’ambito di un’indagine fiscale nazionale.

9

Il 26 novembre 2007, la Commissione ha informato la Chiquita del fatto che, il 28 novembre 2007, i suoi agenti avrebbero effettuato un’ispezione nei locali di tale impresa. In tale occasione, la Chiquita è stata informata del fatto che sarebbe stata condotta una nuova indagine riguardante pratiche in Grecia, in Italia e in Portogallo (in prosieguo: il «caso dell’Europa meridionale»). Le è stato rammentato che essa aveva ottenuto l’immunità condizionale dalle ammende per l’Unione europea nel suo insieme e che essa era, di conseguenza, tenuta a cooperare.

10

Dal 28 al 30 novembre 2007, la Commissione ha effettuato ispezioni nei locali d’importatori di banane in Spagna e in Italia. Nel corso delle ispezioni condotte a Roma presso la Pacific Fruit Company Italy, la Commissione ha rinvenuto due pagine di appunti che le erano già state trasmesse dalla Guardia di Finanza.

11

La Chiquita è stata invitata a individuare quali parti delle sue dichiarazioni orali nel caso dell’Europa settentrionale presentassero, a suo avviso, un collegamento anche con il caso dell’Europa meridionale.

12

Il 15 ottobre 2008, la Commissione ha adottato la decisione C(2008) 5955 definitivo relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [101 TFUE] (caso COMP/39188 – Banane), con cui essa ha constatato che diversi grandi importatori di banane nell’Europa settentrionale, tra cui la Chiquita, avevano violato l’articolo 81 CE partecipando a una pratica concordata con la quale coordinavano i prezzi di riferimento delle banane, che gli stessi fissavano ogni settimana per diversi Stati membri tra il 2000 e il 2002. La FSL Holdings e la Firma Léon Van Parys non erano destinatarie di tale decisione.

13

Il 10 dicembre 2009, la Commissione ha adottato una comunicazione degli addebiti nel caso dell’Europa meridionale riguardante, segnatamente, la Chiquita e le ricorrenti. Dopo aver avuto accesso al fascicolo, tutti i destinatari di tale comunicazione hanno trasmesso alla Commissione le loro osservazioni e hanno assistito a un’audizione che si è tenuta il 18 giugno 2010.

14

Il 12 ottobre 2011, la Commissione ha adottato la decisione controversa con cui ha constatato che la Chiquita e le ricorrenti avevano violato l’articolo 101 TFUE partecipando a un cartello in materia di importazione, commercializzazione e vendita di banane in Grecia, in Italia e in Portogallo, nel periodo compreso tra il 28 luglio 2004 e l’8 aprile 2005, durante il quale tali imprese hanno coordinato la loro strategia dei prezzi in questi tre Stati membri, e ha irrogato loro ammende che ha stabilito applicando gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in forza dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006») e la comunicazione del 2002 sulla cooperazione.

15

La Commissione ha innanzitutto determinato un importo di base dell’ammenda da irrogare:

EUR 47922000 per la Chiquita e

EUR 11149000 per le ricorrenti.

16

La Commissione ha successivamente constatato che, nel caso dell’Europa meridionale non ricorrevano tutte le circostanze particolari del caso dell’Europa settentrionale, sulla base delle quali essa aveva ridotto del 60% l’importo di base dell’ammenda per tener conto del regime normativo particolare del settore della banana e del fatto che il coordinamento verteva, in tale primo caso, sui prezzi di riferimento.

17

La Commissione ha infine deciso di applicare una riduzione del 20% all’importo di base per tutte le imprese interessate.

18

In seguito a tale adeguamento, gli importi di base delle ammende da irrogare sono fissati come segue:

EUR 38337600 per la Chiquita e

EUR 8919200 per le ricorrenti.

19

La Chiquita ha tuttavia beneficiato dell’immunità dall’ammenda in forza della comunicazione del 2002 sulla cooperazione. Poiché, invece, nessun altro adeguamento è avvenuto per le ricorrenti, queste ultime sono state condannate congiuntamente e solidalmente a un importo finale arrotondato a EUR 8919000.

Ricorso dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

20

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 dicembre 2011, le ricorrenti hanno chiesto l’annullamento della decisione controversa.

21

Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha accolto solo parzialmente tali conclusioni.

22

Dopo aver constatato che l’infrazione si era interrotta tra il 12 agosto 2004 e il 19 gennaio 2005, il Tribunale ha annullato l’articolo 1 della decisione controversa nella parte in cui esso riguardava tale periodo d’infrazione e per la parte relativa alla FSL Holdings, alla Firma Léon Van Parys e alla Pacific Fruit Company Italy e ha ridotto l’ammenda stabilita all’articolo 2 della decisione controversa da EUR 8919000 a EUR 6689000.

Conclusioni delle parti

23

Con la loro impugnazione, le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

in via principale, annullare la sentenza impugnata nonché la decisione controversa;

in subordine, annullare la sentenza impugnata nei limiti in cui il Tribunale non ha proceduto a un controllo giurisdizionale completo dell’ammenda che è stata loro irrogata e ridurre significativamente l’importo di quest’ultima;

in via di ulteriore subordine, annullare la sentenza impugnata nei limiti in cui il Tribunale non ha accertato che la violazione aveva come oggetto o effetto la restrizione della concorrenza, rinviando la causa al Tribunale, salvo che la Corte ritenga di essere sufficientemente edotta per annullare la decisione controversa, e

in ogni caso, condannare la Commissione alle spese che hanno sostenuto dinanzi alla Corte e al Tribunale.

24

La Commissione chiede alla Corte di respingere il ricorso e di condannare le ricorrenti alle spese.

Sull’impugnazione

25

A sostegno della loro impugnazione, le ricorrenti invocano quattro motivi.

Sul primo motivo

Argomenti delle parti

26

Il primo motivo verte sulla violazione di forme sostanziali e dei diritti della difesa in quanto il Tribunale non avrebbe constatato l’illegittimità dell’utilizzo degli elementi di prova trasmessi dalla Guardia di Finanza alla Commissione.

27

Esse fanno valere, a tal riguardo, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto, limitandosi a rammentare, al punto 80 della sentenza impugnata, che la legittimità della trasmissione di tali elementi alla Commissione andava valutata solo alla luce del sistema giuridico italiano, mentre tale trasmissione deve rispettare altresì il diritto dell’Unione.

28

Esse sostengono che la Commissione deve, in particolare, evitare che i diritti della difesa siano irrimediabilmente compromessi da una tale trasmissione, il che presuppone che essa valuti se i documenti trasmessi siano realmente utilizzati per il solo oggetto dell’indagine per cui sono stati raccolti dall’autorità nazionale, come previsto dall’articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 nell’ambito degli scambi tra le autorità garanti della concorrenza.

29

Le ricorrenti fanno altresì valere che la Commissione ha violato i diritti della difesa informandole della trasmissione da parte dell’autorità nazionale dei documenti di cui trattasi solo due anni dopo l’avvenuta trasmissione.

30

Le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha snaturato gli elementi di prova in quanto ha considerato, ai punti 67 e 68 della sentenza impugnata, che la questione se le due pagine di appunti fossero state trasmesse illegittimamente dalle autorità italiane non incidesse sulla legittimità del loro utilizzo, dal momento che tali documenti erano stati rinvenuti anche dalla Commissione nell’ambito della sua ispezione nel luglio 2007. Esse sostengono, infatti, contrariamente a quanto precisato al punto 68 della sentenza impugnata, di aver contestato la legittimità delle ispezioni condotte dalla Commissione. Esse fanno altresì riferimento alla sentenza del 18 giugno 2015, Deutsche Bahn e a./Commissione (C‑583/13 P, EU:C:2015:404), per sostenere che, tenuto conto dell’illegittimità della trasmissione dei documenti sulla base dei quali la Commissione ha condotto un’ispezione, i documenti trovati all’occasione di quest’ultima non potevano essere validamente utilizzati come prove.

31

La Commissione ritiene che il primo motivo debba essere respinto in quanto infondato.

Giudizio della Corte

32

Per quanto riguarda il primo aspetto dell’argomento sviluppato a sostegno del primo motivo, il Tribunale, ai punti 45 e 80 della sentenza impugnata, ha correttamente rammentato che, da un lato, la legittimità della trasmissione alla Commissione, da parte di un procuratore o da parte delle autorità competenti in materia di concorrenza, d’informazioni raccolte in applicazione del diritto penale nazionale, è una questione che rientra nel diritto nazionale e, dall’altro, che il giudice dell’Unione non è competente a verificare la legittimità, rispetto al diritto nazionale, di un atto emanato da un’autorità nazionale (sentenza del 25 gennaio 2007, Dalmine/Commissione, C‑407/04 P, EU:C:2007:53, punto 62).

33

A prescindere dalla questione se, per ammettere la ricevibilità dei documenti in questione da parte della Commissione, il Tribunale poteva limitarsi a constatare, al punto 80 della sentenza impugnata, che la loro trasmissione non era stata dichiarata illegittima da un giudice nazionale, occorre non solo sottolineare che il Tribunale ha esaminato, ai punti da 82 a 89 di tale sentenza, le condizioni in cui tale trasmissione era stata effettuata, ma che ha altresì correttamente respinto in quanto infondato, ai punti da 71 a 79 di tale sentenza, l’argomento delle ricorrenti secondo cui, tenuto conto di quanto prevede l’articolo 12 del regolamento n. 1/2003 per gli scambi di informazioni tra autorità garanti della concorrenza, i documenti trasmessi dalla Guardia di Finanza alla Commissione potevano essere utilizzati da quest’ultima come mezzo di prova solo per l’oggetto d’indagine per il quale erano stati raccolti da tale autorità nazionale.

34

Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 45 delle sue conclusioni, l’articolo 12 del regolamento n. 1/2003 persegue l’obiettivo particolare di agevolare e incentivare la collaborazione tra le autorità nell’ambito della rete europea della concorrenza, facilitando lo scambio d’informazioni. A tal riguardo, il suo paragrafo 1 prevede che, ai fini dell’applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE, la Commissione e le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri hanno la facoltà di scambiare e utilizzare come mezzo di prova qualsiasi elemento di fatto o di diritto, comprese informazioni riservate, precisando allo stesso tempo, segnatamente al paragrafo 2, le condizioni in cui tali informazioni possono essere utilizzate.

35

Non si può pertanto dedurre da tali disposizioni che esse esprimano una regola più generale che vieterebbe alla Commissione di utilizzare informazioni trasmesse da autorità nazionali, diverse dalle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, per il solo fatto che tali informazioni sono state ottenute per altri scopi.

36

Occorre altresì sottolineare che, come rilevato dal Tribunale al punto 79 della sentenza impugnata, una tale regola ostacolerebbe eccessivamente il ruolo della Commissione nel suo compito di vigilanza sulla corretta applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione.

37

Il Tribunale ha di conseguenza risposto correttamente alle critiche delle ricorrenti sulla legittimità dell’utilizzo dei documenti trasmessi dalla Guardia di Finanza.

38

Per quanto attiene all’argomento delle ricorrenti secondo cui un utilizzo di tali documenti per scopi diversi da quelli per i quali sono stati acquisiti potrebbe compromettere irrimediabilmente i diritti della difesa, occorre rammentare che il principio vigente nel diritto dell’Unione è quello della libera produzione delle prove e che il solo criterio pertinente per valutare le prove prodotte è quello della loro credibilità (v. sentenza del 25 gennaio 2007, Dalmine/Commissione, C‑407/04 P, EU:C:2007:53, punto 63).

39

Le ricorrenti contestano poi al Tribunale di non aver constatato la violazione dei diritti della difesa da parte della Commissione, per il fatto che quest’ultima ha aspettato circa due anni prima di informarle di essere in possesso di tali documenti.

40

A tal proposito occorre ricordare che il rispetto dei diritti della difesa esige che l’impresa interessata sia stata messa in grado, durante il procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il proprio punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sui documenti di cui la Commissione ha tenuto conto per suffragare la sua affermazione circa l’esistenza di un’infrazione (v., segnatamente, sentenza del 25 gennaio 2007, Dalmine/Commissione, C‑407/04 P, EU:C:2007:53, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata).

41

Nel contesto di una procedura a norma dell’articolo 101 TFUE occorre pertanto distinguere due fasi, quella antecedente alla comunicazione degli addebiti e quella successiva a quest’ultima (v., segnatamente, sentenza del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, EU:C:2009:505, punto 27).

42

La Corte ha quindi dichiarato che la Commissione non era tenuta a informare l’impresa interessata del possesso di elementi di prova prima dell’invio della comunicazione degli addebiti poiché sono proprio l’invio della comunicazione degli addebiti, da un lato, e l’accesso al fascicolo che consente al destinatario di tale comunicazione di avere cognizione degli elementi probatori contenuti nel fascicolo della Commissione, dall’altro, a garantire i diritti della difesa, e che l’impresa interessata può far pienamente valere i diritti della difesa dopo l’invio di tale comunicazione (v., segnatamente, sentenza del 25 gennaio 2007, Dalmine/Commissione, C‑407/04 P, EU:C:2007:53, punti 5859).

43

Tuttavia, la Corte ha altresì precisato che la Commissione deve vegliare affinché i diritti della difesa non siano pregiudicati durante l’istruttoria che precede la comunicazione degli addebiti (v., segnatamente, sentenza del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6, punto 63).

44

Per respingere la censura vertente sul fatto che la Commissione era in possesso di determinati documenti molto tempo prima della comunicazione degli addebiti, il Tribunale ha rilevato, al punto 98 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva menzionato esplicitamente il fatto che essa si fondava sui documenti trasmessi dalle autorità italiane in tale comunicazione e che la Commissione aveva trasmesso tali documenti alle ricorrenti alcuni mesi prima della suddetta comunicazione.

45

Inoltre, il Tribunale ha ritenuto, al punto 99 della sentenza impugnata, che le ricorrenti non hanno addotto i motivi per i quali il fatto di non essere venute a conoscenza di tali documenti durante la fase istruttoria ha potuto in qualche modo incidere sulle loro successive possibilità di difesa, nella fase seguente la comunicazione degli addebiti (v., per analogia, sentenza del 25 gennaio 2007, Dalmine/Commissione, C‑407/04 P, EU:C:2007:53, punto 61).

46

In tal modo, esso ha correttamente respinto tale parte dell’argomentazione delle ricorrenti.

47

Per quanto riguarda, infine, l’asserito snaturamento degli elementi di prova da parte del Tribunale, occorre rammentare che sussiste snaturamento dal momento che, senza che occorra assumere nuove prove, la valutazione degli elementi disponibili risulta manifestamente erronea (v., in particolare, sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punto 17).

48

Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 65 delle sue conclusioni, il ricorrente deve, inoltre, indicare con precisione le prove che sono state snaturate e esporre gli errori di valutazione che sarebbero stati commessi (v., segnatamente, sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punto 16).

49

Tuttavia, le ricorrenti non contestano l’analisi dei documenti in questione da parte del Tribunale, ma la loro ricevibilità laddove la loro trasmissione da parte della Guardia di Finanza fosse ritenuta illegittima, cosa che, in ogni caso, non è stata dimostrata.

50

Alla luce di quanto precede, il primo motivo deve essere integralmente respinto.

Sul secondo motivo

Argomenti delle parti

51

Con il secondo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto per non aver dichiarato la violazione, da parte della Commissione, della sua comunicazione del 2002 sulla cooperazione, nei limiti in cui essa ha concesso l’immunità alla Chiquita e per non aver ritenuto, di conseguenza, che le informazioni trasmesse da tale impresa alla Commissione nell’ambito del procedimento che ha portato alla concessione di tale immunità, dovessero essere ritirate dal fascicolo.

52

Esse fanno valere che, per quanto riguarda il caso dell’Europa meridionale, tale impresa non ha dato prova di una totale collaborazione, permanente e rapida, durante tutto il procedimento, come richiesto dal punto 11, lettera a), di tale comunicazione.

53

Inoltre, alcune delle informazioni ottenute dalla Commissione sarebbero riservate e non avrebbero quindi potuto essere utilizzate come elementi di prova dal momento che le ricorrenti non vi hanno avuto accesso.

54

Le ricorrenti sottolineano che il loro secondo motivo riguarda una questione di diritto, relativa al rispetto, da parte della Commissione, delle sue proprie regole e che non si tratta di un nuovo motivo alla luce, in particolare, del punto 42 del loro ricorso e del punto 21 della loro replica.

55

La Commissione sostiene che tale motivo, irricevibile in quanto vertente sulla valutazione dei fatti il cui snaturamento non è stato dedotto nell’impugnazione, presenta inoltre un carattere nuovo e sembra in ogni caso inconferente perché, anche se l’immunità non avrebbe dovuto essere concessa alla Chiquita, le informazioni che essa ha fornito non dovrebbero essere ritirate dal fascicolo.

56

La Commissione sostiene, in subordine, che la domanda d’immunità della Chiquita non si limitava al caso dell’Europa settentrionale, ma comprendeva fatti avvenuti nello Spazio economico europeo. Essa ritiene che tale impresa abbia fornito, in tempo utile, elementi di prova riguardanti anche il comportamento illecito nel caso dell’Europa meridionale.

57

La Commissione aggiunge che l’argomento secondo cui essa non potrebbe fare riferimento a informazioni riservate per provare l’esistenza di un cartello è non solo irricevibile, poiché privo di connessione con il secondo motivo, ma, in ogni caso infondato, dal momento che le ricorrenti hanno avuto accesso alle informazioni in questione durante il procedimento, nei locali della Commissione.

Giudizio della Corte

58

A prescindere dalla questione se il secondo motivo debba essere considerato nuovo o se l’inosservanza del punto 11, lettera a), della comunicazione del 2002 sulla cooperazione possa incidere sulla legittimità dell’utilizzo da parte della Commissione delle informazioni fornite in questo contesto dalla Chiquita, la questione se un’impresa abbia collaborato pienamente, in modo permanente e tempestivo, ai sensi di tale punto, costituisce in ogni caso una questione di fatto, la cui valutazione da parte del Tribunale esula dal sindacato della Corte nell’ambito di un’impugnazione, salvo che le contestazioni del Tribunale siano viziate da un errore materiale o da uno snaturamento che emergono in modo manifesto dagli atti di causa, il che non è stato dedotto nel caso di specie.

59

Per quanto concerne l’argomento delle ricorrenti secondo cui il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto per non aver constatato che alcune dichiarazioni fornite dalla Chiquita in tale contesto non potevano essere utilizzate dalla Commissione in considerazione della loro riservatezza, si tratta in realtà di un motivo nuovo, peraltro non sufficientemente suffragato.

60

Di conseguenza, occorre respingere il secondo motivo in quanto irricevibile.

Sul terzo motivo

Argomenti delle parti

61

Con il terzo motivo, dedotto in subordine, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha violato il principio della tutela giurisdizionale effettiva garantito dall’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, nonché dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in quanto ha effettuato soltanto un controllo giurisdizionale limitato dell’ammenda e non avrebbe esercitato la propria competenza giurisdizionale estesa al merito che gli è attribuita dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003. Di conseguenza, il Tribunale avrebbe altresì calcolato erroneamente l’ammenda.

62

Esse aggiungono che spetta alla Corte, nell’ambito della sua competenza estesa al merito, valutare essa stessa le circostanze del caso di specie e il tipo d’infrazione di cui trattasi per stabilire l’importo dell’ammenda, facendo riferimento al punto 80 della sentenza del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens (C‑441/11 P, EU:C:2012:778).

63

Esse fanno valere che spetta al giudice dell’Unione esercitare il proprio controllo di legittimità sulla base degli elementi prodotti dalla ricorrente a sostegno dei motivi addotti e sottolineano che esso non può, in occasione di tale controllo, basarsi sul potere discrezionale di cui dispone in materia la Commissione. Al riguardo, esse si riferiscono segnatamente alla sentenza dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione (C‑389/10 P, EU:C:2011:816, punto 129).

64

Tuttavia, per quanto riguarda la valutazione della gravità dell’infrazione, il Tribunale, al punto 525 della sentenza impugnata, si sarebbe limitato a citare gli orientamenti del 2006 per constatare che la Commissione avrebbe correttamente applicato un tasso del 15% per valutare la proporzione delle vendite prese in considerazione per infrazioni di tal genere.

65

Esso avrebbe proceduto allo stesso modo per respingere in seguito il loro argomento relativo alla necessità di prendere in considerazione la quota di mercato aggregata limitata e l’estensione geografica ristretta dell’infrazione.

66

Esse fanno altresì valere che il Tribunale ha commesso un errore di diritto affermando, al punto 532 della sentenza impugnata, che non era necessario che la Commissione prendesse in considerazione fatti o circostanze ulteriori mentre essa avrebbe dovuto valutare gli elementi obiettivi, quali il contenuto e la durata dei comportamenti anticoncorrenziali, il loro numero e la loro intensità, l’estensione del mercato interessato e il deterioramento subito dall’ordine pubblico economico, l’importanza relativa e la quota di mercato delle imprese responsabili, nonché un’eventuale recidiva, nonostante esse vi abbiano fatto esplicito riferimento, conformemente alla sentenza del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione (C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6, punto 91).

67

Esse invocano censure analoghe per quanto riguarda la valutazione da parte del Tribunale delle circostanze attenuanti, ai punti da 544 a 554 della sentenza impugnata.

68

Esse sostengono altresì che se il Tribunale avesse correttamente esaminato il livello dell’ammenda, avrebbe dovuto fissare una riduzione identica a quella del 60% applicata dalla Commissione nel caso dell’Europa settentrionale, dal momento che i due fattori presi in considerazione dalla Commissione in tale caso, ossia il regime specifico di regolamentazione e l’esistenza di un’infrazione per oggetto, sono altresì presenti nel caso di specie.

69

In risposta all’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione, esse precisano di aver chiesto al Tribunale di esercitare la propria competenza estesa al merito.

70

La Commissione afferma che le ricorrenti non hanno chiesto al Tribunale di esercitare la sua competenza estesa al merito, sicché il terzo motivo dovrebbe essere respinto in quanto irricevibile e che il Tribunale ha in ogni caso esaminato le circostanze peculiari del caso conformemente ai requisiti del principio della tutela giurisdizionale.

71

La questione se il Tribunale avrebbe dovuto ridurre l’ammenda di almeno il 60%, analogamente a quanto deciso dalla Commissione nel caso dell’Europa settentrionale, per il fatto che si tratta parimenti di un’infrazione per oggetto, verterebbe inoltre su una questione di fatto.

Giudizio della Corte

72

Occorre constatare, in via preliminare, che le ricorrenti hanno chiesto al Tribunale di esercitare la sua competenza estesa al merito mediante l’annullamento o la diminuzione dell’ammenda che è stata loro inflitta, come risulta in particolare dal punto 142 del ricorso e che, pertanto, il terzo motivo non presenta carattere di novità.

73

Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale delle ammende inflitte dalla Commissione in caso di violazione del diritto della concorrenza, si deve rammentare che spetta al giudice dell’Unione esercitare il controllo di legittimità sulla base degli elementi prodotti dal ricorrente a sostegno dei motivi dedotti. In occasione di tale controllo, il giudice non può basarsi sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione, né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto (v., segnatamente, sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 62).

74

Il controllo di legittimità è completato dalla competenza estesa al merito riconosciuta al giudice dell’Unione dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a eliminare, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (v., segnatamente, sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 63).

75

Per soddisfare i requisiti del principio della tutela giurisdizionale effettiva e tenuto conto del fatto che l’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 dispone che l’importo dell’ammenda dev’essere determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, il Tribunale è tenuto, nell’esercizio delle competenze previste agli articoli 261 e 263 TFUE, a esaminare ogni censura, di fatto o di diritto, diretta a dimostrare che l’importo dell’ammenda non è adeguato alla gravità e alla durata dell’infrazione (v., segnatamente, sentenza del 9 giugno 2016, Repsol Lubricantes y Especialidades e a./Commissione, C‑617/13 P, EU:C:2016:416, punto 86).

76

Nell’ambito di un’impugnazione, il ruolo della Corte è quello di verificare se il Tribunale ha commesso errori di diritto nel modo in cui ha statuito sul ricorso di cui era investito (v., segnatamente, sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 46).

77

Tuttavia, non spetta alla Corte, quando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un’impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la sua valutazione a quella del Tribunale che, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale estesa al merito, statuisce sull’importo delle ammende inflitte a imprese in seguito alla violazione, da parte loro, del diritto dell’Unione (v., segnatamente, sentenza del 7 settembre 2016, Pilkington Group e a./Commissione, C‑101/15 P, EU:C:2016:631, punto 72).

78

Unicamente nei limiti in cui la Corte ritiene che il livello della sanzione sia non soltanto inappropriato, ma anche eccessivo, al punto da essere sproporzionato, occorrerebbe ravvisare un errore di diritto commesso dal Tribunale a causa del carattere incongruo dell’importo di un’ammenda (v., segnatamente, sentenza del 7 settembre 2016, Pilkington Group e a./Commissione, C‑101/15 P, EU:C:2016:631, punto 73).

79

Nel caso di specie, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 85 delle sue conclusioni, non si può contestare al Tribunale di aver fatto riferimento in tale contesto agli orientamenti del 2006 dal momento che il motivo dedotto dalle ricorrenti in primo grado verteva, come emerge dal punto 501 della sentenza impugnata, sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 e degli orientamenti del 2006 sulla base dell’errata valutazione, in particolare, della gravità dell’infrazione nonché delle circostanze attenuanti.

80

Occorre altresì rammentare che l’esercizio della competenza estesa al merito non equivale a un controllo d’ufficio e che ad eccezione dei motivi di ordine pubblico, che devono essere sollevati d’ufficio dal giudice, spetta al ricorrente sollevare motivi contro la decisione impugnata e addurre elementi probatori (v., segnatamente, sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 64).

81

Per quanto riguarda la gravità dell’infrazione, il Tribunale ha correttamente ritenuto, al punto 525 della sentenza impugnata, che la Commissione fosse legittimata ad applicare, per le restrizioni più gravi, come quelle di cui trattasi, un tasso di almeno il 15% del valore delle vendite, che costituisce il minimo del «valore più alto», di cui al punto 23 degli orientamenti del 2006, per tale tipo d’infrazione (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Gosselin Group/Commissione, C‑429/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:463, punto 124).

82

Il Tribunale, ai punti da 528 a 533 della sentenza impugnata, ha altresì esaminato l’argomento, e risposto ad esso in modo giuridicamente adeguato, con cui le ricorrenti fanno valere che la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione il carattere limitato della quota di mercato aggregato e l’estensione geografica dell’infrazione per determinare la proporzione del valore delle vendite considerato. Esso ha correttamente ritenuto in particolare, al punto 530 della sentenza impugnata, che per le restrizioni più gravi tale percentuale debba essere superiore almeno al 15%.

83

Benché sia a priori errata l’affermazione del Tribunale al punto 532 della sentenza impugnata, secondo cui qualora la Commissione si limiti ad applicare un tasso uguale o quasi uguale al tasso minimo del 15% del valore delle vendite previsto per le restrizioni più gravi, non è necessario prendere in considerazione gli elementi aggiuntivi, essa non riflette tuttavia la realtà dell’analisi effettuata dal Tribunale in tale sentenza, il quale ha esaminato la rilevanza delle circostanze invocate dalle ricorrenti nel loro ricorso in merito all’analisi della gravità dell’infrazione, in particolare al punto 533 della sentenza impugnata (v., per analogia, sentenza dell’11 luglio 2013, Gosselin Group/Commissione, C‑429/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:463, punto 129). Occorre sottolineare anche che dal momento che il Tribunale ha correttamente ritenuto, nella sentenza impugnata, che l’infrazione in questione rientrasse nella categoria delle infrazioni più gravi, il comportamento individuale delle imprese è stato realmente preso in considerazione.

84

Occorre inoltre rilevare che, contrariamente a quanto enunciato al punto 531 della sentenza impugnata, dal considerando 329 della decisione controversa non emerge che il tasso del 15% del valore delle vendite sarebbe stato stabilito dalla Commissione solo sulla base della natura dell’infrazione, poiché tale considerando riguarda altresì le altre circostanze del caso.

85

Per quanto riguarda, infine, la valutazione delle circostanze attenuanti, il Tribunale non si è limitato a rammentare, al punto 549 della sentenza impugnata, l’esistenza di un margine di discrezionalità della Commissione, ma, al punto 551 di tale sentenza, ha ritenuto che nel presente caso mancasse effettivamente uno dei due fattori che giustificano il beneficio di una riduzione nel caso dell’Europa settentrionale, ossia il coordinamento dei prezzi di riferimento, ciò che giustificava la differenza di percentuale di riduzione in quest’ultimo.

86

L’argomento delle ricorrenti vertente sulla circostanza che il Tribunale avrebbe tuttavia dovuto prendere in considerazione il fatto che nel presente caso, come nel caso dell’Europa settentrionale, si era in presenza di un’infrazione per oggetto, non solo mette in discussione la valutazione dei fatti, ma non può ad ogni modo essere valido, poiché un tale fatto non può in effetti costituire una circostanza attenuante.

87

Inoltre, il Tribunale ha anche correttamente rammentato, ai punti 552 e 553 della sentenza impugnata, i motivi per i quali la Commissione non può essere vincolata dalla sua prassi decisionale precedente in modo che il solo fatto che essa abbia accettato in passato un determinato tasso di riduzione per un comportamento determinato non implica che essa sia tenuta a concedere la stessa riduzione proporzionale al momento della valutazione di un comportamento simile nell’ambito di un procedimento amministrativo successivo.

88

Di conseguenza, risulta da quanto precede che il Tribunale non ha commesso un errore di diritto nell’esercizio del proprio sindacato giurisdizionale.

89

Il terzo motivo deve pertanto essere respinto in quanto infondato.

Sul quarto motivo

Argomenti delle parti

90

Con il loro quarto motivo, le ricorrenti invocano la violazione da parte del Tribunale della nozione di accordo avente un oggetto anticoncorrenziale, per la mancata presa in considerazione del contesto economico e giuridico in cui si inseriva l’accordo esaminato e per la violazione dei diritti della difesa che ne sarebbe derivata.

91

Esse contestano così al Tribunale di aver giudicato, in particolare al punto 466 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva correttamente concluso che il comportamento delle parti avesse come oggetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato interno.

92

Esse fanno valere che un’analisi del contesto economico e giuridico in cui si inserisce l’accordo in questione è necessaria per determinare se un’infrazione ha per oggetto di restringere la concorrenza (sentenze del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punti 3648, nonché del 26 novembre 2015, Maxima Latvija, C‑345/14, EU:C:2015:784, punto 16).

93

Esse aggiungono che la nozione di restrizione della concorrenza per oggetto deve essere interpretata restrittivamente, che il Tribunale deve giustificare i motivi per i quali tale restrizione presenta un grado di dannosità sufficiente per la concorrenza e che può fare riferimento a comportamenti analoghi qualificati come infrazione per oggetto in una giurisprudenza precedente solo se essi sono sufficientemente simili a quelli esaminati (sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204).

94

Esse ne deducono che il Tribunale non poteva limitarsi a considerare, al punto 468 della sentenza impugnata, che la prassi in questione rientrava nell’articolo 101, paragrafo 1, lettera a), TFUE, che si riferisce solamente alla fissazione del prezzo e non alle semplici comunicazioni d’intenzioni future sui movimenti di prezzo.

95

Esse ritengono che se il Tribunale avesse preso in considerazione la tipologia dei beni, le condizioni di funzionamento e la struttura del mercato, avrebbe dovuto concludere nel senso dell’assenza di oggetto anticoncorrenziale dell’accordo in questione.

96

Al riguardo, esse fanno riferimento in particolare al fatto che, al momento dell’infrazione, il mercato europeo della banana era soggetto a un’organizzazione comune dei mercati che avrebbe portato a un’inflessibilità nonché a un livello elevato di trasparenza sui volumi e i prezzi incoraggiando, alla fine, i concorrenti a instaurare tra loro relazioni commerciali. Esse aggiungono che lo scambio d’informazioni di cui trattasi è avvenuto in via occasionale e che non vi era alcun collegamento evidente tra le date di tali contatti e quelle di fissazioni rispettive dei prezzi. Esse fanno valere altresì che l’infrazione coinvolgeva solamente due concorrenti sul mercato, che la Pacific Fruit Company Italy, in quanto impresa che si adegua ai prezzi, non poteva imporre prezzi ai suoi clienti e che solo una parte ristretta del mercato europeo della banana era interessata.

97

Esse ritengono che riferimenti sparsi al contesto del caso nella sentenza impugnata, al di fuori dell’ambito della qualificazione delle pratiche di cui trattasi come infrazione per oggetto, non consentono di considerare che tale contesto sia stato realmente preso in considerazione per la qualificazione come infrazione per oggetto.

98

Esse precisano altresì, in merito alla violazione dei diritti della difesa, che l’errata constatazione dell’esistenza di un oggetto anticoncorrenziale le ha private di un dibattito approfondito e in contradditorio in merito agli effetti del loro comportamento.

99

La Commissione afferma che il quarto motivo è irricevibile a causa della sua novità ma anche perché gli argomenti relativi al contesto giuridico e economico dell’infrazione in questione mettono in discussione la valutazione dei fatti.

100

In ogni caso, il Tribunale avrebbe preso in considerazione adeguatamente il contesto economico e giuridico dell’accordo in questione e non avrebbe commesso errori di diritto.

Giudizio della Corte

101

Per quanto riguarda l’eccezione d’irricevibilità sollevata dalla Commissione a causa della novità del quarto motivo, occorre constatare che emerge dal punto 135 del ricorso dinanzi al Tribunale che le ricorrenti hanno contestato la qualificazione come infrazione per oggetto «tenuto conto in particolare dei fatti e delle circostanze del caso», ma che esse hanno unicamente fatto valere al riguardo che l’accordo in questione verteva soltanto su scambi d’informazione vaghi e sporadici sulle tendenze generali del mercato.

102

Tuttavia, senza che sia necessario pronunciarsi sulla ricevibilità del quarto motivo, si deve constatare che quest’ultimo è in ogni caso infondato.

103

Occorre rammentare che la nozione di restrizione della concorrenza «per oggetto», deve essere interpretata restrittivamente e può essere applicata solo a talune forme di coordinamento tra imprese che rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario. Infatti, talune forme di coordinamento tra imprese possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza (v., segnatamente, sentenze del 26 novembre 2015, Maxima Latvija, C‑345/14, EU:C:2015:784, punto 17, e del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation/Commissione, C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punto 26).

104

Il criterio giuridico essenziale per determinare se un accordo comporti una restrizione della concorrenza «per oggetto» risiede nel rilievo che un simile accordo presenta, di per sé, un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per ritenere che non sia necessario individuarne gli effetti (v., segnatamente, sentenza del 26 novembre 2015, Maxima Latvija, C‑345/14, EU:C:2015:784, punto 20).

105

In tale contesto, occorre riferirsi al tenore delle disposizioni dell’accordo in questione, agli obiettivi che esso mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale si colloca (v., segnatamente, sentenza del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation/Commissione, C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punto 27).

106

Nel caso di specie, occorre rilevare che, come risulta dalla sentenza impugnata e in particolare dai punti 246, 524 e 550, la Commissione ha constatato che le ricorrenti avevano partecipato a un cartello avente ad oggetto la fissazione dei prezzi e che tale valutazione dei fatti e degli elementi di prova non è stata messa in discussione dal Tribunale nella sentenza impugnata.

107

Per accordi del genere, che costituiscono violazioni particolarmente gravi della concorrenza, l’analisi del contesto economico e giuridico in cui si colloca la pratica può pertanto limitarsi a quanto risulti strettamente necessario per concludere per la sussistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto (v., per analogia con gli accordi sulla ripartizione dei mercati, sentenza del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation/Commissione, C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punto 29).

108

Orbene, il Tribunale ha correttamente risposto all’argomento dedotto al riguardo dalle ricorrenti nel loro ricorso, al punto 466 della sentenza impugnata, rinviando in particolare all’esame dei fatti esaminati nell’ambito del terzo motivo.

109

Inoltre e in ogni caso, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 104 delle sue conclusioni, gli argomenti relativi al contesto economico e giuridico del caso, invocati dalle ricorrenti a sostegno del loro quarto motivo, non sono rilevanti al fine di esaminare l’esistenza di un oggetto anticoncorrenziale, per cui non può essere validamente contestato al Tribunale di non averli presi in considerazione nella sentenza impugnata.

110

Alcuni di essi tendono peraltro a dimostrare la mancanza di coordinamento sui prezzi e a mettere in discussione, in realtà, l’esistenza stessa dell’accordo. Ciò avviene infatti per quanto riguarda l’assoggettamento del mercato europeo della banana a un’organizzazione comune dei mercati.

111

Di conseguenza, il Tribunale non ha commesso un errore di diritto ritenendo, al punto 473 della sentenza impugnata, che la Commissione avesse correttamente indicato che l’infrazione poteva essere qualificata come restrizione della concorrenza per oggetto.

112

Inoltre, non può essere validamente contestato al Tribunale di aver violato il principio del contradditorio per il fatto che la qualificazione come accordo avente un oggetto anticoncorrenziale avrebbe privato le ricorrenti della possibilità di avvalersi della mancanza di effetto anticoncorrenziale.

113

Ne consegue che il quarto motivo deve essere respinto in quanto infondato.

114

Di conseguenza, poiché nessuno dei motivi dedotti dalle ricorrenti a sostegno della loro impugnazione può essere accolto, quest’ultima deve essere respinta.

Sulle spese

115

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché le ricorrenti sono risultate soccombenti nei loro motivi e la Commissione ha concluso per la loro condanna alle spese, esse devono essere condannate alle spese inerenti alla presente impugnazione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’impugnazione è respinta.

 

2)

La FSL Holdings NV, la Firma Léon Van Parys NV e la Pacific Fruit Company Italy SpA sono condannate alle spese.

 

Firme


( *1 ) * Lingua processuale: l’inglese.

In alto