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Documento 62014CJ0179

Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 23 febbraio 2016.
Commissione europea contro Ungheria.
Inadempimento di uno Stato – Direttiva 2006/123/CE – Articoli da 14 a 16 – Articolo 49 TFUE – Libertà di stabilimento – Articolo 56 TFUE – Libera prestazione di servizi – Condizioni di emissione di titoli convenienti sotto il profilo fiscale attribuiti dai datori di lavoro ai propri dipendenti e utilizzabili a fini di alloggio, tempo libero e/o ristorazione – Restrizioni – Monopolio.
Causa C-179/14.

Raccolta della giurisprudenza - generale

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2016:108

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

23 febbraio 2016 ( *1 )

«Inadempimento di uno Stato — Direttiva 2006/123/CE — Articoli da 14 a 16 — Articolo 49 TFUE — Libertà di stabilimento — Articolo 56 TFUE — Libera prestazione di servizi — Condizioni di emissione di titoli convenienti sotto il profilo fiscale attribuiti dai datori di lavoro ai propri dipendenti e utilizzabili a fini di alloggio, tempo libero e/o ristorazione — Restrizioni — Monopolio»

Nella causa C‑179/14,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 10 aprile 2014,

Commissione europea, rappresentata da A. Tokár ed E. Montaguti, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Ungheria, rappresentata da M. Z. Fehér e G. Koós, in qualità di agenti,

convenuta,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, M. Ilešič, L. Bay Larsen, D. Šváby, F. Biltgen e C. Lycourgos, presidenti di sezione, A. Rosas, E. Juhász, M. Safjan, M. Berger, A. Prechal (relatore) e K. Jürimäe, giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 maggio 2015,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 settembre 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede che la Corte voglia:

dichiarare che, avendo introdotto e mantenuto il sistema della carta per il tempo libero Széchenyi (in prosieguo: la «carta SZÉP»), previsto dal decreto del governo n. 55/2011, del 12 aprile 2011, che disciplina l’emissione e l’utilizzo della carta per il tempo libero Széchenyi, modificato dalla legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, recante modifica di talune leggi tributarie e di altri atti affini (in prosieguo, il «decreto del governo n. 55/2011») l’Ungheria ha violato la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU L 376, pag. 36), in quanto:

l’articolo 13 di detto decreto del governo, in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della legge n. XCVI del 1993, sulle casse mutue volontarie (in prosieguo: la «legge sulle mutue»), con l’articolo 2, lettera b), della legge n. CXXXII del 1997, sulle succursali e agenzie commerciali delle imprese aventi sede all’estero (in prosieguo: la «legge sulle succursali»), nonché con gli articoli 1, 2, paragrafi 1 e 2, 55, paragrafi 1 e 3, e 64, paragrafo 1, della legge n. IV del 2006, sulle società commerciali (in prosieguo: la «legge sulle società commerciali»), esclude la possibilità per le succursali di emettere la carta SZÉP e contravviene, pertanto, agli articoli 14, punto 3, e 15, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva;

detto articolo 13, in combinato disposto con tali medesime disposizioni nazionali, che non riconosce, ai fini delle condizioni di cui al medesimo articolo 13, lettere da a) a c), l’attività dei gruppi la cui società controllante non sia costituita ai sensi del diritto ungherese e i cui membri non rivestano una delle forme societarie previste dal diritto ungherese, contravviene all’articolo 15, paragrafi 1, 2, lettera b), e 3, di detta direttiva;

l’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011, in combinato disposto con le medesime disposizioni nazionali, che riserva alle banche e agli istituti finanziari la facoltà di emettere la carta SZÉP dal momento che solo tali enti possono soddisfare le condizioni di cui a tale articolo 13, contravviene all’articolo 15, paragrafi 1, 2, lettera d), e 3, della medesima direttiva;

detto articolo 13 è in contrasto con l’articolo 16 della direttiva 2006/123, poiché richiede l’esistenza di uno stabilimento in Ungheria ai fini dell’emissione della carta SZÉP;

in subordine, nella misura in cui le norme della direttiva 2006/123 precedentemente menzionate al presente punto non risultano applicabili a dette disposizioni nazionali, dichiarare che il sistema della carta SZÉP disciplinato dal decreto del governo n. 55/2011 è in contrasto con gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE;

dichiarare che il sistema dei buoni Erzsébet disciplinato dalla legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, e dalla legge n. CIII, del 6 luglio 2012, sul programma Erzsébet (in prosieguo: la «legge Erzsébet»), che stabilisce un monopolio a favore di enti pubblici nell’ambito dell’emissione di buoni per pasti freddi e che è entrato in vigore senza essere stato preceduto da un adeguato periodo di transizione né da appropriate misure transitorie, è in contrasto con gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE, poiché gli articoli 1, paragrafo 5, e 477 della legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, nonché gli articoli 2, paragrafi 1 e 2, 6 e 7 della legge Erzsébet stabiliscono restrizioni sproporzionate.

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

2

I considerando 2, 5, 18, 36, 37, 40, 64, 65 e 73 della direttiva 2006/123 sono così redatti:

«(2)

Una maggiore competitività del mercato dei servizi è essenziale per promuovere la crescita economica e creare posti di lavoro nell’Unione europea. Attualmente un elevato numero di ostacoli nel mercato interno impedisce ai prestatori, in particolare alle piccole e medie imprese (PMI), di espandersi oltre i confini nazionali e di sfruttare appieno il mercato unico. Tale situazione indebolisce la competitività globale dei prestatori dell’Unione europea. Un libero mercato che induca gli Stati membri ad eliminare le restrizioni alla circolazione transfrontaliera dei servizi, incrementando al tempo stesso la trasparenza e l’informazione dei consumatori, consentirebbe agli stessi una più ampia facoltà di scelta e migliori servizi a prezzi inferiori.

(...)

(5)

È necessario quindi eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato. Poiché gli ostacoli al mercato interno dei servizi riguardano tanto gli operatori che intendono stabilirsi in altri Stati membri quanto quelli che prestano un servizio in un altro Stato membro senza stabilirvisi, occorre permettere ai prestatori di sviluppare le proprie attività nel mercato interno stabilendosi in uno Stato membro o avvalendosi della libera circolazione dei servizi. I prestatori devono poter scegliere tra queste due libertà, in funzione della loro strategia di sviluppo in ciascuno Stato membro.

(...)

(18)

Occorre escludere dal campo di applicazione della presente direttiva i servizi finanziari, essendo tali attività oggetto di una normativa comunitaria specifica volta a realizzare, al pari della presente direttiva, un vero mercato interno dei servizi. Pertanto, tale esclusione concerne tutti i servizi finanziari quali l’attività bancaria, il credito, l’assicurazione, compresa la riassicurazione, le pensioni professionali o individuali, i titoli, gli investimenti, i fondi, i servizi di pagamento e quelli di consulenza nel settore degli investimenti, compresi i servizi di cui all’allegato I della direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, concernente l’accesso all’attività degli enti creditizi e al suo esercizio [(GU L 177, pag. 1)].

(...)

(36)

La nozione di prestatore dovrebbe comprendere qualsiasi persona fisica, avente la cittadinanza di uno Stato membro, o persona giuridica che esplica un’attività di servizio in tale Stato membro esercitando la libertà di stabilimento o la libera circolazione dei servizi. La nozione di prestatore quindi non dovrebbe limitarsi solo al caso in cui il servizio venga prestato attraverso le frontiere nell’ambito della libera circolazione dei servizi, ma dovrebbe comprendere anche la fattispecie in cui un operatore si stabilisce in uno Stato membro per svilupparvi le proprie attività di servizio. (...)

(37)

Il luogo di stabilimento del prestatore dovrebbe essere determinato in conformità della giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo la quale la nozione di stabilimento implica l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata mediante l’insediamento in pianta stabile (...). Lo stabilimento non deve necessariamente assumere la forma di una filiale, succursale o rappresentanza, ma può consistere in un ufficio gestito dal personale del prestatore o da una persona indipendente ma autorizzata ad agire su base permanente per conto dell’impresa, come nel caso di una rappresentanza. (...)

(…)

(40)

La nozione di “motivi imperativi di interesse generale” cui fanno riferimento alcune disposizioni della presente direttiva è stata progressivamente elaborata dalla Corte di giustizia nella propria giurisprudenza relativa agli articoli [49 TFUE e 56 TFUE], e potrebbe continuare ad evolvere. La nozione, come riconosciuto nella giurisprudenza della Corte di giustizia, copre almeno i seguenti motivi: (...) la tutela dei destinatari di servizi, la tutela dei consumatori (...) la tutela dei creditori (...).

(…)

(64)

Al fine della creazione di un vero mercato interno dei servizi è necessario sopprimere le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi ancora presenti nella legislazione di taluni Stati membri e incompatibili, rispettivamente, con gli articoli [49 TFUE e 56 TFUE]. Le restrizioni da vietare incidono in modo particolare sul mercato interno dei servizi e dovrebbero essere al più presto eliminate in modo sistematico.

(65)

La libertà di stabilimento è basata, in particolare, sul principio della parità di trattamento che non soltanto comporta il divieto di ogni forma di discriminazione fondata sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione indiretta basata su criteri diversi ma tali da portare di fatto allo stesso risultato. L’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio in uno Stato membro, a titolo principale come a titolo secondario, non dovrebbero quindi essere subordinati a criteri quali il luogo di stabilimento, di residenza, di domicilio o di prestazione principale dell’attività (...).

(…)

(73)

Fra i requisiti da prendere in esame figurano i regimi nazionali che, per motivi diversi da quelli relativi alle qualifiche professionali, riservano a prestatori particolari l’accesso a talune attività. Tali requisiti comprendono gli obblighi che impongono al prestatore di avere un determinato status giuridico, in particolare di essere una persona giuridica, una società di persone, un’organizzazione senza scopo di lucro o una società di proprietà di sole persone fisiche (...)».

3

L’articolo 1 della direttiva 2006/123, intitolato «Oggetto», al suo paragrafo 1, così dispone:

«La presente direttiva stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi».

4

Sotto il titolo «Campo di applicazione», l’articolo 2 della medesima direttiva prevede quanto segue:

«1.   La presente direttiva si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro.

2.   La presente direttiva non si applica alle attività seguenti:

(…)

b)

i servizi finanziari quali l’attività bancaria, il credito, l’assicurazione e la riassicurazione, le pensioni professionali o individuali, i titoli, gli investimenti, i fondi, i servizi di pagamento e quelli di consulenza nel settore degli investimenti, compresi i servizi di cui all’allegato I della direttiva 2006/48/CE;

(…)».

5

L’articolo 4 della medesima direttiva è così formulato:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

1)

“servizio”: qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo [57 TFUE], fornita normalmente dietro retribuzione;

2)

“prestatore”: qualsiasi persona fisica, avente la cittadinanza di uno Stato membro, o qualsiasi persona giuridica di cui all’articolo [54 TFUE], stabilita in uno Stato membro, che offre o fornisce un servizio;

(…)

4)

“Stato membro di stabilimento”: lo Stato membro nel cui territorio è stabilito il prestatore del servizio considerato;

5)

“stabilimento”: l’esercizio effettivo di un’attività economica di cui all’articolo [49 TFUE] a tempo indeterminato da parte del prestatore, con un’infrastruttura stabile a partire dalla quale viene effettivamente svolta l’attività di prestazione di servizi;

(…)

8)

“motivi imperativi d’interesse generale”: motivi riconosciuti come tali dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, tra i quali: (...) la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi (...)

(…)

10)

“Stato membro nel quale è prestato il servizio”: lo Stato membro in cui il servizio è fornito da un prestatore stabilito in un altro Stato membro;

(…)».

6

Il capo III della direttiva 2006/123 è intitolato «Libertà di stabilimento dei prestatori». Nella sezione 2 in esso contenuta, intitolata «Requisiti vietati o soggetti a valutazione», figurano gli articoli 14 e 15 di tale direttiva.

7

Sotto il titolo «Requisiti vietati», l’articolo 14 di tale direttiva dispone quanto segue:

«Gli Stati membri non subordinano l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio sul loro territorio al rispetto dei requisiti seguenti:

(…)

3)

restrizioni della libertà, per il prestatore, di scegliere tra essere stabilito a titolo principale o secondario, in particolare l’obbligo per il prestatore di avere lo stabilimento principale sul loro territorio o restrizioni alla libertà di scegliere tra essere stabilito in forma di rappresentanza, succursale o filiale;

(…)».

8

L’articolo 15 della medesima direttiva, intitolato «Requisiti da valutare», prevede in particolare:

«1.   Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico prevede i requisiti di cui al paragrafo 2 e provvedono affinché tali requisiti siano conformi alle condizioni di cui al paragrafo 3. Gli Stati membri adattano le loro disposizioni legislative, regolamentari o amministrative per renderle conformi a tali condizioni.

2.   Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio al rispetto dei requisiti non discriminatori seguenti:

(…)

b)

requisiti che impongono al prestatore di avere un determinato statuto giuridico;

(…)

d)

requisiti diversi da quelli relativi alle questioni disciplinate dalla direttiva 2005/36/CE o da quelli previsti in altre norme comunitarie, che riservano l’accesso alle attività di servizi in questione a prestatori particolari a motivo della natura specifica dell’attività;

(…)

3.   Gli Stati membri verificano che i requisiti di cui al paragrafo 2 soddisfino le condizioni seguenti:

a)

non discriminazione: i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell’ubicazione della sede legale;

b)

necessità: i requisiti sono giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;

c)

proporzionalità: i requisiti devono essere tali da garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito; essi non devono andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo; inoltre non deve essere possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato.

(…)

6.   A decorrere dal 28 dicembre 2006 gli Stati membri possono introdurre nuovi requisiti quali quelli indicati al paragrafo 2 soltanto quando essi sono conformi alle condizioni di cui al paragrafo 3.

(…)».

9

Il capo IV della direttiva è 2006/123 è intitolato «Libera circolazione dei servizi». Esso comprende una sezione 1, intitolata «Libera prestazione di servizi e deroghe relative», in cui figura l’articolo 16 di tale direttiva che, sotto il titolo «Libera prestazione di servizi», dispone quanto segue:

«1.   Gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti.

Lo Stato membro in cui il servizio viene prestato assicura il libero accesso a un’attività di servizi e il libero esercizio della medesima sul proprio territorio.

Gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi:

a)

non discriminazione: i requisiti non possono essere direttamente o indirettamente discriminatori sulla base della nazionalità o, nel caso di persone giuridiche, della sede,

b)

necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente,

c)

proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo.

2.   Gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare, imponendo i requisiti seguenti:

a)

l’obbligo per il prestatore di essere stabilito sul loro territorio;

(…)

3.   Allo Stato membro in cui il prestatore si reca non può essere impedito di imporre requisiti relativi alla prestazione di un’attività di servizi qualora siano giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell’ambiente, e in conformità del paragrafo 1. (...)

(…)».

Il diritto ungherese

La legge IRPF

10

L’articolo 71 della legge n. CXVII del 1995, relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche (in prosieguo: la «legge IRPF») consente ai datori di lavoro di concedere ai loro dipendenti benefici in natura a condizioni fiscali favorevoli.

11

Nella sua versione, come modificata dalla legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, entrata in vigore, conformemente all’articolo 477 di quest’ultima, a partire dal 1o gennaio 2012, l’articolo 71, paragrafo 1, della legge IRPF dispone quanto segue:

«Sono considerati benefici in natura concessi dal datore di lavoro al dipendente:

(...)

b)

(...)

bb)

in relazione alla retribuzione corrisposta sotto forma di buoni Erzsébet, la parte della retribuzione non superiore a 5000 [fiorini ungheresi (HUF) (EUR 16 circa)] [importo aumentato a HUF 8000 (EUR 26 circa) dal 1o gennaio 2013] mensili corrisposta per ogni mese di durata del rapporto giuridico su cui è basata tale prestazione (anche con effetto retroattivo nel medesimo esercizio fiscale);

c)

per quanto riguarda la carta [SZÉP],

ca)

l’aiuto, entro un limite massimo di HUF 225000 [(EUR 720 circa)] nel medesimo esercizio fiscale se proveniente da più emittenti, accreditato sul sottoconto “alloggio” della carta, utilizzabile ai fini delle prestazioni di alloggio previste dal decreto [del governo n. 55/2011];

cb)

l’aiuto, entro un limite massimo di HUF 150000 [(EUR 480 circa)] nel medesimo esercizio fiscale se proveniente da più emittenti, accreditato sul sottoconto “ristorazione” della carta, utilizzabile ai fini delle prestazioni di ristorazione previste dal decreto [del governo n. 55/2001] e fornite nei punti di ristorazione con cibi caldi (compresa la ristorazione sul luogo di lavoro);

cc)

l’aiuto, entro un limite massimo di HUF 75000 [(EUR 240 circa)] nel medesimo esercizio fiscale se proveniente da più emittenti, accreditato sul sottoconto “tempo libero” della carta, utilizzabile ai fini delle prestazioni previste dal decreto [del governo n. 55/2011] e destinate al tempo libero, allo svago e al mantenimento della salute;

(...)».

12

Ai sensi dell’articolo 3, punto 87, della legge IRPF, come modificato dall’articolo 1, paragrafo 5, della legge n. CLVI, del 21 novembre 2011:

«Ai fini della presente legge, si intende per:

(...)

87)

“Buoni Erzsébet”: buoni emessi dalla [Magyar Nemzeti Üdülési Alapítvány (Fondazione nazionale ungherese per il tempo libero; in prosieguo: la “FNUL”)] in formato elettronico o su supporto cartaceo, utilizzabili per l’acquisto di pasti pronti al consumo (…)».

Il decreto del governo n. 55/2011

13

In forza dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del decreto del governo n. 55/2011, la carta SZÉP «serve unicamente a identificare il dipendente che beneficia dell’aiuto, i suoi familiari, il suo datore di lavoro e il prestatore di servizi, e non consente di accumulare moneta elettronica, né di eseguire operazioni dirette di pagamento».

14

L’articolo 13 di detto decreto prevede quanto segue:

«Possono emettere la carta [SZÉP] tutti i prestatori di servizi ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della [legge sulle mutue], ad eccezione delle persone fisiche e dei prestatori di servizi che abbiano concluso un contratto con i suddetti prestatori, costituiti per una durata indeterminata o per una durata determinata di almeno cinque anni a decorrere dalla data di emissione della carta e che, congiuntamente alla medesima società commerciale riconosciuta quale gruppo di società o che operi effettivamente come tale ai sensi della legge [sulle società commerciali] o congiuntamente alla mutua definita all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della legge sulle mutue, alla quale il prestatore di servizi sia vincolato da un rapporto contrattuale da almeno cinque anni, ad eccezione delle attività di gestione di depositi e di investimento, che soddisfino le seguenti condizioni:

a)

dispongano di un ufficio aperto al pubblico in ogni comune dell’Ungheria con una popolazione superiore a 35000 abitanti;

b)

nel loro ultimo esercizio economico completo, abbiano emesso essi stessi, nell’ambito dei loro servizi di pagamento, almeno 100000 strumenti di pagamento diversi dal contante;

c)

abbiano maturato almeno due anni di esperienza in materia di emissione di carte di buoni elettronici che danno diritto a prestazioni in natura ai sensi dell’articolo 71 della legge [IRPF] e abbiano emesso oltre 25000 carte di buoni nel loro ultimo esercizio economico completo.

(...)».

La legge sulle mutue

15

L’articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e d), della legge sulle mutue contiene le seguenti definizioni:

«a)

“casse mutue volontarie (in prosieguo: ‘mutua’)”: associazione costituita da persone fisiche (in prosieguo: gli “aderenti a una mutua”) sulla base dei principi di autonomia, mutualità, solidarietà e partecipazione volontaria, che organizza e finanzia prestazioni che completano, compensano o sostituiscono quelle fornite dalla Previdenza sociale nonché prestazioni che promuovono il mantenimento della salute (in prosieguo: le “prestazioni”). La mutua organizza, finanzia e fornisce le proprie prestazioni grazie ai contributi regolari dei propri aderenti, sulla base della gestione dei conti individuali. Le norme di gestione e di responsabilità nonché i poteri connessi alle attività della mutua sono disciplinati dalla presente legge;

(...)

d)

«prestatore di servizi»: qualsiasi persona fisica, giuridica o società commerciale priva di personalità giuridica che, sulla base del contratto concluso con la mutua, effettui per conto della stessa operazioni che rientrano tra le attività della mutua, le rendono possibili o le favoriscono, o che fornisca essa stessa prestazioni proprie della mutua, ad esclusione dei prestatori di servizi delle casse malattia. In particolare, si considera prestatore di servizi qualsiasi persona che eserciti funzioni di depositario per conto della mutua di cui sopra o incaricata dalla mutua per effettuare le sue operazioni di investimento e/o garantire la gestione della sua contabilità e dei suoi registri, nonché qualsiasi persona incaricata del reclutamento degli aderenti alla mutua o che svolge attività di organizzazione di servizi per conto delle casse malattia. Si qualifica altresì prestatore di servizi qualsiasi persona che effettui operazioni connesse con la mutua come precedentemente definite, sulla base di un contratto stipulato con il prestatore di servizi di cui al presente punto».

La legge sulle società commerciali

16

L’articolo 1, paragrafo 1, della legge sulle società commerciali così dispone:

«La presente legge disciplina la costituzione, l’organizzazione e il funzionamento delle società commerciali che dispongono di una sede sul territorio ungherese (...)».

17

L’articolo 2 di detta legge prevede quanto segue:

«1.   Le società commerciali possono essere costituite solo nelle forme previste dalla presente legge.

2.   Le società in nome collettivo (SNC) e le società in accomandita semplice (SAS) sono prive di personalità giuridica. Hanno personalità giuridica le società a responsabilità limitata (SRL) e le società per azioni (SPA)».

18

Per quanto riguarda i gruppi di società riconosciuti, l’articolo 55 della medesima legge così dispone:

«1.   Conformemente alla legge sulla contabilità, le società commerciali tenute a depositare i bilanci annuali consolidati (società controllanti) e le società per azioni o a responsabilità limitata sulle quali la società controllante esercita un’influenza determinante ai sensi della legge sulla contabilità (società controllate) possono decidere di operare come gruppi di società riconosciuti stipulando tra loro un contratto di controllo ai fini della realizzazione dei loro obiettivi commerciali comuni.

(...)

3.   L’iscrizione del funzionamento come gruppo di società riconosciuto nel registro delle imprese e delle società non comporta la creazione di un soggetto giuridico distinto dalle società commerciali del gruppo».

19

L’articolo 64, paragrafo 1, della legge sulle società commerciali enuncia quanto segue:

«Le disposizioni dell’articolo 60 si applicano anche nel caso in cui non sia stato concluso un contratto di controllo e non sia stata effettuata l’iscrizione come gruppo di società riconosciuto qualora, in seguito a una collaborazione durevole e ininterrotta di almeno tre anni tra la società controllante e la (le) società controllata(e), le società commerciali appartenenti allo stesso gruppo di società esercitino le loro attività seguendo la medesima strategia commerciale, e il loro comportamento effettivo garantisca una ripartizione prevedibile ed equilibrata dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dal funzionamento come gruppo».

La legge sulle succursali

20

L’articolo 2, lettera b), della legge sulle succursali è così formulato:

«Ai fini della presente legge, si intende per:

(...)

b)

“succursale”: qualsiasi unità di gestione priva di personalità giuridica dell’impresa straniera, dotata di autonomia commerciale, iscritta nel registro nazionale delle imprese e delle società in quanto succursale dell’impresa straniera, come forma autonoma di società».

La legge Erzsébet

21

L’articolo 1 della legge Erzsébet prevede quanto segue:

«Il programma Erzsébet mira a ridurre in misura significativa, nell’attuale contesto, il numero delle persone socialmente svantaggiate, e in particolare quello dei minori, che non hanno la possibilità di consumare più pasti al giorno, di seguire un’alimentazione sana adeguata alla loro età e di beneficiare dello stato di salute necessario per acquisire le conoscenze e il riposo necessario per la loro rigenerazione».

22

L’articolo 2 di detta legge è così formulato:

«1.   Ai fini della presente legge, si intende per:

a)

“Programma Erzsébet”: qualsiasi programma e qualsiasi prestazione avente finalità sociali organizzati e realizzati dallo Stato per conseguire gli obiettivi di cui all’articolo 1, senza scopo di lucro sul mercato,

b)

“buoni Erzsébet”: buoni emessi dalla [FNUL], utilizzabili

ba)

per l’acquisto di pasti pronti al consumo e per quello di prestazioni di ristorazione con cibi caldi nei ristoranti,

bb)

per l’acquisto di prodotti e servizi determinati forniti dietro pagamento delle imposte e delle tasse dovute dal pagatore o in esenzione fiscale,

bc)

per l’acquisto di prodotti e servizi necessari all’educazione dei figli e alle cure prodigate a questi ultimi,

bd)

per l’acquisto di prodotti e servizi determinati dalla legge a fini sociali.

2.   La [FNUL] è incaricata dell’esecuzione del programma Erzsébet.

(...)».

23

La FNUL è una fondazione di pubblica utilità registrata in Ungheria. Essa destina il patrimonio che le è stato attribuito all’organizzazione di vacanze sociali, alla fornitura di servizi e prestazioni connessi e all’esecuzione di altri programmi con finalità sociali.

24

L’articolo 6, paragrafo 1, della legge Erzsébet prevede quanto segue: «[A]i fini dell’esecuzione dei compiti relativi al programma Erzsébet, la [FNUL] può stipulare accordi con organizzazioni civili, società commerciali e qualsiasi altra persona fisica o giuridica».

25

L’articolo 7 di detta legge ne stabilisce la data di entrata in vigore.

Fase precontenziosa e procedimento dinanzi alla Corte

26

Ritenendo che, con l’adozione, durante il 2011, di una nuova normativa nazionale concernente i buoni pasto, i buoni per il tempo libero e i buoni per le vacanze, l’Ungheria fosse venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli articoli 9, 10, 14, punto 3, 15, paragrafi 1, 2, lettere b) e d), e 3, e 16 della direttiva 2006/123, nonché degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE, il 21 giugno 2012, la Commissione ha inviato una lettera di diffida a tale Stato membro. Quest’ultimo ha risposto con lettera del 20 luglio 2012 nella quale contestava le violazioni così asserite.

27

Il 22 novembre 2012, la Commissione ha adottato un parere motivato in cui affermava che detta normativa nazionale violava l’insieme delle disposizioni del diritto dell’Unione summenzionate salvo, tuttavia, l’articolo 10 di detta direttiva la cui violazione non era più lamentata. Di conseguenza, detta istituzione invitava l’Ungheria ad adottare le misure necessarie per conformarsi a detto parere motivato nel termine di un mese dalla sua ricezione.

28

Non essendo soddisfatta delle spiegazioni contenute nella risposta inviatale il 27 dicembre 2012 da tale Stato membro, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

29

Nel suo ricorso, la Commissione formula diverse censure relative alle condizioni a cui la normativa ungherese subordina l’attività di emissione di determinati strumenti convenienti sotto il profilo fiscale su presentazione dei quali un lavoratore dipendente può accedere, presso un prestatore, a talune prestazioni di alloggio, per il tempo libero e/o di ristorazione, a titolo di benefici in natura concessi a tali lavoratori dal datore di lavoro.

30

Nel caso di specie, dette censure riguardano, più precisamente, il regime giuridico applicabile a due di tali strumenti, ossia, da un lato, la carta SZÉP, e, dall’altro, i buoni Erzsébet, di cui ci si occuperà nel prosieguo.

Sulle censure attinenti alle condizioni di emissione della carta SZÉP

31

La Commissione rileva, in particolare, che, in forza dell’articolo 71, paragrafo 1, della legge IRPF, i servizi di ristorazione offerti dai ristoranti e dai locali di ristorazione pubblica, escluse le mense sul luogo di lavoro, possono essere qualificati benefici in natura ai sensi di detta legge solo nel caso di utilizzo della carta SZÉP.

32

Orbene, le condizioni di emissione di detta carta, come enunciate all’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011, sarebbero talmente restrittive che solo una cerchia estremamente ridotta di imprese potrebbe effettuare tale emissione.

33

Nel suo ricorso, la Commissione afferma, in via principale, che, a motivo di tale carattere restrittivo, dette condizioni violano, sotto molteplici profili, gli articoli da 14 a 16 della direttiva 2006/123. In subordine, essa afferma che tali medesime condizioni violano gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE.

Sulle censure vertenti sulla violazione della direttiva 2006/123

34

In via preliminare, occorre osservare che, come emerge dalle spiegazioni fornite dalle parti, la carta SZÉP è uno strumento conveniente sotto il profilo fiscale su presentazione del quale i lavoratori dipendenti possono accedere, presso prestatori vincolati contrattualmente all’emittente di detto strumento, a una gamma di prestazioni specifiche, ossia prestazioni di alloggio, determinate prestazioni per il tempo libero e prestazioni di ristorazione, sotto forma di benefici in natura concessi a tali lavoratori da parte del loro datore di lavoro; tali prestatori sono, dal canto loro, successivamente retribuiti da tale emittente conformemente agli impegni contrattuali che vincolano quest’ultimo al datore di lavoro.

35

L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del decreto del governo n. 55/2011 precisa, dal canto suo, che la carta SZÉP serve unicamente a identificare il dipendente nonché il prestatore di servizi e che essa non consente di accumulare moneta elettronica, né di eseguire operazioni dirette di pagamento.

36

Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 62 a 65 delle sue conclusioni, l’attività di emissione di tale carta non costituisce quindi un «servizio finanziario» escluso, in forza dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2006/123, dal campo di applicazione di quest’ultima, cosa che il governo ungherese, del resto, non ha messo in dubbio dinnanzi alla Corte.

– Sul primo motivo vertente su una violazione degli articoli 14, punto 3, e 15, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2006/123

Argomenti delle parti

37

Con il primo motivo, così come formulato nelle conclusioni del proprio ricorso, la Commissione chiedeva alla Corte di dichiarare che, escludendo che alcune succursali possano emettere la carta SZÉP, l’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011, in combinato disposto con gli articoli 2, paragrafo 2, lettera d), della legge sulle mutue, 2, lettera b), della legge sulle succursali, nonché 1, 2, paragrafi 1 e 2, 55, paragrafi 1 e 3, e 64, paragrafo 1, della legge sulle società commerciali, contravviene agli articoli 14, punto 3, e 15, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2006/123.

38

A seguito di un quesito della Corte, la Commissione ha, tuttavia, fatto sapere all’udienza che rinunciava al secondo capo di tale motivo vertente sulla violazione dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera b), di detta direttiva.

39

Per quanto riguarda il capo del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 14, punto 3, della medesima direttiva, la Commissione afferma che dal combinato disposto delle norme nazionali, citate al punto 37 della presente sentenza emerge che le succursali di società straniere non possono avere la qualità di «prestatore di servizi» ai sensi dell’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011 e che esse non sono pertanto autorizzate a emettere carte SZÉP.

40

Orbene, una tale esclusione violerebbe l’articolo 14, punto 3, della direttiva 2006/123 che vieta agli Stati membri, in modo assoluto e escludendo qualsiasi possibilità di giustificazione, di subordinare l’accesso a un’attività di servizi sul loro territorio a un requisito che limita la libertà del prestatore di scegliere tra essere stabilito a titolo principale o a titolo secondario, comprese le restrizioni alla libertà di scegliere tra essere stabilito in forma di rappresentanza, succursale o filiale.

41

A difesa, il governo ungherese sostiene essenzialmente che, dal momento che l’esclusione delle succursali di società straniere consente di assicurare che l’emittente di carte SZÉP sia dovutamente integrato nel tessuto economico ungherese e disponga quindi dell’esperienza e delle infrastrutture richieste, una tale misura è giustificata alla luce degli obiettivi, perseguiti nella fattispecie, di tutela dei consumatori, ossia dei lavoratori che utilizzano carte SZÉP, e di tutela dei creditori, ossia dei prestatori che accettano l’uso di tali carte, avverso i rischi connessi all’insolvibilità di tale emittente.

Giudizio della Corte

42

Si deve immediatamente rilevare che tra le parti è pacifico che, in forza dell’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011, in combinato disposto con le altre norme del diritto nazionale elencate al punto 37 della presente sentenza, le succursali ungheresi di società costituite in altri Stati membri non sono autorizzate a operare in Ungheria in qualità di emittenti di carte SZÉP.

43

Al riguardo, occorre ricordare che l’articolo 14 della direttiva 2006/123 vieta agli Stati membri di subordinare l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio sul loro territorio al rispetto di uno dei requisiti elencati ai punti da 1 a 8 di tale disposizione, in tal modo imponendo la soppressione, prioritaria e sistematica, di tali requisiti (sentenza Rina Services e a., C‑593/13, EU:C:2015:399, punto 26).

44

Tra i requisiti in questo modo vietati figurano, in particolare, come emerge dall’articolo 14, punto 3, di detta direttiva, quelli che limitano la libertà del prestatore di scegliere tra essere stabilito a titolo principale o a titolo secondario e tra essere stabilito in forma di rappresentanza, succursale o filiale. Orbene, come rilevato al punto 42 della presente sentenza, tale è precisamente il caso della normativa nazionale contestata.

45

Quanto alle giustificazioni presentate dal governo ungherese, la Corte ha già giudicato che sia dalla formulazione dell’articolo 14 della direttiva 2006/123 sia dall’impianto sistematico di tale direttiva discende che i requisiti elencati in tale articolo non possono essere giustificati (sentenza Rina Services e a., C‑593/13, EU:C:2015:399, punti da 28 a 35).

46

Al riguardo, la Corte ha segnatamente sottolineato che un tale divieto senza possibilità di giustificazione mira a garantire la soppressione sistematica e rapida di talune restrizioni alla libertà di stabilimento che, secondo il legislatore dell’Unione e la giurisprudenza della Corte, causano un grave pregiudizio al buon funzionamento del mercato interno e persegue in tal modo un obiettivo conforme al Trattato FUE (sentenza Rina Services e a., C‑593/13, EU:C:2015:399, punto 39).

47

Pertanto, benché l’articolo 52, paragrafo 1, TFUE consenta agli Stati membri di giustificare, per una delle ragioni ivi elencate, misure nazionali che costituiscono una restrizione alla libertà di stabilimento, ciò non significa tuttavia che il legislatore dell’Unione, quando adotta un atto di diritto secondario che, come la direttiva 2006/123, implementa una libertà fondamentale sancita dal Trattato, non possa limitare talune deroghe, a maggior ragione quando, come nel caso di specie, la norma di diritto secondario in discussione si limita a richiamare una giurisprudenza costante della Corte in base alla quale un requisito come quello oggetto del procedimento principale è incompatibile con le libertà fondamentali riconosciute agli operatori economici (v., in tal senso, sentenza Rina Services e a., C‑593/13, EU:C:2015:399, punto 40).

48

Alla luce di ciò, deve trovare accoglimento il primo motivo relativamente al capo vertente sulla violazione dell’articolo 14, punto 3, di detta direttiva.

– Sul secondo motivo vertente sulla violazione dell’articolo 15, paragrafi 1, 2, lettera b), e 3, della direttiva 2006/123

Argomenti delle parti

49

Con il suo secondo motivo, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che l’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011, in combinato disposto con le altre norme nazionali elencate al punto 37 della presente sentenza, non riconoscendo, ai fini delle condizioni di cui a detto articolo 13, lettere da a) a c), l’attività dei gruppi la cui società controllante non è una società costituita ai sensi del diritto ungherese e i cui membri non rivestono una delle forme societarie previste da tale diritto, contravviene all’articolo 15, paragrafi 1, 2, lettera b), e 3, della direttiva 2006/123.

50

Al riguardo, la Commissione ricorda che l’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011 prevede che, per poter emettere la carta SZÉP, il prestatore di servizi deve soddisfare i requisiti di cui a tale articolo 13, lettere da a) a c), se del caso, attraverso l’intermediazione di un gruppo di società, al quale appartiene, riconosciuto dalla legge sulle società commerciali o operante effettivamente come tale.

51

Orbene, secondo detta istituzione, conformemente agli articoli 55, paragrafi 1 e 3, e 64 di tale legge, soltanto una società commerciale può essere qualificata società controllante di un tale gruppo di società mentre, ai sensi degli articoli 1, paragrafo 1, e 2, paragrafo 1, di detta legge, una tale società commerciale deve disporre di una sede sul territorio ungherese e può essere costituita solo in una delle forme previste dalla medesima legge. Inoltre, detto articolo 55, paragrafo 1, prevederebbe che, in materia di gruppi di società, la società controllata possa essere soltanto una SPA o una SRL, costituita secondo il diritto ungherese e avente la propria sede in Ungheria.

52

Tali requisiti violerebbero pertanto l’articolo 15, paragrafi 2, lettera b), e 3, della direttiva 2006/123 che prevede che le imprese non possono essere obbligate ad avere un determinato statuto giuridico, tranne se un tale obbligo non è discriminatorio ed è necessario e proporzionato. Infatti, detti requisiti rivestirebbero un carattere discriminatorio poiché sfavoriscono palesemente le società commerciali che non hanno la propria sede in Ungheria e il governo ungherese non avrebbe, inoltre, dimostrato concretamente la necessità e la proporzionalità di questi ultimi.

53

A difesa, il governo ungherese afferma, sostanzialmente, che le restrizioni così connesse all’appartenenza a un gruppo di imprese consentono di garantire che l’emittente sia dovutamente integrato nel tessuto economico ungherese e che disponga delle infrastrutture e dell’esperienza necessarie, in particolare in materia di emissione e di gestione di titoli elettronici simili alla carta SZÉP, di modo che dette restrizioni sono giustificate rispetto agli obiettivi di tutela dei consumatori e dei creditori già evocati al punto 41 della presente sentenza.

Giudizio della Corte

54

Occorre rammentare che, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2006/123, gli Stati membri devono valutare se il loro sistema giuridico preveda requisiti come quelli di cui al paragrafo 2 di tale articolo e provvedere affinché questi ultimi siano compatibili con le condizioni di cui al paragrafo 3 del medesimo articolo.

55

L’articolo 15, paragrafo 2, lettera b), di detta direttiva riguarda i requisiti che subordinano l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio alla necessità che il prestatore abbia un determinato statuto giuridico.

56

Le condizioni cumulative elencate all’articolo 15, paragrafo 3, della medesima direttiva vertono, in primo luogo, sul carattere non discriminatorio dei requisiti in questione che non possono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell’ubicazione della sede legale; in secondo luogo, sul carattere necessario, ossia sul fatto che devono essere giustificati da un motivo imperativo di interesse generale; in terzo luogo, sulla loro proporzionalità, dato che detti requisiti devono essere tali da garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito non dovendo eccedere quanto è necessario per conseguire tale obiettivo, e non dovendo essere possibile sostituire tali requisiti con altre misure meno restrittive che permettano di conseguire lo stesso risultato.

57

L’articolo 15, paragrafo 6, della direttiva 2006/123 prevede, peraltro, che, a decorrere dal 28 dicembre 2006, gli Stati membri non possono più introdurre nuovi requisiti quali quelli indicati al paragrafo 2 di tale articolo 15, a meno che tali requisiti siano conformi alle condizioni di cui al paragrafo 3 di detto articolo.

58

Nel caso di specie, le censure formulate dalla Commissione sono volte a far accertare che le disposizioni nazionali che detta istituzione individua nel suo ricorso sanciscono requisiti del tipo di quelli di cui all’articolo 15, paragrafo 2, lettera b), di detta direttiva, e che, nel caso in cui detti requisiti non soddisfino le condizioni enunciate al paragrafo 3 di tale articolo 15, tali disposizioni nazionali contravvengono ai paragrafi da 1 a 3 di detto articolo.

59

Si deve pertanto verificare se i requisiti discendenti da dette disposizioni nazionali rientrino, come afferma la Commissione, nell’articolo 15, paragrafo 2, lettera b), della medesima direttiva.

60

Al fine di determinare la portata di quest’ultima disposizione, occorre riferirsi non soltanto alla sua formulazione, ma altresì alla sua finalità e alla sua economia nell’ambito del sistema stabilito dalla direttiva 2006/123 (v., per analogia, sentenza Femarbel, C‑57/12, EU:C:2013:517, punto 34).

61

L’articolo 15, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva riguarda, secondo la sua formulazione, le ipotesi in cui si esige dal «prestatore» che esso «abbia» un «determinato statuto giuridico».

62

A tal riguardo, dal considerando 73 di detta direttiva emerge che tale è il caso, ad esempio, allorché si è tenuti a ricorrere alla personalità giuridica, alla costituzione di una società unipersonale, a ricorrere a un’organizzazione senza scopo di lucro o, ancora, a una società di proprietà di sole persone fisiche. Come suggerisce sia la non esaustività di detto elenco sia il contenuto di quest’ultimo, la nozione di «determinato statuto giuridico» utilizzata all’articolo 15, paragrafo 2, lettera b), della medesima direttiva deve essere intesa in senso ampio.

63

Una tale ampia interpretazione è, peraltro, conforme all’obiettivo della direttiva 2006/123 che, come emerge dai suoi considerando 2 e 5, mira a eliminare le restrizioni alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri, al fine di contribuire alla realizzazione del mercato interno libero e concorrenziale (v., in particolare, sentenza Société fiduciaire nationale d’expertise comptable, C‑119/09, EU:C:2011:208, punto 26). Infatti, la normativa di uno Stato membro che esige che il prestatore abbia una forma o uno statuto giuridico determinati costituisce una restrizione considerevole alla libertà di stabilimento dei prestatori e alla libera circolazione dei servizi (v. in tal senso, in particolare, sentenze Commissione/Italia, C‑439/99, EU:C:2002:14, punto 32, nonché Commissione/Portogallo, C‑171/02, EU:C:2004:270, punti 4142).

64

Nel caso di specie, dall’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011, in combinato disposto con le altre norme menzionate al punto 37 della presente sentenza, in particolare con quelle contenute nella legge sulle società commerciali, discende che la qualità di emittente di carte SZÉP può, nel caso in cui il prestatore miri a soddisfare le condizioni di cui a detto articolo 13 assieme a un’altra società nell’ambito di un gruppo di società, segnatamente, essere subordinata alla condizione che detto emittente sia incorporato all’interno di un gruppo di società in cui, da un lato, riveste la forma di una società commerciale e, più specificamente, quella o di una SPA o di una SRL di diritto ungherese e, dall’altro, costituisce una controllata di una società commerciale di diritto ungherese la quale soddisfa essa stessa le condizioni enunciate all’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011.

65

In casi simili, si esige quindi dal prestatore di servizi, allo stesso tempo, che esso disponga della personalità giuridica, che rivesta, al riguardo, la forma di una società commerciale e inoltre di un tipo ben specifico e che costituisca la controllata di una società che abbia essa stessa forma commerciale. Condizioni di tal genere hanno così come conseguenza di imporre a detto emittente diverse limitazioni relative al suo statuto giuridico, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2006/123.

66

Ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2006/123, i requisiti di cui al paragrafo 2 di tale articolo non sono incompatibili con le norme di tale direttiva a condizione, tra l’altro, che essi non siano direttamente o indirettamente discriminatori in funzione, trattandosi di società, dell’ubicazione della loro sede legale.

67

Nel caso di specie, le limitazioni di cui al punto 65 della presente sentenza sono accompagnate dalla necessità che il prestatore di servizi nonché la società controllante del gruppo di società del quale eventualmente fa parte siano costituiti ai sensi del diritto ungherese, cosa che, in forza degli articoli 1, paragrafo 1, 2 e 55, paragrafo 1, della legge sulle società commerciali, implica che la loro sede legale si trovi in Ungheria.

68

Ne consegue che le condizioni di cui all’articolo 15, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2006/123 non sono soddisfatte.

69

Ancorché una tale conclusione sia sufficiente per concludere nel senso dell’inosservanza delle condizioni enunciate a detto articolo 15, paragrafo 3, essendo dette condizioni cumulative, occorre peraltro rilevare che, limitandosi ad affermare, per giustificare i requisiti che attengono allo statuto giuridico dell’emittente di carte SZÉP e della controllante di quest’ultimo, che sarebbe essenziale che tale emittente e la sua controllata siano integrati nel tessuto economico ungherese e che detto emittente disponga dell’esperienza e dell’infrastruttura richieste, il governo ungherese non ha fatto valere alcun elemento o argomento concreto idoneo a spiegare per quali motivi tali requisiti sarebbero necessari e proporzionati ai fini di assicurare che gli emittenti di carte SZÉP offrano le garanzie di solvibilità finanziaria, di professionalità e di accessibilità che risulterebbero richieste ai fini del raggiungimento degli asseriti obiettivi di tutela degli utilizzatori di tali carte e dei creditori.

70

Tenuto conto di tutto quanto precede, si deve dichiarare che i requisiti relativi allo statuto giuridico dell’emittente di carte SZÉP che discendono dall’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011 e individuate al punto 65 della presente sentenza contravvengono all’articolo 15, paragrafi 1, 2, lettera b), e 3, della direttiva 2006/123, e pertanto il secondo motivo deve trovare accoglimento.

– Sul terzo motivo vertente sulla violazione dell’articolo 15, paragrafi 1, 2, lettera d), e 3, della direttiva 2006/123

Argomenti delle parti

71

Con il suo terzo motivo, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che l’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011, in combinato disposto con le altre disposizioni nazionali enumerate al punto 37 della presente sentenza, riserva la facoltà di emettere la carta SZÉP alle banche e agli istituti finanziari in quanto unici enti in grado di soddisfare le condizioni di cui a tale articolo 13, contravvenendo alle disposizioni dell’articolo 15, paragrafi 1, 2, lettera d), e 3, della direttiva 2006/123.

72

Secondo la Commissione, le condizioni richieste dall’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011, secondo le quali un emittente della carta SZÉP deve, in primo luogo, disporre, in ogni comune dell’Ungheria la cui popolazione è superiore a 35000 abitanti, di un ufficio aperto al pubblico, in secondo luogo, avere, nel suo ultimo esercizio economico completo, emesso esso stesso, nell’ambito del suo servizio di pagamento, almeno 100000 strumenti di pagamento diversi dal contante, e, in terzo luogo, aver maturato almeno due anni di esperienza in materia di emissione di carte di buoni elettronici che danno diritto a prestazioni in natura ai sensi della legge IRPF e avere emesso oltre 25000 carte di buoni durante il suo ultimo esercizio economico completo, porterebbe infatti a esigere da ogni emittente di carte SZÉP che esso eserciti un’attività principale che corrisponda a quella degli enti bancari e finanziari.

73

Al riguardo, emergerebbe peraltro dal registro gestito dall’Ufficio ungherese delle licenze commerciali che solo tre società bancarie aventi la loro sede legale in Ungheria sono state in grado di soddisfare dette condizioni.

74

Orbene, la Commissione è del parere che il requisito dell’esercizio di un’attività principale di tipo bancario e finanziario non soddisfi le condizioni elencate all’articolo 15, paragrafi 2, lettera d), e 3, della direttiva 2006/123 la quale prevede che qualora norme nazionali riservino così l’accesso a un’attività di servizi a prestatori particolari a motivo della natura specifica di tale attività, una tale restrizione deve essere non discriminatoria, necessaria e proporzionata.

75

Da un lato, le condizioni elencate all’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011 porterebbero a una discriminazione indiretta dal momento che possono essere rispettate solo dalle imprese già precedentemente stabilite sul mercato ungherese e impediscono, in tal modo, a nuove imprese di penetrare in quest’ultimo, come confermerebbe la constatazione menzionata al punto 73 della presente sentenza.

76

Dall’altro lato, tali condizioni non sarebbero né necessarie né proporzionate.

77

In primo luogo, il governo ungherese non avrebbe segnalato le concrete problematiche sorte durante la vigenza della normativa precedentemente in vigore che autorizzava l’emissione, da parte di una cerchia molto più ampia di imprese, di buoni utilizzabili per ottenere vantaggi in natura. In secondo luogo, l’esame della situazione esistente negli altri Stati membri rivelerebbe che questi ultimi non prevedono requisiti paragonabili a quelli così istituiti in Ungheria. In terzo luogo, gli obiettivi di tutela dei consumatori e dei creditori invocati dal governo ungherese potrebbero essere soddisfatti per mezzo di misure meno restrittive quali, ad esempio, l’attuazione di un sistema di sorveglianza degli emittenti o di un meccanismo di garanzia bancaria nonché il ricorso a un servizio di chiamate telefoniche o a rappresentanti commerciali. In quarto luogo, anche gli istituti di credito ai quali sono così assimilati gli emittenti di carte SZÉP non sarebbero, in Ungheria, sottoposti a condizioni giuridiche analoghe a quelle che prevede l’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011.

78

A difesa, il governo ungherese invoca due motivi imperativi di interesse generale idonei, a suo avviso, a giustificare i requisiti elencati da detto articolo 13, lettere da a) a c), ossia, la tutela dei consumatori, utilizzatori di carte SZÉP, e quella dei creditori che accettano l’uso di tali carte, avverso i rischi connessi a un’insolvibilità dell’emittente della carta e a un’incapacità di quest’ultimo di assolvere efficacemente le prestazioni che incombono su di esso.

79

Detto governo sostiene, al riguardo, che, alla data del deposito del suo controricorso, circa un milione di carte SZÉP erano già state emesse e quasi 55000 contratti conclusi dalle imprese emittenti con prestatori di servizi, mentre le cifre disponibili relative all’anno 2013 rivelerebbero che, durante quest’ultimo anno, ha circolato l’equivalente di quasi EUR 227 milioni a seguito di più di 20 milioni di transazioni effettuate per mezzo di tali carte.

80

Tenuto conto dell’ampiezza della gestione logistica e finanziaria così attesa da parte degli emittenti di carte SZÉP, i requisiti stabiliti dall’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011 sarebbero allo stesso tempo necessari e proporzionati rispetto agli obiettivi di tutela menzionati al punto 76 della presente sentenza, garantendo che tali emittenti dispongano di una rete estesa di punti di servizio situati vicino al pubblico offrendo a quest’ultimo la possibilità di contatti personali, di una base finanziaria stabile e proporzionata al fatturato previsto, di un’esperienza in materia di gestione di somme importanti e di emissione di carte elettroniche simili alla carta SZÉP nonché di un metodo di funzionamento trasparente e controllato a livello finanziario.

Giudizio della Corte

81

Occorre ricordare che l’articolo 15, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2006/123 riguarda i requisiti che riservano l’accesso a un’attività di servizio a prestatori particolari a motivo della natura specifica dell’attività.

82

Nel caso di specie, si deve immediatamente rilevare che, pur ammettendo che le disposizioni dell’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011 non comportino, secondo la loro formulazione, una previsione espressa secondo cui l’emissione di carte SZÉP è riservata ai soli enti bancari o finanziari, la Commissione afferma che, dal momento che le condizioni previste da tali disposizioni possono, in pratica, essere soddisfatte solo da tali operatori, disposizioni nazionali di tal genere rientrano nell’ambito dell’ipotesi di cui all’articolo 15, paragrafo 2, lettera d), della medesima direttiva.

83

Dal canto suo, il governo ungherese, che non contesta che tale è realmente l’effetto concreto delle disposizioni nazionali controverse, tenta, al contrario, di esporre le ragioni per cui è, a suo parere, pienamente giustificato, rispetto ai rischi che circondano l’emissione e la gestione di carte SZÉP e alla complessità e al carattere particolarmente delicato di una tale attività, che essa sia riservata a enti bancari o finanziari, dal momento che questi ultimi offrono le garanzie allo stesso tempo finanziarie, cautelative, di consulenza e di accessibilità richieste in tale ambito.

84

Alla luce di tali circostanze, occorre verificare se i requisiti stabiliti dall’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011, per i quali è così pacifico tra le parti che abbiano, mediante la loro combinazione, per effetto, se non per oggetto, di riservare l’accesso all’emissione di carte SZÉP a prestatori particolari a motivo della natura specifica di tale attività, soddisfino, come sostiene il governo ungherese e contesta la Commissione, le condizioni enunciate all’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2006/123.

85

Al riguardo, si deve innanzitutto verificare, tenuto conto dell’articolo 15, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2006/123, se detti requisiti non siano né direttamente né indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell’ubicazione della loro sede legale.

86

Tenuto conto della natura dei requisiti previsti dall’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011 che risultano, a priori, suscettibili di essere soddisfatti solo da persone giuridiche, occorre immediatamente constatare che tale disposizione, che non enuncia alcuna condizione esplicita quanto all’ubicazione della sede legale dell’emittente di carte SZÉP, non implica, in quanto tale, e fatta salva la constatazione già effettuata ai punti 67 e 68 della presente sentenza, una discriminazione diretta fondata su un tale criterio.

87

Al contrario, si deve rilevare che, dal fatto, in particolare, che detta disposizione preveda, come emerge dall’articolo 13, lettera a), del decreto del governo n. 55/2011, che l’emittente di carte SZÉP debba disporre, in ogni comune dell’Ungheria di più di 35000 abitanti, di un ufficio aperto al pubblico, i requisiti cumulativi enunciati all’articolo 13, lettere da a) a c), di tale decreto del governo sono, nel caso di specie, come confermato dalla constatazione effettuata dalla Commissione e non contestata dal governo ungherese, riportata al punto 73 della presente sentenza, suscettibili di essere soddisfatti solamente da enti bancari o finanziari che hanno la loro sede legale in detto Stato membro.

88

Benché fondati su altri criteri, diversi da quello dell’esistenza di una sede legale nello Stato membro interessato, detti requisiti possono così portare di fatto al medesimo risultato della previsione di una condizione relativa all’esistenza di una tale sede, di modo che essi devono essere considerati, come emerge in particolare dal considerando 65 della direttiva 2006/123, tali da poter generare una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva.

89

Come è stato sottolineato al punto 42 della presente sentenza, è peraltro pacifico tra le parti che, in forza dell’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011, in combinato disposto con le altre disposizioni del diritto nazionale elencate al punto 37 della presente sentenza, soltanto le società che hanno la loro sede legale in Ungheria, ad eccezione delle succursali ungheresi di società costituite in un altro Stato membro, possono operare in Ungheria come emittenti della carta SZÉP.

90

Poiché le condizioni elencate all’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 sono cumulative, come è stato ricordato al punto 69 della presente sentenza, una tale constatazione è sufficiente per accertare il mancato rispetto di tale disposizione.

91

Peraltro, e anche supponendo che requisiti quali quelli istituiti dalle disposizioni dell’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011 perseguano, come sostenuto dal governo ungherese, un obiettivo di tutela dei consumatori e dei creditori, mirando a garantire che gli emittenti di carte SZÉP offrano garanzie sufficienti in termini di solvibilità finanziaria, di professionalità e di accessibilità, si deve rilevare che tale governo non ha dimostrato in particolare che requisiti di tal genere soddisfino le condizioni enunciate all’articolo 15, paragrafo 3, lettera c), di detta direttiva, in particolare quella vertente sull’assenza di misure meno restrittive per conseguire il risultato perseguito.

92

Al riguardo, si deve constatare che, mediante il loro effetto combinato, detti requisiti portano a riservare l’emissione di carte SZÉP alle sole istituzioni che possono vantare, contemporaneamente, un’esperienza in materia di emissione sia di strumenti di pagamento diversi dai contanti sia di strumenti elettronici che danno diritto a vantaggi in natura secondo la normativa nazionale di cui trattasi e di disporre di numerosi uffici stabiliti sul territorio ungherese.

93

Orbene, anche supponendo che si possa ignorare il carattere discriminatorio di detti requisiti, occorre rilevare che misure meno vincolanti e restrittive della libertà di stabilimento di quelle che derivano dall’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011 consentirebbero di conseguire gli obiettivi invocati dal governo ungherese, ossia assicurarsi che gli emittenti di carte SZÉP offrano le garanzie di solvibilità finanziaria, di professionalità e di accessibilità che risultano necessarie per la tutela degli utilizzatori di tali carte e dei creditori.

94

Come ha affermato la Commissione, sembra che ciò valga anche per misure che, purché ci si assicuri che soddisfino i requisiti del diritto dell’Unione, sarebbero volte, ad esempio, a sottoporre gli emittenti di carte SZÉP a un sistema di sorveglianza o a un meccanismo di garanzia bancaria o di assicurazione (v., per analogia, sentenza Commissione/Portogallo, C‑171/02, EU:C:2004:270, punto 43) e che prevederebbero un ricorso, da parte dell’emittente, a servizi di telefonia o ad agenti commerciali.

95

Dalle precedenti considerazioni discende che le condizioni elencate all’articolo 13, lettere da a) a c), del decreto del governo n. 55/2011, contravvengono alle disposizioni dell’articolo 15, paragrafi 1, 2, lettera d), e 3, della direttiva 2006/123 cosicché il terzo motivo deve essere accolto.

– Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 16 della direttiva 2006/123

Argomenti delle parti

96

Con il suo quarto motivo, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che, nei limiti in cui l’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011 richiede, per l’emissione della carta SZÉP, l’esistenza di uno stabilimento in Ungheria, detta disposizione contravviene all’articolo 16 della direttiva 2006/123.

97

Infatti, l’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva vieterebbe espressamente agli Stati membri di imporre a un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro un obbligo di essere stabilito sul loro territorio, a meno che le condizioni enunciate al paragrafo 1 di tale articolo 16 siano soddisfatte, ossia che la misura di cui trattasi sia non discriminatoria, giustificata da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente e che essa sia necessaria e proporzionata.

98

Orbene, i motivi generali di tutela dei consumatori e dei creditori invocati dal governo ungherese non rientrerebbero nelle categorie di obiettivi così menzionati all’articolo 16, paragrafo 1, di detta direttiva e tale governo, inoltre, rispetto agli obiettivi che invoca, non avrebbe dimostrato in alcun modo la necessità e la proporzionalità della misura contestata.

99

La Commissione contesta, peraltro, il fatto che l’articolo 16 della medesima direttiva non si applicherebbe nel caso di specie. Secondo detta istituzione, sarebbe in pratica, e contrariamente a ciò che sostiene il governo ungherese al riguardo, senz’altro ipotizzabile che un’impresa stabilita in un altro Stato membro emetta carte SZÉP in via transfrontaliera, segnatamente in partenza e a destinazione di zone relativamente vicine al confine, senza essere peraltro stabilita in Ungheria. Inoltre, una tale impresa avrebbe altresì il diritto di utilizzare, sul territorio ungherese, l’infrastruttura necessaria ai fini del compimento della sua prestazione senza essere tenuta a stabilirvisi.

100

A difesa, il governo ungherese fa valere, in via preliminare, che la normativa relativa alla carta SZÉP dovrebbe essere esaminata soltanto rispetto alla libertà di stabilimento, dal momento che la libera prestazione di servizi sarebbe, nel caso di specie, del tutto secondaria rispetto alla libertà di stabilimento e potrebbe essere a essa collegata. Secondo detto governo, l’emissione di carte di tal genere implica, infatti, in particolare in considerazione degli elementi di cui si è già dato atto al punto 79 della presente sentenza, che l’operatore sia radicato nel tessuto economico e sociale dello Stato membro del luogo della prestazione e che vi offra i propri servizi a partire da uno stabilimento situato in tale Stato membro, in modo stabile e continuativo e ciò a copertura di tutto il territorio di detto Stato membro e non soltanto di certe zone di confine.

101

Il governo ungherese afferma inoltre che, anche supponendo che un prestatore di servizi desideri esercitare una tale attività nell’ambito di un’attività transfrontaliera, le caratteristiche oggettive dell’attività in questione e gli obiettivi di interesse generale di tutela dei consumatori e dei creditori già evocate giustificherebbero allora che la normativa nazionale controversa colleghi l’esercizio di tale attività a condizioni rigorose, che solo i prestatori stabiliti in Ungheria sono in grado di soddisfare.

Giudizio della Corte

102

Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2006/123, gli Stati membri non possono limitare la libera prestazione di servizi da parte di un prestatore stabilito in un altro Stato membro imponendo l’obbligo per il prestatore di essere stabilito sul loro territorio.

103

Come emerge dell’articolo 4, punto 5, di tale direttiva, per «stabilimento» si deve intendere l’esercizio effettivo di un’attività economica di cui all’articolo 49 TFUE, a tempo indeterminato, da parte del prestatore, con un’infrastruttura stabile a partire dalla quale viene effettivamente svolta l’attività di prestazione di servizi.

104

A tale riguardo, occorre ricordare innanzitutto che l’articolo 13, lettera a), del decreto del governo n. 55/2011 sottopone l’attività di emissione di carte SZÉP, attività in riferimento alla quale è pacifico che essa costituisce un’attività economica di cui all’articolo 49 TFUE, alla condizione, in particolare, che l’emittente disponga di uffici aperti al pubblico in tutti i comuni dell’Ungheria con più di 35000 abitanti.

105

Orbene, è evidente che, così facendo, detta disposizione impone a tutti i prestatori desiderosi di esercitare detta attività di disporre, in Ungheria, di un’infrastruttura stabile a partire dalla quale l’attività di prestazione di servizi venga effettivamente svolta.

106

Tale è, del resto, il caso, nelle diverse ipotesi di cui all’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011, ossia a seconda che il prestatore disponga di tali uffici personalmente o attraverso l’intermediazione di un gruppo di società del quale fa parte o ancora assieme ad una mutua, alla quale il prestatore di servizi sia vincolato da un rapporto contrattuale da almeno cinque anni. A tal riguardo occorre infatti rilevare che, come emerge dal considerando 37 della direttiva 2006/123, uno stabilimento potrebbe anche assumere la forma di un ufficio gestito da una persona indipendente dal prestatore, ma autorizzata ad agire su base permanente per conto di quest’ultimo, come nel caso di una rappresentanza.

107

Da quanto precede discende che l’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011 istituisce, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), di detta direttiva, un obbligo per l’emittente di carte SZÉP di essere stabilito sul territorio ungherese.

108

Deve, al riguardo, essere respinta l’obiezione del governo ungherese, vertente sul fatto che l’articolo 16 della direttiva 2006/123 cesserebbe asseritamente di trovare applicazione qualora una misura nazionale violi contemporaneamente tale articolo e le norme di tale direttiva relative alla libertà di stabilimento, e risulti che il ricorso alla prestazione transfrontaliera di servizi riveste carattere puramente teorico o, in ogni caso, molto meno frequente, in pratica, rispetto al ricorso alla libertà di stabilirsi nello Stato membro interessato ai fini di fornire ivi alcuni servizi.

109

Da un lato, si deve constatare che il governo ungherese non ha dimostrato che sarebbe così in pratica impossibile e privo d’interesse per un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro fornire un servizio, quale l’emissione e la gestione di carte SZÉP, in un altro Stato membro senza disporre in quest’ultimo di un’infrastruttura stabile dalla quale venga effettivamente svolta l’attività di prestazione di servizi.

110

Dall’altro lato, si deve rilevare che l’argomento del governo ungherese non trova alcun riscontro né nell’articolo 16 della direttiva 2006/123, né in nessun’altra disposizione di quest’ultima e viola, inoltre, gli obiettivi essenziali perseguiti, nella fattispecie, dal legislatore dell’Unione.

111

Infatti, a tale riguardo occorre innanzitutto ricordare che, come risulta dall’articolo 1 di detta direttiva, in combinato disposto con i considerando 2 e 5 di quest’ultima, essa stabilisce norme generali tese a eliminare le restrizioni alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra questi ultimi, al fine di contribuire alla realizzazione di un mercato interno libero e concorrenziale (v. sentenza Femarbel, C‑57/12, EU:C:2013:517, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

112

Ai sensi di detto considerando 5, la stessa direttiva è volta così, in particolare, a consentire al prestatore di servizi di espandere le proprie attività di servizio nel mercato interno o stabilendosi in uno Stato membro o servendosi della libera circolazione dei servizi, potendo scegliere tra tali due libertà in funzione della sua strategia di sviluppo in ciascuno Stato membro.

113

In seguito, discende dalla formulazione degli articoli 2, paragrafo 1, e 4 della direttiva 2006/123 che quest’ultima si applica a qualsiasi attività economica autonoma, fornita normalmente dietro retribuzione da un prestatore stabilito in uno Stato membro, che risieda o meno in modo stabile e continuativo nello Stato membro di destinazione, ad eccezione delle attività espressamente escluse (v., in tal senso, sentenza Femarbel, C‑57/12, EU:C:2013:517, punto 32).

114

Infine, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, primo comma, di detta direttiva, gli Stati membri devono rispettare il diritto dei prestatori di fornire servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui tali prestatori sono stabiliti. Dal canto suo, il paragrafo 2, lettera a), di tale articolo 16 prevede che gli Stati membri non possono restringere la libera prestazione di servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro imponendo l’obbligo per il prestatore di essere stabilito sul loro territorio.

115

Deve altresì essere respinto, l’argomento del governo ungherese volto, in subordine, a giustificare la restrizione controversa mediante considerazioni tratte dalla tutela dei consumatori e dei creditori, ossia assicurare che gli emittenti di carte SZÉP offrano sufficienti garanzie di solvibilità finanziaria, di professionalità e di accessibilità.

116

A tal riguardo, infatti, e indipendentemente, da un lato, dalla questione se un requisito come quello di cui all’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2006/123 sia, ai sensi di tale articolo 16, giustificabile, e, dall’altro, dalla circostanza che gli obiettivi cui fa così riferimento il governo ungherese non figurano tra i motivi imperativi d’interesse generale ai quali si riferiscono i paragrafi 1 e 3 di detto articolo 16, è sufficiente, nel caso di specie, rilevare che, anche rispetto a detti obiettivi, un requisito come quello posto dall’articolo 13, lettera a), del decreto del governo n. 55/2011 non soddisferebbe, in ogni caso, la condizione di proporzionalità enunciata all’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), di tale direttiva, dal momento che misure meno vincolanti e restrittive della libera prestazione di servizi di quelle discendenti da detto requisito, quali, ad esempio, quelle menzionate al punto 94 della presente sentenza, consentirebbero, supponendo che esse siano conformi al diritto dell’Unione, di conseguire tali obiettivi.

117

Dalle considerazioni che precedono discende che il quarto motivo deve essere accolto.

Sui motivi vertenti sulla violazione degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE

118

Poiché le censure della Commissione dedotte in via principale e vertenti sulla violazione degli articoli da 14 a 16 della direttiva 2006/123 sono state accolte nel caso di specie, non occorre esaminare i motivi vertenti sulla violazione degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE che detta istituzione ha formulato in subordine.

Sui motivi vertenti sulle condizioni di emissione dei titoli Erzsébet

Argomenti delle parti

119

Nelle conclusioni del suo ricorso, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che, poiché il sistema dei buoni Erzsébet disciplinato dalla legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, e la legge Erzsébet, stabilisce un monopolio a favore di enti pubblici nell’ambito dell’emissione di buoni per pasti freddi e poiché esso è entrato in vigore senza essere stato preceduto da un adeguato periodo di transizione né da appropriate misure transitorie, esso è in contrasto con gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE, nei limiti in cui gli articoli 1, 5 e 477 della legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, nonché gli articoli 2, paragrafi 1 e 2, 6 e 7 della legge Erzsébet prevedono restrizioni sproporzionate.

120

La Commissione rileva che, in forza dell’articolo 71, paragrafo 1, della legge IRPF, come modificato dalla legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, l’acquisto di pasti pronti al consumo continua a essere qualificata come vantaggio in natura solo se avviene mediante l’uso di buoni Erzsébet. Essa sottolinea, peraltro, che, in forza delle disposizioni nazionali menzionate al punto precedente della presente sentenza, soltanto la FNUL ha la facoltà di emettere buoni di tal genere.

121

Orbene, la situazione monopolistica così generata sul mercato dall’emissione dei titoli che danno diritto a un tale vantaggio in natura impedirebbe qualsiasi esercizio, da parte degli operatori stabiliti in altri Stati membri, delle loro libertà di prestazione di servizi e di stabilimento in relazione a detta attività e violerebbe, in questo modo, gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE. La Commissione precisa, al riguardo, che il suo ricorso verte solo su tale aspetto del sistema dei buoni Erzsébet, e in nessun modo sulle politiche sociali attuate dalla FNUL nell’ambito del programma avente il medesimo nome, quali gli aiuti diretti e mirati alle persone socialmente svantaggiate.

122

Secondo la Commissione, dal momento che l’attività di emissione di buoni sui cui verte il presente ricorso è esercitata dietro remunerazione, una tale attività, che era peraltro esercitata precedentemente in Ungheria, e continua ad esserlo in diversi Stati membri, da parte di società commerciali, costituisce un’attività economica che rientra nel campo di applicazione del Trattato. La Commissione afferma, facendo riferimento alla sentenza Cisal (C‑218/00, EU:C:2002:36), che una tale attività non può, in particolare, essere considerata una misura di natura sociale, dal momento che la decisione di far beneficiare o meno i dipendenti dei buoni Erzsébet a titolo di vantaggi in natura, in condizioni fiscalmente favorevoli, spetta in modo discrezionale al datore di lavoro, senza che sia perseguito un obiettivo sociale che attui il principio della solidarietà sotto il controllo dello Stato.

123

Peraltro, la Commissione è del parere che il monopolio contestato non sia giustificato, nel caso di specie, da alcun motivo imperativo di interesse generale né soddisfi i requisiti discendenti dal principio di proporzionalità.

124

Da un lato, infatti, non possono essere invocate a titolo di tali motivi imperativi né la circostanza che i benefici dell’attività in questione devono essere esclusivamente destinati dalla FNUL alla realizzazione di obiettivi sociali, né un’asserita insufficienza delle risorse di bilancio disponibili che possa costituire un rischio di un grave danno all’equilibrio finanziario del sistema di previdenza sociale. Nel caso di specie, il monopolio contestato non sarebbe nemmeno conforme alla necessità di garantire la coerenza del sistema fiscale ungherese.

125

Dall’altro lato, per conseguire l’obiettivo di finanziamento delle prestazioni sociali perseguito nella fattispecie, esisterebbero altri mezzi meno restrittivi rispetto all’istituzione di un tale monopolio quali, ad esempio, il ricorso a un bilancio pubblico, il prelievo di un contributo di solidarietà sui benefici in natura in questione, una riduzione dello sgravio fiscale a essi relativa o, ancora, l’acquisto di buoni Erzsébet da parte dei pubblici poteri per la distribuzione di questi ultimi ai più indigenti, se non addirittura la previsione di un obbligo, a carico degli emittenti, di porre buoni di tal genere a disposizione delle autorità incaricate degli affari sociali.

126

Inoltre, il monopolio controverso sarebbe stato istituito senza essere preceduto da un adeguato periodo di transizione generando in tal modo importanti perdite per le imprese fino a quel momento presenti sul mercato interessato.

127

A difesa, il governo ungherese eccepisce l’irricevibilità delle censure della Commissione in quanto le conclusioni del ricorso non sarebbero precise e sarebbero equivoche.

128

A tal riguardo, dette conclusioni conterrebbero, innanzitutto, un errore materiale, nella parte in cui si riferiscono agli articoli 1 e 5 della legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, invece che all’articolo 1, paragrafo 5, di tale legge. L’articolo 477 di detta legge, poi, e l’articolo 7 della legge Erzsébet riguarderebbero soltanto l’entrata in vigore di tali leggi e non potrebbero pertanto implicare una violazione del diritto dell’Unione. Infine, neppure risulterebbe chiaramente per quale motivo la Commissione asserisca una violazione di tale diritto in virtù degli articoli 2, paragrafi 1 e 2, e 6 della legge Erzsébet.

129

Inoltre, la circostanza che la Commissione faccia riferimento all’insieme delle disposizioni determinanti della normativa relativa al programma Erzsébet sarebbe in contraddizione con l’affermazione di detta istituzione, secondo cui il presente ricorso non riguarda le politiche sociali attuate nell’ambito di tale programma.

130

Nel merito, il governo ungherese sostiene, in via principale, che soltanto se uno Stato membro ha scelto di considerare un’attività come un’attività economica ordinaria quest’ultima è aperta alla libera concorrenza e soggetta alle norme del Trattato.

131

Orbene, ciò non avverrebbe per l’emissione di buoni Erzsébet la quale non consisterebbe nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato, vale a dire a condizioni di mercato e a fini di lucro, poiché le entrate provenienti da tale attività, in forza della legge Erzsébet, devono essere destinate dalla FNUL allo svolgimento di compiti di interesse generale che le sono attribuiti.

132

Per quanto riguarda la giurisprudenza avviata a partire dalla sentenza Cisal (C‑218/00, EU:C:2002:36), il governo ungherese sostiene che il programma Erzsébet si basa effettivamente sul principio di solidarietà, poiché i buoni Erzsébet sarebbero altresì attribuiti come aiuto sociale diretto in funzione delle risorse dei beneficiari e che, anche qualora tali buoni siano offerti dai datori di lavoro ai loro dipendenti come corrispettivo salariale, detti datori di lavoro agirebbero, contemporaneamente, come operatori consapevoli del finanziamento di detti programmi sociali. Un controllo sarebbe peraltro esercitato dallo Stato poiché la FNUL espleterebbe compiti di servizio pubblico decretati da quest’ultimo, e un delegato del ministro incaricato del programma Erzsébet avrebbe il compito di formulare proposte in vista dello sviluppo di tale programma e di predisporre la regolamentazione necessaria all’esecuzione di quest’ultimo.

133

Grazie all’effetto della nuova regolamentazione in vigore, l’emissione dei buoni Erzsébet sarebbe stata così integrata nel sistema di tutela sociale di cui essa alimenta le risorse incitando fiscalmente i datori di lavoro a contribuire a detto sistema, cosa che sarebbe conforme al principio secondo cui il diritto dell’Unione non pregiudica la competenza degli Stati membri a organizzare i propri sistemi previdenziali e ne assicura liberamente il finanziamento e l’equilibrio finanziario.

134

Inoltre, il governo ungherese sostiene che, nei limiti in cui buoni quali i buoni Erzsébet danno diritto a un’agevolazione fiscale e hanno così ragion d’essere solo nell’ambito della politica fiscale di un dato Stato membro, il mercato di detti buoni non sarebbe un mercato transfrontaliero, ma un mercato prettamente nazionale che esiste solo se lo Stato membro interessato lo crea, di modo che quest’ultimo sarebbe segnatamente libero di decidere se emettere esso stesso detti strumenti di politica fiscale o se aprire tale attività alla concorrenza.

135

Peraltro, un’analogia con la situazione in materia di attività di giochi d’azzardo non potrebbe sussistere, dal momento che non sussisterebbe, nel caso di specie, la possibilità che un emittente penetri nel mercato di un dato Stato membro con buoni emessi e posti in circolazione nel quadro della normativa fiscale propria di un altro Stato membro né, pertanto, un’attività «analoga» esercitata nel primo Stato membro.

136

In subordine, il governo ungherese sostiene che l’instaurazione di un monopolio di Stato è in ogni caso giustificata da motivi imperativi tratti da considerazioni di politica sociale, salariale e fiscale.

137

In primo luogo, rientra, a tal riguardo, nella politica sociale di ogni Stato membro scegliere liberamente le modalità di finanziamento delle prestazioni sociali sul proprio territorio. A differenza delle attività di gioco e di scommesse che generano rischi di dipendenza e di frodi e devono pertanto essere controllate e ridotte, non sussisterebbe, trattandosi dell’emissione dei buoni Erzsébet, alcun valido motivo per esigere che il finanziamento delle attività di interesse pubblico resti una semplice conseguenza vantaggiosa accessoria.

138

In secondo luogo, poiché ogni Stato membro è libero di stabilire in che misura buoni di tal genere diano diritto a un’agevolazione fiscale, possano essere distribuiti ai dipendenti e l’entità di tale agevolazione, esso resterebbe altresì libero di riservarsene l’emissione a titolo delle proprie politiche salariale e fiscale.

139

Quanto alle misure asseritamente meno pregiudizievoli per la concorrenza invocate dalla Commissione, il governo ungherese fa valere che, anche se un obiettivo di interesse generale perseguito da uno Stato membro potesse essere raggiunto con altri mezzi come, ad esempio, l’organizzazione dell’attività in base al mercato o la tassazione di tale attività, la Corte avrebbe già riconosciuto, nella sentenza Läärä e a. (C‑124/97, EU:C:1999:435), che affidare l’attività in questione a un ente di diritto pubblico tenuto a destinare la totalità delle sue entrare a un obiettivo definito è il mezzo più efficace per conseguire l’obiettivo perseguito.

140

Peraltro, per quanto riguarda l’asserita mancanza di un periodo di transizione sufficiente, il governo ungherese sostiene che la Commissione non ha suffragato le proprie affermazioni relative alle conseguenze concrete, per gli operatori interessati, dell’entrata in vigore delle disposizioni nazionali che istituiscono il monopolio contestato. Inoltre, per quanto concerne la concessione di agevolazioni fiscali, le imprese non potrebbero fondatamente aspettarsi l’assenza di modifiche della normativa vigente.

Giudizio della Corte

– Sulla ricevibilità

141

Ai sensi dell’articolo 120, lettera c), del regolamento di procedura della Corte e della giurisprudenza ad esso relativa, ogni atto introduttivo di giudizio deve indicare l’oggetto della controversia, i motivi e gli argomenti dedotti nonché l’esposizione sommaria di tali motivi. Tale indicazione deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire al convenuto di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo. Ne discende che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali si fonda un ricorso devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo dell’atto introduttivo stesso e che le conclusioni di quest’ultimo devono essere formulate in modo inequivocabile, al fine di evitare che la Corte statuisca ultra petita ovvero ometta di pronunciarsi su una censura (v., in particolare, sentenza Parlamento/Consiglio, C‑317/13 e C‑679/13, EU:C:2015:223, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

142

Nel caso di specie, emerge dalle conclusioni del ricorso e dagli argomenti sviluppati in quest’ultimo che, con la sua censura, la Commissione chiede che sia dichiarata la violazione degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE nella misura in cui la normativa nazionale individuata in detto ricorso riserva l’emissione di buoni che consentono la concessione, in condizioni fiscalmente favorevoli, di un beneficio in natura sotto forma di pasto pronto al consumo, in monopolio, a un ente pubblico nazionale e nella misura in cui l’instaurazione di un tale monopolio è avvenuta senza appropriate misure transitorie.

143

Per quanto riguarda, innanzitutto, il lapsus calami che ha portato la Commissione a fare riferimento, nelle conclusioni del suo ricorso, agli articoli 1 e 5 della legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, e che ha nel frattempo portato all’invio di una rettifica da parte di detta istituzione, si deve constatare che esso non ha indotto in errore il governo ungherese sulla portata del presente ricorso, avendo del resto detto governo esso stesso rilevato immediatamente, nel suo controricorso, che occorreva chiaramente leggere tale punto come riferito all’articolo 1, paragrafo 5, di tale legge, disposizione che ha come scopo la modifica dell’articolo 3, punto 87, della legge IRPF.

144

Per quanto riguarda, poi, l’articolo 477 della legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, e l’articolo 7 della legge Erzsébet, il fatto, per la Commissione, di aver richiamato tali articoli in dette conclusioni si spiega facilmente, poiché detti articoli riguardano la data di entrata in vigore delle disposizioni nazionali controverse, disposizioni contestate dalla Commissione, come appena ricordato, in particolare in quanto esse non comportano appropriate misure transitorie.

145

Infine, come emerge sia dalla formulazione delle conclusioni del ricorso sia dai motivi di quest’ultimo, gli articoli 2, paragrafi 1 e 2, e 6 della legge Erzsébet sono richiamati al pari dell’articolo 1, paragrafo 5, della legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, solo in quanto emerge da tali disposizioni nazionali che alla FNUL è conferito un monopolio per quanto riguarda l’emissione di buoni che consentono al datore di lavoro di concedere ai propri dipendenti, in condizioni fiscalmente favorevoli, un beneficio in natura sotto forma di buoni che consentono l’acquisto di pasti pronti al consumo.

146

Alla luce di quanto precede, si deve constatare che il ricorso soddisfa i requisiti ricordati al punto 141 della presente sentenza e pertanto l’eccezione di irricevibilità sollevata dal governo ungherese deve essere respinta.

– Nel merito

147

In primo luogo, si deve stabilire se l’emissione di buoni a cui fa riferimento il presente ricorso rientri nel campo di applicazione degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE o se essa esuli da quest’ultimo poiché non costituisce un’attività economica come sostiene il governo ungherese.

148

Per quanto concerne la liberà di stabilimento garantita dall’articolo 49 TFUE, va osservato che l’obiettivo di quest’ultima è di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le sue attività e favorire così l’interpenetrazione economica e sociale nel territorio dell’Unione nel settore delle attività autonome. La libertà di stabilimento intende, a tal fine, consentire a un cittadino dell’Unione di partecipare, in modo stabile e continuativo, alla vita economica di uno Stato membro diverso dallo Stato membro di origine e di trarne profitto esercitando in modo effettivo nello Stato membro ospitante un’attività economica mediante un’organizzazione stabile e per una durata indeterminata (v. in tal senso, in particolare, sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04, EU:C:2006:544, punti 5354 nonché giurisprudenza ivi citata).

149

Come emerge dalla giurisprudenza, una tale attività economica può consistere nell’offerta sia di beni sia di servizi (v. in tal senso, in particolare, sentenza Pavlov e a., da C‑180/98 a C‑184/98, EU:C:2000:428, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).

150

Quanto alla libera prestazione di servizi sancita dall’articolo 56 TFUE, essa copre tutte le prestazioni che non sono offerte in modo stabile e continuativo, da un domicilio professionale nello Stato membro di destinazione (v., in particolare, sentenze Gebhard, C‑55/94, EU:C:1995:411, punto 22, nonché Commissione/Portogallo, C‑171/02, EU:C:2004:270, punto 25).

151

A norma dell’articolo 57 TFUE, sono considerati come servizi ai sensi dei trattati le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, queste ultime comprendono, in particolare, le attività a carattere commerciale.

152

Come ripetutamente ricordato dalla Corte, tale nozione di servizi non può essere interpretata restrittivamente (v. in tal senso, in particolare, sentenza Deliège, C‑51/96 e C‑191/97, EU:C:2000:199, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

153

In forza di giurisprudenza costante della Corte, detta nozione implica «prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione», ove la caratteristica essenziale della retribuzione va rintracciata nella circostanza che quest’ultima costituisce il corrispettivo economico della prestazione in questione (v., in particolare, sentenza Jundt, C‑281/06, EU:C:2007:816, punti 2829, nonché giurisprudenza ivi citata).

154

Il fattore decisivo che riconduce un’attività nell’ambito di applicazione delle norme del Trattato FUE relative alla libera prestazione dei servizi e, dunque, di quelle attinenti alla libertà di stabilimento, è il suo carattere economico, ossia il fatto che l’attività non deve essere prestata senza corrispettivo. Viceversa, contrariamente a quanto sostiene il governo ungherese, non occorre, a tale proposito, che il prestatore persegua lo scopo di realizzare un guadagno (v., in tal senso, sentenza Jundt, C‑281/06, EU:C:2007:816, punti 3233, nonché giurisprudenza ivi citata).

155

Peraltro, poco importa chi retribuisce il prestatore per detto servizio. Infatti, l’articolo 57 TFUE non richiede che il servizio fornito sia pagato da coloro che ne fruiscono (v., in particolare, sentenza OSA, C‑351/12, EU:C:2014:110, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

156

Orbene, per quanto riguarda l’attività di emissione e di gestione di titoli Erzsébet di cui trattasi nel presente procedimento, è pacifico che la prestazione fornita dalla FNUL a vantaggio congiunto dei datori di lavoro, dei loro dipendenti e dei fornitori che accettano tali buoni, comporta il pagamento di un corrispettivo economico alla FNUL, che presenta carattere retributivo per quest’ultima (v., per analogia, sentenza Danner, C‑136/00, EU:C:2002:558, punto 27).

157

Quanto alla circostanza che la normativa nazionale prevede che i guadagni realizzati dalla FNUL mediante detta attività debbano essere utilizzati esclusivamente per determinati scopi di interesse generale, si deve rammentare che essa non può essere sufficiente per modificare la natura dell’attività in questione e privarla del suo carattere economico (v. in tal senso, in particolare, sentenza Schindler, C‑275/92, EU:C:1994:119, punto 35).

158

Per quanto riguarda, peraltro, la giurisprudenza riflessa dalla sentenza Cisal (C‑218/00, EU:C:2002:36) e sviluppata nell’ambito del diritto della concorrenza, è sufficiente rilevare che, anche supponendo che quest’ultima sia applicabile nell’ambito della libera prestazione di servizi e della libertà di stabilimento, il governo ungherese non ha in nessun modo dimostrato che l’attività di emissione di buoni Erzsébet a cui si riferisce il presente ricorso darebbe attuazione al principio di solidarietà, come richiede in particolare tale giurisprudenza affinché si possa giungere alla conclusione dell’esistenza di un’attività sociale piuttosto che economica.

159

Da un lato, si deve, infatti, constatare che, come fatto valere dalla Commissione e rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 207 delle sue conclusioni, la decisione di attribuire o meno ai lavoratori dipendenti buoni Erzsébet, che consentano a questi ultimi di ottenere benefici in natura sotto forma di pasti pronti al consumo, e la determinazione dell’importo di tali buoni sono lasciate alla discrezionalità del datore di lavoro e non dipendono in alcun modo dalla situazione personale, e in particolare dalle risorse finanziarie, dei lavoratori interessati.

160

Dall’altro lato, per quanto riguarda la circostanza, invocata dal governo ungherese, che determinati buoni, altresì indicati con la denominazione «Erzsébet», potrebbero essere attribuiti direttamente da parte della FNUL, in quanto sussidio, a determinate persone svantaggiate, in particolare al fine di finanziare vacanze, si deve rilevare che, supponendo che tale circostanza sussista, essa non avrebbe alcuna conseguenza sulla qualificazione economica dell’attività di emissione dei buoni Erzsébet su cui verte specificamente il ricorso della Commissione, ossia, come è appena stato rammentato, l’attività consistente nell’emissione di buoni che consentono di acquistare pasti pronti al consumo e che possono essere concessi, in condizioni fiscalmente favorevoli, dai datori di lavoro ai loro dipendenti come benefici in natura.

161

Quanto all’aspetto fiscale, si deve aggiungere che la circostanza che i destinatari del servizio in questione beneficino di un’agevolazione fiscale non incide in alcun modo sul fatto che detto servizio è fornito dall’emittente, dietro remunerazione, in modo che detta attività, che risponde così alla definizione del servizio che le norme del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi comportano, rientra in queste ultime (v., in tal senso, sentenze Skandia e Ramstedt, C‑422/01, EU:C:2003:380, punti da 22 a 28, e Commissione/Germania, C‑318/05, EU:C:2007:495, punti da 65 a 82).

162

Dalle considerazioni che precedono discende che un’attività come l’emissione di buoni Erzsébet presa in considerazione dal ricorso deve essere considerata un «servizio» ai sensi dell’articolo 57 TFUE e, più in generale, un’attività economica rientrante nel campo di applicazione delle norme del Trattato riguardanti la libera prestazione di servizi e la libertà di stabilimento.

163

In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento del governo ungherese, secondo cui l’emissione di buoni che conferiscono un vantaggio in natura in forza della normativa fiscale del solo Stato membro ospitante non sarebbe analoga all’attività che emittenti stabiliti in altri Stati membri svolgerebbero in questi ultimi, in modo che tali emittenti non potrebbero avvalersi della libera prestazione di servizi, è sufficiente rammentare che il diritto, per un operatore economico stabilito in uno Stato membro, di fornire servizi in un altro Stato membro, sancito dall’articolo 56 TFUE, non è subordinato alla condizione che detto operatore fornisca altresì servizi di tal genere nello Stato membro in cui è stabilito. A tal riguardo, l’articolo 56 TFUE, esige soltanto che il prestatore sia stabilito in uno Stato membro diverso da quello del destinatario (v., segnatamente, sentenza Carmen Media Group, C‑46/08, EU:C:2010:505, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

164

In terzo luogo, è pacifico che una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che sottopone l’esercizio di un’attività economica a un sistema di esclusiva a favore di un solo operatore pubblico o privato, costituisce una restrizione sia alla libertà di stabilimento sia alla libera prestazione di servizi (v. in tal senso, in particolare, sentenze Läärä e a., C‑124/97, EU:C:1999:435, punto 29; Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti,C‑451/03, EU:C:2006:208, punti 3334, nonché Stoß e a., C‑316/07, da C‑358/07 a C‑360/07, C‑409/07 e C‑410/07, EU:C:2010:504, punti 68107).

165

In quarto luogo, rimane tuttavia necessario verificare se, come sostiene il governo ungherese, tale ostacolo alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi possa, nella fattispecie, essere giustificato conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi d’interesse generale (v. in tal senso, in particolare, sentenza Stoß e a., C‑316/07, da C‑358/07 a C‑360/07, C‑409/07 e C‑410/07, EU:C:2010:504, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

166

Ai sensi di una costante giurisprudenza della Corte, restrizioni di tal genere non possono infatti essere giustificate, salvo che esse rispondano a motivi imperativi d’interesse generale, siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo di interesse generale da esse perseguito e non vadano oltre quanto è necessario per il raggiungimento dello scopo medesimo (v., in particolare, sentenze Läärä e a., C‑124/97, EU:C:1999:435, punto 31, nonché OSA, C‑351/12, EU:C:2014:110, punto 70).

167

Da un lato, per quanto riguarda le giustificazioni tratte da considerazioni di politica sociale esposte dal governo ungherese, va ricordato, in primo luogo, che, come emerge da una giurisprudenza costante della Corte, sviluppata relativamente al settore dei giochi e delle scommesse, la sola circostanza che i benefici discendenti da un’attività economica, esercitata nell’ambito di diritti speciali o esclusivi, siano utilizzati per il finanziamento di attività o di opere sociali non costituisce un motivo che può essere considerato una giustificazione oggettiva di restrizioni alla libera prestazione di servizi (v. in tal senso, in particolare, sentenze Läärä e a., C‑124/97, EU:C:1999:435, punto 13 e giurisprudenza ivi citata; Zenatti, C‑67/98, EU:C:1999:514, punto 36, nonché Stoß e a., C‑316/07, da C‑358/07 a C‑360/07, C‑409/07 e C‑410/07, EU:C:2010:504, punto 104).

168

Pertanto, se la Corte nel contesto specifico dell’attività dei giochi e delle scommesse ha certamente ammesso che una restrizione come la concessione di un monopolio a un ente pubblico segnatamente chiamato a finanziare attività o opere sociali poteva risultare giustificata, emerge dalla giurisprudenza di quest’ultima che ciò è avvenuto soltanto rispetto a un determinato numero di motivi imperativi d’interesse generale quali segnatamente gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell’incitamento dei cittadini a una spesa eccessiva legata al gioco nonché la prevenzione di turbative all’ordine sociale in generale e tenendo conto di determinate peculiarità di ordine morale, religioso o culturale che accompagnano tale attività (v. in tal senso, in particolare, sentenze Läärä e a., C‑124/97, EU:C:1999:435, punti 4142; Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International, C‑42/07, EU:C:2009:519, punti 66, 6772, nonché Stoß e a., C‑316/07, da C‑358/07 a C‑360/07, C‑409/07 e C‑410/07, EU:C:2010:504, punti 79 e da 81 a 83).

169

Orbene, si deve necessariamente rilevare che, trattandosi di un’attività come quella a cui si riferisce il presente ricorso, mancano obiettivi e peculiarità paragonabili.

170

In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento, anch’esso invocato dal governo ungherese, secondo cui la concessione del monopolio controverso costituirebbe l’unica possibilità, in assenza di fondi di bilancio disponibili, di condurre l’azione sociale attribuita alla FNUL, si deve rilevare che la circostanza che gli introiti generati dal titolare di un monopolio costituiscano la fonte di finanziamento di programmi sociali non giustifica una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi.

171

Dall’altro lato, per quanto riguarda l’affermazione del governo ungherese secondo cui uno Stato membro resterebbe libero di istituire un monopolio, quale quello di cui trattasi, a titolo delle proprie politiche salariali e fiscali, occorre immediatamente ricordare che gli Stati membri devono esercitare la propria competenza in materia di fiscalità diretta nel rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato (v., in tal senso, in particolare, sentenze Skandia e Ramstedt, C‑422/01, EU:C:2003:380, punto 25 e giurisprudenza ivi citata, nonché Berlington Hungary e a., C‑98/14, EU:C:2015:386, punto 34 e giurisprudenza ivi citata). Lo stesso vale per quanto riguarda la politica che gli Stati membri perseguono in materia di impiego, in particolare nell’ambito salariale (v., in tal senso, sentenze Portugaia Construções, C‑164/99, EU:C:2002:40, punto 24, Commissione/Germania, C‑341/02, EU:C:2005:220, punto 24, nonché ITC, C‑208/05, EU:C:2007:16, punti da 39 a 41).

172

Orbene, nella fattispecie, il governo ungherese, avvalendosi della sua competenza in materia fiscale e salariale, non spiega per quale motivo l’istituzione di un monopolio pubblico di emissione di buoni che danno diritto a un’agevolazione fiscale e possono essere concessi ai dipendenti a titolo di beneficio in natura risponderebbe, nella fattispecie, a obiettivi legittimi idonei a poter eventualmente giustificare le restrizioni, indotte da una tale misura, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi garantite dal diritto dell’Unione, né in che modo restrizioni di tal genere soddisferebbero i requisiti del principio di proporzionalità.

173

Dalle considerazioni che precedono discende che deve essere accolto il motivo vertente sulla violazione degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE, risultante dall’assoggettamento a un regime di monopolio dell’attività di emissione di titoli che consentono l’acquisizione di pasti pronti al consumo e che possono essere concessi, in condizioni fiscali favorevoli, ai dipendenti come benefici in natura.

174

Poiché l’istituzione stessa di tale monopolio deve ritenersi in contrasto con dette norme del Trattato, non occorre pronunciarsi sul secondo motivo sollevato dalla Commissione e vertente, in sostanza, sul fatto che, anche supponendo detto monopolio ammissibile in linea di principio, quest’ultimo sarebbe entrato in vigore in assenza di appropriate misure transitorie, in violazione delle medesime norme e del principio di proporzionalità.

Sulle spese

175

A norma dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’Ungheria è rimasta soccombente e la Commissione ne ha fatto domanda, essa deve essere condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

Avendo introdotto e mantenuto il sistema della carta per il tempo libero Széchenyi, previsto dal decreto del governo n. 55/2011, del 12 aprile 2011, che disciplina l’emissione e l’utilizzo della carta per il tempo libero Széchenyi, modificato dalla legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, recante modifica di talune leggi tributarie e di altri atti affini, l’Ungheria ha violato la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, in quanto:

l’articolo 13 di detto decreto del governo, in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della legge n. XCVI del 1993, sulle casse mutue volontarie, con l’articolo 2, lettera b), della legge n. CXXXII del 1997, sulle succursali e agenzie commerciali delle imprese aventi sede all’estero, nonché con gli articoli 1, 2, paragrafi 1 e 2, 55, paragrafi 1 e 3, e 64, paragrafo 1, della legge n. IV del 2006, sulle società commerciali, esclude la possibilità per le succursali di emettere la carta per il tempo libero Széchenyi e contravviene, pertanto, all’articolo 14, punto 3, di tale direttiva;

detto articolo 13, in combinato disposto con tali medesime disposizioni nazionali, che non riconosce, ai fini delle condizioni di cui al medesimo articolo 13, lettere da a) a c), l’attività dei gruppi la cui società controllante non sia costituita ai sensi del diritto ungherese e i cui membri non rivestano una delle forme societarie previste dal diritto ungherese, contravviene all’articolo 15, paragrafi 1, 2, lettera b), e 3, di detta direttiva;

l’articolo 13 del decreto del governo n. 55/2011, in combinato disposto con le medesime disposizioni nazionali, che riserva alle banche e agli istituti finanziari la facoltà di emettere la carta per il tempo libero Széchenyi dal momento che solo tali enti possono soddisfare le condizioni di cui a tale articolo 13, contravviene all’articolo 15, paragrafi 1, 2, lettera d), e 3, della medesima direttiva;

detto articolo 13 è in contrasto con l’articolo 16 della direttiva 2006/123, poiché richiede l’esistenza di uno stabilimento in Ungheria ai fini dell’emissione della carta per il tempo libero Széchenyi;

 

2)

Il sistema dei buoni Erzsébet disciplinato dalla legge n. CLVI, del 21 novembre 2011, e dalla legge n. CIII, del 6 luglio 2012, sul programma Erzsébet è in contrasto con gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE, nei limiti in cui tale normativa nazionale stabilisce un monopolio a favore di enti pubblici nell’ambito dell’emissione di buoni che consentono l’acquisto di pasti freddi e che possono essere concessi, in condizioni fiscali favorevoli, dai datori di lavoro ai propri lavoratori dipendenti come benefici in natura.

 

3)

L’Ungheria è condannata alle spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’ungherese.

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