EUR-Lex L'accesso al diritto dell'Unione europea

Torna alla homepage di EUR-Lex

Questo documento è un estratto del sito web EUR-Lex.

Documento 62009CJ0272

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) dell'8 dicembre 2011.
KME Germany AG, KME France SAS e KME Italy SpA contro Commissione europea.
Impugnazione - Concorrenza - Intese - Mercato dei tubi industriali in rame - Ammende - Dimensioni del mercato, durata dell’infrazione e cooperazione che possono essere prese in considerazione - Ricorso giurisdizionale effettivo.
Causa C-272/09 P.

Raccolta della Giurisprudenza 2011 -00000

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2011:810

Causa C‑272/09 P

KME Germany AG e altri

contro

Commissione europea

«Impugnazione — Concorrenza — Intese — Mercato dei tubi industriali in rame — Ammende — Dimensioni del mercato, durata dell’infrazione e cooperazione che possono essere prese in considerazione — Ricorso giurisdizionale effettivo»

Massime della sentenza

1.        Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Obbligo di prendere in considerazione l’impatto concreto sul mercato — Misurabilità — Portata

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, primo comma)

2.        Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Fatturato complessivo dell’impresa interessata — Fatturato realizzato con le merci oggetto dell’infrazione — Rispettiva presa in considerazione — Limiti

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

3.        Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità e durata dell’infrazione — Maggiorazione dell’importo in funzione della durata dell’infrazione — Non necessità di dimostrare un rapporto diretto fra tale durata e una violazione più grave delle regole di concorrenza

(Art. 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 B)

4.        Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Valutazione economica complessa — Margine di discrezionalità della Commissione — Sindacato giurisdizionale — Controllo di legittimità — Portata

(Art. 263 TFUE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

5.        Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità e durata dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

6.        Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Applicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende — Motivazione della decisione — Portata

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

7.        Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Potere discrezionale della Commissione — Sindacato giurisdizionale — Competenza del giudice dell’Unione estesa al merito — Portata

(Art. 261 TFUE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 17 e n. 1/2003, art. 31)

8.        Diritto dell’Unione — Principi — Diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva — Sindacato giurisdizionale sulle decisioni adottate dalla Commissione in materia di concorrenza — Sindacato di legittimità e di merito, tanto in diritto quanto in fatto — Violazione — Insussistenza

(Art. 263 TFUE; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 47; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 31)

1.        Secondo il punto 1, parte A, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, nella valutazione del criterio della gravità dell’infrazione occorre prendere in considerazione l’impatto concreto di quest’ultima sul mercato solo quando esso è misurabile. L’accertamento dell’impatto concreto di un’intesa sul mercato presuppone infatti il confronto fra la situazione del mercato creata dall’intesa e quella che sarebbe stata creata dal libero gioco della concorrenza. Data la molteplicità delle variabili che potrebbero produrre un impatto su mercato, un confronto del genere implica necessariamente la formulazione di ipotesi.

(v. punti 30-31)

2.        Sebbene, ai fini della determinazione dell’ammenda per infrazione alle regole di concorrenza, si possa tener conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa stessa, quanto della frazione di tale fatturato riferibile alle merci oggetto dell’infrazione, che è atta a fornire un’indicazione dell’entità di quest’ultima, il fatturato complessivo di un’impresa costituisce tuttavia una mera indicazione, approssimativa ed imperfetta, delle dimensioni di quest’ultima. Peraltro, non si deve attribuire ad alcuno di questi due dati un peso eccessivo rispetto agli altri criteri di valutazione della gravità dell’infrazione.

(v. punti 50-51)

3.        Qualora, conformemente al punto 1, parte B, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, l’importo deciso in base alla gravità dell’infrazione sia maggiorato per tenere conto della sua durata, non è necessario dimostrare concretamente un rapporto diretto fra tale durata e un danno maggiore arrecato agli obiettivi comunitari perseguiti dalle regole di concorrenza. Infatti, ai fini dell’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, è superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che esso mira a restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza. Ciò si verifica in particolare per quanto riguarda gli accordi che comportano restrizioni manifeste della concorrenza quali la fissazione dei prezzi e la ripartizione del mercato.

(v. punti 64-65)

4.        Sebbene negli ambiti che richiedono valutazioni economiche complesse, quali la determinazione dell’importo delle ammende inflitte per infrazione alle regole di concorrenza, la Commissione disponga di un potere discrezionale in materia economica, ciò non implica che il giudice dell’Unione debba astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di natura economica. Infatti, nell’ambito del controllo di legittimità, il giudice dell’Unione è tenuto in particolare a verificare non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte.

Il giudice dell’Unione ha il compito di effettuare il controllo di legittimità ad esso incombente sulla base degli elementi prodotti dalla parte ricorrente a sostegno dei motivi dedotti. In occasione di tale controllo, il giudice non può basarsi sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri relativi alla fissazione dell’ammenda, indicati negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto.

(v. punti 94, 102)

5.        Per determinare l’importo delle ammende per infrazione alle regole di concorrenza si deve tener conto della durata delle infrazioni e di tutti gli elementi idonei a rientrare nella valutazione della loro gravità, quali il comportamento di ciascuna delle imprese, il ruolo svolto da ciascuna di esse nell’instaurazione delle pratiche concordate, il profitto che esse hanno potuto trarre da tali pratiche, le loro dimensioni e il valore delle merci interessate nonché il rischio che infrazioni di tale tipo rappresentano per la Comunità europea. Devono essere presi in considerazione elementi obiettivi come il contenuto e la durata dei comportamenti anticoncorrenziali, il loro numero e la loro intensità, l’estensione del mercato interessato e il deterioramento subito dall’ordine pubblico economico. L’analisi deve considerare altresì l’importanza relativa e la quota di mercato delle imprese responsabili, nonché un’eventuale recidiva.

(v. punti 96-97)

6.        Per considerazioni attinenti alla trasparenza, la Commissione ha adottato gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, in cui indica a quale titolo prenderà in considerazione l’una o l’altra circostanza dell’infrazione e le conseguenze che potranno esserne tratte riguardo all’importo dell’ammenda. Tali orientamenti, che enunciano una regola di condotta indicativa della prassi da seguire da cui l’amministrazione non può discostarsi, in un’ipotesi specifica, senza fornire giustificazioni compatibili con il principio della parità di trattamento, si limitano a descrivere il metodo di valutazione dell’infrazione adottato dalla Commissione e i criteri che quest’ultima si obbliga a seguire nel determinare l’importo dell’ammenda. Spetta pertanto alla Commissione, quando motiva la propria decisione, spiegare, in particolare, la ponderazione e la valutazione che essa ha effettuato degli elementi considerati.

(v. punti 99-101)

7.        Per quanto riguarda la determinazione dell’importo delle ammende inflitte per infrazione alle regole di concorrenza, la competenza estesa al merito che era riconosciuta al giudice dell’Unione dall’art. 17 del regolamento n. 17 è attualmente riconosciuta dall’art. 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’art. 261 TFUE. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta.

Tuttavia, l’esercizio della competenza estesa al merito non equivale a un controllo d’ufficio e il procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione è di tipo contraddittorio. Ad eccezione dei motivi di ordine pubblico, che devono essere sollevati d’ufficio dal giudice, come il difetto di motivazione della decisione impugnata, spetta alla parte ricorrente sollevare motivi contro tale decisione e addurre elementi probatori per corroborare tali motivi. Tale condizione procedurale non contraddice la regola secondo cui, per infrazioni alle regole di concorrenza, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa riscontra e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare adeguatamente l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione. Ciò che si richiede a un ricorrente nell’ambito di un ricorso giurisdizionale, infatti, è di identificare gli elementi contestati della decisione impugnata, di formulare censure a tale riguardo e di addurre prove, che possono essere costituite da seri indizi, volte a dimostrare che le proprie censure sono fondate.

(v. punti 103-105)

8.        Il controllo previsto dai Trattati sulle decisioni adottate dalla Commissione in materia di concorrenza implica che il giudice dell’Unione eserciti un controllo tanto in diritto quanto in fatto e che esso disponga del potere di valutare le prove, di annullare la decisione impugnata e di modificare l’ammontare delle ammende. Non risulta quindi che il controllo di legittimità di cui all’art. 263 TFUE, completato dalla competenza estesa al merito per quanto riguarda l’importo dell’ammenda, prevista all’art. 31 del regolamento n. 1/2003, sia contrario ai dettami del principio della tutela giurisdizionale effettiva che figura all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

(v. punto 106)







SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

8 dicembre 2011 (*)

«Impugnazione – Concorrenza – Intese – Mercato dei tubi industriali in rame – Ammende – Dimensioni del mercato, durata dell’infrazione e cooperazione che possono essere prese in considerazione – Ricorso giurisdizionale effettivo»

Nel procedimento C‑272/09 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, proposta il 15 luglio 2009,

KME Germany AG, già KM Europa Metal AG, con sede in Osnabrück (Germania),

KME France SAS, già Tréfimétaux SA, con sede in Courbevoie (Francia),

KME Italy SpA, già Europa Metalli SpA, con sede in Firenze,

rappresentate dagli avv.ti M. Siragusa, avvocato, A. Winckler, avocat, G.C. Rizza, avvocato, T. Graf, advokat, e M. Piergiovanni, avvocato,

ricorrenti,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata dai sigg. E. Gippini Fournier e J. Bourke, in qualità di agenti, assistiti dal sig. C. Thomas, solicitor, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. U. Lõhmus, A. Rosas (relatore), A. Ó Caoimh e A. Arabadjiev, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 ottobre 2010,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 febbraio 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la loro impugnazione, la KME Germany AG, già KM Europa Metal AG, la KME France SAS, già Tréfimétaux SA, e la KME Italy SpA, già Europa Metalli SpA (in prosieguo, indicate collettivamente: il «gruppo KME»), chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 6 maggio 2009, causa T‑127/04, KME Germany e a./Commissione (Racc. pag. II‑1167; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale quest’ultimo ha respinto la loro domanda di annullamento o riduzione dell’importo delle ammende inflitte loro ai sensi dell’art. 2, lett. c)‑e), della decisione della Commissione 16 dicembre 2003, C (2003) 4820 def., relativa ad un procedimento a norma dell’art. 81 [CE] e dell’art. 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E‑1/38.240 – Tubi industriali) (in prosieguo: la «decisione controversa»).

 Contesto normativo

2        L’art. 15, n. 2, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204) disponeva quanto segue:

«La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettano una infrazione alle disposizioni dell’articolo [81], paragrafo 1 [CE] o dell’articolo [82 CE],

b)      non osservino un onere imposto in virtù dell’articolo 8, paragrafo 1.

Per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

3        L’art. 17 del regolamento n. 17 prevedeva che:

«La Corte di giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito ai sensi dell’articolo [229 CE] per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione commina un’ammenda o una penalità di mora; essa può sopprimere, ridurre o maggiorare l’ammenda o la penalità di mora inflitta».

4        Il regolamento n. 17 è stato abrogato è sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato (GU 2003, L 1, pag. 1), applicabile dal 1° maggio 2004. L’art. 31 di tale regolamento è l’equivalente dell’art. 17 del regolamento n. 17.

5        Il preambolo della comunicazione della Commissione «Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA» (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti»), applicabile all’epoca dell’adozione della decisione controversa, recitava:

«I principi indicati negli orientamenti (...) dovrebbero consentire di assicurare la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni della Commissione, di fronte sia alle imprese che alla Corte di giustizia, ponendo l’accento, nel contempo, sul margine discrezionale lasciato dal legislatore alla Commissione nella fissazione delle ammende, entro il limite del 10% del volume d’affari globale delle imprese. La Commissione intende tuttavia inquadrare tale margine in una linea politica coerente e non discriminatoria, che sia funzionale agli obiettivi perseguiti con la repressione delle infrazioni alle regole della concorrenza.

La nuova metodologia applicabile per la determinazione dell’ammontare dell’ammenda si baserà [d’ora in poi] sullo schema seguente, che consiste nella fissazione di un importo di base, al quale si applicano maggiorazioni in caso di circostanze aggravanti e riduzioni in caso di circostanze attenuanti».

6        Ai sensi del punto 1 degli orientamenti, «[tale] importo di base è determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, che sono i soli criteri indicati all’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17».

7        Per quanto riguarda il criterio della gravità, il punto 1, A, degli orientamenti dispone che, per valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante. Le infrazioni sono classificate in tre categorie: infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi.

8        Secondo gli orientamenti, costituiscono infrazioni molto gravi in particolare le restrizioni orizzontali del tipo «cartelli di prezzi» e ripartizione dei mercati. L’importo di base dell’ammenda applicabile è «oltre i 20 milioni di [euro]». Gli orientamenti evidenziano la necessità di differenziare tale importo di base onde tenere conto della natura dell’infrazione commessa, dell’effettiva capacità economica dell’autore dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, dell’effetto dissuasivo dell’ammenda nonché delle conoscenze e delle infrastrutture giuridico‑economiche delle imprese che consentono loro di essere maggiormente consapevoli del carattere di infrazione del loro comportamento. Si precisa altresì che in caso di infrazioni che coinvolgono più imprese, potrà essere opportuno tenere conto del peso specifico, e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza, del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione.

9        Per quanto riguarda la durata delle infrazioni, gli orientamenti distinguono tra infrazioni di breve durata, in generale per periodi inferiori a un anno, infrazioni di media durata, in generale per periodi da uno a cinque anni, e infrazioni di lunga durata, in generale per periodi superiori a cinque anni. Per quest’ultimo tipo di infrazioni è prevista una maggiorazione dell’ammenda che per ciascun anno può essere pari al 10% dell’ammenda applicabile in funzione della gravità dell’infrazione. Gli orientamenti prevedono altresì una maggiorazione delle ammende più consistente per le infrazioni di lunga durata, nell’intento di sanzionare realmente le restrizioni che hanno arrecato un pregiudizio durevole ai consumatori e di aumentare l’interesse dell’impresa a denunciare l’infrazione o a cooperare con la Commissione.

10      A norma del punto 2 degli orientamenti, l’importo di base dell’ammenda può essere maggiorato in presenza di circostanze aggravanti quali, in particolare, la recidiva della medesima impresa o delle medesime imprese per un’infrazione del medesimo tipo. Secondo il punto 3 di detti orientamenti, tale importo di base può essere ridotto in caso di circostanze attenuanti particolari, quali il ruolo esclusivamente passivo o emulativo di un’impresa nella realizzazione dell’infrazione, la mancata applicazione di fatto degli accordi o la collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura, al di là del campo di applicazione della comunicazione della Commissione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»).

11      Dal 1° settembre 2006 gli orientamenti sono stati sostituiti dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2).

12      La comunicazione sulla cooperazione definisce le condizioni alle quali le imprese che cooperano con la Commissione nel corso delle sue indagini relative ad un’intesa potranno evitare l’imposizione di ammende che altrimenti sarebbero loro inflitte, o beneficiare di riduzioni del loro ammontare. Secondo il titolo B di tale comunicazione, in particolare l’impresa che denunci l’intesa alla Commissione prima che quest’ultima abbia proceduto ad un accertamento e senza che essa già disponga di informazioni sufficienti per dimostrare l’esistenza dell’intesa denunciata o che sia la prima a fornire elementi determinanti ai fini della prova dell’esistenza dell’intesa beneficia di una riduzione pari almeno al 75% dell’ammontare dell’ammenda o della totale non imposizione della medesima. Secondo il titolo D di detta comunicazione, un’impresa può beneficiare di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda se, prima dell’invio della comunicazione degli addebiti, fornisce alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione.

13      La comunicazione sulla cooperazione è stata sostituita, a partire dal 14 febbraio 2002, dalla comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3). Nella causa in esame la Commissione ha tuttavia applicato la comunicazione sulla cooperazione, dato che è questa la comunicazione che le imprese hanno preso in considerazione quando hanno collaborato con la Commissione.

 Fatti

14      Le ricorrenti, insieme ad altre imprese produttrici di semilavorati in rame e leghe di rame, ossia la Wieland‑Werke AG, l’Outokumpu Oyj e l’Outokumpu Copper Products Oy (in prosieguo, indicate collettivamente: il «gruppo Outokumpu»), hanno partecipato ad un’intesa volta a fissare i prezzi e a ripartirsi i mercati nel settore dei tubi industriali, più specificamente in quello dei tubi di rame forniti in rotoli o in bobine a spire sovrapposte.

15      In seguito ad accertamenti e indagini, il 16 dicembre 2003 la Commissione ha adottato la decisione controversa, di cui un sunto è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 28 aprile 2004 (GU L 125, pag. 50).

16      Ai fini della presente impugnazione, il Tribunale ha sintetizzato la parte della decisione controversa relativa al calcolo dell’ammenda nei seguenti punti della sentenza impugnata:

«11      Per quanto riguarda, in primo luogo, la fissazione dell’importo di [partenza] dell’ammenda, la Commissione ha ritenuto che l’infrazione, consistente essenzialmente nella fissazione dei prezzi e nella ripartizione dei mercati, costituisse per sua stessa natura un’infrazione molto grave (punto 294 della decisione [controversa]).

12      Al fine di determinare la gravità dell’infrazione, la Commissione ha anche tenuto conto del fatto che il cartello aveva avuto un impatto sull’intero territorio dello Spazio economico europeo (SEE) (punto 316 della decisione [controversa]). La Commissione ha inoltre esaminato gli effetti reali dell’infrazione e ha constatato che l’intesa aveva «esercitato [globalmente] un impatto sul mercato» (punto 314 della decisione [controversa]).

(...)

14      Infine, sempre nell’ambito della determinazione della gravità dell’infrazione, la Commissione ha tenuto conto del fatto che il mercato dei tubi industriali in rame costituiva un settore importante, il cui valore nel SEE è stato stimato in 288 milioni di euro (punto 318 della decisione [controversa]).

15      Tenuto conto di tutte queste circostanze, la Commissione ha concluso che l’infrazione di cui trattasi doveva essere considerata molto grave (punto 320 della decisione [controversa]).

(...)

19      In quarto luogo, la Commissione ha qualificato la durata dell’infrazione, che si è protratta dal 3 maggio 1988 al 22 marzo 2001, come “lunga”. Di conseguenza, la Commissione ha giudicato appropriato maggiorare l’importo [di partenza] delle ammende inflitte alle imprese in esame del 10% per ogni anno di partecipazione al cartello. (...)

(...)

21      In sesto luogo, a titolo di circostanze attenuanti, la Commissione ha rilevato che, senza la cooperazione dell’Outokumpu, essa avrebbe potuto dimostrare l’esistenza dell’infrazione soltanto per un periodo di quattro anni e, di conseguenza, ha ridotto l’importo di base della sua ammenda di un ammontare pari a 22,22 milioni di euro, di modo che l’importo di base coincida con l’ammenda che le sarebbe stata inflitta per un tale periodo (punto 386 della decisione [controversa]).

22      In settimo ed ultimo luogo, a norma della sezione D della comunicazione (...) sulla cooperazione, la Commissione ha provveduto ad una riduzione dell’importo delle ammende del 50% per l’Outokumpu, del 20% per la Wieland [Werke SG] e del 30% per il gruppo KME (punti 402, 408 e 423 della decisione [controversa]».

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

17      Le ricorrenti hanno fatto valere cinque motivi, tutti inerenti alla fissazione dell’importo dell’ammenda loro inflitta. Essi riguardavano, rispettivamente, l’inadeguata presa in considerazione dell’impatto concreto dell’intesa ai fini del calcolo dell’importo di partenza dell’ammenda, la valutazione inadeguata delle dimensioni del settore in cui è stata commessa l’infrazione, un aumento errato dell’importo di partenza dell’ammenda in funzione della durata dell’infrazione, la mancata considerazione di talune circostanze attenuanti e un’insufficiente riduzione dell’importo dell’ammenda in virtù della comunicazione sulla cooperazione.

18      Il Tribunale ha respinto ciascuno dei cinque motivi e il ricorso in toto.

 Conclusioni delle parti

19      Con la presente impugnazione il gruppo KME chiede che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        nella misura del possibile alla luce dei fatti esposti dinanzi alla Corte, annullare parzialmente la decisione controversa e ridurre l’ammenda inflittagli;

–        condannare la Commissione alle spese del presente procedimento nonché di quello svoltosi dinanzi al Tribunale, o

–        in subordine, annullare la sentenza impugnata, ivi compresa la parte riguardante la condanna alle spese da parte del Tribunale, e rinviare la causa dinanzi a quest’ultimo.

20      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione e

–        condannare il gruppo KME alle spese.

 Sull’impugnazione

21      Il gruppo KME deduce cinque motivi, relativi, rispettivamente, a diversi errori di diritto riguardanti l’impatto dell’infrazione sul mercato, la presa in considerazione del fatturato, la durata dell’infrazione, nonché la cooperazione delle ricorrenti e, infine, alla violazione del diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo.

 Sul primo motivo, relativo a vari errori di diritto riguardanti l’impatto dell’infrazione sul mercato

 Argomenti delle parti

22      Le ricorrenti indicano che il loro primo motivo si riferisce ai punti 60‑74 della sentenza impugnata. Tali punti sono preceduti da una sintesi degli argomenti delle parti e da una presa di posizione del Tribunale sulla ricevibilità delle due nuove relazioni economiche prodotte dalle ricorrenti per dimostrare l’insussistenza di un effettivo impatto dell’infrazione sul mercato. Al punto 59 della sentenza impugnata il Tribunale dichiara ricevibili dette relazioni.

23      I punti 60‑74 della sentenza impugnata sono formulati nel seguente modo:

60      Per quanto riguarda la fondatezza del presente motivo, va rilevato che con esso le ricorrenti contestano tanto la valutazione, da parte della Commissione, della gravità dell’infrazione (...) quanto il trattamento differenziato effettuato da quest’ultima in base alle quote di mercato delle imprese di cui trattasi (...).

61      Per quanto concerne, anzitutto, il trattamento differenziato delle imprese di cui trattasi, la motivazione fornita dalla Commissione nella decisione [controversa], a tal riguardo, menziona segnatamente la preoccupazione di tener conto del “peso specifico e quindi dell’impatto concreto sulla concorrenza dei comportamenti illegittimi di ciascuna impresa” (punto 322 della decisione impugnata). Tuttavia, va sottolineato che, pur in assenza di prova di un’incidenza concreta dell’infrazione sul mercato, la Commissione è legittimata a procedere ad un trattamento differenziato in funzione delle quote detenute sul mercato rilevante, come quello descritto ai punti 326‑329 della decisione [controversa].

62      Infatti, dalla giurisprudenza emerge che la quota di mercato di ciascuna delle imprese coinvolte sul mercato oggetto di una prassi restrittiva costituisce un elemento oggettivo che rispecchia la responsabilità di ciascuna per quanto riguarda la nocività potenziale di detta prassi sul gioco normale della concorrenza (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 197).

63      Del pari, per quanto riguarda la valutazione della gravità dell’infrazione, va altresì rilevato che anche se la Commissione non avesse provato che l’intesa aveva prodotto un impatto concreto sul mercato, ciò non avrebbe influito sulla qualificazione dell’infrazione come “molto grave” e dunque sull’importo dell’ammenda.

64      A tal riguardo, va constatato che dal sistema comunitario delle sanzioni per violazione delle norme sulla concorrenza, quale delineato dal regolamento n. 17 ed interpretato dalla giurisprudenza, emerge che le intese meritano, a causa della loro natura, le ammende più severe. Il loro eventuale impatto concreto sul mercato, segnatamente la questione della misura in cui la restrizione della concorrenza abbia determinato un prezzo di mercato superiore a quello che sarebbe prevalso nell’ipotesi di assenza del cartello, non costituisce un criterio decisivo per la determinazione del livello delle ammende (v., in tal senso, sentenze della Corte 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punti 120 e 129; 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punto 33; 16 novembre 2000, causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, Racc. pag. I‑9925, punti 68‑77, e 25 gennaio 2007, causa C‑407/04 P, Dalmine/Commissione, Racc. pag. I‑829, punti 129 e 130; sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, cit. (...), punto 225; v., parimenti, conclusioni dell’avvocato generale M. Mischo nella sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑283/98 P, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. I‑9855, in particolare pag. I‑9858, paragrafi 95‑101).

65      Si deve aggiungere che dagli orientamenti emerge come gli accordi o le pratiche concertate che, come nel caso di specie, sono diretti in particolare a determinare i prezzi e a ripartire la clientela possano, solo per la loro stessa natura, essere qualificati come “molto gravi” senza che occorra valutare tali comportamenti in funzione di un’incidenza o di un’estensione geografica particolari. Tale conclusione è corroborata dal fatto che, se nella descrizione delle infrazioni “gravi” sono espressamente menzionati l’impatto sul mercato e gli effetti su zone estese del mercato comune, in quella delle infrazioni “molto gravi”, per contro, non si menziona alcuna condizione relativa all’impatto concreto sul mercato o alla produzione di effetti su una determinata zona geografica (sentenza del Tribunale 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 150).

66      Ad abundantiam, il Tribunale ritiene che la Commissione abbia dimostrato sufficientemente l’impatto concreto dell’intesa sul mercato rilevante.

67      In tale contesto, va sottolineato che è stata respinta dalla giurisprudenza la premessa delle ricorrenti secondo cui la Commissione, nell’ipotesi in cui facesse valere l’impatto concreto dell’intesa per fissare l’importo dell’ammenda, sarebbe tenuta a dimostrare in modo scientifico l’esistenza di un effetto economico tangibile sul mercato nonché un nesso di causa ed effetto tra l’impatto e l’infrazione.

68      Infatti, il Tribunale ha statuito più volte che l’impatto concreto di un’intesa sul mercato deve essere considerato come sufficientemente dimostrato se la Commissione è in condizione di fornire indizi concreti e credibili che indichino, con una probabilità ragionevole, che l’intesa ha avuto un impatto sul mercato (v., in particolare, sentenze del Tribunale [18 luglio 2005, causa T‑241/01,] Scandinavian Airlines System/Commissione, [Racc. pag. II‑2917], punto 122; 27 settembre 2006, causa T‑59/02, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. II‑3627, punti 159‑161; causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punti 153‑155; causa T‑329/01, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. II‑3255, punti 176‑178; causa T‑322/01, Roquette Frères/Commissione, Racc. pag. II‑3137, punti 73‑75).

69      Al riguardo, va osservato che le ricorrenti non hanno contestato i fatti materiali, esposti al punto 13 supra, sui quali la Commissione si è fondata per concludere per l’esistenza di un impatto concreto dell’intesa sul mercato, ossia il fatto che i prezzi sono scesi in periodi di scarso rispetto dell’accordo collusivo e aumentati fortemente durante altri periodi, l’attuazione di un sistema di scambio di dati riguardanti i volumi delle vendite e i livelli di prezzo, la cospicua quota di mercato detenuta dall’insieme dei membri dell’intesa e il fatto che le rispettive quote di mercato dei partecipanti all’intesa sono rimaste relativamente stabili durante tutta la durata dell’infrazione. Le ricorrenti hanno unicamente dedotto che detti fatti non potevano dimostrare che l’infrazione di cui trattasi avesse avuto un impatto concreto sul mercato.

70      Orbene, dalla giurisprudenza emerge che è legittimo che la Commissione desuma, sulla base degli indizi citati al punto precedente, che l’infrazione ha avuto un impatto concreto sul mercato (v., in tal senso, [citate sentenze Jungbunzlauer/Commissione, punto 159; Roquette Frères/Commissione, punto 78; 27 settembre 2006, causa T‑59/02, Archer Daniels Midland/Commissione, punto 165; causa T‑329/01, Archer Daniels Midland/Commissione, punto 181]; sentenza del Tribunale 14 dicembre 2006, cause riunite da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, Racc. pag. II‑5169, punti 285‑287).

71      Per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti secondo cui il fascicolo contiene esempi di inosservanza degli accordi collusivi, occorre rilevare che il fatto che gli accordi non siano stati sempre rispettati dai membri dell’intesa non è sufficiente per escludere un impatto sul mercato (v., in tal senso, sentenza del Tribunale Groupe Danone/Commissione, [cit.], punto 148).

72      Non possono essere accolti neppure gli argomenti che le ricorrenti hanno tratto dal proprio comportamento. Infatti, il comportamento effettivo che un’impresa asserisce di aver adottato è privo di rilevanza ai fini della valutazione dell’impatto di un’intesa sul mercato, poiché devono essere presi in considerazione soltanto gli effetti risultanti dall’infrazione nel suo insieme (sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 167). Del pari, non può essere rimproverato alla Commissione di aver constatato, al punto 303 della decisione [controversa], che la relazione iniziale non permetteva di confutare le sue conclusioni riguardanti gli effetti reali dell’infrazione sul mercato. Infatti, l’analisi econometrica ivi contenuta tratta soltanto di dati in cifre relativi alle ricorrenti.

73      Di conseguenza, tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere il presente motivo come infondato.

74      Inoltre, il Tribunale ritiene, nell’ambito della sua competenza anche di merito e alla luce delle considerazioni che precedono, che non occorra rimettere in questione la valutazione dell’importo iniziale dell’ammenda fissato in funzione della gravità, quale effettuata dalla Commissione».

24      Le ricorrenti affermano che il Tribunale ha motivato in modo illogico e inadeguato la sentenza impugnata ed è incorso in un errore di diritto nel considerare che – ai fini della determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione – la Commissione fosse autorizzata a tener conto dell’impatto dell’intesa sul mercato rilevante senza essere tenuta a dimostrare che gli accordi avevano effettivamente un siffatto impatto e, in ogni caso, nel desumere tale impatto da semplici indicatori. Inoltre, ritenendo che la Commissione abbia sufficientemente dimostrato che gli accordi hanno prodotto un impatto sul mercato, il Tribunale avrebbe manifestamente snaturato i fatti e gli elementi probatori di natura economica che il gruppo KME gli ha sottoposto.

25      La Commissione sostiene innanzi tutto che il primo motivo è inconferente. Infatti, le ricorrenti non avrebbero addotto argomenti avverso i punti 60‑65 della sentenza impugnata, punti in cui il Tribunale ha dichiarato che non è necessario dimostrare l’incidenza concreta dell’infrazione sul mercato, né per quanto riguarda il trattamento differenziato delle imprese in causa né per quanto riguarda la gravità dell’infrazione. Esse contesterebbero unicamente un ragionamento del Tribunale svolto ad abundatiam in base al quale quest’ultimo, ai punti 67 e segg. della sentenza impugnata, conclude che la Commissione aveva dimostrato sufficientemente l’impatto concreto dell’intesa sul mercato rilevante.

26      La Commissione rileva che, in ogni caso, il primo motivo è irricevibile poiché verte sulla valutazione dei fatti e degli elementi probatori.

27      Essa sostiene altresì che, a suo avviso, il Tribunale ha correttamente esaminato gli elementi di prova.

28      Essa afferma, infine, che il Tribunale ha correttamente motivato la sentenza impugnata, in particolare il punto 72, mediante il quale il Tribunale ha respinto gli argomenti e le prove prodotti dalle ricorrenti.

 Giudizio della Corte

29      Le ricorrenti non contestano né le conclusioni del Tribunale in merito alla classificazione dell’infrazione tra le «infrazioni molto gravi» ai sensi degli orientamenti né la differenziazione delle imprese, in funzione delle quote detenute sul mercato rilevante, al fine di tener conto del peso specifico e quindi dell’effetto reale sulla concorrenza dei comportamenti illegittimi di ciascuna impresa. Esse contestano unicamente le conclusioni del Tribunale riguardanti l’impatto concreto dell’intesa come elemento rilevante ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda.

30      Secondo il punto 1, A, degli orientamenti, nella valutazione del criterio della gravità dell’infrazione occorre prendere in considerazione l’impatto concreto di quest’ultima sul mercato solo quando esso sia misurabile.

31      L’accertamento dell’impatto concreto di un’intesa sul mercato presuppone infatti il confronto fra la situazione del mercato creata dall’intesa e quella che sarebbe stata creata dal libero gioco della concorrenza. Data la molteplicità delle variabili che potrebbero produrre un impatto su mercato, un confronto del genere implica necessariamente la formulazione di ipotesi.

32      Al punto 300 della decisione controversa, la Commissione ha sottolineato l’impossibilità di determinare quale sarebbe stata l’evoluzione dei prezzi in assenza del cartello durante il periodo dell’infrazione, lungo più di dodici anni. Dopo aver confutato gli argomenti svolti dalle ricorrenti, essa ha prodotto alcuni indizi che le hanno consentito di giungere alla conclusione, al punto 314 di tale decisione, che il sistema anticoncorrenziale ha complessivamente esercitato un impatto sul mercato, per quanto sia impossibile quantificarlo con esattezza.

33      Dalla decisione controversa emerge quindi che nella fattispecie, ai fini del calcolo dell’ammontare dell’ammenda, la Commissione ha ritenuto impraticabile prendere in considerazione quell’elemento facoltativo costituito dall’impatto concreto dell’infrazione sul mercato, poiché esso non era misurabile. Tale conclusione non è stata contestata nella sentenza impugnata.

34      Ai punti 68 e 70 della sentenza impugnata il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza relativa ai requisiti per la prova dell’impatto concreto delle intese sul mercato. Ai punti 69 e 71‑73 di detta sentenza esso ha altresì verificato se la Commissione avesse adeguatamente dimostrato l’impatto concreto dell’intesa sul mercato rilevante. Come risulta dal punto 66 di detta sentenza, il Tribunale, tuttavia, ha proceduto a tale verifica ad abundantiam, e dopo aver giustamente ricordato, al punto 64 della medesima sentenza, che l’impatto concreto delle intese sul mercato non rappresenta un criterio determinante per la fissazione dell’ammontare delle ammende. Ne consegue che il motivo sollevato dalle ricorrenti contro questa parte del ragionamento del Tribunale è inconferente.

35      Il ragionamento del Tribunale sulla motivazione della decisione controversa risponde, in ogni caso, all’argomento delle ricorrenti, sintetizzato nell’ultima frase del punto 38 della sentenza impugnata, secondo il quale il ragionamento e le conclusioni relativi all’impatto concreto dell’intesa sul mercato contenuti nella decisione stessa sarebbero erronei, non corroborati e contraddittori. Il Tribunale ha individuato la presenza di elementi che consentono di dimostrare l’esistenza di detto impatto, ma non ha rimesso in discussione l’impossibilità di misurarlo in modo preciso.

36      Pertanto, il Tribunale non è caduto in contraddizione quando, da un lato, ha richiamato il principio secondo cui l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato non rappresenta un criterio decisivo ai fini della fissazione dell’importo delle ammende e, dall’altro, ha verificato la motivazione della decisione controversa relativa all’esistenza di tale impatto.

37      È dunque a torto che le ricorrenti, come risulta dalla formulazione del loro primo motivo, traggono dal controllo effettuato dal Tribunale la conclusione che l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato doveva essere preso in considerazione ai fini del calcolo dell’importo di partenza dell’ammenda loro inflitta. Tale argomento è fondato su una premessa errata.

38      Quanto alla censura mossa al Tribunale in merito allo snaturamento delle prove di natura economica fornitegli dalle ricorrenti, non si afferma tanto che il Tribunale ha effettuato una lettura delle relazioni economiche manifestamente contraria al loro tenore letterale (v., in questo senso, sentenza 10 febbraio 2011, causa C‑260/09 P, Activision Blizzard Germany/Commissione, Racc. pag. I‑419, punto 57), quanto, piuttosto, che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di valutazione del contenuto di tali relazioni. In ogni caso, le ricorrenti non indicano precisamente di quali parti di dette relazioni il Tribunale avrebbe travisato il senso chiaro e preciso. Ne consegue che questo argomento è irricevibile.

39      Da tali elementi risulta che il primo motivo dev’essere respinto.

 Sul secondo motivo, attinente a diversi errori di diritto relativi alla presa in considerazione del fatturato

 Argomenti delle parti

40      Il secondo motivo riguarda i punti 85‑94 della sentenza impugnata e concerne essenzialmente i punti 90‑94 di quest’ultima, che sono formulati nei seguenti termini:

«90      Le ricorrenti affermano a tal riguardo, da una parte, che il prezzo del rame sfugge al controllo dei fabbricanti di tubi industriali poiché viene fissato secondo il [London Metal Exchange] e, dall’altra, che sono gli stessi acquirenti di tubi industriali che decidono a che prezzo il metallo viene acquistato. Le ricorrenti sottolineano parimenti che le fluttuazioni del prezzo del metallo non hanno alcuna incidenza sui loro profitti.

91      È giocoforza constatare che nessuna valida ragione impone che il fatturato di un mercato rilevante sia calcolato escludendo taluni costi di produzione. Come rilevato giustamente dalla Commissione, in tutti i settori industriali esistono costi inerenti al prodotto finale che sfuggono al controllo del fabbricante ma che costituiscono nondimeno un elemento essenziale per l’insieme delle sue attività e che, pertanto, non possono essere esclusi dal suo fatturato in sede di determinazione dell’importo di [partenza] dell’ammenda (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punti 5030 e 5031). La circostanza che il prezzo del rame costituisca una parte importante del prezzo finale dei tubi industriali o che il rischio di fluttuazioni dei prezzi del rame sia ben più elevato che per altre materie prime non inficia tale conclusione.

92      Infine, per quanto riguarda le varie censure delle ricorrenti dirette ad affermare che anziché ricorrere al criterio del fatturato del mercato rilevante sarebbe più opportuno, alla luce della finalità deterrente delle ammende e del principio della parità di trattamento, fissare il loro importo in funzione della redditività del settore interessato o del relativo valore aggiunto, va dichiarato che sono privi di rilievo. A tal proposito, è giocoforza constatare, anzitutto, che la gravità dell’infrazione viene accertata in funzione di numerosi elementi, in ordine ai quali la Commissione dispone di un margine di discrezionalità (sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, cause riunite T‑101/05 e T‑111/05, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑4949, punto 65), non essendo stato stabilito, a tal riguardo, alcun elenco vincolante o esaustivo di criteri che devono essere presi necessariamente in considerazione (sentenza Dalmine/Commissione, [cit.], punto 129), non compete [quindi] al giudice comunitario bensì alla Commissione scegliere, nell’ambito del suo potere discrezionale e conformemente ai limiti derivanti dal principio della parità di trattamento e dal regolamento n. 17, i fattori e i dati di cui terrà conto per attuare una politica che assicuri l’osservanza dei divieti contemplati dall’art. 81 CE.

93      È poi incontestabile che il fatturato di un’impresa o di un mercato, come fattore di valutazione della gravità dell’infrazione, è necessariamente vago ed imperfetto. Esso non distingue né tra settori ad alto valore aggiunto e settori a basso valore aggiunto né tra imprese redditizie e quelle che lo sono meno. Tuttavia, malgrado la sua natura approssimativa, il fatturato viene considerato attualmente tanto dal legislatore comunitario quanto dalla Commissione e dalla Corte come criterio adeguato, nell’ambito del diritto della concorrenza, per valutare le dimensioni e il potere economico delle imprese interessate [v., segnatamente, sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. (…), punto 121; art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, decimo ‘considerando’ e artt. 14 e 15 del regolamento (CE) del Consiglio 20 gennaio 2004, n. 139, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (GU L 24, pag. 1)].

94      In considerazione di quanto precede, si deve dunque concludere che la Commissione abbia tenuto conto a buon diritto del prezzo del rame ai fini della determinazione delle dimensioni del mercato rilevante».

41      Secondo le ricorrenti, il Tribunale ha violato il diritto comunitario e ha motivato inadeguatamente la sentenza impugnata poiché ha approvato il riferimento operato dalla Commissione – per determinare le dimensioni del mercato interessato dalla violazione, al fine di stabilire l’elemento di gravità dell’ammenda – ad un valore di mercato che includeva erroneamente i redditi di vendite effettuate in un mercato a monte separato da quello oggetto «del cartello», nonostante il fatto che i membri del cartello non fossero verticalmente integrati in tale mercato a monte.

42      Esse affermano che l’industria della trasformazione del rame presenta caratteristiche peculiari che, in particolare, consentirebbero al cliente di decidere il momento dell’acquisto del metallo al London Metal Exchange e, di conseguenza, il suo prezzo. Sebbene il prezzo fatturato dal produttore di tubi al cliente includa il margine relativo alla trasformazione, prendere in considerazione tale prezzo ai fini del calcolo del fatturato dell’impresa significherebbe ignorare la realtà economica del mercato, che è caratterizzata, in particolare, dalla componente importante che la materia prima rappresentata nel costo del prodotto e dalle fortissime variazioni del prezzo di tale materia prima. Il Tribunale avrebbe accertato tali circostanze.

43      Secondo le ricorrenti, il Tribunale è incorso in un errore di diritto poiché non ha ritenuto che la Commissione dovesse tenere in debito conto la giurisprudenza del Tribunale stesso nonché della sua propria prassi decisionale, secondo le quali, ai fini del calcolo dell’importo di partenza dell’ammenda e/o dell’applicazione del tetto del 10% del fatturato, la Commissione è tenuta a prendere in considerazione le caratteristiche del mercato rilevante.

44      Esse sostengono altresì che, non avendo operato distinzioni fra le ricorrenti e altre imprese il cui fatturato non è altrettanto influenzato dal prezzo della materia prima, il Tribunale ha violato il divieto di discriminazioni, che impone di trattare le situazioni differenti in maniera differente.

45      Infine, le ricorrenti contestano la giurisprudenza, fondata sul potere discrezionale della Commissione, su cui si è basato il Tribunale. Esse ritengono che il Tribunale non abbia esaminato se i criteri seguiti dalla Commissione per determinare la gravità del cartello fossero pertinenti e adeguati.

46      La Commissione ritiene irricevibile il motivo con cui le ricorrenti invitano la Corte a fornire una valutazione diversa da quella del Tribunale a proposito del carattere unico oppure no del settore dei tubi industriali. Essa contesta altresì i fatti come descritti dal gruppo KME – cioè che i produttori di tubi rivestano spesso il ruolo di agenti del cliente al momento dell’acquisto del rame – nonché il fatto che il Tribunale si sia pronunciato su tale questione.

47      In ogni caso, il Tribunale avrebbe a giusto titolo indicato, al punto 91 della sentenza impugnata, che in tutti i settori industriali esistono costi inerenti al prodotto finale che sfuggono al controllo del fabbricante ma che costituiscono nondimeno un elemento essenziale dell’insieme delle sue attività e che, pertanto, non possono essere esclusi dal suo fatturato in sede di determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda.

48      Al punto 93 della sentenza impugnata il Tribunale avrebbe indicato altrettanto giustamente che, malgrado la sua natura approssimativa, il fatturato viene considerato attualmente tanto dal legislatore comunitario quanto dalla Commissione e dalla Corte come criterio adeguato, nell’ambito del diritto della concorrenza, per valutare le dimensioni e il potere economico delle imprese interessate.

 Giudizio della Corte

49      Risulta da una giurisprudenza costante che, per valutare la gravità di un’infrazione, si deve tener conto di un gran numero di fattori il cui carattere e la cui importanza variano a seconda del tipo di infrazione e delle circostanze particolari della stessa. Tra questi fattori possono rientrare, a seconda dei casi, il volume e il valore delle merci oggetto della trasgressione nonché le dimensioni e la potenza economica dell’impresa e, quindi, l’influenza che questa ha potuto esercitare sul mercato (v., in tal senso, sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., punto 120).

50      Pur affermando che, ai fini della determinazione dell’ammenda, ben può tenersi conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa – che costituisce un’indicazione delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa stessa – quanto della frazione di tale fatturato riferibile alle merci oggetto dell’infrazione e, perciò, atta a fornire un’indicazione dell’entità di quest’ultima, essa ha tuttavia riconosciuto che il fatturato complessivo di un’impresa costituiva una mera indicazione, approssimativa ed imperfetta, delle dimensioni di quest’ultima (sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., punto 121; 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 139; 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 243; 18 maggio 2006, causa C‑397/03 P, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. I‑4429, punto 100, nonché 19 marzo 2009, causa C‑510/06 P, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. I‑1843, punto 74).

51      Essa ha peraltro reiteratamente sottolineato che non si deve attribuire ad alcuno di questi due dati un peso eccessivo rispetto agli altri criteri di valutazione della gravità dell’infrazione (v. citate sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, punto 121; Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 243; 18 maggio 2006, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 100, nonché 19 marzo 2009, Archer Daniels Midland/Commissione, punto 74).

52      Il Tribunale non è dunque incorso in errore di diritto ricordando, al punto 93 della sentenza impugnata, che il fatturato rimane un criterio adeguato per valutare le dimensioni e il potere economico delle imprese interessate, nonostante sia un criterio vago e imperfetto.

53      Al punto 91 della sentenza impugnata, ancora una volta senza incorrere in errori di diritto, il Tribunale ha peraltro stabilito che non vi è nessuna valida ragione che imponga di calcolare il fatturato di un mercato rilevante escludendo taluni costi di produzione. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 141 delle conclusioni, non tenere conto del fatturato lordo in alcuni casi e prenderlo in considerazione in altri richiederebbe la fissazione di una soglia, sotto forma di rapporto tra fatturato lordo e fatturato netto, molto difficile da applicare e darebbe adito a controversie interminabili ed insolubili, anche vertenti su asserite disparità di trattamento.

54      Infine, il Tribunale ha motivato la sentenza impugnata in modo adeguato e ha esercitato il controllo ad esso incombente. Infatti, in seguito alla contestazione delle ricorrenti sull’uso del fatturato ai fini della valutazione delle dimensioni del mercato rilevante, al punto 88 della sentenza impugnata il Tribunale ha respinto l’affermazione della Commissione secondo cui l’importo di partenza dell’ammenda inflitta alle ricorrenti non sarebbe stato necessariamente inferiore a 35 milioni di euro qualora il prezzo del rame fosse stato detratto dal fatturato del mercato. Ha poi verificato, ai punti 90 e 91 della sentenza impugnata, se la Commissione avesse errato nel prendere in considerazione il prezzo del rame in sede di valutazione delle dimensioni del mercato.

55      Dalle considerazioni sin qui svolte emerge che il Tribunale ha svolto il controllo ad esso incombente, che ha risposto ai motivi fatti valere dalle ricorrenti e che non è incorso in errori di diritto affermando, al punto 94 della sentenza impugnata, che la Commissione ha tenuto conto a giusto titolo del prezzo del rame ai fini della determinazione delle dimensioni del mercato rilevante.

56      Per quanto riguarda la censura secondo cui il Tribunale non avrebbe valutato l’adeguatezza e la pertinenza dei criteri di valutazione di cui si è avvalsa la Commissione per stabilire la gravità del cartello, occorre rammentare che, nell’ambito di un ricorso avverso una decisione in materia di concorrenza, spetta al ricorrente sollevare motivi a tale proposito e non al Tribunale verificare d’ufficio la ponderazione degli elementi presi in considerazione dalla Commissione per determinare l’importo dell’ammenda.

57      Il secondo motivo è quindi infondato.

 Sul terzo motivo, attinente a diversi errori di diritto inerenti alla presa in considerazione della durata dell’infrazione

 Argomenti delle parti

58      Le ricorrenti spiegano che il loro terzo motivo verte sui punti 100‑105 della sentenza impugnata. Esse sostengono che il Tribunale ha violato il diritto comunitario e fornito una motivazione oscura, illogica e inadeguata accogliendo la parte della decisione controversa in cui la Commissione ha applicato in maniera errata gli orientamenti e violato i principi della proporzionalità e della parità di trattamento, imponendo la percentuale massima di aumento dell’importo di partenza dell’ammenda in funzione della durata dell’infrazione.

59      Secondo le ricorrenti, dal punto 1, B, degli orientamenti risulta che lo scopo della maggiorazione dell’ammenda in funzione della durata dell’infrazione è quello di «sanzionare realmente le restrizioni che hanno arrecato un pregiudizio durevole ai consumatori». Il nesso che deve sussistere fra la durata dell’infrazione e il suo effetto dannoso emergerebbe altresì dalla giurisprudenza. Orbene, il Tribunale non avrebbe verificato se la Commissione, in sede di valutazione della gravità dell’infrazione, abbia effettivamente attribuito il giusto peso al fatto che l’intensità e l’efficacia del cartello sono variate nel tempo. Il Tribunale avrebbe dunque giudicato a torto, al punto 104 della sentenza impugnata, che la maggiorazione del 125% dell’importo di base dell’ammenda non è manifestamente sproporzionata.

60      La Commissione rileva che la Corte non è competente a sostituire la propria valutazione sull’importo dell’ammenda a quella del Tribunale. Il motivo sarebbe pertanto irricevibile.

61      In ogni caso, il Tribunale avrebbe fornito una spiegazione chiara e logica della sua valutazione, che rispondeva a tutti gli argomenti giuridici del gruppo KME.

 Giudizio della Corte

62      Con il terzo motivo le ricorrenti contestano nel contempo il principio di un aumento dell’ammenda per tenere conto della durata dell’infrazione e il risultato dell’applicazione di tale principio nei loro confronti, cioè l’aumento dell’importo di partenza dell’ammenda – fissato a 35 milioni di euro – del 125% onde tenere conto di una durata dell’infrazione di 12 anni e 10 mesi, in applicazione di un aumento del 10% per ogni anno di partecipazione. L’importo di base sarebbe in tal modo stato portato a 56,88 milioni di euro.

63      Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 162 delle conclusioni, la critica del risultato si basa sull’errata premessa che il tasso di aumento sia stato pari al 125%, mentre in realtà è stato solo del 62,51% (56,88/35 = 1,6251).

64      Quanto al principio dell’aumento dell’ammenda per tenere conto della durata dell’infrazione, non è necessario dimostrare concretamente un rapporto diretto fra tale durata e un danno maggiore arrecato agli obiettivi comunitari perseguiti dalle regole di concorrenza.

65      Infatti, ai fini dell’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, è superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che esso ha per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza (v., in tal senso, sentenza 13 luglio 1966, cause riunite 56/64 e 58/64, Consten e Grundig/Commissione, Racc. pag. 458). Ciò si verifica in particolare, come nella fattispecie, per quanto riguarda gli accordi che comportano restrizioni manifeste della concorrenza quali la fissazione di prezzi e la ripartizione dei mercati. Se un’intesa fissa lo stato del mercato al momento in cui viene conclusa, il suo persistere per lungo tempo può irrigidirne le strutture, facendo scemare lo stimolo all’innovazione e allo sviluppo per i partecipanti all’intesa. Più l’intesa si protrarrà nel tempo, più il ritorno alla situazione di libera concorrenza sarà lento e difficile.

66      Anche se l’intensità e l’efficacia del cartello variano nel tempo, detto cartello comunque continua ad esistere e, dunque, ad irrigidire ulteriormente le strutture del mercato.

67      Quanto all’ipotesi di assenza totale di attuazione di un accordo, occorre ricordare che il punto 3 degli orientamenti stabilisce che la mancata effettiva applicazione degli accordi o delle pratiche illecite può costituire una circostanza attenuante che dà luogo a una riduzione dell’importo di base dell’ammenda. Tuttavia, non risulta che nella fattispecie si sia verificato tale caso, poiché le ricorrenti hanno contestato non già l’attuazione dell’intesa da parte loro, bensì unicamente l’assenza di presa in considerazione dell’intensità variabile di tale attuazione e dell’impatto concreto e oggettivo dell’intesa sui consumatori.

68      Peraltro, dato il gran numero di variabili in gioco, in particolare, nella formazione dei prezzi di manufatti, può risultare difficile quantificare il danno effettivo per il consumatore.

69      In ogni caso, la durata dell’infrazione è indicata dal legislatore come elemento da prendere in considerazione in quanto tale ai fini della fissazione dell’importo delle ammende.

70      In considerazione di tali elementi, al punto 105 della sentenza impugnata il Tribunale ha correttamente dichiarato infondato il motivo avente ad oggetto la maggiorazione dell’importo dell’ammenda in funzione della durata dell’intesa.

71      Dall’insieme delle considerazioni che precedono emerge che il terzo motivo è infondato.

 Sul quarto motivo, attinente a diversi errori di diritto relativi alla presa in considerazione della cooperazione delle ricorrenti

 Argomenti delle parti

72      Le ricorrenti indicano che il loro quarto motivo riguarda i punti 123‑134 della sentenza impugnata. Affermano che il Tribunale ha violato il diritto comunitario avendo confermato la parte della decisione controversa in cui la Commissione ha rifiutato loro il beneficio di una riduzione dell’ammenda a motivo della loro cooperazione al di là del campo di applicazione della comunicazione sulla cooperazione, contravvenendo così al punto 3, sesto trattino, degli orientamenti nonché ai principi di equità e della parità di trattamento.

73      Le ricorrenti sono del parere che solo loro avrebbero dovuto beneficiare della riduzione dell’ammenda perché hanno addotto una prova della durata dell’infrazione, contrariamente al gruppo Outokumpu, che aveva fornito solo un’informazione riguardante la durata complessiva del cartello.

74      La Commissione afferma che il motivo è irricevibile poiché il gruppo KME ha chiesto alla Corte di sostituire la sua valutazione a quella del Tribunale.

75      Inoltre, il motivo sarebbe infondato. In risposta all’insieme degli argomenti svolti dal gruppo KME, la Commissione fa valere che il Tribunale ha fornito una spiegazione chiara e logica della sua valutazione dei casi in cui può essere concessa un’immunità parziale.

76      La Commissione rileva che, per quanto riguarda la concessione della riduzione dell’ammenda al gruppo Outokumpu, l’informazione comunicatale da quest’ultimo le ha permesso di indagare e di ricercare prove. Le ricorrenti avrebbero facilitato il compito fornendo prove – più di sedici mesi dopo il gruppo Outokumpu – e nulla di più. A dispetto di quanto possa trasparire dalla loro impugnazione, le ricorrenti non avrebbero neanche beneficiato di un’immunità parziale conformemente alla comunicazione della Commissione sull’immunità dalle ammende e sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa, poiché un’immunità di questo tipo è riservata alle prove di «fatti precedentemente ignorati dalla Commissione», il che non era applicabile alla durata totale del cartello.

77      Infine, la Commissione sottolinea che l’applicazione di un’immunità parziale nell’ipotesi addotta dalle ricorrenti sarebbe contraria al titolo D della comunicazione sulla cooperazione, che già prevede una riduzione dell’ammenda quando l’impresa fornisca alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare l’esistenza dell’infrazione commessa.

 Giudizio della Corte

78      Occorre ricordare che, secondo la comunicazione sulla cooperazione, beneficia della non imposizione o di una forte riduzione dell’ammenda solo l’impresa che per prima fornisca elementi determinanti ai fini della prova dell’esistenza dell’intesa.

79      Il Tribunale ha esaminato le circostanze della cooperazione delle ricorrenti e di quella del gruppo Outokumpu ai punti 144 e 145 della sentenza impugnata. Si tratta, tuttavia, di osservazioni e di valutazioni di fatto che non spetta alla Corte controllare nell’ambito di un’impugnazione.

80      Peraltro, dato che è stato constatato che la cooperazione delle ricorrenti era posteriore a quella del gruppo Outokumpu, il Tribunale ha giustamente concluso, al punto 147 della sentenza impugnata, che le ricorrenti e il gruppo Outokumpu non si trovavano in una situazione paragonabile e che, di conseguenza, non avevano subito una discriminazione.

81      Infine, le ricorrenti non indicano sotto che profilo il Tribunale sarebbe incorso in errore di diritto nel ragionamento svolto ai punti 130 e 131 della sentenza impugnata e, in particolare, non spiegano come il fatto di produrre prove relative a fatti già noti alla Commissione possa giustificare la riduzione dell’ammenda per circostanze attenuanti in misura maggiore rispetto a quello di produrre anteriormente informazioni nuove per la Commissione. Ne consegue che questo argomento è irricevibile in quanto eccessivamente impreciso.

82      Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il quarto motivo è in parte irricevibile e in parte infondato.

 Sul quinto motivo, attinente alla violazione del diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo

 Argomenti delle parti

83      Le ricorrenti affermano che il Tribunale ha violato il diritto comunitario e il loro diritto fondamentale ad un ricorso giurisdizionale effettivo e pieno omettendo di esaminare in modo approfondito e dettagliato i loro argomenti e rimettendosi in modo eccessivo ed irragionevole al potere discrezionale della Commissione.

84      Esse dichiarano che la dottrina del «potere discrezionale» e della «deferenza giudiziaria» non dovrebbe più essere applicata oggigiorno, poiché il diritto comunitario è ormai caratterizzato dall’enorme importo delle ammende inflitte dalla Commissione, situazione spesso designata come «trasformazione in senso penale» de facto del diritto europeo della concorrenza.

85      D’altra parte, l’applicabilità diretta dell’eccezione di cui all’art. 81, n. 3, CE, istituita dal regolamento n. 1/2003 in sostituzione del precedente regime di autorizzazione, esclude per definizione qualsiasi discrezionalità della Commissione nell’applicazione delle regole della concorrenza e quindi impone solamente un grado molto ridotto di deferenza giudiziaria da parte degli organi giurisdizionali che controllano l’applicazione di dette regole ad opera della Commissione in casi particolari.

86      Le ricorrenti sostengono altresì che il potere discrezionale della Commissione non dovrebbe essere giustificato dalla presunta migliore competenza della Commissione a valutare complesse situazioni di fatto o economiche. Esse rilevano, a tale proposito, che sia la Corte sia il Tribunale hanno svolto proficuamente controlli giurisdizionali particolarmente intensi su casi complessi.

87      Allo stesso modo, tenuto conto della competenza estesa al merito conferita al Tribunale dagli artt. 229 CE e 31 del regolamento n. 1/2003, il Tribunale non dovrebbe riconoscere alla Commissione alcun potere discrezionale non solo per quanto riguarda l’adeguatezza e la proporzionalità dell’importo delle ammende, ma anche per quanto concerne il metodo di lavoro seguito dalla Commissione per effettuare i suoi calcoli. Secondo le ricorrenti, il Tribunale è tenuto ad esaminare il modo in cui la Commissione ha valutato la gravità e la durata del comportamento illecito in ogni singolo caso e può dunque sostituire la propria valutazione a quella della Commissione annullando, riducendo o aumentando l’ammenda.

88      Le ricorrenti ricordano inoltre che, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’attuazione del diritto amministrativo tramite decisioni amministrative e ammende non viola di per sé l’art. 6, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Tale attuazione, tuttavia, dovrebbe essere sorretta da garanzie procedurali sufficientemente forti e accompagnata da un effettivo regime di sindacato giurisdizionale, comprendente una competenza giurisdizionale estesa al merito per il controllo delle decisioni amministrative. Il diritto ad un «ricorso effettivo dinanzi ad un giudice» è sancito anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

89      La Commissione sostiene innanzitutto che il quinto motivo è troppo generico e vago per essere esaminato dalla Corte. Rileva altresì che il gruppo KME non contesta la struttura fondamentale del controllo giurisdizionale sulle decisioni della Commissione e non fornisce alcun elemento atto a spiegare in che modo i riferimenti del Tribunale al potere discrezionale della Commissione dimostrino che il Tribunale non ha effettuato adeguatamente il controllo della legittimità della decisione controversa alla luce del secondo e del quarto motivo sollevati dinanzi al Tribunale dal gruppo KME.

90      Infine, secondo la Commissione, il gruppo KME si limita a fare allusione alle «accuse di natura penalistica» e all’art. 6, n. 1, della CEDU, ma non analizza le conseguenze che occorre dedurne.

 Giudizio della Corte

91      Con il quinto motivo le ricorrenti contestano nel contempo il modo in cui il Tribunale ha dichiarato di esser tenuto a considerare l’ampio potere discrezionale della Commissione e il modo in cui esso ha concretamente svolto il controllo sulla decisione controversa. Esse richiamano l’art. 6 della CEDU nonché la Carta, senza tuttavia indicare precisamente se la loro critica si rivolga ai principi del controllo giurisdizionale o al modo in cui il Tribunale ha svolto tale controllo nella presente fattispecie.

92      Il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, attualmente sancito dall’art. 47 della Carta (v. sentenza 22 dicembre 2010, causa C‑279/09, DEB, Racc. pag. I‑13849, punti 30 e 31; ordinanza 1° marzo 2011, causa C‑457/09, Chartry, Racc. pag. I‑819, punto 25, nonché sentenza 28 luglio 2011, causa C‑69/10, Samba Diouf, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 49).

93      Il sindacato giurisdizionale delle decisioni delle istituzioni è stato disciplinato dai Trattati istitutivi. Oltre a un controllo di legittimità, attualmente definito all’articolo 263 TFUE, è stato previsto un controllo esteso al merito per quanto riguarda le sanzioni previste dai regolamenti.

94      Per quanto riguarda il controllo di legittimità, la Corte ha statuito che, sebbene negli ambiti che richiedono valutazioni economiche complesse la Commissione disponga di un potere discrezionale in materia economica, ciò non implica che il giudice dell’Unione debba astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di natura economica. Infatti, il giudice dell’Unione è tenuto in particolare a verificare non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte (v. sentenze 15 febbraio 2005, causa C‑12/03 P, Commissione/Tetra Laval, Racc. pag. I‑987, punto 39, nonché 22 novembre 2007, causa C‑525/04 P, Spagna/Lenzing, Racc. pag. I‑9947, punti 56 e 57).

95      Per quanto riguarda la sanzione delle infrazioni al diritto della concorrenza, l’art. 15, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 17, stabilisce che, per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata.

96      La Corte ha dichiarato che, per determinare l’importo delle ammende, si deve tenere conto della durata delle infrazioni e di tutti gli elementi idonei a rientrare nella valutazione della loro gravità, quali il comportamento di ciascuna delle imprese, il ruolo svolto da ciascuna di esse nell’instaurazione delle pratiche concordate, il profitto che esse hanno potuto trarre da tali pratiche, le loro dimensioni e il valore delle merci interessate nonché il rischio che infrazioni di tale tipo rappresentano per la Comunità europea (sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., punto 129; Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit., punto 242, nonché 3 settembre 2009, causa C‑534/07 P, Prym e Prym Consumer/Commissione, Racc. pag. I‑7415, punto 96).

97      La Corte ha altresì indicato che devono essere presi in considerazione elementi obiettivi come il contenuto e la durata dei comportamenti anticoncorrenziali, il loro numero e la loro intensità, l’estensione del mercato interessato e il deterioramento subito dall’ordine pubblico economico. L’analisi deve considerare altresì l’importanza relativa e la quota di mercato delle imprese responsabili, nonché un’eventuale recidiva (sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punto 91).

98      Questa elevata quantità di elementi richiede, da parte della Commissione, un esame approfondito delle circostanze dell’infrazione.

99      Per considerazioni attinenti alla trasparenza, la Commissione ha adottato gli orientamenti, in cui indica a quale titolo prenderà in considerazione l’una o l’altra circostanza dell’infrazione e le conseguenze che potranno esserne tratte riguardo all’importo dell’ammenda.

100    Gli orientamenti, a proposito dei quali la Corte ha dichiarato che essi enunciano una regola di condotta indicativa della prassi da seguire da cui l’amministrazione non può discostarsi, in un’ipotesi specifica, senza fornire giustificazioni compatibili con il principio della parità di trattamento (sentenza 18 maggio 2006, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit., punto 91), si limitano a descrivere il metodo di valutazione dell’infrazione adottato dalla Commissione e i criteri che quest’ultima si obbliga a seguire nel determinare l’importo dell’ammenda.

101    Occorre rammentare l’obbligo di motivazione degli atti comunitari. Tale obbligo riveste un’importanza del tutto particolare nella fattispecie. Spetta alla Commissione motivare la propria decisione e, in particolare, spiegare la ponderazione e la valutazione che essa ha effettuato degli elementi considerati (v., in tal senso, sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit., punto 87). La presenza di una motivazione deve essere verificata d’ufficio dal giudice.

102    Peraltro, il giudice dell’Unione ha il compito di effettuare il controllo di legittimità ad esso incombente sulla base degli elementi prodotti dalle ricorrenti a sostegno dei loro motivi. In occasione di tale controllo, il giudice non può basarsi sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione, né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto.

103    Il controllo di legittimità è completato dalla competenza estesa al merito riconosciuta al giudice dell’Unione dall’art. 17 del regolamento n. 17 e attualmente dall’art. 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’art. 261 TFUE. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (v., in tal senso, sentenza 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 692)

104    Occorre tuttavia sottolineare che l’esercizio della competenza estesa al merito non equivale a un controllo d’ufficio e ricordare che il procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione è di tipo contraddittorio. Ad eccezione dei motivi di ordine pubblico, che devono essere sollevati d’ufficio dal giudice, come il difetto di motivazione della decisione impugnata, spetta al ricorrente sollevare motivi contro tale decisione e addurre elementi probatori per corroborare tali motivi.

105    Tale condizione procedurale non contraddice la regola secondo cui, per infrazioni a regole di concorrenza, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa riscontra e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare adeguatamente l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione. Ciò che si richiede a un ricorrente nell’ambito di un ricorso giurisdizionale, infatti, è di identificare gli elementi contestati della decisione impugnata, di formulare censure a tale riguardo e di addurre prove, che possono essere costituite da seri indizi, volte a dimostrare che le proprie censure sono fondate.

106    Il controllo previsto dai Trattati implica dunque che il giudice dell’Unione eserciti un controllo tanto in diritto quanto in fatto e che esso disponga del potere di valutare le prove, di annullare la decisione impugnata e di modificare l’ammontare delle ammende. Non risulta quindi che il controllo di legittimità di cui all’art. 263 TFUE, completato dalla competenza estesa al merito per quanto riguarda l’importo dell’ammenda, prevista all’art. 31 del regolamento n. 1/2003, sia contrario ai dettami del principio della tutela giurisdizionale effettiva che figura all’art. 47 della Carta.

107    Ne consegue che il quinto motivo, nella parte in cui riguarda le regole del sindacato giurisdizionale considerate alla luce del principio della tutela giurisdizionale effettiva, è infondato.

108    Relativamente alla parte che riguarda il modo in cui il Tribunale ha svolto il controllo della decisione controversa, il quinto motivo coincide con i motivi dal secondo al quarto dell’impugnazione e dunque è già stato esaminato dalla Corte.

109    A tale proposito occorre ricordare che, sebbene a più riprese – in particolare ai punti 35‑37, 92, 103, 115, 118, 129 e 141 della sentenza impugnata – il Tribunale si sia riferito al «potere discrezionale», al «potere discrezionale sostanziale» o all’«ampio potere discrezionale» della Commissione, tali riferimenti non hanno impedito al Tribunale di esercitare il pieno e completo controllo, in fatto e in diritto, al quale esso è tenuto.

110    Dall’insieme di tali elementi risulta che il quinto motivo è infondato.

111    Di conseguenza, non può essere accolto nessuno dei motivi addotti dal gruppo KME a fondamento della sua impugnazione, che, pertanto, dev’essere respinta.

 Sulle spese

112    Ai termini dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’art. 118 di detto regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il gruppo KME, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese del presente procedimento.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La KME Germany AG, la KME France SAS e la KME Italy SpA sono condannate alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.

In alto