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Documento 62009CC0352
Opinion of Mr Advocate General Bot delivered on 26 October 2010. # ThyssenKrupp Nirosta GmbH v European Commission. # Appeals - Competition - Agreements, decisions and concerted practices - Community market in stainless steel flat products - Decision finding an infringement of Article 65 CS after the expiry of the ECSC Treaty on the basis of Regulation (EC) No 1/2003 - Powers of the Commission - Principles of nulla poena sine lege and res judicata - Rights of the defence - Attributability of the unlawful conduct - Transfer of liability by means of a statement - Limitation period - Cooperation during the administrative procedure. # Case C-352/09 P.
Conclusioni dell'avvocato generale Bot del 26 ottobre 2010.
ThyssenKrupp Nirosta GmbH contro Commissione europea.
Impugnazione - Concorrenza - Intese - Mercato comunitario dei prodotti piatti in acciaio inossidabile - Decisione che accerta un’infrazione all’art. 65 CA successivamente alla scadenza del Trattato CECA, sulla base del regolamento (CE) n. 1/2003 - Competenza della Commissione - Principi nulla poena sine lege e dell’autorità di cosa giudicata - Diritti della difesa - Imputabilità del comportamento illegittimo - Trasferimento della responsabilità per mezzo di dichiarazione - Prescrizione - Cooperazione nel corso del procedimento amministrativo.
Causa C-352/09 P.
Conclusioni dell'avvocato generale Bot del 26 ottobre 2010.
ThyssenKrupp Nirosta GmbH contro Commissione europea.
Impugnazione - Concorrenza - Intese - Mercato comunitario dei prodotti piatti in acciaio inossidabile - Decisione che accerta un’infrazione all’art. 65 CA successivamente alla scadenza del Trattato CECA, sulla base del regolamento (CE) n. 1/2003 - Competenza della Commissione - Principi nulla poena sine lege e dell’autorità di cosa giudicata - Diritti della difesa - Imputabilità del comportamento illegittimo - Trasferimento della responsabilità per mezzo di dichiarazione - Prescrizione - Cooperazione nel corso del procedimento amministrativo.
Causa C-352/09 P.
Raccolta della Giurisprudenza 2011 I-02359
Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2010:635
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
YVES BOT
presentate il 26 ottobre 2010 (1)
Causa C‑352/09 P
ThyssenKrupp Nirosta GmbH, già ThyssenKrupp Nirosta AG, già ThyssenKrupp Stainless AG
contro
Commissione europea
«Impugnazione – Concorrenza – Intese sul mercato dei prodotti piatti di acciaio inossidabile – Annullamento di una decisione della Commissione – Adozione di una nuova decisione dopo la scadenza del Trattato CECA – Scelta del fondamento normativo – Continuità dell’ordinamento giuridico comunitario e coerenza dei Trattati – Principi che disciplinano l’applicazione della legge nel tempo – Principio dell’autorità di cosa giudicata – Condizioni in cui l’autorità di cosa giudicata può essere estesa alla motivazione della sentenza – Rispetto del principio del contraddittorio e del diritto a un processo equo – Imputabilità delle infrazioni – Responsabilità di un’impresa per la violazione delle norme sulla concorrenza commessa da un’altra impresa sul fondamento di una dichiarazione unilaterale – Assenza di continuità economica – Principio della responsabilità personale e della personalità della pena – Prescrizione – Oggetto della sospensione – Efficacia erga omnes o inter partes – Effetti di una sentenza d’annullamento sul calcolo del termine di prescrizione»
1. La causa in esame verte sull’impugnazione proposta dalla ThyssenKrupp Nirosta GmbH (2) contro la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 1° luglio 2009, ThyssenKrupp Stainless/Commissione (3).
2. Tale causa trae origine dalla decisione della Commissione 20 dicembre 2006, 2007/486/CE, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 65 del Trattato CECA (Caso COMP/F/39.234 – Extra di lega, riadozione) (4). Con detta decisione la Commissione delle Comunità europee ha dichiarato che la Thyssen Stahl AG (5) ha violato, dal 16 dicembre 1993 al 31 dicembre 1994, l’art 65 CA modificando e applicando in maniera concordata i valori di riferimento della formula di calcolo dell’extra di lega. Per tale motivo, la Commissione ha inflitto alla TKS un’ammenda di EUR 3 168 000.
3. Con la sentenza impugnata il Tribunale ha respinto le domande della TKS dirette a ottenere, da un lato, l’annullamento della decisione controversa e, dall’altro, la riduzione dell’ammenda.
4. In sostanza, l’impugnazione in esame solleva varie questioni relative all’applicazione dei principi fondamentali del contenzioso in materia di concorrenza. Alcune di tali questioni sono identiche, se non strettamente connesse a quelle sollevate nel contesto delle impugnazioni proposte avverso la sentenza del Tribunale 31 marzo 2009, ArcelorMittal Luxembourg e a./Commissione (6), nelle cause riunite C-201/09 P e C-216/09 P, attualmente pendenti dinanzi alla Corte, per le quali presento parimenti conclusioni.
5. La prima questione verte sulla validità del fondamento normativo della decisione controversa. Infatti, tenuto conto della scadenza del Trattato CECA e dell’assenza di disposizioni transitorie, per accertare e sanzionare la violazione dell’art. 65, n. 1, CA la Commissione si è basata sulle disposizioni del regolamento (CE) n. 1/2003 (7). Al riguardo, ritengo che il Tribunale potesse legittimamente assumere che tale fondamento normativo fosse valido.
6. La seconda questione riguarda la portata dell’autorità di cosa giudicata. Si può ritenere, in mancanza di contraddittorio, che il merito sia stato esaminato? È evidente che non sia così. Estendendo l’autorità del giudicato ad un punto di diritto della sentenza che non è stato oggetto né di contestazione né di discussione dinanzi ad esso, il Tribunale, a mio avviso, ha commesso un errore di diritto. Infatti, nessun ordinamento giuridico può tollerare che il rispetto delle garanzie fondamentali dell’equo processo, tra le quali figura il principio del contraddittorio, vengano sostituite da un’estensione smisurata dell’autorità del giudicato. Per tali motivi, proporrò alla Corte di annullare la sentenza impugnata.
7. La terza questione riguarda l’imputabilità delle pratiche. In sostanza, la questione è se la Commissione potesse legittimamente attribuire alla TKS la responsabilità dell’infrazione commessa da un’altra impresa, e ciò sul fondamento di una dichiarazione unilaterale della TKS. Sosterrò che tale attribuzione è illegittima, in quanto lede il principio della responsabilità personale e ignora la circostanza decisiva, risultante da una giurisprudenza costante della Corte, dell’assenza di continuità economica fra le due imprese. Preciserò, inoltre, che un’autorità pubblica quale la Commissione, incaricata di vigilare sull’applicazione dei principi fissati all’art. 81 CE, non può derogare alle norme e ai principi relativi all’imputabilità delle pratiche sulla base di accordi particolari conclusi fra le imprese.
8. Infine, la quarta questione riguarda l’interpretazione delle norme in materia di prescrizione. La questione è se la Commissione possa comunque condannare la Thyssen al pagamento di un’ammenda in ragione degli atti anticoncorrenziali da essa compiuti tra il 16 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994. Da una parte, occorrerà esaminare se, quando è introdotto un ricorso dinanzi a un giudice dell’Unione, la sospensione della prescrizione abbia un effetto relativo, vale a dire se essa valga solo nei confronti dell’impresa ricorrente, o erga omnes, nel qual caso la sospensione della prescrizione durante il procedimento giurisdizionale vale nei confronti di tutte le imprese che hanno partecipato all’infrazione, indipendentemente dal fatto che abbiano presentato o meno ricorso. D’altra parte, occorrerà esaminare gli affetti di una sentenza di annullamento di una decisione della Commissione sul calcolo del termine di prescrizione. Dopo un esame della natura e della portata della sospensione della prescrizione, sosterrò che tali azioni sono prescritte a partire dal 24 aprile 2002.
I – Il contesto normativo
A – Le disposizioni del Trattato CECA
9. L’art. 65 CA dispone quanto segue:
«1. È proibito ogni accordo tra imprese, ogni decisione d’associazioni d’imprese e ogni pratica concordata che tenda, sul mercato comune, direttamente o indirettamente, a impedire, limitare o alterare il giuoco normale della concorrenza e in particolare:
a) a fissare o a determinare i prezzi;
b) a limitare o controllare la produzione, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) a ripartire i mercati, i prodotti, i clienti o le fonti d’approvvigionamento.
(…)
4. Gli accordi o le decisioni vietati per effetto della sezione 1 del presente articolo sono nulli di pieno diritto e non possono essere invocati avanti ad alcuna giurisdizione degli Stati membri.
La Commissione ha competenza esclusiva, con riserva dei ricorsi avanti alla Corte, per pronunciarsi sulla conformità di tali accordi o decisioni con le disposizioni del presente articolo.
5. Alle imprese che abbiano concluso un accordo nullo di pieno diritto, eseguito o tentato d’eseguire, per mezzo di arbitrato, di penale, boicottaggio, o in qualsiasi altro modo, un accordo o una decisione nulli di pieno diritto, o un accordo la cui approvazione è stata rifiutata o revocata; oppure che abbiano ottenuto il beneficio d’una autorizzazione per mezzo di informazioni scientemente false o travisate; oppure che abbiano attuato pratiche contrarie alle disposizioni della sezione 1, la Commissione può infliggere ammende e penalità di mora al massimo uguali al doppio del volume d’affari ottenuto con i prodotti oggetto dell’accordo, della decisione o della pratica contrari alle disposizioni del presente articolo, senza pregiudizio, se il loro scopo è di limitare la produzione, lo sviluppo tecnico o gli investimenti, di un aumento del massimo così determinato fino al 10% del volume d’affari annuo delle imprese in argomento, per quanto concerne l’ammenda, e fino al 20% del volume d’affari giornaliero, per quanto concerne le penalità di mora».
10. Conformemente all’art. 97 CE, il Trattato CECA è scaduto il 23 luglio 2002.
B – Le disposizioni del Trattato CE
11. L’art. 305, n. 1, CE, abrogato a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, enunciava quanto segue:
«Le disposizioni del presente trattato non modificano quelle del trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, in particolare per quanto riguarda i diritti e gli obblighi degli Stati membri, i poteri delle istituzioni di tale Comunità e le norme sancite da tale trattato per il funzionamento del mercato comune del carbone e dell’acciaio».
C – Il regolamento n. 1/2003
12. Il regolamento n. 1/2003, lo ricordo, riguarda l’attuazione delle norme in materia di concorrenza di cui agli artt. 81 CE e 82 CE.
13. L’art. 7, n. 1, di tale regolamento così recita:
«Se la Commissione constata, in seguito a denuncia o d’ufficio, un’infrazione all’articolo 81 [CE] o all’articolo 82 [CE], può obbligare, mediante decisione, le imprese e associazioni di imprese interessate a porre fine all’infrazione constatata (…). Qualora la Commissione abbia un legittimo interesse in tal senso, essa può inoltre procedere alla constatazione di un’infrazione già cessata».
14. Ai sensi dell’art. 23, n. 2, lett. a), di detto regolamento, la Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza, commettono un’infrazione alle disposizioni degli art. 81 CE o 82 CE.
15. L’art. 25 del regolamento n. 1/2003 contiene le disposizioni relative alla prescrizione delle azioni sanzionatorie.
16. Tali disposizioni sono sostanzialmente analoghe a quelle contenute nella decisione della Commissione 6 aprile 1978, n. 715/78/CECA, relativa alla prescrizione in materia di azioni e di esecuzione nel campo di applicazione del Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (8).
17. Ai sensi dell’art. 1, nn. 1 e 2, della decisione n. 715/78 e dell’art. 25, nn. 1 e 2, del regolamento n. 1/2003, la prescrizione in materia di azioni opera qualora la Commissione non abbia irrogato un’ammenda o una sanzione entro cinque anni a decorrere dal giorno in cui è cessata l’infrazione.
18. Tuttavia, in virtù dell’art. 2, nn. 1 e 2, della decisione n. 715/78 e dell’art. 25, nn. 3 e 4, del regolamento n. 1/2003, tale prescrizione può essere interrotta da qualsiasi atto della Commissione destinato all’accertamento o alla repressione dell’infrazione. Fra tali atti rientrano le domande di informazioni, i mandati ad eseguire accertamenti, l’avvio di un accertamento o la notifica della comunicazione degli addebiti. Tale interruzione vale nei confronti di tutte le imprese che hanno partecipato all’infrazione.
19. L’art. 2, n. 3, della decisione n. 715/78 e l’art. 25, n. 5, del regolamento n. 1/2003 prevedono una postilla. Essi dispongono che per effetto dell’interruzione prende avvio un nuovo periodo di prescrizione. La prescrizione si realizza, tuttavia, al più tardi allo spirare del doppio del termine previsto, qualora la Commissione non abbia irrogato un’ammenda o una penalità di mora entro tale termine. Detto termine è prolungato in ragione della durata della sospensione della prescrizione.
20. Infine, l’art. 3 della decisione n. 715/78 e l’art. 25, n. 6, del regolamento n. 1/2003 precisano che la prescrizione in materia di azioni sanzionatorie rimane sospesa per il tempo in cui pende dinanzi alla Corte un ricorso contro la decisione della Commissione.
II – Il contesto di fatto
21. I fatti, quali risultano dalla sentenza impugnata, possono essere riassunti come segue.
22. La Krupp Thyssen Nirosta GmbH, società di diritto tedesco, è sorta il 1° gennaio 1995 dalla concentrazione delle attività nel settore dei prodotti piatti di acciaio inossidabile della Thyssen e della Fried Krupp AG Hoesch‑Krupp. La Thyssen ha proseguito le sue attività in modo indipendente in altri settori (9).
23. In base ad informazioni chieste il 16 marzo 1995 a vari produttori di acciaio inossidabile, il 19 dicembre 1995 la Commissione inviava una comunicazione degli addebiti a 19 imprese. Successivamente alla comunicazione da parte di alcune di queste, tra cui la TKS e la Thyssen, della loro intenzione di cooperare, il 24 aprile 1997 la Commissione trasmetteva loro una nuova comunicazione degli addebiti, cui la TKS e la Thyssen rispondevano individualmente.
24. Con lettera del 23 luglio 1997 indirizzata alla Commissione (in prosieguo: la «dichiarazione 23 luglio 1997»), la TKS dichiarava quanto segue:
«Per quanto riguarda il menzionato procedimento [Caso IV/35.814 − ThyssenKrupp Stainless], avete chiesto al legale rappresentante della [Thyssen] (...) che [la TKS] confermi espressamente che essa si assume, in conseguenza del trasferimento del settore di attività dei prodotti piatti inossidabili della Thyssen, la responsabilità dell’operato della Thyssen stessa per quanto riguarda i prodotti piatti inossidabili che costituiscono l’oggetto del presente procedimento, e questo anche per il periodo risalente fino al 1993. Con la presente vi confermiamo espressamente quanto richiesto».
25. Con la decisione 98/247/CECA (10), la Commissione constatava che la maggior parte dei produttori di prodotti piatti di acciaio inossidabile, tra cui la TKS e la Thyssen, avevano violato l’art. 65, n. 1, CA, in quanto, nel corso di una riunione tenutasi a Madrid il 16 dicembre 1993, avevano concertato un aumento dei loro prezzi a partire dal 1° febbraio 1994.
26. Basandosi sulla dichiarazione del 23 luglio 1997, la Commissione notificava tale decisione unicamente alla TKS. A quest’ultima veniva pertanto inflitta un’ammenda non solo per le sue azioni, ma anche per i fatti addebitati alla Thyssen e relativi al periodo compreso tra il dicembre 1993 e il 1° gennaio 1995.
27. L’11 marzo 1998 la TKS proponeva un ricorso diretto, in particolare, all’annullamento della decisione iniziale.
28. Con sentenza 13 dicembre 2001, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione (11), il Tribunale annullava la decisione iniziale nella parte in cui attribuiva alla TKS la responsabilità della violazione dell’art. 65, n. 1, CA commessa dalla Thyssen e riduceva conseguentemente l’ammenda. Esso riteneva che la Commissione non avesse dato modo alla TKS di presentare le sue osservazioni in merito ai fatti addebitati alla Thyssen e avesse, quindi, violato i diritti della difesa della TKS.
29. Con sentenza 14 luglio 2005, ThyssenKrupp/Commissione (12), la Corte respingeva le impugnazioni proposte dalla TKS e dalla Commissione contro tale sentenza.
30. A seguito di corrispondenza intercorsa con la TKS e la Thyssen, il 5 aprile 2006 la Commissione inviava alla prima una nuova comunicazione degli addebiti. La TKS rispondeva il 17 maggio 2006 e il 15 settembre 2006 si svolgeva un’audizione pubblica.
31. Il 20 dicembre 2006 la Commissione adottava la decisione controversa. La TKS è l’unica destinataria di tale decisione. Come si legge nel suo preambolo, detta decisione si basa, in particolare, sul Trattato CECA e sull’art. 65 CA dello stesso, nonché sul Trattato CE e sul regolamento n. 1/2003. Il dispositivo della decisione controversa prevede quanto segue:
«Articolo 1
Thyssen (…) ha violato l’articolo 65, paragrafo 1, CA, dal 16 dicembre 1993 al 31 dicembre 1994, modificando e applicando in maniera concordata i valori di riferimento della formula di calcolo dell’extra di lega, pratica che ha avuto per oggetto ed effetto di limitare e falsare il gioco normale della concorrenza sul mercato comune.
Articolo 2
1. Per l’infrazione di cui all’articolo [1], viene inflitta un’ammenda di 3 168 000 euro.
2. Avendo la persona giuridica [TKS] assunto, con [dichiarazione] 23 luglio 1997, la responsabilità per il comportamento della persona giuridica Thyssen (…), l’ammenda viene inflitta a [TKS].
(…)».
III – Il ricorso dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata
32. Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 6 febbraio 2007, la TKS proponeva ricorso di annullamento contro la decisione controversa ex art. 263 TFUE.
33. Tale ricorso era fondato su dieci motivi.
34. I primi due motivi riguardavano il fondamento normativo della decisione controversa e vertevano, rispettivamente, sulla violazione del principio nulla poena sine lege derivante dall’applicazione dell’art. 65, n. 1, CA successivamente al 23 luglio 2002 e sull’illegittimità dell’applicazione combinata del regolamento n. 1/2003 e dell’art. 65 CA.
35. Con il terzo motivo la TKS sosteneva che la Corte, nella citata sentenza 14 luglio 2005, ThyssenKrupp/Commissione, avesse accertato con sentenza passata in giudicato che essa non era responsabile delle azioni della Thyssen. Essa lamentava inoltre, nell’ambito del quarto motivo, l’illegittimità della dichiarazione 23 luglio 1997.
36. Con il quinto e il sesto motivo la TKS lamentava la violazione del principio della certezza del diritto e del principio del ne bis in idem. Con il settimo motivo, ritenendo che l’infrazione commessa dalla Thyssen fosse prescritta, denunciava la violazione delle norme in materia di prescrizione. L’ottavo e il nono motivo erano fondati su una violazione dei diritti della difesa derivante, da un lato, dalla violazione del diritto di accesso al fascicolo e, dall’altro, dall’irregolarità della comunicazione degli addebiti.
37. In subordine, la TKS sosteneva, nell’ambito del decimo motivo, che l’importo dell’ammenda fosse stato calcolato in maniera errata, poiché la Commissione non avrebbe tenuto conto della sua mancata contestazione dell’esistenza dell’infrazione nel suo complesso.
38. Ai punti 37 e 38 della sentenza impugnata si precisa che le parti sono state sentite all’udienza dell’11 dicembre 2008 e che, nel corso di tale udienza, la TKS ha dichiarato di revocare la dichiarazione 23 luglio 1997, cosa di cui è stato preso atto nel verbale d’udienza.
39. Con la sentenza impugnata il Tribunale ha respinto il ricorso e condannato la TKS alle spese.
40. In sostanza, il Tribunale ha ritenuto che l’applicazione dell’art. 65, n. 1, CA successivamente al 23 luglio 2002 a fatti anteriori a tale data non leda il principio nulla poena sine lege e che, ai fini di tale applicazione, la Commissione potesse fondare la propria competenza sul regolamento n. 1/2003. Il Tribunale ha considerato che la Corte aveva accertato con decisione passata in giudicato, nella citata sentenza 14 luglio 2005, ThyssenKrupp/Commissione, che la TKS era responsabile delle azioni della Thyssen in virtù della dichiarazione 23 luglio 1997.
41. Secondo il Tribunale, i fondamenti normativi della sanzione e del trasferimento di responsabilità erano determinati con sufficiente chiarezza, da un lato, dagli artt. 7, n. 1, e 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 e, dall’altro, dalla dichiarazione 23 luglio 1997. L’asserita violazione del principio del ne bis in idem è stata esclusa in quanto, in virtù della suddetta dichiarazione, l’infrazione della Thyssen sarebbe stata imputabile alla TKS. Tale infrazione non era prescritta, secondo il Tribunale, in quanto la prescrizione andrebbe valutata in riferimento alla TKS e sarebbe rimasta sospesa durante il procedimento giurisdizionale vertente sulla decisione iniziale.
42. Infine, il Tribunale ha dichiarato che la comunicazione degli addebiti era regolare e che la Commissione non ha violato il diritto della TKS di accedere al fascicolo, né commesso un errore per non avere tenuto conto della presunta assenza di contestazione dell’esistenza di detta infrazione.
IV – Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti
43. A sostegno dell’impugnazione, la TKS chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata; in subordine, di rinviare la causa dinanzi al Tribunale e, in ulteriore subordine, di ridurre l’importo dell’ammenda inflittale in forza dell’art. 2 della decisione controversa. Essa chiede, inoltre, la condanna della Commissione alle spese.
44. La Commissione chiede il rigetto del ricorso e la condanna della TKS alle spese.
V – L’impugnazione
45. La TKS deduce cinque motivi. Il primo si fonda sulla violazione del principio nulla poena sine lege derivante dall’applicazione dell’art. 65, n. 1, CA successivamente al 23 luglio 2002 sull’errata applicazione dell’art. 23 del regolamento n. 1/2003 all’art. 65, n. 1, CA, sulla violazione della sovranità degli Stati firmatari del Trattato CECA e sull’inapplicabilità ai fatti della presente causa della sentenza del Tribunale 12 settembre 2007, González y Díez/Commissione (13).
46. Con il secondo motivo la TKS fa valere che il fatto che le sia stata imputata la responsabilità delle azioni della Thyssen non è stato accertato con autorità di cosa giudicata nella citata sentenza della Corte 14 luglio 2005, ThyssenKrupp/Commissione, che il Tribunale ha frainteso la portata del principio della res judicata, violando così i suoi diritti della difesa e sostenendo erroneamente che la dichiarazione 23 luglio 1997 determinasse un trasferimento di responsabilità dalla Thyssen alla TKS.
47. Il terzo motivo attiene ad un difetto di precisione sia del fondamento normativo della decisione controversa sia del trasferimento di responsabilità, precisione che il Tribunale avrebbe erroneamente accertato. Con il quarto motivo la TKS contesta al Tribunale la violazione delle disposizioni che disciplinano la prescrizione. Il quinto motivo riguarda la violazione dei principi che disciplinano il calcolo dell’importo dell’ammenda.
A – Osservazioni preliminari
48. L’esame di tali motivi impone anzitutto di rammentare la natura del procedimento di applicazione delle regole di concorrenza.
49. Se è pur vero che tale procedimento non rientra stricto sensu nella materia penale, esso presenta tuttavia un carattere quasi repressivo. Infatti, le ammende di cui all’art. 23 del regolamento n. 1/2003 sono, per la loro natura e la loro gravità, equiparabili ad una sanzione penale e la Commissione, tenuto conto delle sue funzioni di indagine, istruttoria e decisionale, interviene anzitutto in modo repressivo nei confronti delle imprese. A mio parere, detto procedimento rientra quindi nell’ambito «penale» ai sensi dell’art. 6, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (14) e, pertanto, deve presentare le garanzie previste dalla parte penale di detta disposizione (15).
50. Tale posizione è pienamente in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Quest’ultima utilizza tre criteri per stabilire se un’accusa rientri in ambito penale, ossia la qualificazione giuridica dell’infrazione nel diritto interno, la natura repressiva e dissuasiva della sanzione, nonché il grado di severità della sanzione di cui è, a priori, passibile l’interessato (16). Il primo criterio ha un valore meramente formale e relativo, mentre gli altri due sono alternativi (17). La Corte europea dei diritti dell’uomo ha adottato tale ragionamento per varie sanzioni amministrative (18), tra le quali figurano le sanzioni inflitte dalle autorità nazionali per la concorrenza (19). Infatti, tenuto conto dell’obiettivo del diritto della concorrenza (tutela dell’ordine pubblico economico), della natura delle sanzioni (effetto sia preventivo che punitivo, estraneo a qualsiasi natura risarcitoria) e della loro gravità (pena pecuniaria di importo elevato), tali procedure devono essere soggette, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, alle garanzie previste dall’art. 6 della CEDU.
51. La giurisprudenza della Corte di giustizia segue questo stesso orientamento. Tenendo conto della specificità del contenzioso in materia di concorrenza, essa applica principi elementari del diritto repressivo e garanzie fondamentali rientranti nell’art. 6 della CEDU. Così, nella sentenza Commissione/Anic Partecipazioni (20), la Corte ha riconosciuto l’applicabilità del principio della responsabilità personale alle norme in materia di concorrenza (21). Successivamente, nella sentenza Hüls/Commissione (22), la Corte si è richiamata al principio della presunzione d’innocenza garantita all’art. 6, n. 2, della CEDU. In detta causa, il giudice dell’Unione ha ritenuto che, considerata la natura delle infrazioni di cui trattasi, nonché la natura e il grado di severità delle sanzioni che vi sono connesse, il principio della presunzione d’innocenza si applica alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende (23).
52. Tali elementi dimostrano sufficientemente che, nell’esame della presente impugnazione, si dovrà prestare particolare attenzione al rispetto delle garanzie fondamentali riconosciute agli artt. 47‑49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (24) e all’art. 6 della CEDU.
B – Sul primo motivo, concernente l’assenza di fondamento normativo della decisione controversa
53. In sostanza, la TKS sostiene che, a causa della scadenza del Trattato CECA, intervenuta il 23 luglio 2002, sia venuta meno la competenza della Commissione a sanzionare un’infrazione all’art. 65 CA e che non esista alcuna norma che autorizzi tale istituzione ad applicare la disposizione in parola.
1. Argomenti delle parti
54. Il primo motivo si articola su quatto capi concernenti, in primo luogo, la violazione del principio nulla poena sine lege derivante dall’applicazione dell’art. 65, n. 1, CA successivamente al 23 luglio 2002, in secondo luogo, l’illegittimità dell’applicazione combinata dell’art. 23 del regolamento n. 1/2003 e dell’art. 65, n. 1, CA, in terzo luogo, la violazione della sovranità degli Stati firmatari del Trattato CECA e, in quarto luogo, l’inapplicabilità della citata sentenza González y Díez/Commissione, cui il Tribunale fa riferimento nella sentenza impugnata.
a) Sul primo capo, relativo alla violazione del principio nulla poena sine lege derivante dall’applicazione dell’art. 65, n. 1, CA successivamente alla scadenza del Trattato CECA, intervenuta il 23 luglio 2002
55. A parere della TKS, fondare una decisione sull’art. 65 CA dopo il 23 luglio 2002 per sanzionare infrazioni cessate prima della scadenza del Trattato CECA violerebbe il principio di legalità dei delitti e delle pene. Infatti, ammettere che determinate pratiche rientranti nell’ambito di applicazione del Trattato CECA siano attualmente comprese in quello del Trattato CE in ragione della continuità del diritto dell’Unione contrasterebbe con i principi della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (25) ed equivarrebbe ad ammettere un’interpretazione analogica delle disposizioni di diritto penale.
56. Per effetto della scadenza del Trattato CECA e dell’assenza di misure transitorie relative all’art. 65 CA, la Commissione non disporrebbe più, dopo il 23 luglio 2002, dei poteri attribuiti da tale articolo. La questione della corrispondenza tra gli artt. 65 CA e 81 CE, nonché quella dell’applicazione della lex specialis non sarebbero quindi più pertinenti nella specie.
57. In primo luogo, la Commissione ritiene che i Trattati CECA e CE siano parte di un unico ordinamento giuridico, in cui il Trattato CECA costituiva una lex specialis rispetto al Trattato CE. Così, il principio nulla poena sine lege risulterebbe rispettato in quanto, dopo la scadenza del Trattato CECA, le medesime intese sarebbero ancora vietate da una norma sostanziale identica all’art. 65 CA, ossia l’art. 81 CE. Pertanto, conformemente ai principi generali del diritto che disciplinano l’applicazione della legge nel tempo, e fatto salvo il principio della lex mitior, deve essere applicata la normativa vigente al momento dei fatti.
58. In secondo luogo, la Commissione si ritiene tutt’ora competente ad applicare l’art. 65, n. 1, CA. Infatti, tenuto conto del regime unico di divieto delle infrazioni alle regole di concorrenza, della competenza unica della Commissione in tale settore e del rapporto fra lex specialis e lex generalis dei due trattati, i Trattati CECA e CE costituirebbero un unico ordinamento giuridico, caratterizzato, in particolare, dalla natura generale del divieto alle intese previsto dall’art. 81 CE. A tale ordinamento giuridico si applicherebbero principi generali di diritto comune, in particolare quelli che disciplinano l’applicazione della legge nel tempo, il che giustificherebbe il mantenimento dei poteri della Commissione malgrado la scadenza del Trattato CECA.
b) Sul secondo capo, relativo all’illegittimità dell’applicazione combinata dell’art. 23 del regolamento n. 1/2003 e dell’art. 61, n. 1, CA
59. In primo luogo, dalla scadenza del Trattato CECA la TKS deduce l’assenza di qualsiasi fondamento normativo per sanzionare una violazione dell’art. 65, n. 1, CA. Essa ricorda il divieto di interpretazione analogica nell’ambito delle sanzioni penali e afferma che il Tribunale ha accolto tale interpretazione ammettendo che la Commissione possa fondarsi sull’art. 23 del regolamento n. 1/2003 per sanzionare violazioni del Trattato CECA.
60. In secondo luogo, la TKS ricorda che non è compito del giudice dell’Unione colmare una lacuna giuridica dovuta all’assenza di disposizioni transitorie relative all’art. 65 CA.
61. In terzo luogo, essa ritiene che, tenuto conto del principio di attribuzione delle competenze, le competenze della Commissione definite dal Trattato CE siano strettamente limitate a tale Trattato. Ritenendo l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, in quanto norma di procedura, applicabile nel caso di specie, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto. Inoltre, non sarebbero applicabili neppure i principi dell’applicazione della legge nel tempo, in quanto la Commissione avrebbe perso ogni potere per sanzionare le infrazioni dell’art. 65 CA.
62. La Commissione ritiene che il Tribunale abbia applicato correttamente i principi dell’applicazione della legge nel tempo. Infatti, lo status di lex generalis dell’art. 81 CE determinerebbe l’applicabilità generale dell’art. 23 del regolamento n. 1/2003, rendendo superflua qualsiasi disposizione transitoria relativa all’art. 65 CA. Inoltre, basando la propria competenza su tale disposizione, la Commissione non avrebbe violato alcun principio generale di interpretazione, poiché la questione della corretta competenza non presenterebbe alcun nesso con quella della legalità delle pene e la Corte avrebbe già ammesso nella sua giurisprudenza un’interpretazione teleologica di disposizioni repressive (26).
c) Sul terzo capo, relativo alla violazione della sovranità degli Stati firmatari del Trattato CECA
63. La TKS è dell’opinione che la sentenza impugnata leda la sovranità degli Stati firmatari del Trattato CECA, in quanto, alla scadenza di detto Trattato, la competenza ad infliggere sanzioni nel suo ambito sarebbe stata restituita agli Stati membri, avendo gli Stati firmatari conferito il potere sanzionatorio alla Commissione solo fino a tale data.
64. La Commissione dubita che la TKS possa, nella sua qualità di persona giuridica di diritto privato, invocare tale violazione. Per effetto della continuità in seno ad un medesimo ordinamento giuridico, gli Stati membri, che avrebbero confermato unanimemente la decisione controversa nell’ambito del comitato consultivo, non avrebbero mai posseduto né recuperato competenze a reprimere le intese nel settore in questione. La TKS mirerebbe, quindi, ad ottenere un’impunità nei casi precedenti, incompatibile con l’importanza del divieto di intese.
d) Sul quarto capo, relativo all’inapplicabilità della citata sentenza González y Díez/Commissione
65. A parere della TKS, il riferimento del Tribunale alla citata sentenza González y Díez/Commissione non sarebbe pertinente, in quanto l’oggetto della controversia (gli aiuti di Stato) e gli effetti della distorsione della concorrenza non sarebbero equiparabili con quelli di cui alla causa in esame. Inoltre, l’infrazione controversa non produrrebbe effetti per il futuro.
66. La Commissione considera equiparabili taluni aspetti della causa in esame e della citata sentenza González y Díez/Commissione, giacché in entrambi i casi i fatti si sono interamente svolti prima della scadenza del Trattato CECA, ma il procedimento di recupero dell’aiuto o di sanzione ha avuto luogo dopo il 23 luglio 2002. Inoltre, in entrambe le cause le distorsioni della concorrenza potrebbero produrre effetti negativi per il futuro.
2. Analisi
67. Esaminerò congiuntamente i quattro capi su cui si articola il primo motivo. La TKS invita sostanzialmente la Corte a pronunciarsi sulla questione se, successivamente alla scadenza del Trattato CECA, la Commissione potesse accertare e sanzionare un’infrazione all’art. 65, n. 1, CA fondando la propria competenza sulle disposizioni del regolamento n. 1/2003, che, lo ricordo, costituisce il regolamento di attuazione dell’art. 81 CE.
68. Infatti, nella specie, per accertare l’infrazione la Commissione si è basata sull’art. 7, n. 1, del regolamento n. 1/2003. Inoltre, per infliggere l’ammenda alla TKS, la Commissione ha fatto riferimento all’art. 23, n. 2, di detto regolamento. Tuttavia, la Commissione non ha calcolato l’importo di tale ammenda secondo il metodo di calcolo indicato in detta disposizione, bensì conformemente al metodo stabilito all’art. 65, n. 5, CA, e ciò in applicazione del principio della lex mitior.
69. Non è la prima volta che la Commissione fonda una decisione su una combinazione del diritto sostanziale e del diritto procedurale risultanti dai Trattati CECA e CE. Essa ha proceduto nello stesso modo in altri due casi (27).
70. La Commissione ha agito così in quanto non esiste alcuna disposizione transitoria che le consenta di accertare e condannare una violazione dell’art. 65, n. 1, CA successivamente alla scadenza del Trattato CECA. Pertanto, qualora essa non sia riuscita ad adottare un decisione prima della scadenza di detto Trattato, a causa della scoperta tardiva degli atti anticoncorrenziali o, come nella specie, dell’annullamento di una prima decisione, nessuna disposizione le consente di garantire il rispetto dei diritti e degli obblighi derivanti dalla menzionata disposizione.
71. Inoltre, nessuno dei due regolamenti di attuazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza riguarda le situazioni maturate sotto la vigenza del Trattato CECA, sia esso il regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17 (28), o il regolamento n. 1/2003. Solo la comunicazione della Commissione relativa ad alcuni aspetti del trattamento di casi in materia di concorrenza a seguito della scadenza del trattato CECA (29) menziona tale situazione. Infatti, il punto 31 di detta comunicazione prevede quanto segue:
«Se la Commissione, nell’applicare il diritto di concorrenza comunitario alle intese, individua una violazione in un settore rientrante nel campo di applicazione del Trattato CECA, il diritto sostanziale applicabile sarà, indipendentemente dal momento in cui tale applicazione ha luogo, quello in vigore nel momento in cui si sono verificati i fatti che hanno costituito la violazione. In ogni caso, per quanto riguarda la procedura, dopo la scadenza del Trattato CECA, si applicherà il diritto CE (…)».
72. In considerazione di tale lacuna, la Commissione ha adottato una prima soluzione che il Tribunale ha respinto nelle sentenze 25 ottobre 2007, SP/Commissione (30), causa T‑45/03, Riva Acciaio/Commissione, causa T‑77/03, Feralpi Siderurgica/Commissione, e causa T‑94/03, Ferriere Nord/Commissione. In ciascuna di tali cause la Commissione aveva fondato la propria competenza esclusivamente sulle disposizioni del Trattato CECA, e ciò malgrado la sua scadenza. Così, nella decisione adottata il 17 dicembre 2002 nei confronti della Ferriere Nord SpA, la Commissione si era basata, per accertare un’infrazione all’art. 65, n. 1, CA, sull’art. 65, n. 4, CA e, per infliggere un’ammenda all’impresa, sull’art. 65, n. 5, CA.
73. Tutte le suddette decisioni sono state annullate dal Tribunale per incompetenza. In particolare, esso ha ricordato che, conformemente alla giurisprudenza della Corte (31), la disposizione che costituisce il fondamento normativo di un atto e che autorizza l’istituzione comunitaria ad adottare l’atto in questione deve essere in vigore al momento della sua adozione.
74. In alcune delle suddette cause la Commissione non ha impugnato la sentenza.
75. Nella specie, la Commissione prospetta quindi una soluzione nuova, fondando la sua decisione su una combinazione delle norme sostanziali contenute nel Trattato CECA con il diritto procedurale derivato dal Trattato CE, in vigore al momento dell’adozione della decisione controversa.
76. Nella sentenza impugnata il Tribunale ha confermato la legittimità di tale applicazione combinata basandosi su un’interpretazione teleologica delle norme stabilite dal legislatore dell’Unione. Per riconoscere alla Commissione il potere di adottare tale decisione, il Tribunale ha articolato il suo ragionamento in tre fasi. Anzitutto, ai punti 75‑79 della sentenza impugnata, esso ha ricordato la natura e la portata del Trattato CECA nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Ai punti 80‑84 il Tribunale si è poi basato sulla coerenza e sull’identità degli obiettivi perseguiti dai due Trattati applicando criteri di interpretazione elaborati dalla Corte. Infine, ai punti 85‑89 della menzionata sentenza, il Tribunale ha verificato se la Commissione avesse agito nel rispetto del principio di legalità e, in particolare, dei principi che disciplinano l’applicazione della legge nel tempo.
77. Nelle presenti conclusioni sosterrò, al pari del Tribunale, la validità di tale fondamento normativo e riprenderò in proposito il filo del suo ragionamento.
78. Nell’ordinamento giuridico dell’Unione, il Trattato CECA costituiva un regime specifico del settore carbosiderurgico, in deroga alle norme di carattere generale stabilite nell’ambito del Trattato CE. Il rapporto fra i due Trattati era disciplinato dall’art. 305 CE. Detta disposizione aveva l’effetto di escludere l’applicazione del Trattato CE e del suo diritto derivato ai prodotti rientranti nel settore carbosiderurgico laddove le questioni sollevate formavano oggetto di una disciplina specifica nell’ambito del Trattato CECA (32).
79. Nondimeno, in assenza di disposizioni specifiche, il Trattato CE e le disposizioni adottate per la sua attuazione si applicavano ai prodotti rientranti in tale comunità settoriale (33) e, a seguito della sua scomparsa, avvenuta il 23 luglio 2002, l’ambito di applicazione generale del Trattato CE si è esteso ai settori inizialmente disciplinati dal Trattato CECA.
80. Tale successione della disciplina del Trattato CE a quella del Trattato CECA rientra nell’ambito di un’unità «funzionale» tra le due comunità (34). La Corte ha riconosciuto ben presto l’esistenza di un unico ordinamento giuridico (35). Essa ha inoltre riconosciuto l’esistenza di un ordinamento giuridico continuo, nel quale, salvo che il legislatore dell’Unione si sia espresso in senso contrario, in caso di modifica della legislazione occorre garantire la continuità delle strutture giuridiche (36).
81. Le sentenze Busseni (37) e Lucchini (38), sulle quali il Tribunale fonda il proprio ragionamento, illustrano il modo in cui la Corte concepisce tale unità funzionale tra i due Trattati. Le due cause sopra menzionate vertevano sulla competenza della Corte a statuire nell’ambito di un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto l’interpretazione di disposizioni del Trattato CECA.
82. La prima causa riguardava una situazione in cui tale competenza non era espressamente prevista dall’art. 41 CA, contrariamente al testo dell’art. 234 CE. Per colmare tale lacuna, la Corte è andata oltre le differenze testuali fra le due disposizioni e si è basata sugli obiettivi comuni perseguiti, nonché sulla finalità e la coerenza sistematica dei Trattati. Ha quindi indicato che «[s]arebbe (…) contrario [a tale] scopo e [a tale] coerenza sistematica dei trattati che nel caso di disposizioni fondate sui Trattati [CE] e CEEA la determinazione del loro significato e del loro ambito di applicazione spettasse in ultima istanza alla Corte (…), mentre nel caso di norme relative al Trattato CECA questa competenza spetterebbe unicamente alle molteplici giurisdizioni nazionali, con possibili divergenze d’interpretazione e senza che la Corte (…) fosse abilitata a garantire l’uniforme interpretazione di tali norme [(39)]» (40).
83. La Corte ha successivamente applicato tale ragionamento nella citata causa Lucchini. Tale causa verteva su una fattispecie in cui, per effetto della scadenza del Trattato CECA, la Corte aveva perso la propria competenza a statuire su questioni pregiudiziali concernenti l’interpretazione e l’applicazione di detto Trattato. La Corte, riconoscendo che effettivamente non veniva più fatta applicazione dell’art. 41 CA, ha considerato che sarebbe risultato non solo contrario allo scopo e alla coerenza sistematica dei Trattati, ma anche incompatibile con la continuità dell’ordinamento giuridico comunitario il fatto che la Corte non fosse abilitata a garantire l’uniforme interpretazione delle norme connesse al Trattato CECA che continuano a produrre effetti anche dopo la sua scadenza (41).
84. In base a tale giurisprudenza, il Tribunale ha riconosciuto alla Commissione la competenza controversa. Al di là delle differenze testuali esistenti fra gli artt. 65, n. 1, CA e l’art. 81 CE, il Tribunale ha sottolineato che queste due disposizioni sono interpretate nello stesso modo dal giudice dell’Unione e perseguono gli stessi obiettivi.
85. La formulazione degli artt. 65, n. 1, CA e 81, n. 1, CE è infatti sufficiente a dimostrare che gli Stati membri intendevano accogliere le stesse regole e la stessa sfera di intervento delle Comunità. Per quanto diversi siano i rispettivi testi, tali disposizioni sono espressione delle medesime esigenze, ossia quella di istituire un mercato comune nel quale venga esercitata una concorrenza sana ed efficace e quella di stabilire, a tale scopo, un divieto di accordi aventi per oggetto o per effetto di falsare il normale giuoco della concorrenza. Come rilevato dal Tribunale, l’obiettivo di garantire una concorrenza non falsata nel settore carbosiderurgico non è venuto meno con la scadenza del Trattato CECA, ma continua semplicemente ad essere perseguito nel contesto del Trattato CE. Inoltre, gli artt. 65, n. 1 CA e 81, n. 1, CE tutelano i medesimi interessi giuridici. Sul piano dei mezzi d’azione, queste due disposizioni si fondano su premesse analoghe (42) e la loro attuazione spetta alla stessa autorità, vale a dire la Commissione.
86. Ciò considerato e fatto salvo il rispetto dei principi che disciplinano l’applicazione della legge nel tempo, mi sembra che il Tribunale potesse fondatamente concludere che la continuità dell’ordinamento giuridico comunitario e degli obiettivi che presiedono al suo funzionamento richiede che la Comunità europea, in quanto subentrata alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, assicuri, nei riguardi delle situazioni sorte sotto la vigenza del Trattato CECA, il rispetto dei diritti e degli obblighi che in forza dello stesso si imponevano agli Stati membri e ai singoli (43). Ammettere che, in seguito alla scadenza del Trattato CECA, la Comunità sia priva di tale natura mi sembra quindi contrario allo scopo e alla coerenza sistematica dei trattati voluti dal legislatore dell’Unione e incompatibile con la continuità dell’ordinamento giuridico riconosciuta alla Corte.
87. È evidente che tale interpretazione può essere compresa solo se la Comunità, rappresentata nella fattispecie dalla Commissione, agisce nel rispetto dei principi generali che disciplinano l’applicazione della legge nel tempo (44). Tali principi, ricordati dal Tribunale al punto 85 della sentenza impugnata, sono i seguenti.
88. Per quanto riguarda le norme di procedura, esse sono considerate applicabili a tutte le controversie pendenti al momento della loro entrata in vigore. In altre parole, la Commissione deve perseguire l’infrazione commessa sotto la vigenza del Trattato CECA con le forme e secondo la procedura prescritte dalle disposizioni vigenti alla data della sua decisione o conformemente a quelle previste nell’ambito del regolamento n. 1/2003.
89. Ciò non avviene, invece, nel caso delle norme sostanziali. Queste ultime non sono retroattive, salvo che il legislatore dell’Unione si sia espresso in senso contrario (45). Il diritto sostanziale applicabile rimane, quindi, quello vigente nel momento in cui è stata commessa l’infrazione. Tale principio consente di garantire la certezza del diritto dei singoli, i quali devono semplicemente poter conoscere i limiti della loro libertà individuale senza che le loro previsioni vengano successivamente smentite da una legge retroattiva.
90. Questa regola discende dal principio di legalità dei delitti e delle pene sancito all’art. 49, n. 1, della Carta e dall’art. 7, n. 1, della CEDU.
91. L’art. 49, n. 1, della Carta precisa quanto segue:
«Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima».
92. L’analisi svolta dal Tribunale al punto 89 della sentenza impugnata mi sembra perfettamente conforme a tale principio. Infatti, l’art. 65, n. 1, CA, che definisce l’infrazione, costituiva realmente la norma sostanziale applicabile ed effettivamente applicata dalla Commissione. La decisione controversa riguardava realmente una situazione giuridica definitivamente maturata prima della scadenza del Trattato CECA, essendosi realizzata tra il 16 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994. Inoltre, tenuto conto della sua natura di lex specialis, il Trattato CECA e le norme adottate per la sua attuazione erano effettivamente le uniche disposizioni applicabili a questo tipo di situazioni, maturate prima della sua scadenza. Infine, come precisato dal Tribunale, il legislatore dell’Unione non aveva affatto previsto un’applicazione retroattiva dell’art. 81 CE dopo la scadenza del Trattato CECA.
93. Adottando la decisione controversa, la Commissione ha quindi giustamente condannato un’azione che, nel momento in cui è stata compiuta, costituiva un’infrazione. Quando è stata commessa, vale a dire nel periodo compreso tra il 16 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994, tale infrazione era definita in modo chiaro e preciso all’art. 65, n. 1, CA. Inoltre, detta infrazione era punibile con una sanzione chiaramente definita all’art. 65, n. 5, CA. Le imprese, pertanto, erano perfettamente informate sulle conseguenze delle proprie azioni, sia nel primo procedimento sfociato nell’adozione della decisione iniziale, sia nel presente procedimento. Rilevo, infine, che in un ambito così particolare come quello della riadozione della decisione, la TKS non poteva legittimamente basarsi sulla scadenza del Trattato CECA per sottrarsi ad una condanna da parte della Commissione (nei limiti in cui le è addebitabile l’infrazione commessa dalla Thyssen).
94. Ora, per quanto riguarda le norme di procedura, è noto che, nell’ambito dell’attuazione dell’art. 81 CE, le disposizioni che autorizzano la Commissione ad adottare una decisione di condanna e a sanzionare le imprese che hanno commesso un violazione dell’art. 81 CE sono, dopo l’entrata in vigore, il 1° maggio 2004, del regolamento n. 1/2003, rispettivamente gli artt. 7, n. 1, e 23, n. 2, di detto regolamento. Dichiarando che tali disposizioni costituiscono norme di procedura, il Tribunale ne ha quindi sostenuto l’applicazione immediata.
95. È su quest’ultimo punto che non condivido l’analisi del Tribunale. Infatti, l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 non solo autorizza la Commissione ad infliggere un’ammenda. Esso ne fissa anche l’importo. Ciò considerato, mi sembra che tale disposizione costituisca un norma di diritto sostanziale.
96. Tuttavia capisco che, nel contesto particolare della presente causa, la Commissione si sia basata sulla menzionata disposizione per disporre di un potere sanzionatorio nei riguardi della TKS. Per quanto riguarda l’importo dell’ammenda, la Commissione l’ha calcolato, conformemente al principio della lex mitior di cui all’art. 49, n. 1, della Carta, in base all’art. 65, n. 5, CA, affinché la TKS beneficiasse della sanzione più lieve.
97. Alla luce delle suesposte considerazioni, mi sembra quindi che il Tribunale non sia incorso in un errore di diritto dichiarando che la Commissione, in una situazione come quella in esame, poteva basarsi sugli artt. 7, n. 1, e 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 per accertare e sanzionare le intese realizzate nel settore rientrante nell’ambito di applicazione del Trattato CECA.
98. Tuttavia, si deve rilevare che, contrariamente a quanto indicato dal Tribunale al punto 84 della sentenza impugnata, la Commissione non poteva agire in tal modo dopo il 23 luglio 2002, data in cui è scaduto il Trattato CECA, bensì a decorrere dal 1° maggio 2004, data in cui è entrato in vigore il regolamento n. 1/2003.
99. Tale errore non comporta, tuttavia, alcuna conseguenza sulla soluzione della controversia.
100. In base a tutte queste considerazioni, propongo alla Corte di respingere il primo motivo in quanto infondato.
C – Sul secondo motivo, concernente la violazione del principio dell’autorità di cosa giudicata per quanto riguarda l’imputabilità alla TKS della responsabilità per le azioni della Thyssen
1. Argomenti delle parti
101. Nell’ambito del secondo motivo, la TKS sostiene che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto laddove ha dichiarato che la questione relativa al fatto che le è stata imputata la responsabilità delle azioni compiute dalla Thyssen possedeva autorità di cosa giudicata.
102. Tale motivo si articola su tre capi.
103. Nell’ambito del primo capo la TKS sostiene, sostanzialmente, che il Tribunale ha accolto un’interpretazione erronea del punto 88 della citata sentenza della Corte ThyssenKrupp/Commissione. A parere della TKS, nel punto in questione la Corte avrebbe dichiarato che essa non era materialmente responsabile delle azioni della Thyssen e tale punto avrebbe attualmente autorità di cosa giudicata. Pertanto, la Commissione non avrebbe potuto validamente infliggerle un’ammenda per il comportamento illecito della Thyssen.
104. La Commissione ritiene che la TKS snaturi la sentenza impugnata. Infatti, come dichiarato dal Tribunale, la Corte avrebbe riconosciuto che, tenuto conto della dichiarazione 23 luglio 1997, la Commissione poteva legittimamente attribuire alla TKS la responsabilità degli atti della Thyssen. Inoltre, l’interpretazione della TKS contrasterebbe con l’oggetto stesso dell’impugnazione incidentale proposta dinanzi alla Corte. Infatti, detta impugnazione era circoscritta alla questione della rinuncia al diritto di essere sentita. Pertanto, la Corte non era tenuta ad esaminare nel merito la dichiarazione relativa all’assunzione della responsabilità.
105. Nell’ambito del secondo capo, la TKA sostiene, da un lato, che il Tribunale abbia violato il principio dell’autorità di cosa giudicata estendendo la portata di tale principio al di là dell’oggetto della controversia definito nel precedente procedimento. Infatti, l’oggetto di tale procedimento sarebbe stato limitato alla violazione dei diritti di difesa della TKS nel contesto dell’adozione della decisione iniziale. A suo parere, pertanto, l’autorità di cosa giudicata non potrebbe ostare ad un ricorso contro una nuova decisione, nel cui ambito essa possa far valere l’illegittimità della dichiarazione 23 luglio 1997. Al riguardo, la TKS ricorda che, tenuto conto della revoca della suddetta dichiarazione intervenuta fra la decisione iniziale e la decisione controversa, il contesto di fatto relativo al presunto trasferimento ad essa della responsabilità per le azioni della Thyssen è cambiato.
106. Dall’altro lato, la TKS sostiene che, così facendo, il Tribunale leda i suoi diritti della difesa, privandola della possibilità di invocare motivi che essa non aveva ancora mai potuto dedurre.
107. La Commissione ritiene che gli argomenti della TKS contraddicano quelli dedotti in primo grado, secondo cui essa avrebbe sostenuto che il giudice dell’Unione aveva già risolto definitivamente la questione del trasferimento di responsabilità. Tale motivo sarebbe quindi nuovo e, pertanto, irricevibile in sede di impugnazione.
108. Inoltre, secondo costante giurisprudenza, l’autorità di cosa giudicata riguarderebbe i punti di fatto e di diritto effettivamente o necessariamente risolti dalla sentenza in questione. La Commissione precisa che sia il procedimento contenzioso avviato contro la decisione iniziale sia quello sfociato nella sentenza impugnata avrebbero richiesto l’esame della questione se essa potesse imputare alla TKS, sulla base alla dichiarazione 23 luglio 1997, la responsabilità dell’infrazione commessa dalla Thyssen.
109. La dichiarazione 23 luglio 1997 sarebbe quindi stata oggetto della controversia nei suddetti procedimenti e, ai punti 59 e 62 della citata sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, il Tribunale avrebbe effettuato un accertamento dell’imputabilità che non sarebbe stato contestato in fase di impugnazione e che, per di più, sarebbe stato confermato nel merito dalla Corte. Essendo tenuta, ai sensi dell’art. 233 CE, ad adottare i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta, la Commissione sarebbe stata obbligata a tener conto di tali accertamenti. Inoltre ciò, poiché l’adozione della decisione controversa è intervenuta nel medesimo procedimento amministrativo in cui si colloca la decisione iniziale, la TKS non potrebbe dedurre affermazioni diverse sui medesimi fatti.
110. Per quanto riguarda la revoca della dichiarazione 23 luglio 1997, la Commissione sostiene che essa non fosse più giuridicamente possibile, essendo stata adottata nel frattempo la decisione controversa.
111. Nell’ambito del terzo capo, la TKS lamenta l’illegittimità del trasferimento di responsabilità operato dalla Commissione in base alla dichiarazione 23 luglio 1997. In primo luogo, essa intendeva rispondere solo delle azioni di responsabilità civile intentate contro la Thyssen. In secondo luogo, per quanto riguarda l’applicazione delle norme sulla concorrenza, essa non sarebbe il successore giuridico della Thyssen, il che, conformemente alla giurisprudenza, osterebbe al trasferimento di responsabilità. In terzo luogo, siffatto trasferimento contravverrebbe al principio jus publicum privatorum pactis mutari non potest, in virtù del quale una convenzione particolare o privata non può modificare le conseguenze giuridiche derivanti dal diritto pubblico.
112. La Commissione contesta tali argomenti. In primo luogo, essa ricorda che la TKS ha revocato la sua dichiarazione 23 luglio 1997 unicamente dinanzi al Tribunale, nel corso del procedimento avviato contro la decisione controversa. Detta revoca sarebbe intervenuta in modo tale da far maturare la prescrizione riguardo agli atti compiuti dalla Thyssen.
113. In secondo luogo, tutte le parti avrebbero ritenuto che non si trattasse di una delega di diritto civile, bensì di un’assunzione di responsabilità dell’infrazione in vista dell’ammenda. Ciò risulterebbe dai termini impiegati dalla TKS e dagli accertamenti in fatto effettuati dal giudice dell’Unione nel procedimento promosso contro la decisione iniziale.
114. In terzo luogo, l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 non osterebbe all’irrogazione di un’ammenda ad un’impresa che abbia acquisito un ramo di attività in condizioni come quelle in esame, qualora essa abbia dichiarato inequivocabilmente alla Commissione che intendeva assumersi la responsabilità dell’intesa. Tale situazione non è equiparabile, a parere della Commissione, ad una dichiarazione rivolta a quest’ultima con cui la si informi di un’assunzione di responsabilità convenuta bilateralmente tra due imprese. Tale trasferimento di responsabilità potrebbe ostacolare i poteri di esecuzione della Commissione in ragione, ad esempio, di un fatturato inferiore o di una situazione di difficoltà finanziaria dell’impresa che si assume la responsabilità.
2. Analisi
115. Prima di iniziare l’esame del secondo motivo, occorre ricordare il ragionamento svolto dal Tribunale nella sentenza impugnata, nonché le fasi del procedimento.
a) La sentenza impugnata
116. Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che le questioni relative alla validità della dichiarazione 23 luglio 1997 e alla legittimità dell’attribuzione alla TKS della responsabilità per gli atti della Thyssen erano state decise in modo definitivo dal giudice dell’Unione e possedevano, quindi, allo stato autorità di cosa giudicata.
117. A tale scopo, il Tribunale ha esaminato la portata delle sentenze pronunciate nell’ambito del procedimento avviato contro la decisione iniziale.
118. Il Tribunale ha anzitutto esaminato, al punto 114 della sentenza impugnata, la portata della citata sentenza del Tribunale 13 dicembre 2001, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione. Esso è quindi partito dalla premessa che «la discussione e la conseguente conclusione del Tribunale di una violazione dei diritti della difesa della TKS avevano come presupposto necessario l’accertamento della validità della dichiarazione 23 luglio 1997[ (46)], con la quale la TKS aveva confermato di assumersi la responsabilità degli atti compiuti dalla Thyssen».
119. Tale «accertamento» figura al punto 62 della citata sentenza del Tribunale Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, che è così redatto:
«(…) non è contestato che, tenuto conto della [dichiarazione 23 luglio 1997], la Commissione aveva certamente titolo per imputare a quest’ultima la responsabilità del comportamento produttivo dell’infrazione rimproverato alla Thyssen Stahl [(47)] (…). Si deve infatti considerare che una siffatta dichiarazione, la quale risponde, in particolare, a considerazioni di carattere economico tipiche delle operazioni di concentrazione tra imprese, implica che la persona giuridica sotto la cui responsabilità sono state poste le attività di un’altra persona giuridica, successivamente alla data dell’infrazione derivante dalle dette attività, sia tenuta a risponderne, anche se, in linea di principio, spetta risponderne alla persona fisica o giuridica che dirigeva l’impresa di cui trattasi al momento in cui è stata consumata l’infrazione».
120. Il Tribunale ha poi esaminato, ai punti 116‑138 della sentenza impugnata, la portata della citata sentenza della Corte 14 luglio 2005, ThyssenKrupp/Commissione.
121. Al riguardo, esso ha concentrato l’attenzione sul punto 88 di detta sentenza. Tale punto risponde al motivo dedotto dalla Commissione nella sua impugnazione incidentale. Quest’ultima contestava la conclusione del Tribunale secondo cui essa non avrebbe rispettato i diritti della difesa della TKS. In particolare, le addebitava di non avere tenuto conto dell’esistenza di circostanze eccezionali che le consentivano di imputare direttamente alla TKS la responsabilità dell’operato della Thyssen.
122. Il punto 88 della citata sentenza ThyssenKrupp/Commissione così recita:
«Quanto alle pretese circostanze eccezionali fatte valere dalla Commissione [per poter imputare alla TKS la responsabilità degli atti della Thyssen], è sufficiente ricordare, anzitutto, che la TKS non è il successore economico della Thyssen, poiché quest’ultima ha continuato ad esistere come persona giuridica distinta fino alla data di adozione della decisione [iniziale]. Oltre a ciò, l’unità di azione che ha potuto caratterizzare il comportamento della Thyssen e della TKS dopo il 1° gennaio 1995 non basta a giustificare l’imputazione alla TKS dell’operato della Thyssen prima di questa data, alla luce del principio (…) secondo cui una persona giuridica può essere sanzionata esclusivamente per i fatti ad essa specificamente contestati. Infine, per quanto attiene alle dichiarazioni che sarebbero state fatte dalla TKS in merito alle attività della Thyssen nel corso del procedimento amministrativo, si è già indicato (…) che esse non consentono di imputare alla TKS la responsabilità dell’operato della Thyssen anteriore alla detta data».
123. La Corte ha conseguentemente respinto il motivo dedotto dalla Commissione nella sua impugnazione incidentale.
124. Nella sentenza impugnata il Tribunale ha rilevato che tale punto era diretto unicamente a rispondere all’argomento della Commissione relativo all’esistenza di circostanze eccezionali e non consentiva di concludere che, secondo la Corte, la TKS non potesse essere dichiarata responsabile dell’operato della Thyssen.
125. Di conseguenza, al punto 139 della sentenza impugnata, il Tribunale ha concluso che «il giudice comunitario ha ritenuto che, in considerazione della dichiarazione 23 luglio 1997, la Commissione fosse eccezionalmente legittimata ad imputare alla TKS la responsabilità del comportamento addebitato alla Thyssen» e, al punto 144 di detta sentenza, che «[tale] punto di diritto (…), attinente alla validità della dichiarazione 23 luglio 1997 quale fondamento giuridico dell’imputazione alla ricorrente dell’operato della Thyssen e della conseguente sanzione inflitta a quest’ultima, è già stato esaminato e deciso in modo definitivo dal giudice comunitario e che, quindi, ha autorità di cosa giudicata» (48). Al punto 145 di detta sentenza, il Tribunale considera quindi che «[tale] autorità di cosa giudicata osta a che [il suddetto] punto di diritto venga nuovamente sottoposto al Tribunale e da esso esaminato» e conseguentemente respinge in quanto irricevibile il motivo concernente l’illegittimità del trasferimento di responsabilità.
b) Analisi
126. Al pari della TKS, sono dell’avviso che l’analisi del Tribunale su tale questione sia viziata da vari errori di diritto.
127. In primo luogo, ritengo che il Tribunale abbia accolto un’interpretazione erronea del punto 88 della citata sentenza della Corte ThyssenKrupp/Commissione.
128. Infatti, nel punto in questione la Corte, a mio parere, ha smentito molto chiaramente la conclusione tratta dal Tribunale al punto 62 della citata sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione in ordine all’esistenza di presunte circostanze eccezionali. Per convincersene è sufficiente una semplice lettura del punto 88 della citata sentenza ThyssenKrupp/Commissione. In tale contesto, il Tribunale non poteva legittimamente considerare, al punto 139 della sentenza impugnata, che il «giudice comunitario» confermava tale imputabilità. Ciò costituisce, a mio parere, un primo errore di diritto.
129. In secondo luogo, ritengo che il Tribunale non abbia applicato correttamente il principio dell’autorità di cosa giudicata, dato che le questioni relative alla validità della dichiarazione 23 luglio 1997 e della legittimità del trasferimento di responsabilità non hanno formato oggetto di alcun dibattito in contraddittorio tra le parti nel corso del procedimento in primo grado.
130. La Corte ha riconosciuto l’importanza fondamentale, sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali, del rispetto dell’autorità di cosa giudicata (49). Tale principio è espressione di quello della certezza del diritto (50). Esso garantisce la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché la buona amministrazione della giustizia. Infatti, le sentenze contro cui non può più essere interposto appello divengono inattaccabili nei rapporti sociali e diventano fatti giuridici. Tali fatti devono essere rispettati.
131. Si ammette generalmente che l’autorità di cosa giudicata è riferibile solo a ciò che abbia formato oggetto della decisione. Occorre che l’oggetto della domanda sia identico e che la domanda si fondi sulla medesima causa e riguardi le stesse parti. L’autorità di cosa giudicata osta, quindi, a che le parti possano adire il giudice con una domanda identica a quella la cui fondatezza o infondatezza sia già stata giudicata e consente pertanto di evitare che situazioni già decise vengano rimesse in discussione all’infinito.
132. La Corte ha riconosciuto che l’autorità di cosa giudicata riguarda non solo il dispositivo della decisione giurisdizionale, ma anche la motivazione che ne costituisce il necessario sostegno e dal quale è indissociabile. Essa ha infatti precisato, con giurisprudenza costante, che «l’autorità di cosa giudicata riguarda unicamente i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi dalla pronuncia giudiziale di cui trattasi» (51). Per contro, salvo errore da parte mia, la Corte non si è pronunciata sui limiti della portata di tale autorità laddove non siano state rispettate le garanzie procedurali del giusto processo.
133. Orbene, tale è l’oggetto sul quale verte la causa in esame. Infatti, nella sentenza impugnata, il Tribunale ha esteso l’autorità di cosa giudicata ad un motivo che non è stato oggetto di alcuna contestazione dedotta dinanzi ad esso e che, inoltre, non ha dato luogo ad alcun contraddittorio tra le parti. Ritengo che siffatta interpretazione del principio dell’autorità di cosa giudicata, poiché lede garanzie procedurali essenziali per lo svolgimento di un processo equo e, in particolare, il principio del contraddittorio, costituisca un errore di diritto.
134. Ci si chiede infatti, se si possa ragionevolmente ritenere che l’autorità di cosa giudicata si estenda alla motivazione concernente il merito dei diritti controversi anche quando non vi sia effettivamente stata discussione fra le parti.
135. Il principio del contraddittorio costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione (52), che attiene al rispetto dei diritti della difesa e del diritto a un processo equo garantiti, da un lato, all’art. 47 della Carta e, dall’altro, all’art. 6 della CEDU.
136. La Corte ha riaffermato l’importanza e i contorni di tale principio nella sentenza 2 dicembre 2009, Commissione/Irlanda e a. (53). Il principio del contraddittorio si applica a tutti i procedimenti che possano sfociare in una decisione di un’istituzione comunitaria atta a pregiudicare sensibilmente gli interessi di una persona. Pertanto, esso si applica dinanzi ai giudici dell’Unione. Inoltre, tutte le parti di una controversia possono avvalersene, sia le persone private che gli Stati membri o le istituzioni.
137. Secondo la Corte, il principio del contraddittorio attribuisce a ciascuna parte di un processo il diritto di prendere conoscenza degli elementi sui quali il giudice fonderà la decisione, e la facoltà di discuterli. Ciò consente una migliore informazione del giudice. La produzione a cura delle parti, in sede di discussione, di tutti gli elementi idonei ad incidere sulla soluzione della controversia consente in tal modo al giudice di pronunciarsi in tutta imparzialità e con cognizione di causa, in fatto come in diritto. Ciò consente anche di dare fondamento alla fiducia che i soggetti dell’ordinamento devono poter riporre nel funzionamento della giustizia. Tale fiducia implica la garanzia che le parti abbiano avuto modo di esprimersi su tutti gli elementi che il giudice ha posto alla base della propria decisione.
138. Tale giurisprudenza è conforme all’interpretazione data dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo al diritto ad un processo in contraddittorio. Detto diritto fa parte del diritto ad un processo equo di cui all’art. 6 della CEDU e, poiché la menzionata Convenzione mira a garantire diritti concreti ed effettivi, essa impone in particolare, a carico di ogni giudice, l’obbligo di svolgere un esame effettivo dei motivi, degli argomenti e delle offerte di prova delle parti.
139. Il principio del contraddittorio non attribuisce solo a ciascuna parte il diritto di prendere conoscenza delle prove e delle osservazioni presentate dinanzi al giudice e di discuterle. Esso implica altresì, come ha espressamente riconosciuto la Corte nella citata sentenza Commissione/Irlanda e a., «il diritto delle parti di prendere conoscenza e di discutere i motivi di diritto rilevati d’ufficio dal giudice, sui quali quest’ultimo intenda fondare la propria decisione». Infatti, secondo la Corte, per soddisfare le condizioni connesse al diritto a un processo equo occorre che le parti abbiano conoscenza e possano discutere in contraddittorio gli elementi di fatto e di diritto decisivi per l’esito del procedimento. Pertanto, ad eccezione di casi particolari, come ad esempio quelli previsti dai regolamenti di procedura dei giudici dell’Unione, il giudice non può fondare la propria decisione su un motivo di diritto rilevato d’ufficio, ancorché di ordine pubblico, senza aver prima invitato le parti a formulare le loro osservazioni in proposito.
140. La Corte ha dedotto tale obbligo dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui il giudice deve rispettare il principio del contraddittorio, in particolare laddove dirima una controversia sulla base di un motivo rilevato d’ufficio (54).
141. Nella causa in esame, risulta chiaramente dal punto 62 della citata sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione che il Tribunale ha sollevato d’ufficio la questione della legittimità del trasferimento di responsabilità operato dalla Commissione (55). Infatti, come rilevato dal Tribunale al punto 114, ultimo trattino, della sentenza impugnata, l’accertamento della validità della dichiarazione 23 luglio 1997 costitutiva un presupposto necessario per la conseguente conclusione di una violazione dei diritti della difesa.
142. Tuttavia, tale punto di diritto non ha formato oggetto di alcuna discussione effettiva tra le parti. Da un lato, non si trattava di un punto controverso sul quale le parti avessero mosso una contestazione dinanzi al giudice. Le parti non hanno quindi dibattuto. Dall’altro, il Tribunale non ha invitato le parti a formulare le loro osservazioni allorché ha sollevato d’ufficio tale punto di diritto.
143. La legittimità del trasferimento di responsabilità costituiva, tuttavia, una questione decisiva per l’esito del procedimento. Inoltre, la sua soluzione non s’imponeva in maniera evidente. I termini impiegati dal Tribunale nella citata sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, nonché le considerazioni svolte nell’ambito dell’impugnazione dimostrano che la legittimità di tale trasferimento di responsabilità si prestava e si presta ancora seriamente a discussione.
144. Anzitutto, al punto 62 di detta sentenza, il Tribunale non fornisce spiegazioni convincenti in ordine ai motivi per i quali nella presente causa occorresse derogare al principio fondamentale della personalità delle pene. Benché esso faccia riferimento all’esistenza di presunte «considerazioni di carattere economico tipiche delle operazioni di concentrazione tra imprese» per giustificare, in via eccezionale, siffatto trasferimento di responsabilità, mi sembra che tale giustificazione sia troppo vaga per discostarsi dalla costante giurisprudenza della Corte in materia di imputabilità delle pratiche.
145. Inoltre, la Corte ha smentito molto chiaramente la conclusione tratta dal Tribunale al medesimo punto 62 circa l’esistenza di presunte circostanze eccezionali. Orbene, poiché l’autorità di cosa giudicata costituisce un principio fondamentale del diritto, fonte di sicurezza e di stabilità, non occorre che essa possa essere individuata immediatamente, in modo certo? In realtà, la Corte non è mai stata interrogata in merito alla legittimità di una dichiarazione del genere.
146. Pertanto, in assenza di una discussione in contraddittorio e di spiegazioni convincenti da parte del Tribunale, e tenuto altresì conto del disaccordo della Corte, ritengo che il Tribunale non potesse legittimamente ritenere che il giudice dell’Unione avesse definitivamente statuito sulle questioni relative alla legittimità della dichiarazione 23 luglio 1997 e del trasferimento di responsabilità ad essa afferente.
147. In terzo luogo, ritengo che, opponendo un’eccezione di irricevibilità alla TKS, il Tribunale spezzi l’equilibrio tra le parti, collocando la ricorrente in una situazione di netto svantaggio rispetto alla Commissione.
148. In virtù della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, tutte le parti hanno il diritto di far valere la propria posizione in maniera equilibrata senza che il procedimento procuri un vantaggio particolare a una di esse (56). Ciò fa parte del diritto a un processo equo.
149. Orbene, la soluzione accolta dal Tribunale nella sentenza impugnata fa sì che la TKS non possa più rimettere in discussione la legittimità della dichiarazione 23 luglio 1997 e del trasferimento di responsabilità ad essa afferente, sebbene non sia mai stata sentita in merito a tale questione. Mentre nell’ambito del procedimento promosso contro la decisione iniziale la TKS è stata privata della possibilità di far valere le sue osservazioni, ora le viene opposta un’eccezione di irricevibilità fondata sull’autorità di cosa giudicata. Per quanto riguarda la Commissione, invece, il Tribunale ha riconosciuto senza alcun dibattito in contraddittorio che essa fosse eccezionalmente legittimata a fondarsi su tale dichiarazione e, successivamente, ha opposto alla contestazione della TKS il principio dell’autorità di cosa giudicata. A mio parere, tale valutazione può dare l’impressione di uno squilibrio a vantaggio della Commissione.
150. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, sono dell’avviso che il Tribunale, ritenendo che il giudice dell’Unione abbia statuito in modo definitivo sulla questione della legittimità del trasferimento di responsabilità, abbia accolto un’interpretazione errata della citata sentenza della Corte ThyssenKrupp/Commissione e abbia, inoltre, violato il principio dell’autorità di cosa giudicata. Così facendo, per di più, il Tribunale ha privato la TKS del diritto a un processo equo.
151. Pertanto, propongo alla Corte di dichiarare fondato il secondo motivo dedotto dalla TKS e di annullare la sentenza impugnata.
D – Sulle conseguenze dell’annullamento della sentenza impugnata
152. In caso di annullamento della sentenza impugnata, l’art. 61 dello Statuto della Corte di giustizia prevede che essa può rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo, o statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta.
153. La presente controversia riguarda i procedimenti promossi dalla Commissione per l’infrazione commessa dalla Thyssen tra il 16 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994. La decisione controversa è diretta unicamente ad imputare alla TKS, sul fondamento della dichiarazione 23 luglio 1997, la responsabilità degli atti anticoncorrenziali compiuti dalla Thyssen e ad infliggerle conseguentemente un’ammenda.
154. Anzitutto, occorre stabilire se la Commissione potesse legittimamente imputare alla TKS la responsabilità dell’infrazione commessa dalla Thyssen sul fondamento della dichiarazione 23 luglio 1997.
155. Se, come penso, la Commissione non poteva agire in tal modo, si pone la questione se essa possa legittimamente perseguire la Thyssen per gli atti compiuti tra il 16 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994, tenuto conto delle norme sulla prescrizione.
156. Queste due questioni sono state oggetto di un dibattito in contraddittorio dinanzi alla Corte. Di conseguenza, sono dell’opinione che lo stato degli atti consenta di risolvere questi due punti della controversia.
157. Propongo quindi alla Corte di esaminare il quarto e il settimo motivo di annullamento sollevati dalla TKS dinanzi al Tribunale.
1. Sull’imputabilità alla TKS della responsabilità per l’infrazione commessa dalla Thyssen
a) Argomenti delle parti (57)
158. Nell’ambito del suo quarto motivo di annullamento, la TKS contesta la legittimità dell’attribuzione di responsabilità per l’infrazione commessa dalla Thyssen. Essa sostiene che la dichiarazione 23 luglio 1997 non consentiva alla Commissione di dichiarare tale imputabilità. La TKS si fonda, da un lato, sulla giurisprudenza della Corte secondo cui, in caso di successione giuridica, il successore non può essere considerato responsabile degli atti commessi dal suo predecessore, se quest’ultimo continua ad esistere. Dall’altro, la TKS ricorda le considerazioni svolte dalla Corte al punto 88 della citata sentenza ThyssenKrupp/Commissione, secondo cui non vi sarebbe stata alcuna successione economica fra le due imprese e che né l’unità di azione fra queste ultime, né le dichiarazioni rese dalla TKS durante il procedimento amministrativo consentivano di giustificare tale imputabilità. Infine, la TKS invoca il principio jus publicum privatorum pactis mutari non potest per sostenere che una convenzione particolare quale la dichiarazione 23 luglio 1997 non può modificare le conseguenze giuridiche connesse all’applicazione delle norme di diritto pubblico, a fortiori, del diritto penale.
159. La Commissione contesta tale argomento. In linea con le osservazioni presentate nel corso del procedimento avviato contro la decisione iniziale, la Commissione ha nuovamente indicato in udienza che la situazione in esame atteneva ad un caso di successione economica. Inoltre, essa ha ritenuto che nessun ostacolo giuridico le impedisse di tenere conto di tale dichiarazione, espressa liberamente e consapevolmente dalla TKS, per imputare a quest’ultima la responsabilità degli atti anticoncorrenziali della Thyssen.
b) Analisi
160. Non posso condividere l’argomento della Commissione.
161. Infatti, rendendo la TKS responsabile dell’infrazione commessa dalla Thyssen, la Commissione lede il principio della responsabilità personale e il suo corollario, vale a dire il principio della personalità delle pene e delle sanzioni, sui quali si fonda l’imputabilità delle intese illecite (58).
162. Tali principi costituiscono garanzie fondamentali del diritto penale. Conformemente al principio della responsabilità personale, ciascuno è responsabile solo delle proprie azioni. In virtù del principio della personalità delle pene, una pena non può essere subita da una persona diversa dal colpevole. Tali principi ostano pertanto al sorgere della responsabilità di una persona fisica o giuridica che non sia stata autrice o complice di un’infrazione e allo stesso tempo pongono dei limiti all’esercizio dello jus puniendi dei poteri pubblici. Essi limitano inoltre il ricorso a soggetti privati che non possono dichiararsi falsamente colpevoli di un’infrazione che non hanno commesso.
163. Come osservato supra, la Corte ha riconosciuto l’applicabilità del principio della responsabilità personale alle norme in materia di concorrenza nella citata sentenza Commissione/Anic Partecipazioni. In detta causa il giudice ha considerato che, con riguardo alla natura delle infrazioni di cui trattasi nonché alla natura e al grado di severità delle sanzioni conseguenti, la responsabilità per la commissione di tali infrazioni rivestisse carattere personale (59). Già nella citata sentenza Hüls/Commissione la Corte aveva applicato il principio della presunzione di innocenza (60). Orbene, non vedo come il rispetto di tale principio possa conciliarsi con la condanna di una persona che si dichiara falsamente colpevole.
164. Infatti, quando un’entità economica infrange le regole di concorrenza, incombe alla persona fisica o giuridica che la dirige rispondere delle conseguenze delle sue azioni, pur se, alla data di adozione della decisione che ha constatato l’infrazione, la gestione dell’impresa era stata posta sotto la responsabilità di un’altra persona (61). Fintantoché continua ad esistere la persona giuridica che dirigeva l’impresa al momento dell’infrazione, la responsabilità del comportamento illecito deve accompagnarla, anche se gli elementi materiali ed umani che hanno concorso alla commissione dell’infrazione sono stati ceduti a terzi dopo il periodo dell’infrazione stessa (62).
165. Tuttavia, in un settore come quello della concorrenza, le autorità di vigilanza si trovano di fronte a condotte insidiose, che si manifestano in comportamenti tali da mascherare o da modificare l’identità dell’autore dei fatti (in esito, ad esempio, a ristrutturazioni, cessioni o altre variazioni giuridiche o organizzative (63)). Per evitare che talune imprese sfuggano alle sanzioni inflitte dalla Commissione e per garantire un’efficace attuazione delle norme sulla concorrenza, la Corte consente, restrittivamente, che la responsabilità degli atti anticoncorrenziali compiuti da una società sia trasferita ad un’altra società in due tipi di situazioni, vale a dire, in primo luogo, quando le imprese di cui trattasi appartengano ad un gruppo di società (ipotesi che non ricorre nel caso di specie) e, in secondo luogo, quando una nuova impresa prosegua l’attività dell’autore degli atti in maniera tale che esista una «continuità economica» fra la prima e il secondo (64).
166. Tuttavia, il criterio fondato sulla «continuità economica» è applicabile solo nel caso in cui la persona giuridica responsabile della gestione dell’impresa abbia cessato di esistere giuridicamente o economicamente dopo la perpetrazione dell’infrazione (65). Orbene, è questo il punto critico.
167. Infatti, se le attività attraverso le quali la Thyssen ha potuto concorrere all’infrazione sono state cedute alla TKS a partire dal 1° gennaio 1995, la Thyssen ha nondimeno continuato ad esistere e ad esercitare attività economiche in altri settori, al di fuori di qualsiasi connessione strutturale con la TKS. Come rilevato dalla Commissione al punto 10 della decisione controversa, la Thyssen esisteva ancora alla data dell’adozione della suddetta decisione, il 20 dicembre 2006. Come ha osservato la Corte al punto 88 della citata sentenza ThyssenKrupp/Commissione, non sussiste quindi una successione economica fra le due imprese. Di conseguenza, la Thyssen doveva essere considerata responsabile di tutti gli atti cui aveva partecipato prima di trasferire il suo ramo di attività alla TKS il 1° gennaio 1995. A tale riguardo, era questo l’orientamento iniziale della Commissione, dato che essa, il 24 aprile 1997, ha inviato comunicazioni degli addebiti distinte alla TKS e alla Thyssen. Le due imprese hanno peraltro risposto separatamente a dette comunicazioni.
168. In tale contesto, la Commissione, all’art. 2, n. 2, della decisione controversa, non poteva derogare al principio della responsabilità personale rendendo la TKS responsabile del comportamento illecito tenuto dalla Thyssen fra il 16 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994.
169. La decisione controversa lede, quindi, il principio della responsabilità personale ed ignora la circostanza decisiva, risultante da una costante giurisprudenza della Corte, dell’assenza di continuità economica fra la TKS e la Thyssen.
170. Inoltre, la Commissione non poteva legittimamente fondarsi sulla dichiarazione 23 luglio 1997 per derogare all’applicazione delle norme del diritto della concorrenza.
171. Agendo in tal modo, la Commissione ignora la natura di tali norme e si discosta dal ruolo che esse le attribuiscono. Dette norme sono di ordine pubblico. Da un lato, consentono di assicurare una concorrenza sana ed efficace sul mercato comune vietando gli accordi anticoncorrenziali e partecipano quindi all’adempimento dei compiti affidati all’Unione. Dall’altro, esse consentono di vigilare sul benessere dei consumatori, tutelandoli da determinate pratiche delle imprese. Pertanto, si tratta di norme giuridiche imperative che si impongono erga omnes e alle quali le parti non possono derogare attraverso convenzioni particolari.
172. Orbene, ricordo in proposito che spetta alla Commissione vigilare sull’applicazione dei principi fissati all’art. 81 CE (66). Pertanto, essa non può accettare una dichiarazione unilaterale quale la dichiarazione 23 luglio 1997, che conduce a derogare alle norme e ai principi relativi all’imputabilità delle pratiche anticoncorrenziali. Analogamente, essa non può tollerare una dichiarazione con cui un’impresa si dichiara falsamente colpevole di un’infrazione che non ha commesso.
173. Di conseguenza, in base alle suesposte considerazioni, sono dell’avviso che la decisione controversa sia viziata da una violazione del principio della responsabilità personale per quanto riguarda l’imputabilità dell’infrazione commessa dalla Thyssen tra il 16 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994.
174. Pertanto, ritengo che l’art. 2, n. 2, della decisione controversa debba essere annullato nella parte in cui imputa alla TKS la responsabilità di tale infrazione.
175. L’infrazione addebitata alla Thyssen sussiste e quest’ultima è stata sentita, dato che la Commissione le ha inviato una distinta comunicazione degli addebiti il 24 aprile 1997, cui essa ha risposto separatamente. Come risulta dal punto 13 della motivazione della decisione controversa, la Thyssen ha risposto a proprio nome alla comunicazione degli addebiti.
176. La questione è ora se la Commissione possa ancora condannare la Thyssen al pagamento di un’ammenda in ragione degli atti anticoncorrenziali da essa compiuti tra il 16 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994, quali definiti all’art. 1 della decisione controversa.
2. Sulla prescrizione del potere della Commissione di sanzionare l’infrazione commessa dalla Thyssen
177. Nell’ambito del settimo motivo di annullamento, la TKS afferma che l’infrazione commessa dalla Thyssen è prescritta dal 1999 o al più tardi dal 2003. Essa sostiene, in particolare, che non vi sarebbe stata alcuna interruzione della prescrizione, né sospensione della stessa, in quanto la Thyssen non ha partecipato al procedimento promosso contro la decisione iniziale. Inoltre, essa fa valere che, poiché l’infrazione che le viene addebitata è stata commessa dalla Thyssen, può esserle inflitta solo la sanzione che avrebbe potuto essere comminata alla sua dante causa, vale a dire la Thyssen stessa.
178. La Commissione conclude per il rigetto di tale motivo (67).
179. Tenuto conto degli elementi fattuali della causa, l’esame di tale motivo dipende dall’interpretazione delle norme relative alla prescrizione e, in particolare, di quelle concernenti la sospensione della prescrizione, contenute negli artt. 2 e 3 della decisione n. 715/78 e nell’art. 25 del regolamento n. 1/2003. Per motivi di chiarezza, e considerato che le menzionate disposizioni sono formulate sostanzialmente in termini identici, farò riferimento unicamente a quelle del regolamento n. 1/2003.
180. Sorgono, quindi, due questioni.
181. La prima riguarda la portata della sospensione. Il problema è se, allorché viene proposto un ricorso dinanzi al giudice dell’Unione, la sospensione della prescrizione abbia efficacia inter partes, ossia valga solo nei confronti dell’impresa ricorrente, oppure erga omnes, nel qual caso la sospensione della prescrizione per la durata del procedimento vale nei confronti di tutte le imprese che hanno partecipato all’infrazione, a prescindere dalla circostanza che esse abbiano o meno proposto un ricorso. A differenza di quanto espressamente previsto per l’interruzione della prescrizione, l’art. 25, n. 6, del regolamento n. 1/2003 non dice nulla in proposito.
182. Tale questione è analoga a quella sollevata nell’ambito dell’impugnazione proposta contro la sentenza del Tribunale nella citata causa ArcelorMittal Luxembourg e a./Commissione. In detta sentenza il Tribunale ha ritenuto che la sospensione della prescrizione prevista all’art. 25, n. 6, del regolamento n. 1/2003 valesse solo nei confronti dell’impresa ricorrente (68). La Corte è chiamata per la prima volta a pronunciarsi su tale questione.
183. La seconda questione riguarda gli effetti di una sentenza di annullamento. Si tratta di stabilire se l’annullamento di una decisione della Commissione al termine del procedimento giurisdizionale renda la sospensione della prescrizione, al pari della decisione stessa, retroattivamente inesistente. La Corte ha risposto in senso negativo nella sentenza 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (69).
184. Per i motivi che esporrò più avanti, non condivido né la posizione adottata dal Tribunale nella citata sentenza ArcelorMittal Luxembourg e a./Commissione, né quella adottata dalla Corte nella citata sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione. Infatti, tale interpretazione delle norme in materia di prescrizione, associata all’effetto combinato dei molteplici atti interruttivi della prescrizione e della durata dei procedimenti, svuota di contenuto il principio stesso della prescrizione.
185. La causa in esame ne rappresenta un perfetto esempio, giacché la posizione della Thyssen, a distanza di quindici anni dalla fine dell’infrazione, non è ancora stata definita. Ciò è dovuto alla molteplicità degli atti interruttivi della prescrizione (sei in totale), all’annullamento della decisione iniziale nei confronti della TKS e alla sospensione della prescrizione per un periodo di undici anni (70). Per quanto sorprendente possa sembrare, la prescrizione decennale stabilita all’art. 25, n. 5, del regolamento n. 1/2003 non è ancora maturata. Ciò avverrà nell’aprile 2016, ossia 21 anni dopo la fine dell’infrazione.
a) Considerazioni preliminari
186. Prima di iniziare l’esame di tali questioni, occorre ricordare la natura e la portata delle norme in materia di prescrizione nell’ambito del contenzioso in materia di concorrenza.
187. La prescrizione delle azioni sanzionatorie costituisce un principio universale e fondamentale del diritto dell’Unione. Essa può essere definita come una causa di estinzione dell’azione pubblica per effetto del decorso di un periodo di tempo dopo la commissione dell’infrazione. Essa si applica in linea di principio a tutte le infrazioni, anche le più gravi, con l’unica eccezione dei crimini contro l’umanità, dichiarati imprescrittibili conformemente agli obblighi internazionali. Alla scadenza del termine di prescrizione l’azione pubblica si estingue e non è più possibile agire contro i partecipanti all’infrazione.
188. La prescrizione è volta a stabilire la pace sociale e risponde ad una preoccupazione comune per la certezza del diritto. Nella sentenza 24 settembre 2002, Falck e Acciaierie di Bolzano/Commissione (71), la Corte ha infatti dichiarato, in merito alla prescrizione, che la «fondamentale esigenza di certezza del diritto osta a che la Commissione possa ritardare indefinitamente l’esercizio dei suoi poteri» e che, per adempiere la sua funzione, il termine di prescrizione deve essere predeterminato (72). Tradizionalmente, sono state addotte varie giustificazioni per la prescrizione. Anzitutto, con il tempo la repressione perde la sua ragion d’essere a motivo della progressiva scomparsa della lesione dell’ordine pubblico causato dall’infrazione. Oltre a ciò, se lo scopo è tutelare maggiormente gli interessi delle persone e delle imprese interessate, le prove dell’infrazione sono più difficili da conservare o da acquisire al termine di un determinato periodo. Infine e soprattutto, la prescrizione consente di sanzionare l’inerzia, la carenza o la negligenza delle autorità incaricate di esercitare le azioni sanzionatorie e concorre a fare in modo che i responsabili delle infrazioni vengano giudicati entro un termine ragionevole.
189. Per quanto riguarda le infrazioni delle norme sulla concorrenza, la prescrizione matura in cinque anni a decorrere dal giorno in cui è cessata l’infrazione, ai sensi dell’art. 25, nn. 1 e 2, del regolamento n. 1/2003. Tuttavia, conformemente all’art. 25, n. 3, detta prescrizione può essere sospesa da qualsiasi atto della Commissione destinato all’accertamento o alla repressione dell’infrazione. Inoltre, in virtù dell’art. 25, n. 6, del medesimo regolamento, la prescrizione può essere sospesa per la durata di un procedimento giurisdizionale. In tal caso, il decorso del termine di prescrizione si ferma temporaneamente.
190. Infine, il legislatore dell’Unione ha previsto, all’art. 25, n. 5, del regolamento n. 1/2003, che la prescrizione opera entro un termine massimo di dieci anni, se la Commissione non ha irrogato un’ammenda. Esso ha aggiunto, tuttavia, che detto termine è prolungato della durata della sospensione.
b) Sulla prima questione, relativa all’effetto relativo o assoluto della sospensione della prescrizione
191. In primo luogo, ritengo che la sospensione della prescrizione per la durata del procedimento giurisdizionale debba valere per tutte le imprese che hanno partecipato all’infrazione, a prescindere dalla circostanza che esse abbiano o meno proposto un ricorso.
192. Non condivido, quindi, la posizione adottata dal Tribunale nella citata sentenza ArcelorMittal Luxembourg e a./Commissione, secondo cui la sospensione vale solo nei confronti dell’impresa ricorrente, e ciò per due ragioni.
193. In primo luogo, tale posizione non tiene conto della natura oggettiva della prescrizione. Infatti, la prescrizione dipende unicamente dai fatti. Essa presenta un carattere reale indipendente dagli interessati. Pertanto, se l’azione che può essere intrapresa dalla Commissione si estingue per prescrizione, tale estinzione riguarda tutti i fatti di causa e vale per tutti i partecipanti.
194. Per quanto riguarda l’interruzione della prescrizione, ciò risulta molto chiaramente dall’art. 25, n. 4, del regolamento n. 1/2003, giacché esso indica che «[l]’interruzione della prescrizione vale nei confronti di tutte le imprese ed associazioni di imprese che abbiano partecipato all’infrazione». Il testo dell’art. 25, n. 6, di detto regolamento, relativo alla sospensione della prescrizione è più generico e non precisa questo punto. Tuttavia, nel silenzio delle disposizioni, gli effetti derivanti dall’interruzione e dalla sospensione della prescrizione devono essere identici. Entrambe costituiscono eccezioni alla prescrizione. Poiché quest’ultima è oggettiva, esse vanno entrambe applicate ai medesimi fatti. Ciò deve valere a maggior ragione in presenza di un’infrazione complessa, continuata e soprattutto collettiva.
195. In secondo luogo, la soluzione accolta dal Tribunale comporta un effetto negativo. L’efficacia inter partes della sospensione può infatti implicare che la Commissione non possa più agire nei confronti di un’impresa erroneamente ignorata, in quanto tale azione potrebbe essere prescritta.
196. Non vedo quindi alcun motivo per introdurre una distinzione, che mi parrebbe artificiosa, tra gli effetti dell’una o dell’altra nei confronti delle imprese che hanno partecipato all’infrazione.
197. Ai fini dell’applicazione dell’art. 25, n. 6, del regolamento n. 1/2003 alla presente causa, propongo quindi alla Corte di dichiarare che la sospensione della prescrizione per la durata del procedimento giurisdizionale deve valere nei confronti di tutte le imprese che hanno partecipato all’infrazione, a prescindere dalla circostanza che abbiano o meno proposto un ricorso.
c) Sulla seconda questione, relativa agli effetti di una sentenza di annullamento di una decisione sul calcolo del termine di prescrizione
198. Come sopra osservato, alla Corte è già stata sottoposta la questione degli effetti di una sentenza di annullamento di una decisione sul calcolo del termine di prescrizione nell’ambito della causa che ha dato luogo alla citata sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, relativa ad un’intesa anticoncorrenziale nel settore del policloruro di vinile. I fatti erano abbastanza simili a quelli della presente causa, dato che le imprese facevano valere la prescrizione delle azioni sanzionatorie dopo che la prima decisione di condanna della Commissione era stata annullata dal giudice dell’Unione.
199. In detta sentenza la Corte ha respinto l’argomento delle ricorrenti secondo cui l’annullamento della prima decisione aveva reso la sospensione della prescrizione, al pari della decisione stessa, retroattivamente inesistente. La Corte ha ritenuto che siffatta interpretazione priverebbe di qualsiasi senso la regola della sospensione, giacché, a suo avviso, «la sospensione è giustificata dal fatto stesso che un ricorso è pendente dinanzi al Tribunale o alla Corte, e non dalle conclusioni cui giungono tali giudici nelle loro sentenze» (73).
200. Ritengo che, con tale ragionamento, la Corte intenda tutelare il diritto di azione della Commissione contro la durata eccessiva dei procedimenti. Infatti, se si riconoscesse che l’annullamento della decisione comporta la scomparsa retroattiva della sospensione, il giudice dell’Unione esporrebbe sé stesso e la Commissione al rischio che la prescrizione operi al termine del procedimento giurisdizionale, tenuto conto della durata di quest’ultimo.
201. Per quanto tale intenzione possa essere lodevole, ritengo che essa non possa autorizzare un’interpretazione come quella accolta nella sentenza citata.
202. Anzitutto, se pure condivido la conclusione secondo cui la sospensione è giustificata da un ricorso giurisdizionale, e non dall’esito del procedimento giudiziario, resta il fatto che il giudice dell’Unione deve trarre tutte le conseguenze da una sentenza di annullamento.
203. Infatti, ai sensi dell’art. 264, n. 1, TFUE, «[s]e il ricorso è fondato, la Corte (…) dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato». Per effetto della sentenza di annullamento, l’atto in questione scompare quindi definitivamente dall’ordinamento giuridico. Secondo la giurisprudenza, tale atto è considerato come mai esistito (74). Quanto ai suoi effetti, essi, in linea di principio, vengono annullati retroattivamente, a meno che la Corte non precisi, conformemente all’art. 264, n. 2, TFUE, gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi. In proposito, mi sembra indubbio che gli effetti giuridici dell’atto in questione siano esclusivamente quelli che figurano nel suo dispositivo.
204. Per quanto concerne le parti, la Corte ritiene che esse debbano essere «ricollocate nella situazione anteriore e (…) riprendere in esame le questioni di cui è causa, onde risolverle in modo conforme al diritto [dell’Unione]» (75). In altre parole, le parti devono essere ricollocate nello stesso identico stato in cui si trovavano prima dell’atto annullato. Di conseguenza, in applicazione di tali principi, non si potrebbe tener conto in nessun caso delle circostanze procedurali successive all’atto in questione. Così come un atto istruttorio invalido non è idoneo ad interrompere la prescrizione, il ricorso contro una decisione non avvenuta non può avere effetto sospensivo.
205. Ricollocare le parti nella situazione anteriore significa considerarle, dopo la sentenza di annullamento, nella rispettiva situazione giuridica come se l’atto annullato non fosse mai esistito. Riprendere in esame le questioni di cui è causa per risolverle in modo conforme al diritto dell’Unione significa stabilire, al momento del nuovo esame, quali siano le norme giuridiche applicabili, sia formali che di merito, come se la sanzione dovesse essere irrogata per la prima volta. Qualora, ad esempio, sia venuto meno il fondamento normativo che consentiva di comminare la sanzione, l’azione non potrà evidentemente essere ripresa. Se il termine per agire è scaduto, non si vede perché l’azione dovrebbe comunque restare possibile.
206. Nel contenzioso in materia di concorrenza, ciò dovrebbe quindi significare che l’annullamento della decisione comporta la scomparsa retroattiva della sospensione della prescrizione e che la Commissione deve adottare una nuova decisione conforme al diritto dell’Unione entro il termine restante prima della maturazione della prescrizione.
207. Una soluzione diversa contrasterebbe, tra l’altro, con l’obbligo di osservanza del termine ragionevole garantito sia dagli artt. 41, n. 1, e 47, n. 2, della Carta, sia dall’art. 6 della CEDU (76).
208. Infatti, l’interpretazione delle regole stabilite dall’art. 25 del regolamento n. 1/2003 non deve, per nessun pretesto, privare l’impresa del diritto di essere perseguita e giudicata entro un termine ragionevole. Il rispetto di tale principio fondamentale s’impone anzitutto alla Commissione incaricata della fase amministrativa del procedimento (77). Essa si impone inoltre al giudice dell’Unione, incaricato del controllo di legittimità delle decisioni della Commissione (78).
209. Le norme in materia di prescrizione e il principio del termine ragionevole fanno del tempo un imperativo per l’organizzazione dei procedimenti. Essi traducono la legittima preoccupazione dell’ordinamento giuridico di assoggettare a determinati termini l’esercizio del potere sanzionatorio spettante alla Commissione e l’esercizio del controllo di legittimità di competenza dell’autorità giudiziaria. Come la Corte ha avuto modo di affermare nella sentenza 21 settembre 2006, Technische Unie/Commissione (79), occorre evitare che i diritti della difesa possano essere irrimediabilmente pregiudicati per effetto della eccessiva durata della fase di istruzione e che tale durata possa costituire ostacolo alla raccolta di prove volte a negare la sussistenza di comportamenti idonei a far sorgere la responsabilità delle imprese interessate. Per tale motivo la Corte ha ritenuto che la valutazione della fonte dell’eventuale affievolimento dei diritti della difesa deve estendersi al procedimento complessivamente inteso, amministrativo e giurisdizionale, prendendo quindi in considerazione la sua durata complessiva (80).
210. Orbene, un procedimento per violazione del diritto della concorrenza, che in linea di principio si prescrive in cinque anni e che è ancora in corso a 20 dall’infrazione, rispetta tale termine ragionevole?
211. La Commissione, al pari del giudice dell’Unione, deve quindi assicurare che l’attuazione delle norme in materia di prescrizione renda più facile sottoporre a giudizio gli autori delle infrazioni entro un termine ragionevole e nel quadro di una procedura condotta diligentemente. Se questioni di ordine materiale impediscono la realizzazione di tali obiettivi, spetta all’Unione, dopo averle esaminate, adottare le soluzioni necessarie.
212. In base a tali elementi, propongo quindi alla Corte di dichiarare che, ai fini dell’applicazione dell’art. 25, n. 6, del regolamento n. 1/2003 alla presente causa, l’annullamento della decisione al termine del procedimento giurisdizionale ha reso la sospensione, al pari della decisione stessa, retroattivamente inesistente.
d) L’applicazione alla causa in esame
213. In base a tali elementi, l’infrazione commessa dalla Thyssen tra il 16 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994 è prescritta dal 24 aprile 2002.
214. Infatti, l’annullamento della decisione iniziale ha reso inesistente la prima sospensione della prescrizione, al pari della decisione stessa. L’ultimo atto interruttivo della prescrizione è quindi stata la notifica della comunicazione degli addebiti del 24 aprile 1997. Conformemente all’art. 25, n. 5, del regolamento n. 1/2003, per effetto dell’interruzione si inizia un nuovo periodo di prescrizione. Pertanto, la prescrizione quinquennale dell’infrazione commessa dalla Thyssen è maturata il 24 aprile 2002.
215. L’infrazione commessa dalla Thyssen è quindi prescritta.
VI – Sulle spese
216. Ai sensi dell’art. 122, primo comma, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese.
217. A norma dell’art. 69, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione per effetto dell’art. 118, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.
218. Nella presente causa, la maggior parte dei motivi della Commissione sono stati respinti. Propongo quindi alla Corte di condannare la Commissione a sopportare le proprie spese e il 50% delle spese sostenute dalla TKS.
219. La TKS sopporterà il 50% delle proprie spese.
VII – Conclusione
220. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di dichiarare quanto segue:
«1) La sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 1° luglio 2009, causa T‑24/07, ThyssenKrupp Stainless AG/Commissione, è annullata.
2) L’art. 2, n. 2, della decisione della Commissione 20 dicembre 2006, 2007/486/CE, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 65 del Trattato CECA (Caso COMP/F/39.234 – Extra di lega – riadozione), è annullata nella parte in cui attribuisce alla ThyssenKrupp Stainless AG la responsabilità dell’infrazione commessa dalla Thyssen Stahl AG tra il 16 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994.
3) L’infrazione commessa dalla Thyssen Stahl AG è prescritta.
4) La Commissione europea sopporterà le proprie spese e il 50% delle spese sostenute dalla ThyssenKrupp Stainless AG.
5) La ThyssenKrupp Stainless AG sopporterà il 50% delle proprie spese».
1 – Lingua originale: il francese.
2 – Già ThyssenKrupp Nirosta AG, già ThyssenKrupp Stainless AG (in prosieguo: la «TKS»).
3 – Causa T‑24/07 (Racc. pag. I‑2309; in prosieguo: la «sentenza impugnata»).
4 – GU 2007, L 182, pag. 31 (in prosieguo: la «decisione controversa»).
5 – In prosieguo: la «Thyssen».
6 – Causa T‑405/06 (Racc. pag. II-771).
7 – Regolamento del Consiglio 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (GU L 1, pag. 1).
8 – GU L 94, pag. 22. Tali norme traggono origine dal regolamento (CEE) del Consiglio 26 novembre 1974, n. 2988, relativo alla prescrizione in materia di azioni e di esecuzione nel settore del diritto dei trasporti e della concorrenza della Comunità economica europea (GU L 319, pag. 1), che non è applicabile nella presente causa.
9 – A seguito di una serie di variazioni della denominazione sociale, la Krupp Thyssen Nirosta GmbH è successivamente divenuta ThyssenKrupp Stainless AG e, infine, ThyssenKrupp Nirosta GmbH.
10 – Decisione 21 gennaio 1998, relativa ad un procedimento di applicazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (Caso IV/35.814 – Extra di lega) (GU L 100, pag. 55; in prosieguo: la «decisione iniziale»).
11 – Cause riunite T‑45/98 e T‑47/98 (Racc. pag. II‑3757).
12 – Cause riunite C‑65/02 P e C‑73/02 P (Racc. pag. I‑6773).
13 – Causa T‑25/04 (Racc. pag. II‑3121).
14 – Convenzione firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).
15 – Su tale questione, v. causa C‑272/09 P, KME Germany e a./Commissione, e causa C‑73/10 P, Internationale Fruchtimport Gesellschaft Weichert/Commissione, attualmente pendenti dinanzi alla Corte.
16 – V. Corte eur. D.U., sentenza Engel e a. c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976, serie A n. 22, § 82. Per un excursus della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’applicazione di tali criteri, v. Corte eur. D.U., sentenza Jussila c. Finlandia del 23 novembre 2006, §§ 29‑39.
17 – V. Corte eur. D.U., sentenza Ezeh e Connors c. Regno Unito del 9 ottobre 2003, Recueil des arrêts et décisions 2003‑X, § 86.
18 – Ad esempio, a proposito di una sanzione amministrativa inflitta a seguito di un incidente stradale, v. Corte eur. D.U., sentenza Öztürk c. Germania del 21 febbraio 1984, serie A n. 73; a proposito di una sanzione inflitta per un’infrazione doganale, v. Corte eur. D.U., sentenza Salabiaku c. Francia del 7 ottobre 1988, serie A n. 141‑A; a proposito di una sanzione inflitta dal consiglio per i mercati finanziari francese, v. Corte eur. D.U., decisione Didier c. Francia del 27 agosto 2002, Recueil des arrêts et décisions 2002-VII; a proposito di una maggiorazione d’imposta inflitta nell’ambito di una procedura di rettifica tributaria, v. Corte eur. D.U., sentenza Jussila c. Finlandia, cit., e, a proposito di una censura della Commissione bancaria francese, v. Corte eur. D.U., sentenza Dubus S.A. c. Francia dell’11 giugno 2009.
19 – Al riguardo, v. Corte eur. D.U., sentenze Melchers e Co. c. Germania del 9 febbraio 1990; Société Stenuit c. Francia del 30 maggio 1991, e Lilly c. Francia del 3 dicembre 2002. V. anche Corte eur. D.U., citate sentenze Jussila c. Finlandia, § 43, e Dubus S.A. c. Francia, § 35, nonché, per un’interpretazione isolata, Corte eur. D.U., sentenza OOO Neste e a. c. Russia del 3 giugno 2004.
20 – Sentenza 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P (Racc. pag. I‑4125).
21 – Punto 78. Tale giurisprudenza è stata confermata (v. sentenza 10 settembre 2009, causa C‑97/08 P, Akzo Nobel e a./Commissione, Racc. pag. I‑8237, punto 77).
22 – Sentenza 8 luglio 1999, causa C‑199/02 P (Racc. pag. I‑4287).
23 – Punto 150.
24 – GU 2010, C 83, pag. 389 (in prosieguo: la «Carta»).
25 – Recueil des traités des Nations unies, vol. 1155, pag. 331.
26 – Sentenza 7 giugno 2007, causa C‑76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione (Racc. pag. I‑4405).
27 – V. citate sentenze González y Díez/Commissione, non impugnata, e ArcelorMittal Luxembourg e a./Commissione, lo ricordo, oggetto di impugnazione attualmente pendente dinanzi alla Corte (cause riunite C‑201/09 P e C‑216/09 P).
28 – Primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82] del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204).
29 – GU 2002, C 152, pag. 5.
30 – Cause riunite T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03 (Racc. pag. II‑4331).
31 – V. sentenza 4 aprile 2000, causa C‑269/97, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I‑2257), in cui la Corte ha dichiarato che gli «atti comunitari devono essere adottati in conformità delle norme del Trattato vigenti al momento della loro adozione» (punto 45).
32 – V. sentenza 22 aprile 2008, causa C‑408/04 P, Commissione/Salzgitter (Racc. pag. I‑2767, punto 88 e giurisprudenza ivi citata).
33 – V. sentenza 2 maggio 1996, causa C‑18/94, Hopkins e a. (Racc. pag. I‑2281, punto 14 e giurisprudenza ivi citata).
34 – Sentenza 15 luglio 1960, cause riunite 27/59 e 39/59, Campolongo/Alta Autorità (Racc. pag. 795, in particolare pag. 824).
35 – V. parere 14 dicembre 1991, 1/91 (Racc. pag. I‑6079, punto 21).
36 – Sentenza 25 febbraio 1969, causa 23/68, Klomp (Racc. pag. 43, punto 13).
37 – Sentenza 22 febbraio 1990, causa C‑221/88 (Racc. pag. I‑495, punti 8‑16).
38 – Sentenza 18 luglio 2007, causa C‑119/05 (Racc. pag. I‑6199).
39 – Il corsivo è mio.
40 – Sentenza Busseni, cit. (punto 16).
41 – Sentenza Lucchini, cit. (punto 41).
42 – Al riguardo, è interessante notare che, conformemente agli orientamenti redatti nel 1998 dal legislatore dell’Unione, il calcolo dell’ammenda inflitta a un’impresa che abbia violato l’art. 65, n. 1, CA o l’art. 81, n. 1, CE, si fonda su criteri stabiliti nell’ambito del Trattato CE, vale a dire la gravità e la durata dell’infrazione [v. orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA) (GU 1998, C 9, pag. 3].
43 – Punto 83 della sentenza impugnata.
44 – V. sentenza 14 febbraio 2008, causa C‑450/06, Varec (Racc. pag. I‑581), in cui la Corte ha ricordato che le norme di procedura si applicano, come si ritiene in generale, a tutte le controversie pendenti all’atto della loro entrata in vigore, a differenza delle norme sostanziali, che, secondo la comune interpretazione, non riguardano, in linea di principio, rapporti giuridici definiti anteriormente alla loro entrata in vigore (punto 27).
45 – In deroga a tale principio, la Corte ritiene che le norme sostanziali possano riguardare situazioni maturate anteriormente alla loro entrata in vigore se l’esame del loro tenore letterale, del loro scopo e della loro economia consente di attribuire ad esse tale effetto (sentenza Varec, cit.).
46 – Il corsivo è mio.
47 – Il corsivo è mio.
48 – Il corsivo è mio.
49 – V. sentenza 29 giugno 2010, causa C‑526/08, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I‑6151, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).
50 – Sentenza 1° giugno 1999, causa C‑126/97, Eco Swiss (Racc. pag. I‑3055, punto 46). V. anche Corte eur. D.U., sentenza Brumărescu c. Romania del 28 ottobre 1999, Recueil des arrêts et décisions 1999-VII, in cui il giudice europeo afferma senza esitazioni che la certezza del diritto impone che «la soluzione definitiva data a una causa dai tribunali non venga più rimessa in discussione» (punto 61).
51 – V. sentenza Commissione/Lussemburgo, cit. (punto 27 e giurisprudenza ivi citata).
52 – Sentenza 10 luglio 2008, causa C‑413/06 P, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala (Racc. pag. I‑4951, punto 61).
53 – Causa C‑89/08 P (Racc. pag. I‑11245, punti 50‑59). Per un’esposizione del contenuto di tale principio, v. paragrafi 87‑107 delle mie conclusioni in detta causa.
54 – Sentenza Commissione/Irlanda e a., cit. (punto 54).
55 – Nel punto citato il Tribunale ha rilevato che «non è contestato che, tenuto conto della dichiarazione (…) 23 luglio 1997, la Commissione aveva certamente titolo per imputare [alla TKS] la responsabilità del comportamento produttivo dell’infrazione rimproverato alla Thyssen [e che] [s]i deve infatti considerare che una siffatta dichiarazione, la quale risponde, in particolare, a considerazioni di carattere economico tipiche delle operazioni di concentrazione tra imprese, implica [tale trasferimento]».
56 – V. Corte eur. D.U., sentenza Ernst e a. c. Belgio del 15 luglio 2003, § 60.
57 – Per un’esposizione più esaustiva degli argomenti delle parti, v. punti 105‑109 della sentenza impugnata.
58 – Sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. (punto 56 e giurisprudenza ivi citata).
59 – Punto 78.
60 – Punto 150.
61 – V. sentenze 16 novembre 2000, causa C‑248/98 P, KNP BT/Commissione (Racc. pag. I‑9641, punto 71); causa C‑279/98 P, Cascades/Commissione (Racc. pag. I‑9693, punto 78); causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (Racc. pag. I‑9925, punto 37); causa C‑297/98 P, SCA Holding/Commissione (Racc. pag. I‑10101, punto 25), e 11 dicembre 2007, causa C‑280/06, ETI e a. (Racc. pag. I‑10893, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).
62 – V., in particolare, sentenza SCA Holding/Commissione, cit. (punto 25).
63 – Infatti, in tale situazione, la Corte ritiene che verrebbe compromesso l’obiettivo di reprimere comportamenti contrari alle regole della concorrenza e di prevenirne la ripetizione mediante sanzioni dissuasive (v. sentenza ETI e a., cit., punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
64 – V. sentenze 16 dicembre 1975, cause riunite da 40/73 a 48/73, 50/73, da 54/73 a 56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione (Racc. pag. 1663, punto 84); 28 marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink/Commissione (Racc. pag. 1679, punto 9), e Commissione/Anic Partecipazioni, cit. (punto 145).
65 – V. sentenza ETI e a., cit. (punto 40). V. parimenti la sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit., in cui la Corte ha respinto l’argomento dedotto da una società, accusata di un comportamento punibile, allo scopo di esimersi da qualsiasi responsabilità, vale a dire di aver ceduto ad un’altra società l’attività nel cui ambito si era resa responsabile dell’infrazione contestatale (punto 145). Detta causa riguardava il caso di due imprese esistenti ed operative, di cui una aveva semplicemente ceduto una parte delle sue attività all’altra, e che non presentavano tra loro alcun nesso strutturale.
66 – V. art. 105, n. 1, TFUE.
67 – Per un’esposizione più esaustiva degli argomenti delle parti, v. punti 193‑198 della sentenza impugnata.
68 – Punti 151‑158. A sostegno del suo ragionamento, il Tribunale ha dedotto le seguenti ragioni. Poiché la sospensione della prescrizione costituisce un’eccezione al principio della prescrizione quinquennale, tale nozione deve essere interpretata restrittivamente. Dato che la sospensione della prescrizione riguarda, per definizione, un’ipotesi nella quale la Commissione ha già adottato una decisione, non è più necessario attribuire efficacia erga omnes a detta sospensione. Infine, conformemente alla sentenza della Corte 14 settembre 1999, causa C‑310/97 P, Commissione/AssiDomän Kraft Products e a. (Racc. pag. I‑5363), l’effetto inter partes dei procedimenti giudiziari e le conseguenze attribuite a tale effetto dalla Corte ostano in linea di principio a che il ricorso proposto da un’impresa destinataria della decisione impugnata abbia una qualsiasi incidenza sulla situazione degli altri destinatari di tale decisione.
69 – Cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P (Racc. pag. I‑8375, punti 142‑157). Per quanto riguarda il Tribunale, v., in particolare, sentenze 6 ottobre 2005, cause riunite T‑22/02 e T‑23/02, Sumitomo Chemical e Sumika Fine Chemicals/Commissione (Racc. pag. II‑4065, punti 80‑102), e ArcelorMittal Luxembourg e a./Commissione, cit. (punti 151‑158), che, ricordo, è attualmente oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte (cause riunite C‑201/09 P e C‑216/09 P).
70 – La Thyssen ha posto fine all’infrazione il 1° gennaio 1995. Il termine di prescrizione è stato interrotto nei suoi confronti, così come nei confronti di tutte le imprese che hanno partecipato all’infrazione, il 24 aprile 1997, a seguito dell’invio della comunicazione degli addebiti, e successivamente il 21 gennaio 1998, data in cui è stata adottata la decisione iniziale. Detto termine è decorso fino all’11 marzo 1998, ossia per circa un mese e mezzo, data in cui la TKS ha proposto un ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale. La prescrizione è stata sospesa fino al 13 dicembre 2001, data in cui il Tribunale ha pronunciato la citata sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, cioè per sette anni e due mesi. Il termine di prescrizione si è nuovamente interrotto il 5 aprile 2006, con l’invio della nuova comunicazione degli addebiti e, successivamente, il 20 dicembre 2006, con la notifica della decisione controversa. Tale termine è quindi decorso fra il 20 dicembre 2006 e il 6 febbraio 2007, data in cui la TKS ha proposto il ricorso d’annullamento contro la decisione controversa, ossia per circa un mese e mezzo. Detto termine è rimasto nuovamente sospeso fra la proposizione di detto ricorso e il 1° luglio 2009, data in cui il Tribunale ha pronunciato la sentenza impugnata, vale a dire per due anni e cinque mesi il termine di prescrizione è nuovamente decorso fra quest’ultima data e la proposizione, il 2 settembre 2009, della presente impugnazione, ossia per due mesi. Fra quest’ultima data e quella odierna la prescrizione è rimasta sospesa per circa un anno.
71 – Cause riunite C‑74/00 P e C‑75/00 P (Racc. pag. I‑7869).
72 – Punti 139 e 140. V. anche sentenza 2 ottobre 2003, cause riunite C‑172/01 P, C‑175/01 P, C‑176/01 P e C‑180/01 P, International Power e a./NALOO (Racc. pag. I‑11421, punti 106 e 107).
73 – Punti 152 e 153.
74 – V. sentenze 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 263, punto 59); 26 aprile 1988, cause riunite 97/86, 99/86, 193/86 e 215/86, Asteris e a./Commissione (Racc. pag. 2181, punto 30), e 26 aprile 1994, causa C‑228/92, Roquette Frères (Racc. pag. I‑1445, punto 17).
75 – Sentenza 31 marzo 1971, Commissione/Consiglio, cit. (punto 60).
76 – Per un’esposizione del contenuto di tale principio, v. le mie conclusioni nella causa C‑385/07 P, che ha dato luogo alla sentenza 16 luglio 2009, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione (Racc. pag. I‑6155, paragrafi 267 e segg.).
77 – Sentenza del Tribunale 22 ottobre 1997, cause riunite T‑213/95 e T‑18/96, SCK e FNK/Commissione (Racc. pag. II‑1739, punti 55 e 56 e giurisprudenza ivi citata), in cui esso ha rilevato che il «rispetto da parte della Commissione di un termine ragionevole nell’adozione di decisioni a conclusione di procedimenti amministrativi in materia di politica della concorrenza rappresenta (…) un principio generale del diritto comunitario».
78 – La Corte ha introdotto, nel diritto della concorrenza, il diritto ad essere giudicati entro un termine ragionevole nell’ambito dei procedimenti in materia di concorrenza nella sentenza 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione (Racc. pag. I‑8417). Essa ha inoltre ritenuto, nella citata sentenza Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, che l’inosservanza di tale obbligo poteva dar luogo ad una domanda di risarcimento danni in forza di un ricorso presentato contro la Comunità nell’ambito degli artt. 268 TFUE e 340, secondo comma, TFUE.
79 – Causa C‑113/04 P (Racc. pag. I‑8831).
80 – V. punti 55 e 56 nonché la giurisprudenza ivi richiamata.