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Documento 62003CJ0037

Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 15 settembre 2005.
BioID AG, en liquidation contro Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale.
Causa C-37/03 P.

Raccolta della Giurisprudenza 2005 I-07975

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2005:547

Causa C-37/03 P

BioID AG

contro

Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI)

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Marchio comunitario — Art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94 — Marchio denominativo e figurativo — BioID — Impedimento assoluto alla registrazione — Marchio privo di carattere distintivo»

Conclusioni dell'avvocato generale P. Léger, presentate il 2 giugno 2005 

Sentenza della Corte (Terza Sezione) 15 settembre 2005 

Massime della sentenza

1.     Marchio comunitario — Definizione e acquisizione del marchio comunitario — Impedimenti assoluti alla registrazione — Marchi privi di carattere distintivo — Marchio complesso — Presa in considerazione della percezione complessiva del marchio da parte del pubblico pertinente

[Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 7, n. 1, lett. b)]

2.     Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Motivi — Errata valutazione dei fatti — Irricevibilità — Sindacato da parte della Corte della valutazione degli elementi di fatto presentati al Tribunale — Esclusione salvo caso di snaturamento

(Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 58, primo comma)

3.     Marchio comunitario — Decisione dell'Ufficio — Legittimità — Esame da parte del giudice comunitario — Criteri

(Regolamento del Consiglio n. 40/94)

4.     Marchio comunitario — Definizione e acquisizione del marchio comunitario — Impedimenti assoluti alla registrazione — Esame separato dei vari impedimenti alla registrazione — Interpretazione degli impedimenti alla registrazione alla luce dell'interesse generale sotteso a ciascuno di essi — Utilizzazione di un criterio pertinente nell'ambito dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 nell'interpretazione della lett. b) di detta disposizione — Inammissibilità

[Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 7, n. 1, lett. b) e c)]

5.     Marchio comunitario — Definizione e acquisizione del marchio comunitario — Impedimenti assoluti alla registrazione — Marchi privi di carattere distintivo — Marchio complesso contenente l'acronimo BioID

[Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 7, n. 1, lett. b)]

1.     All'atto della valutazione del carattere distintivo di un marchio, ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario, qualora si tratti di un marchio complesso, un eventuale carattere distintivo può essere esaminato, in parte, per ciascuno dei suoi termini o dei suoi elementi, considerati separatamente, ma deve, in ogni caso, basarsi sulla percezione complessiva di detto marchio da parte del pubblico pertinente e non sulla presunzione che gli elementi privi isolatamente di carattere distintivo non possano, una volta combinati, presentare un carattere del genere. Infatti, il mero fatto che ciascuno di tali elementi, considerati separatamente, sia privo di carattere distintivo non esclude che la combinazione che essi formano possa presentare siffatto carattere.

(v. punto 29)

2.     Dagli artt. 225 CE e 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia risulta che l’impugnazione è limitata alle questioni di diritto. Il Tribunale è dunque competente in via esclusiva ad accertare e valutare i fatti pertinenti, nonché a valutare gli elementi di prova. La valutazione di tali fatti ed elementi di prova non costituisce, quindi, salvo il caso del loro snaturamento, una questione di diritto, come tale soggetta al sindacato della Corte nell’ambito di un’impugnazione.

(v. punti 43, 53)

3.     Le decisioni che le commissioni di ricorso devono adottare, in forza del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario, relativamente alla registrazione di un segno come marchio comunitario rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non in quello di un potere discrezionale. Pertanto, la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso deve essere valutata unicamente in base a detto regolamento, come interpretato dal giudice comunitario, e non sulla base di una prassi decisionale precedente a queste ultime.

(v. punto 47)

4.     Ciascuno degli impedimenti alla registrazione elencati all’art. 7, n. 1, del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario è indipendente dagli altri ed esige un esame separato. Inoltre, tali impedimenti vanno interpretati alla luce dell’interesse generale che è alla base di ciascuno di essi. L’interesse generale preso in considerazione in sede di esame di ciascuno dei detti impedimenti può, anzi deve, rispecchiare considerazioni differenti, a seconda dell’impedimento di cui trattasi.

A questo proposito, la nozione di interesse generale che è alla base dell’art. 7, n. 1, lett. b), del detto regolamento si confonde, evidentemente, con la funzione essenziale del marchio, che consiste nel garantire al consumatore o all’utente finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendogli di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa.

Per contro, non è un criterio in base al quale il detto art. 7, n. 1, lett. b), dev'essere interpretato l'ipotesi in cui sia dimostrato che il marchio richiesto può essere comunemente utilizzato dal pubblico o dai concorrenti, criterio che è pertinente nell'ambito di questa disposizione, lett. c).

(v. punti 59-60, 62)

5.     È privo di carattere distintivo, ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario, dal punto di vista di un pubblico avveduto nel settore dei prodotti e dei servizi di cui trattasi, di regola informato e ragionevolmente attento e accorto, il segno complesso contenente l'acronimo BioID, nonché elementi figurativi, vale a dire le caratteristiche tipografiche che presenta tale acronimo, e due elementi grafici posti dopo quest'ultimo, vale a dire un punto e un segno «R», la cui registrazione in quanto marchio comunitario è chiesta per prodotti e servizi appartenenti alle classi 9, 38 e 42 ai sensi dell'Accordo di Nizza e in particolare per prodotti la cui utilizzazione è richiesta per l'identificazione biometrica di esseri viventi e dei servizi effettuati mediante tale identificazione o diretti allo sviluppo di sistemi per tali identificazioni. In effetti, l'acronimo BioID, che è compreso dal pubblico pertinente come composto dall'abbreviazione di un aggettivo «biometrical» e di un sostantivo («identification») e quindi nel senso che esso significa nel suo insieme «biometrical identification», è indistinguibile dai prodotti e servizi considerati. Inoltre, né le caratteristiche tipografiche né gli elementi grafici posti dopo detto acronimo consentono di garantire al pubblico pertinente l'identità di origine dei prodotti e dei servizi considerati.

(v. punti 68-72, 75)




SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

15 settembre 2005 (*)

«Ricorso – Marchio comunitario – Art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94 – Marchio denominativo e figurativo – BioID – Impedimento assoluto alla registrazione – Marchio privo di carattere distintivo»

Nel procedimento C‑37/03 P,

avente ad oggetto un ricorso in forza dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, proposto il 3 febbraio 2003,

BioID AG, con sede in Berlino (Germania), in liquidazione, rappresentata dall’avv. A. Nordemann, Rechtsanwalt,

ricorrente,

altra parte nel procedimento:

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dai sigg. A. von Mühlendahl e G. Schneider, in qualità di agenti,

convenuto in primo grado,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. J.‑P. Puissochet, S. von Bahr, J. Malenovský e A. Ó Caoimh (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. P. Léger

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 13 gennaio 2005,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 2 giugno 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       Con il suo ricorso la società BioID AG chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 5 dicembre 2002, causa T‑91/01, BioID/UAMI (Racc. pag. II‑5159; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale quest’ultimo ha respinto il ricorso di detta società contro la decisione della seconda commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (in prosieguo: l’«UAMI») 20 febbraio 2001 (pratica R 538/1999‑2) (in prosieguo: la «decisione controversa»), che rifiuta la registrazione come marchio comunitario di un marchio complesso contenente l’acronimo «BioID».

 Ambito normativo

2       Ai termini dell’art. 4 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1):

«Possono costituire marchi comunitari tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma dei prodotti o del loro confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese».

3       L’art. 7 dello stesso regolamento prevede quanto segue:

«Sono esclusi dalla registrazione:

(…)

b)      i marchi privi di carattere distintivo;

c)      i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

d)      i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o nelle consuetudini leali e costanti del commercio;

(...)»

 Antefatti della lite

4       L’8 luglio 1998, la ricorrente, agendo con la sua precedente denominazione, vale a dire D.C.S. Dialog Communication Systems AG, chiedeva all’UAMI la registrazione come marchio comunitario di un marchio complesso (in prosieguo: il «marchio richiesto»), costituito dal segno riprodotto qui di seguito:

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5       I prodotti e i servizi per i quali è richiesta la registrazione del detto marchio rientrano nelle classi 9, 38 e 42 dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato. Essi corrispondono alla seguente descrizione, che figura nella domanda di marchio:

–       software, hardware e loro parti, apparecchi ottici, acustici ed elettronici e loro parti, tutti i suddetti articoli in particolare legati al controllo di autorizzazioni di accesso, per l’interazione fra computer e per l’identificazione o la verifica computerizzata di esseri viventi basata su una o più caratteristiche biometriche specifiche, appartenenti alla classe 9;

–       servizi di telecomunicazione; servizi di sicurezza legati all’interazione dei computer, all’accesso a banche dati, ai sistemi di pagamento elettronici, al controllo di autorizzazioni di accesso, all’identificazione o alla verifica computerizzata di esseri viventi basata su una o più caratteristiche biometriche specifiche, appartenenti alla classe 38;

–       fornitura di software via Internet e altre reti di comunicazione, manutenzione on-line di programmi per computer, programmazione per computer, tutti i suddetti servizi legati al controllo di autorizzazioni di accesso, all’interazione fra computer e all’identificazione o alla verifica computerizzata di esseri viventi basata su una o più caratteristiche biometriche specifiche; progettazione tecnica di sistemi di controllo per autorizzazioni di accesso, per l’interazione fra computer, nonché di sistemi per l’identificazione e la verifica computerizzata di esseri viventi basata su una o più caratteristiche biometriche specifiche, appartenenti alla classe 42.

6       Con decisione 25 giugno 1999 l’esaminatore respingeva detta domanda in quanto il marchio richiesto era descrittivo dei prodotti in questione e privo di qualsiasi carattere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94. La ricorrente presentava ricorso contro detta decisione.

7       Con la decisione controversa la seconda commissione di ricorso dell’UAMI ha respinto detto ricorso in quanto le disposizioni dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94 si opponevano alla registrazione del marchio richiesto poiché quest’ultimo, considerato complessivamente, costituisce un’abbreviazione dei termini «biometric identification» (identificazione biometrica) e, quindi, designa caratteristiche dei prodotti e servizi considerati nella domanda. Essa ha concluso anche che gli elementi grafici non sono atti a conferire al marchio un carattere distintivo, ai sensi del detto art. 7, n. 1, lett. b).

 Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

8       Con ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 25 aprile 2001, la ricorrente ha chiesto l’annullamento della decisione impugnata. Essa ha addotto due motivi relativi, rispettivamente, alla violazione degli artt. 7, n. 1, lett. b), e 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94.

9       Per respingere il ricorso di cui era investito, il Tribunale ha ricordato anzitutto, al punto 23 della sentenza impugnata, quanto segue:

«Come si evince dalla giurisprudenza, i marchi contemplati dall’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 sono, in particolare, quelli che, dal punto di vista del pubblico interessato, sono comunemente utilizzati, nei rapporti commerciali, nell’ambito della presentazione dei prodotti o servizi in questione o rispetto ai quali esistono almeno indizi concreti i quali consentono di concludere che i primi possono essere utilizzati in tale modo. Per di più, tali marchi non permettono al pubblico interessato di ripetere un dato acquisto, qualora questo si riveli positivo, oppure di evitarlo, ove esso si riveli negativo, in occasione dell’acquisto successivo dei prodotti o dei servizi di cui trattasi [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 27 febbraio 2002, causa T‑79/00, Rewe-Zentral/UAMI (LITE), Racc. pag. II‑705, punto 26]».

10     Pertanto, il Tribunale ha ritenuto, al punto 25 della sentenza impugnata, che il pubblico interessato sia, in ogni caso, un pubblico competente nel settore dei prodotti e dei servizi in questione.

11     Inoltre, il Tribunale ha rilevato, al punto 27 della detta sentenza, in particolare che, trattandosi di un marchio composto da più elementi, occorre, ai fini della valutazione del suo carattere distintivo, considerarlo nel suo insieme, senza che ciò sia incompatibile con un esame, in ordine successivo, dei diversi elementi da cui è composto il marchio.

12     In primo luogo, quanto al marchio richiesto, il Tribunale ha rilevato, al punto 28 della stessa sentenza, che, nella lingua inglese, l’elemento «ID» costituisce un’abbreviazione corrente del sostantivo «identification» e, quanto al prefisso «Bio», che esso può costituire sia l’abbreviazione di un aggettivo («biological» [biologico], o «biometrical» [biometrico]), sia l’abbreviazione di un sostantivo (“biology” [biologia]). Ha constatato, al punto 29 della detta sentenza, che, alla luce dei prodotti e dei servizi oggetto della domanda di marchio, il pubblico rilevante comprende BioID nel senso di «biometrical identification» (identificazione biometrica).

13     In secondo luogo, quanto a tutti i prodotti e servizi per i quali la registrazione di detto marchio era richiesta, il Tribunale ha rilevato, ai punti 30-32 della sentenza impugnata, da una parte, per quanto riguarda i prodotti e servizi della classe 9, che l’identificazione biometrica di esseri viventi comporta, o addirittura richiede, l’utilizzazione di detti prodotti e, d’altra parte, per quanto concerne i prodotti e servizi delle classi 38 e 42, che, se e in quanto i detti servizi sono effettuati per mezzo di un’identificazione biometrica ovvero hanno come scopo lo sviluppo dei sistemi per tali identificazioni, l’acronimo BioID si riferisce direttamente ad una delle loro qualità, la quale può costituire un fattore di valutazione al momento della scelta di tali servizi, operata dal pubblico interessato.

14     Il Tribunale afferma, al punto 34 di detta sentenza, che l’acronimo «BioID» nella prospettiva del pubblico interessato era utilizzabile comunemente, nei rapporti commerciali, per la presentazione dei prodotti e servizi che rientrano nelle categorie indicate nella domanda di detto marchio. Pertanto, questo è privo di carattere distintivo per quanto riguarda tali categorie di prodotti e di servizi.

15     Al punto 37 della sentenza impugnata, il Tribunale ha osservato che gli elementi figurativi del marchio richiesto, costituito da caratteri in fondita Arial così come caratteri di spessore diverso, sono comunemente usati, nei rapporti commerciali, per la presentazione di ogni tipo di prodotti e servizi e, quindi, sono privi di carattere distintivo per quanto riguarda le categorie di prodotti e servizi in questione.

16     Inoltre, ai punti 38-40 della detta sentenza, quanto agli elementi grafici del marchio richiesto, il Tribunale ha considerato che, per quanto concerne il punto «■», la ricorrente stessa ha dichiarato che tale elemento è comunemente utilizzato come l’ultimo di più elementi di un marchio denominativo, a indicare che trattasi di un’abbreviazione e che, per quanto concerne il segno «®», la funzione di quest’ultimo si limita a indicare che si tratta di un marchio che è stato registrato per un determinato territorio e che, in mancanza di una tale registrazione, l’impiego di questo elemento grafico sarebbe tale da indurre il pubblico in errore. Pertanto, il Tribunale ha concluso che i detti elementi grafici possono essere utilizzati nei rapporti commerciali, per la presentazione di ogni tipo di prodotto e di servizio e, pertanto, sono privi di carattere distintivo per quanto riguarda tali prodotti e servizi.

17     Peraltro, il Tribunale, al punto 41 della stessa sentenza, e dopo aver esaminato ciascun elemento componente il marchio richiesto, ha considerato che il marchio richiesto è costituito da una combinazione di elementi ognuno dei quali, essendo utilizzabile comunemente, nei rapporti commerciali, per la presentazione dei prodotti e servizi che rientrano nelle categorie indicate nella domanda di marchio, è privo di carattere distintivo rispetto a tali prodotti e servizi.

18     Il Tribunale ha quindi affermato, ai punti 42-44 della sentenza impugnata, che, poiché non è emerso che vi fossero indizi concreti, quali, in particolare, il modo in cui i vari elementi sono combinati, che indicassero che il marchio complesso la cui registrazione è richiesta, considerato nel suo insieme, rappresenta più della somma degli elementi da cui è composto, detto marchio è privo di carattere distintivo rispetto alle categorie dei prodotti e dei servizi in questione.

19     Inoltre, per quanto riguarda gli argomenti della ricorrente relativi all’esistenza di altri marchi comunitari registrati, il Tribunale, dopo avere ricordato al punto 47 della detta sentenza che motivi di fatto o di diritto esposti in una decisione precedente dell’UAMI possono costituire argomenti a sostegno di un motivo vertente sulla violazione di una disposizione del regolamento n. 40/94, ha tuttavia constatato che, nel caso di specie, la ricorrente non ha invocato motivi esposti in altre decisioni che potrebbero rimettere in discussione la valutazione del carattere distintivo del marchio richiesto prima esposta.

20     Il Tribunale ha quindi concluso, ai punti 49 e 50 della stessa sentenza, che il motivo relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 doveva essere respinto e che non era necessario esaminare il motivo relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), del detto regolamento.

 Il ricorso

21     Con il ricorso la ricorrente chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata, di annullare la decisione controversa e di condannare l’UAMI alle spese.

22     L’UAMI conclude per il rigetto del ricorso e per la condanna della ricorrente alle spese.

23     A sostegno del ricorso la ricorrente deduce due motivi. Col primo motivo questa sostiene che il Tribunale ha interpretato erroneamente e troppo ampiamente l’impedimento assoluto di registrazione del marchio privo di carattere distintivo di cui all’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Col secondo motivo, essa fa valere che il Tribunale, anche se avesse interpretato correttamente quest’ultima disposizione del detto regolamento, ha commesso un errore di diritto non esaminando il secondo motivo dedotto in primo grado, relativo ad una violazione del detto regolamento.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94

24     Tale motivo è costituito da quattro censure.

 Sulla prima censura, relativa alla presa in considerazione dell’impressione complessiva prodotta dal marchio richiesto

25     Con tale censura la ricorrente rimprovera al Tribunale di non essersi basato, per valutare l’idoneità del marchio richiesto ad avere un carattere distintivo, sul criterio dell’effetto prodotto dall’insieme del detto marchio sul pubblico interessato. A suo avviso, il Tribunale, sebbene abbia esaminato nei dettagli ciascuno dei vari elementi figurativi e grafici di detto marchio e tratto conclusioni da tale esame, non ha veramente esaminato l’impressione complessiva.

26     Secondo l’UAMI, il Tribunale ha esaminato il marchio richiesto complessivamente, sebbene a ragione abbia affermato che tale criterio non esclude di cominciare con un’analisi di ciascuno dei suoi componenti. L’UAMI, che effettua direttamente siffatta analisi, conclude che l’impressione complessiva di ciascuno degli elementi del marchio richiesto è quella di un marchio non distintivo.

27     In primo luogo, si deve ricordare che la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o all’utente finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa (v., in particolare, sentenze 23 maggio 1978, causa 102/77, Hoffmann-La Roche, Racc. pag. 1139, punto 7, e 18 giugno 2002, causa C‑299/99, Philips, Racc. pag. I‑5475, punto 30). L’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 mira infatti a impedire la registrazione di marchi privi di carattere distintivo che, di per sé sola, li rende idonei a soddisfare tale primaria funzione (v. sentenza 16 settembre 2004, causa C‑392/02 P, SAT.1/UAMI, Racc. pag. I‑8317, punto 23).

28     In secondo luogo, per determinare se un segno presenti un carattere che lo renda registrabile come marchio, occorre porsi nell’ottica del pubblico interessato.

29     In terzo luogo, qualora si tratti di un marchio complesso, come quello oggetto della causa in esame, un eventuale carattere distintivo può essere esaminato, in parte, per ciascuno dei suoi termini o dei suoi elementi, considerati separatamente, ma deve, in ogni caso, basarsi sulla percezione complessiva di detto marchio da parte del pubblico pertinente e non sulla presunzione che elementi privi isolatamente di carattere distintivo non possano, una volta combinati, presentare un carattere del genere (v. sentenza SAT.1/UAMI, cit., punto 35). Infatti, il mero fatto che ciascuno di tali elementi, considerati separatamente, sia privo di carattere distintivo non esclude che la combinazione che essi formano possa presentare siffatto carattere (v., per analogia, sentenze 12 febbraio 2004, causa C‑363/99, Koninklijke KPN Nederland, Racc. pag. I‑1619, punti 99 e 100; causa C‑265/00, Campina Melkunie, Racc. pag. I‑1699, punti 40 e 41, nonché SAT.1/UAMI, cit., punto 28).

30     Nella causa che è sfociata nella precitata sentenza SAT.1/UAMI, relativa alla registrazione come marchio comunitario del sintagma SAT.2, la Corte ha annullato la sentenza del Tribunale 2 luglio 2002, causa T‑323/00, SAT.1/UAMI (SAT.2) (Racc. pag. II‑2839), in quanto quest’ultimo, per giustificare il rifiuto di registrazione di detto sintagma, si era basato sulla presunzione che elementi privi isolatamente di carattere distintivo non possano, una volta combinati, presentare siffatto carattere. Il Tribunale aveva quindi esaminato l’impressione complessiva prodotta dal detto sintagma soltanto in subordine, negando qualsiasi rilevanza ad alcuni dati, come l’esistenza di un elemento di fantasia, che devono essere considerati in tale analisi.

31     Al punto 27 della sentenza impugnata, il Tribunale ha giustamente rilevato che, per valutare il carattere distintivo di un marchio complesso, il fatto di considerare tale marchio nel suo insieme non è incompatibile con esami successivi dei vari elementi da cui esso è composto.

32     È vero che, al punto 42 della sentenza impugnata, dopo aver osservato che i vari elementi del marchio richiesto sono privi di carattere distintivo, il Tribunale ha constatato che si doveva presumere che esso fosse privo di tale carattere.

33     Tuttavia, contrariamente a quanto avvenuto nella precitata sentenza SAT.1/UAMI (SAT.2), tale constatazione non ha, nella fattispecie, invalidato l’analisi del Tribunale su tale punto in quanto questo non si è limitato ad esaminare in subordine l’impressione prodotta dall’insieme del marchio richiesto, ma ha dedicato una parte della sua motivazione a valutare, trattandosi di un marchio complesso, il carattere distintivo dell’insieme del segno.

34     Infatti, al punto 42 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che, poiché non risulta che vi siano indizi concreti, quale, in particolare, il modo in cui i vari elementi sono combinati, che indichino che il marchio complesso, considerato nel suo insieme, rappresenta più della somma degli elementi da cui è composto, tale marchio è privo di carattere distintivo riguardo alle categorie di prodotti e servizi in questione.

35     Inoltre, ai punti 43 e 44 della detta sentenza, il Tribunale ha rinviato alla sua analisi dettagliata degli elementi tipografici descritti al punto 37 della stessa sentenza e, inoltre, degli elementi grafici menzionati ai punti 38 e 39 della medesima sentenza. Il Tribunale ha integrato pertanto la detta analisi nell’esame che ha effettuato dell’impressione prodotta dall’insieme del marchio richiesto, al fine di stabilire se questo presenti un carattere che lo renda idoneo ad essere registrato come marchio.

36     Infine, il Tribunale ha constatato che la struttura del marchio richiesto non consente di respingere la conclusione secondo la quale il marchio richiesto, considerato complessivamente, è privo di carattere distintivo.

37     Tale motivazione non è viziata da un errore di diritto, avendo il Tribunale accertato se il detto marchio, considerato complessivamente, presentasse o meno un carattere distintivo.

38     Ne consegue che la prima censura del primo motivo dev’essere dichiarata infondata.

 Sulla seconda censura, relativa alla prova che il marchio richiesto era effettivamente usato dal pubblico o da concorrenti

39     Con tale censura la ricorrente fa valere che, considerando che il marchio richiesto era privo di carattere distintivo, il Tribunale non ha considerato il fatto che non si è potuto provare che il marchio richiesto fosse effettivamente usato dal pubblico o da concorrenti, che esso non figurava nei dizionari e che, sebbene una ricerca su Internet, riguardante i termini «biometrical identification», avesse dato luogo a 19 075 risposte, il marchio richiesto è stato utilizzato soltanto nelle pubblicazioni concernenti «biometric identification» provenienti dalla ricorrente.

40     L’UAMI fa valere che la valutazione concreta dell’impatto di un marchio sul consumatore, chiaramente definita rispetto ai prodotti e servizi per i quali la registrazione del segno è richiesta, costituisce una constatazione di fatto che non è esaminata dalla Corte, salvo che si addebiti al Tribunale di aver snaturato i fatti. Non avendo la ricorrente menzionato alcun elemento che possa invalidare le constatazioni di fatto del Tribunale su tale punto, tale censura sarebbe irricevibile.

41     Sulla questione della prova che il marchio richiesto era comunemente utilizzato in modo descrittivo dal pubblico o dai concorrenti, è sufficiente rilevare, in primo luogo, che ipotesi in cui si sia dimostrato che il marchio richiesto è comunemente utilizzato dal pubblico o dai concorrenti costituisce un fattore pertinente quanto all’art. 7, n. 1, lett. d), del regolamento n. 40/94, ma non per questa stessa disposizione alla lett. b) (v., in tal senso, sentenza 21 ottobre 2004, causa C‑64/02 P, UAMI/Erpo Möbelwerk, Racc. pag. I‑10031, punti 40 e 46).

42     In secondo luogo, la valutazione concreta dell’impatto di un marchio sul consumatore, chiaramente definita rispetto ai prodotti e ai servizi per i quali si è richiesta la registrazione del segno, costituisce una constatazione di fatto. La ricorrente chiede quindi alla Corte, in realtà, di sostituire la propria valutazione dei fatti a quella effettuata dal Tribunale.

43     Orbene, dagli artt. 225 CE e 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia risulta che l’impugnazione è limitata alle questioni di diritto. Il Tribunale è dunque competente in via esclusiva ad accertare e valutare i fatti pertinenti, nonché a valutare gli elementi di prova. La valutazione di tali fatti ed elementi di prova non costituisce, quindi, una questione di diritto, come tale soggetta al sindacato della Corte nell’ambito di un’impugnazione, salvo il caso di snaturamento di tali fatti e di tali elementi (v., in tal senso, sentenze 19 settembre 2002, causa C‑104/00 P, DKV/UAMI, Racc. pag. I‑7561, punto 22, e 2 ottobre 2003, causa C‑194/99 P, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. I‑10821, punto 20, e 7 ottobre 2004, causa C‑136/02 P, Mag Instrument/UAMI, Racc. pag. I‑9165, punto 39).

44     Di conseguenza, la seconda censura del primo motivo deve essere dichiarata in parte infondata e in parte irricevibile.

 Sulla terza censura, relativa alla presa in considerazione degli altri marchi registrati come marchi comunitari

45     Con tale censura la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto considerare che gli altri marchi registrati dall’UAMI come marchi comunitari, ivi compresi non soltanto altri marchi composti dal prefisso «Bio» e da un altro termine descrittivo, ma anche il marchio denominativo Bioid, costituivano indizi di un carattere distintivo del marchio di cui si chiedeva la registrazione.

46     L’UAMI fa valere che, poiché le decisioni delle commissioni di ricorso non costituiscono decisioni rientranti nell’ambito di un potere discrezionale, ma in quello di una competenza vincolata, le decisioni precedenti non possono servire come criteri di confronto. L’elenco dei marchi denominativi contenenti l’elemento «Bio» e rifiutati dall’UAMI sarebbe tanto esteso quanto l’elenco dei marchi registrati che includono tale elemento. Le registrazioni analoghe dovrebbero essere esaminate caso per caso, tenendo conto in particolare dei prodotti o dei servizi per i quali si chiede la registrazione del segno. Inoltre, l’UAMI sottolinea che il marchio denominativo «Bioid» non può essere paragonato al marchio figurativo BioID. La separazione figurativa, del pari evidenziata sul piano grafico, di «Bio», da un lato, e di «ID», dall’altro, dimostra chiaramente che si tratterebbe di due elementi di un marchio. Nel caso del marchio denominativo Bioid, tali elementi di separazione mancherebbero completamente.

47     A questo proposito, si deve rilevare, anzitutto, che le decisioni che le commissioni di ricorso devono adottare, in forza del regolamento n. 40/94, relativamente alla registrazione di un segno come marchio comunitario rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non in quello di un potere discrezionale. Pertanto, la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso deve essere valutata unicamente in base a detto regolamento, come interpretato dal giudice comunitario, e non sulla base di una prassi decisionale precedente a queste ultime (v. sentenza del Tribunale 22 giugno 2005, causa T‑19/04, Metso Paper Automation/UAMI (PAPERLAB), Racc. pag. II‑2383, punto 39).

48     Peraltro, il carattere distintivo di un marchio deve essere valutato, da un lato, rispetto ai prodotti o ai servizi per i quali la sua registrazione è stata richiesta e, dall’altro, rispetto alla percezione che ne ha il pubblico interessato.

49     Ne consegue che l’identità o la somiglianza del marchio richiesto rispetto ad un altro marchio comunitario non ha alcuna rilevanza quando, come nella fattispecie, gli elementi di fatto o di diritto che sono stati presentati a sostegno della domanda di detto altro marchio non sono invocati dalla ricorrente per dimostrare il carattere distintivo del marchio richiesto.

50     In ogni caso, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il Tribunale non ha affatto rifiutato di esaminare gli elementi di prova, relativi alla prassi decisionale dell’UAMI.

51     Infatti, il Tribunale ha considerato, al punto 47 della sentenza impugnata, che motivi di fatto o di diritto esposti in una decisione precedente possono costituire argomenti a sostegno di un motivo vertente sulla violazione di una disposizione del regolamento n. 40/94. Tuttavia, allo stesso punto della detta sentenza, ha espressamente constatato che, per quanto concerne il marchio richiesto, la ricorrente non aveva invocato motivi figuranti in decisioni precedenti delle commissioni di ricorso che ammettevano la registrabilità di altri marchi contenenti l’elemento «Bio» che potrebbero rimettere in discussione la valutazione del suo carattere distintivo figurante nella decisione controversa.

52     Peraltro, il Tribunale, dopo aver osservato che, all’udienza, la ricorrente ha inoltre invocato la registrazione da parte dell’UAMI del marchio denominativo Bioid per le categorie di prodotti e di servizi denominati «prodotti tipografici», «telecomunicazioni» e «programmazione per computer», ha concluso che, a differenza di quanto sostiene la ricorrente, il marchio richiesto e il marchio denominativo «Bioid» non sono intercambiabili, e che il fatto che nel detto marchio denominativo le lettere «id» siano scritte in minuscolo può differenziarlo, per quanto concerne il suo contenuto semantico, dall’acronimo BioID.

53     Infine, come si è già ricordato al punto 43 della presente sentenza, dall’art. 225 CE e dall’art. 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia risulta che l’impugnazione è limitata alle questioni di diritto. Il Tribunale è quindi competente in via esclusiva ad accertare e valutare i fatti pertinenti, nonché a valutare gli elementi di prova. La valutazione di tali fatti ed elementi di prova non costituisce quindi, salvo il caso del loro snaturamento, una questione di diritto, come tale soggetta al sindacato della Corte nell’ambito di un’impugnazione.

54     Orbene, la ricorrente, mettendo in discussione la valutazione da parte del Tribunale della somiglianza o dell’identità dei marchi registrati e, pertanto, la pertinenza delle decisioni precedenti dell’UAMI, si limita in realtà a contestare, senza invocare né allegare un qualsivoglia vizio di snaturamento, la valutazione dei fatti effettuata dal Tribunale.

55     Pertanto, si deve dichiarare la terza censura del primo motivo in parte infondata e in parte irricevibile.

 Sulla quarta censura, relativa al criterio di rifiuto di registrazione

56     Con l’ultima censura del primo motivo, che la ricorrente ha sollevato per la prima volta all’udienza, questa fa valere che il Tribunale ha interpretato erroneamente l’art. 7, n. 1, lett. b), del detto regolamento, constatando che i marchi considerati dalla detta disposizione sono, in particolare, quelli che, dal punto di vista del pubblico interessato, sono comunemente utilizzati, nel commercio, nell’ambito della presentazione dei prodotti o dei servizi considerati o per i quali esistono, quantomeno, indizi concreti che consentono di concludere che possono essere utilizzati in tal modo.

57     L’UAMI sostiene che il Tribunale non ha commesso un errore affermando che il marchio richiesto può essere comunemente utilizzato. A suo avviso, detto marchio non sarebbe facilmente percepito in quanto marchio d’origine da parte del pubblico ristretto considerato dalla domanda nel caso di specie. Peraltro, all’udienza, l’UAMI ha sollevato implicitamente la questione della ricevibilità di tale censura, che non era stata sollevata nel ricorso.

58     Su tale punto, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 25 delle sue conclusioni, va constatato che tale censura è stata presentata a sostegno del primo motivo che la ricorrente ha addotto dinanzi alla Corte e secondo il quale il Tribunale ha interpretato erroneamente l’impedimento assoluto alla registrazione dei marchi privi di carattere distintivo di cui all’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Pertanto, esso non costituisce un motivo nuovo ai sensi dell’art. 42, n. 2, del regolamento di procedura.

59     Quanto alla fondatezza di tale censura si deve rilevare che ciascuno degli impedimenti alla registrazione elencati all’art. 7, n. 1, del regolamento n. 40/94 è indipendente dagli altri ed esige un esame separato (v. precitata sentenza UAMI/Erpo Möbelwerk, punto 39). Inoltre, tali impedimenti vanno interpretati alla luce dell’interesse generale che è alla base di ciascuno di essi. L’interesse generale preso in considerazione in sede di esame di ciascuno di detti impedimenti può, anzi deve, rispecchiare considerazioni differenti, a seconda dell’impedimento di cui trattasi (v. sentenze 29 aprile 2004, cause riunite C‑456/01 P e C‑457/01 P, Henkel/UAMI, Racc. pag. I‑5089, punti 45 e 46, e SAT.1/UAMI, cit., punto 25).

60     Peraltro, si deve ricordare che la nozione di interesse generale che è alla base dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 si confonde, evidentemente, con la funzione essenziale del marchio, che consiste nel garantire al consumatore o all’utente finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendogli di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa (v. sentenza SAT.1/UAMI, cit., punti 23 e 27).

61     Orbene, ai punti 23, 34, 41 e 43 della sentenza impugnata, il Tribunale, per affermare che il marchio richiesto rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del detto regolamento, ha considerato soprattutto il fatto che esso può essere comunemente utilizzato nel commercio.

62     Si deve tuttavia constatare che, come la Corte ha affermato al punto 36 della precitata sentenza SAT.1/UAMI, tale criterio, anche se è pertinente nell’ambito dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, non è il criterio in base al quale questa stessa disposizione, alla lett. b), deve essere interpretata.

63     Di conseguenza, si deve constatare che è fondata la censura secondo la quale il Tribunale ha utilizzato un criterio che sarebbe pertinente, non nell’ambito dell’art. 7, n. 1, lett. b), del detto regolamento, ma in quello della stessa disposizione, alla lett. c).

64     Pertanto, va accolto il primo motivo, relativo ad un’interpretazione errata dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

65     Da quanto precede risulta che, senza che occorra esaminare il secondo motivo del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata in quanto il Tribunale ha commesso un errore di diritto nell’interpretazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

 Merito del ricorso in primo grado

66     Conformemente all’art. 61, primo comma, seconda frase, dello Statuto della Corte di giustizia, quest’ultima, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta. Occorre rilevare che è questo il caso nella fattispecie.

67     Al riguardo, come risulta dai punti 27 e 28 della presente sentenza, per determinare se il marchio richiesto garantisca al consumatore o all’utente finale l’identità di origine del prodotto o del servizio designato dal marchio, consentendogli di distinguere senza confusione possibile tale prodotto o tale servizio da quelli che hanno una provenienza diversa, occorre porsi nell’ottica del pubblico interessato.

68     Così, tenendo conto dei prodotti e dei servizi oggetto della domanda di registrazione descritta al punto 5 della presente sentenza, risulta che il pubblico interessato è un pubblico avveduto nel settore dei prodotti e dei servizi di cui trattasi, di regola informato e ragionevolmente attento ed accorto.

69     Orbene, il marchio richiesto contiene l’acronimo BioID, nonché elementi figurativi, vale a dire le caratteristiche tipografiche che presenta tale acronimo, e due elementi grafici posti dopo l’acronimo BioID, vale a dire un punto (■) e un segno (®).

70     Per quanto concerne detto acronimo, come l’UAMI ha giustamente rilevato nella decisione controversa, il pubblico pertinente considera BioID, alla luce dei prodotti e servizi oggetto della domanda di marchio, come composto dall’abbreviazione di un aggettivo («biometrical») e di un sostantivo («identification») e quindi nel senso che esso significa nel suo insieme «biometrical identification». Pertanto, tale acronimo, indistinguibile dai prodotti e servizi oggetto della domanda di registrazione, non presenta un carattere che possa garantire al consumatore o all’utente finale l’identità di origine del prodotto o del servizio designato dal marchio nell’ottica del pubblico pertinente.

71     Inoltre, tenuto conto della natura ricorrente delle caratteristiche tipografiche che presenta l’acronimo BioID e della mancanza di qualsiasi elemento distintivo particolare, i caratteri in fondita ARIAL nonché i caratteri di uno spessore diverso non consentono al marchio richiesto di garantire al pubblico interessato l’identità di origine dei prodotti e servizi oggetto della domanda di registrazione.

72     Peraltro, i due elementi grafici posti dopo l’acronimo BioID, che costituiscono un punto (■) e un segno (®), non presentano alcun carattere che consenta al pubblico interessato di distinguere senza possibilità di confusione i prodotti o servizi oggetto della domanda di registrazione da quelli che hanno una provenienza diversa. Ne consegue che i detti elementi grafici non possono svolgere la funzione essenziale di un marchio, quale descritta al punto 25 della presente sentenza, rispetto ai prodotti e servizi pertinenti.

73     Inoltre, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 105 delle sue conclusioni, quando si esamina l’impressione complessiva prodotta sul pubblico pertinente dal marchio richiesto, l’acronimo BioID, che è privo di carattere distintivo, costituisce l’elemento dominante proveniente dal detto marchio.

74     Per di più, come l’UAMI ha osservato al punto 21 della decisione controversa, gli elementi figurativi e grafici sono di una natura talmente superficiale che non apportano alcun carattere distintivo all’insieme del marchio richiesto. Detti elementi non presentano alcun aspetto, in particolare in termini di fantasia o quanto al modo in cui sono combinati, che consenta a detto marchio di svolgere la sua funzione essenziale per quanto concerne i prodotti e servizi oggetto della domanda di registrazione.

75     Ne consegue che il marchio richiesto è privo di carattere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Stando così le cose, il ricorso della ricorrente avverso la decisione controversa deve essere respinto.

 Sulle spese

76     Ai sensi dell’art. 122 del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese. Ai termini dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’art. 118 dello stesso regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Avendo chiesto l’UAMI la condanna della ricorrente alle spese ed essendo questa rimasta soccombente, la stessa deve essere condannata alle spese dei due gradi di giudizio.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

1)      La sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 5 dicembre 2002, causa T‑91/01, BioID/UAMI (BioID) (Racc. pag. II‑5159), è annullata.

2)      Il ricorso contro la decisione 20 febbraio 2001 della seconda commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) è respinto.

3)      La ricorrente è condannata alle spese dei due gradi di giudizio.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.

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