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Document 52002AE0857
Opinion of the Economic and Social Committee on the Amended proposal for a Council Directive on the right to family reunification (COM(2002) 225 final — 1999/0258 (CNS))
Parere del Comitato economico e sociale in merito alla "Proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare" (COM(2002) 225 def. — 1999/0258 (CNS))
Parere del Comitato economico e sociale in merito alla "Proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare" (COM(2002) 225 def. — 1999/0258 (CNS))
GU C 241 del 7.10.2002, pp. 108–109
(ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT, FI, SV)
Parere del Comitato economico e sociale in merito alla "Proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare" (COM(2002) 225 def. — 1999/0258 (CNS))
Gazzetta ufficiale n. C 241 del 07/10/2002 pag. 0108 - 0109
Parere del Comitato economico e sociale in merito alla "Proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare" (COM(2002) 225 def. - 1999/0258 (CNS)) (2002/C 241/21) Il Consiglio, in data 23 maggio 2002, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale in merito alla proposta di cui sopra. La sezione Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Mengozzi, in data 20 giugno 2002. Il Comitato economico e sociale ha adottato, il 17 luglio 2002, nel corso della 392a sessione plenaria, con 118 voti favorevoli, 7 contrari e 2 astensioni, il seguente parere. 1. Introduzione 1.1. La Commissione ha presentato una proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa al ricongiungimento familiare che fa seguito ad una proposta di direttiva sul medesimo argomento presentata il 1o dicembre del 1999 e che non ha avuto seguito dopo passaggi in Parlamento (6 settembre 2000), di nuovo in Commissione (10 ottobre 2000), nel Consiglio(1) (maggio 2000, maggio 2001, settembre 2001) che non hanno portato ad una conclusione. 1.2. Il Consiglio europeo di Laeken del 14 e 15 dicembre del 2001 ha rivolto un invito alla Commissione di riprendere l'argomento ovviamente tenendo conto delle difficoltà incontrate soprattutto a livello di Consiglio. 1.3. La nuova proposta della Commissione, pur affermando formalmente il diritto al ricongiungimento familiare, lo incapsula in una serie di procedure più restrittive di quelle previste dalla proposta di direttiva del 1999. Già la formulazione della proposta dell'articolo 1 è indicativa poiché, mentre nella proposta iniziale lo scopo era quello di "istituire un diritto al ricongiungimento", nel testo in esame diventa "fissare le condizioni dell'esercizio del diritto al ricongiungimento". 1.4. Le modifiche riflettono l'orientamento prevalente emerso nel dibattito al Consiglio. In particolare, è evidente la preoccupazione di fare in modo che le legislazioni vigenti in alcuni stati membri possano trovare un riflesso negli articoli della direttiva. Di conseguenza, una norma che era stata concepita come "quadro di massima" assume il carattere di minimo comun denominatore delle legislazioni già in vigore negli Stati membri. 2. Osservazioni particolari 2.1. È significativa l'introduzione (art. 3,6) della clausola di "stand still", in base alla quale gli articoli 4.1, 2, 4.3, 7.1 lettera c), 8 "non possono avere per effetto l'introduzione di condizioni meno favorevoli rispetto a quelle già esistenti in ogni Stato membro al momento dell'adozione". Questa clausola, se pone un "alto là" ad un utilizzo della direttiva per rivedere in senso restrittivo alcune norme nazionali, denuncia anche il fatto che una serie di articoli della proposta modificata (quelli citati all'art. 3,6) si connotano come assai più restrittivi delle norme vigenti in diversi Stati membri che trattano del medesimo oggetto. Inoltre, occorre rilevare che la clausola "Stand still" non impedisce agli Stati membri di modificare in senso restrittivo la loro legislazione in materia, prima dell'adozione della presente proposta di direttiva. In tal senso è necessario che la Commissione inserisca nel testo predisposto una richiesta agli Stati membri di non modificare la loro legislazione in questo periodo. 2.2. Le modifiche proposte più gravi sono: 1) la condizione di avere una "fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile" (art. 3.1) che, aggiunta alla condizione di avere un permesso di soggiorno della validità di un anno o di un periodo superiore, non consente alcun margine di manovra nel caso di permessi di validità inferiore ad un anno e su contratti anche più brevi. Inoltre in uno stato membro in cui il permesso di soggiorno sia legato al contratto di lavoro, è probabile che gli immigrati abbiano, nella migliore delle ipotesi, contratti di durata breve e, di conseguenza, il loro permesso di soggiorno non arrivi mai ad avere una "prospettiva stabile". Pertanto il "diritto" al ricongiungimento rischia di non essere mai esercitato. 2) La deroga contemplata nell'ultimo paragrafo dell'articolo 4.1 permette ad uno stato membro, di esaminare se, nel caso di un minore che abbia già compiuto i 12 anni, "siano soddisfatte le condizioni per la sua integrazione già richieste dalla legislazione in vigore al momento dell'adozione della direttiva". Non è assolutamente chiaro quali possano essere "le condizioni per la sua integrazione" ma sembra chiaro che questa deroga risponda all'esigenza di Stati membri che vogliono selezionare sempre più le potenzialità dei giovanissimi migranti in rapporto ai loro bisogni produttivi. 3) I termini per la risposta alla domanda di ricongiungimento sono portati da 6 mesi a 9 mesi (art. 5.4) ma, in circostanze eccezionali, uno Stato membro può prorogarli fino ad un anno. Il CESE ritiene che già 6 mesi erano più che sufficienti e l'allungamento di termini a 9 mesi suscita quindi delle perplessità. 4) Gli Stati membri possono esigere che il richiedente abbia risieduto legalmente nel loro territorio fino a 2 anni (art. 8, primo paragrafo) ma, in deroga, si può arrivare fino a 3 anni tra la presentazione della domanda e il rilascio del permesso ai familiari, se lo Stato membro in questione tiene conto, nella sua legislazione, della "capacità di accoglienza". Sembra ovvio osservare che questa definizione è suscettibile di forte discrezionalità e si presta all'applicazione di rilevanti criteri di elasticità "politica". 5) I "vincoli familiari" possono essere sottoposti a verifiche (art. 5.2) attraverso colloqui ed altre indagini a discrezione degli Stati membri. Suscita perplessità il fatto che queste verifiche debbano sommarsi alla presentazione della documentazione attestante i legami familiari; inoltre queste verifiche possono diventare un espediente per allungare il corso delle pratiche o per costruire una risposta negativa. Possono quindi diventare vere e proprie vessazioni che finiscono per ledere la privacy soprattutto nel caso (art. 5.2, ultimo paragrafo) che invece del coniuge legalmente sposato, si tratti del/della convivente. 6) Infine una considerazione di ordine generale: piccole modifiche con effetti potenzialmente lesivi della dignità delle persone sono numerose. Segnaliamo come esempio il Capo VII, "Sanzioni e mezzi di ricorso", articolo 16, soprattutto il paragrafo 1, lettere b) e c) e il paragrafo 4 in cui si considera normale esigere dal cittadino di un paese terzo un comportamento morale ineccepibile, nel quadro dei rapporti familiari, in discriminazione con quanto comunemente richiesto a cittadini comunitari. 3. Considerazioni conclusive 3.1. Dalle osservazioni particolari fatte si può desumere come il testo proposto dalla Commissione risenta fortemente delle difficoltà emerse durante due anni di dibattito tra gli Stati membri, o una parte di essi, nel Consiglio. 3.2. Il Comitato esprime quindi decisa contrarietà di fronte alle rilevanti modifiche apportate al testo del 1999. Tuttavia non intende esprimere formalmente un parere negativo sulla proposta, nella speranza più che nella convinzione che quest'ultimo passaggio porti rapidamente ad una conclusione dell'iter e alla definitiva approvazione del documento. 3.3. Il Comitato ricorda fermamente che il Consiglio europeo di Laeken e prima ancora quello di Tampere hanno confermato che l'istituzione di norme comuni in materia di ricongiungimento familiare è un elemento importante di una vera politica comune d'immigrazione. 3.4. Il Comitato, infine, ricorda che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea è un riferimento che deve guidare la legislazione europea e le legislazioni nazionali e, pur riconoscendo la delicatezza dei problemi affrontati dalla proposta di direttiva e la particolare sensibilità dei cittadini europei su questi temi, auspica che anche i problemi dei ricongiungimenti familiari siano risolti e contribuiscano a quel processo d'integrazione sociale che deve accompagnare i fenomeni immigratori che coinvolgono tutti gli Stati dell'Unione europea. Bruxelles, 17 luglio 2002. Il Presidente del Comitato economico e sociale Göke Frerichs (1) Cfr. parere del CES in GU C 204 del 18.7.2000.