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Document 62023CC0636

Conclusioni dell’avvocato generale D. Spielmann, presentate il 30 gennaio 2025.
W e X contro Belgische Staat e État belge, représenté par la Secrétaire d’État à l’Asile et la Migration.
Domande di pronuncia pregiudiziale proposte da Raad voor Vreemdelingenbetwistingen e Conseil du Contentieux des Étrangers.
Rinvio pregiudiziale – Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica di immigrazione – Direttiva 2008/115/CE – Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Articolo 3, punti 4 e 6, articolo 7, paragrafi 1 e 4, articolo 8, paragrafi 1 e 2, articolo 11, paragrafo 1, e articolo 13 – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Decisione di rimpatrio – Mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria – Divieto d’ingresso – Atto amministrativo impugnabile – Esecutività di una decisione di rimpatrio senza disposizione relativa a tale termine – Diritto a un ricorso effettivo – Decisione di divieto d’ingresso adottata dopo un rilevante periodo di tempo.
Cause riunite C-636/23 e C-637/23.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2025:51

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

DEAN SPIELMANN

presentate il 30 gennaio 2025 ( 1 )

Cause riunite C‑636/23 [Al Hoceima] e C‑637/23 [Boghni] ( i )

W

contro

Belgische Staat (C‑636/23)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio)]

e

X

contro

État belge, rappresentato dal secrétaire d’État à l’Asile et la Migration (C‑637/23)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica di immigrazione – Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Direttiva 2008/115/CE – Decisione di rimpatrio – Articolo 7 – Partenza volontaria – Mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria – Articolo 13 – Diritto a un ricorso effettivo – Conseguenze dell’illegittimità sulla decisione di rimpatrio – Articolo 11 – Emissione di un divieto d’ingresso dopo un periodo di tempo considerevole dall’adozione della decisione di rimpatrio»

1.

Nelle presenti cause, la Corte è chiamata a pronunciarsi dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio) su domand[e] di pronuncia pregiudiziale vertent[i] sull’interpretazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ( 2 ).

2.

Le questioni sollevate dal giudice del rinvio riguardano principalmente la «partenza volontaria», quale prevista all’articolo 7 della direttiva 2008/115. Infatti, la Corte è invitata a fornire i chiarimenti necessari per definire i termini della posizione giuridica del cittadino di un paese terzo, destinatario di una decisione di rimpatrio, al quale non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria. Nella sua futura sentenza essa avrà, in particolare, l’opportunità di pronunciarsi sulla questione, in primo luogo, se il rifiuto di concedere un periodo per la partenza volontaria debba essere imperativamente contestato mediante un ricorso; in secondo luogo, se un divieto d’ingresso fondato su una decisione di rimpatrio possa ancora essere imposto anche qualora sia trascorso un periodo di tempo considerevole dall’adozione di tale decisione; e, in terzo luogo, quali siano le conseguenze dell’illegittimità della mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria sulla sorte giuridica della decisione di rimpatrio che non preveda tale concessione.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3.

L’articolo 3 della direttiva 2008/115, intitolato «Definizioni», così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

4)

“decisione di rimpatrio” decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio;

(...)

6)

“divieto d’ingresso” decisione o atto amministrativo o giudiziario che vieti l’ingresso e il soggiorno nel territorio degli Stati membri per un periodo determinato e che accompagni una decisione di rimpatrio;

(...)».

4.

L’articolo 7 di tale direttiva, intitolato «Partenza volontaria», ai paragrafi 1, 2 e 4 prevede quanto segue:

«1.   La decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi 2 e 4. Gli Stati membri possono prevedere nella legislazione nazionale che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato. In tal caso, gli Stati membri informano i cittadini di paesi terzi interessati della possibilità di inoltrare tale richiesta.

Il periodo previsto al primo comma non esclude la possibilità per i cittadini di paesi terzi interessati di partire prima.

2.   Gli Stati membri prorogano, ove necessario, il periodo per la partenza volontaria per un periodo congruo, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno, l’esistenza di bambini che frequentano la scuola e l’esistenza di altri legami familiari e sociali.

(...)

4.   Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni».

5.

L’articolo 8 di detta direttiva, intitolato «Allontanamento», ai paragrafi 1 e 2 così dispone:

«1.   Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’articolo 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’articolo 7.

2.   Qualora uno Stato membro abbia concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’articolo 7, la decisione di rimpatrio può essere eseguita unicamente alla scadenza di tale periodo, a meno che nel periodo in questione non sorga uno dei rischi di cui all’articolo 7, paragrafo 4».

6.

L’articolo 11 della medesima direttiva, intitolato «Divieto d’ingresso», al paragrafo 1 così dispone:

«Le decisioni di rimpatrio sono corredate di un divieto d’ingresso:

a)

qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria, oppure

b)

qualora non sia stato ottemperato all’obbligo di rimpatrio.

In altri casi le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto d’ingresso».

7.

L’articolo 13 della direttiva 2008/115, intitolato «Mezzi di ricorso», ai paragrafi 1 e 2 così recita:

«1.   Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza.

2.   L’autorità o l’organo menzionati al paragrafo 1 hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l’esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno».

Diritto belga

8.

L’articolo 1, paragrafi 6 e 8, della wet betreffende de toegang tot het grondgebied, het verblijf, de vestiging en de verwijdering van vreemdelingen (legge che disciplina l’ingresso nel territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri), del 15 dicembre 1980 ( 3 ) (in prosieguo: la «legge sullo status degli stranieri»), che recepisce l’articolo 3, punti 4 e 6, rispettivamente, della direttiva 2008/115, è così formulato:

«6.   decisione di allontanamento: la decisione che accerta l’illegalità del soggiorno di uno straniero e impone un obbligo di rimpatrio;

(...)

8.   divieto d’ingresso: la decisione che può accompagnare una decisione di allontanamento e che vieta, per un periodo determinato, l’ingresso e il soggiorno nel territorio del Regno o nel territorio di tutti gli Stati membri, ivi compreso quello del Regno (...)».

9.

L’articolo 7, primo comma, punti 1o e 3o, di tale legge, il quale costituisce il recepimento dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, così dispone:

«Fatte salve le disposizioni più favorevoli contenute in un trattato internazionale, [de minister die bevoegd is voor de toegang tot het grondgebied, het verblijf, de vestiging en de verwijdering van vreemdelingen (il Ministro per l’ingresso nel territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri) ( 4 )] o un suo delegato possono oppure, nei casi di cui ai punti 1o, 2o, 5o, 9o, 11o o 12o, devono emettere nei confronti dello straniero, che non sia autorizzato né ammesso a soggiornare per più di tre mesi o a stabilirsi nel Regno, un ordine di lasciare il territorio entro un termine prestabilito:

1o

qualora egli resti nel Regno senza essere in possesso dei documenti richiesti dall’articolo 2;

(...)

3o

qualora, a causa del suo comportamento, egli sia ritenuto pericoloso per l’ordine pubblico o per la sicurezza nazionale (...)».

10.

L’articolo 39/56, primo comma, di detta legge è così formulato:

«I ricorsi di cui all’articolo 39/2 possono essere proposti dinanzi al [Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Consiglio per il contenzioso degli stranieri) ( 5 )] dallo straniero che dimostri un danno o un interesse».

11.

L’articolo 74/11 della medesima legge recepisce l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 e prevede, in particolare, che la durata del divieto d’ingresso sia stabilita tenendo conto di tutte le circostanze del caso di specie.

12.

L’articolo 74/14 della legge sullo status degli stranieri dispone, in particolare, che la decisione di allontanamento preveda un termine di trenta giorni per lasciare il territorio e che, su richiesta motivata presentata dal cittadino di un paese terzo al ministro o al suo delegato, il termine concesso per lasciare il territorio sia prorogato, dietro presentazione della prova che il rimpatrio volontario non può avvenire entro il termine impartito. Se necessario, tale termine possa essere prorogato, su richiesta motivata presentata dal cittadino di un paese terzo al ministro o al suo delegato, al fine di tenere conto delle particolari circostanze della sua situazione, quali la durata del soggiorno, l’esistenza di figli che frequentano la scuola, il completamento dell’organizzazione della partenza volontaria e l’esistenza di altri legami familiari e sociali. Fino alla scadenza del termine per la partenza volontaria, il cittadino di un paese terzo è protetto dall’allontanamento forzato. Per evitare il rischio di fuga durante il decorso di tale termine, al cittadino di un paese terzo possono essere imposte misure preventive. Si può derogare al termine qualora sussista un rischio di fuga, qualora il cittadino di un paese terzo non abbia rispettato la misura preventiva imposta o qualora il cittadino di un paese terzo costituisca una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale. In tal caso la decisione di allontanamento prevede un termine inferiore a sette giorni, o nessun termine.

Procedimenti principali, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

Causa C‑636/23

13.

W, ricorrente, dichiara di essere cittadino marocchino. Il 3 gennaio 2015 il delegato dello Staatssecretaris voor Asiel en Migratie en Administratieve Vereenvoudiging (Segretario di Stato per l’Asilo e l’Emigrazione e per la Semplificazione amministrativa, Belgio) ha emesso nei suoi confronti un ordine di lasciare il territorio e un divieto d’ingresso della durata di tre anni. Il 22 maggio 2019 W ha depositato una domanda di protezione internazionale presso le autorità belghe. Il 7 giugno 2019 W è stato condannato dal Correctionele Rechtbank Antwerpen (Tribunale penale di Anversa, Belgio) a una pena detentiva di diciotto mesi, di cui nove condizionalmente sospesi per cinque anni, per violazione della normativa sugli stupefacenti. Il 9 luglio 2019 il Commissariaat-generaal voor de vluchtelingen en de staatlozen (Commissariato generale per i rifugiati e gli apolidi, Belgio) ha adottato una decisione di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato e di diniego della concessione della protezione sussidiaria.

14.

Il 18 luglio 2019 le autorità belghe hanno emesso un ordine di lasciare il territorio e hanno imposto un divieto d’ingresso della durata di otto anni nei confronti di W. Tali decisioni sono state notificate a quest’ultimo in pari data. Non è stato concesso alcun periodo per la partenza volontaria. Quanto ai motivi dell’assenza di un siffatto periodo, nell’ordine di lasciare il territorio si afferma che sussiste un rischio di fuga di W e che quest’ultimo costituisce un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale.

15.

Con atto introduttivo depositato il 19 agosto 2019, W ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio chiedendo la sospensione e l’annullamento dell’ordine di lasciare il territorio e del divieto d’ingresso emessi il 18 luglio 2019.

16.

Il 19 novembre 2019 il giudice del rinvio ha annullato l’ordine di lasciare il territorio e il divieto d’ingresso di cui trattasi, accogliendo l’argomento di W secondo cui i motivi sottesi alla decisione di non concedere un periodo per la partenza volontaria sarebbero stati illegittimi. Per quanto riguarda il motivo relativo al rischio di fuga, tale giudice ha osservato che qualsiasi valutazione del rischio di fuga doveva fondarsi su un esame individuale della situazione dell’interessato e che il semplice fatto di soddisfare un criterio oggettivo, quale previsto dalla legge sullo status degli stranieri, era insufficiente. Quanto al motivo relativo alla minaccia per l’ordine pubblico costituita da W, detto giudice ha affermato che il semplice fatto che W fosse stato condannato penalmente per una violazione della normativa sugli stupefacenti non costituiva una motivazione sufficientemente concreta per stabilire la sussistenza di un siffatto pericolo.

17.

Poiché inoltre riteneva che l’indicazione del periodo per la partenza volontaria sia un elemento costitutivo o essenziale dell’ordine di lasciare il territorio, il giudice del rinvio ha annullato integralmente l’ordine di lasciare il territorio.

18.

Lo Stato belga ha proposto ricorso per cassazione dinanzi al Raad van State (Consiglio di Stato, Belgio) avverso la decisione del giudice del rinvio di annullare l’ordine di lasciare il territorio, senza impugnare l’annullamento del divieto d’ingresso da parte del giudice del rinvio.

19.

Nella sua sentenza del 1o settembre 2022, il Raad van State (Consiglio di Stato) ha annullato la decisione del giudice del rinvio che aveva annullato l’ordine di lasciare il territorio considerando, tra l’altro, che la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria costituisce una mera formalità di esecuzione che non modifica la posizione giuridica dello straniero interessato, poiché la decisione di concedere o meno un periodo per la partenza volontaria non incide sulla constatazione principale del soggiorno irregolare nel territorio.

20.

Di conseguenza, il giudice del rinvio si trova nella situazione di dover decidere sul ricorso di W avverso l’ordine di lasciare il territorio conformemente a quanto statuito in diritto dal Raad van State (Consiglio di Stato).

21.

In tali circostanze, il Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Consiglio per il contenzioso degli stranieri) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il disposto dell’articolo 7, paragrafo 4, dell’articolo 8, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, considerati separatamente o in combinato disposto, alla luce dell’articolo 13 della direttiva 2008/115 e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [(in prosieguo: la “Carta”)], debba essere interpretato nel senso che esso osta a che la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria sia considerata come una mera formalità di esecuzione, che non modifica la posizione giuridica dello straniero interessato, atteso che la concessione o la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria nulla cambia riguardo alla constatazione principale del soggiorno irregolare nel territorio.

2)

In caso di risposta in senso positivo alla prima questione: se le espressioni “che accompagni”, di cui all’articolo 3, paragrafo 6, e “sono corredate di”, di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, debbano essere interpretate nel senso che esse non ostano a che l’autorità competente possa o debba adottare ancora, anche dopo un lungo periodo, un divieto d’ingresso fondato su una decisione di rimpatrio in cui non è stato concesso un periodo per la partenza volontaria.

In caso di risposta in senso negativo a tale questione: se le dette espressioni implichino che una decisione di rimpatrio non corredata da un periodo per la partenza volontaria deve essere accompagnata da un divieto di ingresso, emesso contemporaneamente o entro un termine ragionevolmente breve.

In caso di risposta in senso positivo a tale questione: se il diritto a un ricorso effettivo, sancito dall’articolo 13 della direttiva 2008/115 e dall’articolo 47 della [Carta], implichi la facoltà, nel contesto di un ricorso avverso la decisione di rimpatrio, di impugnare la legittimità di una decisione di negare un periodo per la partenza volontaria, se la legittimità del fondamento per il divieto di ingresso non possa più essere utilmente impugnata in altro modo.

3)

In caso di risposta in senso affermativo alla prima questione: se le espressioni “fissa (...) un periodo congruo”, di cui all’articolo 7, (paragrafo 1, primo comma), e “obbligo di rimpatrio”, di cui all’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, debbano essere interpretate nel senso che la fissazione di un termine, in ogni caso la mancata concessione di un termine, nel contesto dell’obbligo di partenza costituisce un elemento essenziale di una decisione di rimpatrio tale che, ove venga constatata un’illiceità relativamente a detto termine, la decisione di rimpatrio sia integralmente invalida e debba essere adottata una nuova decisione di rimpatrio.

Ove la Corte ritenga che il rifiuto di concedere un termine non sia un elemento essenziale di una decisione di rimpatrio, e nell’ipotesi in cui lo Stato membro interessato non si sia avvalso della facoltà di cui all’articolo 7, (paragrafo 1), della direttiva 2008/115, di concedere un termine solo su richiesta dello straniero interessato, quali siano la portata pratica e l’attuabilità di una decisione di rimpatrio, ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115, in cui venga a mancare l’indicazione di un termine».

Causa C‑637/23

22.

X, a suo dire, è arrivato due anni fa in Belgio, dove dichiara di essere alloggiato presso suo fratello. Egli afferma di essere cittadino algerino.

23.

Il 27 gennaio 2023 X è stato privato della libertà a seguito di una verbale amministrativo di fermo di un cittadino straniero.

24.

Il 28 gennaio 2023 gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio con accompagnamento alla frontiera e fermo finalizzato all’espulsione, nonché un divieto d’ingresso della durata di due anni. In tale ordine, si afferma che non è concesso alcun termine per la partenza volontaria, in quanto sussiste il rischio che X si dia alla fuga. Il rifiuto di concedere un siffatto termine è motivato, in particolare, come segue:

«L’interessato non ha presentato domanda di soggiorno o di protezione internazionale né a seguito del suo ingresso illegale né durante il suo soggiorno irregolare o entro il termine previsto dalla presente legge.

L’interessato sostiene di soggiornare in Belgio da due anni. Dal fascicolo amministrativo non risulta che egli abbia tentato di regolarizzare il suo soggiorno secondo le modalità previste dalla legge.

L’interessato non collabora o non ha collaborato nel corso dei suoi rapporti con le autorità.

L’interessato non si è presentato in comune entro il termine [di legge] e non fornisce alcuna prova di alloggiare in albergo».

25.

Il rilascio di X è stato disposto con sentenza del 6 febbraio 2023, confermata in appello con sentenza del 21 febbraio 2023.

26.

Con atto introduttivo depositato il 6 febbraio 2023, X ha proposto un ricorso dinanzi al giudice del rinvio chiedendo la sospensione e l’annullamento dell’ordine di lasciare il territorio con accompagnamento alla frontiera e del divieto d’ingresso, emessi il 28 gennaio 2023.

27.

Per quanto riguarda l’ordine di lasciare il territorio con accompagnamento alla frontiera, X afferma dinanzi al giudice del rinvio, in sostanza, che sarebbe spettato all’État belge (in prosieguo, anche: lo «Stato belga») effettuare un esame individuale prima di stabilire la sussistenza di un rischio di fuga. X sostiene inoltre che non sarebbe sufficiente fare riferimento ai criteri stabiliti nella legge sullo status degli stranieri, ma occorrerebbe anche dimostrare in che modo tali criteri si applichino al caso di specie. Secondo X, nella motivazione dell’atto o nel fascicolo amministrativo non vi sarebbe nulla che consenta di comprendere perché lo Stato belga si sia basato su un qualsivoglia rischio di fuga per escludere il termine ordinario di trenta giorni previsto da detta legge. Quanto al divieto d’ingresso, X ritiene che anche tale atto sia motivato in modo inadeguato e insufficiente, in quanto si baserebbe sul rischio di fuga che X presenterebbe.

28.

Interrogato in udienza dinanzi al giudice del rinvio sulla natura della decisione di non concedere un termine per lasciare il territorio, X sostiene che, poiché tale decisione produce effetti giuridici, in particolare per quanto riguarda la detenzione e il divieto d’ingresso, essa non costituirebbe una mera formalità di esecuzione e dovrebbe quindi poter essere impugnata in giudizio. L’État belge, dal canto suo, sostiene che non sarebbe possibile proporre ricorso avverso la decisione di non concedere un periodo per lasciare il territorio.

29.

Interrogato nella stessa udienza in merito alla permanenza dell’interesse a contestare la decisione di accompagnamento alla frontiera, l’État belge ritiene che, tenuto conto del rilascio di X, tale interesse sia venuto meno, mentre X si rimette su tale punto al prudente apprezzamento del giudice del rinvio. A tale riguardo, quest’ultimo ritiene che, a causa del rilascio di X, il ricorso sia decaduto nella parte concernente la decisione di accompagnamento alla frontiera.

30.

In tali circostanze, il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se le disposizioni dell’articolo 7, paragrafo 4, dell’articolo 8, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, in combinato disposto o separatamente, lette alla luce dell’articolo 13 della direttiva 2008/115 e dell’articolo 47 della [Carta], debbano essere interpretate nel senso che esse ostano a che la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria sia considerata una mera misura di esecuzione che non modifica la situazione giuridica del cittadino straniero interessato, dal momento che la concessione o meno di un periodo per la partenza volontaria non pregiudica l’accertamento iniziale in merito al soggiorno irregolare nel territorio.

Inoltre, se il diritto a un ricorso effettivo, garantito dall’articolo 13 della direttiva 2008/115 e dall’articolo 47 della [Carta], comporti la facoltà di contestare, nell’ambito del ricorso avverso la decisione di rimpatrio, la liceità di una decisione di non concedere un periodo per la partenza volontaria, qualora la legittimità del fondamento giuridico del divieto d’ingresso non possa più essere utilmente contestata altrimenti.

2)

In caso di risposta in senso affermativo alla prima questione: se i termini “fissa (...) un periodo congruo”, di cui all’articolo 7, paragrafo 1, e “e (...) un obbligo di rimpatrio”, di cui all’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115 debbano essere interpretati nel senso che una disposizione relativa al periodo o, in ogni caso, alla mancata concessione dello stesso nell’ambito dell’obbligo di partenza costituisce un elemento essenziale di una decisione di rimpatrio, cosicché, qualora si constati un’irregolarità relativa a tale periodo, la decisione di rimpatrio perde efficacia nella sua interezza e deve esserne adottata una nuova.

Qualora la Corte giudichi che il rifiuto di concedere un termine non sia un elemento essenziale della decisione di rimpatrio, e nel caso in cui lo Stato membro interessato non si sia avvalso, nell’ambito dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, della facoltà di disporre un periodo solo a seguito di una domanda del cittadino interessato: quale portata pratica e quale efficacia esecutiva debba attribuirsi a una decisione di rimpatrio, ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115, che rimanga priva della parte relativa al periodo».

31.

Hanno presentato osservazioni scritte X, ricorrente nel procedimento principale nella causa C‑637/23, i governi belga, ceco e tedesco nonché la Commissione europea.

Analisi

32.

A fini di chiarezza, è opportuno raggruppare le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio nelle presenti cause in modo da esaminare congiuntamente quelle che riguardano una medesima problematica giuridica.

33.

La prima questione e la terza parte della seconda questione nella causa C‑636/23 nonché la prima questione nella causa C‑637/23 riguardano il problema se la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria debba poter essere oggetto di un ricorso contenzioso.

34.

La seconda questione nella causa C‑636/23 concerne il nesso esistente tra la decisione di rimpatrio e il divieto d’ingresso di cui è corredata detta decisione di rimpatrio, e più precisamente la questione se uno Stato membro sia legittimato ad imporre un divieto d’ingresso anche dopo che sia trascorso un periodo di tempo considerevole dall’adozione di una decisione di rimpatrio, che non abbia concesso un periodo per la partenza volontaria.

35.

La terza questione nella causa C‑636/23 e la seconda questione nella causa C‑637/23 vertono sulle conseguenze derivanti dall’illegittimità della mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria sulla sorte giuridica della decisione di rimpatrio, che non prevede tale concessione.

36.

Le tratterò nel suddetto ordine, dopo aver delineato i tratti essenziali del contesto normativo di analisi pertinente.

Sul contesto normativo di analisi

37.

La direttiva 2008/115 ha lo scopo di istituire un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità ( 6 ).

38.

I tratti essenziali del contesto normativo da essa stabilito sono riassunti nella sentenza El Dridi nel modo seguente ( 7 ).

39.

Tale direttiva stabilisce con precisione la procedura, corredata di garanzie giuridiche, che ogni Stato membro è tenuto ad applicare al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare e fissa la successione delle diverse fasi di tale procedura.

40.

L’articolo 6 di detta direttiva prevede, in via principale, l’obbligo per gli Stati membri di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio sia irregolare. Nell’ambito di questa prima fase, va accordata priorità all’esecuzione volontaria dell’obbligo derivante dalla decisione di rimpatrio. A tale riguardo l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 dispone che detta decisione fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni.

41.

Gli Stati membri possono tuttavia astenersi dal concedere un siffatto periodo o possono concedere un periodo inferiore a sette giorni in presenza di circostanze particolari espressamente elencate all’articolo 7, paragrafo 4, di detta direttiva, vale a dire se sussiste il rischio di fuga, se una domanda di soggiorno è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

42.

Qualora uno Stato membro abbia omesso di concedere un periodo per la partenza volontaria o nel caso in cui l’obbligo di rimpatrio non sia stato adempiuto entro il periodo concesso per la partenza volontaria, l’articolo 8, paragrafi 1 e 4, della direttiva 2008/115 impone a tale Stato membro l’obbligo di procedere all’allontanamento, adottando tutte le misure necessarie comprese, all’occorrenza, misure coercitive, in maniera proporzionata e nel rispetto dei diritti fondamentali ( 8 ).

43.

Pertanto, la successione delle fasi della procedura di rimpatrio stabilita dalla direttiva 2008/115 corrisponde ad una gradazione delle misure da adottare per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libertà dell’interessato – vale a dire la concessione di un termine per la partenza volontaria – a quella che maggiormente limita la sua libertà – vale a dire il trattenimento in un apposito centro –, fermo restando in tutte le fasi di detta procedura l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità ( 9 ).

Sulla prima questione e sulla terza parte della seconda questione nella causa C‑636/23, nonché sulla prima questione nella causa C‑637/23

44.

Con tali questioni, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13 della direttiva 2008/115, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che esso impone che la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria possa essere contestata nell’ambito di un ricorso contenzioso ( 10 ).

45.

Dette questioni sono motivate dalla constatazione, contenuta nelle decisioni di rinvio, secondo cui il giudice del rinvio è, ai sensi del diritto interno, l’unico competente a pronunciarsi sui ricorsi proposti avverso «decisioni», definite come qualsiasi atto giuridico individuale volto a modificare una situazione giuridica esistente oppure ad impedire la modifica di quest’ultima. A tale riguardo, detto giudice osserva che, nella sentenza che gli ha rinviato la causa, il Raad van State (Consiglio di Stato) ha affermato che il periodo per la partenza volontaria non modifica lo status del cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare, essendo quest’ultimo semplicemente tutelato nei confronti di misure coercitive. Di conseguenza, esso si chiede se si debba ritenere che la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria costituisca una mera misura di esecuzione che non possa essere oggetto di un ricorso giurisdizionale.

46.

Anzitutto, occorre ricordare che l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 prevede che al cittadino di un paese terzo siano concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio, vale a dire le decisioni di rimpatrio, le decisioni di divieto d’ingresso e le decisioni di allontanamento.

47.

Poiché tale disposizione si limita a riaffermare il diritto a un ricorso effettivo, essa non fornisce precisazioni quanto agli elementi della decisione di rimpatrio che devono necessariamente poter essere rimessi in discussione mediante un ricorso contenzioso.

48.

Ritengo tuttavia che tali elementi siano stati individuati nella sentenza Boudjlida ( 11 ).

49.

Interrogata sul contenuto del diritto di essere ascoltato prima dell’adozione di una decisione di rimpatrio, la Corte ha giudicato, in sostanza, che ogni cittadino di un paese terzo dispone di un diritto di essere ascoltato in merito all’irregolarità del proprio soggiorno e ai motivi che possono giustificare, ai sensi del diritto nazionale, che l’autorità nazionale competente si astenga dall’adottare una decisione di rimpatrio, nonché sul contenuto di una siffatta decisione.

50.

Più precisamente tale diritto implica, secondo la Corte, che sia consentito all’interessato di esprimere il proprio punto di vista sulla regolarità del suo soggiorno e sull’eventuale applicazione delle eccezioni previste all’articolo 6, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2008/115, sul rispetto di taluni dei suoi diritti fondamentali, al quale l’autorità nazionale competente è tenuta in forza dell’articolo 5 di tale direttiva, e sulle modalità del suo rimpatrio, vale a dire il termine per la partenza e il carattere volontario o coercitivo di quest’ultima ( 12 ).

51.

Inoltre, la Corte ha dichiarato che il diritto di essere ascoltato prima dell’adozione di una decisione di rimpatrio deve consentire all’autorità nazionale competente di istruire il fascicolo, in modo da adottare una decisione con piena cognizione di causa e motivare quest’ultima affinché, se del caso, l’interessato possa esercitare validamente il suo diritto di ricorso ( 13 ). Risulta quindi evidente che gli aspetti sui quali l’interessato deve essere ascoltato, tra cui il termine per la partenza e il carattere volontario o coercitivo di quest’ultima, possono essere invocati anche nell’ambito di un ricorso contenzioso.

52.

Ne consegue che ogni cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare dispone di un diritto di essere ascoltato, in particolare, in merito alla concessione di un periodo per la partenza volontaria o alla proroga di quest’ultimo e, nell’ipotesi in cui tale periodo non sia concesso, al diritto di contestare mediante detto ricorso la valutazione effettuata dall’amministrazione.

53.

La qualificazione della concessione di un periodo per la partenza volontaria come «misura di esecuzione» non impugnabile, su cui è fondata la tesi opposta, si basa sulla constatazione secondo la quale il fatto di concedere o meno tale periodo non ha alcuna incidenza sull’irregolarità del soggiorno dell’interessato. Orbene, ritengo che l’incidenza sullo status giuridico non costituisca un criterio rilevante per determinare se detto elemento della decisione di rimpatrio debba poter essere contestato mediante ricorso. Infatti, sebbene sia vero che il cittadino di un paese terzo rimane in situazione di soggiorno irregolare durante il lasso di tempo concessogli per il rimpatrio volontario ( 14 ), resta il fatto che la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria produce conseguenze certe, e sicuramente gravi, sulla situazione giuridica di tale cittadino.

54.

In primo luogo, la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria comporta, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2008/115, l’immediata esecutività della decisione di rimpatrio, causando quindi la privazione delle garanzie in attesa del rimpatrio elencate all’articolo 14, paragrafo 1, di tale direttiva ( 15 ). In secondo luogo, la mancata concessione di tale periodo fa sorgere l’obbligo per lo Stato membro interessato di adottare un divieto d’ingresso ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, di detta direttiva. In sintesi, qualora al cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno sia irregolare, non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria, non solo egli rischia di essere allontanato da tale territorio in qualsiasi momento ma viene anche emesso nei suoi confronti un divieto d’ingresso.

55.

Indubbiamente, siamo in presenza di una disposizione della decisione di rimpatrio contro la quale deve imperativamente essere riconosciuto un ricorso contenzioso. Se, infatti, l’articolo 47 della Carta stabilisce che ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, ritengo che ne derivi che il cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno sia irregolare, è legittimato a far valere, alle condizioni previste all’articolo 13 della direttiva 2008/115, la violazione dei suoi diritti a non essere oggetto di allontanamento e a che non gli sia imposto un divieto d’ingresso, violazione causata dal rifiuto dell’autorità nazionale competente di concedergli un periodo per la partenza volontaria ( 16 ).

56.

L’interpretazione che propongo non è in alcun modo inficiata, a mio avviso, dall’argomento addotto dal governo belga nelle sue osservazioni scritte, secondo cui tale interpretazione consentirebbe ricorsi dilatori, volti unicamente a contestare in diritto la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria ancorché l’obbligo di rimpatrio sottostante non possa essere ragionevolmente rimesso in discussione. Un siffatto argomento sembra infatti basato sull’idea secondo cui la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria non possa essere oggetto di ricorso in quanto ess[a] non inciderebbe sullo status giuridico del cittadino di un paese terzo interessato, idea che ho già cercato di confutare nelle mie precedenti riflessioni.

57.

In considerazione di quanto precede propongo alla Corte di rispondere alla prima questione e alla terza parte della seconda questione nella causa C‑636/23, nonché alla prima questione nella causa C‑637/23, dichiarando che l’articolo 13 della direttiva 2008/115, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che esso impone che la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria possa essere contestata nell’ambito di un ricorso contenzioso.

Sulla seconda questione nella causa C‑636/23

58.

Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, in caso di risposta in senso affermativo alla prima questione sollevata nella causa C‑636/23, se l’articolo 3, punto 6, e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che l’autorità nazionale competente imponga ancora un divieto d’ingresso, anche dopo un lungo periodo, sulla base di una decisione di rimpatrio con la quale non sia stato concesso alcun periodo per la partenza volontaria.

59.

Tale questione si spiega con il fatto che, nel procedimento principale, da un lato, la decisione di rimpatrio e il divieto d’ingresso, fondato su tale decisione, sono stati annullati dal giudice del rinvio e, dall’altro, il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza di detto giudice, accolto dal Raad van State (Consiglio di Stato), mirava soltanto all’annullamento della decisione di rimpatrio e non a quello del divieto d’ingresso, il cui annullamento da parte del giudice del rinvio è quindi definitivo. Ne consegue che l’unica decisione che sussiste oggi è la decisione di rimpatrio con la quale è stato negato un periodo per la partenza volontaria.

60.

In tali circostanze, e poiché un termine massimo di trenta giorni per la partenza volontaria sarebbe già scaduto, la risposta alla questione se l’autorità nazionale competente possa ancora imporre un divieto d’ingresso risulta necessaria per valutare l’interesse al motivo di ricorso diretto, nel caso di specie, contro la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria.

61.

La Corte è quindi chiamata a valutare il rapporto giuridico esistente tra la decisione di rimpatrio e il divieto d’ingresso nell’ambito della direttiva 2008/115.

62.

Come afferma il giudice del rinvio, ai fini di tale valutazione sono rilevanti l’articolo 3, punto 6, e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115. Il primo definisce un «divieto d’ingresso» come una «decisione o atto amministrativo o giudiziario che vieti l’ingresso e il soggiorno nel territorio degli Stati membri per un periodo determinato e che accompagni una decisione di rimpatrio» ( 17 ). In altri termini, una siffatta decisione mira a vietare al destinatario l’ingresso e il soggiorno nel territorio di tutti gli Stati membri, conferendo così una «dimensione europea» agli effetti delle misure nazionali di rimpatrio ( 18 ). Il secondo articolo dispone che «le decisioni di rimpatrio sono corredate di un divieto d’ingresso: a) qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria, oppure b) qualora non sia stato ottemperato all’obbligo di rimpatrio», aggiungendo che «[i]n altri casi le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto d’ingresso» ( 19 ).

63.

Ancora più precisamente, il giudice del rinvio si interroga sull’interpretazione di dette disposizioni quale risulta dalla sentenza Westerwaldkreis ( 20 ).

64.

Occorre ricordare che, nella causa all’origine di tale sentenza, la Corte era investita di una questione relativa alla compatibilità con la direttiva 2008/115 del mantenimento in vigore di un divieto d’ingresso, imposto da uno Stato membro a un cittadino di un paese terzo che si trovava nel territorio di tale Stato membro ed era oggetto di un provvedimento di espulsione divenuto definitivo, quando la decisione di rimpatrio adottata nei confronti di tale cittadino è stata revocata.

65.

Come osserva il giudice del rinvio, la Corte ha giudicato, al punto 52 di detta sentenza, che dalla formulazione delle summenzionate disposizioni risulta «che un “divieto d’ingresso” è destinato a completare una decisione di rimpatrio».

66.

Da parte mia, non ritengo che l’uso del verbo «completare» indichi che un divieto d’ingresso può essere collegato solo simultaneamente o soltanto dopo un breve periodo alla decisione di rimpatrio, che neghi la concessione di un periodo per la partenza volontaria. Ciò diviene evidente, a mio avviso, quando la parte di frase menzionata al paragrafo precedente viene ricollocata nel suo contesto.

67.

Infatti la Corte ha precisato, nel prosieguo di detto punto 52, che un divieto d’ingresso è destinato a completare una decisione di rimpatrio «vietando all’interessato per un periodo determinato dopo il suo “rimpatrio” (...), e quindi dopo la sua partenza dal territorio degli Stati membri, di fare nuovamente ingresso in tale territorio e di soggiornarvi successivamente», aggiungendo che «[u]n divieto d’ingresso produce, di conseguenza, i suoi effetti solo a partire dal momento in cui l’interessato lascia effettivamente il territorio degli Stati membri». Pertanto la Corte ha dichiarato, al punto 54 della medesima sentenza, che «se un divieto d’ingresso (...) può produrre i propri effetti giuridici solo dopo l’esecuzione, volontaria o coatta, della decisione di rimpatrio, esso non può essere mantenuto in vigore dopo la revoca di tale decisione di rimpatrio».

68.

Ne consegue che il verbo «completare», in realtà, è utilizzato nel senso di «essere complementare» alla decisione di rimpatrio e si riferisce a un nesso sostanziale secondo cui tale decisione costituisce, in linea di principio, una condizione preliminare necessaria per la validità del divieto d’ingresso ( 21 ). Per contro, dalla medesima sentenza non può essere desunta la necessità di un nesso di natura temporale.

69.

In ogni caso, non si può sostenere che un siffatto nesso temporale tra decisione di rimpatrio e divieto d’ingresso sia richiesto dalle disposizioni pertinenti. Infatti, una simile affermazione non potrebbe fondarsi sul testo dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/115, che prevede l’ipotesi di un divieto d’ingresso adottato in conseguenza della mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria. Inoltre tale constatazione sarebbe probabilmente contraddetta dall’articolo 11, paragrafo 1, lettera b), che riguarda l’ipotesi in cui non si sia ottemperato all’obbligo di rimpatrio entro il termine concesso nella decisione di rimpatrio per la partenza volontaria e, di conseguenza, sia stato adottato un divieto d’ingresso. Dal momento che il divieto d’ingresso è imposto in un momento successivo rispetto alla decisione di rimpatrio, quest’ultima ipotesi implica necessariamente che non è richiesto un vincolo di simultaneità tra decisione di rimpatrio e divieto d’ingresso ( 22 ).

70.

Ne consegue che all’autorità nazionale competente non è imposto alcun limite di tempo per emettere un divieto d’ingresso collegato ad una decisione di rimpatrio che non abbia concesso un periodo per la partenza volontaria. Tale autorità può quindi emetterlo anche quando sia trascorso un periodo di tempo considerevole dall’adozione della decisione di rimpatrio.

71.

Alla luce di quanto precede si propone alla Corte di rispondere alla seconda questione sollevata nella causa C‑636/23 dichiarando che l’articolo 3, punto 6, e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che l’autorità nazionale competente imponga ancora un divieto d’ingresso, anche dopo un lungo periodo, sulla base di una decisione di rimpatrio con la quale non sia stato concesso alcun periodo per la partenza volontaria.

Sulla terza questione nella causa C‑636/23 e sulla seconda questione nella causa C‑637/23

72.

Con tali questioni, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7 e l’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115 debbano essere interpretati nel senso che la disposizione relativa al periodo per la partenza volontaria costituisce un elemento essenziale di una decisione di rimpatrio cosicché, qualora sia constatata un’illegittimità relativa a tale periodo, la decisione di rimpatrio perde efficacia nella sua interezza. In caso di risposta in senso negativo, e nell’ipotesi in cui lo Stato membro interessato non si sia avvalso, nell’ambito dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, della facoltà di concedere un periodo solo su richiesta del cittadino interessato, il giudice del rinvio chiede quali siano la portata pratica e l’efficacia esecutiva di una decisione di rimpatrio che rimanga priva della sua disposizione relativa al periodo.

73.

Occorre anzitutto ricordare che la direttiva 2008/115 stabilisce il regime giuridico della partenza volontaria e le conseguenze derivanti dal rifiuto di concedere un periodo per la partenza volontaria sulla posizione giuridica del cittadino di un paese terzo interessato, senza tuttavia indicare espressamente la sorte di una decisione di rimpatrio nell’ipotesi in cui un siffatto rifiuto sia viziato da illegittimità.

74.

Secondo il giudice del rinvio, tali conseguenze dipendono dalla natura giuridica del periodo per la partenza volontaria. Come osserva tale giudice, la giurisprudenza della Corte fornisce indicazioni molto utili a questo proposito nella sentenza Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság ( 23 ). Per quanto riguarda la questione se una decisione che modifica il paese di destinazione indicato in una decisione di rimpatrio anteriore debba essere qualificata come nuova decisione di rimpatrio, la Corte ha anzitutto constatato che dalla definizione di «decisione di rimpatrio», quale sancita all’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115, risulta che il fatto di imporre o di enunciare un obbligo di rimpatrio è uno dei due elementi costitutivi di una decisione di rimpatrio, e che un siffatto obbligo non può essere concepito senza l’individuazione di un paese di destinazione. Essa ne ha poi dedotto che una modifica del paese di destinazione indicato in una decisione di rimpatrio anteriore è talmente sostanziale da doversi ritenere che l’autorità nazionale competente abbia così adottato una nuova decisione di rimpatrio ( 24 ).

75.

Si pone pertanto la questione se, per analogia con detta causa, nel caso in cui il giudice nazionale constati l’illegittimità della disposizione relativa al periodo per la partenza volontaria e l’autorità nazionale competente sia tenuta ad includere una nuova disposizione relativa a tale periodo, ciò implichi la modifica di un elemento costitutivo della decisione di rimpatrio (l’obbligo di rimpatrio) e richieda quindi l’adozione di una nuova decisione di rimpatrio da parte di tale autorità.

76.

In altri termini è necessario verificare se, al pari dell’indicazione del paese di destinazione, la disposizione relativa al periodo per la partenza volontaria costituisca parte integrante dell’obbligo di rimpatrio, cosicché un’illegittimità che inficiasse tale [disposizione] renderebbe la decisione di rimpatrio integralmente invalida.

77.

Le seguenti considerazioni mi inducono a proporre una risposta in senso affermativo a tale questione.

78.

Anzitutto occorre osservare che la definizione di «rimpatrio», quale prevista all’articolo 3, punto 3, della direttiva 2008/115, fa espressamente riferimento al carattere volontario o coercitivo del rimpatrio. Secondo tale definizione, un «obbligo di rimpatrio» ha per oggetto il processo di ritorno del cittadino di un paese terzo interessato, sia in adempimento volontario sia forzatamente, nel paese di destinazione, il che lascia supporre che la constatazione con cui l’autorità nazionale competente si pronuncia sulla concessione di una partenza volontaria, accordando, se del caso, un termine a tal fine, costituisca parte integrante dell’obbligo di rimpatrio.

79.

Peraltro, è importante sottolineare che la disposizione relativa al periodo per la partenza volontaria si inquadra nell’obiettivo generale della direttiva 2008/115.

80.

Infatti la Corte ha già dichiarato che, prevedendo che gli Stati membri sono, in linea di principio, tenuti a concedere un periodo per la partenza volontaria ai cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare, l’articolo 7 della direttiva 2008/115 si propone, segnatamente, di garantire il rispetto dei diritti fondamentali di tali cittadini al momento dell’attuazione di una decisione di rimpatrio. Secondo la Corte, la finalità di tale articolo rientra nell’obiettivo generale perseguito da tale direttiva, quale risulta dai considerando 2 e 11 della stessa, vale a dire l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme e garanzie giuridiche comuni affinché gli interessati siano rimpatriati in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità ( 25 ).

81.

Ne deduco che la nozione di «obbligo di rimpatrio», in quanto elemento costitutivo della decisione di rimpatrio, deve essere intesa in modo da riflettere l’equilibrio tra l’efficacia della politica di allontanamento e il rispetto dei diritti fondamentali degli interessati. Qualsiasi interpretazione secondo cui la disposizione relativa al periodo per la partenza volontaria non costituisca parte integrante dell’obbligo di rimpatrio porterebbe, a mio avviso, a compromettere un siffatto equilibrio e sarebbe quindi in contrasto con l’obiettivo della direttiva 2008/115.

82.

Contrariamente ai governi belga e tedesco, ritengo che tale conclusione non sia inficiata dalla seconda e dalla terza frase dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, secondo le quali «[g]li Stati membri possono prevedere nella legislazione nazionale che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato. In tal caso, gli Stati membri informano i cittadini di paesi terzi interessati della possibilità di inoltrare tale richiesta». Infatti, anche supponendo che uno Stato membro si sia avvalso della facoltà conferitagli da quest’ultima (il che non avviene nel caso di specie), la disposizione relativa al periodo per la partenza volontaria figurerebbe nella decisione di rimpatrio, anche nel caso in cui il cittadino interessato non avesse inoltrato alcuna richiesta. In un caso del genere, tale disposizione giustificherebbe la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria con l’inosservanza della condizione procedurale alla quale è subordinata la valutazione relativa a detto periodo.

83.

Ne consegue che un’illegittimità che inficiasse detta disposizione si ripercuoterebbe sull’obbligo di rimpatrio e, di riflesso, sulla decisione di rimpatrio nella sua interezza.

84.

Tale interpretazione ha altresì il merito di rendere trascurabile il rischio che, in alcuni Stati membri, l’autorità nazionale competente proceda all’esecuzione di una decisione di rimpatrio di cui soltanto la disposizione relativa al periodo per la partenza volontaria sia illegittima, e ciò prima dell’esito di un ricorso proposto avverso una siffatta decisione. Ricordo infatti che, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2008/115, gli Stati membri hanno la facoltà, e non l’obbligo, di prevedere che la presentazione di un ricorso avverso una decisione di rimpatrio comporti la sospensione temporanea ipso iure dell’esecuzione di tale decisione ( 26 ), e sono semplicemente tenuti a prevedere che il giudice adito possa, nel singolo caso, disporre la sospensione temporanea di una siffatta esecuzione.

85.

Infine, occorre precisare che l’interpretazione proposta non può essere messa in discussione dai seguenti argomenti. In primo luogo, il governo tedesco rileva, nelle sue osservazioni scritte, che, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 7, paragrafo 2, e dell’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2008/115, il periodo per la partenza volontaria può essere prorogato mediante semplice conferma scritta e che, a norma dell’articolo 8, paragrafo 2, di tale direttiva, detto periodo può essere abbreviato in caso di insorgenza di uno dei rischi previsti all’articolo 7, paragrafo 4, di quest’ultima, senza che sia necessario adottare una nuova decisione di rimpatrio. Secondo tale governo, se il periodo per la partenza volontaria non fosse stato separabile dalla decisione di rimpatrio, qualsiasi modifica di detto periodo avrebbe dovuto comportare l’adozione di una nuova decisione di rimpatrio con un periodo modificato. Per quanto riguarda la prima ipotesi è sufficiente, a mio avviso, rilevare che una modifica quale la proroga del periodo per la partenza volontaria non implica una nuova valutazione, da parte dell’autorità nazionale competente, quanto al soddisfacimento delle condizioni che presiedono alla concessione di tale periodo. Per quanto concerne la seconda ipotesi non condivido l’opinione di detto governo secondo, cui non sarebbe necessaria l’adozione di una nuova decisione di rimpatrio. Poiché tale ipotesi si concretizza quando l’autorità nazionale competente constata l’insorgenza di uno dei rischi previsti all’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, essa implica necessariamente una nuova valutazione di dette condizioni. Pertanto, ritengo che l’adozione di una nuova decisione di rimpatrio sia necessaria.

86.

In secondo luogo, il governo tedesco invoca, a sostegno della sua posizione, la prima parte della sezione 1.4 del «manuale sul rimpatrio» ( 27 ), che è così formulata: «La definizione di “decisione di rimpatrio” si incentra su due elementi essenziali. Una decisione di rimpatrio deve contenere: 1) una dichiarazione concernente l’irregolarità del soggiorno; e 2) l’imposizione di un obbligo di rimpatrio. Una decisione di rimpatrio può contenere altri elementi, quali un divieto d’ingresso, un termine per la partenza volontaria, la designazione del paese di rimpatrio». A tale riguardo, mi limiterò a ricordare che, sebbene detto manuale costituisca uno strumento di riferimento per le autorità degli Stati membri incaricate di espletare i compiti connessi al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, la raccomandazione alla quale esso è allegato è priva di effetto vincolante ( 28 ). Ciò spiega per quali ragioni, già in due occasioni, l’interpretazione di disposizioni della direttiva 2008/115 quale raccomandata in detto manuale non abbia ricevuto l’approvazione della Corte ( 29 ).

87.

Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alla terza questione nella causa C‑636/23 e alla seconda questione nella causa C‑637/23 dichiarando che l’articolo 7 e l’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115 devono essere interpretati nel senso che la disposizione relativa al periodo per la partenza volontaria costituisce parte integrante dell’obbligo di rimpatrio cosicché, qualora si constati un’illegittimità riguardante tale disposizione, la decisione di rimpatrio perde efficacia nella sua interezza.

Conclusione

88.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio) nei seguenti termini:

1)

L’articolo 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

deve essere interpretato nel senso che:

esso impone che la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria possa essere contestata nell’ambito di un ricorso contenzioso.

2)

L’articolo 3, punto 6, e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115

devono essere interpretati nel senso che:

essi non ostano a che l’autorità nazionale competente possa ancora imporre un divieto d’ingresso, anche dopo un lungo periodo, sulla base di una decisione di rimpatrio con la quale non sia stato concesso alcun periodo per la partenza volontaria.

3)

L’articolo 7 e l’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115

devono essere interpretati nel senso che:

la disposizione relativa al periodo per la partenza volontaria costituisce parte integrante dell’obbligo di rimpatrio cosicché, qualora si constati un’illegittimità riguardante tale disposizione, la decisione di rimpatrio perde efficacia nella sua interezza.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( i ) I nomi delle presenti cause sono nomi fittizi. Non corrispondono ai nomi reali di nessuna delle parti del procedimento.

( 2 ) GU 2008, L 348, pag. 98.

( 3 ) Belgisch Staatsblad, 31 dicembre 1980, pag. 14584.

( 4 ) V. articolo 1, punto 2o, della legge sullo status degli stranieri.

( 5 ) V. articolo 39/1 della legge sullo status degli stranieri.

( 6 ) V. considerando 2 della direttiva 2008/115.

( 7 ) Sentenza del 28 aprile 2011 (C‑61/11 PPU; in prosieguo: la «sentenza El Dridi, EU:C:2011:268).

( 8 ) V. sentenza El Dridi, punti da 34 a 38.

( 9 ) V. sentenza El Dridi, punto 41.

( 10 ) Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della procedura di cooperazione istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta alla Corte fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva spetta alla Corte, se del caso, riformulare le questioni che le sono sottoposte. V., in particolare, sentenza del 1o agosto 2022, TL (Assenza di interprete e di traduzione) (C‑242/22 PPU, EU:C:2022:611, punti 4243). Nel caso di specie, è principalmente l’articolo 13 della direttiva 2008/115 («Mezzi di ricorso») a dover essere interpretato al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, mentre gli altri articoli menzionati nelle questioni pregiudiziali in esame sono rilevanti soltanto nell’ambito del ragionamento sviluppato ai fini della risposta a queste ultime. Propongo pertanto alla Corte di riformulare tali questioni con riferimento al solo articolo 13 di tale direttiva.

( 11 ) Sentenza dell’11 dicembre 2014 (C‑249/13; in prosieguo: la «sentenza Boudjlida, EU:C:2014:2431).

( 12 ) V., in particolare, sentenza Boudjlida, punti da 47 a 51.

( 13 ) V. sentenza Boudjlida, punto 59.

( 14 ) V. sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi (C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 47).

( 15 ) Ai sensi di tale disposizione: «Gli Stati membri provvedono, ad esclusione della situazione di cui agli articoli 16 e 17, affinché si tenga conto il più possibile dei seguenti principi in relazione ai cittadini di paesi terzi durante il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’articolo 7 (...): a) che sia mantenuta l’unità del nucleo familiare con i membri della famiglia presenti nel territorio; b) che siano assicurati le prestazioni sanitarie d’urgenza e il trattamento essenziale delle malattie; c) che sia garantito l’accesso al sistema educativo di base per i minori, tenuto conto della durata del soggiorno; d) che si tenga conto delle esigenze particolari delle persone vulnerabili».

( 16 ) Dalla decisione di rinvio risulta che il Raad van State (Consiglio di Stato) non accetta che, nell’ambito di un ricorso diretto unicamente contro il divieto d’ingresso, possa essere sviluppato un motivo contro la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria, segnatamente per il fatto che si tratta di un motivo diretto contro un’altra decisione. Se non fosse ammesso un ricorso ciò potrebbe portare, secondo il giudice del rinvio, a situazioni in cui il fondamento giuridico stesso dell’emissione del divieto d’ingresso non potrebbe essere utilmente contestato. Da parte mia, mi limito a rilevare che tale motivo dovrebbe essere consentito nell’ambito di un ricorso avverso una decisione di divieto d’ingresso, dato che il ricorso effettivo avverso le decisioni di divieto d’ingresso, quale previsto all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, deve necessariamente consentire di contestare la legittimità di queste ultime. V., a tale riguardo, sentenza del 15 ottobre 1987, Heylens e a. (222/86, EU:C:1987:442, punto 15).

( 17 ) Il corsivo è mio.

( 18 ) V. considerando 14 della direttiva 2008/115.

( 19 ) Il corsivo è mio.

( 20 ) Sentenza del 3 giugno 2021 (C‑546/19, EU:C:2021:432).

( 21 ) Le peculiarità del contesto materiale spiegano perché, nella sentenza del 27 aprile 2023, M.D. (Divieto d’ingresso in Ungheria) (C‑528/21, EU:C:2023:341), la Corte non abbia tenuto conto del fatto che, prima di essere destinatario di un divieto d’ingresso, il cittadino di un paese terzo interessato non fosse stato oggetto di una decisione di rimpatrio. In primo luogo, il divieto d’ingresso nei confronti di tale cittadino era stato adottato a seguito di una decisione con la quale uno Stato membro gli aveva revocato, per un motivo identico a quello su cui si fondava questo divieto, il diritto di soggiorno nel territorio di tale Stato e, in secondo luogo, detto cittadino aveva lasciato il territorio dello Stato in questione recandosi in un altro Stato membro prima dell’adozione di detto divieto. L’interpretazione della Corte è stata guidata dalla necessità di evitare che gli Stati membri possano facilmente eludere le norme che, in forza della direttiva 2008/115, disciplinano l’emissione di un siffatto divieto. Infatti, sarebbe loro sufficiente attendere, prima di emettere un divieto d’ingresso, che il cittadino di un paese terzo al quale sia stato negato o revocato un diritto di soggiorno abbia lasciato il loro territorio, affinché tale divieto d’ingresso sia automaticamente esentato dal rispetto di dette norme.

( 22 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Pikamäe nella causa Westerwaldkreis (C‑546/19, EU:C:2021:105, paragrafo 74).

( 23 ) Sentenza del 14 maggio 2020 (C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367).

( 24 ) V. sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punti da 114 a 116).

( 25 ) V. sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punti 4748). Il fatto che il rimpatrio forzato possa eventualmente ledere la dignità dell’interessato si deduce dalla lettura dell’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, secondo il quale «[o]ve gli Stati membri ricorrano – in ultima istanza – a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non ecced[o]no un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in osservanza dei diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell’integrità fisica del cittadino di un paese terzo interessato».

( 26 ) V., in particolare, ordinanza del 5 maggio 2021, CPAS de Liège (C‑641/20, EU:C:2021:374, punto 22). Per contro, affinché il ricorso proposto avverso una decisione di rimpatrio possa garantire, nei confronti del cittadino di un paese terzo interessato, il rispetto degli obblighi derivanti dal principio di non respingimento e dall’articolo 47 della Carta, esso deve essere dotato di effetto sospensivo ipso iure, poiché tale decisione può esporre detto cittadino a un rischio reale di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 18 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, o a trattamenti contrari all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. V., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2014, Abdida (C‑562/13, EU:C:2014:2453, punti 5253), e del 17 dicembre 2015, Tall (C‑239/14, EU:C:2015:824, punti 5758).

( 27 ) Il manuale sul rimpatrio è riportato nell’allegato alla raccomandazione (UE) 2017/2338 della Commissione, del 16 novembre 2017, che istituisce un manuale comune sul rimpatrio che le autorità competenti degli Stati membri devono utilizzare nell’espletamento dei compiti connessi al rimpatrio (GU 2017, L 339, pag. 83).

( 28 ) V. sentenza del 3 giugno 2021, Westerwaldkreis (C‑546/19, EU:C:2021:432, punto 47).

( 29 ) Oltre alla sentenza del 3 giugno 2021, Westerwaldkreis (C‑546/19, EU:C:2021:432, punto 47), v. sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punti da 114 a 116).

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