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Dokument 62015CC0168

Conclusioni dell’avvocato generale N. Wahl, presentate il 14 aprile 2016.
Milena Tomášová contro Slovenská republika - Ministerstvo spravodlivosti SR e Pohotovosť s.r.o.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Okresný súd Prešov.
Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Contratto di credito contenente una clausola abusiva – Esecuzione forzata di un lodo arbitrale pronunciato in applicazione di tale clausola – Responsabilità di uno Stato membro per danni arrecati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione imputabili a un organo giurisdizionale nazionale – Presupposti per la sussistenza – Esistenza di una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione.
Causa C-168/15.

Zbirka odločb – splošno

Oznaka ECLI: ECLI:EU:C:2016:260

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 14 aprile 2016 ( 1 )

Causa C‑168/15

Milena Tomášová

contro

Ministerstvo spravodlivosti SR,

Pohotovosť s. r. o.

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Okresný súd Prešov (Tribunale distrettuale di Prešov, Slovacchia)]

«Rinvio pregiudiziale — Tutela dei consumatori — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Direttiva 93/13/CEE — Contratto di credito al consumo — Esecuzione forzata di un lodo arbitrale — Mancata valutazione del carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto da parte del giudice dell’esecuzione — Responsabilità di uno Stato membro per i danni arrecati ai singoli a causa di violazioni del diritto dell’Unione imputabili a un giudice nazionale — Presupposti per la sussistenza — Esistenza di una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione»

I – Introduzione dell’oggetto del procedimento principale, dei fatti all’origine della controversia e delle questioni pregiudiziali

1.

Il riconoscimento, nel diritto dell’Unione, di un obbligo in capo al giudice nazionale, quando dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, di rilevare d’ufficio l’esistenza, ai sensi della direttiva 93/13/CEE ( 2 ), di una clausola abusiva in un contratto tra un consumatore e un professionista, rappresenta un considerevole progresso nella tutela dei consumatori.

2.

Nell’ambito della presente causa, la Corte è chiamata a stabilire se l’efficacia della direttiva 93/13 richieda necessariamente che sia altresì riconosciuta la responsabilità extracontrattuale dello Stato membro quando un giudice nazionale, nell’ambito specifico di un procedimento di esecuzione forzata, omette di valutare d’ufficio l’esistenza di una clausola abusiva contenuta in un contratto di credito al consumo. Si pone, in termini più generali, la questione se e a quali condizioni l’inosservanza da parte dei giudici nazionali del loro obbligo di valutare d’ufficio l’esistenza di una clausola abusiva in un contratto tra professionista e consumatore possa essere sanzionata prevedendo la responsabilità dello Stato membro interessato.

3.

La causa in esame trae origine da una controversia che contrappone la sig.ra Tomášová al Ministerstvo spravodlivosti SR (Ministero della Giustizia della Repubblica slovacca) e alla Pohotovosť s. r. o. avente ad oggetto l’esecuzione di un lodo arbitrale con cui la sig.ra Tomášová era stata condannata al pagamento di determinati importi in relazione alla conclusione di un contratto di credito al consumo.

4.

Dall’ordinanza di rinvio risulta che la sig.ra Tomášová è una pensionata il cui unico reddito è costituito da una pensione pari a EUR 347. Nel 2007 ella ha concluso un contratto di credito al consumo con la Pohotovosť, da cui otteneva un prestito di EUR 232.

5.

Tale contratto era redatto nella forma di un contratto di adesione contenente una clausola compromissoria che prevedeva l’obbligo di accettare la definizione delle controversie ad esso collegate da parte di un tribunale arbitrale avente sede ad oltre 400 km di distanza dal domicilio della sig.ra Tomášová. In base al suddetto contratto, gli interessi di mora ammontavano inoltre al 91,25% l’anno. Il contratto di cui trattasi non indicava peraltro il tasso annuo effettivo globale.

6.

La sig.ra Tomášová, essendo caduta in mora nel rimborso del debito e non avendo potuto pagare detti interessi di mora, otteneva dalla Pohotovosť un altro prestito per EUR 232,36.

7.

Con decisioni del 9 aprile e del 15 maggio 2008 dello Stálý rozhodcovský súd (Corte arbitrale permanente), la sig.ra Tomášová è stata condannata a versare alla Pohotovosť una serie di importi per il mancato rimborso dei crediti di cui trattasi, nonché a titolo di interessi di mora e di spese processuali.

8.

Una volta passate in giudicato e divenute esecutive le suddette decisioni, la Pohotovosť ha presentato, il 13 e il 27 ottobre 2008, domande di esecuzione dinanzi all’Okresný súd Prešov (Tribunale distrettuale di Prešov, Slovacchia), che le ha accolte con provvedimenti del 15 e del 16 dicembre 2008.

9.

In base all’ordinanza di rinvio, i procedimenti esecutivi di cui trattasi erano ancora pendenti al momento della proposizione della presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

10.

Il 9 luglio 2010 la sig.ra Tomášová ha proposto un ricorso contro il Ministero della Giustizia della Repubblica slovacca, diretto a ottenere un risarcimento pari a EUR 2000 a fronte del danno derivante, a suo dire, da una violazione del diritto dell’Unione da parte dell’Okresný súd Prešov (Tribunale distrettuale di Prešov) per il fatto che, nell’ambito dei suddetti procedimenti, detto giudice ha accolto domande di esecuzione fondate su una clausola compromissoria abusiva e dirette al recupero di importi sulla base di una clausola abusiva.

11.

Con sentenza del 22 ottobre 2010, l’Okresný súd Prešov (Tribunale distrettuale di Prešov) ha respinto il ricorso della sig.ra Tomášová in quanto infondato, a motivo che quest’ultima non si era avvalsa di tutti i mezzi di ricorso a sua disposizione, che i procedimenti esecutivi di cui trattasi non erano ancora definitivamente conclusi e che, di conseguenza, non era ancora possibile considerare già originato il danno, cosicché il ricorso era stato introdotto prematuramente.

12.

La sig.ra Tomášová ha proposto appello avverso detta sentenza.

13.

Con decisione del 31 gennaio 2012, il Krajský súd v Prešove (Tribunale regionale di Prešov, Slovacchia) ha annullato la suddetta sentenza e ha rinviato la causa all’Okresný súd Prešov (Tribunale distrettuale di Prešov). Esso ha ritenuto non convincente l’argomentazione dedotta dall’Okresný súd Prešov (Tribunale distrettuale di Prešov) a fondamento del rigetto della domanda di risarcimento presentata dalla sig.ra Tomášová.

14.

È in tale contesto che l’Okresný súd Prešov (Tribunale distrettuale di Prešov) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se si configuri una grave violazione del diritto dell’Unione europea qualora, in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, in un procedimento esecutivo condotto in base a un lodo arbitrale, si esiga una prestazione derivante da una clausola abusiva.

2)

Se la responsabilità di uno Stato membro per violazione del diritto [dell’Unione] possa sorgere prima che la parte del procedimento esaurisca tutti i mezzi giuridici di cui dispone nell’ambito di un procedimento di esecuzione di una decisione conformemente all’ordinamento giuridico dello Stato membro; se, considerati i fatti di causa, detta responsabilità dello Stato membro possa, in tal caso, sorgere prima ancora che sia terminato il procedimento per l’esecuzione di una decisione e prima che sia stata esaurita la possibilità della ricorrente di esigere un rimborso per ingiustificato arricchimento.

3)

In caso di risposta affermativa, se l’azione di un organo quale descritta dalla ricorrente, tenuto conto delle circostanze della fattispecie, in particolare dell’assoluta inerzia della ricorrente e del mancato esaurimento di tutti i mezzi giuridici di ricorso consentiti dal diritto dello Stato membro, integri una violazione del diritto [dell’Unione] sufficientemente qualificata.

4)

Qualora nella presente fattispecie sia configurabile una violazione sufficientemente qualificata del diritto [dell’Unione], se l’importo richiesto dalla ricorrente corrisponda al danno di cui lo Stato membro è responsabile; se sia possibile far coincidere il danno così inteso con il credito recuperato, che costituisce un ingiustificato arricchimento.

5)

Se l’azione di ingiustificato arricchimento, quale mezzo giuridico di ricorso, abbia priorità rispetto all’azione di risarcimento dei danni».

15.

Osservazioni scritte sono state presentate dai governi slovacco e ceco e dalla Commissione europea.

16.

Il 18 dicembre 2015 la Corte ha rivolto una domanda di chiarimenti al giudice del rinvio in applicazione dell’articolo 101 del regolamento di procedura della Corte. Con tale domanda, il giudice del rinvio era invitato a precisare se e a quali condizioni esso fosse chiamato a pronunciarsi, nell’ambito del procedimento esecutivo oggetto della controversia principale, in ultima istanza. Il giudice ha risposto a tale invito con lettera pervenuta alla Corte il 16 febbraio 2016.

II – Analisi

17.

La presente controversia verte sui presupposti per la sussistenza della responsabilità di uno Stato membro al fine di chiedere un risarcimento dei danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione imputabili a un giudice nazionale. Le questioni sollevate si inseriscono nel contesto specifico di una controversia vertente sull’esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha tratto origine dalla stipula di un contratto di credito al consumo contenente, in base a quanto eccepito, clausole abusive ai sensi della direttiva 93/13.

18.

Con la prima e la terza questione, che occorre, a mio avviso, esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se, e a quali condizioni, una violazione del diritto dell’Unione scaturente da una decisione giudiziale, emanata nell’ambito di un procedimento di esecuzione forzata fondato su un lodo arbitrale, il quale accoglie una domanda di recupero di somme di denaro in applicazione di una clausola che deve essere considerata abusiva, costituisca una violazione «sufficientemente qualificata» tale da comportare la responsabilità extracontrattuale dello Stato membro di cui trattasi. In tale contesto, detto giudice si chiede se assuma rilievo al riguardo il fatto che il procedimento esecutivo non sia concluso e che la persona nei cui confronti esso è condotto sia rimasta del tutto inerte e non abbia esaurito tutti i mezzi di ricorso e di diritto, come l’azione di ripetizione dell’indebito, messi a sua disposizione dall’ordinamento giuridico di cui trattasi.

19.

La quarta e la quinta questione si riferiscono alla portata di un’eventuale domanda di risarcimento del danno subito in ragione dell’inerzia del giudice nazionale, che avrebbe omesso di valutare il carattere abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, e al suo rapporto con altre azioni di diritto civile.

A – Sulle prime tre questioni pregiudiziali: opportunità e requisiti per la sussistenza di una responsabilità dello Stato a fronte dell’inosservanza, da parte del giudice nazionale dell’esecuzione forzata, dell’obbligo di valutare d’ufficio l’esistenza di una clausola abusiva ai sensi della direttiva 93/13

20.

La prima, la seconda e la terza questione pregiudiziale ci conducono essenzialmente ad affrontare l’interrogativo se la mancata valutazione d’ufficio, da parte del giudice nazionale dell’esecuzione, del carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato con un consumatore oggetto della controversia principale – e, di conseguenza, la loro mancata disapplicazione nell’ambito del procedimento esecutivo controverso – sia idonea a fondare la responsabilità extracontrattuale dello Stato membro interessato.

21.

Tale problematica coinvolge, a mio avviso, due aspetti che esaminerò in successione.

22.

Il primo aspetto riguarda la questione se, in un caso come quello in esame, la responsabilità extracontrattuale dello Stato membro per una violazione del diritto dell’Unione possa essere riconosciuta sulla base di un atto o di un’omissione di un giudice nazionale che sembra non essere chiamato a pronunciarsi in ultimo grado.

23.

Il secondo aspetto si riferisce alla questione se e, in caso affermativo, a quali condizioni, la mancata rilevazione ed esclusione dell’esistenza di una clausola abusiva possa essere qualificata come una «violazione sufficientemente qualificata» di una norma di diritto dell’Unione intesa a conferire diritti ai singoli.

1. Sul primo aspetto: se possa sussistere la responsabilità del giudice nazionale dell’esecuzione prima della conclusione del procedimento esecutivo anche quando la parte che ritiene essere lesa non abbia esaurito tutti i mezzi di ricorso nazionali messi a sua disposizione

24.

Nel caso di specie, in base alle questioni pregiudiziali, il procedimento principale sembra riferirsi a un caso in cui il giudice a quo non è chiamato a pronunciarsi in ultima istanza. Le suddette questioni risultano infatti avere senso solo qualora si valuti il procedimento esecutivo controverso come non definitivamente concluso. In base alla mia lettura degli atti, sembrerebbe che non sia stata ancora pronunciata, nel merito, una decisione definitivamente vincolante per la ricorrente nel procedimento principale e che quest’ultima abbia presentato una richiesta di risarcimento di un danno che essa avrebbe subito in ragione di una decisione giudiziaria impugnabile mediante ricorso giurisdizionale ordinario.

25.

Tuttavia, dalla documentazione presentata alla Corte non si evince chiaramente se, nell’ambito della controversia principale, l’Okresný súd Prešov (Tribunale distrettuale di Prešov) sia o meno chiamato a pronunciarsi in ultima istanza.

26.

Nella sua lettera facente seguito alla domanda di chiarimenti della Corte, il giudice del rinvio non ha fornito risposte chiare a tale riguardo. Dal diritto nazionale applicabile discenderebbe che l’ordinanza giudiziale di rigetto di una richiesta di autorizzazione dell’esecuzione può essere oggetto di ricorso ( 3 ). Allo stesso modo, la decisione che accoglie le eccezioni del debitore potrebbe essere impugnata mediante ricorso ordinario ( 4 ). Ne consegue, come ha precisato il governo slovacco, che, in base alle circostanze del caso di specie, il giudice dell’esecuzione il cui procedimento è al centro della presente controversia può essere, ma non è necessariamente ( 5 ), un giudice che si pronuncia in ultimo grado.

27.

Quest’ultima considerazione mi sembra tuttavia al centro della problematica attinente alla sussistenza della responsabilità degli Stati membri per un inadempimento imputabile ai giudici soggetti al loro ordinamento giuridico.

28.

È certamente assodato che il principio della responsabilità degli Stati membri per i danni cagionati ai singoli dalla violazione del diritto dell’Unione, sancito a partire dalla sentenza Francovich e a. ( 6 ) e di cui i presupposti di sussistenza sono stati precisati nella sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame ( 7 ), ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto dell’Unione commessa da uno Stato membro, qualunque sia l’organo di quest’ultimo la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione ( 8 ).

29.

La Corte ha altresì precisato, nella sentenza Köbler ( 9 ), che detto principio era ugualmente applicabile, a determinate condizioni, quando la violazione del diritto dell’Unione derivava da una decisione del giudice nazionale.

30.

Non si potrebbe quindi escludere a priori che sussista, in termini generali, una responsabilità dello Stato per una violazione del diritto dell’Unione che trae origine da un comportamento o da un’omissione di un giudice nazionale e ciò a prescindere dalla natura o dalla collocazione di quest’ultimo all’interno dell’organizzazione giudiziaria di cui trattasi.

31.

Se, in linea teorica, ogni decisione di un giudice nazionale che viola il diritto dell’Unione è potenzialmente idonea a comportare la responsabilità dello Stato, essa non è tuttavia sempre sufficiente a far sorgere, in ogni caso, tale responsabilità.

32.

Qualora tale comportamento o omissione si verifichi nell’esercizio della funzione giurisdizionale e sia censurabile, in base alle disposizioni processuali applicabili a livello nazionale, nell’ambito di un appello o di un’impugnazione avverso la sentenza controversa, è la decisione del giudice chiamato a pronunciarsi in ultimo grado a integrare, in definitiva, una condotta o un’omissione dello Stato contraria al diritto dell’Unione.

33.

Dalla sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513), e dalla giurisprudenza successiva ( 10 ) emerge così chiaramente che, in un caso siffatto, il principio in parola è valido soltanto rispetto ai giudici chiamati a pronunciarsi in ultima istanza.

34.

In tale sentenza di riferimento, la Corte aveva rilevato, sulla base, segnatamente, del ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti conferiti ai singoli dalle norme dell’Unione e della circostanza che un organo giurisdizionale di ultimo grado costituisce per definizione l’ultima istanza dinanzi alla quale i singoli possono far valere i diritti ad essi riconosciuti dal diritto dell’Unione, che la tutela dei suddetti diritti sarebbe affievolita – e la piena efficacia delle norme dell’Unione che li conferiscono sarebbe rimessa in discussione – se fosse escluso che i singoli possano, a talune condizioni, ottenere un risarcimento dei danni loro arrecati a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a una decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado ( 11 ).

35.

Nello stesso senso, la Corte ha chiaramente indicato, nella sua sentenza Traghetti del Mediterraneo ( 12 ), che, considerate la specificità della funzione giurisdizionale nonché le legittime esigenze della certezza del diritto, la responsabilità dello Stato, in un caso del genere, non è illimitata. In base a detta sentenza, «tale responsabilità può sussistere solo nel caso eccezionale in cui l’organo giurisdizionale [statuisca] in ultimo grado» ( 13 ).

36.

Più recentemente, nella sentenza Târșia ( 14 ), la Corte ha ritenuto che, proprio per il fatto che la decisione giurisdizionale che obbligava il sig. Târșia a pagare un tributo era divenuta definitiva – decisione che è stata successivamente dichiarata, in sostanza, incompatibile con il diritto dell’Unione –, occorresse prevedere la possibilità di far valere la responsabilità dello Stato al fine di permettere all’interessato di ottenere una tutela giuridica dei suoi diritti.

37.

Benché in dottrina si sia discusso se tale riconoscimento della responsabilità dello Stato potesse eventualmente trarre origine da decisioni dei giudici nazionali che non si pronunciano necessariamente in ultimo grado ( 15 ), da una giurisprudenza ormai ben consolidata della Corte risulta, a mio avviso, che il riconoscimento di detta responsabilità è chiaramente circoscritto alle omissioni dei giudici nazionali le cui decisioni non possono essere oggetto di ricorso ordinario.

38.

La novità introdotta con la sentenza Köbler ( 16 ), che deriva dalla lettura estensiva e unitaria adottata dalla Corte della nozione di «Stato» con riferimento al riconoscimento della responsabilità extracontrattuale per violazione del diritto dell’Unione, ha senso infatti, nel caso di specie, solo in presenza di una decisione riconducibile a un giudice nazionale che si pronuncia in ultimo grado – il che non implica tuttavia necessariamente che si tratti di un organo giurisdizionale supremo.

39.

Tale considerazione si ricava, a mio avviso, senza dubbio alcuno, dalla suddetta sentenza. Ritengo infatti che la Corte abbia ivi insistito sul carattere definitivo della decisione dei giudici chiamati a pronunciarsi in ultimo grado. La Corte ha così osservato «che un organo giurisdizionale [nazionale] di ultimo grado costituisce per definizione l’ultima istanza dinanzi alla quale i singoli possono far valere i diritti ad essi riconosciuti dal diritto comunitario» e che, «[p]oiché normalmente non può più costituire oggetto di riparazione una violazione di questi diritti in una decisione di un tale organo giurisdizionale che è divenuta definitiva, i singoli non possono essere privati della possibilità di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti» ( 17 ).

40.

Tale conclusione mi sembra inoltre garantire un giusto equilibrio tra la necessità, da una parte, di garantire in modo effettivo i diritti che i singoli si vedono riconosciuti dal diritto dell’Unione e, dall’altra, le specificità che caratterizzano l’intervento degli organi giurisdizionali in ciascuno Stato membro oltre alle difficoltà che i giudici nazionali possono essere chiamati ad affrontare nell’esercizio della funzione giurisdizionale.

41.

In altri termini, una violazione del diritto dell’Unione idonea a far sorgere la responsabilità dello Stato per il danno cagionato da una decisione giurisdizionale sussiste solo in presenza di una situazione che riflette il fallimento di un sistema giudiziario nel suo insieme, vale a dire nel caso in cui il giudice chiamato a pronunciarsi in ultimo grado non sia stato in grado di garantire in modo effettivo la tutela di un diritto conferito dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Perché l’inadempimento di un organo giurisdizionale costituisca un inadempimento dello Stato, ritengo sia necessaria una decisione giudiziaria resa in maniera definitiva e idonea a cristallizzare le posizioni giuridiche delle persone interessate per il futuro ( 18 ).

42.

Come attesta, a mio avviso, la giurisprudenza della Corte ( 19 ), tale conclusione mi sembra valida sia nel caso in cui il giudice a quo non ha adempiuto il suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, che incombe ai giudici avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno quando essi nutrono dubbi sull’interpretazione del diritto dell’Unione, sia nel caso in cui si discute del rispetto del diritto sostanziale dell’Unione, come quello che impone ai giudici, ai fini dell’efficacia della direttiva 93/13 e più in particolare del suo articolo 6, paragrafo 1, di valutare il carattere abusivo delle clausole contenute nei contratti stipulati con i consumatori ed eventualmente di disapplicarle.

43.

Occorre chiarire se la necessità di garantire una tutela particolare ai consumatori, parte tradizionalmente considerata vulnerabile, e il rango di norma di ordine pubblico riconosciuto dalla Corte alle disposizioni che garantiscono la tutela dei consumatori in forza della direttiva 93/13 ( 20 ), possano mettere in dubbio tale conclusione o attenuarla alla luce dei limiti previsti all’autonomia processuale rispetto alle concrete condizioni di attuazione del riconoscimento della responsabilità dello Stato.

44.

Ritengo di no.

45.

L’efficacia della direttiva 93/13 è, a mio avviso, garantita dalla facoltà, o dall’obbligo in taluni casi, in capo al giudice nazionale, di rilevare il carattere abusivo e dalla possibilità, per il giudice chiamato a pronunciarsi in ultimo grado, di censurare una decisione adottata in violazione di detto obbligo. Sarebbe, a mio avviso, eccessivo riconoscere la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dello Stato in tutti i casi in cui si afferma che un giudice, a prescindere dalla sua collocazione nell’architettura giurisdizionale nazionale e dal grado in cui interviene, non abbia adempiuto il suo obbligo di valutare il carattere abusivo di una clausola contrattuale contenuta in un contratto tra un consumatore e un professionista e, in taluni casi, di disapplicarla.

46.

Tuttavia, benché il principio di effettività non sia messo in discussione, la situazione potrebbe risultare diversa rispetto al principio di equivalenza ( 21 ). Infatti, benché i presupposti per la sussistenza della responsabilità individuati dalla Corte siano necessari e sufficienti per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento, non si può tuttavia escludere che la responsabilità dello Stato possa essere accertata, a condizioni meno restrittive, in base al diritto nazionale. Così, nel caso in cui sia possibile, in virtù del diritto nazionale applicabile, riconoscere la responsabilità dei giudici che non sono chiamati a pronunciarsi in ultimo grado per violazione delle norme di diritto nazionali applicabili, tale possibilità dovrà altresì essere prevista ‑ alle stesse condizioni ‑ nel caso in cui il giudice nazionale abbia violato i diritti riconosciuti ai singoli dal diritto dell’Unione e, segnatamente, quelli che traggono origine dalla direttiva 93/13.

47.

Da tutte le considerazioni che precedono, risulta che, fermo restando il rispetto del principio di equivalenza, il diritto dell’Unione non impone di per sé allo Stato membro l’obbligo di risarcire un danno derivante da una decisione di un giudice che può essere ancora oggetto di un ricorso ordinario.

48.

In conclusione, la responsabilità di uno Stato membro per un danno cagionato a un singolo dalla violazione del diritto dell’Unione commessa da un giudice nazionale può essere riconosciuta solo nel caso eccezionale in cui detto giudice si pronuncia in ultimo grado, circostanza questa che, per quanto attiene alla controversia principale, spetta al giudice del rinvio verificare tenuto conto delle circostanze specifiche della controversia in esame.

49.

Nel caso in cui il giudice del rinvio dovesse essere considerato, nell’ambito del procedimento principale, quale giudice chiamato a pronunciarsi in ultimo grado, si porrebbe ancora la questione se questi abbia violato in maniera sufficientemente qualificata una norma di diritto intesa a conferire diritti ai singoli.

2. Sul secondo aspetto: a quali condizioni la mancata valutazione dell’esistenza di clausole abusive nei contratti conclusi con i consumatori e, se del caso, la loro mancata disapplicazione, possa essere classificata come una violazione sufficientemente qualificata di una norma di diritto dell’Unione intesa a conferire diritti ai singoli

50.

Per quanto attiene ai requisiti per la sussistenza della responsabilità di uno Stato membro in forza di una violazione del diritto dell’Unione, la Corte ha reiteratamente dichiarato che ai singoli lesi è riconosciuto un diritto al risarcimento purché siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica dell’Unione violata sia preordinata a conferire loro diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata e che esista un nesso causale diretto tra la violazione in parola e il danno subito dai singoli ( 22 ). La responsabilità di uno Stato membro per danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado che viola una norma di diritto dell’Unione è disciplinata dalle stesse condizioni ( 23 ).

51.

L’applicazione delle condizioni che consentono di riconoscere la responsabilità degli Stati membri per danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione deve, in linea di principio, avvenire ad opera dei giudici nazionali, in conformità degli orientamenti forniti dalla Corte per procedere a tale applicazione ( 24 ).

52.

Tali orientamenti possono essere sintetizzati come segue.

53.

In primo luogo, occorre esaminare se la norma violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli. Non ho pressoché alcun dubbio che le disposizioni della direttiva 93/13 e gli obblighi che incombono ai giudici nazionali ai fini di garantirne la piena efficacia generino in capo ai singoli diritti che i giudici nazionali sono tenuti a salvaguardare.

54.

In secondo luogo, per quanto attiene alla condizione vertente sull’esistenza di una violazione «manifesta», è assodato che, tenuto conto della specificità della funzione giurisdizionale nonché delle legittime esigenze della certezza del diritto, la responsabilità dello Stato per i danni causati ai singoli dalla violazione del diritto dell’Unione derivante dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale non è illimitata. Così, oltre alla circostanza precedentemente ricordata che detta responsabilità può essere riconosciuta soltanto nel caso eccezionale in cui il giudice nazionale di cui trattasi si pronunci in ultimo grado, occorre valutare se esso abbia violato in maniera manifesta il diritto applicabile ( 25 ).

55.

Si chiede cosa ne sia dell’obbligo previsto in capo al giudice nazionale di rilevare d’ufficio l’esistenza di una clausola abusiva in un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista.

56.

Ricordo che il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 poggia sul presupposto che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative, sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter influire sul contenuto delle stesse ( 26 ).

57.

Tenuto conto di detta situazione di inferiorità, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede che le clausole abusive non vincolano i consumatori. Come risulta dalla giurisprudenza, si tratta di una norma imperativa che mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto istituisce fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza delle parti stesse ( 27 ).

58.

Per garantire la tutela sancita dalla direttiva 93/13, la Corte ha anche sottolineato in più occasioni che la disuguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo, esterno al rapporto contrattuale ( 28 ).

59.

Sulla base di tali principi la Corte ha pertanto stabilito che il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale ( 29 ).

60.

Per quanto attiene alla questione se un giudice ‑ omettendo di rilevare, in circostanze come quelle descritte nell’ordinanza di rinvio, il carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto stipulato con un consumatore ‑ abbia commesso una «violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione», assumono rilievo, in base alla giurisprudenza ( 30 ), numerosi elementi che possono, a mio avviso, essere classificati in due categorie.

61.

La prima categoria si riferisce al livello generale di chiarezza e precisione della norma violata, il che implica, se del caso, la necessità di stabilire se esista una giurisprudenza chiara della Corte sulla questione di diritto sottoposta al giudice nazionale. La seconda categoria si riferisce all’insieme delle circostanze specifiche che caratterizzano la situazione considerata, come il margine di discrezionalità riconosciuto agli organi nazionali dalla norma violata, il carattere manifesto, intenzionale e/o scusabile della violazione contestata e l’insieme degli elementi di fatto e di diritto portati a conoscenza del giudice nazionale, in particolare, dalle parti della controversia. Con riferimento a questo secondo aspetto, la Corte ha indicato che spetta al giudice nazionale, investito di una domanda di risarcimento danni, tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la controversia sottoposta al suo sindacato ( 31 ).

62.

In primo luogo, quanto alla questione se la norma violata sia sufficientemente chiara e precisa, è innegabile che una violazione del diritto dell’Unione è sufficientemente qualificata quando si è protratta nonostante la pronuncia di una sentenza che ha accertato l’inadempimento contestato, di una sentenza pregiudiziale o di una giurisprudenza consolidata della Corte in materia, dalle quali risulta l’illegittimità del comportamento in questione ( 32 ).

63.

Nel caso di specie, trattandosi dell’obbligo – previsto in capo al giudice chiamato a procedere all’esecuzione forzata di un lodo arbitrale – di sollevare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale, ritengo che tale norma, elaborata in via giurisprudenziale dalla Corte, non fosse, alla data delle decisioni che hanno autorizzato l’esecuzione forzata oggetto della controversia principale, necessariamente qualificata, quanto al grado di chiarezza e precisione richiesta. In particolare, non si può evidentemente concludere che, all’epoca dell’adozione delle decisioni giurisdizionali oggetto della controversia principale, recanti la data del 15 e del 16 dicembre 2008, detta norma derivasse in maniera chiara dalla giurisprudenza.

64.

Due sono le ragioni principali che mi portano a tale conclusione.

65.

In primis mi sembra che la Corte, chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva 93/13 nell’ambito di rinvii pregiudiziali scaturenti da controversie di natura molto diversa, non abbia ancora fornito una risposta netta alla questione se il giudice nazionale «debba» o «possa» rilevare il carattere abusivo di una clausola e, in caso affermativo, se esso possa o debba disapplicarla. Benché la giurisprudenza più recente si pronunci indubbiamente a favore di un obbligo del giudice di rilevare il carattere abusivo di una clausola in determinate circostanze ( 33 ) e, se del caso, di trarne tutte le conseguenze, non è stato sempre così. Le formule utilizzate dalla Corte per lungo tempo sono state caratterizzate da una certa ambiguità che si spiega, nella maggior parte dei casi, alla luce delle circostanze specifiche di ciascuna fattispecie ( 34 ).

66.

Peraltro, numerose controversie vertevano soltanto sull’obbligo per il giudice di valutare il carattere abusivo delle clausole sottoposte al suo esame in circostanze ben specifiche. Secondo una formulazione ormai consolidata, il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, a ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari ( 35 ).

67.

In secondo luogo, detto riconoscimento di un «obbligo» è ancora meno manifesto rispetto alle procedure d’esecuzione forzata, come quella oggetto del procedimento principale, che spesso implicano un intervento marginale ( 36 ), o addirittura inesistente ( 37 ), del giudice nazionale competente. Come ho già avuto occasione di osservare, non è raro che, all’interno di detti procedimenti, che si svolgono secondo uno schema semplificato, il giudice non sia in grado di conoscere tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti.

68.

Occorre infatti ricordare che solo nell’ordinanza Pohotovosť ( 38 ) la Corte ha esaminato una situazione analoga a quella oggetto del procedimento principale e ha stabilito, in particolare, che quando il giudice nazionale chiamato a pronunciarsi su un ricorso diretto a ottenere l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale definitivo deve, in base alle disposizioni processuali interne, valutare d’ufficio la contrarietà di una clausola arbitrale alle disposizioni nazionali di ordine pubblico, esso deve anche valutare d’ufficio il carattere abusivo di detta clausola rispetto all’articolo 6 della direttiva 93/13, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine.

69.

Benché detta ordinanza si riferisca, è indubbio, alla giurisprudenza elaborata sino a quel momento dalla Corte ( 39 ) per rispondere alle questioni ad essa sottoposte, non è possibile escludere che, agli occhi del giudice nazionale, gli obblighi su di esso gravanti abbiano potuto sollevare qualche interrogativo.

70.

A questo riguardo, il fatto che la Corte abbia ritenuto opportuno definire la causa C‑76/10, Pohotovost’ ( 40 ), mediante ordinanza adottata sulla base dell’articolo 104, paragrafo 3, primo comma, del regolamento di procedura della Corte, nella sua versione vigente all’epoca della suddetta causa ( 41 ), non rileva a mio parere nello stabilire che gli obblighi in capo al giudice dell’esecuzione di un lodo arbitrale risultavano «in maniera chiara e precisa» dalla giurisprudenza.

71.

Ritengo infatti che la valutazione della questione se il giudice nazionale si trovasse o meno di fronte a una norma di diritto chiara e precisa non sia in alcun modo collegata alla scelta della Corte di ricorrere, nell’interpretare la suddetta norma, a un trattamento processuale semplificato. Il fatto stesso che sia stato possibile presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale permette di presumere che, almeno per una parte dei giudici nazionali, la norma di diritto di cui trattasi sollevava talune difficoltà interpretative.

72.

Come osservato dall’avvocato generale nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 4 giugno 2002, Lyckeskog (C‑99/00, EU:C:2002:329) ( 42 ), per quanto riguarda il collegamento che poteva essere compiuto tra la questione dell’evidenza dell’esistenza di un dubbio ragionevole che impone al giudice nazionale di procedere a un rinvio pregiudiziale in forza della giurisprudenza Cilfit e a. ( 43 ) e la formulazione dell’articolo 104, paragrafo 3, del vecchio regolamento di procedura della Corte, «[n]el primo caso, infatti, si ha riguardo, per così dire, alla qualità e alla consistenza dei dubbi che il giudice nazionale deve nutrire rispetto ad una questione di diritto comunitario al fine di decidere se sottoporla o meno alla Corte di giustizia; nel secondo, invece, si considerano i dubbi che la soluzione della questione può eventualmente suscitare nella Corte ai fini della scelta della procedura da seguire per la risposta» ( 44 ).

73.

In secondo luogo, anche ammettendo che la norma di diritto qui controversa, intesa a conferire diritti ai singoli, potesse essere considerata come chiaramente sancita all’epoca dei fatti rilevanti, il secondo aspetto che, a mio avviso, occorre esaminare per stabilire se si sia in effetti in presenza di una «violazione manifesta» di una norma di diritto si riferisce all’insieme delle circostanze relative al caso di specie.

74.

Il giudice è tenuto infatti a rilevare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola e, se del caso, a disapplicarla, solo se dispone di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti. Tale presa in considerazione dell’insieme delle circostanze è decisiva ed è la ragione per cui la Corte, pur accettando di interpretare i criteri generali utilizzati dal legislatore europeo nell’articolo 3 della direttiva 93/13 per definire la nozione di clausola abusiva, si è generalmente astenuta dal pronunciarsi sull’applicazione di detti criteri a una determinata clausola ( 45 ).

75.

Ritengo che, tra gli elementi di fatto di cui occorre tener conto, rientrino la reattività o, al contrario, la passività del consumatore di cui trattasi. La Corte ha in effetti precisato che, se è vero che la direttiva 93/13 impone, nelle controversie tra un consumatore e un professionista, un intervento positivo, esterno al rapporto contrattuale, del giudice nazionale investito di tali controversie, il rispetto del principio dell’effettività non può giungere al punto di supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato. Di conseguenza, il fatto che il consumatore possa invocare la tutela delle disposizioni legislative sulle clausole abusive solo se promuove un procedimento giurisdizionale non può essere considerato, di per sé, contrario al principio di effettività ( 46 ).

76.

Quest’ultima esigenza, ossia quella di tener conto degli sforzi compiuti dalla persona che asserisce di essere stata lesa per evitare o quantomeno limitare la portata del danno subito, è stata espressamente riconosciuta dalla Corte ( 47 ) e presenta un innegabile collegamento con la necessaria presenza di una decisione giurisdizionale emanante da un giudice che si pronuncia in ultimo grado ( 48 ).

77.

In definitiva, si deve riconoscere che l’obbligo di valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali in applicazione della direttiva 93/13 sussiste soltanto qualora il giudice nazionale disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari a tal fine.

78.

Una valutazione siffatta è spiccatamente soggettiva e compete al giudice nazionale. Per riconoscere che la mancata valutazione, da parte del giudice, delle clausole abusive contenute nei contratti tra consumatori e professionisti e, se del caso, la loro mancata disapplicazione ha un carattere manifesto, sanzionabile sotto il profilo della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione, occorrerà tener conto della scusabilità o meno di detta omissione.

79.

Anche il fatto che l’attenzione del giudice adito sia stata attirata su tale aspetto, dal consumatore stesso o da tutt’altra fonte, assume grande importanza.

B – Sulla quarta e sulla quinta questione

80.

Come da me già precedentemente indicato, la quarta e la quinta questione si riferiscono alla portata di un’eventuale domanda di risarcimento del danno subito a causa dell’inattività del giudice e al rapporto di tale domanda con altre azioni.

81.

Con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede, infatti, essenzialmente, se il danno causato dall’eventuale violazione del diritto dell’Unione di cui si discute nel procedimento principale corrisponda all’importo del risarcimento chiesto dalla sig.ra Tomášová e se detto importo possa essere assimilato al credito recuperato, ossia all’arricchimento senza causa. Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio desidera sapere se un’azione di ripetizione dell’indebito, quale mezzo di ricorso, prevalga su un’azione per il risarcimento del danno.

82.

Mi sembra che i quesiti posti dal giudice del rinvio vertano su aspetti rientranti nell’autonomia processuale degli Stati membri.

83.

A tal riguardo, occorre ricordare che, quando sono soddisfatte le condizioni per riconoscere sussistente la responsabilità dello Stato, circostanza che spetta ai giudici nazionali stabilire, è in base alle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato, fermo restando che le condizioni, sia sostanziali che di forma, stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (principio di effettività) ( 49 ).

84.

Ne consegue che le norme relative alla valutazione di un danno cagionato da una violazione del diritto dell’Unione sono determinate dal diritto nazionale di ciascuno Stato membro, fermo restando che le disposizioni nazionali in materia di risarcimento del danno che fissano tali regole devono rispettare i principi di equivalenza e di effettività.

85.

Allo stesso modo, il rapporto tra una domanda di risarcimento del danno che si asserisce subito a causa di una violazione del diritto e le altre azioni disponibili sulla base del diritto nazionale, in particolare le azioni di ripetizione dell’indebito che potrebbero essere esperite in forza del diritto nazionale, è stabilito dalla normativa interna nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

86.

È rimesso quindi all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, fissare i criteri che consentano di accertate e valutare il pregiudizio causato da una violazione del diritto dell’Unione.

III – Conclusione

87.

Propongo di rispondere come segue alle questioni sollevate dall’Okresný súd Prešov (Tribunale distrettuale di Prešov, Slovacchia):

1)

Uno Stato membro non può essere ritenuto responsabile della mancata disapplicazione, da parte di un giudice nazionale intervenuto nell’ambito di un procedimento di esecuzione forzata fondato su un lodo arbitrale, di una clausola contrattuale dichiarata abusiva in forza della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, anche quando la parte debitrice nel procedimento di cui trattasi non ha esaurito tutti i mezzi di ricorso ordinari a sua disposizione in forza del diritto nazionale applicabile.

2)

Al fine di stabilire se la mancata valutazione, da parte del giudice chiamato a pronunciarsi in ultimo grado nell’ambito di un procedimento di esecuzione forzata, del carattere abusivo di una clausola contrattuale, ai sensi della direttiva 93/13, sia sufficientemente qualificata da poter comportare la responsabilità dello Stato occorre tener conto dell’insieme degli elementi di fatto e di diritto di cui il suddetto giudice era stato messo a conoscenza alla data della pronuncia. Una siffatta violazione del diritto dell’Unione non può essere considerata sufficientemente qualificata quando la mancata valutazione, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto tra professionista e consumatore, ha carattere scusabile. Di contro, una siffatta omissione può essere classificata come violazione sufficientemente qualificata quando il giudice chiamato a pronunciarsi in ultimo grado ha omesso di rilevare il carattere abusivo di una clausola contrattuale contenuta in un siffatto contratto malgrado le informazioni portate a sua conoscenza, dal consumatore stesso o con altri mezzi.

3)

È rimesso all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, fissare i criteri che consentano di accertate e valutare il pregiudizio eventualmente causato da una violazione del diritto dell’Unione.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Direttiva del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

( 3 ) V. articoli 44 e 45 della legge n. 233/1995 relativa agli ufficiali giudiziari e alla procedura esecutiva, che modifica e integra altre leggi.

( 4 ) V. articolo 50 della legge succitata e articolo 202, paragrafo 2, della legge n. 99/1993 che istituisce il codice di procedura civile.

( 5 ) V., a tal riguardo, la succitata sentenza dell’Okresný súd Prešov (Tribunale distrettuale di Prešov) del 22 ottobre 2010, cit. (v. paragrafo 11 delle presenti conclusioni), che respinge in quanto proposta prematuramente la richiesta di risarcimento avanzata dalla ricorrente del procedimento principale in ragione, segnatamente, del fatto che essa non aveva esaurito tutti i mezzi di ricorso a sua disposizione, come la domanda di annullamento del lodo arbitrale controverso.

( 6 ) Sentenza del 19 novembre 1991 (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punti da 31 a 37).

( 7 ) Sentenza del 5 marzo 1996 (C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 74).

( 8 ) V., in particolare, sentenza del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame (C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 32).

( 9 ) Sentenza del 30 settembre 2003 (C‑224/01, EU:C:2003:513, punti da 33 a 36).

( 10 ) V. sentenze del 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo (C‑173/03, EU:C:2006:391, punto 31); del 24 novembre 2011, Commissione/Italia (C‑379/10, EU:C:2011:775); del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a. (C‑160/14, EU:C:2015:565, punto 47), e del 6 ottobre 2015, Târșia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 40).

( 11 ) Sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punti da 33 a 36).

( 12 ) Sentenza del 13 giugno 2006 (C‑173/03, EU:C:2006:391, punto 32).

( 13 ) Il corsivo è mio.

( 14 ) Sentenza del 6 ottobre 2015 (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 40).

( 15 ) V., in particolare, Beutler, B., «State Liability for Breaches of Community Law by National Courts: Is the Requirement of a Manifest Infringement of the Applicable Law an Insurmountable Obstacle», Common Market Law Review 46, 2009, n. 3, pagg. da 773 a 804 (in particolare, pag. 789), e Huglo, J.-G., «La responsabilité des États membres du fait des violations du droit communautaire commises par les juridictions nationales: un autre regard», Gazette du Palais, 12 giugno 2004, I Jur., pag. 34.

( 16 ) Sentenza del 30 settembre 2003 (C‑224/01, EU:C:2003:513).

( 17 ) Sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 34).

( 18 ) Come osservava l’avvocato generale Geelhoed nelle sue conclusioni presentate nella causa Commissione/Italia (C‑129/00, EU:C:2003:319, paragrafo 63), in linea con il sistema dell’articolo 234 CE (divenuto articolo 267 TFUE) per quanto attiene all’obbligo di rinvio pregiudiziale, l’idea è che le singole decisioni di organi giurisdizionali di grado inferiore che applichino in modo inesatto il diritto dell’Unione possono ancora essere corrette nell’ambito della gerarchia degli organi giudiziari nazionali. Quand’anche ciò non avvenisse, una singola decisione errata da parte di un giudice di grado inferiore non mina necessariamente l’effetto utile della disposizione considerata nell’ambito dello Stato membro. Viceversa, siffatte conseguenze sono senz’altro probabili quando la giurisprudenza nazionale incompatibile promana dai supremi giudici nazionali, le cui indicazioni giurisprudenziali fissano comunque un orientamento per i giudici di grado inferiore nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale.

( 19 ) Così, nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo (C‑173/03, EU:C:2006:391), e del 24 novembre 2011, Commissione/Italia (C‑379/10, EU:C:2011:775), l’inadempimento contestato al giudice nazionale chiamato a pronunciarsi in ultimo grado consisteva nell’interpretazione da esso data delle disposizioni di diritto.

( 20 ) V. sentenza del 4 giugno 2015, Faber (C‑497/13, EU:C:2015:357, punto 56).

( 21 ) A tal riguardo, desidero sottolineare che è proprio in virtù del principio di equivalenza che, nella sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punti da 49 a 59), è stato sancito l’obbligo del giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi su una domanda di esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha acquisito forza di giudicato, di valutare il carattere abusivo della clausola arbitrale contenuta in un contratto concluso tra professionista e consumatore.

( 22 ) V., in particolare, sentenze del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame (C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 51); del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 51); del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 209); del 25 novembre 2010, Fuß (C‑429/09, EU:C:2010:717, punto 47), e del 14 marzo 2013, Leth (C‑420/11, EU:C:2013:166, punto 41).

( 23 ) V. sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 52).

( 24 ) V. sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 100); del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 210), e del 25 novembre 2010, Fuß (C‑429/09, EU:C:2010:717, punto 48).

( 25 ) V. sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 53), e del 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo (C‑173/03, EU:C:2006:391, punti 3242).

( 26 ) Sentenze del 27 giugno 2000, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (da C‑240/98 a C‑244/98, EU:C:2000:346, punto 25), e del 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (C‑168/05, EU:C:2006:675, punto 25).

( 27 ) Sentenze del 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (C‑168/05, EU:C:2006:675, punto 36), e del 4 giugno 2009, Pannon GSM (C‑243/08, EU:C:2009:350, punto 25).

( 28 ) V. sentenze del 27 giugno 2000, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (da C‑240/98 a C‑244/98, EU:C:2000:346, punto 27); del 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (C‑168/05, EU:C:2006:675, punto 26); del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 31), e del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 41).

( 29 ) V., in particolare, sentenze del 4 giugno 2009, Pannon GSM (C‑243/08, EU:C:2009:350, punto 32), e del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 32).

( 30 ) V. sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punti da 53 a 55), e del 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo (C‑173/03, EU:C:2006:391, punto 32).

( 31 ) V. sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 54).

( 32 ) V., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 214 e giurisprudenza citata).

( 33 ) V., in particolare, sentenze del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 46); del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 49); del 27 febbraio 2014, Pohotovosť (C‑470/12, EU:C:2014:101, punto 34); del 30 aprile 2014, Barclays Bank (C‑280/13, EU:C:2014:279, punto 34); del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García (C‑169/14, EU:C:2014:2099, punto 24); del 9 luglio 2015, Bucura (C‑348/14, EU:C:2015:447, non pubblicata, punti 43 e 44), e ordinanza del 16 luglio 2015, Sánchez Morcillo e Abril García (C‑539/14, EU:C:2015:508, punti da 26 a 28).

( 34 ) A partire dalla sentenza del 4 giugno 2009, Pannon GSM (C‑243/08, EU:C:2009:350, punto 32) la Corte sembra essersi espressa chiaramente nel senso di un «obbligo» del giudice nazionale, al di là della possibilità che gli era stata riconosciuta nelle controversie precedenti.

( 35 ) V., in particolare, sentenza del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 46 e giurisprudenza citata).

( 36 ) Come da me osservato nella mia presa di posizione nella causa Sánchez Morcillo e Abril García (C‑169/14, EU:C:2014:2110, paragrafo 53), un procedimento esecutivo come quello che era oggetto della controversia in parola, diretto al recupero di un credito munito di un titolo esecutivo che si presume valido, è per sua natura molto diverso dal procedimento di merito.

( 37 ) V., in particolare, sentenza del 1o ottobre 2015, ERSTE Bank Hungary (C‑32/14, EU:C:2015:637), per quanto attiene al procedimento semplificato di esecuzione forzata notarile esistente in Ungheria.

( 38 ) Ordinanza del 16 novembre 2010 (C‑76/10, EU:C:2010:685, punto 51).

( 39 ) Sentenze del 27 giugno 2000, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (da C‑240/98 a C‑244/98, EU:C:2000:346); del 21 novembre 2002, Cofidis (C‑473/00, EU:C:2002:705); del 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (C‑168/05, EU:C:2006:675); del 4 giugno 2009, Pannon GSM (C‑243/08, EU:C:2009:350), e del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615).

( 40 ) Ordinanza del 16 novembre 2010 (EU:C:2010:685).

( 41 ) La disposizione in parola prevedeva che qualora la risposta a una questione pregiudiziale potesse essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza o la questione non desse adito a ragionevoli dubbi, la Corte, dopo aver sentito l’avvocato generale, poteva statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata.

( 42 ) Conclusioni dell’avvocato generale Tizzano nella causa Lyckeskog (C‑99/00, EU:C:2002:108, paragrafo 74).

( 43 ) Sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335).

( 44 ) Il corsivo è mio.

( 45 ) Sentenza del 1o aprile 2004, Freiburger Kommunalbauten (C‑237/02, EU:C:2004:209, punti 2223).

( 46 ) Sentenza del 1o ottobre 2015, ERSTE Bank Hungary (C‑32/14, EU:C:2015:637, punto 62 e giurisprudenza citata).

( 47 ) V. sentenza del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame (C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punti 8485).

( 48 ) Nella sentenza del 24 marzo 2009, Danske Slagterier (C‑445/06, EU:C:2009:178, punto 69), la Corte aveva così precisato che «l’applicazione di una disciplina nazionale, la quale prevede che un soggetto non possa ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o colposamente, di evitare la realizzazione esperendo le azioni in giudizio a sua disposizione, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal soggetto leso l’utilizzo dell’azione in parola, il che spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della causa principale. La probabilità che il giudice nazionale proponga una domanda di pronuncia pregiudiziale ex articolo 234 CE o l’esistenza di un ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte non possono costituire, di per sé, un motivo sufficiente per concludere che non sia ragionevole esperire un’azione in giudizio».

( 49 ) V. sentenze del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 42); del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 58); del 24 marzo 2009, Danske Slagterier (C‑445/06, EU:C:2009:178, punto 31); del 25 novembre 2010, Fuß (C‑429/09, EU:C:2010:717, punto 62), e del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a. (C‑160/14, EU:C:2015:565, punto 50).

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