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Dokument 61972CC0029
Opinion of Mr Advocate General Roemer delivered on 21 November 1972. # S.p.A. Marimex v Italian Finance Administration. # Reference for a preliminary ruling: Tribunale di Trento - Italy. # Sanitary inspections. # Case 29-72.
Conclusioni dell'avvocato generale Roemer del 21 novembre 1972.
SpA Marimex contro Amministrazione finanziaria italiana.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale di Trento - Italia.
Controlli sanitari.
Causa 29-72.
Conclusioni dell'avvocato generale Roemer del 21 novembre 1972.
SpA Marimex contro Amministrazione finanziaria italiana.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale di Trento - Italia.
Controlli sanitari.
Causa 29-72.
Raccolta della Giurisprudenza 1972 -01309
Identifikátor ECLI: ECLI:EU:C:1972:102
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE KARL ROEMER
DEL 21 NOVEMBRE 1972 ( 1 )
Signor Presidente,
Signori Giudici,
La Marimex è una società per azioni con sede in Milano. Il 26 luglio 1971 importava dalla Germania, via Brennero, carne di vitello refrigerata e il 17 settembre 1971 importava vitelli vivi, che alla frontiera sono stati sottoposti al controllo sanitario previsto dalla legge. L'importatore doveva versare all'ufficio doganale la tassa sanitaria prevista dall'art. 32 del TU 27 luglio 1934 (integrato dalla legge 30 dicembre 1970), vale a dire 10 lire al chilogrammo per la carne e 1000 lire per capo per i vitelli.
La Marimex ritiene illegittima questa imposizione, ch'essa definisce tassa equivalente ad un dazio doganale, quindi incompatibile con l'art. 9 del trattato e — per quanto riguarda gli scambi infracomunitari nel settore delle carni bovine e dei vitelli — vietata dall'art. 22 del regolamento del Consiglio n. 805/68 relativo all'organizzazione comune del mercato nel settore delle carni bovine (GU n. L 148, pag. 24). La Marimex inoltre, invocando l'efficacia immediata delle norme summenzionate, adiva il tribunale di Trento per ottenere l'emanazione di un decreto ingiuntivo che condannasse il ministero italiano delle finanze alla restituzione della somma indebitamente percepita.
Poiché il giudizio implicava la soluzione di problemi di diritto comunitario, il giudice di merito decideva di sospendere il procedimento per adire la Corte di giustizia a norma dell'art. 177 del trattato, sottoponendole la seguente questione:
«Se un onere pecuniario che venga applicato dallo Stato italiano per ragioni di controllo sanitario sui bovini vivi e sulle carni bovine macellate al momento del loro passaggio dalla frontiera debba considerarsi una tassa ad effetto equivalente ai dazi ai sensi dell'art. 22, paragrafo 1, del regolamento n. 805/68/CEE: e ciò pur se sulla merce corrispondente prodotta all'interno dello Stato italiano venga applicato un onere pecuniario che sia a) percepito da enti diversi dallo Stato e b) quantificato secondo criteri di calcolo non comparabili con i criteri di quantificazione dell'onere pecuniario che grava sui bovini vivi e sulle carni bovine importate».
Presa visione delle osservazioni presentate dall'attrice, dal governo italiano, dal governo olandese e dalla Commissione, esporrò il mio punto di vista.
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1. |
Premetto un'osservazione sulla formulazione della domanda. Il tenore della domanda presuppone che venga definita la tassa sanitaria contemplata dalla legge italiana. La Corte non può pronunciarsi su questo punto a norma dell'art. 177, poiché una tale definizione implicherebbe sussunzione dei fatti e quindi applicazione del diritto; per di più ciò sarebbe impossibile, in quanto il nostro tribunale non dispone degli elementi di giudizio necessari a pronunciarsi in questo senso. La Corte potrà invece soltanto illustrare la nozione di «tasse d'effetto equivalente ai dazi doganali», limitandosi a prendere spunto dalla fattispecie a lei deferita per fornire un'interpretazione sui punti in cui il giudice di merito necessita chiarimenti per potersi pronunciare sul caso di specie; d'altronde il giudice nazionale è l'unico competente a pronunciarsi sul merito. Sarà quindi opportuno intendere la domanda deferita nel senso proposto dalla Commissione, vale a dire se un onere finanziario applicato da uno Stato membro per i controlli sanitari esercitati all' importazione di prodotti disciplinati dal regolamento n. 805, si debba considerare tassa di effetto equivalente anche nel caso in cui gli analoghi prodotti nazionali siano gravati da oneri equivalenti, però decretati ed applicati da autorità diverse e secondo criteri diversi, che divergono radicalmente dai criteri in base ai quali si determina una tassa all'importazione. Sotto questo aspetto nulla osta alla ricevibilità della domanda. |
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2. |
Si deve premettere ancora che è indifferente fornire l'interpretazione ispirandosi alla nozione di cui all'art. 9 del trattato (cioè al divieto immediatamente valido dal 1o gennaio 1970) oppure ispirandosi alla nozione corrispondente di cui all'art. 22 del regolamento n. 805, che dal 29 luglio 1968 vieta di applicare dazi doganali o tasse di effetto equivalente agli scambi infracomunitari nel settore delle carni bovine. La giurisprudenza ha infatti già stabilito che la nozione di tassa di effetto equivalente contenuta nel trattato è stata puramente e semplicemente trasposta nei regolamenti agricoli, ma questa trasposizione ha lasciato intatti contenuto e portata della nozione. La sentenza 24-68 (Raccolta 1969, pag. 193), conferma questo modo di vedere e l'orientamento è stato seguito anche nelle successive pronunce. |
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3. |
Ciò premesso, mi richiamo all'art. 36 del trattato che stabilisce «le disposizioni degli artt. da 30 a 34 inclusi, lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale o di tutela della proprietà industriale e commerciale». L'unica ipotesi plausibile è che sugli scambi infracomunitari si possa esercitare un controllo sanitario solo se le legislazioni nazionali in materia di polizia sanitaria non sono state ancora adeguatamente armonizzate. Questa conclusione pare possa trarsi dalle disposizioni della direttiva del Consiglio del 26 giugno 1964 inerente le questioni di polizia sanitaria relative agli scambi infracomunitari nel settore dei capi di bestiame bovini e suini, nonché dalla direttiva del Consiglio di pari data, che riguarda le stesse questioni, ma nel settore della carne fresca. Vedansi in proposito rispettivamente gli artt. 5 e 6 dei regolamenti summenzionati. Anticiperò che queste conclusioni non mi consentono ancora di pronunciarmi sulla legittimità della tassa sanitaria italiana. Non sono d'accordo con il governo olandese, secondo il quale l'art. 189 del trattato, che consente agli Stati di realizzare le finalità del trattato «salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi», implicherebbe anche la libertà di determinare il modo di finanziamento dei controlli sanitari. L'argomento mi pare inconferente proprio perché i due regolamenti di cui sopra non prescrivono al paese importatore di effettuare controlli, quindi non impongono nessun vincolo allo Stato membro, anzi, dichiarano di tollerare — nella migliore delle ipotesi — determinati comportamenti da parte degli Stati. I due regolamenti non forniscono elementi di giudizio per determinare la liceità delle tasse sanitarie in questione. La Corte ha invece voluto determinare la sfera d'applicazione dell'art. 36 del trattato in base a rigide norme d'interpretazione. Dalla sentenza 7-68 (Raccolta 1958, pag. 571) si arguisce che l'art. 36, incluso nel capo relativo all'abolizione delle limitazioni quantitative, si riferisce esclusivamente a provvedimenti che implicavano divieti d'importazione, di esportazione o di transito. La Corte ha stabilito che tali divieti sono sostanzialmente diversi dai dazi doganali e dagli oneri di effetto equivalente. Inoltre le deroghe al principio dell'abolizione di tutti gli ostacoli alla libera circolazione delle merci tra gli Stati membri, vanno interpretate restrittivamente. Le deroghe al divieto di cui all'art. 36 non potrebbero quindi estendersi a tutti i provvedimenti che non riguardano i divieti contemplati nel capitolo relativo all'abolizione delle restrizioni quantitative. L'art. 36 non contempla i dazi doganali e le tasse d'effetto equivalente; però è chiaro che, se l'art. 36 non esclude che vengano praticati controlli sanitari all'importazione delle merci provenienti dai paesi comunitari, ciò non implica la legittimità delle tasse connesse a questa operazione. Non sono poi d'accordo con la Commissione, allorché osserva che le tasse sanitarie costituiscono una componente essenziale della disciplina sull'esecuzione dei controlli sanitari e quindi sono compartecipi della loro natura. È vero che questi oneri sono destinati a finanziare i controlli sanitari, ma ciò non basta per poter sostenere che è impossibile effettuare controlli senza riscuotere la tassa. La legittimità delle tasse litigiose non può fondarsi sull'art. 36, cioè qualora esse costituissero tasse d'effetto equivalente, il divieto di cui all'art. 9 del trattato e di cui al regolamento n. 805, non può venir aggirato con un semplice richiamo alle disposizioni dell'art. 36. |
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4. |
Per interpretare la nozione di tassa di effetto equivalente alla luce della presente fattispecie, è necessario rifarci alla giurisprudenza in materia: la nozione deve innanzitutto essere definita alla luce degli interessi primari della Comunità, uno dei quali è la libera circolazione delle merci. Il divieto di applicare dazi do-ganali e tasse di effetto equivalente agli scambi infracomunitari è categorico e deve venir scrupolosamente osservato: per ottenere questo risultato la nozione deve avere una portata quanto più ampia possibile. Sono quindi considerate tasse di effetto equivalente i tributi imposti unilateralmente che gravano sui prodotti importati per il semplice effetto del passaggio della frontiera, indipendentemente dalla finalità del tributo e dalla destinazione dei fondi così raccolti. Pure irrilevanti sono la denominazione del tributo e il metodo di riscossione, non ha importanza se l'entrata rappresenta solo un cespite per lo Stato, o se la tassa ha invece funzione discriminatoria o protettiva. Lo confermano le sentenze 24-68 2 e 3-69 (Raccolta 1969, pagg. 193 e 211). Queste sentenze pongono l'accento sul solo punto che il fatto generatore del tributo è il passaggio della frontiera.
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5. |
In conclusione ritengo opportuno suggerire quanto segue: Se uno Stato membro pratica controlli sanitari all'importazione di prodotti disciplinati dal regolamento n. 805 ed applica oneri per tali controlli, gli importi versati non possono venir considerati contropartita di servizi amministrativi se i controlli sono esercitati prevalentemente nel pubblico interesse e per le merci importate non ne risulta alcun tangibile vantaggio commerciale. In questo caso gli oneri vanno piuttosto considerati tasse di effetto equivalente ai sensi dell'art. 9 del trattato CEE e dell'art. 22 del regolamento n. 805 purché i prodotti nazionali non siano soggetti a controlli esercitati secondo criteri equivalenti, che abbiano la stessa funzione del controllo alla frontiera e si esercitino solo sui prodotti nazionali. Se sussistono tali presupposti è applicabile l'art. 95 del trattato CEE, cioè si deve stabilire se non vi è discriminazione, indipendentemente dall'ente che riscuote l'onere gravante sul prodotto, che può anche essere diverso dall'ente competente ad applicare e riscuotere gli oneri connessi con i controlli interni. |
( 1 ) Traduzione dal tedesco.