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Documento 62003CJ0432
Judgment of the Court (First Chamber) of 10 November 2005.#Commission of the European Communities v Portuguese Republic.#Failure of a Member State to fulfil obligations - Articles 28 EC and 30 EC - Directive 89/106/EEC - Decision 3052/95/EC - National approval procedure - Failure to take account of approval certificates drawn up in other Member States - Construction products.#Case C-432/03.
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 10 novembre 2005.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica portoghese.
Inadempimento di uno Stato - Artt. 28 CE e 30 CE - Direttiva 89/106/CEE - Decisione 3052/95/CE - Procedimento nazionale di omologazione - Mancata presa in considerazione dei certificati di omologazione redatti in altri Stati membri - Prodotti da costruzione.
Causa C-432/03.
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 10 novembre 2005.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica portoghese.
Inadempimento di uno Stato - Artt. 28 CE e 30 CE - Direttiva 89/106/CEE - Decisione 3052/95/CE - Procedimento nazionale di omologazione - Mancata presa in considerazione dei certificati di omologazione redatti in altri Stati membri - Prodotti da costruzione.
Causa C-432/03.
Thuarascálacha na Cúirte Eorpaí 2005 I-09665
Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2005:669
Causa C-432/03
Commissione delle Comunità europee
contro
Repubblica portoghese
«Inadempimento di uno Stato — Artt. 28 CE e 30 CE — Direttiva 89/106/CEE — Decisione 3052/95/CE — Procedimento nazionale di omologazione — Mancata presa in considerazione dei certificati di omologazione redatti in altri Stati membri — Prodotti da costruzione»
Conclusioni dell’avvocato generale L. A. Geelhoed, presentate l’8 settembre 2005
Sentenza della Corte (Prima Sezione) 10 novembre 2005
Massime della sentenza
1. Ravvicinamento delle legislazioni — Prodotti da costruzione — Direttiva 89/106 — Procedura speciale in mancanza di specifiche tecniche armonizzate o riconosciute a livello comunitario — Applicazione in mancanza di indicazioni fornite dallo Stato membro di fabbricazione allo Stato membro destinatario in merito all’ente di omologazione ufficialmente riconosciuto — Esclusione — Procedura speciale indipendente dall’applicazione degli artt. 28 CE e 30 CE
(Artt. 28 CE e 30 CE; direttiva del Consiglio 89/106/CEE, art. 16)
2. Libera circolazione delle merci — Restrizioni quantitative — Misure di effetto equivalente — Normativa nazionale che assoggetta tubi di polietilene importati a una procedura di omologazione senza tener conto dei certificati di omologazione rilasciati dagli Stati membri di origine — Inammissibilità — Giustificazione — Insussistenza — Violazione del principio di proporzionalità — Inosservanza della procedura di informazione reciproca sulle misure nazionali che derogano al principio di libera circolazione delle merci
(Artt. 28 CE e 30 CE; decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 3052/95/CE, artt. 1 e 4, n. 2)
1. In forza della procedura speciale prevista dall’art. 16 della direttiva 89/106, concernente i prodotti da costruzione, un materiale da costruzione, originario di uno Stato membro e per il quale non esistano specifiche tecniche armonizzate o riconosciute a livello comunitario, dev’essere considerato dallo Stato membro di destinazione come conforme alle disposizioni in vigore in tale Stato se ha superato le prove ed i controlli effettuati nello Stato membro di produzione da un ente ufficialmente riconosciuto secondo le modalità in vigore nello Stato membro di destinazione o da questo riconosciute equivalenti.
Tuttavia, l’art. 16 della direttiva 89/106 non regola la situazione di un operatore economico che abbia importato un materiale da costruzione per il quale non esistano specifiche tecniche armonizzate o riconosciute a livello comunitario, quando lo Stato membro di produzione non abbia indicato allo Stato membro di destinazione l’ente che ha ufficialmente riconosciuto o che ha intenzione di riconoscere a tal fine.
Inoltre, la procedura speciale prevista all’art. 16 della direttiva non esclude che il rifiuto da parte di un ente di omologazione di attestare l’equivalenza di un certificato rilasciato da un ente di omologazione di uno Stato membro sia valutato con riferimento agli artt. 28 CE e 30 CE.
(v. punti 36, 38, 40)
2. L’obbligo della previa omologazione di un prodotto per attestare la sua idoneità ad un determinato uso, come pure il rifiuto, in questo contesto, del riconoscimento dell’equivalenza dei certificati di omologazione rilasciati in un altro Stato membro, restringono l’accesso al mercato dello Stato membro di importazione e costituiscono quindi una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa delle importazioni ai sensi dell’art. 28 CE.
Di conseguenza, uno Stato membro, il quale non tenga conto di certificati di omologazione rilasciati da altri Stati membri in esito ad un procedimento di omologazione di tubi di polietilene importati da tali ultimi Stati membri, viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 28 CE e 30 CE.
Infatti, anche se gli Stati membri sono liberi di assoggettare ad un nuovo procedimento di esame e di omologazione un prodotto già omologato in un altro Stato membro, le loro autorità sono tenute tuttavia a contribuire allo snellimento dei controlli nel commercio intracomunitario. Da ciò consegue che esse non hanno il diritto di esigere senza necessità analisi tecniche o chimiche o prove di laboratorio, quando le stesse analisi e prove siano già state effettuate in un altro Stato membro e i loro risultati siano a disposizione di tali autorità o possano, su loro richiesta, essere messi a loro disposizione.
La stretta osservanza di tale obbligo richiede un comportamento attivo sia da parte dell’ente nazionale investito di una domanda di omologazione di un prodotto o di riconoscimento dell’equivalenza di un certificato, sia da parte dell’ente di omologazione di un altro Stato membro il quale abbia emesso un siffatto certificato. È compito degli Stati membri assicurarsi che gli enti di omologazione competenti cooperino reciprocamente, allo scopo di facilitare i procedimenti da seguire per ottenere l’accesso al mercato nazionale dello Stato membro d’importazione.
Una misura istituita da uno Stato membro non può essere considerata necessaria per il conseguimento dello scopo perseguito se costituisce una duplicazione di controlli già effettuati nell’ambito di altri procedimenti nello Stato medesimo o in un altro Stato membro.
Inoltre, lo Stato membro interessato, non notificando alla Commissione una siffatta misura entro un termine di 45 giorni, conformemente alla decisione n. 3052/95, che istituisce una procedura d’informazione reciproca sulle misure nazionali che derogano al principio della libera circolazione delle merci all’interno della Comunità, viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 1 e 4, n. 2, della detta decisione.
(v. punti 41, 45-47, 60, 62 e dispositivo)
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
10 novembre 2005 (*)
«Inadempimento di uno Stato – Artt. 28 CE e 30 CE – Direttiva 89/106/CEE – Decisione 3052/95/CE – Procedimento nazionale di omologazione – Mancata presa in considerazione dei certificati di omologazione redatti in altri Stati membri – Prodotti da costruzione»
Nella causa C‑432/03,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 10 ottobre 2003,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. A. Caeiros, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica portoghese, rappresentata dal sig. L. Fernandes, in qualità di agente, assistito dal sig. N. Ruiz, advogado, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dal sig. K. Schiemann, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. K. Lenaerts (relatore) ed E. Juhász, giudici,
avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed
cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 9 giugno 2005,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’8 settembre 2005,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede che la Corte constati che, non avendo tenuto conto di certificati d’omologazione rilasciati da altri Stati membri in occasione di un procedimento di omologazione, ai sensi dell’art. 17 del regolamento generale portoghese sulle costruzioni urbane (Regulamento Geral das Edificações Urbanas), adottato con decreto legge 7 agosto 1951, n. 38/382 (Diário do Governo, serie I, n. 166 del 7 agosto 1951, pag. 715; in prosieguo: il «decreto legge»), di tubi di polietilene importati dai detti altri Stati membri e non avendo informato la Commissione di un siffatto provvedimento, la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 28 CE e 30 CE, nonché degli artt. 1 e 4, n. 2, della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio 13 dicembre 1995, n. 3052/95/CE, che istituisce una procedura d’informazione reciproca sulle misure nazionali che derogano al principio di libera circolazione delle merci all’interno della Comunità (GU L 321, pag. 1).
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2 La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/106/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti i prodotti da costruzione (GU 1989, L 40, pag. 12), come modificata con direttiva del Consiglio 22 luglio 1993, 93/68/CEE (GU L 220, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 89/106»), si applica, ai sensi del suo art. 1, n. 1, ai materiali da costruzione nella misura in cui valgano per essi i requisiti essenziali relativi alle opere previsti all’art. 3, n. 1, della medesima direttiva.
3 A tenore dell’art. 1, n. 2, della direttiva 89/106, è considerato come materiale da costruzione ai fini della detta direttiva «qualsiasi prodotto fabbricato al fine di essere permanentemente incorporato in opere di costruzione, le quali comprendono gli edifici e le opere di ingegneria civile».
4 Ai sensi dell’art. 2, n. 1, di questa direttiva, gli Stati membri prendono le misure necessarie per fare sì che i prodotti di cui all’art. 1 destinati ad essere impiegati in opere possano essere immessi sul mercato solo se idonei all’impiego previsto, se hanno cioè caratteristiche tali che le opere in cui devono essere inglobati, montati, applicati o installati possano, se adeguatamente progettate e costruite, soddisfare i requisiti essenziali di cui all’art. 3, se e nella misura in cui tali opere siano soggette a regolamentazioni che prevedano tali requisiti.
5 L’art. 3, n. 1, della medesima direttiva dispone che tali requisiti essenziali sono enunciati nel suo allegato I in termini di obiettivi. I detti requisiti hanno ad oggetto talune caratteristiche delle opere in materia di resistenza meccanica e stabilità, sicurezza in caso di incendio, igiene, salute e ambiente, sicurezza dell’impiego, protezione contro il rumore, risparmio energetico e ritenzione di calore.
6 Ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva 89/106, per specificazioni tecniche s’intendono, ai fini di tale direttiva, le norme e i benestare tecnici.
7 L’art. 4, n. 2, di tale direttiva prevede che gli Stati membri presumano idonei al loro impiego i prodotti che consentono alle opere in cui sono utilizzati di soddisfare i summenzionati requisiti essenziali, qualora i suddetti prodotti rechino la marcatura «CE», la quale attesta che essi sono conformi alle relative norme nazionali in cui sono state trasposte le norme armonizzate, ad un benestare tecnico europeo o alle specificazioni tecniche nazionali di cui al n. 3 di tale articolo nella misura in cui non esistano specificazioni armonizzate.
8 Il detto n. 3 consente agli Stati membri di comunicare alla Commissione i testi delle relative specificazioni tecniche nazionali che essi considerano conformi ai requisiti essenziali affinché questa trasmetta agli altri Stati membri tali specificazioni tecniche nazionali che si presumono conformi ai requisiti essenziali.
9 L’art. 6, nn. 1 e 2, della direttiva 89/106 così dispone:
«1. Gi Stati membri non ostacolano la libera circolazione, l’immissione sul mercato o l’utilizzazione nel proprio territorio di prodotti che soddisfano le disposizioni della presente direttiva.
Gli Stati membri provvedono affinché l’utilizzazione di tali prodotti ai fini cui sono destinati non venga proibita da norme o condizioni imposte da organismi pubblici o privati che agiscono sotto forma di impresa pubblica o di organismo pubblico, in base ad una posizione di monopolio.
2. Gli Stati membri consentono tuttavia che i prodotti non contemplati dall’art. 4, paragrafo 2, siano immessi sul mercato nel proprio territorio, se soddisfano prescrizioni nazionali conformi al Trattato, fintantoché le specificazioni europee di cui ai capitoli II e III dispongano diversamente. (…)».
10 L’art. 16 della stessa direttiva è così formulato:
«1. Se, per un determinato prodotto, non esistono le specificazioni tecniche di cui all’articolo 4, lo Stato membro di destinazione, agendo a richiesta e in singoli casi, considera come conformi alle disposizioni nazionali in vigore i prodotti che hanno superato le prove e i controlli effettuati, nello Stato membro di produzione, da un organismo riconosciuto secondo i metodi in vigore nello Stato membro di destinazione o riconosciuti come equivalenti da tale Stato membro.
2. Lo Stato membro di produzione comunica allo Stato membro di destinazione, la cui regolamentazione è applicabile alle prove ed ai controlli da effettuare, quale organismo esso intenda riconoscere a tal fine. Lo Stato membro di destinazione e lo Stato membro produttore si scambiano tutte le informazioni necessarie. Finito tale scambio di informazioni lo Stato membro produttore riconosce l’organismo in tal modo designato. Se uno Stato membro nutre dubbi, esso provvede a motivarli ed a informarne la Commissione.
3. Gli Stati membri provvedono a che gli organismi designati si forniscano mutua assistenza.
4. Qualora uno Stato membro constati che un organismo riconosciuto non effettua i collaudi e i controlli regolarmente secondo le sue disposizioni nazionali, esso lo comunica allo Stato membro in cui l’organismo è riconosciuto. Quest’ultimo, entro un termine appropriato, informa lo Stato membro che ha effettuato la comunicazione, circa i provvedimenti presi. Qualora lo Stato membro che ha effettuato la comunicazione non ritenga sufficienti detti provvedimenti, esso può vietare o subordinare a particolari condizioni l’immissione sul mercato e l’utilizzazione del prodotto in questione. Esso ne informa l’altro Stato membro e la Commissione».
11 La decisione n. 3052/95 all’art. 1 così dispone:
«Quando uno Stato membro si oppone alla libera circolazione o all’immissione in commercio di un certo modello o di un certo tipo di prodotto fabbricato o commercializzato legalmente in un altro Stato membro, esso notifica alla Commissione tale misura, qualora questa abbia, quale effetto diretto o indiretto,
– un divieto generale,
– un diniego di autorizzazione di immissione in commercio,
– la modifica del modello o del tipo di prodotto in causa ai fini dell’immissione o del mantenimento in commercio, o
– un ritiro dal commercio».
12 L’art. 3, n. 2, della decisione n. 3052/95 prevede che tale obbligo di notifica non si applichi, tra l’altro, alle misure adottate esclusivamente in applicazione di disposizioni comunitarie di armonizzazione e alle misure che sono notificate alla Commissione in virtù di disposizioni specifiche.
13 L’art. 4, nn. 1 e 2, di tale decisione dispone che la notifica di cui all’art. 1 è compiuta in modo sufficientemente dettagliato e in forma chiara e comprensibile e che la comunicazione delle informazioni di cui trattasi ha luogo entro un termine di 45 giorni a decorrere dalla data in cui è stata adottata la misura.
La normativa nazionale
14 In virtù dell’art. 17 del decreto legge, l’uso di nuovi materiali o metodi di costruzione per i quali non esistano specificazioni ufficiali né vi siano sufficienti sperimentazioni pratiche è soggetto a previo parere favorevole del laboratorio nazionale del genio civile del Ministero dei Lavori pubblici (Laboratório Nacional de Engenharia Civil; in prosieguo: l’«LNEC»).
15 Secondo i decreti del Ministero dei Lavori pubblici 2 novembre 1970 (Diário do Governo, serie II, n. 261 del 10 novembre 1970, pag. 7834) e 7 aprile 1971 (Diário do Governo, serie II, n. 91 del 19 aprile 1971, pag. 2357), solo i materiali plastici omologati dall’LNEC possono essere utilizzati nella rete di distribuzione idrica.
Fase precontenziosa
16 Nell’aprile 2000 la Commissione ha ricevuto una denuncia da una società portoghese a cui l’organismo di controllo, la Empresa Pública de Águas Livres de Lisboa SA (in prosieguo: la «EPAL»), non aveva concesso l’autorizzazione richiesta per l’installazione di tubi di polietilene importati da Italia e Spagna nel sistema di tubature di un edificio con la motivazione che i tubi non erano stati omologati dall’LNEC. La società denunciante si è poi rivolta all’LNEC per ottenere l’attestazione dell’equivalenza dei certificati stranieri di cui era in possesso.
17 Con lettera 26 maggio 2000, l’LNEC informava l’impresa denunciante del rigetto della sua richiesta di un attestato di equivalenza del certificato rilasciato dall’Istituto Italiano dei Plastici (in prosieguo: l’«IIP») con la motivazione che quest’ultimo non figurava tra i membri dell’associazione europea per il benestare tecnico delle costruzioni (in prosieguo: l’«UEATC»), né era uno degli altri organismi con cui l’LNEC aveva concluso un accordo di cooperazione nel settore di cui trattasi.
18 Con lettera di diffida 12 settembre 2000, la Commissione informava la Repubblica portoghese che, assoggettando, in virtù dell’art. 17 del decreto legge, tubi di polietilene importati da altri Stati membri ad una procedura di omologazione senza tenere in considerazione i certificati emessi da un organismo di certificazione in tali altri Stati membri e non informando la Commissione di siffatta misura, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 28 CE e 30 CE e degli artt. 1 e 4, n. 2, della decisione n. 3052/95.
19 Giudicando insoddisfacente la risposta dalle autorità portoghesi, la Commissione indirizzava loro il 16 maggio 2001 un parere motivato con il quale le invitava ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro un termine di due mesi dalla notifica
20 Non essendo soddisfatta della risposta delle autorità portoghesi, la Commissione ha proposto il presente ricorso.
Sul ricorso
La prima censura, che deduce la violazione degli artt. 28 CE e 30 CE
Argomenti delle parti
21 La Commissione rileva, in primo luogo, che, se è vero che i tubi di cui trattasi sono «materiali da costruzione» ai sensi della direttiva 89/106, essi non costituiscono oggetto di norme armonizzate ai sensi dell’art. 4 di tale direttiva. Per quanto riguarda il procedimento speciale previsto dall’art. 16 della direttiva, esso non sarebbe stato applicabile nella specie in ragione, da una parte, del fatto che non esisterebbero specificazioni tecniche portoghesi relative ai tubi di cui trattasi e, dall’altra, del fatto che le modalità di certificazione e di concessione di omologazione in vigore nei due Stati membri di cui trattasi non sarebbero né identiche né equivalenti. Le regole alle quali i detti tubi sono soggetti in Portogallo dovrebbero pertanto essere esaminate alla luce degli artt. 28 CE e 30 CE.
22 Infatti, il procedimento di omologazione al quale è subordinata, ai sensi dell’art. 17 del decreto legge, l’utilizzazione di tubi di polietilene importati da altri Stati membri costituirebbe una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione. Le autorità portoghesi non avrebbero indicato le ragioni per le quali i tubi di cui trattasi non assicurano un livello di protezione della salute e della vita delle persone equivalenti a quello che la normativa portoghese vuole assicurare.
23 Conformemente alla giurisprudenza in materia di libera circolazione delle merci, le autorità portoghesi sarebbero obbligate a tener conto dei certificati rilasciati da enti di certificazione di altri Stati membri che, pur non essendo membri della UEATC, sono riconosciuti dagli altri Stati membri come abilitati alla certificazione dei prodotti di cui trattasi. Le autorità portoghesi, se non disponevano di informazioni sufficienti sul contesto giuridico nel quale l’IIP aveva emesso il suo certificato, avrebbero potuto ottenerle dalle autorità italiane.
24 Per quanto riguarda l’obiettivo di tutela della salute e della vita delle persone, sarebbe inoltre sproporzionato negare l’omologazione dei tubi per il motivo che l’LNEC riserva l’omologazione a sistemi di impianto idraulico.
25 Ad ogni modo, per essere giustificato anche se deroga a libertà fondamentali, un regime di previa autorizzazione amministrativa dovrebbe essere basato su criteri obiettivi, non discriminatori e conosciuti in anticipo, in modo da circoscrivere l’esercizio del potere discrezionale di valutazione delle autorità nazionali affinché tale potere non venga esercitato in maniera arbitraria.
26 Il governo portoghese sostiene che le disposizioni nazionali di cui trattasi danno semplicemente esecuzione all’art. 2 della direttiva 89/106, il quale fa obbligo agli Stati membri di far sì che i materiali da costruzione possano essere immessi sul mercato solo se la loro utilizzazione nelle opere alle quali essi sono destinati consente a queste ultime di soddisfare i requisiti essenziali sanciti nell’allegato I di tale direttiva.
27 Siccome i tubi di cui trattasi non costituiscono l’oggetto né di una norma armonizzata o di un accordo tecnico europeo, né di una specificazione tecnica nazionale riconosciuta a livello comunitario, la Repubblica portoghese avrebbe il diritto di sottoporli ad un procedimento di omologazione quale previsto all’art. 17 del decreto legge.
28 Per quanto riguarda i prodotti considerati nella direttiva 89/106, il principio secondo il quale uno Stato membro non potrebbe esigere analisi o prove qualora queste siano state già state effettuate in un altro Stato membro si concretizzerebbe del resto nel procedimento speciale di controllo di conformità previsto dall’art. 16 di tale direttiva. Orbene, nella specie, la Repubblica italiana, in quanto Stato di produzione, non avrebbe seguito tale procedura.
29 Dal momento che l’LNEC non era in grado di cooperare con l’IIP, non avrebbe potuto, pena la violazione dell’art. 16 della direttiva 89/106, omologare i tubi sulla sola base del certificato emesso dall’IIP. Infatti, riconoscere un certificato in tali condizioni equivarrebbe ad accettare il principio del riconoscimento di qualsiasi certificato emesso da qualsiasi ente indipendentemente da qualsiasi garanzia circa l’idoneità dei prodotti di cui trattasi e l’effettività e sufficienza dei meccanismi di controllo.
30 Infine, un regime basato sul controllo della conformità dei sistemi di impianto idraulico non ostacolerebbe necessariamente gli scambi di tubi tra il Portogallo e gli altri Stati membri più di un regime di omologazione di tubi singoli. Infatti, la garanzia della sicurezza delle costruzioni non potrebbe essere assicurata dal solo controllo dei tubi isolati.
Giudizio della Corte
31 Prima di esaminare la conformità del procedimento di omologazione, previsto dall’art. 17 del decreto legge, con gli artt. 28 CE e 30 CE, occorre verificare se, come sostenuto dal governo portoghese, la Repubblica portoghese, applicando tale procedimento, si sia solo limitata a conformarsi agli obblighi derivanti dalla direttiva 89/106.
32 La direttiva 89/106 ha come scopo principale quello di eliminare gli ostacoli agli scambi creando condizioni che consentano ai materiali da costruzione di essere liberamente commercializzati all’interno della Comunità. A tal fine, essa precisa i requisiti essenziali cui debbono soddisfare gli edifici e le opere nei quali i materiali da costruzione debbono essere utilizzati e che sono attuati mediante norme armonizzate e norme nazionali di trasposizione, mediante benestare tecnici europei e mediante specificazioni tecniche nazionali riconosciute a livello comunitario. Ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 89/106, gli Stati membri non ostacolano la libera circolazione, l’immissione sul mercato o l’utilizzazione nel proprio territorio di prodotti che soddisfano le disposizioni di questa stessa direttiva.
33 Le parti concordano sul fatto che i tubi di cui trattasi, pur essendo «materiali da costruzione» ai sensi della direttiva 89/106, non costituiscono l’oggetto né di una norma armonizzata o di un benestare tecnico europeo né di una specificazione tecnica nazionale riconosciuta a livello comunitario ai sensi dell’art. 4, n. 2, di tale direttiva.
34 Orbene, per quanto riguarda i materiali da costruzione che non ricadono sotto l’art. 4, n. 2, della direttiva 89/106, l’art. 6, n. 2, di tale direttiva dispone che gli Stati membri ne consentono l’immissione sul mercato nel loro territorio se tali prodotti soddisfano prescrizioni nazionali conformi al Trattato CE e fintantoché le specificazioni tecniche europee dispongano diversamente.
35 Così la direttiva 89/106 conferma che uno Stato membro può assoggettare l’immissione sul mercato nel suo territorio di un materiale da costruzione non rientrante in specificazioni tecniche armonizzate o riconosciute a livello comunitario solo a disposizioni nazionali conformi agli obblighi che derivano dal Trattato, in particolare al principio della libera circolazione delle merci sancito negli artt. 28 CE e 30 CE.
36 È vero che l’art. 16 della direttiva 89/106 prevede una procedura speciale, ai sensi della quale un materiale da costruzione, originario di uno Stato membro e per il quale non esistano specifiche tecniche armonizzate o riconosciute a livello comunitario, dev’essere considerato dallo Stato membro di destinazione come conforme alle disposizioni in vigore in tale Stato se ha superato le prove ed i controlli effettuati nello Stato membro di produzione da un ente ufficialmente riconosciuto secondo le modalità in vigore nello Stato membro di destinazione o da questo riconosciute equivalenti.
37 Conformemente a tale procedimento speciale, lo Stato membro di destinazione e lo Stato membro di produzione si scambiano tutte le informazioni necessarie per consentire a quest’ultimo di riconoscere un organismo a tal fine. Se uno Stato membro nutre dubbi, provvede a motivarli e a informarne la Commissione, conformemente all’art. 16, n. 2, della direttiva 89/106.
38 Tuttavia, l’art. 16 della direttiva 89/106 non regola la situazione di un operatore economico che abbia importato un materiale da costruzione per il quale non esistano specificazioni tecniche armonizzate o riconosciute a livello comunitario, quando lo Stato membro di produzione non abbia indicato allo Stato membro di destinazione l’ente che ha ufficialmente riconosciuto o che ha intenzione di riconoscere a tal fine.
39 Inoltre, l’inazione di uno degli Stati membri interessati dal detto procedimento non può, di per sé, giustificare l’esistenza di una restrizione alla libera circolazione delle merci di fronte alla quale verrebbe a trovarsi un operatore economico in occasione dell’utilizzazione del prodotto di cui trattasi in un altro Stato membro.
40 Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo portoghese, la procedura speciale previsto all’art. 16 della direttiva non esclude che il rifiuto da parte di un ente di omologazione, quale l’LNEC, di attestare, nell’ambito di un procedimento di omologazione come quello risultante dall’art. 17 del decreto legge e dai decreti ministeriali del 1970 e 1971, l’equivalenza di un certificato rilasciato da un ente di omologazione di uno Stato membro sia valutato con riferimento agli artt. 28 CE e 30 CE.
41 Si deve a questo proposito rilevare che l’obbligo della previa omologazione di un prodotto per attestare la sua idoneità ad un determinato uso, come pure il rifiuto, in questo contesto, del riconoscimento dell’equivalenza dei certificati rilasciati in un altro Stato membro, restringono l’accesso al mercato dello Stato membro di importazione e costituiscono quindi una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa delle importazioni ai sensi dell’art. 28 CE (v., in questo senso, sentenza 8 maggio 2003, causa C‑14/02, ATRAL, Racc. pag. I‑4431, punti 62 e 63).
42 Secondo una giurisprudenza costante, una siffatta misura può essere giustificata solo da uno dei motivi di interesse generale enumerati all’art. 30 CE o da una delle ragioni imperative sancite dalla giurisprudenza della Corte, a condizione, in particolare, che tale provvedimento sia idoneo a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vada oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (v. sentenze 22 gennaio 2002, causa C‑390/99, Canal Satélite Digital, Racc. pag. I‑607, punto 33; 20 giugno 2002, cause riunite C‑388/00 e C‑429/00, Radiosistemi, Racc. pag. I‑5845, punti 40-42, e 8 settembre 2005, causa C‑40/04, Yonemoto, Racc. pag. I‑I‑7755, punto 55).
43 Il procedimento di omologazione previsto dall’art. 17 del decreto legge ha lo scopo di garantire la sicurezza dei materiali utilizzati negli stabilimenti e nelle opere di costruzione e, serve, di conseguenza, anch’esso a perseguire l’obiettivo di protezione della salute e della vita delle persone.
44 Dalla costante giurisprudenza risulta che, in mancanza di una normativa di armonizzazione, gli Stati membri restano liberi di decidere in merito al livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone e al requisito di una previa autorizzazione all’immissione sul mercato di tali prodotti (v. sentenza 27 giugno 1996, causa C‑293/94, Brandsma, Racc. pag. I‑3159, punto 11).
45 Tuttavia, una misura istituita da uno Stato membro non può essere considerata necessaria per il conseguimento dello scopo perseguito se costituisce una duplicazione di controlli già effettuati nell’ambito di altri procedimenti nello Stato medesimo o in un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza, Canal Satélite Digital, citata, punto 36).
46 Come la Corte ha già affermato, anche se gli Stati membri sono liberi di assoggettare ad un nuovo procedimento di esame e di omologazione un prodotto già omologato in un altro Stato membro, le loro autorità sono tenute tuttavia a contribuire allo snellimento dei controlli nel commercio intracomunitario. Da ciò consegue che esse non hanno il diritto di esigere senza necessità analisi tecniche o chimiche o prove di laboratorio, quando le stesse analisi e prove siano già state effettuate in un altro Stato membro e i loro risultati siano a disposizione di tali autorità o possano, su loro richiesta, essere messi a loro disposizione (sentenze 17 dicembre 1981, causa 272/80, Frans-Nederlandse Maatschappij voor Biologische Producten, Racc. pag. 3277, punto 14; Brandsma, citata, punto 12, e 17 settembre 1998, causa C‑400/96, Harpegnies, Racc. pag. I‑5121, punto 35).
47 La stretta osservanza di tale obbligo richiede un comportamento attivo da parte dell’ente nazionale investito di una domanda di omologazione di un prodotto o di riconoscimento, in questo contesto, dell’equivalenza di un certificato emesso da un ente di omologazione di un altro Stato membro. Un siffatto comportamento attivo s’impone del resto, se del caso, anche a quest’ultimo ente ed è compito, a questo riguardo, degli Stati membri assicurarsi che gli enti di omologazione competenti cooperino reciprocamente, allo scopo di facilitare i procedimenti da seguire per ottenere l’accesso al mercato nazionale dello Stato membro di importazione.
48 Nella specie, l’LNEC ha rifiutato di riconoscere l’equivalenza del certificato rilasciato dall’IIP per il motivo che quest’ultimo organismo non era membro della UEATC, alla quale l’LNEC è affiliato, e non aveva concluso con questo alcun accordo di cooperazione nel settore di cui trattasi. Dagli atti risulta che l’LNEC non ha né chiesto all’impresa denunciante le informazioni da essa detenute che gli avrebbero consentito di valutare la natura del certificato emesso dall’IIP, né contattato quest’ultimo al fine di ottenere siffatte informazioni.
49 Orbene, assoggettando, a norma dell’art. 17 del decreto legge, l’utilizzazione del prodotto di cui trattasi ad un procedimento di omologazione senza tener conto, in questo contesto, di un certificato rilasciato da un ente di omologazione di un altro Stato membro e senza chiedere all’impresa denunciante o al detto ente le informazioni necessarie, le autorità portoghesi sono venute meno al dovere di cooperazione che deriva, nell’ambito di una domanda di omologazione di un prodotto importato da un altro Stato membro, dagli artt. 28 CE e 30 CE.
50 Per quanto riguarda i requisiti concreti ai quali l’omologazione dei tubi di cui trattasi dovrebbe essere soggetta in Portogallo, i quali, secondo il governo portoghese, vanno oltre i requisiti tecnici accolti dall’IIP, si deve ricordare che un regime di previa autorizzazione amministrativa, per essere giustificato anche quando deroghi ad una libertà fondamentale, deve comunque fondarsi su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, in modo da circoscrivere l’esercizio del potere discrezionale delle autorità nazionali affinché esso non sia usato in modo arbitrario (sentenza Canal Satélite Digital, citata, punto 35).
51 Orbene, l’art. 17 del decreto legge, nella misura in cui prevede unicamente che l’uso di nuovi materiali o procedimenti di costruzione per i quali non esistono specificazioni ufficiali né pratica sufficiente di utilizzazione è subordinato alla previa autorizzazione dell’LNEC, già non soddisfa siffatti requisiti.
52 Assoggettando i tubi di cui trattasi ad un procedimento di omologazione quale quello previsto all’art. 17 del decreto legge, la normativa portoghese non rispetta pertanto il principio di proporzionalità ed è, di conseguenza, in contrasto con gli artt. 28 CE e 30 CE.
53 Da ciò consegue che il primo motivo sollevato dalla Commissione è fondato.
Sul secondo motivo che deduce la violazione degli artt. 1 e 4, n. 2, della decisione n. 3052/95
Argomenti delle parti
54 La Commissione sostiene che il rifiuto della EPAL di omologare i prodotti di cui trattasi in assenza di un certificato dell’LNEC e il rifiuto di quest’ultimo di riconoscere l’equivalenza del certificato rilasciato dall’IIP costituiscono, insieme considerati, una «misura» ai sensi della decisione n. 3052/95, che avrebbe pertanto dovuto esserle notificata nei 45 giorni successivi alla sua adozione.
55 Il governo portoghese replica che dall’art. 3, n. 2, della decisione n. 3052/95 risulta che tale obbligo di modifica non si applica alle misure adottate unicamente in applicazione di disposizioni comunitarie di armonizzazione. Orbene, rifiutando di riconoscere il certificato emesso dalla IIP come equivalente ad un’omologazione nazionale, la Repubblica portoghese non avrebbe fatto altro che dare attuazione all’obbligo che le incombe in forza della direttiva 89/106.
Giudizio della Corte
56 L’art. 1 della decisione n. 3052/95 ha ad oggetto le misure con le quali uno Stato membro ostacola la libera circolazione dei prodotti fabbricati o commercializzati legalmente in un altro Stato membro.
57 Per «misura» la decisione n. 3052/95 intende qualsiasi misura adottata da uno Stato membro, diversa da una decisione giudiziaria, avente l’effetto di limitare la libera circolazione di merci legalmente prodotte o commercializzate in uno Stato membro, quale che ne sia la forma o l’autorità dalla quale promana (sentenza Radiosistemi, citata, punto 68).
58 Nei limiti in cui le decisioni adottate dalla EPAL e dall’LNEC, ai sensi del decreto legge e dei decreti ministeriali 2 novembre 1970 e 7 aprile 1971, hanno di fatto, nel loro insieme, l’effetto di vietare l’utilizzo dei tubi di cui trattasi, debbono considerarsi come una misura ai sensi dell’art. 1 della decisione n. 3052/95.
59 Come è stato rilevato supra ai punti 31-35, non si tratta di una misura prescritta dalla direttiva 89/106. Contrariamente a quanto asserito dalla Repubblica portoghese, la misura di cui trattasi non beneficia pertanto dell’esenzione dalla notifica prevista all’art. 3, n. 2, della decisione n. 3052/95.
60 La Repubblica portoghese, non avendo notificato alla Commissione una siffatta misura entro il termine di 45 giorni, ha pertanto violato gli obblighi che le incombono in forza della decisione n. 3052/95.
61 Di conseguenza, anche la seconda censura della Commissione è fondata.
62 Alla luce di tutto quanto sopra considerato, si deve constatare che, non avendo tenuto conto di certificati di omologazione rilasciati da altri Stati membri in occasione di un procedimento di omologazione, a norma dell’art. 17 del decreto legge, di tubi di polietilene importati da tali altri Stati membri e non avendo informato la Commissione di una siffatta misura, la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 28 CE e 30 CE, nonché degli artt. 1 e 4, n. 2, della decisione n. 3052/95.
Sulle spese
63 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica portoghese, quest’ultima, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:
1) Non avendo tenuto conto di certificati di omologazione rilasciati da altri Stati membri in esito ad un procedimento di omologazione, ai sensi dell’art. 17 del regolamento generale sulle costruzioni urbane, adottato con decreto legge 7 agosto 1951, n. 38/382, di tubi di polietilene importati da tali altri Stati membri e non avendo informato la Commissione delle Comunità europee di una siffatta misura, la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 28 CE e 30 CE, nonché degli artt. 1 e 4, n. 2, della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio 13 dicembre 1995, n. 3052/95/CE, che istituisce una procedura d’informazione reciproca sulle misure nazionali che derogano al principio di libera circolazione delle merci all’interno della Comunità.
2) La Repubblica portoghese è condannata alle spese.
Firme
* Lingua processuale: il portoghese.