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Document 61994CC0206

Conclusioni dell'avvocato generale Cosmas del 30 gennaio 1996.
Brennet AG contro Vittorio Paletta.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundesarbeitsgericht - Germania.
Previdenza sociale - Riconoscimento dell'inabilità al lavoro.
Causa C-206/94.

Raccolta della Giurisprudenza 1996 I-02357

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1996:20

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

GEORGES COSMAS

presentate il 30 gennaio 1996 ( *1 )

Indice

 

Osservazioni introduttive

 

I — Sfondo normativo

 

II — Fatti

 

III — Questioni pregiudiziali

 

IV — Soluzione delle questioni pregiudiziali

 

A — Sulla ricevibilità

 

B — Nel merito

 

1) Sulla prima questione

 

Nozione di prestazioni in denaro immediatamente necessarie

 

2) Sulla seconda questione

 

a) Efficacia probante dei certificati medici

 

i) Inquadramento del problema

 

ii) Giurisprudenza in materia

 

b) Soluzione proposta

 

3) Sulla terza questione

 

Compatibilità delle disposizioni controverse con il principio di proporzionalità

 

Conclusione

Osservazioni introduttive

1.

Nella causa odierna il Bundesarbeitsgericht chiede alla Corte, a norma dell'art. 177, primo comma, lett. a) e b), e terzo comma, del Trattato CE, di risolvere varie questioni pregiudiziali sull'interpretazione dell'art. 22, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408 ( 1 ), e sull'interpretazione della sentenza della Corte 3 giugno 1992, causa C-45/90, Paletta ( 2 ) (in prosieguo: la «sentenza Paletta I»), vertente sull'interpretazione dell'art. 18, nn. 1-5, del regolamento (CEE) del Consiglio 21 marzo 1972, n. 574 ( 3 ), nonché la questione pregiudiziale se quest'ultima disposizione strida con il principio della proporzionalità.

2.

La presente causa offre il destro per pronunciarsi sul contenuto dell'obbligo del datore di lavoro di versare prestazioni immediate, a norma dell'art. 22, n. 1, del regolamento n. 1408/71. Presenta dunque l'occasione di esaminare la possibilità per il datore di lavoro, oltre a quella offertagli dall'art. 18, n. 5, del regolamento n. 574/72, di invocare circostanze che costituiscono un caso di abuso, cioè circostanze che comprovano o fanno seriamente supporre che i certificati medici che attestano l'inabilità al lavoro del dipendente e la sua eventuale durata sono frutto di manovra fraudolenta dell'interessato. Si deve perciò stabilire se la possibilità di contestare la diagnosi clinica del medico dell'ente previdenziale del luogo di residenza del lavoratore si limiti a far esaminare quest'ultimo da parte del medico di fiducia del datore di lavoro. Vedremo infine la questione se, nell'ipotesi in cui il datore di lavoro non disponga di detta possibilità, la disposizione contestata dell'art. 18, nn. 1-5, del regolamento n. 574/72 strida con il principio di proporzionalità.

I — Sfondo normativo

3.

Il regolamento n. 1408/71 riguarda l'applicazione dei vari sistemi di previdenza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità. Il Consiglio, conformemente al quinto ‘considerando’ di detto regolamento, ha ritenuto «che le norme di coordinamento delle legislazioni nazionali sulla sicurezza sociale s'inseriscono nel quadro della libera circolazione dei lavoratori cittadini degli Stati membri e devono perciò contribuire al miglioramento del loro tenore di vita e condizioni di lavoro, garantendo all'interno della Comunità, da un lato, a tutti i cittadini degli Stati membri la parità di trattamento di fronte alle diverse legislazioni nazionali e, dall'altro, ai lavoratori e ai loro rispettivi aventi diritto il beneficio delle prestazioni di sicurezza sociale, qualunque sia il luogo di occupazione o di residenza».

4.

All'art. 22 del regolamento n. 1408/71 si disciplinano, tra l'altro, le prestazioni in natura e in denaro allorché il lavoratore dimora fuori dello Stato competente. In pratica si dispone quanto segue:

«1.

Il lavoratore che soddisfa le condizioni richieste dalla legislazione dello Stato competente per aver diritto alle prestazioni, tenuto conto eventualmente di quanto disposto dall'articolo 18, e

a)

il cui stato di salute necessita di prestazioni immediate durante la dimora nel territorio di un altro Stato membro (...)

(...)

ha diritto:

i)

alle prestazioni in natura erogate, per conto dell'istituzione competente, dall'istituzione del luogo di dimora o di residenza secondo le disposizioni della legislazione che essa applica, come se fosse ad essa iscritto (...);

ii)

alle prestazioni in danaro erogate dall'istituzione competente secondo le disposizioni della legislazione che essa applica (...).

2.

(...)».

5.

L'art. 18, nn. 1-5, del regolamento n. 574/72, che contiene le norme di attuazione del regolamento n. 1408/71, dispone quanto segue:

«Prestazioni in denaro in caso di residenza in uno Stato membro diverso dallo Stato competente

1.

Per beneficiare delle prestazioni in denaro ai sensi dell'articolo 19, paragrafo 1, lettera b), del regolamento, il lavoratore subordinato o autonomo è tenuto a rivolgersi, entro tre giorni dall'inizio dell'inabilità al lavoro, all'istituzione del luogo di residenza presentando un avviso di interruzione del lavoro o, se la legislazione applicata dall'istituzione competente o dall'istituzione del luogo di residenza lo prevede, un certificato di inabilità al lavoro rilasciato dal medico curante.

2.

Se i medici curanti del paese di residenza non rilasciano certificati di inabilità al lavoro, l'interessato si rivolge direttamente all'istituzione del luogo di residenza entro i termini fissati dalla legislazione che essa applica.

Questa istituzione fa procedere immediatamente all'accertamento medico dell'inabilità stessa al lavoro ed alla compilazione del certificato di cui al paragrafo 1. Tale certificato, nel quale si precisa la durata probabile dell'inabilità stessa, è trasmesso, senza indugio, all'istituzione competente.

3.

Nei casi in cui non si applichi il paragrafo 2, l'istituzione del luogo di residenza procede, non appena possibile e comunque entro tre giorni dalla data alla quale l'interessato si è rivolto ad essa, al controllo medico dello stesso come se si trattasse di un proprio assicurato. Il rapporto del medico di controllo, che indica in particolare la durata probabile dell'inabilità al lavoro, è trasmesso dall'istituzione del luogo di residenza all'istituzione competente entro tre giorni dalla data del controllo.

4.

L'istituzione del luogo di residenza procede successivamente, se necessario, al controllo amministrativo o sanitario dell'interessato come se si trattasse di un proprio assicurato. Non appena costata che è in grado di riprendere il lavoro, essa avverte senza indugio l'interessato nonché l'istituzione competente, indicando la data alla quale prende fine l'inabilità al lavoro. Ferme restando le disposizioni del paragrafo 6, la notifica all'interessato ha il valore di decisione presa per conto dell'istituzione competente.

5.

L'istituzione competente conserva comunque la facoltà di far procedere al controllo dell'interessato da parte di un medico di sua scelta.

6.

(...)».

6.

Osservo che la caratteristica fondamentale del sopraccitato art. 18 sta nel fatto che, anche se l'interessato ottiene un certificato di inabilità al lavoro dal medico curante del suo luogo di residenza, l'istituzione del luogo di residenza deve, entro il termine di tre giorni, disporre una visita medica del lavoratore, comunicando all'ente competente il risultato e la probabile durata dell'inabilità al lavoro entro tre giorni dall'effettuazione del controllo ( 4 ). Di conseguenza, il certificato di inabilità di importanza decisiva è quello rilasciato non dal medico curante, bensì dal medico di fiducia dell'ente competente del luogo di residenza ( 5 ).

7.

L'art. 24 del regolamento n. 574/72 recita:

«Prestazioni in denaro ai lavoratori subordinati o autonomi in caso di dimora in uno Stato membro diverso dallo Stato competente

Per beneficiare delle prestazioni in denaro ai sensi dell'articolo 22, paragrafo 1, lettera a), punto ii) del regolamento, le disposizioni dell'articolo 18 del regolamento di applicazione sono applicabili per analogia. Tuttavia, fatto salvo l'obbligo di presentare un certificato di incapacità al lavoro, il lavoratore subordinato o autonomo che dimora nel territorio di uno Stato membro senza esercitarvi un'attività professionale non è tenuto a presentare l'avviso di interruzione del lavoro di cui all'articolo 18, paragrafo 1 del regolamento di applicazione».

8.

In virtù dell'art. 1, n. 1, primo comma, del Lohnfortzahlungsgesetz (in prosieguo: il «LFZG») del 27 luglio 1969 ( 6 ) il lavoratore che, dopo l'inizio del suo rapporto di lavoro, è colpito da inabilità lavorativa per malattia ed è costretto all'inattività per cause indipendenti dalla sua volontà, non perde il diritto alla retribuzione durante il periodo di inabilità al lavoro fino a un massimo di sei settimane.

9.

In base all'art. 3, n. 1, primo comma, del LFZG, il lavoratore deve inoltre informare immediatamente il datore di lavoro quanto alla sua inabilità e alla probabile durata di questa e presentare, entro tre giorni lavorativi dall'inizio della stessa, un certificato medico comprovante il suo stato di salute e la durata prevista dell'indisposizione.

II — Fatti

10.

Il signor Vittorio Paletta (in prosieguo: il signor «Paletta»), cittadino italiano, ha lavorato dal febbraio 1974 all'aprile 1991 nella Repubblica federale di Germania come operaio di manutenzione presso la ditta Brennet. Nella stessa impresa lavorano pure la moglie e i due figli maggiorenni.

11.

Il 17 luglio 1989 il signor Paletta, la moglie e i due figli si recavano in Italia per un periodo di ferie che sarebbe dovuto durare fino al 12 agosto 1989. Nel periodo di ferie tutta la famiglia Paletta si dichiarava ammalata, il signor Paletta dal 7 agosto, la moglie dal 27 luglio, il figlio dal 31 luglio e la figlia dal 2 agosto 1989.

12.

Il signor Paletta inviava all'ente assicuratore del datore di lavoro (in prosieguo: la «Brennet») cinque certificati di malattia, redatti in italiano, rilasciati dall'Unità Sanitaria Locale — Regione Calabria (in prosieguo: l'«USL»). Il primo di essi, datato 7 agosto 1989, perveniva all'ente assicuratore della Brennet il 15 agosto 1989. Il certificato dichiarava che il signor Paletta era ammalato, senza far cenno ad inabilità al lavoro. In complesso, tutti i membri della famiglia erano dichiarati ammalati fino al 25 settembre 1989. L'ente assicuratore trasmetteva alla Brennet il certificato del 7 agosto 1989 e la teneva al corrente dell'ulteriore evoluzione della malattia dichiarata. Il 6 ottobre 1989 pervenivano all'ente assicuratore della Brennet regolari dichiarazioni su modulo dell'USL attestanti l'inabilità al lavoro e si chiedeva il versamento di prestazioni pecuniarie per questo motivo.

13.

La Brennet si rifiutava di versare la retribuzione per il periodo di malattia ai sensi del LFZG, esprimendo seri dubbi sull'inabilità al lavoro del signor Paletta. In particolare essa sottolineava che anche negli anni precedenti il signor Paletta e i suoi familiari si erano ammalati contemporaneamente durante le ferie nel paese d'origine. Questa circostanza, secondo la giurisprudenza del Bundesarbeitsgericht, farebbe venir meno il valore probatorio dei certificati medici prodotti e il lavoratore sarebbe tenuto a presentare prove supplementari della sua inabilità al lavoro.

14.

Il signor Paletta e i suoi familiari adivano l'Arbeitsgericht di Lörrach, citando la Brennet per mancata corresponsione della retribuzione nel periodo di malattia, vale a dire dal 7 agosto 1989 al 16 settembre 1989 ( 7 ).

15.

L'Arbeitsgericht di Lörrach, con ordinanza 31 gennaio 1990, chiedeva alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale sulle seguenti questioni:

«1)

Se i principi enunciati nella sentenza 22/86 della Terza Sezione della Corte di giustizia delle Comunità europee il 12 marzo 1987, relativamente all'interpretazione dell'art. 18, nn. 1 e 5, del regolamento (CEE) del Consiglio n. 574/72, si possano applicare, interamente o parzialmente, anche al caso in cui le prestazioni in denaro per malattia, ai sensi degli artt. 1 e seguenti del Lohnfortzahlungsgesetz 27 luglio 1969 della Repubblica federale di Germania (Bundesgesetzblatt, I, pag. 946, modificato da ultimo con legge 20 dicembre 1988, Bundesgesetzblatt, I, pag. 2477), siano dovute dal datore di lavoro e non dall'ente previdenziale.

In particolare:

2)

Se l'ente, tenuto ai sensi del diritto della Repubblica federale di Germania a garantire ai lavoratori la salvaguardia della retribuzione in caso di malattia a norma degli artt. 1 e seguenti del Lohnfortzahlungsgesetz, debba decidere se accogliere o meno la domanda di prestazioni in denaro fondandosi, in fatto e in diritto, sugli accertamenti in merito al sopravvenire e alla durata dell'inabilità al lavoro effettuati dall'ente previdenziale del luogo di residenza del lavoratore.

3)

Se la questione n. 1), in caso di soluzione affermativa, vada risolta affermativamente anche qualora il datore di lavoro, che ai sensi dell'art. 1 è tenuto a garantire la salvaguardia della retribuzione, non abbia alcuna possibilità, in fatto e in diritto, di controllare l'accerta^ mento del sopravvenire dell'inabilità al lavoro se non sollecitando presso la competente cassa malattia — la quale peraltro in questo caso è tenuta alle prestazioni solo in via subordinata — una visita di controllo del lavoratore da parte di un medico (di fiducia) di sua scelta ai sensi dell'art. 18, n. 5, del regolamento (CEE) n. 574/72».

16.

Nella sentenza Paletta I ( 8 ), la Corte così risolveva le questioni sollevate:

«L'art. 18, nn. 1-4, del regolamento (CEE) del Consiglio 21 marzo 1972, n. 574, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, va interpretato nel senso che l'ente competente, anche nel caso in cui sia il datore di lavoro e non un ente previdenziale, è vincolato, in fatto e in diritto, dagli accertamenti effettuati dall'ente del luogo di residenza o di soggiorno in merito al sopraggiungere e alla durata dell'inabilità al lavoro, qualora non faccia visitare l'interessato da un medico di propria scelta a norma dell'art. 18, n. 5».

17.

Vista la pronuncia della Corte, l'Arbeit-sgericht di Lörrach accoglieva la domanda con sentenza 25 agosto 1992.

18.

La Brennet impugnava detta sentenza dinanzi al Landesarbeitsgericht, allegando che la pronuncia della Corte non andava intesa nel senso che non è affatto lecito al datore di lavoro produrre controprove attestanti che il lavoratore si è avvalso abusivamente delle norme sulla salvaguardia della retribuzione. Essa ha contestato l'applicabilità nella fattispecie del regolamento n. 1408/71 interpretato dalla Corte, giacché non vi era immediata necessità di versare al signor Paletta prestazioni pecuniarie. Infine sosteneva che non erano state osservate le formalità previste dal diritto comunitario in materia di informazione del datore di lavoro quanto all'inabilità del signor Paletta, con la conseguenza che essa non aveva potuto avvalersi della possibilità di controllo prevista dalla normativa comunitaria.

19.

Con sentenza 23 agosto 1993, il Landesarbeitsgericht respingeva l'appello della Brennet.

20.

Contro tale sentenza la Brennet ha proposto ricorso per cassazione («Revision») dinanzi al Bundesarbeitsgericht.

III — Questioni pregiudiziali

21.

Nell'ambito della controversia suesposta, con ordinanza 27 aprile 1994 ( 9 ), il Bundesarbeitsgericht ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l'applicabilità del regolamento (CEE) n. 1408/71 venga meno quanto al mantenimento dell'obbligo della retribuzione da parte del datore di lavoro a norma dell'art. 22, n. 1, con riguardo alla necessità dell'immediatezza della prestazione, nel caso in cui la prestazione stessa in base al diritto tedesco applicabile diventi esigibile soltanto un po' di tempo (3 settimane) dopo il verificarsi dell'inabilità al lavoro.

2)

Se l'interpretazione dell'art. 18, nn. 1-4 e 5, del regolamento (CEE) del Consiglio 21 marzo 1972, n. 574, operata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con la sentenza 3 giugno 1992, nella causa C-45/90, significhi che è vietato al datore di lavoro provare circostanze di fatto costituenti un abuso, le quali permettano di concludere con certezza o con sufficiente probabilità che l'inabilità al lavoro non si è verificata.

3)

Nel caso di una soluzione affermativa della seconda questione, se l'art. 18 del regolamento (CEE) del Consiglio 21 marzo 1972, n. 574, violi quindi il principio di proporzionalità (art. 3 B, terzo comma, del Trattato CE)».

IV — Soluzione delle questioni pregiudiziali

A — Sulla ricevibilità

22.

Secondo il signor Paletta non era necessario sollevare questioni pregiudiziali, poiché la Corte ha già risolto definitivamente nella pronuncia Paletta I ( 10 ) i problemi giuridici che ora le vengono sottoposti. Spetta dunque ai giudici nazionali trarre le conseguenze dalla sentenza già emessa dalla Corte per pronunciarsi sulla controversia dinanzi ad essi pendente. Per questo motivo non è né necessario né utile risolvere le questioni sottoposte ora in via pregiudiziale. Tuttavia, il signor Paletta riconosce l'ampiezza della discrezionalità del giudice nazionale nel sollevare questioni di interpretazione e di validità del diritto comunitario per farle risolvere in via pregiudiziale dalla Corte e la facoltà della Corte di pronunciarsi nella fattispecie.

23.

Quanto alla necessità di porre le questioni, ricordo che, secondo la giurisprudenza della Corte ( 11 ), spetta ai giudici nazionali stabilire se hanno ottenuto sufficienti lumi dalla sentenza pregiudiziale della Corte o se sia necessario riconsultarla.

24.

In considerazione di questa giurisprudenza, ritengo che nella fattispecie spettasse al giudice nazionale decidere se la soluzione fornita nella sentenza Paletta I fosse per lui sufficientemente chiara. Dunque la Corte deve procedere all'esame delle questioni proposte dal Bundesarbeitsgericht.

B — Nel merito

1) Sulla prima questione

Nozione di prestazioni in denaro immediatamente necessarie

25.

Con la prima questione, il giudice proponente chiede che si stabilisca in qual misura sussistano le condizioni previste dal regolamento n. 1408/71 relativamente all'obbligo del datore di lavoro di continuare a corrispondere la retribuzione in caso di malattia del lavoratore.

26.

Poiché, secondo il diritto tedesco applicabile, il versamento della retribuzione — che costituisce «prestazione in denaro» ai sensi dell'art. 22, n. 1, lett. a), punto ii), del regolamento n. 1408/71 — va effettuato nell'ultimo giorno utile del mese, il Bundesarbeitsgericht ritiene che per questa ragione faccia difetto, totalmente o parzialmente, il presupposto richiesto per l'applicazione del regolamento, cioè la necessità di fornire immediatamente la prestazione.

27.

La Brennet sottolinea che l'applicazione del regolamento n. 1408/71 è stata limitata volutamente ai casi d'urgenza. Ritiene cioè che, in caso di soggiorno in uno Stato membro diverso dallo Stato di residenza, l'ente di quest'ultimo rimane competente a versare le prestazioni di malattia e solo in casi di emergenza deve farlo l'ente dello Stato di soggiorno. Dallo spirito di queste disposizioni si desume che le norme che fissano la sfera d'applicazione del regolamento n. 1408/71 devono interpretarsi restrittivamente, sicché ricomprendono solo le ipotesi nelle quali è necessario siano fornite prestazioni entro pochi giorni. In quest'ottica, dette norme non possono mirare a disciplinare, secondo la complessa procedura contemplata dal diritto comunitario, casi nei quali intercorrono più di tre settimane tra il manifestarsi della malattia e la data alla quale sono dovute le prestazioni. Dopo queste riflessioni, la Brennet osserva che le prestazioni rivendicate dal signor Paletta erano, secondo la legge tedesca, dovute solo il 31 agosto 1989, cioè 24 giorni dopo la constatazione (7 agosto) della malattia.

28.

Questi argomenti non mi convincono. Né la lettera delle disposizioni in materia del regolamento n. 1408/71 né le sue finalità possono corroborare un'interpretazione restrittiva come quella caldeggiata dalla Brennet.

29.

Secondo la normativa comunitaria vigente, il lavoratore, in caso di malattia, fruisce di prestazioni pecuniarie che, come ha affermato anche la Corte ( 12 ), «sono essenzialmente destinate a compensare la perdita di salari del lavoratore malato», quindi a garantirgli normali mezzi di sussistenza ( 13 ). La necessità della prestazione è immediata, poiché a causa della malattia e della conseguente inabilità lavorativa il lavoratore perde il diritto alla retribuzione e questa perdita è compensata dalla possibilità di fruire di prestazioni pecuniarie prevista da detta normativa. Come d'altronde osserva anche la Commissione, se si accogliesse il punto di vista della Brennet, si giungerebbe all'assurdo risultato che avrebbe diritto alla retribuzione solo il lavoratore che per caso si ammalasse pochi giorni prima della data in cui essa viene versata o proprio in quel giorno.

30.

Tenuto conto di ciò, è indifferente il momento in cui, secondo la legislazione dello Stato membro interessato, il lavoratore potrebbe chiedere la corresponsione della retribuzione se non si fosse ammalato. Al contrario, un'interpretazione restrittiva dell'art. 22 del regolamento n. 1408/71 sopprimerebbe la tutela dei lavoratori che invece il legislatore comunitario ha inteso garantire tramite le pertinenti disposizioni di detto regolamento.

2) Sulla seconda questione

31.

La seconda questione risolleva decisamente il problema della forza probante dei certificati medici rilasciati in uno Stato membro e relativi all'inabilità lavorativa di un lavoratore e della possibilità che un datore di lavoro dimostri che le condizioni del rilascio costituiscono un «caso d'abuso».

a) Efficacia probante dei certificati medici

i) Inquadramento del problema

32.

Il giudice nazionale, richiamandosi alla giurisprudenza del Bundesarbeitsgericht e alla normativa nazionale in materia, per quel che riguarda la prova dell'inabilità al lavoro mediante certificato medico, rileva che con questo documento il lavoratore può, di regola, dimostrare che sussistono i presupposti per continuare a percepire la retribuzione a norma dell'art. 1, n. 1, del LFZG. Osserva però che il datore di lavoro ha la possibilità, in «casi d'abuso», di contestare l'esistenza dell'inabilità al lavoro dichiarata nel certificato medico. A questo scopo può invocare e dimostrare l'esistenza di circostanze che comprovano inconfutabilmente che non sussisteva inabilità o giustificano fondati dubbi su quanto si sostiene. Spetta al lavoratore, a questo punto, produrre ulteriori prove a conferma dell'asserita inabilità.

33.

Negli esempi forniti dal Bundesarbeitsgericht nel provvedimento di rinvio, il datore di lavoro può evocare circostanze dalle quali, a suo giudizio, emerge o che il medico curante è incorso in un errore ed ha attestato l'inabilità del lavoratore, o che il certificato è frutto di manovre fraudolente dell'interessato, oppure che in base alla costante condotta dello stesso sono giustificati sospetti d'abuso.

34.

Il Bundesarbeitsgericht, ritenendo che dalla giurisprudenza della Corte non si desuma se si debba escludere la possibilità di eccepire l'abuso, solleva la questione dell'efficacia probante del certificato emesso. Chiede cioè se quest'ultimo vincoli assolutamente il giudice quanto alla situazione di fatto comprovata, indipendentemente dal suo convincimento, sicché è esclusa anche l'eccezione d'abuso del diritto o se, invece, non sia esclusa la possibilità di sollevare un'eccezione in questo senso.

35.

Secondo la Commissione, solo in casi eccezionali, vale a dire allorché è evidentemente inesatta la certificazione di inabilità al lavoro o il lavoratore ha agito in modo fraudolento, è lecito sollevare l'eccezione di abuso del diritto. Il governo tedesco, invece, come la Brennet, ritiene che la possibilità di ricorrere all'eccezione di abuso solo in situazioni eccezionali di questo genere è eccessivamente limitativa. Entrambi sostengono perciò che basterebbero fondati dubbi per inficiare l'efficacia probante del certificato di inabilità al lavoro.

36.

Il ricorso ad un'eccezione di abuso come quella delineata nel provvedimento di rinvio non stride, secondo il giudice nazionale e il governo tedesco, con le finalità dei regolamenti comunitari. Al contrario, l'esclusione della possibilità di sollevare detta eccezione porterebbe al risultato di implicare una disparità di trattamento dei lavoratori: infatti i lavoratori che si ammalano durante un soggiorno all'estero si troverebbero in posizione più favorevole, giacché il certificato medico prodotto avrebbe maggior valore probante di quello delle corrispondenti autorità tedesche. Ciò però, secondo il giudice proponente, fa insorgere dubbi, in quanto la finalità del regolamento n. 1408/71 è quella di garantire la parità di trattamento dei cittadini degli Stati membri, con riguardo alle norme del diritto nazionale, e di consentire ai lavoratori ed ai loro familiari di fruire delle prestazioni previdenziali indipendentemente dal luogo in cui risiedono o lavorano.

ii) Giurisprudenza in materia

37.

La Corte, nella sentenza 12 marzo 1987, Rindone ( 14 ), ha sancito diversi principi fondamentali ( 15 ) in materia di efficacia probante dei certificati medici. In pratica, ha dichiarato che la collaborazione tra gli enti degli Stati membri deve essere corretta ed improntata a reciproca fiducia ( 16 ) e che le autorità di uno Stato membro devono riconoscere l'attendibilità dei certificati delle autorità di altri Stati membri rilasciati ai sensi delle norme comunitarie. Proprio sulla scorta di questi principi si riconosce pure il valore probante dei documenti emessi conformemente all'art. 18 del regolamento n. 574/72, che può venir inficiato soltanto se il datore di lavoro si avvale della possibilità offertagli dall'art. 18, n. 5.

38.

In sostanza, la Corte ha disatteso l'opinione che il certificato rilasciato dall'ente del luogo di residenza (o di soggiorno) non costituisca altro che un parere che l'ente competente deve valutare. Ha perciò dichiarato che «l'art. 18, nn. da 1 a 4, del regolamento n. 574/72 va interpretato nel senso che se l'ente previdenziale competente non si avvale della facoltà, attribuitagli dal n. 5, di far visitare il lavoratore da un medico di sua scelta, esso è vincolato, in fatto ed in diritto, dagli accertamenti sanitari effettuati dall'ente del luogo di residenza in merito al sopraggiungere e alla durata dell'inabilità al lavoro» ( 17 ). La Corte, nella sentenza Palettái, ha affermato ( 18 ) che il datore di lavoro, anche nel caso in cui sia l'ente competente a versare la prestazione, è vincolato dai certificati di cui trattasi, se non ha disposto che l'interessato venisse visitato da un medico di sua scelta, avvalendosi della possibilità che gli offre il n. 5 dell'art. 18.

39.

Nella sentenza Rindone la Corte ha aggiunto che «siffatta interpretazione s'impone altresì in considerazione della finalità perseguita dall'art. 18 del regolamento n. 574/72 e dall'art. 19 del regolamento n. 1408/71. Se l'ente competente fosse libero di non riconoscere l'accertamento dell'inabilità al lavoro operato dall'ente del luogo di residenza, da ciò potrebbero scaturire (...) difficoltà sul piano probatorio per il lavoratore che nel frattempo avesse recuperato la capacità lavorativa. Ma sono proprio queste le difficoltà che la disciplina comunitaria de qua intende eliminare. Una situazione di questo tipo sarebbe inaccettabile, poiché pregiudicherebbe “l'istituzione della libertà di circolazione più completa possibile dei lavoratori migranti, principio che costituisce uno dei fondamenti della Comunità”» ( 19 ).

40.

Pochi giorni dopo la sentenza Paletta I, la Corte, nella sentenza 19 luglio 1992, V./Parlamento ( 20 ), si è avvalsa del principio che emerge da queste due sentenze (Rindone e Paletta I), quanto all'efficacia probante dei certificati medici prodotti ( 21 ), dovendo interpretare l'art. 59 dello Statuto del personale delle Comunità europee (in prosieguo: lo «Statuto»). Ha ricordato ( 22 ) che l'art. 59 dello Statuto «non prevede il potere dell'amministrazione di rifiutarsi di tener conto di un certificato medico, anche se non esplicita i motivi dell'inabilità al lavoro del dipendente interessato, ma prevede la facoltà dell'amministrazione di far esaminare il dipendente di cui trattasi da un medico di sua scelta. Pertanto si deve concludere che il rifiuto dell'amministrazione del Parlamento di accettare il certificato medico (...) senza essersi avvalsa della facoltà di sottoporre la signora V. ad una visita medica di controllo è in contrasto con l'art. 59 dello Statuto» ( 23 ).

41.

Dalle soluzioni giurisprudenziali di cui sopra consegue chiaramente che il certificato medico costituisce una presunzione, a favore della persona che lo presenta, della veridicità delle circostanze ivi accertate e della «regolarità» del procedimento secondo il quale dette circostanze sono state accertate ( 24 ). Tuttavia, tale presunzione può venir meno se il datore di lavoro si avvale della facoltà che gli è offerta di chiedere che il lavoratore venga sottoposto a controllo da un suo medico di fiducia.

42.

Di conseguenza, la sola interpretazione possibile delle sentenze Rindone e Paletta I è quella secondo cui l'art. 18 contiene norme non solo su quanto devono fare i lavoratori che si ammalano in uno Stato membro diverso da quello competente, se vogliono provare la loro inabilità al lavoro, ma anche sul valore probante che l'ente competente deve attribuire al certificato rilasciato dall'ente del luogo di residenza ( 25 ).

43.

La Commissione sostiene che il datore di lavoro, se è l'ente competente a versare la prestazione in denaro, non può avvalersi efficacemente e tempestivamente della possibilità di cui all'art. 18, n. 5, del regolamento n. 574/72, poiché l'ente dello Stato di soggiorno difficilmente può stabilire chi è l'ente competente in Germania.

44.

La Corte, nella sentenza Paletta I, ha sottolineato ( 26 ) che le difficoltà del datore di lavoro nell'awalersi efficacemente della possibilità che gli offre il n. 5 dell'art. 18 «non possono rimettere in discussione l'interpretazione di una disposizione del regolamento di cui trattasi, quale risulta dal suo testo e dalla sua finalità. Siffatti problemi pratici possono del resto essere risolti con l'emanazione di provvedimenti nazionali o comunitari volti a migliorare l'informazione dei datori di lavoro e ad agevolare il ricorso alla procedura prevista dall'art. 18, n. 5, del regolamento n. 574/72».

45.

Quanto alle difficoltà che si riscontrano nella pratica per l'esercizio del diritto conferito al datore di lavoro dall'art. 18 del regolamento n. 574/72, nelle conclusioni per la causa Paletta I, gli avvocati generali Mischo ( 27 ) e Gulmann ( 28 ) hanno considerato che è possibile superarle o modificando detta norma, o nell'ambito della commissione amministrativa per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti, prevista agli artt. 80 e 81 del regolamento n. 1408/71, o nell'ambito di consultazioni contemplate ad hoc, specie nell'art. 84 del regolamento n. 1408/71, o infine con misure adottate unilateralmente dallo Stato membro ( 29 ).

b) Soluzione proposta

46.

Esaminerò ora fino a qual punto la possibilità del datore di lavoro di rovesciare la presunzione contemplata dall'art. 18 del regolamento n. 574/72 si limiti al ricorso alla facoltà, a lui conferita, di chiedere la visita del lavoratore da parte di un medico di fiducia, o se non sia sufficiente anche la prova di circostanze che, secondo il Bundesarbeitsgericht, costituiscono «caso d'abuso» per inficiare il valore probatorio del certificato medico prodotto.

47.

Direi che la presunzione della validità dei certificati medici prodotti, contemplata dall'art. 18 del regolamento n. 574/72, esclude definitivamente la possibilità di invocare circostanze che suscitano seri dubbi sull'esattezza di quanto dichiara il certificato.

48.

Ritengo invece che la presunzione di validità riconosciuta ai certificati in questione non escluda la possibilità di appellarsi ad elementi che comprovano con certezza vizi che inficiano la validità del certificato medico attestante l'inabilità al lavoro.

49.

Più particolarmente, penso che l'unica possibilità di cui dispone il datore di lavoro, oltre quella offerta dall'art. 18, n. 5, è, da un lato, quella di invocare la mancanza delle caratteristiche formali necessarie per ritenere che sia valido il certificato medico sullo stato di salute dell'interessato, vale a dire la sussistenza di vizi che escludono che si tratti di un certificato valido per il lavoratore che lo produce. Trattasi dei casi nei quali il certificato medico prodotto contiene inesattezze — ad esempio le generalità o la data di nascita si riferiscono ad una persona diversa o la data del certificato non è esatta — sicché la persona che produce il documento non può trarne alcun diritto.

50.

D'altro canto, il datore di lavoro può invocare altri elementi, estranei al certificato, risultanti da un atto di un organo dello Stato membro nel quale è stato rilasciato il certificato e con i quali sia provato, in modo che non ammette contestazioni né in sede giurisdizionale, né con altri mezzi procedurali, che i fatti attestati nel certificato non rispondono alla realtà.

51.

In questa categoria dobbiamo classificare le ipotesi nelle quali, nonostante il certificato medico accettato in buona fede dal datore di lavoro, da altre circostanze incontestabili emerge che non sussisteva inabilità al lavoro, giacché il certificato è stato ottenuto ricorrendo ad un raggiro; in tal caso, secondo il principio del diritto romano fraus omnia corrumpit (la frode rovina tutto), chi produce il documento e si è comportato scorrettamente non può invocare la tutela delle norme del diritto comunitario ( 30 ). Ciò si verifica, ad esempio, allorché il medico è colpito da sanzioni disciplinari o penali per aver redatto quel determinato certificato ( 31 ).

52.

Ritengo che, riconoscendo la possibilità di invocare circostanze siffatte, cioè consentendo all'ente competente a versare le prestazioni in denaro, nella fattispecie il datore di lavoro, di richiamarsi a circostanze come quelle di cui sopra, la Corte abbia inteso evitare «un'applicazione del diritto comunitario che urtasse il buon senso e che non tenesse conto di realtà tuttavia evidenti e inconfutabili» ( 32 ).

53.

Concordo anche con i punti di vista degli avvocati generali Mischo e Gulmann su questo punto, esposti nelle conclusioni Paletta I. In pratica, l'avvocato generale Mischo ( 33 ) ha trattato la questione del come si debba reagire se emergono «dubbi seri e fondati riguardo l'inabilità al lavoro accertata dall'ente del luogo di residenza». Come ha osservato, «non può esser sufficiente che sussistano dei semplici dubbi perché l'ente competente non sia più vincolato dagli accertamenti dell'ente del luogo di residenza», giacché esso ha la possibilità, offertagli dall'art. 18, n. 5, di far controllare l'interessato da un suo medico di fiducia. Continua osservando che «gli accertamenti dell'ente del luogo di residenza possono essere rimessi in discussione dall'ente competente (il quale non abbia fatto procedere al controllo di cui al n. 5) solo se essi sono stati ottenuti a seguito di manovre fraudolente che hanno indotto in errore l'ente del luogo di residenza, e/o se essi si dovessero rivelare in seguito manifestamente inesatti», e conclude: «Mi parrebbe in realtà estremamente difficile ammettere che, qualora l'ente competente abbia confidato negli accertamenti dell'ente del luogo di residenza e non avesse a priori alcun motivo per far controllare il lavoratore da un medico di sua scelta — controllo che, nel sistema di cui all'art. 18, dovrebbe comunque costituire l'eccezione —, esso continuerebbe ad essere vincolato da questi accertamenti, anche se dovesse risultare, senza possibilità alcuna di dubbio, che essi sono inesatti e sono stati ottenuti con la frode» ( 34 ).

54.

La giurisprudenza della Corte induce ad accogliere il punto di vista qui esaminato. E sintomatica la soluzione fornita dalla Corte in una questione simile sollevata nella causa Van de Bijl ( 35 ), che verteva su un sistema di certificati che presenta talune analogie con il sistema di cui all'art. 18 del regolamento n. 574/72. In quella causa, tra l'altro, era stata sollevata la questione se lo Stato membro ospitante debba rilasciare l'autorizzazione ad esercitare in forma autonoma l'attività di imbianchino sul suo territorio in base ad un attestato conseguito nello Stato di origine ( 36 ), anche nel caso in cui tale attestato riveli evidenti inesattezze od omissioni relativamente all'effettiva durata dell'attività professionale esercitata dall'interessato nello Stato membro di provenienza. Nella sentenza la Corte ha sottolineato, in linea di principio, che «lo Stato membro ospitante (...) è pertanto di regola vincolato dalle dichiarazioni contenute nell'attestato rilasciato dallo Stato membro di provenienza salvo privare di pratica efficacia tale attestato» ( 37 ) e che «qualora vi siano elementi oggettivi che inducano lo Stato ospitante a ritenere che l'attestato prodotto contenga inesattezze manifeste, esso può ben rivolgersi allo Stato membro di provenienza per domandare a questo ulteriori informazioni» ( 38 ). Vale a dire, nonostante che le disposizioni in materia ( 39 ) non lo prevedessero espressamente, la Corte ha riconosciuto che, in certi casi del tutto eccezionali, lo Stato membro non è vincolato dal certificato dell'autorità competente dello Stato di provenienza. In definitiva, essa ha affermato che «in circostanze del genere, infatti, lo Stato membro ospitante non può essere costretto a ignorare i fatti sopravvenuti nel proprio territorio e direttamente pertinenti quanto al carattere reale ed effettivo del periodo di attività professionale compiuto nello Stato membro di provenienza» ( 40 ). La Corte ha concluso che «l'autorità competente dello Stato membro ospitante (...) non è tenuta a concedere automaticamente l'autorizzazione richiesta qualora l'attestato prodotto contenga un'inesattezza manifesta garantendo che la persona considerata dalla direttiva ha svolto un periodo di attività professionale nello Stato membro di provenienza, se è pacifico che nel corso di questo stesso periodo tale persona ha svolto attività professionali nel territorio dello Stato membro ospitante» ( 41 ).

55.

Inoltre la Corte, nella sentenza Lair ( 42 ), ha dichiarato chiaramente che gli abusi che sono comprovati da «elementi oggettivi»«non sono coperti dalle norme comunitarie in causa» ( 43 ).

56.

Dunque il punto di vista che condivido esclude la possibilità che il datore di lavoro sovverta la presunzione di validità dei certificati medici prodotti dal dipendente a conferma dell'inabilità al lavoro invocando fatti dai quali risulta non con certezza, ma solo con maggior probabilità, che sussiste un caso di abuso.

57.

Il giudice proponente, il governo tedesco e la Brennet invocano le norme processuali nazionali relative all'efficacia probatoria dei certificati medici e sostengono che la stessa efficacia, per ragioni di parità di trattamento dei lavoratori, indipendentemente dal luogo in cui si ammalano, dev'essere riconosciuta ai certificati in questione — nella fattispecie, in base alla normativa tedesca, essi potrebbero venir liberamente valutati dal giudice — sia che siano stati emessi nello Stato membro competente a versare le prestazioni, sia che provengano dalle autorità competenti di un altro Stato membro.

58.

Il rappresentante del governo tedesco ha sostenuto all'udienza che, se i certificati di autorità straniere avessero maggior efficacia probante di quelli delle autorità nazionali, l'attendibilità dei certificati stranieri non potrebbe venir controllata che mediante il procedimento penale e in casi eccezionali mediante procedimenti dinanzi ai tribunali del lavoro. Ciò equivarrebbe però ad un'intrusione nel diritto processuale nazionale, che non sarebbe necessaria per garantire la realizzazione delle libertà fondamentali del diritto comunitario. In ogni caso, spetta al giudice nazionale valutare, alla luce delle norme processuali nazionali, il certificato prodotto e le eventuali obiezioni del datore di lavoro.

59.

Alla stessa conclusione giunge pure la Commissione (punto 44 delle sue osservazioni), secondo la quale l'art. 22, n. 1, punto ii), del regolamento n. 1408/71 stabilisce che il diritto a prestazioni in denaro versate dall'ente competente è determinato dalla normativa che questo applica. Tale disposizione non farebbe rinvio soltanto al diritto sostanziale dello Stato competente, ma anche al diritto processuale, che comprende pure la valutazione delle prove. L'art. 18 del regolamento n. 574/72 conterrebbe disposizioni solo per quel che riguarda quella fase di procedura che si svolge necessariamente nel luogo di residenza dell'interessato. La Commissione conclude quindi che tale interpretazione non può implicare una modifica, tramite le norme processuali dello Stato competente, della finalità che si persegue con l'art. 18.

60.

Accogliendo il punto di vista suesposto, ed anche la soluzione giurisdizionale del Bundesarbeitsgericht nel suo complesso, compreso il richiamo a fatti che fanno insorgere solo gravi dubbi, senza dare la certezza che non sussistono in realtà le condizioni dichiarate nel certificato medico, si comprometterebbe la preminenza del diritto comunitario nei confronti di quello nazionale ( 44 ).

61.

In realtà, il riconoscimento del «caso d'abuso» non può avvenire esattamente come nei settori che non hanno relazione con il diritto comunitario, giacché determina una sostanziale modifica delle norme comunitarie relative all'efficacia probante dei certificati medici. L'ammissione della possibilità di sollevare l'eccezione d'abuso, come la concepisce il giudice nazionale, può sminuire l'efficacia e mettere a repentaglio il perseguimento delle finalità del sistema fissate dai regolamenti nn. 1408/71 e 574/72 ( 45 ).

62.

In conclusione, penso che l'art. 18, nn. 1-5, del regolamento n. 574/72, come è stato interpretato nella sentenza Paletta I, vada inteso nel senso che non vieta all'ente competente a versare prestazioni, nella fattispecie il datore di lavoro, di invocare e dimostrare circostanze dalle quali emerga con certezza, come esposto nelle precedenti considerazioni, che non sussiste inabilità al lavoro.

3) Sulla terza questione

Compatibilità delle disposizioni controverse con il principio di proporzionalità

63.

Avendo risolto la seconda questione nel senso che l'art. 18, nn. 1-5, del regolamento n. 574/72 non vieta all'ente competente a versare le prestazioni, nella fattispecie il datore di lavoro, di invocare e di comprovare circostanze dalle quali emerga con certezza che non sussiste inabilità al lavoro, vengo alla soluzione della terza questione, vertente sulla compatibilità delle disposizioni in questione con il principio di proporzionalità ( 46 ).

64.

Nella sua giurisprudenza la Corte considera il principio di proporzionalità come principio generale del diritto comunitario, che va rispettato dalle istituzioni comunitarie nell'esercizio delle loro competenze. In sostanza, da questa giurisprudenza ( 47 ) si desume che il principio di proporzionalità, principio di rango superiore, impone che sussista un rapporto equilibrato tra le finalità perseguite dalla Comunità, che servono al comune interesse, e le misure adottate, che incidono sui diritti dei cittadini. In altre parole, il mezzo deve essere necessario e idoneo a perseguire lo scopo, e gli svantaggi non devono superare i vantaggi, così da non costituire, in considerazione della finalità perseguita, un'ingerenza eccessiva ed insopportabile che pregiudichi tali diritti nella loro stessa sostanza.

65.

La finalità delle disposizioni dell'art. 18 del regolamento n. 574/72, come emerge dalla loro lettera, ma pure alla luce del regolamento n. 1408/71 ( 48 ), è quella di proteggere il lavoratore che si ammala durante il soggiorno in un altro Stato membro e che, per questo motivo, ha diritto a prestazioni in denaro immediate. In sostanza, le disposizioni in questione tutelano il diritto del lavoratore, allorché egli ha assolto le formalità prescritte dal regolamento n. 574/72 ed ha ottenuto un certificato medico d'inabilità lavorativa dall'ente competente della località in cui soggiorna, a fruire di prestazioni in denaro a norma dell'art. 22 del regolamento n. 1408/71.

66.

D'altro canto la Corte, nella sentenza Rindone, ha dichiarato che «se l'ente competente fosse libero di non riconoscere l'accertamento dell'inabilità al lavoro operato dall'ente del luogo di residenza, da ciò potrebbero scaturire (...) difficoltà sul piano probatorio per il lavoratore che nel frattempo avesse recuperato la capacità lavorativa» ( 49 ). Nella sentenza Paletta I ha considerato che particolari difficoltà di ordine pratico per lo svolgimento del controllo mediante un medico di fiducia del datore di lavoro «non possono rimettere in discussione l'interpretazione di una disposizione del regolamento di cui trattasi, quale risulta dal suo testo e dalla sua finalità» ( 50 ).

67.

Conformemente alle considerazioni esposte in precedenza sulla seconda questione, ma anche conformemente alla giurisprudenza summenzionata, ritengo che il mezzo impiegato, cioè il riconoscimento della presunzione di validità del certificato medico prodotto, con le conseguenze che detto riconoscimento comporta, sia idoneo e necessario per il perseguimento dello scopo prefisso, la tutela dei lavoratori che durante il loro soggiorno in uno Stato membro diverso da quello competente vengono colpiti da inabilità al lavoro. Contemporaneamente, in questo modo, si garantisce il diritto fondamentale della libertà di circolazione dei lavoratori migranti all'interno della Comunità ( 51 ).

68.

A mio parere, il legislatore comunitario, con la disposizione dell'art. 18, n. 5, del regolamento n. 574/72, la quale, come si è riconosciuto con la soluzione della seconda questione, non esclude la possibilità di opporre la prova di fatti dai quali emerga con certezza — in modo che non ammette contestazioni né in sede giurisdizionale né con altri mezzi procedurali — che non sussisteva l'inabilità al lavoro, non lede i diritti del datore di lavoro, in quanto non lo priva della possibilità di rovesciare, in determinate circostanze, la presunzione d'inabilità lavorativa creata con la produzione del certificato. Di conseguenza, gli svantaggi, ossia la limitazione del diritto del datore di lavoro di contestare il valore probante del certificato medico alla produzione della prova che -non sussisteva l'inabilità al lavoro, non superano i vantaggi e non costituiscono, alla luce dello scopo perseguito, eccessiva ed insopportabile ingerenza, che infici la sostanza stessa dei diritti del datore di lavoro. Dunque, tra vantaggi e svantaggi vi è un rapporto ragionevole e per questo l'art. 18 del regolamento n. 574/72 non stride con il principio di proporzionalità.

69.

Di conseguenza, invece di pervenire alla drastica soluzione di considerare invalida la disposizione del regolamento n. 574/72 in quanto incompatibile con una norma superiore del diritto comunitario, nella fattispecie con il principio di proporzionalità, è preferibile, dal momento che si ammette la possibilità di invocare fatti eccezionali dai quali risulti con certezza che non sussisteva l'inabilità al lavoro certificata, interpretare la norma controversa in modo consono con detto principio.

70.

Vengo ora all'ipotesi nella quale la Corte dia soluzione negativa alla questione precedente, ritenendo che, dal momento in cui il datore di lavoro non si è avvalso della possibilità offerta dall'art. 18, n. 5, di far visitare il lavoratore da un medico di sua fiducia, egli non dispone più di alcuna possibilità di controprova. Egli, cioè, sarebbe privato anche della possibilità di invocare fatti dai quali emerga con certezza che fanno difetto quegli elementi essenziali necessari per considerare valido un certificato medico o di invocare altri documenti probanti, oltre il certificato, dai quali si arguisca in modo non contestabile in giudizio o con altri procedimenti, che quanto è stato attestato non corrisponde alla realtà. A mio parere, una siffatta interpretazione priverebbe di validità la norma litigiosa dell'art. 18 del regolamento n. 574/72, poiché questa non sarebbe compatibile con il principio di proporzionalità, nella misura in cui l'onere incombente al datore di lavoro sarebbe sproporzionato rispetto al vantaggio che da ciò trae il lavoratore.

71.

In questa situazione ritengo che, nell'ambito del costante contemperamento e della costante tutela dei diritti del datore di lavoro e del lavoratore, al fine di realizzare la libera circolazione dei lavoratori nella Comunità, l'art. 18 del regolamento n. 574/72 costituisca una valvola di sicurezza che, pur essendo probabilmente insufficiente e pur dovendo essere integrata ed aggiornata, contempera però abbastanza equamente gli interessi contrapposti dei datori di lavoro e dei lavoratori, e sia quindi valido.

72.

Dunque, in base alla soluzione che propongo per la seconda questione, penso che l'art. 18, nn. 1-5, del regolamento n. 574/72 non strida con il principio di proporzionalità.

Conclusione

73.

Visto quanto esposto in precedenza, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni sottoposte dal Bundesarbeitsgericht:

«1)

L'art. 22, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori salariati e non salariati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, nella versione modificata ed aggiornata dal regolamento (CEE) del Consiglio 2 giugno 1983, n. 2001, va inteso nel senso che il regolamento n. 1408/71 si applica anche se, secondo la normativa nazionale pertinente, le prestazioni in denaro sono esigibili solo un certo tempo (tre settimane) dopo il sopraggiungere dell'inabilità al lavoro.

2)

L'art. 18, nn. 1-5, del regolamento (CEE) del Consiglio 21 marzo 1972, n. 574, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71, va inteso nel senso che non vieta all'ente competente a versare le prestazioni, nella fattispecie il datore di lavoro, di invocare e dimostrare circostanze dalle quali emerga con certezza che non sussiste l'inabilità al lavoro.

3)

Così interpretato, l'art. 18, nn. 1-5, del regolamento n. 574/72 non contravviene al principio di proporzionalità».


( *1 ) Lingua originale: il greco.

( 1 ) Regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori salariati e non salariati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità (GU L 149, pag. 2), nella versione di cui al regolamento (CEE) del Consiglio 2 giugno 1983, n. 20O1, che modifica ed aggiorna il regolamento (CEE) n. 1408/71, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, ed il regolamento (CEE) n. 574/72, che stabilisce le modalità d'applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71 (GU L 230, pag. 6).

( 2 ) Race. pag. I-3423.

( 3 ) Regolamento (CEE) del Consiglio 21 marzo 1972, n. 574, che stabilisce le modalità d'applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71 (GU L 74, pag. 1) nella versione modificata ed aggiornata dal regolamento n. 2001/83, citato nella nota 1.

( 4 ) Evidentemente, secondo la normativa tedesca vigente, allorché il lavoratore si trova fuori dalla Germania e viene colpito da inabilità lavorativa, deve informarne immediatamente il datore di lavoro e l'ente previdenziale competente specificando quando è stato colpito da inabilità e la sua probabile durata.

( 5 ) V. paragrafo 1 delle conclusioni dell'avvocato generale Mischo nella causa 22/86, Rindone, nella quale è stata pronunciata la sentenza 12 marzo 1987 (Race. pag. 1339), e il paragrafo 5 delle conclusioni dell'avvocato generale Guimann nella già citata causa Paletta I (nota 2).

( 6 ) Legge 27 luglio 1969 sulla salvaguardia della retribuzione (BGBl. I, pag. 946), modificata da ultimo con legge 20 dicembre 1988 (BGBl. I, pag. 2477).

( 7 ) La somma lorda era di 3837,60 DM, al netto di 2389,53 DM già versati dall'ente assicuratore dell'impresa.

( 8 ) Già citata alla nota 2.

( 9 ) GU C 275, pag. 12.

( 10 ) Già ricordata alla nota 2.

( 11 ) V. sentenza 24 giugno 1969, causa 29/68, Milch-, Fett-und Eicrkontor (Race. pag. 165, punto 3). V., inoltre, sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, CILFIT (Race. pag. 3415, punto 10).

( 12 ) V. sentenza 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Göbbles (Race. pag. 407).

( 13 ) La Corte ha affermato che «la salvaguardia della retribuzione del lavoratore in caso di malattia rientra nella nozione di retribuzione ai sensi dell'art. 119 del Trattato», retribuzione che viene corrisposta dal datore di lavoro in ragione del rapporto d'impiego; v. sentenza 13 giugno 1989, causa 171/88, Rinncr-Kùhn (Race. pag. 2743, punto 7).

( 14 ) Sentenza già ricordata alla nota 5; la causa verteva sostanzialmente sulla determinazione dell'inizio e della durata dell'inabilità al lavoro di un lavoratore nella Repubblica federale di Germania nonché sulle corrispondenti prestazioni in denaro che egli poteva rivendicare in forza dell'art. 18 del regolamento n. 574/72.

( 15 ) Come è specificamente sottolineato nel paragrafo 12 delle conclusioni dell'avvocato generale Gulmann nella causa Paletta I, già ricordata nella nota 2.

( 16 ) Ciò si desume espressamente dall'art. 84, n. 2, del regolamento n. 1408/71, in relazione con l'art. 5 del Trattato.

( 17 ) Sentenza Rindone, citata alla nota 5, punto 15. V. pure sentenza 11 marzo 1986, causa 28/85, Deghillagc (Race. pag. 991, punti 17 e 18).

( 18 ) Sentenza citata alla nota 2, punto 28.

( 19 ) Sentenza Rindone, citata alla nota 5, punto 13. V. inoltre conclusioni dell'avvocato generale Mischo nella stessa causa, paragrafi 3 e 4. V. pure sentenza 25 febbraio 1986, causa 284/84, Spruyt (Race. pag. 685, punto 18) e sentenza Paletta I, già citata alla nota 2, punto 24.

( 20 ) Causa C-18/91 P (Race. pag. I-3997); la causa verteva su una domanda d'annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado che disattendeva il ricorso della signora V., ex dipendente temporanea del Parlamento europeo, con il quale si chiedeva l'annullamento del rapporto della commissione di invalidità che aveva esaminato fa situazione dell'interessata, nonché delle decisioni con le quali il Parlamento europeo si rifiutava, tra l'altro, di riconoscere il certificato medico di interruzione dell'attività prodotto dall'interessata.

( 21 ) Punto 32.

( 22 ) Punto 33.

( 23 ) V. pure sentenza 27 aprile 1989, causa 271/87, Fedeli/Parlamento (Race. pag. 993).

( 24 ) Ciò è stato espressamente affermato dalla Corte nella sentenza V./Parlamento, punto 34, ricordata alla nou 20.

( 25 ) Come ha osservato l'avvocato generale Gulmann al paragrafo 6, in fine, delle conclusioni nella sentenza Paletta I, ricordata alla nota 2.

( 26 ) Sentenza citata alla nota 2, punto 27. V. anche sentenze 22 febbraio 1990, causa C-228/88, Bronzino (Race. pag. I-531, punto 14), e 12 luglio 1990, causa C-236/88, Commissione/Francia (Race. pag. I-3163, punto 17).

( 27 ) V. paragrafi 22-26 delle conclusioni nella causa Paletta I, citata alla nota 2.

( 28 ) V. paragrafi 8 e 12 delle conclusioni nella causa Paletta I, citata alla nota 2.

( 29 ) Ciononostante, da allora non sono state adottate misure comunitarie che risolvano il problema e non si intravede alcuno sviluppo nel prossimo futuro. Come hanno rilevato tanto la Commissione (punto 29 delle sue osservazioni) quanto il Consiglio all'udienza, finora solo il legislatore tedesco ha adottato provvedimenti in questo senso.

( 30 ) La Corte non ha espressamente accolto questo principio, contrariamente a quanto avevano proposto gli avvocati generali Darmon [v. paragrafo 17 delle conclusioni nella causa 130/88, Van dc Bijl, conclusasi con la sentenza 27 settembre 1989 (Race. pag. 3039)] e Mischo (v. paragrafo 34 delle conclusioni nella causa Paletta I, nota 2).

( 31 ) L'avvocato generale Gulmann, nel paragrafo 12 delle sue conclusioni nella causa Paletta I, già ricordata alla nota 2, ha sottolineato che «sia dal punto di vista dei principi sia per le considerazioni pratiche vi sono buone ragioni per fare effettuare il controllo a posteriori circa l'esattezza di tali certificati da parte dei giudici dello Stato i cui enti hanno rilasciato detti certificati ed in cui si sono verificate le circostanze fattuali sulle quali vertono questi ultimi».

( 32 ) V. paragrafo 34 delle conclusioni dell'avvocato generale Mischo nella causa Paletta I (nota 2).

( 33 ) V. paragrafi 27 e seguenti delle conclusioni nella causa Paletta I (nota 2).

( 34 ) Paragrafo 29 delle conclusioni nella causa Paletta I, ricordata alla nota 2.

( 35 ) Ricordata alla nota 30, punto 26.

( 36 ) Ciò si è verificato in forza delle disposizioni in materia della direttiva del Consiglio 7 luglio 1964, 64/427/CEE, sulle modalità di applicazione delle misure transitorie nel settore delle attività non salariate di trasformazione delle classi 23-40 C.I.T.I. (industria e artigianato) (GU n. 117, pag. 1863).

( 37 ) Punto 22.

( 38 ) Punto 24.

( 39 ) Cioè quelle della direttiva 64/427, ricordata alla nota 36.

( 40 ) Punto 26.

( 41 ) Punto 27.

( 42 ) Sentenza 21 giugno 1988, causa 39/86 (Race. pag. 3161, punto 43). Nella causa in questione la Corte ha sottolineato, in linea di massima, che il diritto comunitario non consente che gli Stati membri subordinino la concessione di borse di studio universitarie alla condizione di aver maturato un periodo minimo di attività professionale sul loro territorio. Successivamente, però, accogliendo gli argomenti di vari Stati membri che avevano presentato osservazioni scritte dettate dalla preoccupazione di «prevenire taluni abusi, che potrebbero presentarsi, ad esempio, quando elementi oggettivi consentano di stabilire che un lavoratore entri in uno Stato membro al solo scopo di fruirvi del sistema di sussidi agli studenti, dopo un brevissimo periodo di attività lavorativa», ha osservato che «simili abusi non sono coperti dalle norme comunitarie in causa».

D'altro canto la Corte ripetutamente aveva dichiarato in passato che non si può esercitare un diritto in siffatti casi d'abuso. Nel settore della libera circolazione delle persone, v., ad esempio, sentenze 3 dicembre 1974, causa 33/74, Van Binsbergen (Race. pag. 1299, punto 13), e 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors (Race. pag. 399, punto 25), c nel settore della libera circolazione delle merci, sentenza 10 gennaio 1985, causa 229/83, Ledere (Race. pag. 1, punto 27).

( 43 ) A questa causa si è richiamato anche l'avvocato generale Mischo al paragrafo 32 delle sue conclusioni nella causa Paletta I, ricordata alla nota 2. V. pure le conclusioni dell'avvocato generale Darmon nella causa Daily Mail, risoltasi con la sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87 (Race. pag. 5483), nelle quali ha proposto alla Corte di riconoscere che il trasferimento in un altro Stato membro dell'amministrazione centrale di un'impresa può costituire uno dei modi di esercizio del diritto di stabilimento, salva restando sempre la competenza del giudice nazionale di controllare se «in un caso determinato e tenuto conto del contesto della causa, si sfiori o meno l'abuso del diritto o la frode alla legge e, eventualmente, se convenga ritenere inapplicabile il diritto comunitario» (paragrafo 9). La Corte però, interpretando diversamente il diritto di stabilimento, non si è pronunciata su questo punto. V. inoltre, in questo senso, sentenza 3 marzo 1993, causa C-8/92, General Milk Products (Race, pag. I-779, punto 22) — e le relative conclusioni dell'avvocato generale Darmon —nella quale la Corte ha stabilito che, per rifiutare la concessione di importi compensativi monetari per determinate merci importate o esportate dalla Germania, era necessario dimostrare che gli importatori o gli esportatori intendevano trarre vantaggio illecito dalla normativa comunitaria ed ha considerato questo accertamento di competenza del giudice nazionale.

( 44 ) V. le obiezioni sollevate su un problema analogo, relativo alla possibilità di invocare un'eccezione di abuso del diritto con riguardo alle disposizioni del diritto sostanziale dall'avvocato generale Tesauro ai paragrafi 26 e seguenti delle sue conclusioni del 9 novembre 1995 nella causa C-441/93, Pafitis e a., ancora pendente.

( 45 ) V., su problemi analoghi, sentenze 21 settembre 1983, cause riunite 205/82-215/82, Deutsche Milchkontor e a. (Race, pag. 2633, punti 30 e seguenti, in particolare punto 33), e 27 maggio 1993, causa C-290/91, Peter (Race. pag. I-2981, punto 8). V. inoltre i paragrafi 20 e seguenti delle conclusioni dell'avvocato generale Jacobs in queste ultime cause, i paragrafi 38 e 39 delle conclusioni dell'avvocato generale Van Gcrvcn nella causa C-371/92, Ellinika Dimitriaka, nella quale è stata pronunciata la sentenza 8 giugno 1994 (Race, pag. I-2391), nonché il paragrafo 61 delle conclusioni dell'8 giugno 1995 nella causa C-63/93, Fintan Duff c a., ancora pendente.

( 46 ) Nella fattispecie gli elementi di fatto risalgono al 1989, cioè ad un periodo antecedente l'entrata in vigore del Trattato sull'Unione europea. Non è dunque necessario esaminare la questione se detto principio sia stato trasposto in norma scritta di validità generale mediante la citata disposizione del Trattato, come pare pensare il giudice proponente.

( 47 ) V., ad esempio, sentenze 11 marzo 1987, cause riunite 279/84, 280/84, 285/84 e 286/84, Rau e a./Commissionc (Race. pag. 1069, punto 34); 11 luglio 1989, causa 265/87, Schrãder (Race. pag. 2237, punto 21), c 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf (Race, pag. 2609, punto 18). V., inoltre, sentenze 26 ottobre 1995, causa C-36/94, Siesse (Race. pag. I-3573, punto 21), e 9 novembre 1995, causa C-426/93, Germania/Consiglio (Race. pag. I-3723, punto 42).

( 48 ) Come è stato sottolineato nelle conclusioni dell'avvocato generale Mischo, paragrafo 6, nella causa Rindone, ricordata alla nota 5, «i! regolamento n. 574/72 non è un regolamento di applicazione adottato dalla Commissione in forza di una clausola di delega contenuta in un regolamento del Consiglio. Al contrario, è un atto adottato dal Consiglio stesso, in forza delle stesse disposizioni dei Trattati e seguendo le stesse procedure (parere del Parlamento e del Comitato economico c sociale) del regolamento n. 1408/71». E si aggiunge: «Anche se talune disposizioni del regolamento n. 574/72 costituissero qualcosa di più di semplici modalità di applicazione (...) la loro adozione sarebbe stata comunque legittima».

( 49 ) Punto 13 della sentenza, menzionata alla nota 5.

( 50 ) Punto 27 della sentenza, menzionata alla nota 2.

( 51 ) V. sentenze Rindonc, punto 13, Spruyt, punto 18, c Paletta I, punto 24 (già ricordate, rispettivamente, alle note 5, 19 e 2).

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