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Document 62003CJ0131

Sentenza della Corte (grande sezione) del 12 settembre 2006.
R.J. Reynolds Tobacco Holdings, Inc. e altri contro Commissione delle Comunità europee.
Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Decisione della Commissione di intentare un'azione giudiziaria dinanzi ad un giudice di uno Stato terzo - Ricorso d'annullamento - Irricevibilità.
Causa C-131/03 P.

Raccolta della Giurisprudenza 2006 I-07795

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2006:541

Causa C-131/03 P

R.J. Reynolds Tobacco Holdings, Inc. e altri

contro

Commissione delle Comunità europee

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Decisione della Commissione di intentare un’azione giudiziaria dinanzi ad un giudice di uno Stato terzo — Ricorso di annullamento — Irricevibilità »

Conclusioni dell’avvocato generale E. Sharpston, presentate il 6 aprile 2006 

Sentenza della Corte (Grande Sezione) 12 settembre 2006 

Massime della sentenza

1.     Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Motivi — Semplice ripetizione dei motivi e argomenti presentati dinanzi al Tribunale — Irricevibilità — Contestazione dell’interpretazione o dell’applicazione del diritto comunitario effettuata dal Tribunale — Ricevibilità

[Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 58, primo comma; regolamento di procedura della Corte, art. 112, n. 1, lett. c)]

2.     Ricorso di annullamento — Atti impugnabili — Nozione — Atti che producono effetti giuridici obbligatori

(Art. 230 CE)

3.     Diritto comunitario — Principi — Diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva

(Artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE)

1.     Non risponde ai requisiti di motivazione stabiliti dagli artt. 225 CE, 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia e 112, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura un ricorso di impugnazione che si limiti a ripetere o a riprodurre pedissequamente i motivi e gli argomenti già presentati dinanzi al Tribunale, ivi compresi gli argomenti di fatto da questo espressamente disattesi. Infatti, un’impugnazione di tal genere costituisce in realtà una domanda diretta ad ottenere un semplice riesame del ricorso presentato dinanzi al Tribunale, il che esula dalla competenza della Corte.

Tuttavia, qualora un ricorrente contesti l’interpretazione o l’applicazione del diritto comunitario fatta dal Tribunale, i punti di diritto esaminati in primo grado possono essere di nuovo discussi nel corso di un’impugnazione. Infatti, se un ricorrente non potesse così basare l’impugnazione su motivi e argomenti già utilizzati dinanzi al Tribunale, il procedimento d’impugnazione sarebbe privato di una parte di significato.

(v. punti 49-51)

2.     Costituiscono atti o decisioni che possono essere oggetto di un ricorso di annullamento soltanto i provvedimenti che producono effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di questo. Pertanto sono esenti dal controllo giurisdizionale previsto dall’art. 230 CE non solo gli atti preparatori, ma tutti gli atti che non producono effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi del singolo, quali gli atti confermativi e gli atti di mera esecuzione, le semplici raccomandazioni e pareri e, in linea di principio, le istruzioni di servizio.

Quindi, se il fatto di adire un giudice è un atto indispensabile per ottenere una decisione giurisdizionale vincolante, di per sé esso non determina in maniera definitiva gli obblighi delle parti della controversia, di modo che, a fortiori, la decisione di avviare un’azione giurisdizionale non modifica, di per sé, la situazione giuridica controversa. Inoltre, l’applicazione, da parte del giudice così adito, delle proprie norme procedurali costituisce una delle conseguenze necessariamente connesse al fatto di adire qualsiasi organo giurisdizionale e non può essere qualificata come effetto giuridico, ai sensi dell’art. 230 CE, della decisione di proporre un ricorso.

(v. punti 54-55, 58, 61)

3.     Anche se i singoli non possono proporre un ricorso di annullamento contro provvedimenti che non producono effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sui loro interessi, essi non sono però privati dell’accesso al giudice, poiché resta aperta la via del ricorso per responsabilità extracontrattuale, previsto negli artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE, se un simile comportamento è di natura tale da far sorgere la responsabilità della Comunità. Siffatto ricorso non fa parte del sistema di controllo della validità degli atti comunitari che producono effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi del ricorrente, ma è a disposizione quando una parte ha subito un danno dovuto al comportamento illegittimo di un’istituzione.

Inoltre, la circostanza che le ricorrenti non siano eventualmente in grado di dimostrare l’esistenza di un comportamento illegittimo da parte delle istituzioni comunitarie, o del danno lamentato, o ancora del nesso causale tra siffatto comportamento e siffatto danno subito, non significa che sia loro negata la tutela giurisdizionale effettiva.

(v. punti 79, 82-84)




SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

12 settembre 2006 (*)

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado – Decisione della Commissione di intentare un’azione giudiziaria dinanzi ad un giudice di uno Stato terzo – Ricorso d’annullamento – Irricevibilità»

Nel procedimento C-131/03 P,

avente ad oggetto un ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado proposto, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, il 24 marzo 2003,

R.J. Reynolds Tobacco Holdings, Inc., con sede in Winston‑Salem, Carolina del Nord (Stati Uniti),

RJR Acquisition Corp., con sede in Wilmington, New Castle, Delaware (Stati Uniti),

R.J. Reynolds Tobacco Company, con sede in Jersey City, New Jersey (Stati Uniti),

R.J. Reynolds Tobacco International, Inc., con sede in Dover, Kent, Delaware (Stati Uniti),

Japan Tobacco, Inc., con sede in Tokyo (Giappone),

rappresentate dal sig. P. Lomas, solicitor, e dal sig. O.W. Brouwer, avocat,

ricorrenti,

procedimento in cui le altre parti sono:

Philip Morris International Inc., con sede in Rye Brook, New York (Stati Uniti),

ricorrente in primo grado nelle cause T‑377/00 e T‑272/01,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. C. Docksey, X. Lewis e C. Ladenburger, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

sostenuta da:

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dal sig. M. Bishop e dalla sig.ra T. Blanchet, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente nel ricorso dinanzi alla Corte,

Regno di Spagna, rappresentato dalla sig.ra N. Díaz Abad, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Repubblica francese, rappresentata dal sig. G. de Bergues, in qualità di agente,

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Repubblica portoghese, rappresentata dai sigg. L.I. Fernandes e A. Seiça Neves, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Repubblica di Finlandia, rappresentata dalle sig.re T. Pynnä e A. Guimaraes‑Purokoski, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Parlamento europeo, rappresentato dai sigg. H. Duintjer Tebbens e A. Baas, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

intervenienti in primo grado,

Repubblica federale di Germania, rappresentata dai sigg. M. Lumma e W.‑D. Plessing, in qualità di agenti,

Repubblica ellenica,

intervenienti in primo grado nelle cause T‑260/01 e T‑272/01,

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato dalla sig.ra J. Van Bakel, in qualità di agente,

interveniente in primo grado nelle cause T‑379/00, T‑260/01 e T‑272/01,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. K. Schiemann e J. Makarczyk, presidenti di sezione, dai sigg. J.‑P. Puissochet, R. Schintgen, dalla sig.ra N. Colneric, e dai sigg. S. von Bahr (relatore), P. Kūris, E. Juhász, J. Klučka, U. Lõhmus, E. Levits e A. Ó Caoimh, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 24 gennaio 2006,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 aprile 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       Con il ricorso di impugnazione in esame, le ricorrenti chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 15 gennaio 2003, cause riunite T‑377/00, T‑379/00, T‑380/00, T‑260/01 e T‑272/01, Philip Morris e a./Commissione, Racc. pag. II‑1; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale questo ha dichiarato irricevibili i loro ricorsi diretti all’annullamento delle decisioni della Commissione delle Comunità europee 19 luglio 2000, che stabilisce «la proposizione di un’azione civile, in nome della Commissione, diretta contro alcuni produttori americani di sigarette», in esecuzione della quale è stata intentata un’azione civile contro varie società appartenenti al gruppo Philip Morris (in prosieguo: la «Philip Morris») e al gruppo Reynolds (in prosieguo: la «Reynolds»), nonché contro la Japan Tobacco, Inc. (in prosieguo: la «Japan Tobacco»), dinanzi alla United States District Court, Eastern District of New York, un tribunale federale statunitense (in prosieguo: la «District Court»), e 25 luglio 2001, che dispone «la proposizione di una nuova azione civile dinanzi ai giudici americani, da parte della Comunità congiuntamente ad almeno uno Stato membro, diretta contro i gruppi di produttori di sigarette convenuti nella causa precedente», in esecuzione della quale sono state intentate altre due azioni dinanzi alla District Court (in prosieguo: le «decisioni controverse»).

 Fatti all’origine della controversia

2       I fatti all’origine della controversia, quali risultano dalla sentenza impugnata, sono descritti nei seguenti termini:

«1      Nell’ambito della lotta contro il contrabbando di sigarette destinate alla Comunità europea, la Commissione approvava, il 19 luglio 2000, “la proposizione di un’azione civile, in nome della Commissione, diretta contro alcuni produttori americani di sigarette”. Essa decideva inoltre d’informarne il Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) secondo le procedure previste ed autorizzava il proprio presidente, nonché il membro della Commissione responsabile del bilancio, a dare istruzioni al servizio giuridico per l’adozione dei necessari provvedimenti.

2      Il 3 novembre 2000 la Comunità europea, rappresentata dalla Commissione ed “agendo in nome proprio ed in nome degli Stati membri che essa ha la capacità di rappresentare”, proponeva un’azione civile contro [la Philip Morris, la Reynolds e la Japan Tobacco] dinanzi alla [District Court].

3      Nell’ambito di tale azione (in prosieguo: la “prima azione”), la Comunità deduceva la partecipazione delle ricorrenti, imprese produttrici di tabacco, ad un sistema di contrabbando per l’introduzione e la distribuzione di sigarette sul territorio della Comunità europea. La Comunità mirava, in particolare, ad ottenere il risarcimento del danno derivante da tale sistema di contrabbando e consistente, principalmente, nella perdita dei dazi doganali e dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) che sarebbero stati versati in caso di regolare importazione, nonché la pronuncia di ingiunzioni dirette a far cessare il comportamento delittuoso.

4      La Comunità fondava le proprie domande su una legge federale statunitense, il Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act del 1970 (legge sul riciclaggio dei proventi del crimine; in prosieguo il “RICO”), nonché su alcune teorie di common law, vale a dire le teorie della common law fraud, della public nuisance e dell’unjust enrichment. Il RICO si propone di combattere la criminalità organizzata, in particolare facilitando la perseguibilità dei reati commessi dagli operatori economici. A tal fine esso conferisce legittimazione ad agire alle parti civili. Per incentivare le azioni civili, il RICO prevede che l’attore possa ottenere un risarcimento corrispondente al triplo del danno effettivamente subìto (treble damages).

5      Con decisione 16 luglio 2001, la Discrict Court respingeva le domande della Comunità europea.

6      Il 25 luglio 2001 la Commissione approvava “la proposizione di una nuova azione civile dinanzi ai giudici americani, da parte della Comunità congiuntamente ad almeno uno Stato membro, diretta contro i gruppi di produttori di sigarette convenuti nella causa precedente”. Essa autorizzava inoltre il proprio presidente ed il membro della Commissione responsabile del bilancio a dare istruzioni al servizio giuridico per adottare i necessari provvedimenti.

7      Il 6 agosto 2001 la Commissione, in nome della Comunità europea e degli Stati membri che essa aveva il potere di rappresentare, nonché dieci Stati membri, vale a dire il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica portoghese e la Repubblica [di Finlandia], in nome proprio, proponevano una nuova azione dinanzi alla District Court contro il gruppo Philip Morris ed il gruppo Reynolds. Nell’ambito di tale azione (in prosieguo: la “seconda azione”), la Comunità non basava più le sue domande sul RICO, ma unicamente sui principi di common law invocati nell’ambito della prima azione. Per contro, gli Stati membri fondavano le loro domande sia sul RICO che sui principi di diritto comune invocati dalla Comunità. Veniva inoltre lamentato un danno patrimoniale ed un danno non patrimoniale che la Comunità non aveva dedotto nell’ambito della prima azione e venivano richiamati ulteriori elementi relativamente alle teorie della public nuisance e dell’unjust enrichment.

8      La Comunità non proponeva appello contro la decisione della District Court 16 luglio 2001, menzionata al precedente punto 5. Tuttavia, il 10 agosto 2001 essa chiedeva al giudice statunitense di disapplicare quest’ultima decisione e di consentirle di modificare la sua domanda (motion to vacate the judgment and to amend the complaint). Tale domanda veniva respinta con decisione della District Court 25 ottobre 2001.

9      Il 9 gennaio 2002 la Comunità, rappresentata dalla Commissione, e i dieci Stati membri menzionati al precedente punto 7 proponevano dinanzi alla District Court una terza azione diretta contro [la] Japan Tobacco (…) ed altre imprese ad essa legate (in prosieguo: la “terza azione”).

10      Il 19 febbraio 2002 la District Court respingeva la seconda e la terza azione della Comunità e degli Stati membri, in base ad una norma di common law (revenue rule) secondo la quale i giudici statunitensi si astengono dal dare esecuzione alle leggi fiscali di altri Stati.

11      Il 20 marzo 2002 la Commissione approvava la proposta di interporre appello avverso la decisione della District Court. Il 25 marzo 2002 veniva depositato un atto d’appello dinanzi alla United States Court of Appeals for the Second Circuit (corte d’appello del secondo circuito) in nome della Comunità e dei dieci Stati membri».

 Il procedimento dinanzi al Tribunale

3       Con atti introduttivi depositati nella cancelleria del Tribunale il 19 ed il 20 dicembre 2000, le ricorrenti hanno presentato ricorsi diretti, in particolare, all’annullamento della decisione della Commissione di proporre la prima azione (cause T‑377/00, T‑379/00 e T‑380/00).

4       Con ordinanza 2 luglio 2001, il presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale ha disposto la riunione delle tre cause ai fini delle fasi scritta e orale nonché della sentenza.

5       Con atti depositati nella cancelleria del Tribunale il 15 ottobre 2001, la Reynolds e la Philip Morris hanno proposto ricorsi contro la decisione della Commissione di avviare la seconda azione (cause T-260/01 e T-272/01).

6       Con ordinanza 31 gennaio 2002, il presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale ha disposto la riunione delle cinque cause T-377/00, T-379/00, T-380/00, T-260/01 e T-272/01 per il prosieguo della fase scritta e orale e per la sentenza.

7       In ciascuna di queste cause, la Commissione ha sollevato un’eccezione di irricevibilità sostenendo che le decisioni controverse non costituiscono atti idonei a formare oggetto di un ricorso come quello previsto dall’art. 230, quarto comma, CE.

 La sentenza impugnata

8       Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha accolto le eccezioni di irricevibilità sollevate dalla Commissione e ha pertanto respinto il ricorso.

9       Ai punti 74, 76 e 77 di tale sentenza, il Tribunale ha innanzi tutto ricordato il contenuto dell’art. 230, quarto comma, CE, nonché la giurisprudenza costante secondo cui, da una parte, occorre avere riguardo alla natura dell’atto del quale è chiesto l’annullamento per accertare se esso possa formare oggetto di un ricorso, essendo a tal proposito in linea di massima irrilevante la forma nella quale lo stesso è stato adottato e, dall’altra, che soltanto i provvedimenti che producono effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di questo, costituiscono atti o decisioni che possono essere oggetto di un ricorso di annullamento. Il Tribunale si è riferito, tra l’altro, alla sentenza della Corte 11 novembre 1981, causa 60/81, IBM/Commissione (Racc. pag.  2639, punto 9).

10     Esso ha quindi esaminato se le decisioni controverse producano siffatti effetti giuridici.

11     A tale riguardo, il Tribunale ha osservato, al punto 79 della sentenza impugnata, che adire un giudice è un atto indispensabile per ottenere una decisione giurisdizionale vincolante, ma che la determinazione definitiva degli obblighi delle parti della controversia può risultare soltanto dalla decisione del giudice adito. Facendo riferimento, per analogia, alla sentenza della Corte 29 settembre 1998, causa C-191/95, Commissione/Germania (Racc. pag.  I-5449, punto 47), relativa alla decisione della Commissione di proporre un ricorso ai sensi dell’art. 226, secondo comma, CE, esso ha concluso che la decisione di proporre un ricorso giurisdizionale non modifica, di per sé, la situazione giuridica in cui si inserisce tale decisione, e non può dunque, in linea di principio, essere considerata una decisione impugnabile.

12     Il Tribunale ha poi esaminato se le decisioni controverse, non riguardando il ricorso alla Corte o ad un giudice di uno Stato membro, bensì ad un giudice di uno Stato terzo, abbiano prodotto effetti giuridici definitivi diversi rispetto a quelli necessariamente connessi al ricorso a qualsiasi giudice e che abbiano modificato, in misura rilevante, la situazione giuridica delle ricorrenti.

13     Analizzando, in un primo momento, gli effetti delle decisioni controverse nell’ordinamento giuridico comunitario, il Tribunale, al punto 91 della sentenza impugnata, ha in primo luogo considerato infondata la tesi delle ricorrenti secondo cui le dette decisioni avrebbero prodotto effetti giuridici vincolanti con riguardo alle competenze della Commissione e all’equilibrio istituzionale.

14     A tal proposito, al punto 86 della detta sentenza il Tribunale ha dichiarato che le decisioni controverse, come ogni atto di un’istituzione, implicano in via accessoria una decisione del loro autore quanto alla sua competenza ad adottarle, ma che una decisione di tale natura non può essere qualificata come effetto giuridico vincolante ai sensi dell’art. 230 CE poiché essa, anche supponendola errata, non ha carattere autonomo rispetto all’atto adottato. Il Tribunale ha aggiunto che una siffatta decisione, a differenza di un atto avente ad oggetto un’attribuzione di competenza, quale quello all’origine della sentenza della Corte 9 ottobre 1990, causa C-366/88, Francia/Commissione (Racc. pag. I-3571), fatta valere dalle ricorrenti, non è diretta a modificare la ripartizione delle competenze previste dal Trattato CE.

15     Al punto 87 della sentenza impugnata, il Tribunale ha inoltre dichiarato che la pretesa incompetenza della Commissione e l’eventuale pregiudizio all’equilibrio istituzionale che ne deriverebbe non consentono di derogare ai requisiti di ricevibilità del ricorso di annullamento fissati dal Trattato. Infatti, un tale ragionamento porterebbe a dedurre l’impugnabilità dell’atto dalla sua eventuale illegittimità. A tal riguardo, il Tribunale si è riferito, per analogia, all’ordinanza della Corte 10 maggio 2001, causa C-345/00 P, FNAB e a./Consiglio (Racc. pag. I-3811, punti 39-42).

16     Relativamente alla questione se, per quanto riguarda gli atti preparatori, un ricorso giurisdizionale precoce possa essere considerato compatibile con il sistema di mezzi di ricorso contemplato dal Trattato in circostanze eccezionali, quando si tratta di provvedimenti sprovvisti anche della più vaga apparenza di regolarità – questione sollevata, in particolare, al punto 23 della citata sentenza IBM/Commissione –, il Tribunale ha rilevato, al punto 88 della sentenza impugnata, che i giudici comunitari non hanno mai confermato la possibilità di procedere in via eccezionale ad un simile controllo degli atti preparatori o di altri atti privi di effetti giuridici. Esso ha aggiunto che le decisioni che hanno menzionato tale ipotesi sono precedenti alla citata ordinanza FNAB e a./Consiglio, nella quale la Corte si è chiaramente pronunciata contro la possibilità di far dipendere la ricevibilità di un ricorso dalla gravità delle asserite violazioni del diritto comunitario.

17     In secondo luogo, al punto 107 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato infondata la tesi secondo cui le decisioni controverse hanno prodotto effetti giuridici vincolanti sottoponendo le ricorrenti ad un altro ordinamento giuridico o modificando la loro situazione giuridica sul piano sostanziale o procedurale.

18     In proposito, esso ha dichiarato, al punto 93 della sentenza impugnata, che il principio secondo cui il ricorso ad un giudice non modifica, di per sé, la situazione giuridica delle parti in causa ai sensi dell’art. 230 CE vale sia nel caso di ricorso al giudice comunitario, sia nel caso in cui vengano aditi giudici degli Stati membri e persino di Stati terzi, quali gli Stati Uniti. Secondo il Tribunale, tale principio non è inficiato dal fatto che ogni giudice è chiamato ad applicare le norme procedurali del suo ordinamento giuridico e le norme sostanziali individuate in base alle disposizioni sul conflitto di leggi appartenenti allo stesso ordinamento giuridico. Infatti, indipendentemente dalle norme applicabili, le conseguenze giuridiche che ne derivano, ex lege o a seguito delle decisioni del giudice adito, non possono essere attribuite alla parte che ha adito il giudice.

19     Ai punti 95 e 96 della sentenza impugnata, il Tribunale ha riconosciuto che alcune decisioni di carattere procedurale possono produrre effetti giuridici vincolanti e definitivi ai sensi dell’art. 230 CE, come interpretato dalla giurisprudenza. Tra tali decisioni esso ha annoverato quelle che, pur costituendo fasi di una procedura amministrativa in corso, non si limitano a creare le condizioni per l’ulteriore svolgimento di quest’ultima, ma producono effetti che vanno al di là dell’ambito procedurale e modificano i diritti e gli obblighi degli interessati sul piano sostanziale.

20     Dopo avere richiamato, al punto 97 della sentenza impugnata, una serie di decisioni che, secondo la giurisprudenza dei giudici comunitari, hanno tale natura, il Tribunale ha dichiarato, al punto 98, che lo stesso non si può dire delle decisioni controverse. Esso ha osservato, in particolare, che l’assenza di un procedimento comunitario in materia di riscossione delle imposte e dei dazi doganali non può essere paragonata all’immunità espressamente accordata dall’art. 15, n. 5, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione degli artt. [81] e [82] del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204), alle parti di un accordo notificato in conformità a tale regolamento. Inoltre, se è pur vero che le decisioni controverse implicano una valutazione provvisoria, da parte della Commissione, del comportamento delle ricorrenti in base al diritto degli Stati Uniti, esse si differenziano dalla decisione di avviare il procedimento di esame degli aiuti di Stato per il fatto che il diritto comunitario non attribuisce conseguenze giuridiche determinate a questa valutazione. Secondo il Tribunale, il ricorso ai giudici statunitensi non impone pertanto nuovi obblighi alle ricorrenti e non le costringe a modificare la loro condotta.

21     Ai punti 99 e 100 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che alcune decisioni di carattere procedurale sono impugnabili in quanto arrecano pregiudizio a diritti procedurali degli interessati. Esso ha però osservato che, nel caso di specie, le ricorrenti non avrebbero goduto di diritti procedurali nell’ambito del procedimento per inadempimento che, secondo le stesse, avrebbe dovuto essere avviato dalla Commissione, concludendo che il ricorso alla District Court non ha potuto privarle di diritti al riguardo. Il Tribunale ha aggiunto che, in assenza di una competenza comunitaria quanto alla riscossione dei diritti e dei dazi di cui trattasi, non esiste nemmeno un procedimento previsto in materia dalla normativa comunitaria che attribuisca alle ricorrenti le garanzie di cui esse sarebbero state private.

22     Al punto 101 della sentenza impugnata, il Tribunale ha poi osservato che le ricorrenti non hanno nemmeno dimostrato che le decisioni controverse abbiano pregiudicato la loro situazione giuridica con riferimento ai procedimenti di riscossione delle imposte e dei dazi doganali esistenti negli Stati membri.

23     All’argomento delle ricorrenti secondo cui il procedimento dinanzi alla District Court si differenzia dai procedimenti esperibili dinanzi ai giudici degli Stati membri per l’assenza del sistema del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 CE, il Tribunale ha replicato, al punto 105 della sentenza impugnata, che è normale, nelle controversie che implicano elementi di internazionalità, che il giudice debba applicare disposizioni giuridiche straniere e che lo faccia nell’ambito del proprio diritto processuale. Secondo il Tribunale, la circostanza che il giudice applichi le proprie norme procedurali costituisce una delle conseguenze necessariamente connesse al fatto di adire qualsiasi organo giurisdizionale e non può essere qualificata come effetto giuridico ai sensi dell’art. 230 CE. Esso ha aggiunto che, se l’art. 234 CE dà ai giudici degli Stati membri la facoltà di sottoporre questioni pregiudiziali ed impone ad alcuni di loro un obbligo di rinvio, esso non conferisce però alle parti in causa davanti ai detti giudici alcun diritto di adire la Corte.

24     Il Tribunale ha concluso, al punto 108 della sentenza impugnata, che le decisioni controverse non producono, nell’ordinamento giuridico comunitario, effetti giuridici vincolanti ai sensi dell’art. 230 CE, come interpretato dalla giurisprudenza.

25     Esaminando poi gli effetti collegati dal diritto statunitense alla proposizione delle azioni civili in questione, il Tribunale ha dichiarato, al punto 110 della sentenza impugnata, che le conseguenze procedurali del ricorso alla District Court addotte dalle ricorrenti non sono, in gran parte, diverse da quelle necessariamente connesse al ricorso a qualsiasi giudice e che alcune di esse sono mere conseguenze di fatto.

26     Inoltre, ai punti 111 e 112 della sentenza impugnata il Tribunale ha rilevato che i giudici federali degli Stati Uniti possono, in base al loro diritto processuale, adottare decisioni con effetti vincolanti nei confronti delle parti in causa, in particolare obbligandole a divulgare elementi di fatto e documenti: tali effetti derivano dall’esercizio autonomo dei poteri di cui tali giudici sono investiti in base al diritto statunitense e non sono quindi imputabili alla Commissione.

27     Per quanto riguarda gli effetti del ricorso alla District Court sul piano del diritto sostanziale, il Tribunale ha dichiarato, al punto 114 della sentenza impugnata, che la decisione di adire la District Court produce solo la conseguenza di avviare un procedimento diretto a far accertare la responsabilità delle ricorrenti, la cui esistenza, per quanto riguarda il merito, non è determinata dalla proposizione dell’azione. Pertanto, se le decisioni controverse hanno potuto produrre l’effetto di mostrare alle ricorrenti che esse corrono un rischio concreto di vedersi infliggere sanzioni dal giudice statunitense, ciò costituisce una semplice conseguenza di fatto, e non un effetto giuridico che le decisioni controverse sono dirette a produrre. A tal proposito, il Tribunale ha rinviato al punto 19 della citata sentenza IBM/Commissione.

28     Ai punti 115-117 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che talune circostanze fatte valere dalle ricorrenti, ossia che queste ultime sono accusate di condotte delittuose nell’ambito delle azioni controverse, che l’immunità delle parti in causa le tutela da un’azione per diffamazione concernente le affermazioni calunniose effettuate nell’ambito del procedimento e che le azioni della Commissione sono state pubblicate su internet dalla District Court, nonché l’esistenza di conseguenze negative che possono derivare dalla proposizione delle azioni controverse quanto alla reputazione di società quotate in Borsa, o sono di natura fattuale, o risultano esclusivamente da disposizioni del diritto statunitense e non costituiscono effetti delle decisioni controverse imputabili alla Commissione.

29     Al punto 118 della sentenza impugnata il Tribunale ha concluso che gli effetti, addotti dalle ricorrenti, della proposizione delle azioni civili in questione in base al diritto statunitense non possono essere considerati quali effetti giuridici vincolanti ai sensi dell’art. 230 CE, come interpretato dalla giurisprudenza.

30     Infine, quanto al requisito dell’effettiva tutela giurisdizionale e all’argomento delle ricorrenti secondo cui l’irricevibilità dei loro ricorsi le priverebbe di ogni rimedio giurisdizionale per contestare le decisioni controverse dato che, appartenendo il giudice adito ad uno Stato terzo, né i giudici comunitari, né i giudici degli Stati membri potrebbero essere chiamati a pronunciarsi sulla legittimità del comportamento della Commissione, il Tribunale ha dichiarato quanto segue:

«121 A tal riguardo, si deve ricordare che la Corte ha affermato che l’accesso al giudice è uno degli elementi basilari di una comunità di diritto, e che esso è garantito, nell’ordinamento giuridico fondato sul Trattato CE, dal fatto che quest’ultimo ha istituito un sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte di giustizia il controllo sulla legittimità degli atti delle istituzioni (sentenza della Corte 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts/Parlamento, Racc. pag.  1339, punto 23). La Corte fonda il diritto di esperire un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice competente sulle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e sugli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (sentenza della Corte 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 18).

122      Il diritto ad esperire un ricorso effettivo spettante a tutti coloro i cui diritti e le cui libertà tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione siano stati violati è stato inoltre ribadito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU 2000, C 364, pag. 1), la quale, pur se non dotata di forza giuridica vincolante, dimostra l’importanza, nell’ordinamento giuridico comunitario, dei diritti che essa enuncia.

123      A tal riguardo occorre rilevare che i singoli non sono privati dell’accesso al giudice per il fatto che un comportamento privo di carattere decisionale non può formare oggetto di un ricorso di annullamento, dato che, se un simile comportamento è di natura tale da far sorgere la responsabilità della Comunità, resta aperta la via del ricorso per responsabilità extracontrattuale, previsto negli artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE.

124      Se può apparire auspicabile, inoltre, che i singoli dispongano, oltre che del ricorso per il risarcimento del danno, di un rimedio giuridico che consenta di prevenire – o far cessare – comportamenti non decisionali delle istituzioni che possano recare pregiudizio ai loro interessi, occorre tuttavia rilevare che un tale mezzo di ricorso, che comporterebbe necessariamente l’invio alle istituzioni di provvedimenti ingiuntivi da parte del giudice comunitario, non è contemplato dal Trattato. Orbene, il giudice comunitario non può sostituirsi al potere costituente comunitario per procedere ad una modifica del sistema dei rimedi giuridici e dei procedimenti istituiti dal Trattato (sentenza del Tribunale 27 giugno 2000, cause riunite T-172/98 e da T-175/98 a T-177/98, Salamander e a./Parlamento e Consiglio, Racc. pag.  II-2487, punto 75)».

 Conclusioni delle parti

31     Le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

–       annullare la sentenza impugnata;

–       dichiarare ricevibili i loro ricorsi di annullamento perché le decisioni controverse sono manifestamente illegittime e pronunciarsi in via definitiva sul ricorso;

–       in subordine, dichiarare ricevibili i loro ricorsi di annullamento e rinviare la causa al Tribunale affinché si pronunci nel merito;

–       in ulteriore subordine, rinviare la causa al Tribunale affinché esamini la questione della ricevibilità contestualmente al merito e statuisca di conseguenza;

–       condannare la Commissione alle spese in applicazione dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte.

32     La Commissione chiede che la Corte voglia:

–       dichiarare il ricorso d’impugnazione parzialmente irricevibile in quanto viene richiesto alla Corte di esaminare nuovi punti che non erano stati sollevati in primo grado o riesaminare gli argomenti già sollevati in primo grado;

–       per il resto, respingere il ricorso;

–       condannare le ricorrenti alle spese.

33     I governi italiano, olandese, portoghese, spagnolo e tedesco, nonché il Parlamento ed il Consiglio, chiedono alla Corte di respingere il ricorso di impugnazione e di condannare le ricorrenti alle spese.

34     Il governo finlandese chiede che la Corte voglia:

–       dichiarare irricevibile il ricorso d’impugnazione in quanto si chiede alla Corte di esaminare nuovi elementi che non sono stati sollevati in occasione del procedimento dinanzi al Tribunale e la si invita ad esaminare nuovamente elementi sollevati dinanzi al Tribunale senza dimostrare che quest’ultimo ha commesso errori di diritto;

–       per il resto, respingere il ricorso;

–       condannare le ricorrenti alle spese.

 Sull’impugnazione

35     A sostegno del loro ricorso di impugnazione, le ricorrenti fanno valere cinque motivi, tratti, rispettivamente:

–       dall’errata interpretazione dell’art. 230 CE per quanto riguarda gli effetti delle decisioni controverse nell’ordinamento giuridico comunitario;

–       dall’errata interpretazione dell’art. 230 CE per quanto riguarda gli effetti, in base al diritto statunitense, della proposizione delle azioni civili in questione;

–       dalla violazione del diritto fondamentale ad un tutela giurisdizionale effettiva;

–       dall’errata applicazione ed interpretazione della giurisprudenza della Corte sulla possibilità di contestare misure manifestamente illegittime;

–       dalla violazione dell’art. 292 CE.

 Sul primo motivo, vertente sull’errata interpretazione dell’art. 230 CE per quanto riguarda gli effetti delle decisioni controverse nell’ordinamento giuridico comunitario

 Argomenti delle parti

36     Nell’ambito di questo motivo, suddiviso in cinque parti, le ricorrenti fanno valere, in primo luogo, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto in quanto ha considerato, al punto 79 della sentenza impugnata, che, in linea di principio, la decisione di un’istituzione comunitaria di presentare un ricorso non può essere considerata una decisione impugnabile.

37     Ebbene, dalla giurisprudenza risulterebbe che gli unici provvedimenti adottati dalle istituzioni non suscettibili di controllo giurisdizionale sono quelli che si integrano in un procedimento comunitario in corso che sfocia in una successiva decisione passibile di un’impugnazione in occasione della quale tutte le censure relative ad una precedente illegittimità o all’incompetenza dell’istituzione interessata ed i loro effetti possono essere adeguatamente esaminate dal giudice competente tenuto ad applicare il diritto comunitario. Le ricorrenti richiamano, in proposito, le citate sentenze IBM/Commissione (punto 20) e Commissione/Germania (punto 44).

38     In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che, nel valutare se le decisioni controverse producono effetti giuridici, il Tribunale non ha interpretato correttamente la giurisprudenza, né applicato quest’ultima alle circostanze, completamente nuove, della causa in esame. L’attuale giurisprudenza verterebbe infatti su ricorsi proposti contro provvedimenti adottati dalla Commissione nell’esercizio di competenze che le sono attribuite dal Trattato: tali ricorsi sfociavano inesorabilmente in una decisione che produceva i suoi effetti nell’ordinamento giuridico comunitario, la quale era adottata da un giudice comunitario o era soggetta al controllo di siffatto giudice. Nel caso di specie, invece, se le decisioni controverse non sono soggette al controllo del giudice comunitario, nessun altro atto o conseguenza formerà oggetto di siffatto controllo e le istituzioni comunitarie potranno avviare procedimenti al di fuori dell’ordinamento giuridico comunitario su ogni nuova questione e in qualsiasi circostanza.

39     In terzo luogo, il Tribunale avrebbe interpretato in modo errato la giurisprudenza comunitaria, concludendo che non deriva nessun effetto giuridico dal fatto di non poter più ottenere dalla Corte una decisione pregiudiziale sulla competenza della Commissione ad avviare in uno Stato terzo procedimenti diretti a riscuotere dazi doganali e IVA asseritamente non versati.

40     In proposito, le ricorrenti sostengono che se la Commissione avesse adito un giudice di uno Stato membro, esse sarebbero state legittimate a sollevare la fondamentale questione della competenza della Commissione, questione che il giudice nazionale di più alto grado sarebbe stato tenuto a deferire alla Corte, in applicazione dell’art. 234, terzo comma, CE, alla luce della regola sancita nella sentenza 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost (Racc. pag. 4199), e della manifesta inapplicabilità della giurisprudenza Cilfit e a. (sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, Racc. pag. 3415). Il venir meno di tale possibilità comporterebbe evidenti conseguenze giuridiche in capo alle parti della controversia.

41     In quarto luogo, ritenendo che la proposizione di un ricorso giurisdizionale in uno Stato terzo piuttosto che in uno Stato membro non produca effetti giuridici, il Tribunale avrebbe parimenti erroneamente interpretato la giurisprudenza secondo cui, quando è stata operata la scelta di avviare un determinato procedimento in luogo di un altro, la decisione recante tale scelta produce effetti giuridici ai sensi dell’art. 230 CE.

42     Il Tribunale infatti, al punto 98 della sentenza impugnata, avrebbe a torto omesso di riconoscere che il fattore decisivo nella sentenza 30 giugno 1992, causa C‑312/90, Spagna/Commissione (Racc. pag. I-4117), era il fatto che la Commissione avesse preferito un procedimento in luogo di un altro, escludendo in tale modo quest’ultimo. A tale proposito, le ricorrenti fanno inoltre valere la sentenza 15 marzo 1967, cause riunite 8/66-11/66, CBR e a./Commissione (Racc. pag.  93). Ebbene, avviando negli Stati Uniti i procedimenti in esame, la Commissione avrebbe effettuato una scelta di procedura, con la conseguenza di escludere non solo i rinvii pregiudiziali alla Corte, ma anche le importanti garanzie procedurali connesse ai pertinenti procedimenti di diritto comunitario applicabili alla riscossione delle imposte e dei dazi in questione.

43     In quinto luogo, le ricorrenti rilevano che il Tribunale non ha riconosciuto che, per effetto delle decisioni controverse, la Commissione aveva espresso una posizione definitiva quanto alla sua competenza ai sensi del diritto comunitario, il che produce effetti giuridici in base ad una consolidata giurisprudenza.

44     La Commissione, infatti, avrebbe potuto agire solo se fosse stato adottato un atto di diritto derivato diretto a consentirle di avviare procedimenti giurisdizionali in uno Stato terzo per riscuotere i dazi doganali e l’IVA ritenuti non versati. Le decisioni controverse produrrebbero quindi gli stessi effetti giuridici di un siffatto atto di diritto derivato.

45     Le dette decisioni, inoltre, avrebbero prodotto la conseguenza di autorizzare le spese sostenute dalla Commissione per avviare e proseguire azioni dinanzi ai giudici statunitensi. Siffatte decisioni sarebbero suscettibili di ricorso in applicazione dell’art. 230 CE, come emergerebbe, tra l’altro, dall’ordinanza 24 settembre 1996, cause riunite C-239/96 R e C-240/96 R, Regno Unito/Commissione, Racc. pag. I‑4475).

46     Essendosi sostituite ad atti di diritto comunitario primario o derivato che modificano la suddivisione delle competenze prevista dal Trattato, le decisioni controverse sarebbero anche dirette a modificare detta suddivisione, il che costituirebbe una modifica delle competenze identica a quella della citata sentenza Francia/Commissione.

47     La Commissione sostiene che tutte le parti di questo motivo devono essere dichiarate irricevibili dato che le ricorrenti si limitano a ripetere argomenti già esposti in primo grado.

48     Essa afferma inoltre, quanto alla quinta parte del motivo e all’argomento che la Commissione, per riscuotere imposte in Stati terzi, può agire solo in forza di una specifica autorizzazione di legge, in primo luogo, che le ricorrenti hanno descritto in modo inesatto l’impostazione seguita dal Tribunale. Esso avrebbe infatti rilevato, al punto 104 della sentenza impugnata, che le ricorrenti non hanno dimostrato che la Commissione abbia eluso o aggirato le procedure esistenti applicabili in materia di riscossione delle imposte e dei dazi doganali o di lotta antifrode. In secondo luogo, non si sarebbe mai considerata l’ipotesi che la Commissione presenti essa stessa un ricorso per riscuotere imposte non versate. In terzo luogo, il Tribunale avrebbe sottolineato, al punto 102 della sentenza impugnata, che l’argomento secondo cui la Commissione ha cercato di riscuotere le tasse attraverso un’azione di risarcimento del danno è inidoneo a provare una violazione dei diritti procedurali delle ricorrenti, oltre al fatto che tale argomento attiene al merito della controversia.

 Giudizio della Corte

49     In via preliminare occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, dagli artt. 225 CE, 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia e 112, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte risulta che un ricorso avverso una sentenza del Tribunale deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda (v., in particolare, sentenze 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag. I‑5291, punto 34; 8 gennaio 2002, causa C‑248/99 P, Francia/Monsanto e Commissione, Racc. pag. I‑1, punto 68, e 6 marzo 2003, causa C‑41/00 P, Interporc/Commissione, Racc. pag. I‑2125, punto 15).

50     Non risponde dunque ai requisiti di motivazione stabiliti da queste disposizioni un ricorso di impugnazione che si limiti a ripetere o a riprodurre pedissequamente i motivi e gli argomenti già presentati dinanzi al Tribunale, ivi compresi gli argomenti di fatto da questo espressamente disattesi (v., in particolare, ordinanza 25 marzo 1998, causa C-174/97 P, FFSA e a./Commissione, Racc. pag. I-1303, punto 24, e sentenza Interporc/Commissione, cit., punto 16). Infatti, un’impugnazione di tal genere costituisce in realtà una domanda diretta ad ottenere un semplice riesame del ricorso presentato dinanzi al Tribunale, il che esula dalla competenza della Corte (v. ordinanza 26 settembre 1994, causa C‑26/94 P, X/Commissione, Racc. pag. I‑4379, punto 13, e sentenza Bergaderm e Goupil/Commissione, cit., punto 35).

51     Tuttavia, qualora un ricorrente contesti l’interpretazione o l’applicazione del diritto comunitario effettuata dal Tribunale, i punti di diritto esaminati in primo grado possono essere di nuovo discussi nel corso di un’impugnazione (v. sentenza 13 luglio 2000, causa C‑210/98 P, Salzgitter/Commissione, Racc. pag. I‑5843, punto 43). Infatti, se un ricorrente non potesse così basare l’impugnazione su motivi e argomenti già utilizzati dinanzi al Tribunale, il procedimento d’impugnazione sarebbe privato di una parte di significato (v., in particolare, ordinanza FNAB e a./Consiglio, punti 30 e 31, nonché sentenze 16 maggio 2002, causa C-321/99 P, ARAP e a./Commissione, Racc. pag. I‑4287, punto 49, e Interporc/Commissione, cit., punto 17).

52     Orbene, nel caso di specie occorre dichiarare che, in realtà, con il primo motivo le ricorrenti non mirano ad ottenere un mero riesame del ricorso presentato dinanzi al Tribunale. In ciascuna parte di tale motivo, infatti, esse indicano in modo chiaro e preciso i passaggi della sentenza impugnata che considerano viziati da errori di diritto.

53     Ne consegue che il primo motivo è ricevibile.

54     Per quanto riguarda la prima parte di tale motivo, come giustamente ricordato dal Tribunale al punto 77 della sentenza impugnata, per costante giurisprudenza costituiscono atti o decisioni che possono essere oggetto di un ricorso di annullamento soltanto i provvedimenti che producono effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di questo (v., in particolare, sentenza IBM/Commissione, cit., punto 9; ordinanza 4 ottobre 1991, causa C‑117/91, Bosman/Commissione, Racc. pag. I-4837, punto 13, e sentenza 9 dicembre 2004, causa C‑123/03 P, Commissione/Greencore, Racc. pag. I‑11647, punto 44).

55     Pertanto, diversamente da quanto sostengono le ricorrenti, sono esenti dal controllo giurisdizionale previsto dall’art. 230 CE non solo gli atti preparatori, ma tutti gli atti che non producono effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi del singolo, quali gli atti confermativi e gli atti di mera esecuzione (v., in particolare, sentenza 1° dicembre 2005, causa C‑46/03, Regno Unito/Commissione, Racc. pag. I-10167, punto 25), le semplici raccomandazioni e pareri (sentenza 23 novembre 1995, causa C-476/93 P, Nutral/Commissione, Racc. pag. I‑4125, punto 30) e, in linea di principio, le istruzioni di servizio (v. sentenza Francia/Commissione, cit., punto 9).

56     Quindi il Tribunale non è incorso in un errore di diritto deducendo dalla circostanza che le decisioni controverse non producevano effetti giuridici vincolanti ai sensi dell’art. 230 CE che esse non erano suscettibili di formare oggetto di un ricorso, senza limitare la portata di tale soluzione ai soli atti preparatori.

57     Occorre pertanto respingere la prima parte del primo motivo.

58     Quanto alla seconda parte, nei limiti in cui essa non si confonde con la terza, la quarta e la quinta, occorre constatare che il Tribunale ha giustamente rilevato, al punto 47 della citata sentenza Commissione/Germania, che, se il fatto di adire un giudice è un atto indispensabile per ottenere una decisione giurisdizionale vincolante, di per sé non determina in maniera definitiva gli obblighi delle parti della controversia, di modo che, a fortiori, la decisione di avviare un’azione giurisdizionale non modifica, di per sé, la situazione giuridica controversa.

59     A tale riguardo, la questione dell’assoggettabilità delle decisioni controverse al controllo dei giudici comunitari è irrilevante.

60     Di conseguenza, la seconda parte del primo motivo deve essere respinta.

61     Quanto alla terza parte, ancora una volta a ragione il Tribunale ha dichiarato, al punto 105 della sentenza impugnata, che l’applicazione, da parte del giudice, delle proprie norme procedurali costituisce una delle conseguenze necessariamente connesse al fatto di adire qualsiasi organo giurisdizionale e non può essere qualificata come effetto giuridico, ai sensi dell’art. 230 CE, della decisione di proporre un ricorso.

62     Va aggiunto che la possibilità di qualificare le decisioni controverse della Commissione come atti giuridici impugnabili ai sensi della giurisprudenza di cui al punto 54 di questa sentenza non può essere fatta dipendere dalla circostanza che, se la Commissione avesse adito un giudice di uno Stato membro, sarebbe stato possibile un rinvio pregiudiziale ex art. 234 CE nell’ambito del procedimento così avviato.

63     Pertanto, la terza parte del primo motivo non può essere accolta.

64     A proposito della quarta parte del primo motivo, il Tribunale ha interpretato correttamente la citata sentenza Spagna/Commissione (punti 12-20), specificando che da tale sentenza risulta che la decisione di avviare l’esame degli aiuti di Stato produce effetti giuridici ai sensi dell’art. 230 CE. Infatti, dalla valutazione e dalla qualificazione degli aiuti considerati, e dalla scelta della procedura che ne risulta, derivano determinate conseguenze giuridiche. Il mero fatto che la Commissione, attraverso le decisioni controverse, abbia operato una scelta relativa al procedimento da avviare contro le ricorrenti, escludendo in tal modo altri procedimenti, non può però, di per sé, costituire un effetto giuridico nel senso previsto dal detto articolo.

65     Ne consegue che la quarta parte del primo motivo deve essere respinta.

66     Riguardo alla quinta parte del motivo, come ha giustamente rilevato il Tribunale, se le decisioni controverse, come ogni atto di un’istituzione, implicano in via accessoria una decisione del loro autore quanto alla propria competenza ad adottarle, siffatta decisione non può tuttavia essere qualificata, di per sé, come effetto giuridico vincolante ai sensi dell’art. 230 CE, come interpretato dalla giurisprudenza.

67     Per quanto riguarda l’utilizzo di risorse di bilancio, implicitamente autorizzato dalle decisioni controverse per avviare e seguire le azioni in esame, è sufficiente constatare che tale circostanza non incide sulla questione se le dette decisioni producano effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi delle ricorrenti modificando significativamente la loro situazione giuridica.

68     Da quanto precede risulta che occorre respingere la quinta parte del primo motivo e, di conseguenza, l’intero motivo.

 Sul secondo motivo, vertente sull’errata interpretazione dell’art. 230 CE per quanto riguarda gli effetti, in base al diritto statunitense, della proposizione delle azioni civili in questione

 Argomenti delle parti

69     Secondo le ricorrenti, al punto 105 della sentenza impugnata il Tribunale ha commesso un errore ritenendo che la District Court potesse ovviare all’assenza di un regime di rinvio pregiudiziale negli Stati Uniti applicando essa stessa il diritto comunitario. In proposito, esse sostengono che, a causa della dottrina dell’«Act of State», è improbabile che la District Court si pronunci su questioni fondamentali di diritto comunitario sollevate dinanzi ad essa. Al riguardo, contrariamente a quanto afferma la Commissione, le ricorrenti avrebbero già fatto valere tale dottrina, o, in ogni caso, il suo contenuto, dinanzi al Tribunale.

70     La Commissione afferma che tale motivo è irricevibile in quanto costituisce un motivo nuovo. A suo parere, sebbene avessero potuto farlo, le ricorrenti non hanno mai fatto valere la dottrina dell’«Act of State», né dinanzi al Tribunale, né dinanzi alla District Court.

 Giudizio della Corte

71     Prima di tutto occorre constatare che, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 66 delle conclusioni, dal punto 72 della sentenza impugnata si evince che la dottrina dell’«Act of State» è stata richiamata dalle ricorrenti dinanzi al Tribunale, quindi il secondo motivo è ricevibile.

72     Tuttavia, e nei limiti in cui tale motivo differisce dalla terza e dalla quarta parte del primo motivo, esso deve essere respinto in quanto infondato.

73     L’applicabilità o meno della dottrina dell’«Act of State» da parte del competente giudice degli Stati Uniti, infatti, non produce alcun effetto sulla nozione di atto impugnabile ai sensi dell’art 230 CE.

 Sul terzo motivo, vertente sulla violazione del diritto fondamentale ad un tutela giurisdizionale effettiva

 Argomenti delle parti

74     Le ricorrenti affermano che il Tribunale le ha private della tutela giurisdizionale effettiva e ha commesso un errore di diritto avendo considerato, al punto 123 della sentenza impugnata, che il criterio pertinente in tale materia è l’accesso al giudice piuttosto che l’esistenza di ricorsi effettivi, cui fa riferimento la giurisprudenza. A tale riguardo, esse fanno valere la sentenza 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio (Racc. pag. I‑6677, punto 39).

75     Inoltre, il fatto che la Corte, nelle sentenze Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, citata (punto 40), e 2 aprile 1998, causa C‑321/95 P, Greenpeace Council e a./Commissione (Racc. pag. I‑1651), abbia menzionato l’esistenza di un sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso a garantire il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni, senza tuttavia includervi l’art. 288 CE, dimostrerebbe l’inesattezza della tesi, enunciata dal Tribunale al punto 123 della sentenza impugnata, secondo cui non è in contrasto con l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva il fatto di non considerare ricevibile un ricorso di annullamento a causa della possibilità di proporre un ricorso per responsabilità extracontrattuale sulla base del detto articolo. Per di più, la mera incompetenza delle istituzioni comunitarie non farebbe sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità, così che un ricorso per risarcimento non basterebbe a fornire alle ricorrenti un’effettiva tutela giurisdizionale.

76     La Commissione sostiene che il principio della effettiva tutela giurisdizionale garantisce la tutela contro gli atti delle istituzioni comunitarie idonei a violare i diritti e le libertà riconosciute dal diritto comunitario, ossia gli atti che producono effetti giuridici sugli interessati. Orbene, a suo avviso le decisioni controverse non costituiscono atti di questo genere.

77     Per quanto riguarda la citata sentenza Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, la Commissione ricorda che, al suo punto 44, la Corte ha dichiarato che, anche se il requisito dell’interesse individuale, per proporre un ricorso contro un regolamento, deve essere interpretato alla luce del principio di una tutela giurisdizionale effettiva, tenendo conto delle diverse circostanze atte ad identificare un ricorrente, tale interpretazione non può condurre ad escludere il requisito medesimo.

78     Per quanto riguarda l’art. 288 CE, la Commissione ritiene che il problema reale che si pone alle ricorrenti risieda non tanto nel capire se tale articolo offra loro una tutela effettiva, quanto nella difficoltà di dimostrare che la Commissione ha compiuto un atto illegittimo cercando di ottenere dalla District Court una decisione che riconoscesse che esse hanno commesso le varie attività illecite e delittuose denunciate nelle azioni civili e che il danno subito è una conseguenza diretta della proposizione di questo genere di azioni.

 Giudizio della Corte

79     Anzitutto occorre dichiarare che il Tribunale, al punto 123 della sentenza impugnata, si è giustamente fondato sul principio che i provvedimenti che non producono effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi dei singoli non possono formare oggetto di un ricorso di annullamento.

80     È vero che, come ricordato al punto 121 della detta sentenza, mediante gli artt. 230 CE e 241 CE, da un lato, e l’art. 234 CE, dall’altro, il Trattato istituisce un sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte di giustizia il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni (v. citate sentenze Les Verts/Parlamento, punto 23; Foto-Frost, punto 16, e 6 dicembre 2005, causa C‑461/03, Gaston Schul Douane-expediteur, Racc. pag. I-10513, punto 22).

81     Tuttavia, rimane il fatto che, sebbene il requisito relativo agli effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi del ricorrente modificando significativamente la sua situazione giuridica debba essere interpretato alla luce del principio di una tutela giurisdizionale effettiva, tale interpretazione non può condurre ad escludere questo requisito senza eccedere le competenze attribuite dal Trattato ai giudici comunitari (v., per analogia, quanto al requisito secondo cui la persona fisica o giuridica ricorrente deve essere individualmente interessata dall’atto impugnato, sentenza Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit., punto 44).

82     Il Tribunale ha avuto ancora una volta ragione quando ha dichiarato, al punto 123 della sentenza impugnata, che, anche se i singoli non possono proporre un ricorso di annullamento contro siffatte misure, essi non sono però privati dell’accesso al giudice, poiché resta aperta la via del ricorso per responsabilità extracontrattuale, previsto negli artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE se un simile comportamento è di natura tale da far sorgere la responsabilità della Comunità.

83     Siffatto ricorso non fa parte del sistema di controllo della validità degli atti comunitari che producono effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi del ricorrente, ma è a disposizione quando una parte ha subito un danno dovuto al comportamento illegittimo di un’istituzione.

84     Inoltre, la circostanza che magari le ricorrenti non siano in grado di dimostrare l’esistenza di un comportamento illegittimo da parte delle istituzioni comunitarie, o del danno lamentato, o ancora del nesso causale tra siffatto comportamento e siffatto danno subito, non significa che gli sarà negata la tutela giurisdizionale effettiva.

85     Da quanto precede risulta che il terzo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul quarto motivo, vertente sull’errata applicazione ed interpretazione della giurisprudenza della Corte sulla possibilità di contestare misure manifestamente illegittime

 Argomenti delle parti

86     Le ricorrenti sottolineano che nessuna disposizione del Trattato e nessun atto di diritto derivato legittima la Comunità ad intentare un’azione giudiziaria fuori dall’ordinamento giuridico comunitario, né autorizza la Commissione ad adottare un atto esecutivo per la riscossione dei dazi doganali e dell’IVA. A tale riguardo, le ricorrenti osservano che l’art. 211 CE non è una norma generale di autorizzazione che rende irrilevante l’art. 7 CE. Quindi, dato che le decisioni controverse sarebbero manifestamente illegittime, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare i ricorsi di annullamento ricevibili, in conformità alla citata sentenza IBM/Commissione.

87     Quanto alla citata ordinanza FNAB e a./Consiglio, richiamata dal Tribunale ai punti 87 e 88 della sentenza impugnata, le ricorrenti affermano che la Corte, quando al punto 40 di tale ordinanza si è rifatta ai «criteri di ricevibilità espressamente fissati dal Trattato», si riferiva ai requisiti relativi all’interesse diretto ed individuale menzionati all’art. 230, quarto comma, CE, a prescindere dal fatto che, in circostanze eccezionali, provvedimenti sprovvisti anche della più vaga apparenza di regolarità possano formare oggetto di ricorsi di annullamento.

88     Ad ogni modo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha applicato in modo errato la giurisprudenza risultante, tra l’altro, dalle sentenze 9 ottobre 1990, Francia/Commissione, citata, e 16 giugno 1993, causa C‑325/91, Francia/Commissione (Racc. pag. I‑3283), ed ha commesso una violazione di una forma sostanziale non avendo riunito la questione della ricevibilità al merito.

89     La Commissione ritiene, in primo luogo, che questo motivo sia irricevibile in quanto gli argomenti sviluppati sono solo la ripetizione di quelli che erano stati sollevati in primo grado.

90     In secondo luogo, essa osserva che, dinanzi al Tribunale, le parti legittimate a ricorrere ex art. 230, secondo comma, CE, sulle cui prerogative istituzionali incide direttamente una presa di posizione unilaterale della Commissione sulla sua competenza, hanno sostenuto molto chiaramente il diritto della Commissione di adottare le decisioni controverse. La stessa Commissione avrebbe inoltre ricordato le prerogative in materia di rappresentanza della Comunità conferitele dall’art. 282 CE, che costituirebbe un’applicazione del principio generale secondo cui solo la Commissione è autorizzata a rappresentare la Comunità dinanzi ai tribunali. Nella replica all’istanza di rigetto presentata dinanzi alla District Court, la Commissione si sarebbe fondata sull’art. 211 CE, oltre che su altri articoli del Trattato. Quindi, posto che la Commissione, per lo meno a priori, dispone della competenza in questione, non si può sostenere che ci sia incompetenza manifesta, né che le decisioni controverse siano prive della più vaga apparenza di regolarità.

91     In terzo luogo, quanto alla citata ordinanza FNAB e a./Consiglio, e all’argomento delle ricorrenti secondo cui il Tribunale avrebbe dovuto riunire la questione della ricevibilità al merito, la Commissione ricorda che, per poter contestare una decisione, il singolo deve anzitutto dimostrare che essa abbia prodotto taluni effetti giuridici definitivi, il che non sarebbe avvenuto.

 Giudizio della Corte

92     In via preliminare, occorre respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione per motivi identici a quelli esposti ai punti 49-52 di questa sentenza.

93     Inoltre, non è necessario pronunciarsi sul punto se dalla citata sentenza IBM/Commissione risulti che, in circostanze eccezionali, i ricorsi di annullamento diretti contro misure prive della più vaga apparenza di regolarità debbano essere dichiarati ricevibili. Occorre infatti constatare che, palesemente, tale situazione non si riscontra nel caso di specie.

94     Basta infatti rilevare che, in proposito, l’art. 211 CE prevede che la Commissione vigila sull’applicazione delle disposizioni del Trattato e delle disposizioni adottate in virtù di esso; che, conformemente all’art. 281 CE, la Comunità ha personalità giuridica e che l’art. 282 CE – il quale, sebbene il suo disposto si limiti agli Stati membri, costituisce l’espressione d’un principio generale – precisa che la Comunità possiede la capacità giuridica e a tal fine è rappresentata dalla Commissione.

95     Per quanto riguarda la censura secondo la quale il Tribunale avrebbe dovuto riunire la valutazione dell’eccezione di irricevibilità al merito, si deve dichiarare che, contrariamente a quanto accadeva nelle sentenze citate dalle ricorrenti, la valutazione della fondatezza dell’eccezione di irricevibilità sollevata dinanzi al Tribunale non dipendeva, nel caso di specie, da quella che doveva essere svolta sui motivi di merito fatti valere dalle ricorrenti.

96     Pertanto, il quarto motivo non può essere accolto.

 Sul quinto motivo, vertente sulla violazione dell’art. 292 CE

 Argomenti delle parti

97     Le ricorrenti affermano che, concludendo che la District Court poteva dirimere tutte le controversie relative alla competenza della Commissione ad avviare i procedimenti in questione negli Stati Uniti, il Tribunale ha optato per una soluzione in contrasto con l’art. 292 CE e con il sistema dei Trattati.

98     L’autonomia dell’ordinamento giuridico comunitario sarebbe infatti compromessa da qualsiasi sistema extracomunitario in base al quale la Comunità e le sue istituzioni risultassero vincolate da una particolare interpretazione delle norme di diritto comunitario nell’esercizio delle loro competenze interne (v., in particolare, pareri 1/91, del 14 dicembre 1991, Racc. pag. I‑6079, punti 41-46, e 1/00, del 18 aprile 2002, Racc. pag. I‑3493, punto 45). Ciò si verificherebbe se la District Court decidesse sulla competenza della Commissione ad intentare azioni in uno Stato terzo per recuperare dazi doganali ed IVA che si ritiene non siano stati versati.

99     La Commissione rammenta, innanzi tutto, che l’art. 292 CE riguarda gli Stati membri e non essa stessa.

100   Essa afferma poi che la Comunità non cerca di sostituire alla Corte la District Court in qualità di arbitro di questioni di diritto comunitario. Tutti gli argomenti relativi alla legittimazione ed alla competenza della Commissione suscettibili di essere presentati dalle ricorrenti dinanzi alla District Court sarebbero trattati da essa allo stesso modo di qualsiasi altra questione preliminare risultante da un’azione civile proposta contro di esse dalla Comunità. Quando risulta necessario tener conto del diritto comunitario al fine dell’applicazione delle disposizioni del suo ordinamento giuridico, la District Court raccoglierebbe tutte le informazioni a tal fine richieste.

101   Quanto alla scelta del giudice, per la Commissione si tratterrebbe di una questione di strategia. Essa farebbe in modo di intentare azioni o intervenire nei procedimenti nello Stato in cui si sono svolte le attività incriminate o in cui avrà luogo l’esecuzione. La District Court sarebbe il giudice competente per la giurisdizione cui sono assoggettate una o più ricorrenti e in cui hanno avuto luogo le attività illecite. Pertanto, si tratterebbe del giudice che si trova nella posizione migliore per ottenere l’auspicata effettiva esecuzione della sentenza.

 Giudizio della Corte

102   Occorre dichiarare che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la decisione di un giudice statunitense sulla competenza della Commissione ad intentare dinanzi ad esso un’azione giudiziaria non è idonea a vincolare la Comunità e le sue istituzioni, nell’esercizio delle loro competenze interne, ad una particolare interpretazione delle norme di diritto comunitario. Infatti, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 90 delle conclusioni, siffatta decisione sarebbe vincolante solamente in relazione ad uno specifico procedimento.

103   Ne consegue che il quinto motivo deve essere respinto in quanto infondato.

104   Poiché nessuno dei motivi fatti valere dalle ricorrenti a sostegno del loro ricorso di impugnazione è fondato, quest’ultimo deve essere respinto.

 Sulle spese

105   A termini dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione per effetto dell’art. 118 del regolamento medesimo, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere pertanto condannate alle spese, conformemente alla domanda della Commissione. Ai sensi dell’art. 69, n. 4, del detto regolamento, anch’esso applicabile al procedimento di impugnazione per effetto del detto art. 118, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopportano le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso avverso la sentenza del Tribunale di primo grado è respinto.

2)      Le società R.J. Reynolds Tobacco Holdings, Inc., RJR Acquisition Corp., R.J. Reynolds Tobacco Company, R.J. Reynolds Tobacco International, Inc., e Japan Tobacco, Inc., sono condannate alle spese.

3)      La Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Finlandia, il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’Unione europea sopportano le proprie spese.

Firme


* Lingua processuale: l'inglese.

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