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Document 61990TC0024

Conclusioni riunite dell'avvocato generale Edward del 10 marzo 1992.
Automec Srl contro Commissione delle Comunità europee.
Concorrenza - Obblighi della Commissione in caso di presentazione di denuncia.
Causa T-24/90.
Asia Motor France SA e altri contro Commissione delle Comunità europee.
Ricorso per carenza - Ricevibilità - Non luogo a provvedere - Ricorso per risarcimento danni - Liquidazione delle spese.
Causa T-28/90.

Raccolta della Giurisprudenza 1992 II-02223

ECLI identifier: ECLI:EU:T:1992:39

CONCLUSIONI

DEL GIUDICE D. A. O. EDWARD DESIGNATO COME AVVOCATO GENERALE

presentate il 10 marzo 1992 ( *1 )

1. 

Propongo di tranare congiuntamente in queste conclusioni le cause T-24/90, Automec/Commissione, e T-28/90, Asia Motor France e a./Commissione. Per quanto non formalmente riunite, le dette cause sono state discusse in udienza plenaria in giorni successivi e sollevano, o in ogni caso sembrano sollevare, la medesima questione di principio. Per ragioni di brevità le indicherò come «Automec» e «Asia Motor France», ma in alcuni casi indicherò la prima come «Automec II» onde distinguerla dalla precedente causa («Automec I») conclusasi il 10 luglio 1990 ( 1 ) con una dichiarazione di irricevibilità del ricorso.

2. 

La questione di principio sollevata dalle due cause in esame riguarda la natura e la portata dell'obbligo della Commissione di agire a seguito di una denuncia presentata da un soggetto privato ai sensi dell'art. 3 del regolamento n. 17/62 (in prosieguo: il «regolamento n. 17»). La Commissione ha l'obbligo di compiere indagini? Ed in caso affermativo, entro quali limiti? Dispone del potere discrezionale di non dare corso al procedimento in base a valutazioni di opportunità? O è invece obbligata ad emanare una decisione impugnabile dinanzi alla Corte ex art. 173 da parte di chi ha presentato la denuncia? Può questi avvalersi dell'art. 175 al fine di costringere la Commissione ad agire? Può la Commissione giustificare la propria inerzia in base alla considerazione che vi sono rimedi giuridici esperibili dinanzi ai giudici nazionali, che non sussiste un sufficiente interesse della Comunità a dar seguito alla denuncia o che la Commissione non dispone di organici tali da potersi occupare di denunce di importanza secondaria?

3. 

Al fine di porre esattamente a fuoco le questioni sollevate nelle presenti cause propongo di esaminare anzitutto le pertinenti norme del Trattato e dei relativi regolamenti di applicazione, la giurisprudenza della Corte di giustizia e di codesto Tribunale nonché talune ammissioni fatte dalla Commissione nel corso delle udienze.

Le norme del Trattato

4.

Nessun elemento del Trattato impone espressamente alla Commissione di agire a seguito di reclami pervenuti da privati. L'art. 155 dispone, tuttavia, che

«la Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni del presente Trattato e delle disposizioni adottate dalle istituzioni in virtù del Trattato stesso».

5.

In materia di concorrenza, l'art. 87, n. 1, prevede che il Consiglio adotti tutti i regolamenti o le direttive «utili ai fini dell'applicazione dei principi contemplati dagli artt. 85 e 86». L'art. 87, n. 2, dispone poi che tali regolamenti o direttive

«hanno (...) lo scopo di (...) a) garantire l'osservanza dei divieti di cui all'art. 85, paragrafo 1 e all'art. 86 (...)».

6.

Con l'entrata in vigore del Trattato, l'art. 89, n. 1, ha imposto alla Commissione l'obbligo «(di vigilare), fin dall'entrata in funzione, perché siano applicati i principi fissati dagli artt. 85 e 86. Essa istruisce, a richiesta di uno Stato membro o d'ufficio e in collegamento con le autorità competenti degli Stati membri che le prestano la loro assistenza, i casi di presunta infrazione ai principi suddetti. Qualora essa constati l'esistenza di un'infrazione, propone i mezzi atti a porvi termine».

7.

Ai sensi del Trattato, la Commissione ha l'obbligo attivo e positivo di vigilare sull'applicazione delle norme del Trattato medesimo e, come specifico aspetto di tale obbligo generale, l'obbligo di vigilare sull'applicazione delle norme in materia di concorrenza. Quantunque il Trattato disponga che sia la Commissione il principale custode del Trattato, ciò non significa che ne sia l'unico. La funzione complementare degli ordinamenti giuridici nazionali è implicita nell'art. 85, n. 2, ed espressamente affermata nell'art. 87, n. 2, lett. e). Il regolamento n. 17 integra la base normativa rendendo gli artt. 85, n. 1, ed 86 direttamente efficaci e quindi direttamente applicabili dinanzi ai giudici nazionali ( 2 ).

Il regolamento n. 17/62 e i regolamenti affini

8.

Ai sensi dell'art. 3 del regolamento n. 17, la Commissione ha il potere di emanare decisioni, su domanda o d'ufficio, per porre fine alle infrazioni. Le persone fisiche o giuridiche che sostengano di avervi interesse sono autorizzate a presentare domanda — in altre parole a presentare alla Commissione reclami relativi al comportamento anticoncorrenziale di altri. L'uso del termine «domanda» (anziché «denuncia») esprime la relazione esistente fra l'azione dell'autore della denuncia e quella che la Commissione è autorizzata ad intraprendere ai sensi dell'art. 3. La domanda rappresenta una richiesta volta ad ottenere che la Commissione eserciti i propri poteri. Ma cosa deve intraprendere la Commissione, semmai ne abbia l'obbligo?

9.

È opportuno porre a raffronto il regolamento n. 17 con il regolamento n. 1017/68, emanato sei anni dopo per applicare le regole di concorrenza ai settori dei trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili e con il regolamento antidumping [regolamento (CEE) n. 2423/88].

10.

L'art. 3, n. 1, del regolamento n. 17 prevede che:

«Se la Commissione constata, su domanda o d'ufficio, un'infrazione alle disposizioni dell'art. 85 o dell'art. 86 del Trattato, può obbligare, mediante decisione, le imprese (...) a porre fine all'infrazione constatata».

11.

Gli artt. 10 e 11 del regolamento n. 1017/68 giungono allo stesso risultato in due fasi. L'art. 10 così recita:

«La Commissione avvia le procedure al fine di far cessare un'infrazione alle disposizioni dell'art. 2 o dell'art. 8, nonché la procedura ai fini dell'applicazione dell'art. 4, paragrafo 2» (cioè dell'applicazione delle regole di concorrenza adattate al settore dei trasporti dalle precedenti norme del regolamento) «su denuncia o d'ufficio».

L'art. 11 dispone poi che:

«Se la Commissione constata un'infrazione (...), può obbligare, mediante decisione, le imprese (...) a porre fine all'infrazione constatata».

12.

Il regolamento n. 1017/68 pone pertanto a carico della Commissione l'obbligo di agire a seguito di una denuncia lasciando, però, alla sua discrezionalità l'emanazione di una decisione. Il regolamento n. 17 attribuisce tale discrezionalità senza però imporre un obbligo nel senso suddetto. All'udienza della causa Automec, il rappresentante della Commissione ha spiegato tale differenza riferendosi al fatto che il trasporto ferroviario, stradale e navale possiede di per sé carattere internazionale nonché alla gravità di qualsiasi violazione delle norme sulla concorrenza in tale settore. Al di là di tale spiegazione, il regolamento n. 1017/68 evidenzia che non sussiste alcuna difficoltà di ordine tecnico nell'imporre l'obbligo di agire a seguito di una denuncia, lasciando l'emanazione della decisione successiva alla discrezionalità dell'istituzione.

13.

Anche il regolamento antidumping impone alla Commissione un obbligo di agire a seguito di una denuncia, ma solamente ove quest'ultima contenga sufficienti elementi di prova, relativi all'esistenza del dumping o della sovvenzione e al pregiudizio che ne deriva (art. 5, n. 2). L'esistenza di «sufficienti elementi di prova» costituisce, in tutti i casi, una conclusione preliminare dell'obbligo di agire della Commissione (v. art. 7, n. 1, e v. art. 5, n. 5).

14.

Quantunque, per tale motivo, il regolamento antidumping non sia direttamente in discussione, è opportuno ricordare che l'obbligo di agire a seguito di una denuncia presuppone che dalla denuncia sia emerso un qualche elemento che richieda l'avvio di un'azione. Sarebbe assurdo imporre ad una pubblica autorità l'obbligo di avviare una determinata procedura formale a seguito di ogni denuncia, ancorché inconsistente, vessatoria o manifestamente infondata.

15.

Infine, per quanto riguarda il regolamento n. 17, l'applicazione dell'art. 85, n. 3, compete unicamente alla Commissione, restando essa esclusa dalla giurisdizione dei giudici nazionali. La Commissione ha ammesso all'udienza relativa alla causa Automec (in cui la questione verte, secondo i ricorrenti, su un regolamento di esenzione per categorie) che il proprio obbligo assume una configurazione differente laddove ad essa sola sia attribuito il potere di agire.

Le cause GEMA, Metro I, Demo-Studio Schmidt e CICCE

16.

Nella sentenza GEMA la Corte di giustizia ha confermato che l'art. 3, n. 1, del regolamento n. 17 attribuisce alla Commissione il potere discrezionale — senza imporle l'obbligo — di procedere all'emanazione di una decisione con cui si richieda di porre fine alla violazione delle norme sulla concorrenza ( 3 ). Nella sentenza Metro I la Corte ha tuttavia affermato il diritto degli autori della denuncia, qualora la loro domanda venga respinta totalmente o parzialmente, ad esperire un'azione a tutela dei loro legittimi interessi ( 4 ). Nella sentenza Demo-Studio Schmidt la Corte ha poi ritenuto che

«la Commissione, in seguito al reclamo del ricorrente, dovesse esaminare i fatti da questo addotti per valutare se l'applicazione da parte della Revox del proprio sistema di distribuzione selettiva fosse atta ad alterare il gioco della concorrenza nell'ambito del mercato comune ed a pregiudicare il commercio fra Stati membri» ( 5 ).

17.

La natura dell'obbligo della Commissione è stata poi maggiormente precisata nella sentenza CICCE in cui la Corte ha dichiarato che

«la Commissione era tenuta ad esaminare (gli elementi di fatto e di diritto portati a sua conoscenza dalla CICCE) per valutare se nella fattispecie fossero state violate le norme del Trattato in materia di concorrenza» ( 6 ).

18.

Tali sentenze hanno sancito, in parole povere, il principio secondo cui la Commissione deve esaminare seriamente le denunce, restando salva la sua discrezionalità in ordine alle corrispondenti azioni da intraprendere.

19.

La Commissione ha anche riconosciuto in entrambe le udienze che l'autore della denuncia ha il diritto di esigere una decisione impugnabile dinanzi alla Corte ex art. 173. Sarebbe stato ben diffìcile, alla luce della sentenza Metro I, affermare il contrario.

20.

La «decisione» che l'autore della denuncia ha il diritto di esigere può essere diretta all'impresa nei cui confronti era rivolto il reclamo (come nella causa Metro I) ovvero all'autore della denuncia. Tuttavia, per i motivi esposti nella sentenza Automec I e, prima ancora, in quella IBM ( 7 ), una decisione impugnabile può sussistere solamente al termine del procedimento amministrativo ove siano state rispettate le garanzie procedurali sancite nel regolamento n. 17 e nel regolamento n. 99/63 (in prosieguo: il «regolamento n. 99»). Ne consegue che né l'autore della denuncia né l'impresa contro cui il reclamo è diretto possono pretendere che la Commissione proceda senza indugio all'emanazione di una decisione salvo, semmai, in uno stadio in cui siano state esperite tutte le procedure possibili.

L'art. 6 del regolamento n. 99/63 e la sentenza Automec I

21.

L'art. 6 del regolamento n. 99 dispone che la Commissione,° se ritiene che gli elementi di cui dispone non consentano di accogliere una domanda, ne indichi i motivi ai richiedenti e fissi loro un termine per la presentazione di eventuali osservazioni scritte. Nella sentenza Automec I, la Corte ha affermato che una «comunicazione ai sensi dell'art. 6» non costituisce una decisione impugnabile.

22.

La soluzione accolta nella sentenza Automec I è stata oggetto di critiche in base al rilievo che l'autore della denuncia viene ad essere, in tal modo, privato di tutela giuridica, dal momento che il regolamento n. 99 non impone alla Commissione di procedere, successivamente all'effettuazione di una comunicazione ex art. 6, all'emanazione di una decisione finale impugnabile ( 8 ). Tali critiche sembrano essere provocate da un malinteso. Il regolamento n. 99 non impone alla Commissione di procedere, successivamente all'effettuazione di una comunicazione ex art. 6, all'emanazione di una decisione in quanto l'autore della denuncia potrebbe ritenersi soddisfatto delle spiegazioni fornite nella comunicazione stessa ovvero potrebbe ritenere inutile dare ulteriore corso alla vicenda. Emanare una decisione formale nei confronti di un autore di una denuncia che non la richieda risulterebbe superfluo.

23.

Da ciò non consegue che l'autore della denuncia non possa esigere l'emanazione di una decisione impugnabile qualora vi abbia interesse ovvero che la Commissione, dopo aver ricevuto le osservazioni dell'autore della denuncia in risposta alla comunicazione ex art. 6, possa rimanere semplicemente inattiva. È in tale contesto che entra in gioco l'art. 175 del Trattato, atteso che esso rappresenta l'unico strumento procedurale in base al quale l'autore della denùncia può costringere la Commissione ad ulteriori azioni.

L'art. 175

24.

L'art. 175 ha dato adito ad un ampio dibattito ed a svariati malintesi. Una spiegazione risiede nel fatto che in esso compaiono, in commi successivi, le locuzioni «si astengano dal pronunciarsi» (primo comma), «l'istituzione non ha preso posizione» (secondo comma) e «avere omesso di emanare (...) (ad una persona fisica o giuridica) un atto che non sia una raccomandazione o un parere» (terzo comma). Un ulteriore elemento di complicazione per il lettore di lingua inglese è dato dal fatto che lo stesso termine «act» viene utilizzato per tradurre termini che in altre versioni linguistiche sono differenti, cioè «fails to act» (astenersi dal pronunciarsi) nel primo comma e «called upon to act» (richiesta di agire) nella prima frase del secondo comma. Pur in presenza di tali complicazioni, l'art. 175 può, a mio avviso, essere applicato al procedimento in materia di concorrenza in modo perfettamente coerente.

25.

L'art. 175, al pari dell'art. 173, è stato redatto principalmente tenendo presenti gli Stati membri e le istituzioni. Il diritto di agire loro garantito è stato quindi adottato al fine di riconoscere una limitata «legitimatio ad causam» ai soggetti privati. Il primo comma definisce la condizione preliminare sostanziale perché possa essere avviata l'azione giudiziaria: che l'istituzione convenuta, obbligata a «pronunciarsi» ( 9 ), si sia astenuta dal farlo. Il secondo comma indica poi le condizioni preliminari di ordine procedurale per la proposizione dell'azione giudiziaria: che l'istituzione convenuta sia stata richiesta di agire e non abbia preso posizione entro il termine di due mesi. Il terzo comma stabilisce la condizione preliminare della «legitimatio ad causam» per i privati: che il ricorrente sia il destinatario potenziale di un «atto».

26.

È opportuno sottolineare che la ratio dell'art. 175 è quella di evitare la proposizione di azioni giudiziarie superflue. Ove, infatti, la domanda fosse fondata, la comunicazione della lettera di diffida di cui al secondo comma produrrebbe l'effetto voluto senza bisogno di avviare alcuna azione giudiziaria. Qualora, invece, fossero valide le difese dell'istituzione, ciò risulterebbe chiaramente dalla «presa di posizione».

27.

Applicando l'art. 175 al contesto in esame, è fuor di discussione che un soggetto che abbia presentato un reclamo alla Commissione in base al regolamento n. 17 abbia diritto ad ottenere una decisione, favorevole o sfavorevole che sia. La mancata emanazione da parte della Commissione di una siffatta decisione costituisce un'«astensione dal pronunciarsi» nel senso di cui al primo comma. Nella sentenza Metro I si afferma che l'autore della denuncia rappresenta il potenziale destinatario di un «atto che non sia una raccomandazione o un parere» ed ha, quindi, una «legitimario ad causam» ai sensi del terzo comma. L'autore di una denuncia che dovesse riscontrare l'inerzia da parte della Commissione dovrebbe poter invocare, prima facie, l'art. 175. L'autore di una denuncia non può, tuttavia, promuovere l'azione giudiziaria finché non sussistano anche i requisiti preliminari di ordine procedurale contemplati al secondo comma. È qui che la questione diviene controversa. Due sembrano gli orientamenti possibili.

28.

Secondo il primo, i requisiti di ordine procedurale di cui al secondo comma possono ritenersi soddisfatti solamente qualora l'autore di una denuncia si trovi nella posizione di poter richiedere all'istituzione l'immediata emanazione di una decisione impugnabile: l'istituzione, conseguentemente, deve emanare la decisione ovvero spiegare i motivi del diniego. Qualora l'emanazione di una decisione sia subordinata al previo esperimento di un procedimento preliminare, la lettera di diffida deve ritenersi prematura e la conseguente azione giudiziaria irricevibile.

29.

Dall'applicazione di tale orientamento al settore della concorrenza deriva che, per ragioni di ordine procedurale, l'art. 175 non può essere invocato dall'autore di una denuncia, atteso che questi non può pretendere dalla Commissione di adottare una determinata decisione anziché un'altra e, in particolare, di emanare una decisione nei confronti dell'impresa oggetto della denuncia (v. sentenza GEMA). Lo stesso ragionamento potrebbe applicarsi per quest'ultima, nel senso che essa non può pretendere dalla Commissione l'emanazione di una decisione a proprio favore. In effetti, la Commissione non sembra poter essere attaccata ex art. 175 a parte, forse, l'ipotesi in cui siano stati esperiti tutti i procedimenti previsti dai regolamenti nn. 17 e 99 e non resti più nulla da fare perché possa essere emanata una decisione.

30.

Il secondo orientamento è quello in base al quale il secondo comma non va interpretato al di là del suo tenore letterale. Tale disposizione detta una condizione preliminare di ordine puramente procedurale al fine di evitare la proposizione di azioni giudiziarie inutili. Detta condizione procedurale è esaurita dal momento in cui sia proposta un'azione ammissibile. Se essa non è stata soddisfatta, l'azione è inammissibile, se è stata soddisfatta, l'azione è ammissibile ed il secondo comma non assume più rilevanza.

31.

In base al secondo orientamento, l'art. 175 è un rimedio giuridico generale per mezzo del quale un'istituzione che indugi ad agire può esservi costretta. Prima di avviare il giudizio, l'autore della denuncia dovrà aver richiesto all'istituzione di «agire» — di attivarsi anziché rimanere «inattiva» ( 10 ) — dato che l'azione da intraprendere dipende dalle particolari circostanze del caso di specie. L'istituzione dispone, a quel punto, di due mesi per prendere posizione in ordine a tale richiesta — vale a dire per esporre ciò che intende fare ovvero per giustificare il proprio rifiuto di avviare qualsiasi azione. L'azione richiesta all'istituzione non equivale (anche se può equivalere) necessariamente ad «agire ai sensi dei commi primo e terzo».

32.

Applicando il secondo orientamento al procedimento in materia di concorrenza, possiamo muovere dalla premessa che, come affermato nelle sentenze IBM e Automec I, il procedimento che conduce ad una decisione su una questione di concorrenza implica una serie di atti preparatori. Tra questi può rientrare una comunicazione ex art. 6 diretta all'autore della denuncia (che non determinerà l'archiviazione della pratica qualora l'autore della denuncia convinca la Commissione dell'infondatezza del suo ragionamento), la richiesta di informazioni o l'avvio di un'inchiesta ai sensi degli artt. 11 e 14 del regolamento n. 17, la formulazione di obiezioni, l'organizzazione di un'audizione orale e via discorrendo. In determinate fasi si rende necessaria l'osservanza di formalità rigorose. La Commissione non può procedere ad una decisione formale ed impugnabile senza aver percorso le varie fasi dell'iter procedurale. Ma in ogni fase vi possono essere passi che la Commissione potrebbe compiere — e che non compie — nell'iter che conduce all'emanazione di una decisione.

33.

Il secondo orientamento consentirebbe all'autore della denuncia — o eventualmente all'impresa contro cui è stata presentata denuncia — di costringere la Commissione ad agire. Quando alla Commissione si richiede di agire, l'azione da intraprendere dipenderà dallo stadio al quale la questione è maturata. Parimenti, quando la Commissione prende posizione, il contenuto di questa e la modalità con cui viene espressa dipendono dalle circostanze. La quaestio iuris in entrambi i casi riguarderà la fondatezza giuridica della richiesta di azione dell'autore della denuncia e la risposta della Commissione.

34.

Tale orientamento consente tanto alla Commissione quanto alla Corte di trattare direttamente ogni questione senza eccessivi formalismi e senza privare i singoli della tutela del sindacato giurisdizionale. Qualora il reclamo risulti manifestamente inconsistente, vessatorio o infondato in diritto, la Commissione potrà rispondere ad una richiesta di azione con una breve comunicazione che la Corte potrà ben difficilmente ritenere una «presa di posizione» insufficiente. Al contrario, ad una denuncia seria, sorretta da valide prove della violazione di norme sulla concorrenza, dovrà far seguito una risposta seria e ponderata. In tal senso la Commissione può essere obbligata a conformarsi alle sentenze Demo-Studio Schmidt e CICCE.

35.

Ciò premesso, passerò ora all'esame delle due controversie.

Gli antefatti della causa Automec

36.

L'autrice della denuncia, la Automec Sri, è una concessionaria di autovetture con sede in Lancenigo di Villorba, nell'Italia del Nord. La sua gestione è affidata al suo socio maggioritario, signor Paolo Mattarollo, mentre gli altri soci sono suoi familiari. Nel gennaio del 1964, una preesistente società denominata anch'essa Automec acquisiva la concessione senza esclusiva per la distribuzione di autovetture BMW nella città e nella provincia di Treviso. Di fatto il signor Mattarollo era stato concessionario sin dal 1960. La distinzione tra il signor Mattarollo e le sue varie società non sembra avere alcuna rilevanza ai fini del presente giudizio e, in prosieguo, parlerò semplicemente di «Automec».

37.

Nel corso dei propri rapporti con la BMW, l'Automec ha dovuto adeguare la propria attività commerciale al fine di soddisfare alle condizioni contrattuali della BMW che si estendevano anche alle provvigioni sul servizio di assistenza e sulla prestazione di una garanzia a favore dell'acquirente finale, al mantenimento di uno stock di automobili e di pezzi di ricambio ed all'assunzione di personale adeguatamente qualificato. L'Automec sostiene di essere stata indotta dalla BMW ad acquistare un terreno di 12000 m 2 ed a costruire un nuovo centro di esposizione e di assistenza di 4000 m 2.

38.

Successivamente, la filiale della BMW responsabile della rete di distribuzione in Italia, la BMW Italia SpA, comunicava all'Automec la disdetta del contratto di concessione al 31 dicembre 1984. Da tale data in poi la BMW non ha più fornito veicoli né pezzi di ricambio all'Automec. La BMW Italia adiva inoltre il Tribunale di Treviso affinché fosse impedito all'Automec di continuare a far uso dei marchi BMW, ma la domanda veniva respinta.

39.

Dal canto suo, la Automec reagiva all'esclusione della rete dei concessionari BMW avviando un procedimento giudiziario dinanzi al Tribunale di Milano affinché venisse ordinato il ripristino dei preesistenti rapporti contrattuali. Anche tale domanda veniva respinta. A quanto ci è stato detto, nel corso dell'udienza è stato dichiarato che avverso tale decisione, confermata in appello, è stato proposto ricorso per cassazione. È stato precisato, inoltre, che il Tribunale di Milano, in primo grado, ha vietato alla Automec l'uso del marchio BMW e che la causa si trova ora dinanzi alla Corte d'appello.

40.

Il 25 gennaio 1988 l'autrice della denuncia si rivolgeva alla Commissione sostenendo la violazione da parte della BMW dell'art. 85. Nel reclamo si faceva esplicito riferimento all'art. 3, n. 2, del regolamento n. 17 e si chiedeva l'emanazione di un'ingiunzione nei confronti della BMW Italia SpA e della BMW AG (la società madre tedesca) con cui venisse richiesto a queste ultime di porre fine alla violazione dell'art. 85.

41.

Nella propria denuncia l'Automec faceva presente che la durata ed il successo — in termini commerciali — del suo precorso rapporto con la BMW dimostrava che essa rispondeva a tutti i requisiti oggettivi per poter far parte della rete di distribuzione della BMW Ciononostante, la BMW l'aveva esclusa dalla propria rete rifiutandole l'ap-prowigionamento di autovetture e parti di ricambio. Tale diniego, persistente dal 31 dicembre 1984 in poi, veniva tenuto fermo malgrado le «pressanti richieste» dell'Automec. La BMW aveva pertanto violato l'art. 85 e le doveva essere ingiunto di eseguire, alle condizioni ed ai prezzi praticati agli altri rivenditori, tutti gli ordinativi di autovetture e di parti di ricambio provenienti dall'Automec. Doveva essere inoltre ingiunto alla BMW di autorizzare l'Automec all'uso dei marchi BMW nel normale ambito del settore automobilistico.

42.

Tra l'Automec e la Commissione si avviava quindi uno scambio preliminare di opinioni. Una comunicazione, rientrante in tale fase, è successivamente divenuta oggetto della causa Automec I. Il 26 luglio 1989 la Commissione inviava all'Automec una comunicazione ai sensi dell'art. 6, in risposta alla quale l'Automec presentava ulteriori osservazioni.

43.

Successivamente, con comunicazione del 28 febbraio 1990, il commissario responsabile per questioni relative alla concorrenza, Sir Leon Brittan, scriveva la lettera con cui veniva notificata la decisione di cui ora l'Automec ha chiesto l'annullamento dinanzi alla Corte ( 11 ). Nella comunicazione il commissario espone due motivi per i quali non intende dar ulteriore seguito alla denuncia dell'Automec:

«1.

In primo luogo ed in relazione alla prima domanda da Voi formulata nella denuncia (... ingiungere a BMW di fornire ad AUTOMEC vetture e pezzi di ricambio e di autorizzarla a far uso del marchio BMW), la Commissione ritiene di non disporre, in base all'art. 85, n. 1, di un potere di ingiunzione che le permetta di obbligare una casa automobilistica a consegnare, nelle circostanze della fattispecie, i propri prodotti, e ciò anche nell'ipotesi di constatata incompatibilità del sistema di distribuzione di detta casa produttrice (BMW Italia) con l'art. 85, n. 1. D'altronde Automec non ha fornito alcuna indicazione circa una presunta posizione dominante detenuta da BMW Italia né di un eventuale abuso di essa in violazione dell'art. 86 del Tranato; infatti, è in base a questo articolo che la Commissione potrebbe eventualmente imporre a BMW Italia di entrare in rapporti commerciali con Automec.

2.

In relazione alla seconda domanda di Automec (... porre fine all'infrazione che Automec contesta a BMW Italia), la Commissione fa rilevare che Automec ha già adito la magistratura italiana, tanto in prima istanza che in appello, in ordine alla controversia che la vede opposta a BMW Italia, attinente alla risoluzione del contratto di concessione che legava in passato le due società. Secondo la Commissione, nulla impedisce ad Automec di sottoporre al giudice nazionale la questione della conformità dell'attuale sistema di distribuzione di BMW Italia con l'art. 85; adire il giudice italiano appare infatti tanto più agevole in quanto questo è già perfettamente al corrente delle relazioni contrattuali che BMW Italia intrattiene con i propri distributori».

A questo proposito la Commissione si permette di ricordarvi non solo che il giudice italiano è altrettanto competente che la Commissione stessa ai fini dell'applicazione dell'art. 85 al caso di specie, ma che esso ha anche un potere di cui la Commissione non dispone: quello di condannare BMW Italia a risarcire i danni ad Automec, ove Automec provi che il rifiuto di vendita di tale casa produttrice le ha causato un pregiudizio. L'art. 6 del regolamento n. 99/63 della Commissione conferisce alla stessa Commissione un potere discrezionale ai fini della valutazione degli «elementi di cui dispone» in sede di esame di una denuncia, potere che le permette di assegnare diversi gradi di priorità nell'istruzione dei casi di presunte infrazioni per i quali viene adita.

In base alle considerazioni esposte al precedente punto 2), la Commissione è pervenuta alla conclusione che non esiste un interesse sufficiente della Comunità ad approfondire l'esame dei fatti «esposti nella denuncia presentata».

44.

Come già ricordato, la causa Automec I si è conclusa con una declaratoria di irricevibilità il 10 luglio 1990. L'azione ora in esame è diretta all'annullamento della decisione notificata con la comunicazione sopra riportata oltre al risarcimento del danno ex art. 178 del Trattato. Tornerò sulla questione della ricevibilità e del merito di tali domande dopo l'esposizione degli antefatti relativi alla causa Asia Motor France.

Gli antefatti nella causa Asia Motor France

45.

Le questioni insite in tale causa attengono, anzitutto, alla totale incertezza quanto all'identità delle ricorrenti ed ai loro rapporti con gli autori delle precedenti denunce alla Commissione. Nel ricorso sono indicati quali ricorrenti l'Asia Motor France, la JMC Automobile di Jean-Michel Cesbron, la Monin Automobiles e la EAS. L'Asia Motor France e la Monin Automobiles sembrano essere società francesi, quantunque risulti che il recapito dell'Asia Motor France è assertivamente a Lussemburgo. L'EAS è una società lussemburghese. L'Asia Motor France e la JMC Automobile risultano essere soggette ad amministrazione controllata, l'Asia Motor France, la JM Cesbron Automobile e l'EAS appartengono al «Gruppo Cesbron» controllato dal signor Jean-Michel Cesbron e dalla sua famiglia. I rapporti eventualmente esistenti tra questi e la Monin Automobiles non sono stati precisati.

46.

Fortunatamente, si è convenuto all'udienza che le questioni del preciso status e dell'identità delle ricorrenti non rilevano nella specie.

47.

Le ricorrenti facenti parte del Gruppo Cesbron si occupano dell'importazione, pubblicizzazione e distribuzione di automobili giapponesi in Francia. I veicoli, principalmente a quattro ruote motrici prodotti dalla Suzuki, Daihatsu, Isuzu e Subaru, vengono importati da altri Stati membri, in particolare dal Belgio e dal Lussemburgo, ove sono stati già immessi in libera pratica. La Monin Automobiles è specializzata nell'importazione parallela di motocicli Suzuki.

48.

Il 18 novembre 1985 l'«Etablissements Cesbron» denunciava alla Commissione l'accordo concluso tra il ministro dei Trasporti francese e i cinque principali importatori di autovetture giapponesi in Francia — la Sidat Toyota France, la Richard Nissan SA, la Mazda Motors France, la Honda France e la Mitsubishi Sonauto. Nella denuncia si dichiarava che nell'accordo era stata fissata una quota di importazioni di autovetture giapponesi nella misura del 3% del volume delle vendite nazionali. Tale percentuale era suddivisa tra le dette cinque case in base ad una formula prestabilita in considerazione delle rispettive importazioni nel 1975. In cambio del rispetto di tale quota, il governo francese si impegnava a non ammettere nessun ulteriore costruttore di autovetture giapponesi. La denuncia così concludeva:

«Conseguentemente, gli scriventi presentano formale denuncia nei confronti dello Stato francese per violazione degli artt. 30 e 85 del Trattato di Roma e chiedono di porre in essere gli opportuni provvedimenti».

49.

Tre anni più tardi, il 29 novembre 1988, i quattro ricorrenti presentavano una nuova denuncia alla Commissione nei confronti dei cinque maggiori importatori. In tale comunicazione, inviata alla Direzione Generale IV, si lamentava l'esistenza di «un cartello illecito ai sensi dell'art. 85, n. 1, del Trattato di Roma». Nella denuncia si faceva presente che il governo francese, in cambio della restrizione per i cinque detti importatori alla quota del 3%, aveva emanato una serie di provvedimenti discriminatori allo scopo e con l'effetto di impedire agli importatori paralleli di veicoli giapponesi l'accesso al mercato francese. Nella lettera tali provvedimenti erano così indicati:

1)

diniego di autorizzare gli autori della denuncia all'importazione, impedendo loro così l'importazione non soggetta ad intervento governativo;

2)

assoggettamento di veicoli di importazione parallela ad una procedura di immatricolazione particolare e più complessa rispetto a quella normalmente prevista per autoveicoli usati;

3)

impartizione di direttive alla Gendarmerie Nationale al fine di perseguire i possessori di autovetture giapponesi con targa estera senza riguardo al periodo di due mesi normalmente applicato;

4)

imposizione di un'aliquota IVA discriminatoria del 28% (successivamente ridotta al 18,6%) sui veicoli di importazione parallela; e

5)

introduzione di procedure di immatricolazione più complesse, con conseguente necessità di copertura assicurativa secondaria e problemi di rivendita per gli acquirenti.

La comunicazione concludeva con la richiesta alla Commissione di eliminare il cartello e di imporre sanzioni ai sensi dell'art. 85, n. 1.

50.

Con varie comunicazioni in data 12 e 25 aprile, 25 maggio e 22 giugno 1989, le ricorrenti producevano ulteriori prove documentali circa l'esistenza del cartello e sollecitavano la Commissione a compiere un'inchiesta sui fatti esposti.

51.

Il 9 giugno 1989, la Commissione richiedeva ai detti cinque principali importatori di fornire chiarimenti circa l'accordo. Il 20 luglio 1989, il ministro francese dell'Industria e dello Sviluppo regionale dava istruzione alle cinque case de quibus di non rispondere alla richiesta della Commissione in quanto questa riguardava «la politica delle autorità pubbliche francesi relativa alle importazioni di autovetture giapponesi».

52.

Nell'agosto 1989, la Commissione richiedeva al governo francese chiarimenti in ordine all'accordo. Alle ricorrenti non è stato comunicato se la Commissione avesse ricevuto risposta.

53.

Il 25 agosto 1989, le ricorrenti si rivolgevano nuovamente alla DG IV fornendo ulteriori informazioni comprensive della suddivisione percentuale annua della «torta» del 3% fra i cinque principali importatori e della prova della partecipazione al mercato sia a livello regionale che nazionale. La lettera così concludeva:

«L'assenza sino ad oggi di qualsiasi inchiesta da parte della Commissione costituisce un'astensione dal pronunciarsi tanto più grave in quanto incoraggia il mantenimento di una situazione contraria al principio di libera concorrenza, che potrebbe risultare fatale per le imprese autrici della denuncia e che consente al cartello, che è in possesso di tutta la pertinente documentazione, di sistemare le cose e distruggere le prove.

(...)

Insistiamo, pertanto, affinché la Commissione, senza attendere la risposta delle varie parti interessate, comunichi le contestazioni già chiaramente accertate, affinché avvii in ogni caso la ricerca di ulteriori elementi di prova nella misura che verrà ritenuta opportuna mediante indagini presso le sedi delle imprese e presso la rispettiva associazione di categoria, ed affinché adotti provvedimenti ad interim atti a ripristinare immediatamente le condizioni di libera concorrenza».

54.

La Commissione rispondeva a tale comunicazione il 3 ottobre 1989 nei seguenti termini:

«Per quanto attiene alla posizione da Voi espressa in ordine alle modalità con cui l'inchiesta sta procedendo, possiamo ben comprendere le reazioni dei Vostri clienti a fronte delle varie fasi dell'inchiesta preliminare attualmente in corso e che, come sapete, deve tener conto anche degli interessi dei soggetti nei cui confronti è stata presentata la denuncia».

La Commissione allegava a tale comunicazione le comunicazioni ricevute dai principali importatori in risposta alla sua richiesta di informazioni (v. supra, cap. 51). La Commissione informava inoltre le ricorrenti che intendeva invitare il governo francese a presentare osservazioni. In una comunicazione alle ricorrenti del 16 ottobre 1989, la Commissione faceva presente che la lettera indirizzata al governo francese era diretta a far sì che fosse consentito alla Commissione medesima «sapere se la condotta delle imprese oggetto della denuncia fosse effettivamente stata posta in essere su richiesta delle autorità francesi».

55.

Con lettera del 25 maggio 1989, le ricorrenti informavano la Commissione delle due decisioni emanate dalla Cour d'appel di Aix-en-Provence in ordine a due azioni intentate da acquirenti di autovetture di importazione parallela cui era risultato impossibile immatricolare i propri veicoli a causa delle restrizioni imposte dal governo francese. In entrambi i casi il detto giudice aveva sospeso il procedimento nelle more della decisione della Commissione. La lettera così concludeva:

«Non sfuggirà alla Vostra attenzione l'urgenza di una decisione della Commissione al fine di consentire ai giudici francesi di risolvere la lite mantenuta in essere dagli ideatori delle pratiche oggetto della nostra denuncia e che, a causa di tale ritardo, è destinata a proseguire allegramente sine die».

56.

Il 5 luglio 1989, il Tribunal de Commerce di Angers condannava — nell'ambito di taluni procedimenti avviati dal Procureur de la République nei confronti di due delle ricorrenti — lo Stato francese per aver partecipato all'accordo, dichiarando, però, di non poter pronunciare una decisione definitiva prima della decisione della Commissione.

57.

Il 21 novembre 1989 le ricorrenti si rivolgevano nuovamente alla Commissione lamentando nuovamente la predisposizione di ostacoli nei loro confronti da pane del governo francese e sottolineando che l'esistenza dell'accordo era di pubblico dominio. La lettera così concludeva:

«Dato che il primo reclamo risale al dicembre 1985, le imprese autrici della denuncia ritengono di poter fondatamente richiedere alla Commissione di porre fine alle violazioni del Trattato e, in particolare, degli artt. 5, secondo comma, 30 e 85.

(...)

La presente lettera di diffida viene effettuata ai sensi degli artt. 3, lett. c) e f), e 175 del Trattato.

(...)

La Commissione non può continuare a coprire la politica di uno Stato membro contraria alla libera concorrenza ai sensi dell'art. 30, attuata per mezzo di un cartello tra imprese in violazione delle norme dell'art. 85, il cui effetto è quello di procrastinare il risarcimento del pregiudizio sofferto dalle imprese colpite, che continua ad aggravarsi».

58.

Quattro mesi dopo, il 20 marzo 1990, in assenza di risposta da parte della Commissione, le ricorrenti proponevano il presente ricorso dinanzi alla Corte di giustizia. Essi chiedevano alla Corte:

di dichiarare, ai sensi dell'art. 175 del Trattato, che la Commissione ha omesso di emanare una decisione nei confronti delle ricorrenti, nonostante la richiesta delle ricorrenti in tal senso;

di condannare la Comunità economica europea, ai sensi degli artt. 178 e 215 del Trattato, al risarcimento del danno causato alle ricorrenti dalle dette istituzioni.

Nel ricorso sono indicati gli indennizzi in ECU pretesi dalle singole ricorrenti, senza che siano peraltro specificate le relative modalità di determinazione. Con lettera del 12 aprile 1990, che faceva seguito ad una comunicazione della cancelleria della Corte con cui si chiedevano copie leggibili dei documenti allegati al ricorso, le ricorrenti presentavano una nuova «nota esplicativa della determinazione del danno» di otto pagine in cui il danno è calcolato in franchi francesi.

59.

La causa è stata proposta dinanzi alla Corte di giustizia in quanto era basata in parte sull'asserita mancata proposizione, da parte della Commissione, di un'azione nei confronti della Francia ai sensi dell'art. 30. Tale capo della domanda è stato dichiarato irricevibile e la causa, nella parte riguardante le disposizioni del Trattato in materia di concorrenza, veniva rinviata dinanzi a questo Tribunale con ordinanza della Corte di giustizia 23 maggio 1990. Ne consegue che questo Tribunale non può conoscere della legittimità dell'istituzione da parte del governo francese di una quota delle importazioni di autovetture giapponesi, dell'assegnazione di tale quota alle cinque imprese giapponesi ai fini della sua ripartizione tra le medesime e, ove risulti acclarato, della predisposizione di meccanismi atti ad impedire, o quantomeno a rendere più difficoltosa, l'importazione parallela di autovetture giapponesi da altri Stati membri.

60.

Nel frattempo, l'8 maggio 1990, poco tempo prima che la Corte di giustizia emanasse la detta ordinanza, il direttore generale della DG IV inviava una lettera all'Asia Motor France. Tale lettera faceva espresso riferimento all'art. 6 del regolamento n. 99, ad una lettera del 3 aprile 1990 inviata dal signor J. M. Cesbron a Sir Leon Brittan con cui si comunicava la proposizione del ricorso ex art. 175, alla «denuncia» del 18 novembre 1985 ai sensi dell'art. 30, e alla «denuncia» del 29 novembre 1988 ai sensi degli artt. 85 e 30. La lettera indicava due motivi per i quali la Commissione non intendeva dar seguito ai reclami ed invitava a presentare osservazioni nel termine di due mesi.

61.

I motivi dedotti in ordine all'intenzione di non dar seguito ai reclami erano i seguenti:

«In primo luogo, le inchieste condotte dai servizi della DG IV in ordine ad una possibile applicazione dell'art. 85 hanno accertato che i cinque importatori la cui condotta è oggetto di contestazione non dispongono nella specie di alcun margine operativo per quanto riguarda il sistema di restrizione delle importazioni giapponesi in Francia.

In secondo luogo, è esclusa nella specie qualsiasi possibile applicazione dell'art. 30 per assenza di qualsiasi interesse pubblico comunitario, relativamente alle trattative attualmente in corso nell'ambito della definizione di una politica commerciale comune, concernente particolarmente il Giappone, in ordine alle automobili».

62.

Il 29 giugno 1990 le ricorrenti presentavano le proprie osservazioni in replica alla lettera del direttore generale.

63.

Il 3 agosto 1990 la Commissione formulava un'eccezione di irricevibilità in base al rilievo, in primo luogo, che la lettera delle ricorrenti del 21 novembre non costituiva, per una serie di motivi, una vera e propria lettera di diffida ai sensi dell'art. 175, secondo comma; in secondo luogo, che la lettera del direttore generale dell'8 maggio 1990 rappresentava una «presa di posizione» che poneva termine all'inazione; e, in terzo luogo, per quanto attiene alla richiesta di risarcimento del danno ex art. 178, che la domanda mancava dei requisiti minimi di specificità previsti per tale tipo di azione.

64.

Il 26 settembre 1990 le ricorrenti presentavano osservazioni circa l'eccezione di irricevibilità. Mentre, da un lato, contestavano gli argomenti dedotti dalla Commissione, chiedevano, dall'altro, in alternativa, che il loro ricorso venisse considerato come ricorso per annullamento della lettera dell'8 maggio 1990 ex art. 6.

65.

Il 7 novembre 1990, la Corte disponeva di decidere sull'eccezione di irricevibilità unitamente al merito. Il 21 gennaio 1991, la Commissione presentava un brevissimo controricorso, ripetendo sostanzialmente quanto già esposto nella formulazione dell'eccezione di irricevibilità. Le ricorrenti non presentavano replica, ragion per cui la fase scritta del procedimento a quel punto si chiudeva. L'udienza per la trattazione orale si svolgeva il 23 ottobre 1991.

66.

Il 5 dicembre 1991, Sir Leon Brittan inviava una lettera ai difensori delle ricorrenti ripetendo, in termini marginalmente più dettagliati, i punti esposti nella lettera del direttore generale dell'8 maggio 1990. Egli concludeva affermando che la Commissione aveva deciso di respingere le denunce. Il 4 febbraio 1992, le ricorrenti adivano la Corte di giustizia (causa C-29/92) ai fini dell'annullamento della decisione loro così notificata.

67.

Nel frattempo, con lettera datata 31 gennaio 1992, la Commissione chiedeva alla Corte di dichiarare il non luogo a procedere, salva la decisione sulle spese, essendo il ricorso divenuto privo di oggetto.

68.

Passerò ora all'esame della ricevibilità delle due domande.

La ricevibilità della domanda dell'Automec ex art. 173

69.

La Commissione riconosce che la decisione notificata all'Automec mediante la lettera del Commissario del 28 febbraio 1990 costituisce una decisione definitiva ed impugnabile. Relativamente alla parte in cui il ricorso dell'Automec è basato sull'art. 173 del Trattato, la Commissione non solleva alcuna questione di ricevibilità ed appare superfluo che la Corte esamini la questione d'ufficio.

La ricevibilità delle due domande ex art. 178

70.

L'Automec e l'Asia Moto France richiedono il risarcimento del danno ex art. 178. Il ricorso relativo alla causa Automec I, in cui un capitolo era dedicato alla richiesta di indennizzo, era allegato al ricorso nel presente giudizio, ma quest'ultimo ricorso non contiene alcun argomento a sostegno di tale capo della domanda. Nella replica l'Automec dedica due brevi capitoli a sostegno della medesima. La Commissione non ha formulato alcuna eccezione formale di irricevibilità, ma solleva la questione nella controreplica sostenendo che la Corte può esaminarla d'ufficio.

71.

Gli argomenti addotti nel ricorso dell'Asia Motor France contengono pochi elementi in più rispetto a quelli dedotti nel ricorso dell'Automec. Vi è la richiesta di pagamento di determinate somme, apparentemente (ma non chiaramente) basata su un calcolo presentato successivamente (vedasi supra cap. 58). Non viene, però, dedotto alcun argomento in ordine né alla natura dell'illecito da cui sarebbe sorta la responsabilità né al nesso di causalità tra l'illecito e l'asserito pregiudizio. Le ricorrenti si limitano ad affermare che l'inazione della Commissione, su cui è basata la domanda, ex art. 175, costituiva un «inertie fautive». Come già menzionato (vedasi supra, punto 63), la Commissione ha formulato, in ordine a tale domanda, una specifica eccezione di irricevibilità.

72.

Nella causa Automec I la domanda di indennizzo è stata ritenuta irricevibile in base al rilievo che la ricorrente aveva omesso di indicare la condotta assertivamente dannosa assunta a base della domanda, il danno assertivamente subito ed il nesso di causalità tra la condotta ed il danno ( 12 ). Lo stesso esatto ragionamento si applica alla causa Automec II e propongo, pertanto, che la domanda dell'Automec ex art. 175 venga respinta perché irricevibile.

73.

Il ragionamento sviluppato nella causa Automec I si applica anche alla domanda proposta dall'Asia Motor France, atteso che l'unica differenza di rilievo tra le due cause risiede nel fatto che in quest'ultima causa la domanda si basa su di un documento presentato tardivamente ed è espressa in una valuta diversa. Propongo, pertanto, che anche tale domanda venga respinta perché irricevibile.

74.

Sarebbe augurabile, per il futuro svolgimento dei giudizi dinanzi a questo Tribunale, chiarire che i ricorrenti non possono semplicemente dedurre domande generiche di risarcimento del danno come aggiunte a domande di annullamento. Il Tribunale deve essere in grado di valutare ogni azione dinanzi ad esso promossa sulla base di un complesso di argomenti autonomi. L'art. 178 implica problemi giuridici complessi ed esige la deduzione di argomenti formulati in termini precisi e specifici al pari di qualsiasi altra forma di azione dinanzi alla Corte.

La convertibilità della domanda dell'Asia Motor France basata sull'omissione di atti ex art. 175 in una domanda di annullamento ex art. 173

75.

Le ricorrenti nella causa Asia Motor France chiedono, in via subordinata, di considerare il loro ricorso come ricorso di annullamento della lettera ex art. 6 inviata loro l'8 maggio 1990. Una domanda di annullamento di una lettera ex art. 6 sarebbe in ogni caso irricevibile — vedasi causa Automec I — ma vi è anche una ragione di principio per cui, quantomeno nel settore della concorrenza, un'azione basata sull'omissione di atti non dovrebbe essere convertibile in un'azione di annullamento.

76.

È facile sostenere che per motivi di economia processuale una domanda basata sull'omissione di atti dovrebbe poter essere convertita in una domanda di annullamento di un atto successivo che pone fine all'omissione. Lo scopo di una domanda ex art. 175 consiste nel costringere un'istituzione ad agire. Se, in conseguenza, l'istituzione agisce in una direzione che il ricorrente intende però contestare ex art. 173, perché dovrebbe essere necessario estinguere l'azione già incardinata e proporre una nuova domanda di annullamento, reiterando gli stessi argomenti e perdendo mesi di tempo prezioso, per non parlare dei costi per le parti e per la Corte? Nel mio paese i giudici dispongono di ampi poteri nel consentire, laddove una parte formuli nuove richieste, alla controparte di modificare la reale questione. Ma nella specie il contesto è diverso.

77.

Tanto la Corte di giustizia quanto questo Tribunale costituiscono giudici con giurisdizione limitata in settori limitati. Non possiamo far sempre ciò che sembra più giusto, desiderabile o economico semplicemente perché siamo legati al Trattato, allo Statuto della Corte e del regolamento di procedura. Così, ad esempio, non disponiamo di alcuna discrezionalità per prorogare i termini fissati nel Trattato.

78.

L'art. 19, primo comma, dello Statuto stabilisce in termini generali, e l'art. 44, n. 1, del Regolamento di procedura di questo Tribunale (art. 38 del regolamento della Corte di giustizia) prescrive più dettagliatamente, ciò che l'atto introduttivo di un ricorso deve contenere. In particolare, esso deve contenere l'enunciazione dell'oggetto della controversia, le conclusioni, i motivi di diritto invocati dal ricorrente ed i relativi principali argomenti. Tali elementi devono essere pubblicati sulla Gazzetta ufficiale (art. 24, n. 6, del Regolamento di questo Tribunale; art. 16, n. 6, del regolamento della Corte di giustizia). Il motivo è, a mio avviso, evidente.

79.

L'art. 37 dello Statuto attribuisce agli Stati membri, alle istituzioni delle Comunità e ad ogni altra persona (che dimostri di avervi interesse) il diritto di intervenire nelle controversie dinanzi alla Corte. L'art. 20 dello Statuto dispone che le ordinanze di rinvio pregiudiziale a norma dell'art. 177 vengano notificate a cura del cancelliere della Corte alle parti in causa, agli Stati membri, alla Commissione e, in determinate ipotesi, al Consiglio. In caso di ricorsi diretti, non vi è corrispondente obbligo di notificazione diretta agli Stati membri ed alle istituzioni (eccetto l'istituzione convenuta) né tantomeno ad altri soggetti potenzialmente interessati. Questi (salvo non abbiano accesso agli scritti delle parti per altra via) devono decidere se intervenire o meno in base alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. L'intervento può avere ad oggetto soltanto l'adesione alle conclusioni di una delle parti (art. 37, terzo comma, dello Statuto).

80.

Gli interventi non dovrebbero moltiplicarsi oltre il necessario. I soggetti potenzialmente interessati all'intervento dovrebbero essere in grado di decidere con certezza se intervenire o meno in base alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Qualora non lo siano, saranno indotti ad intervenire per ragioni di sicurezza. Nel sistema comunitario sussistono validi motivi per cui l'oggetto di un ricorso diretto deve essere certo, in linea di principio, ab initio e per cui la possibilità per le parti di introdurre nuovi motivi nel corso del procedimento è soggetta a severe restrizioni (art. 48, n. 2, del Regolamento di procedura di questo Tribunale, art. 42, n. 2, del Regolamento di procedura della Corte di giustizia).

81.

Mentre potrebbe esservi motivo per disporre di un certo margine di flessibilità in cause di personale in cui la natura della giurisdizione della Corte è differente, i fatti nella causa Asia Motor France indicano che più di uno Stato membro ed un rilevante numero di imprese private possono essere interessati all'esito di una controversia in materia di concorrenza. Essi possono limitarsi a lasciare alla Commissione il compito di difendersi in un ricorso per omissione di atti, ma non si può supporre che essi si limiterebbero a restare da spettatori anche nel caso di un ricorso diretto all'annullamento di una decisione positiva della Commissione di non agire.

82.

Suggerisco, pertanto, che questo Tribunale limiti l'oggetto della causa in esame alla domanda originariamente presentata in ordine all'omissione di atti.

La ricevibilità e la riproposizione dell'oggetto della domanda dell'Asia Motor France ex art. 175

83.

La Commissione deduce l'irricevibilità della domanda dell'Asia Motor France essenzialmente in base ad un triplice ordine di motivi: in primo luogo, che la lettera 21 novembre 1989 non rappresenta una vera e propria lettera di diffida; in secondo luogo, che non vi era alcun atto che la Commissione fosse tenuta ad emanare e conseguentemente che non vi è stata alcuna omissione di atti; e, in terzo luogo, che, in ogni caso, la lettera del direttore generale dell'8 maggio 1990 costituiva una «presa di posizione» che poneva fine all'omissione di atti privando, in tal modo, la domanda del suo oggetto. Come già rilevato, la Commissione sostiene ora che, a fronte della lettera del Commissario del 5 dicembre 1991, non vi è più luogo a statuire salvo che in ordine alle spese.

84.

A sostegno del mezzo secondo cui la lettera del 21 novembre 1989 non costituirebbe una vera e propria lettera di diffida vengono dedotti due argomenti. In primo luogo, è stato affermato che la lettera non enuncia la base giuridica su cui la Commissione è richiesta di agire, in quanto fa riferimento solamente agli artt. 3 e 175 del Trattato. In secondo luogo, è stato affermato che la lettera non indica quale azione le ricorrenti desideravano che la Commissione intraprendesse.

85.

A mio avviso, entrambi gli argomenti sono destituiti di fondamento. Nella propria lettera 8 maggio 1990 il direttore generale della Concorrenza non sembra avere avuto alcuna difficoltà nel considerare la lettera 21 novembre 1989 come una lettera di diffida, né sembra aver nutrito dubbi circa l'azione che le ricorrenti si attendevano dalla Commissione. Invero, nell'eccezione di irricevibilità, la Commissione, dopo due pagine di considerazioni sul carattere adeguato della lettera della diffida, prosegue sotto un capo diverso citando il passo della lettera delle ricorrenti (riportato precedentemente al n. 57) che fa specifico riferimento agli artt. 5, 30, e 85 del Trattato. La Commissione afferma quindi:

«Non è controverso che la Commissione abbia avviato un'inchiesta nel momento in cui ricevette tale lettera di diffida e che tale inchiesta non si sia ancora conclusa».

L'aver intrapreso tale azione immediatamente a seguito della ricezione della lettera del 21 novembre 1989 appare difficilmente conciliabile con le perplessità della Commissione circa il suo significato.

86.

La questione non verte sulla correttezza giuridica della tesi delle ricorrenti o sulla fondatezza della loro denuncia, bensì sul se la lettera del 21 novembre 1989 configurasse una valida lettera di diffida. A mio avviso lo era.

87.

Il secondo mezzo della Commissione consiste nell'affermazione che l'autore di una denuncia, atteso che alla Commissione non può mai essere richiesto di emanare una decisione contro le imprese oggetto della denuncia, non può proporre una domanda ex art. 175. Tale tesi rappresenta una versione estrema del primo orientamento interpretativo precedentemente delineato. Ove venisse accolta, essa renderebbe effettivamente l'art. 175 lettera morta nelle cause in materia di concorrenza.

88.

Per i motivi di ordine testuale e pratico esposti precedentemente nei nn. 30-34, preferisco il secondo orientamento. Propongo, pertanto, che anche questo mezzo venga respinto.

89.

Ove tale soluzione venga accolta, la domanda dovrà ritenersi ricevibile al momento della sua proposizione, atteso che le ricorrenti avevano correttamente richiesto alla Commissione di agire e la Commissione, per quanto era loro dato sapere, era rimasta del tutto inerte. Qualora la Commissione abbia avviato un'inchiesta successivamente alla ricezione della lettera di diffida, le ricorrenti non ne sono state informate come avrebbe, invece, dovuto avvenire.

90.

Il terzo mezzo della Commissione appare, a mio avviso, più consistente. Supponendo che una domanda ex art. 175 sia ricevibile al momento della sua proposizione, sorge la questione se il suo oggetto sia esaurito qualora l'istituzione convenuta prenda di conseguenza posizione-ad esempio mediante l'invio di una comunicazione ex art. 6. La Corte di giustizia ha affermato che una comunicazione ex art. 6 costituisce una «presa di posizione» ai sensi dell'art. 175, secondo comma ( 13 ).

91.

In tale contesto mi sembrano nuovamente possibili due tesi diverse, la prima consiste nel ritenere che una domanda ex art. 175 diviene priva di oggetto solamente qualora sia stato posto fine all'«omissione di agire» (ai sensi dell'art. 175, primo comma). Tale orientamento potrebbe trovare conforto nell'affermazione della Corte nella sentenza «Comitologia» ( 14 ) secondo cui:

«un rifiuto di agire, pur essendo esplicito, può essere deferito alla Corte a norma dell'art. 175 in quanto non fa venir meno la carenza».

In alternativa, secondo l'altra tesi, l'oggetto di una domanda ex art. 175 consiste nel costringere un'istituzione inerte all'azione, oggetto che si esaurisce al momento in cui l'istituzione «prende posizione» (ai sensi dell'art. 175, secondo comma).

92.

In entrambi i casi la questione non riguarda la ricevibilità. La ricevibilità di una domanda va verificata con riguardo al momento della sua proposizione e non ad eventi successivi. La questione verte, in realtà, sul fatto se la domanda sia divenuta priva di oggetto, rendendo inutile la decisione del Tribunale.

93.

A mio parere, la causa di cui trattasi è divenuta priva di oggetto, dal momento che la Commissione ha definitivamente respinto la denuncia delle ricorrenti e queste hanno proposto domanda di annullamento di tale decisione. La questione sin qui esaminata resta però rilevante ai fini delle spese in quanto notevoli saranno state le spese sopportate successivamente alla lettera ex art. 6 del direttore generale per la concorrenza dell'8 maggio 1990.

94.

Ho indicato due possibili tesi. Secondo la prima, dal momento in cui una domanda ex art. 175 è stata proposta alla Corte, il suo oggetto non verrà meno finché e salvoché l'istituzione convenuta non abbia proceduto ad un «atto» formale. Dato che una lettera ex art. 6 non costituisce un atto formale (v. la sentenza Automec I), la domanda in esame ha mantenuto il proprio oggetto sino al momento in cui la Commissione ha emanato la sua decisione definitiva di rigetto della denuncia. Dal momento che la lettera ex art. 6 venne inviata l'8 maggio 1990, l'iter procedurale corretto sarebbe stato quello di sospendere il giudizio sino alla comunicazione dell'esito del procedimento ai sensi dell'art. 6.

95.

Il vantaggio insito nell'adozione di tale soluzione consisterebbe nel fatto che il persistere di un giudizio dinanzi alla Corte che potrebbe essere ripreso in ogni momento, spingerebbe la Commissione a restare attiva. Lo svantaggio deriverebbe, invece, dal fatto che un giudizio potenzialmente inutile rimarrebbe iscritto nel ruolo del Tribunale senza che né le parti né la Corte possano effettivamente incidere sul suo andamento.

96.

La seconda tesi è, a mio avviso, meno attraente dal punto di vista teorico in quanto presuppone che possa essere posto fine ad un'omissione di atti, nel senso di omessa emanazione di un atto impugnabile, mediante un'azione priva di un atto impugnabile. Tale soluzione, se da un lato presenterebbe il vantaggio di un rapido smaltimento delle controversie dal ruolo del Tribunale, dall'altro comporterebbe lo svantaggio di costringere l'autore di una denuncia, qualora la Commissione continui a mostrarsi inerte nella trattazione della questione, a reiterare ricorsi al fine di ottenere dei risultati.

97.

Lascerò ad altri la scelta tra le due tesi, in quanto, a mio parere, non occorre procedervi ai fini della decisione sulle spese della presente causa. Sono occorsi più di sei anni dalla data della prima denuncia (che faceva esplicito riferimento all'art. 85) e più di tre da quella della seconda perché le autrici della denuncia ottenessero dalla Commissione la decisione cui avevano — come riconosciuto ex adverso — diritto. Non desidero esprimere opinioni in merito a tale decisione che sarà sottoposta a sindacato giurisdizionale nell'ambito della nuova domanda di annullamento, ma essa non aggiunge nulla di sostanziale a quanto già esposto nella lettera ex art. 6 del Direttore generale scritta diciannove mesi prima.

98.

Se i motivi addotti nel maggio 1990 e ribaditi nel dicembre 1991 erano sufficienti per decidere sulla denuncia, avrebbero potuto essere comunicati anni prima, evitando in tal modo il presente giudizio. Alla luce della genesi della controversia, non appare probabile che le ricorrenti avrebbero ottenuto, nemmeno ora, una decisione della Commissione se non avessero proposto e persistito nella presente azione giudiziaria. Ai sensi dell'art. 87, n. 6, del regolamento di procedura, la decisione sulle spese è rimessa totalmente alla discrezionalità di questo Tribunale. Ritengo che motivi di equità esigano che siano poste interamente a carico della Commissione le spese processuali di un giudizio che, ancorché ora privo di oggetto, ha quantomeno in parte raggiunto lo scopo producendo l'emanazione di una decisione impugnabile.

99.

Propongo, pertanto, che, in ordine alla causa Asia Motor France, la Corte dichiari non esservi più luogo a statuire salvo che sulle spese, condannando la Commissione al pagamento delle spese sostenute dai ricorrenti.

100.

Un avvocato generale esprime, di regola, un parere sul merito di una controversia anche qualora sia giunto alla conclusione che questa debba essere decisa su base diversa. Le questioni sostanziali nella specie sono ora all'esame della Corte nell'ambito di altra e più idonea azione. Non mi dilungherò, pertanto, oltre sulla causa Asia Motor France.

Sul merito della causa Automec

101.

La comunicazione del 28 febbraio 1990 inviata dal commissario all'Automec (riportata precedentemente al n. 43) enuncia due motivi di rigetto della denuncia dell'Automec: primo, che la Commissione non dispone di alcun potere ex art. 85 di emanare un'ingiunzione di carattere positivo nei confronti della BMW affinché questa riprenda le forniture all'Automec; e, secondo, che le istanze dell'Automec possono esser fatte meglio valere dinanzi al giudice nazionale italiano. Con riguardo al secondo motivo, la lettera fa riferimento al potere della Commissione di attribuire gradi diversi di priorità nell'esame di asserite violazioni ed all'assenza di qualsiasi sufficiente interesse della Comunità tale da giustificare l'approfondimento della denuncia dell'Automec.

102.

Dal momento che il Tribunale deve esaminare i motivi dedotti anziché quelli che avrebbero potuto essere dedotti è possibile esaminare due argomenti esposti dinanzi a codesto collegio. Con il primo argomento, esposto in modo esitante e discontinuo, è stato sostenuto che la Commissione dispone di una piena discrezionalità nella trattazione delle denunce in materia di concorrenza e che non è soggetta a sindacato giurisdizionale. Il richiamo alle sentenze Demo-Studio Schmidt e CICCE (precedentemente citate ai nn. 16 e 17) è sufficiente per liberarsi di tale argomento.

103.

Con il secondo argomento è stato sostenuto che la Commissione, qualunque fosse stata la posizione in passato, non disponeva dei mezzi, fra cui il personale della DG IV, per dare seguito ad ogni denuncia in materia di concorrenza. Abbiamo saputo che la DG IV dispone ora di 28 posti di grado A nella Direzione A che si occupa di questioni generali; 90 posti (di cui il 4-5% vacanti) nelle Direzioni specializzate B, C e D; 44 nella Direzione E che si occupa di aiuti di Stato e 28 nella task-force sulle concentrazioni. La penuria di personale nella DG IV è già stata materia di discussione qualche anno fa ( 15 ) malgrado la Commissione continuasse a distribuire, sino al recentissimo passato, un opuscolo informativo per gli operatori commerciali in cui si affermava:

«Qualora venga presentata una denuncia da un soggetto titolare di un legittimo interesse nella questione, la Commissione esaminerà l'effettiva sussistenza di una violazione delle norme sulla concorrenza. Ove la denuncia risulti essere fondata, la Commissione adotterà quindi i necessari provvedimenti per porre fine alla violazione» ( 16 ).

104.

Non spetta alla Corte decidere se il personale della Commissione sia ora in numero sufficiente. La penuria di personale, ancorché causata da restrizioni di bilancio non imputabili alla Commissione, non può giustificare il rifiuto di adempiere ad un obbligo giuridico. Essa potrà giustificare, d'altro canto, l'attribuzione di priorità, in quanto l'adempimento di un obbligo può essere più urgente in taluni casi rispetto ad altri. Ciò è quanto la Commissione afferma di aver fatto nella diciassettesima relazione sutta politica in materia di concorrenza (1988), sebbene i criteri ivi enunciati (cap. 9) siano, a dir poco, telegrafici.

105.

Un sistema di priorità chiaramente e pienamente definito non giustificherebbe, di per sé, il rigetto di una denuncia in cui siano esposte prima facie prove della violazione di norme sulla concorrenza. Ciò si evince chiaramente dalle sentenze Demo-Studio Schmidt e CICCE. Né, a mio parere, l'operato della Commissione può essere sottratto al sindacato giurisdizionale in base al richiamo ad una vaga nozione di «interesse comunitario» definito, caso per caso, dalla Commissione medesima. Nella specie la Commissione si è però spinta oltre.

106.

Mentre la lettera inviata dal Commissario all'Automec si richiama alle priorità della Commissione ed all'assenza di un sufficiente «interesse comunitario», la sostanza dei motivi del rigetto del reclamo sarebbe la stessa anche senza tali richiami. I motivi sostanziali addotti sono, come già detto, l'assenza di poteri della Commissione per emanare un'ingiunzione di contenuto positivo e l'esperibilità di rimedi giuridici dinanzi al giudice nazionale italiano.

107.

Non trovo convincente l'argomento basato sull'assenza del potere di ingiunzione. Infatti, la Commissione dice all'Automec: «Voi ci chiedete di ordinare alla BMW di riprendere le forniture; noi non possiamo emettere un siffatto ordine; però respingiamo la vostra denuncia». La questione per la Commissione non è però l'esistenza o meno del potere da parte sua di emettere l'ordine richiesto. La prima questione da esaminare, come affermato dalla Corte nella sentenza CICCE, è se vi sia stata violazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza. Qualora, ma solamente qualora, la Commissione accerti che vi sia stata violazione delle norme sulla concorrenza, può porsi la questione circa l'ordine da emettere. Se la Commissione, avendo accertato una violazione, non è in grado di ingiungere quanto richiesto dall'autrice della denuncia, non è indubbiamente in grado di emanare un ordine con cui porre fine alla violazione, irrogando ammende e penalità di mora al fine di dare esecuzione a tale ordine. Un siffatto ordine può ben avere gli stessi effetti pratici di un'ingiunzione di contenuto positivo.

108.

Ritengo, pertanto, che sia infondato il primo motivo addotto per il rigetto della denuncia dell'Automec e che non sia necessario esaminare se la Commissione disponga, a norma dell'art. 85, del potere di emanare un'ingiunzione di contenuto positivo.

109.

Per quanto attiene al secondo motivo di rigetto, molto è stato detto dalla Commissione nell'ambito del presente giudizio ed in altre occasioni circa l'esistenza di rimedi giuridici dinanzi ai giudici nazionali. È però importante ricordare, anche se è ovvio, che i giudici nazionali sono giudici nazionali. Il Trattato non attribuisce loro alcuna giurisdizione sovrannazionale.

110.

Un soggetto leso da una condotta contraria alla libera concorrenza, qualora debba affidare la propria tutela a rimedi giuridici nazionali, dovrà prima individuare un giudice competente che affermi la propria giurisdizione con riguardo al convenuto in considerazione della condotta in oggetto. Le convenzioni di Lugano o Bruxelles possono trovare applicazione, ma non è tuttora chiaro come debbano essere considerate alla luce di tali convenzioni le domande proposte da soggetti privati intese a far valere diritti diretti ex artt. 85 e 86. Può darsi che, in determinate situazioni, nessun giudice in uno Stato della Comunità o dell'EFTA sia in grado di affermare la propria giurisdizione. I giudici di paesi esterni alla Comunità e all'EFTA, applicando le proprie norme nazionali, potrebbero non essere in grado di applicare la normativa comunitaria in materia di concorrenza.

111.

Supponendo che la parte lesa abbia individuato un giudice in grado di conoscere del merito della questione, potrà questi emanare provvedimenti provvisori atti a tutelare gli interessi della parte lesa sino alla pronuncia della decisione definitiva? Le pertinenti norme nazionali potrebbero non prevedere l'efficacia di provvedimenti provvisori al di là dei limiti della giurisdizione nazionale e non è tuttora chiaro in quale misura le convenzioni le abbiano rese efficaci. Ove la parte lesa fosse costretta ad esperire azioni giudiziarie separate in ogni Stato in cui necessiti di provvedimenti provvisori, potrebbe venire ad essere sopraffatta dai tempi, costi e difficoltà logistiche che ciò comporterebbe.

112.

Vi è poi il problema dell'acquisizione delle prove. Di regola, un giudice non può svolgere attività istruttoria sul territorio di un altro Stato. Anche a voler supporre che le controversie ex artt. 85 e 86 rientrano nella sfera di applicazione delle convenzioni dell'Aja del 1954 (in materia di procedura civile) e del 1970 (in materia di acquisizione di prove all'estero), non tutti gli Stati vi hanno aderito. Nella misura in cui tali convenzioni trovino applicazione, esse sono soggette a deroghe. Ad esempio, l'art. 23 della Convenzione del 1970 consente ad uno Stato di dichiarare che non darà esecuzione a rogatorie dirette alla produzione di documenti anteriormente al giudizio. Tutti gli Stati firmatari ad eccezione degli Stati Uniti d'America hanno formulato tale riserva in una forma o nell'altra. Riserve di tal genere e l'incertezza circa il loro oggetto hanno reso assai difficile in alcuni paesi l'acquisizione di documenti.

113.

Anche l'esecuzione di rogatorie giudiziarie è soggetta alle norme nazionali dello Stato di esecuzione. Una di queste norme prevede in Inghilterra che un soggetto non sia obbligato a produrre un documento atto ad esporlo ad un procedimento penale o ad una sanzione pecuniaria. Nel 1977 la House of Lords ritenne che il rischio della comminazione di ammende da parte della Commissione per violazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza rientrasse nell'ambito di applicazione di tale norma ( 17 ). Essa respinse pertanto la rogatoria di un giudice degli Stati Uniti dinanzi al quale un soggetto privato aveva proposto una causa riguardante l'asserita violazione della normativa antitrust statunitense. L'applicazione di una siffatta norma nell'ambito dell'art. 85 o 86 potrebbe rendere impossibile l'acquisizione di qualsiasi prova.

114.

Misure coercitive dirette ad ottenere deposizioni testimoniali o la produzione di documenti sono soggette in ogni caso a norme nazionali che possono variare sensibilmente quanto al loro oggetto ed alla loro portata. L'esperienza indica che, in controversie in materia di concorrenza, le prove fondamentali si trovano spesso sotto il controllo del potenziale convenuto, il che spiega gli ampi poteri attribuiti alla Commissione a norma del regolamento n. 17. In assenza di misure coercitive — o della minaccia di queste — un'impresa che abbia violato gli artt. 85 o 86 è improbabile che fornisca informazioni. Non si verificherà sempre che un giudice nazionale sia tanto in grado quanto disposto a emanare provvedimenti coercitivi.

115.

L'esecuzione all'interno della Comunità di una sentenza passata in giudicato non dovrebbe rivelarsi troppo difficile, sempreché trovi applicazione la Convenzione di Bruxelles. Ciò risulterà però di scarso conforto per colui che sia stato effettivamente leso dalla condotta illecita altrui ove non riesca a trovare un giudice in grado di dichiarare la propria competenza o di concedere i provvedimenti provvisori necessari ovvero non riesca ad acquisire le prove necessarie a suffragare la propria domanda.

116.

La disponibilità di rimedi giudiziari dinanzi ai giudici nazionali non è cosa chiara. La Commissione non può semplicemente ripetere, in risposta ad una denuncia vera e propria, una formula stereotipa secondo cui esistono rimedi giuridici esperibili dinanzi ai giudici nazionali. La Commissione deve esaminare in modo adeguato se tali rimedi esistano realmente ovvero se essa abbia l'obbligo di far uso dei propri poteri.

117.

Nel caso di specie, la Commissione ha vagliato l'esistenza di rimedi dinanzi al giudice nazionale italiano. Essa ha concluso, infatti, che la controversia rappresenta una controversia di diritto interno già sottoposta dinanzi al giudice italiano e di cui questi può conoscere più agevolmente rispetto alla Commissione. La difesa delle ricorrenti ha potuto indicare solamente due motivi sostanziali per provare il contrario, uno era che la società madre BMW in Germania (BMW AG) non poteva essere convenuta in Italia. L'altro era che la controversia Automec implicava l'applicazione della disciplina di esenzione per categorie in ordine alla quale la Commissione dispone di competenza esclusiva.

118.

Non sono convinto che vi sia alcun bisogno per l'Automec di convenire in giudizio la società madre BMW in Germania al fine di ottenere l'effettiva tutela dei propri diritti né ho compreso i motivi per cui il giudice nazionale, ove conoscesse della controversia Automec, usurperebbe la competenza esclusiva della Commissione in ordine all'applicazione dell'art. 85, n. 3.

119.

A mio avviso, quindi, la Commissione poteva legittimamente decidere di dar ulteriore corso alla denuncia dell'Automec per i motivi esposti nel cap. 2 della lettera del Commissario in data 28 febbraio 1990. Propongo pertanto di respingere il ricorso.

Conclusioni

Per i suesposti motivi propongo di risolvere la controversia nei seguenti termini:

Il ricorso T-24/90, Automec/Commissione, deve essere respinto con condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese.

Il ricorso T-28/90, Asia Motor France/Commissione deve essere respinto nella parte in cui è basato sull'art. 178 del Trattato e dichiarato privo di oggetto nella parte in cui è basato sull'art. 175. La Commissione deve essere condannata alle spese.


( *1 ) Lingua originale: l'inglese.

( 1 ) Causa T-64/89, Automec/Commissione (Racc. pag. II-367).

( 2 ) Sentenza 30 gennaio 1974, causa 127/73, BRT/Sabam (Race, pagg. 51 e 62, punto 15 della motivazione).

( 3 ) Sentenza 18 ottobre 1979, causa 125/78, GEMA/Commissione (Race. pagg. 3173, 3189 e 3190, punti 17 e 18 della motivazione).

( 4 ) Sentenza 25 ottobre 1977, causa 26/76, Metro/Commissione (Race. pagg. 1875, 1902, punto 13 della motivazione).

( 5 ) Causa 210/81, Demo-Studio Schmidt/Commissione, punto 19 della motivazione, Race. 1983, pagg. 3045 e 3065.

( 6 ) Sentenza 28 marzo 1985, causa 298/83, CICCE/Commissione (Race. 1985, pagg. 1105 e 1122, punto 18 della motivazione).

( 7 ) Sentenza 11 novembre 1981, causa 60/81, IBM/Commissione (Race. pag. 2639).

( 8 ) V. la nota di Stephen O. Spinks in CMLRev (Common Market Law Reviex), n. 28, 1991, pagg. 453, 459-462.

( 9 ) I testi originali tedesco e olandese sembrano essere più espliciti di quelli francese e italiano, e certamente più espliciti di quello inglese riferendosi al fano di «pronunciarsi» (... einen Beschluß zu fassen.../ een besluit te nemen...).

( 10 ) Tale idea sembra risultare particolarmente evidente dal testo tedesco: «Diese Klage ist nur zulässig, wenn das in Frage stehende Organ zuvor aufgefordert worden ist, tätig zu werden».

( 11 ) Particolari sugli antefatti sono contenuti nella sentenza Automec I, punti 8-16 della motivazione (Racc 1990, pagg. II-367, in particolare pagg. II-373-375).

( 12 ) Rice. 1990, pagg. II-390 e II-391, punti 72-77 della motivazione.

( 13 ) V. sentenza GEMA, già citau alla nou 3.

( 14 ) Sentenza 27 settembre 1988, causa 302/87, Parlamento/Consiglio (Racc. pagg. 5615, 5641, punto 17 della motivazione).

( 15 ) V. ad esempio, la relazione della Commissione d'inchiesta della House of Lords sulle Comunità europee, European Union, 14* relazione della sessione 1984-85, punto 51, Ëag. XXI, e la testimonianza del Dr. Ehlermann e del Ir. Glaesner a pag. 106, nn. 165-166.

( 16 ) Regole di concorrenza CEE-Guida per piccole e medie imprese, novembre 1983, pag. 46, ripubblicata con il titolo Politica della concorrenza CEE nel mercato unico, marzo 1989, pag. 48.

( 17 ) Rio Tinto Zinc Corporation/Westinghouse Electric Corporation (AC 1978, pag. 547) in cui si applica la section 14 del Civil Evidence Act del 1968.

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