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Document 62000TJ0075
Judgment of the Court of First Instance (Fourth Chamber) of 16 January 2003. # Augusto Fichtner v Commission of the European Communities. # Officials - Disciplinary measures - Removal from post - Engagement in outside activities without prior authorisation. # Case T-75/00.
Urteil des Gerichts erster Instanz (Vierte Kammer) vom 16. Januar 2003.
Augusto Fichtner gegen Kommission der Europäischen Gemeinschaften.
Beamte - Disziplinarmaßnahmen - Entfernung aus dem Dienst - Ausübung von Nebentätigkeiten ohne vorherige Zustimmung.
Rechtssache T-75/00.
Urteil des Gerichts erster Instanz (Vierte Kammer) vom 16. Januar 2003.
Augusto Fichtner gegen Kommission der Europäischen Gemeinschaften.
Beamte - Disziplinarmaßnahmen - Entfernung aus dem Dienst - Ausübung von Nebentätigkeiten ohne vorherige Zustimmung.
Rechtssache T-75/00.
Sammlung der Rechtsprechung – Öffentlicher Dienst 2003 I-A-00007; II-00051
ECLI identifier: ECLI:EU:T:2003:9
Sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione) del 16 gennaio 2003. - Augusto Fichtner contro Commissione delle Comunità europee. - Dipendenti - Misure disciplinari - Destituzione - Esercizio di attività esterne senza autorizzazione preventiva. - Causa T-75/00.
raccolta della giurisprudenza - pubblico impiego 2003 pagina IA-00007
pagina II-00051
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo
Nella causa T-75/00,
Augusto Fichtner, ex dipendente della Commissione delle Comunità europee, residente in Besozzo, rappresentato inizialmente dall'avv. V. Salvatore, in seguito dall'avv. V. La Russa,
ricorrente,
contro
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. J. Curral, in qualità di agente, assistito dall'avv. A. Dal Ferro,
convenuta,
avente ad oggetto, da un lato, l'annullamento della decisione della Commissione che ha irrogato al ricorrente la sanzione disciplinare della destituzione con mantenimento dei diritti alla pensione di anzianità, per avere esercitato attività esterne senza autorizzazione preventiva e, dall'altro, una domanda di risarcimento dei danni,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE
(Quarta Sezione),
composto dai sigg. M. Vilaras, presidente, P. Mengozzi e A.W.H. Meij, giudici,
cancelliere: sig. J. Palacio Gonzales, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 21 ottobre 2002,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Contesto normativo
1 Ai sensi dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto del personale e degli altri agenti della Comunità (in prosieguo: lo «Statuto»):
«Il funzionario che intenda esercitare un'attività esterna anche a titolo gratuito, ovvero assolvere un mandato all'esterno delle Comunità, deve chiederne l'autorizzazione all'autorità che ha il potere di nomina. Questa autorizzazione viene rifiutata quando l'attività o il mandato possono nuocere all'indipendenza del funzionario o pregiudicare l'attività delle Comunità».
2 L'art. 86, n. 1, dello Statuto è formulato come segue:
«Qualsiasi mancanza agli obblighi cui il funzionario o l'ex funzionario è soggetto ai sensi del presente statuto, commessa volontariamente o per negligenza, lo espone a una sanzione disciplinare».
3 Ai sensi dell'art. 86, n. 2, lett. a)-g), dello Statuto, le sanzioni disciplinari sono le seguenti: l'ammonimento scritto; la nota di biasimo; la sospensione temporanea dall'aumento di scatto; la retrocessione di scatto; la retrocessione di grado; la destituzione con eventuale riduzione o soppressione del diritto alla pensione di anzianità e, allorché il funzionario ha cessato definitivamente le sue funzioni, la decadenza totale o parziale, a titolo temporaneo o definitivo, dal diritto alla pensione.
4 In virtù dell'art. 87, primo comma, dello Statuto, le sanzioni diverse dall'ammonimento e dalla nota di biasimo sono inflitte dall'autorità che ha il potere di nomina (APN) previo espletamento del procedimento disciplinare previsto all'allegato IX dello Statuto. Questo procedimento è avviato su iniziativa dell'APN, dopo aver preventivamente sentito l'interessato.
Fatti e procedimento
5 Il ricorrente è entrato in servizio presso il Centro Comune di Ricerca di Ispra (in prosieguo: il «CCR») nel 1967 in qualità di agente locale. E' divenuto dipendente di ruolo nel 1976 ed è stato nominato assistente aggiunto di grado B4 dal 1991.
6 L'11 febbraio 1998, il direttore della direzione generale «Personale e Amministrazione» ha incaricato il sig. Grillo Pasquarelli di procedere a un'indagine amministrativa tendente a verificare se il ricorrente esercitasse attività esterne non autorizzate.
7 Il rapporto d'indagine è stato rimesso il 7 maggio 1998. Sulla base dei risultati di tale rapporto, l'8 ottobre 1998, il sig. Allgeier, direttore generale del CCR, ha deciso, nella sua qualità di APN, di aprire un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, in ragione del fatto che questi avrebbe esercitato in modo continuo e ripetuto attività esterne non autorizzate. Il mandato a procedere all'audizione del ricorrente, in conformità dell'art. 87 dello Statuto, è stato conferito al sig. Babich, amministratore presso la direzione generale «Personale e Amministrazione».
8 L'audizione del ricorrente ha avuto luogo il 14 dicembre 1998. In seguito a tale audizione, il 9 marzo 1999, il sig. Babich ha trasmesso al direttore generale del CCR un rapporto al quale era allegata copia del resoconto dell'audizione del ricorrente controfirmata dallo stesso. Nel suo rapporto, il sig. Babich concludeva che l'accusa a carico del ricorrente di aver esercitato, in modo continuo e permanente, attività esterne non autorizzate doveva essere mantenuta.
9 Con nota 24 marzo 1999, indirizzata al sig. Trojan, presidente del consiglio di disciplina, il sig. Allgeier ha sollecitato il parere del consiglio di disciplina riguardo al caso del ricorrente.
10 Il 26 luglio 1999 il consiglio di disciplina ha emesso un parere all'unanimità, raccomandando all'APN l'irrogazione nei confronti del ricorrente della sanzione prevista dall'art. 86, n. 2, lett. f), dello Statuto, vale a dire la destituzione con mantenimento dei diritti alla pensione di anzianità.
11 Il 6 settembre 1999 l'APN ha proceduto all'audizione del ricorrente ai sensi dell'art. 7 dell'allegato IX dello Statuto.
12 Con decisione 30 settembre 1999 l'APN, ritenendo che il ricorrente avesse esercitato «molteplici attività esterne senza autorizzazione preventiva in violazione continua e ripetuta dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto», lo ha destituito con mantenimento dei suoi diritti alla pensione. Questa decisione ha preso effetto dal 1_ novembre 1999 (in prosieguo: la «decisione impugnata»).
13 Il 12 gennaio 2000 il ricorrente ha introdotto reclamo avverso tale decisione.
14 Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 31 marzo 2000, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.
15 Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale lo stesso giorno, il ricorrente ha presentato al Tribunale un'istanza di sospensione dell'esecuzione della decisione impugnata.
16 Il reclamo del ricorrente è stato respinto dall'APN con risposta esplicita del 17 maggio 2000.
17 Con ordinanza del presidente del Tribunale 18 maggio 2000, l'istanza del ricorrente volta ad ottenere la sospensione dell'esecuzione della decisione impugnata è stata respinta.
18 A titolo di misura di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha invitato la convenuta a produrre determinati documenti. Essa ha, in parte, ottemperato a questa domanda.
19 In seguito all'impedimento di uno dei membri della sezione, il presidente del Tribunale ha designato un altro giudice per completarla, in applicazione delle disposizioni dell'art. 32, n. 3, del regolamento di procedura.
20 Le parti sono state sentite nella loro difese e nelle loro risposte ai quesiti del Tribunale all'udienza del 21 ottobre 2000.
Conclusioni delle parti
21 Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:
- in via provvisoria, ordinare la sospensione dell'efficacia della decisione impugnata;
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la convenuta alla liquidazione delle retribuzioni e delle indennità non corrisposte al ricorrente, oltre agli interessi a decorrere dall'efficacia della decisione impugnata;
- condannare la convenuta al risarcimento dei danni materiali e morali subiti dal ricorrente, quantificati dallo stesso in un importo non inferiore a EUR 50 000, la cui puntuale determinazione viene rimessa all'apprezzamento del Tribunale;
- dichiarare che la convenuta è tenuta a riesaminare la posizione del ricorrente sotto il profilo della sua vocazione ad essere promosso al grado superiore e ad essere investito di competenze professionali adeguate alla sua formazione;
- condannare la convenuta al pagamento delle spese.
22 La convenuta chiede che il Tribunale voglia:
- respingere il ricorso;
- statuire sulle spese come di diritto.
23 Al momento dell'udienza, il ricorrente ha rinunciato alla sua domanda volta ad ottenere la sospensione dell'efficacia della decisione impugnata, e di ciò è stato preso atto da parte del cancelliere nel verbale di udienza.
Sulla domanda di annullamento
24 Il ricorrente invoca quattro motivi a sostegno del ricorso. Il primo motivo attiene ad una violazione degli artt. 86 e 87 dello Statuto; il secondo motivo verte su una violazione del principio di proporzionalità; il terzo motivo attiene ad un eccesso di potere, ad uno sviamento di procedura e ad uno sviamento di potere, e il quarto motivo attiene ad una carenza di motivazione.
In merito al primo motivo, attinente ad una violazione degli artt. 86 e 87 dello Statuto
Argomenti delle parti
25 Il ricorrente sostiene, in primo luogo, che la decisione impugnata si basa su un'erronea interpretazione della nozione di «attività esterna non autorizzata». In particolare, in questa nozione non rientrerebbero né gli uffici pubblici, quali quelli relativi alla funzione di curatore fallimentare, conferiti con provvedimenti dell'autorità giudiziaria, né quelli di sindaco supplente di società di capitali, che non possono determinare situazioni di incompatibilità. Peraltro, in udienza, il legale del ricorrente ha sottolineato che le attività esercitate da quest'ultimo non erano tali né da nuocere alla sua indipendenza o alla sua reputazione né da arrecare pregiudizio all'attività delle Comunità.
26 In secondo luogo, il ricorrente sostiene di avere richiesto due volte al suo superiore gerarchico, con domande datate 24 giugno 1987 e 4 ottobre 1988, l'autorizzazione a esercitare attività esterne. Nei due casi, avrebbe ottenuto l'autorizzazione da parte del suo capodivisione, sig. Volta. Avrebbe, dunque, in buona fede esercitato le sue funzioni. Di conseguenza, non avrebbe violato in modo volontario o negligente, così come richiede l'art. 86 dello Statuto, le disposizioni statutarie che concernono l'esercizio di attività esterne.
27 Infine, il ricorrente osserva che dalla motivazione della decisione impugnata risulta che la prova della sua colpevolezza si basa sulla circostanza che egli non avrebbe mai riconosciuto la gravità delle infrazioni a suo carico e che avrebbe, invece, tentato di minimizzare la loro importanza, riconoscendone implicitamente la veridicità. Secondo il ricorrente, tale modo di procedere costituisce una violazione dei suoi diritti di difesa.
28 La convenuta ricorda che, ai termini dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto, l'obbligo di richiedere l'autorizzazione dell'APN sussiste a partire dal momento in cui il dipendente intende esercitare un'attività esterna, remunerata o meno, ovvero assolvere un mandato all'esterno delle Comunità e si impone senza distinzioni quanto alla natura o alla rilevanza delle attività o del mandato di cui trattasi. Non spetterebbe quindi all'interessato decidere autonomamente in quali casi la sua «attività esterna» richieda l'autorizzazione dell'autorità amministrativa.
29 Peraltro, la convenuta ritiene che, se è vero che il ricorrente era stato autorizzato nel 1988 a far parte, per un anno, di una commissione tributaria della Provincia di Varese, questa autorizzazione era, da un lato, circoscritta alla natura dell'attività autorizzata e, dall'altro, limitata nel tempo. Il documento 24 giugno 1987, firmato dal sig. Volta, cui il ricorrente fa riferimento, non costituirebbe un'autorizzazione ai sensi dell'art. 12 dello Statuto, in quanto privo di una qualsiasi indicazione circa la natura dell'attività per la quale l'autorizzazione era stata chiesta e non completato da alcuna decisione dell'autorità amministrativa.
Giudizio del Tribunale
30 Con il suo primo motivo il ricorrente afferma, in sostanza, che la decisione impugnata viola l'art. 86 dello Statuto, in quanto l'APN non ha dimostrato che egli sia venuto meno agli obblighi che gli incombevano in virtù dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto «volontariamente o con negligenza». Il ricorrente non nega di aver esercitato un certo numero di attività qualificabili come esterne. Tuttavia, da una parte, contesta che queste attività rientrino nella nozione di attività esterne ai sensi dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto e, dall'altra, sostiene di aver agito in buona fede sulla base delle autorizzazioni che avrebbe ricevuto dal suo superiore gerarchico nel 1987 e nel 1988.
31 Giova ricordare che, secondo l'art. 12, terzo comma, dello Statuto, l'obbligo di chiedere l'autorizzazione dell'APN esiste fin dal momento in cui il funzionario si propone di esercitare un'attività esterna, remunerata o meno, o di assolvere un mandato all'esterno della Comunità. Nella sentenza Tzoanos/Commissione, il Tribunale ha confermato che questo obbligo si impone in via generale, senza operare una distinzione quanto alla natura o all'importanza delle attività o del mandato di cui trattasi e che spetta esclusivamente all'APN, in virtù della seconda frase dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto, valutare le caratteristiche dell'attività o del mandato al momento in cui essa esamina la domanda di autorizzazione (sentenza del Tribunale 19 marzo 1998, causa T-74/96, Racc. PI pagg. I-A-129 e II-343, punto 66).
32 Risulta chiaramente dal tenore letterale dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto e dalla giurisprudenza sopra menzionata che il dipendente interessato è tenuto a chiedere un'autorizzazione all'APN qualunque sia l'attività esterna che intende esercitare e ad astenersene in mancanza di autorizzazione valida.
33 Nella fattispecie occorre rilevare che risulta dagli atti, in particolare dagli estratti del registro della Camera di commercio di Varese prodotti dalla Commissione e non contestati dal ricorrente, che quest'ultimo ha rivestito, a partire dall'inizio degli anni '90, molteplici funzioni in qualità di: amministratore unico di una società a responsabilità limitata, presidente del collegio dei sindaci di una società per azioni, sindaco effettivo di tre società a responsabilità limitata e di due società per azioni, sindaco supplente di due società a responsabilità limitata e di due società per azioni, curatore fallimentare in 26 procedure fallimentari o di liquidazione.
34 Come ha confermato il suo legale in udienza, il ricorrente non nega di aver esercitato molteplici attività qualificabili come esterne. Peraltro, la circostanza che egli affermi di aver richiesto un'autorizzazione in base all'art. 12, terzo comma, dello Statuto per l'esercizio di tali attività conferma la sua piena consapevolezza della natura esterna di queste ultime.
35 In queste circostanze, il fatto che il ricorrente abbia potuto ritenere che le attività esterne che si accingeva ad esercitare non rientrassero nella nozione di «attività esterne» o di «mandato all'esterno della Comunità» ai sensi dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto o che esse potessero essere autorizzate in forza di questa disposizione è privo di pertinenza e non poteva dispensarlo dal suo obbligo di chiedere, per ognuna di queste attività, un'autorizzazione ai sensi della citata disposizione dello Statuto.
36 Occorre dunque verificare se il ricorrente possa a buon diritto sostenere di aver chiesto e ottenuto un'autorizzazione ai sensi dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto, per le diverse attività esterne che ha esercitato.
37 Egli sostiene di avere chiesto in due occasioni, nel 1987 e nel 1988, una tale autorizzazione al suo superiore gerarchico.
38 In particolare, egli afferma di aver presentato una prima domanda il 24 giugno 1987. Questa domanda avrebbe ricevuto un parere favorevole da parte del suo superiore gerarchico, sig. Volta.
39 A questo riguardo si deve rilevare che la Commissione ha prodotto la seconda pagina di un modulo intitolato «Domanda di autorizzazione per l'esercizio di un'attività esterna» sul quale figurano il nome del ricorrente, il suo grado e la data del 24 giugno 1987. Nella parte del modulo riservata al parere del capodivisione è segnata la casella corrispondente al parere favorevole e, sulla destra, figura una firma illeggibile non accompagnata dall'indicazione del nome della persona che ha firmato. Nessuna menzione né alcuna firma figurano nelle parti del modulo riservate alla proposta del direttore competente e alla decisione del direttore generale aggiunto del CCR. Manca, inoltre, ogni riferimento alle attività per le quali l'autorizzazione era stata richiesta.
40 In queste circostanze, si deve constatare che il suddetto documento non fornisce alcuna prova dell'esistenza di un'autorizzazione ai sensi dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto rilasciata in favore del ricorrente.
41 Quest'ultimo afferma, inoltre, di essere stato autorizzato a esercitare la funzione di curatore fallimentare nel 1988.
42 Risulta dal fascicolo che, in data 4 ottobre 1988, il ricorrente ha presentato una domanda per esercitare la funzione di membro della commissione tributaria di secondo grado di Varese. L'autorizzazione è stata accordata l'11 novembre 1988.
43 A questo riguardo conviene tuttavia rilevare che, tra le diverse attività esterne non autorizzate imputate al ricorrente nel corso del procedimento disciplinare, non figura quella di membro di commissione tributaria. Il ricorrente non può dunque invocare la sopra menzionata autorizzazione per contestare gli addebiti avanzati a suo carico dall'APN.
44 Ne consegue che il ricorrente non ha dimostrato di essere stato autorizzato ad esercitare le molteplici attività esterne contestategli nel corso del procedimento disciplinare.
45 Peraltro, il ricorrente non può avvalersi né della suddetta autorizzazione a esercitare l'attività di membro della commissione tributaria di Varese né, a maggior ragione, del documento menzionato supra, al punto 39, per sostenere di aver in buona fede ritenuto di essere in possesso di un'autorizzazione valida ai sensi dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto.
46 In queste condizioni, si deve concludere che il ricorrente, esercitando in modo ripetuto e continuato, per un periodo di circa dieci anni, attività esterne senza esserne stato preventivamente autorizzato, ha dato quanto meno prova di una grave negligenza nel suo operato.
47 Ne consegue che la Commissione non ha violato gli artt. 86 e 87 dello Statuto considerando che le infrazioni commesse dal ricorrente fossero tali da esporlo ad una sanzione disciplinare.
48 Pertanto, il primo motivo deve essere respinto in quanto non fondato.
In merito al secondo motivo, attinente ad una violazione del principio di proporzionalità
Argomenti delle parti
49 Il ricorrente sostiene che la sanzione della destituzione è sproporzionata rispetto alle infrazioni che si pretenderebbero commesse, tenuto conto in particolare del fatto che la Commissione non avrebbe individuato una colpa grave da parte sua, come richiesto dall'art. 87 dello Statuto. Inoltre, il principio di progressività e di gradualità nell'applicazione delle misure disciplinari avrebbe richiesto che la Commissione applicasse al ricorrente, in un primo tempo, una sanzione meno grave, come, per esempio, la sospensione temporanea dell'aumento periodico dello scatto, e solo successivamente, in caso di continuazione del comportamento contestato, la sanzione più grave della destituzione.
50 Peraltro, il ricorrente sottolinea che l'art. 12, terzo comma, dello Statuto, prevedendo che l'autorizzazione possa essere rifiutata solo «quando l'attività o il mandato possono nuocere all'indipendenza del funzionario o pregiudicare l'attività delle Comunità», ammette implicitamente che determinate attività esterne possano essere esercitate. In queste circostanze, il ricorrente ritiene che il fatto di non aver richiesto l'autorizzazione, quand'anche venisse provato, non sarebbe, da solo, in grado di giustificare una misura disciplinare di così eccezionale gravità.
51 Secondo la Commissione, la sanzione inflitta al ricorrente è proporzionata alle infrazioni da lui commesse, tanto più se si considerano l'aspetto continuato e ripetuto delle stesse nel corso di un decennio e il testo chiaro dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto.
Giudizio del Tribunale
52 Secondo una giurisprudenza costante, se i fatti addebitati al dipendente sono provati, la scelta della sanzione appropriata appartiene all'APN e il Tribunale non può sostituire la propria valutazione a quella dell'APN, salvo in caso di errore manifesto o di sviamento di potere (sentenze della Corte 29 gennaio 1985, causa 228/83, F./Commissione, Racc. pag. 275, punto 34, e 5 febbraio 1987, causa 403/85, F./Commissione, Racc. pag. 645, punto 18; sentenza del Tribunale 17 ottobre 1991, causa T-26/89, de Compte/Parlamento, Racc. pag. II-781, punto 220).
53 Risulta inoltre da una giurisprudenza costante che, poiché gli artt. 86-89 dello Statuto non stabiliscono un rapporto rigido tra le sanzioni disciplinari ivi enunciate e i vari tipi di infrazione né precisano entro quali limiti l'esistenza di circostanze aggravanti o attenuanti incida sulla scelta della sanzione, la determinazione di quest'ultima deve essere fondata su una valutazione complessiva da parte dell'APN di tutti i fatti concreti e di tutte le circostanze proprie del caso di specie (sentenza 5 febbraio 1987, F./Commissione, cit., punto 26; sentenze del Tribunale 7 marzo 1996, causa T-146/94, Williams/Corte dei conti, Racc. PI pagg. I-A-103 e II-329, punti 107-108; 30 maggio 2002, causa T-197/00, Onidi/Commissione, Racc. pag. I-0000, punti 141 e 142, e causa de Compte/Parlamento, cit., punti 220-221).
54 Nella fattispecie, risulta dagli atti che, in seguito all'indagine amministrativa e nel corso del procedimento disciplinare, la convenuta ha sufficientemente provato il fatto che il ricorrente ha esercitato in modo continuato, per un periodo di circa dieci anni, molteplici attività esterne. Peraltro, il ricorrente stesso ha ammesso più volte nel corso del procedimento disciplinare, come attesta il verbale dell'audizione del 14 dicembre 1998, di aver esercitato queste diverse attività, pur affermando di ritenere in buona fede di esserne stato autorizzato dal suo superiore gerarchico. Tale posizione è stata confermata in udienza dal legale del ricorrente.
55 Risulta altresì dagli atti del procedimento disciplinare che il ricorrente ha esercitato le diverse attività esterne contestategli senza esserne stato preventivamente e validamente autorizzato ai sensi dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto. Inoltre, il Tribunale ha concluso supra, al punto 44, che il ricorrente non ha apportato prove sufficienti a dimostrare di essere stato in possesso di una tale autorizzazione.
56 In queste circostanze, la veridicità degli addebiti formulati a carico del ricorrente dev'essere considerata sufficientemente provata.
57 Per quanto concerne la valutazione della gravità delle infrazioni commesse dal ricorrente, si deve considerare innanzi tutto che il testo chiaro dell'art. 12, terzo comma, dello Statuto non lascia alcun dubbio quanto all'esistenza di un obbligo, a carico del dipendente che si propone di esercitare un'attività esterna, di chiedere un'autorizzazione preventiva e di astenersi dall'esercitarla in assenza di una tale autorizzazione.
58 Occorre, in seguito, rilevare che le infrazioni in questione sono state commesse in modo praticamente ininterrotto per un periodo di circa dieci anni. Ora, la durata della condotta contestata al ricorrente e il carattere ripetuto delle infrazioni commesse sono tali da consentire, anche a prescindere da ogni altro elemento di valutazione, di qualificare il comportamento di quest'ultimo come particolarmente grave.
59 Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rilevare che la sanzione della destituzione non è, nella fattispecie, sproporzionata rispetto alla gravità delle infrazioni commesse dal ricorrente.
60 Ne consegue che l'istituzione convenuta, tenuto conto dell'ampio potere discrezionale di cui gode nella scelta delle sanzioni da infliggere nel contesto di un procedimento disciplinare, non ha commesso, nella fattispecie, errori manifesti di valutazione e non ha violato il principio di proporzionalità.
61 Pertanto, il secondo motivo deve essere respinto in quanto non fondato.
In merito al terzo motivo, attinente ad un eccesso di potere, ad uno sviamento di procedura e ad uno sviamento di potere
62 Il ricorrente afferma che il procedimento disciplinare e la decisione impugnata sono viziate da uno sviamento di procedura e/o da uno sviamento e da un eccesso di potere.
63 In primo luogo, come ha spiegato il suo legale in udienza, il ricorrente sostiene che, infliggendogli una sanzione come quella della destituzione, la Commissione ha ecceduto i limiti del suo potere in materia disciplinare.
64 In secondo luogo, il ricorrente sostiene che la decisione impugnata è viziata da uno sviamento di procedura, in quanto, per giustificare l'applicazione della sanzione della destituzione, essa fa riferimento ad una pretesa diminuzione del rendimento in servizio del ricorrente. In effetti, il procedimento disciplinare aperto nei suoi confronti riguarderebbe solo le attività esterne non autorizzate e non, come la Commissione sembra affermare nella decisione impugnata, una pretesa diminuzione del suo rendimento. Poiché la convenuta non ha rimproverato al ricorrente, con le debite forme, il suo rendimento insufficiente, essa non potrebbe avvalersi di tale pretesa insufficienza per giustificare la sua scelta in merito alla sanzione inflitta nel procedimento disciplinare in questione.
65 In terzo luogo, il ricorrente afferma che determinati elementi che hanno caratterizzato il procedimento disciplinare in questione costituiscono indizi di uno sviamento di potere. Tali sarebbero, in particolare, il rifiuto da parte dell'APN di esaminare documenti decisivi e di raccogliere le prove testimoniali richieste dal ricorrente, che avrebbero dimostrato l'estraneità di quest'ultimo agli addebiti formulati contro di lui. Peraltro, l'amministrazione non avrebbe dato alcuna importanza al modulo di dichiarazione dei redditi indirizzato dal ricorrente alle autorità italiane dal quale risulterebbe che, nel periodo d'indagine, quest'ultimo non aveva percepito alcun reddito al di fuori delle remunerazioni corrisposte dalla Commissione. La decisione impugnata sarebbe, infine, viziata da un travisamento dei fatti, e pertanto da uno sviamento di potere, in quanto, nella sua motivazione, essa afferma, senza che ciò corrisponda alla realtà, che il ricorrente avrebbe mentito riguardo ai suoi contatti con la società «A.C.R. Elaborazione dati», della quale sua moglie è amministratore unico. D'altra parte, il ricorrente contesta che la sola circostanza che la moglie di un dipendente comunitario sia socio limitatamente responsabile di una società di capitali consenta di stabilire una connessione tra l'attività di detta società e quella esercitata dal dipendente nell'ambito del suo rapporto di servizio con la Commissione.
66 La convenuta sottolinea che il ricorrente non ha dedotto alcun argomento concreto a sostegno del motivo attinente ad un preteso sviamento o eccesso di potere e ad un preteso sviamento di procedura.
Giudizio del Tribunale
67 Nel contesto del terzo motivo, il ricorrente solleva, in sostanza, tre censure contro la decisione impugnata.
68 In primo luogo, il ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe ecceduto i limiti del suo potere in materia disciplinare infliggendogli una sanzione come quella della destituzione, la cui gravità non potrebbe essere considerata proporzionata al tipo di infrazione commessa.
69 A tale riguardo, si deve constatare che questa obiezione si confonde con il secondo motivo di annullamento. Nel contesto della discussione di quest'ultimo, è stato dichiarato che, tenuto conto del carattere ripetuto e continuo delle violazioni del ricorrente ai suoi obblighi statutari, la sanzione che gli è stata inflitta non può essere considerata sproporzionata e che l'APN non ha commesso errori manifesti di valutazione nella scelta di questa sanzione (v. supra, punti 57-60). Ne consegue che l'APN non ha ecceduto i limiti dell'ampio potere discrezionale che le è riconosciuto nell'applicazione delle misure disciplinari.
70 In queste circostanze, la censura relativa ad un preteso eccesso di potere non può essere accolta.
71 In secondo luogo, il ricorrente sostiene che la decisione impugnata è viziata da uno sviamento di procedura nella misura in cui il quarto e quinto punto della motivazione fanno riferimento ad una pretesa diminuzione del suo rendimento in servizio. Più precisamente, secondo il ricorrente, la decisione impugnata conterrebbe contestazioni concernenti il suo rendimento che sono estranee all'oggetto del procedimento disciplinare e che avrebbero potuto essere sollevate nei suoi confronti unicamente nel contesto di un procedimento per insufficienza professionale.
72 A questo riguardo si deve osservare, preliminarmente, che la determinazione della sanzione da infliggere nel contesto di un procedimento disciplinare deve essere fondata su una valutazione globale da parte dell'APN di tutti i fatti concreti e delle circostanze di ogni singolo caso (v. la giurisprudenza citata supra, al punto 53). Non è dunque escluso che l'APN possa, al fine di determinare la gravità delle infrazioni contestate a un dipendente, essere indotta a valutarne l'incidenza sul rendimento dello stesso, in particolare nel caso in cui, come nella fattispecie, la condotta contestata consista nell'esercizio di attività esterne non autorizzate.
73 Tuttavia, nella fattispecie, si deve constatare che, nel corso dell'audizione che si è svolta il 14 dicembre 1998, il ricorrente è stato, più volte, informato dal suo intervistatore che il procedimento disciplinare si riferiva unicamente alle sue pretese attività esterne non autorizzate e non alla sua condotta in servizio o al suo rendimento.
74 In queste circostanze, qualunque valutazione concernente il rendimento del ricorrente, ivi comprese quelle tendenti a stimare l'impatto delle sue attività esterne sull'esercizio delle sue funzioni al servizio della Commissione, esulava necessariamente dall'oggetto del procedimento disciplinare in questione.
75 Cionondimeno, il fatto che il quarto e il quinto punto della motivazione della decisione impugnata contengano valutazioni relative al rendimento del ricorrente non è, di per sé, in grado di rimettere in causa la legittimità di tale decisione né di suffragare la censura relativa ad uno sviamento di procedura.
76 In effetti, come è stato dichiarato supra, al punto 58, le infrazioni contestate al ricorrente, tenuto conto in particolare della loro durata e del loro carattere ripetuto e continuo, sono, di per sé, indipendentemente da qualunque valutazione riguardante il loro impatto sul rendimento in servizio del ricorrente, sufficienti a giustificare la misura disciplinare adottata nella fattispecie dall'APN.
77 Pertanto, la censura relativa al preteso sviamento di procedura deve essere disattesa in quanto inconferente.
78 In terzo luogo, il ricorrente afferma che molti elementi caratterizzanti il procedimento disciplinare in questione costituiscono seri indizi di uno sviamento di potere.
79 A questo riguardo si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, vi è sviamento di potere solo se è provato che l'APN, adottando il provvedimento controverso, ha perseguito una finalità diversa da quella contemplata dalla normativa in causa o se risulta, sulla base di indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, che l'atto in questione è stato adottato per raggiungere fini diversi da quelli dichiarati (sentenza della Corte 17 gennaio 1992, causa C-107/90, Hochbaum/Commissione, Racc. pag. I-157, punto 14; sentenze del Tribunale 25 maggio 2000, causa T-173/99, Elkaïm e Mazuel/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-101 e II-433, punto 120, e Samper/Commissione, cit., punto 64).
80 Nella fattispecie si deve constatare che il ricorrente non ha fornito indizi oggettivi, pertinenti e concordanti in grado di dimostrare che il procedimento disciplinare in questione è stato condotto e/o la decisione impugnata è stata presa per conseguire fini diversi rispetto a quelli previsti dagli artt. 86 e 87 dello Statuto. In particolare, non costituiscono indizi di tal genere il fatto che l'APN, ritenendosi sufficientemente edotta sulla scorta dei documenti del procedimento disciplinare, abbia deciso di non procedere a un'istruzione supplementare, né il fatto che la motivazione della decisione impugnata contenga valutazioni sull'attitudine generale del ricorrente nel corso di questo procedimento e sugli argomenti che quest'ultimo ha dedotto a sua difesa. Peraltro, contrariamente a ciò che afferma il ricorrente, nessun elemento permette di considerare che l'APN abbia stabilito un rapporto tra quest'ultimo e l'attività esercitata dalla società «A.C.R. Elaborazione dati» basandosi sulla sola circostanza che la moglie del ricorrente è socia a responsabilità limitata di tale società.
81 Pertanto, la censura relativa al preteso sviamento di procedura non può essere accolta.
82 Alla luce di tutto quanto precede, occorre respingere il terzo motivo nel suo insieme in quanto non fondato.
In merito al quarto motivo, attinente ad una carenza di motivazione
Argomenti delle parti
83 Il ricorrente sostiene che la decisione impugnata è viziata da illogicità e contraddittorietà della motivazione. L'APN si sarebbe, infatti, limitata, nella motivazione della decisione impugnata, ad invocare la circostanza che il ricorrente, tentando di minimizzare i fatti contestati, ne avrebbe implicitamente riconosciuto la veridicità. Così facendo, l'APN avrebbe non solo taciuto gli argomenti dedotti dal ricorrente a sua difesa, senza confutarli, ma li avrebbe addirittura utilizzati contro il ricorrente stesso.
84 La convenuta sostiene che la motivazione della decisione impugnata è sufficiente in quanto vi si precisano i fatti imputati al ricorrente e le considerazioni che hanno condotto l'APN ad adottare la sanzione in questione.
Giudizio del Tribunale
85 Secondo una giurisprudenza costante, l'obbligo di motivare le decisioni arrecanti pregiudizio mira a consentire al giudice comunitario di esercitare il suo sindacato sulla legittimità della decisione e a fornire all'interessato un'indicazione sufficiente per stabilire se la decisione sia fondata o sia inficiata da un vizio che permetta di contestarne la legittimità. Questo obbligo è soddisfatto quando l'atto impugnato è stato emanato in un contesto noto al dipendente e che gli consente di comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti (sentenze del Tribunale 16 dicembre 1993, causa T-80/90, Turner/Commissione, Racc. pag. II-1465, punto 62, e 27 novembre 1997, causa T-20/96, Pascall/Commissione, Racc. PI pag. I-A-361, punto 44).
86 Nella fattispecie la decisione impugnata espone, anzitutto, il tipo di infrazione contestata al ricorrente. Essa precisa, in seguito, che i comportamenti rimproverati sono stati tenuti in modo ripetuto e continuo per un periodo di circa dieci anni. Essa fa riferimento, infine, all'atteggiamento generale tenuto dal ricorrente nel corso del procedimento disciplinare.
87 Si deve ricordare peraltro che il ricorrente è stato oggetto, prima dell'apertura del procedimento disciplinare, di un'indagine amministrativa vertente sugli stessi fatti che gli sono contestati nella decisione impugnata. Si deve constatare, di conseguenza, che quest'ultima è intervenuta in un contesto noto al ricorrente e che gli ha permesso di comprendere tanto le ragioni quanto la portata della misura adottata nei suoi confronti.
88 In queste circostanze, il quarto motivo, basato su una carenza di motivazione, non può essere accolto.
89 Pertanto, alla luce di tutto quanto precede, occorre respingere le conclusioni dirette all'annullamento della decisione impugnata, nel loro insieme, in quanto non fondate.
Sulla domanda di risarcimento dei danni
90 Secondo una giurisprudenza costante, la domanda diretta al risarcimento del danno materiale o morale deve essere respinta qualora presenti una stretta connessione con la domanda di annullamento che, a sua volta, sia stata respinta in quanto non fondata (sentenze del Tribunale 5 febbraio 1997, causa T-207/95, Ibarra Gil/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-13 e II-31, punto 88, e causa T-211/95, Petit-Laurent/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-21 e II-57, punto 88).
91 Nella fattispecie esiste una stretta connessione tra il ricorso per risarcimento e il ricorso d'annullamento.
92 In tali circostanze, poiché l'esame dei motivi dedotti a sostegno della domanda di annullamento non ha rivelato alcun profilo di illegittimità in capo alla Commissione e dunque nessun illecito in grado di implicarne la responsabilità, il ricorso per risarcimento deve essere respinto nel merito.
93 Pertanto, alla luce di tutto quanto precede, il ricorso deve essere nel suo insieme respinto.
Sulle spese
94 95 Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente deve essere condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, a norma dell'art. 88 dello stesso regolamento, nelle cause tra le Comunità e i loro agenti, le spese sostenute dalle istituzioni restano a loro carico. Ciò considerato, ciascuna delle parti sopporterà le proprie spese, ivi comprese quelle afferenti al procedimento sommario.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE
(Quarta Sezione)
dichiara e statuisce:
1) Il ricorso è respinto.
2) Ciascuna delle parti sopporterà le proprie spese, ivi comprese quelle afferenti al procedimento sommario.