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Document 62013CJ0608

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 9 giugno 2016.
Compañía Española de Petróleos (CEPSA), SA contro Commissione europea.
Impugnazione – Intese – Articolo 81 CE – Mercato spagnolo del bitume stradale – Ripartizione del mercato e coordinamento dei prezzi – Durata eccessiva del procedimento dinanzi al Tribunale dell’Unione europea – Durata eccessiva del procedimento dinanzi alla Commissione europea – Impugnazione sulle spese.
Causa C-608/13 P.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2016:414

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

9 giugno 2016 ( *1 )

«Impugnazione — Intese — Articolo 81 CE — Mercato spagnolo del bitume stradale — Ripartizione del mercato e coordinamento dei prezzi — Durata eccessiva del procedimento dinanzi al Tribunale dell’Unione europea — Durata eccessiva del procedimento dinanzi alla Commissione europea — Impugnazione sulle spese»

Nella causa C‑608/13 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 25 novembre 2013,

Compañía Española de Petróleos (CEPSA) SA, con sede in Madrid (Spagna), rappresentata da O. Armengol i Gasull e J.M. Rodríguez Cárcamo, abogados,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata da C. Urraca Caviedes e F. Castillo de la Torre, in qualità di agenti, assistiti da A.J. Rivas, avocat,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da T. von Danwitz, presidente della Quarta Sezione, facente funzione di presidente della Quinta Sezione, K. Lenaerts, presidente della Corte, facente funzione di giudice della Quinta Sezione, D. Šváby (relatore), A. Rosas e C. Vajda, giudici,

avvocato generale: N. Jääskinen

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, la Compañía Española de Petróleos (CEPSA) SA chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 16 settembre 2013, CEPSA/Commissione (T‑497/07, EU:T:2013:438; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale quest’ultimo ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della decisione C(2007) 4441 definitivo della Commissione, del 3 ottobre 2007, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo [81 CE] [caso COMP/38.710 – Bitume (Spagna)] (in prosieguo: la «decisione controversa»), nella parte che la riguarda, nonché, in subordine, la riduzione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta.

Contesto normativo

2

L’articolo 3 del regolamento n. 1 del Consiglio, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunità economica europea (GU 1958, 17, pag. 385), dispone che «[i] testi, diretti dalle istituzioni ad uno Stato membro o ad una persona appartenente alla giurisdizione di uno Stato membro, sono redatti nella lingua di tale Stato».

Fatti e decisione controversa

3

I fatti all’origine della controversia sono illustrati ai punti da 1 a 91 nonché 107 e 108 della sentenza impugnata e possono essere sintetizzati come segue.

4

Il prodotto interessato dall’infrazione è il bitume di penetrazione, un bitume che non è stato sottoposto a trasformazioni ed è utilizzato per la costruzione e la manutenzione delle strade.

5

Il mercato spagnolo del bitume conta, da un lato, tre produttori, i gruppi Repsol, CEPSA‑PROAS e BP, e, dall’altro, taluni importatori, tra i quali rientrano i gruppi Nynäs e Petrogal.

6

Il gruppo CEPSA-PROAS è un gruppo internazionale di società del settore dell’energia quotato in Borsa e presente in vari paesi. La Productos Asfálticos (PROAS) SA, controllata al 100% dalla CEPSA dal 1o marzo 1991, commercializza bitume prodotto dalla CEPSA e produce e commercializza altri prodotti bituminosi.

7

La PROAS ha realizzato in Spagna, a titolo di vendite a terzi di bitume di penetrazione, un fatturato di EUR 90700000 nel corso dell’esercizio 2001, ossia il 31,67% del mercato interessato. Il fatturato totale consolidato della CEPSA-PROAS ammontava a EUR 18474000000 nel 2006.

8

A seguito di una domanda di immunità presentata il 20 giugno 2002 dalle società del gruppo BP, in applicazione della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione del 2002»), sono state compiute verifiche, in data 1o e 2 ottobre 2002, presso società dei gruppi Repsol, CEPSA-PROAS, BP, Nynäs e Petrogal.

9

Il 6 febbraio 2004 la Commissione europea ha inviato alle imprese interessate una prima serie di richieste di informazioni in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento di applicazione degli articoli [81 CE e 82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204).

10

Con fax, rispettivamente, del 31 marzo 2004 e del 5 aprile 2004, talune società del gruppo Repsol nonché la PROAS hanno presentato alla Commissione una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002, accompagnata da una dichiarazione d’impresa.

11

Dopo aver inviato altre quattro richieste di informazioni alle imprese interessate, la Commissione ha avviato formalmente un procedimento e ha notificato, tra il 24 e il 28 agosto 2006, una comunicazione degli addebiti alle società interessate dei gruppi BP, Repsol, CEPSA-PROAS, Nynäs e Petrogal.

12

Prima della notifica della comunicazione degli addebiti alle società interessate del gruppo CEPSA-PROAS, la Commissione ha chiesto alla CEPSA, con lettera del 19 luglio 2006, se accettava che la Commissione le inviasse qualsiasi documento ufficiale, comunicazione degli addebiti o decisione che avrebbe potuto adottare nei suoi confronti in lingua inglese. Con lettera del 20 luglio 2006, la CEPSA ha dichiarato che la Commissione poteva notificarle una comunicazione degli addebiti in lingua inglese.

13

Il 3 ottobre 2007 la Commissione ha adottato la decisione controversa, con la quale ha dichiarato che le tredici società destinatarie della stessa avevano partecipato a un complesso di accordi di ripartizione del mercato e di coordinamento dei prezzi del bitume di penetrazione stradale in Spagna (escluse le isole Canarie).

14

La Commissione ha considerato che ciascuna delle due restrizioni alla concorrenza constatate, vale a dire gli accordi orizzontali di ripartizione del mercato e il coordinamento dei prezzi, rientrava, per sua stessa natura, nei tipi di infrazione più gravi all’articolo 81 CE, i quali sono in grado di giustificare, secondo la giurisprudenza, la qualificazione come infrazioni «molto gravi».

15

La Commissione ha fissato l’«importo di partenza» delle ammende da infliggere a EUR 40000000, tenendo conto della gravità dell’infrazione, del valore del mercato considerato – stimato in EUR 286400000 nel 2001, ultimo anno completo interessato dall’infrazione – e del fatto che l’infrazione era limitata alle vendite di bitume effettuate in un solo Stato membro.

16

La Commissione ha successivamente classificato le società destinatarie della decisione controversa in varie categorie, definite sulla base della loro importanza relativa sul mercato considerato, ai fini dell’applicazione del trattamento differenziato, in modo da tener conto della loro capacità economica effettiva di causare un grave pregiudizio alla concorrenza.

17

Il gruppo Repsol e la PROAS, le cui quote del mercato considerato ammontavano, rispettivamente, al 34,04% e al 31,67% nell’esercizio 2001, sono state classificate nella prima categoria, il gruppo BP, con una quota di mercato del 15,19%, nella seconda categoria, e i gruppi Nynäs e Petrogal, le cui quote di mercato oscillavano tra il 4,54% e il 5,24%, nella terza categoria. Su tale presupposto, gli «importi di base» delle ammende da infliggere sono stati adattati nel modo seguente:

prima categoria, per il gruppo Repsol e la PROAS: EUR 40000000;

seconda categoria, per il gruppo BP: EUR 18000000;

terza categoria, per i gruppi Nynäs e Petrogal: EUR 5500000.

18

Dopo aver maggiorato l’«importo di base» delle ammende in funzione della durata dell’infrazione, ossia un periodo di undici anni e sette mesi per la PROAS (dal 1o marzo 1991 al 1o ottobre 2002), la Commissione ha ritenuto che l’importo dell’ammenda da infliggerle dovesse essere aumentato del 30% a titolo di circostanze aggravanti, dato che tale impresa doveva essere annoverata tra i principali «promotori» dell’intesa in questione.

19

La Commissione ha altresì stabilito che, in applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002, la PROAS aveva diritto a una riduzione del 25% dell’importo dell’ammenda che avrebbe dovuto normalmente esserle inflitto.

20

Sulla base di tali elementi, la CEPSA e la PROAS sono state condannate, congiuntamente e solidalmente, a un’ammenda di EUR 83850000.

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

21

Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 20 dicembre 2007, la ricorrente ha chiesto l’annullamento della decisione controversa nella parte in cui la riguarda e, in subordine, la riduzione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta. Essa ha altresì chiesto che la Commissione venisse condannata alle spese.

22

A sostegno del suo ricorso la ricorrente ha dedotto sette motivi.

23

Il Tribunale ha respinto ciascuno di tali motivi e, pertanto, il ricorso nel suo complesso.

24

In via riconvenzionale, la Commissione ha chiesto al Tribunale, nell’esercizio della propria competenza estesa al merito, di maggiorare l’importo dell’ammenda inflitta alla CEPSA, domanda che esso non ha accolto.

Conclusioni delle parti

25

Con la sua impugnazione, la CEPSA chiede che la Corte voglia:

annullare il primo e il terzo punto del dispositivo della sentenza impugnata;

pronunciarsi definitivamente sulla controversia, senza rinviare la causa dinanzi al Tribunale, riducendo l’importo dell’ammenda fissato nella decisione controversa a un importo che riterrà corretto, e

condannare la Commissione alle spese dell’impugnazione.

26

La Commissione chiede che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione e

condannare la ricorrente alle spese.

Sull’impugnazione

27

A sostegno della sua impugnazione, la ricorrente deduce sei motivi.

28

I primi due motivi, che è opportuno esaminare congiuntamente, vertono sulla violazione delle forme sostanziali e sul travisamento dei fatti per quanto riguarda il regime linguistico. Il terzo motivo attiene alla violazione del principio di proporzionalità nella determinazione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente. Con i suoi motivi quarto e quinto, che occorre esaminare congiuntamente, la ricorrente deduce che il Tribunale ha violato il principio del rispetto del termine ragionevole. Il sesto motivo ha ad oggetto la violazione dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, nella sua versione applicabile alla controversia.

Sul primo e sul secondo motivo, vertenti sulla violazione delle forme sostanziali e sul travisamento dei fatti per quanto riguarda il regime linguistico

Argomenti delle parti

29

Con il suo primo motivo, diretto contro i punti da 113 a 115 e 119 della sentenza impugnata, la ricorrente lamenta che il Tribunale non ha annullato la decisione controversa per violazione delle forme sostanziali, la quale deriverebbe dall’invio alla CEPSA, da parte della Commissione, di una comunicazione degli addebiti in lingua inglese, in violazione dell’articolo 3 del regolamento n. 1, dell’articolo 3 TUE nonché dell’articolo 41, paragrafo 4, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), come essa avrebbe dedotto, in particolare, nell’ambito della sua replica nonché in sede di udienza dibattimentale. A tale riguardo, la ricorrente sostiene che è irrilevante il fatto che essa abbia accettato liberamente e volontariamente tale violazione.

30

La Commissione ritiene che il motivo vertente sulla violazione delle forme sostanziali e del regolamento n. 1 costituisca un motivo nuovo, irricevibile in sede di impugnazione. In subordine, essa afferma che è infondato.

31

Con il suo secondo motivo, diretto contro, da un lato, i punti 109, 110 e 114 della sentenza impugnata e, dall’altro, il punto 115 di detta sentenza, la ricorrente censura il Tribunale per aver travisato i fatti dichiarando che essa aveva accettato liberamente la violazione del regime linguistico e non è stata pregiudicata nei suoi diritti della difesa in conseguenza di tale violazione.

32

A tale riguardo, essa fa valere, da un lato, di aver rispedito, il 20 luglio 2006, il documento con cui accettava di ricevere la comunicazione degli addebiti in lingua inglese al solo scopo di evitare un aumento della sanzione derivante dal fatto che un invio della comunicazione degli addebiti successivamente al 1o settembre 2006 avrebbe condotto la Commissione a pronunciare nei suoi confronti una sanzione significativamente più pesante.

33

Dall’altro, essa sostiene che il fatto che tale comunicazione non sia stata redatta nella lingua richiesta doveva essere considerato dal Tribunale non solo come una violazione del regolamento n. 1, ma anche come una lesione dei suoi diritti della difesa, dal momento che essa ha dovuto far tradurre tale documento prima di potervi rispondere ed è quindi stata privata dell’esattezza e dell’autenticità propri di ogni originale.

34

La Commissione, dal canto suo, ritiene che il Tribunale non abbia commesso errori di snaturamento dei fatti e che, in ogni caso, non può essere ravvisata alcuna violazione dei diritti della difesa, dato che, in mancanza della dedotta irregolarità, il procedimento non avrebbe avuto esito differente.

Giudizio della Corte

35

L’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione deve essere respinta. Sono infatti ricevibili i motivi sollevati da una parte dinanzi alla Corte e volti a criticare sotto il profilo giuridico la soluzione adottata dal Tribunale (v. sentenza del 29 novembre 2007, Stadtwerke Schwäbisch Hall e a./Commissione, C‑176/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:730, punto 17). Orbene, ai punti da 107 a 119 della sentenza impugnata, il Tribunale ha espressamente risposto alle censure della ricorrente vertenti su una violazione delle forme sostanziali e del regolamento n. 1. Sono pertanto ricevibili i motivi sollevati dalla ricorrente per criticare sotto il profilo giuridico la parte della sentenza impugnata che ha respinto detti motivi.

36

Per quanto riguarda le censure vertenti su una violazione delle forme sostanziali e del regolamento n. 1 nonché dell’articolo 3 TUE e dell’articolo 41, paragrafo 4, della Carta, dalla giurisprudenza della Corte citata dal Tribunale al punto 115 della sentenza impugnata emerge che l’uso della lingua prevista all’articolo 3 del regolamento n. 1 non costituisce una forma sostanziale, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, la cui violazione incide necessariamente sulla regolarità di qualsiasi documento inviato a una persona in un’altra lingua (v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 1970, ACF Chemiefarma/Commissione, 41/69, EU:C:1970:71, punti da 47 a 52). Infatti, secondo tale giurisprudenza, se un’istituzione invia a una persona appartenente alla giurisdizione di uno Stato membro un testo non redatto nella lingua di tale Stato, un simile modus operandi vizia il procedimento solamente se ne derivano conseguenze dannose per tale persona nell’ambito del procedimento amministrativo.

37

Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, solamente se l’uso di una lingua diversa da quella prevista dall’articolo 3 del regolamento n. 1, in sede di invio della comunicazione degli addebiti, ha avuto conseguenze dannose per la ricorrente la regolarità di tale invio e, pertanto, quella del procedimento così avviato possono essere rimesse in discussione.

38

A quest’ultimo riguardo, l’argomentazione della ricorrente, dedotta nell’ambito del secondo motivo, secondo cui il Tribunale avrebbe travisato i fatti dichiarando che essa aveva liberamente acconsentito a ricevere la comunicazione degli addebiti nella sua versione in lingua inglese dev’essere respinta, senza necessità di una pronuncia della Corte sulla sua eventuale fondatezza. Infatti, il travisamento prospettato nel caso di specie può condurre all’annullamento della sentenza impugnata solamente ove sia dimostrato che il vizio del consenso che ne deriverebbe, eventualmente, aveva causato una violazione dei diritti della difesa della ricorrente nell’ambito del procedimento amministrativo.

39

Orbene, al fine di dimostrare una violazione siffatta, la ricorrente richiama, in sostanza, gli stessi argomenti dalla stessa già esposti dinanzi al Tribunale e respinti, al punto 113 della sentenza impugnata, per motivazioni rispetto alle quali la ricorrente non lamenta alcun travisamento dei fatti. Pertanto, tali argomenti devono essere respinti in quanto irricevibili, con la conseguenza che il secondo motivo non può essere accolto nella parte in cui si fonda su un asserito travisamento dei fatti.

40

Il primo e il secondo motivo di impugnazione devono quindi essere integralmente respinti.

Sul terzo motivo, vertente sulla violazione da parte del Tribunale del principio di proporzionalità

Argomenti delle parti

41

Con il suo terzo motivo, diretto contro i punti da 321 a 332 della sentenza impugnata, la ricorrente censura il Tribunale per aver viziato la sentenza impugnata con un difetto di motivazione e per aver violato il principio di proporzionalità, come interpretato dalla Corte.

42

Il Tribunale, conformandosi alla soluzione dal medesimo individuata nella sentenza del 14 luglio 1994, Parker Pen/Commissione (T‑77/92, EU:T:1994:85), richiamata dalla ricorrente a sostegno del proprio ricorso, avrebbe dovuto ridurre l’importo dell’ammenda inflitta congiuntamente e solidalmente alla CEPSA e alla PROAS, dal momento che la Commissione non aveva tenuto conto dell’esigua proporzione – ossia lo 0,77% – che il fatturato del prodotto interessato dall’infrazione rappresentava rispetto al fatturato globale del gruppo CEPSA-PROAS, dal che è conseguito che l’importo finale dell’ammenda imposta alla CEPSA rappresentava più del 90% del fatturato realizzato dalla PROAS durante l’ultimo anno completo dell’infrazione.

43

Orbene, il Tribunale avrebbe rifiutato di fare applicazione dell’insegnamento tratto da tale sentenza limitandosi ad affermare, da un lato, che il limite massimo del 10% del fatturato è stato correttamente applicato nella fattispecie, senza procedere a un esame della pertinenza o meno dell’esiguo fatturato del prodotto interessato dall’infrazione, e, dall’altro, che tale sentenza non riguarda un gruppo di società.

44

In tal modo, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto confermando un livello di sanzioni non soltanto inadeguato, ma altresì eccessivo, al punto da essere sproporzionato, ai sensi del punto 126 della sentenza del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione (C‑89/11 P, EU:C:2012:738).

45

Secondo la Commissione, tale motivo è privo di fondamento.

Giudizio della Corte

46

Per la parte in cui la ricorrente censura il Tribunale per aver insufficientemente motivato il rigetto dell’argomentazione relativa al carattere sproporzionato dell’ammenda inflitta al gruppo CEPSA‑PROAS, occorre constatare che tale deduzione deriva da una lettura manifestamente errata della sentenza impugnata.

47

Infatti, per respingere la censura vertente sul carattere sproporzionato dell’ammenda inflitta congiuntamente e solidalmente alla CEPSA e alla PROAS, il Tribunale, in primo luogo, al punto 316 della sentenza impugnata, ha dichiarato che, con riferimento al gruppo CEPSA‑PROAS, erano state prese in considerazione solo le vendite di bitume di penetrazione della PROAS. In secondo luogo, ai punti 317 e 318 di tale sentenza, ha rilevato che non era stato applicato alcun coefficiente moltiplicatore dalla Commissione. In terzo luogo, al punto 323 di detta sentenza, ha considerato che la sentenza del 14 luglio 1994, Parker Pen/Commissione (T‑77/92, EU:T:1994:85), non era rilevante nella fattispecie, tenuto conto, da un lato, del fatto che, nella decisione controversa, la Commissione ha solamente preso in considerazione l’importo delle vendite del prodotto interessato dall’infrazione e, dall’altro, del fatto che, nella sentenza del 14 luglio 1994, Parker Pen/Commissione (T‑77/92, EU:T:1994:85), si trattava di una società indipendente, ragion per cui l’eventuale considerazione di un fatturato globale del gruppo non assumeva rilievo. In quarto luogo, al punto 324 della sentenza in parola, rispondendo all’argomento della CEPSA sul superamento del limite massimo del fatturato previsto all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [81 CE e 82 CE] (GU 2003, L 1, pag. 1), ha dichiarato che il fatto che l’importo dell’ammenda inflitta al gruppo CEPSA‑PROAS fosse quasi identico al fatturato totale delle vendite della PROAS nel corso dell’ultimo anno completo dell’infrazione considerata non consentiva, di per sé solo, di ravvisare una violazione del principio di proporzionalità, e ha in proposito rilevato, ai punti da 327 a 329 della medesima sentenza, che la Commissione aveva correttamente considerato come la PROAS e la CEPSA costituissero un’unità economica, e che tale limite massimo doveva essere calcolato sulla base del fatturato complessivo di tutte le società costituenti l’entità economica unica che agiva in qualità di impresa ai sensi dell’articolo 81 CE.

48

Con riferimento alle prospettazioni della ricorrente secondo cui il Tribunale ha commesso un errore di diritto per aver considerato proporzionato l’importo dell’ammenda, occorre ricordare che non spetta alla Corte, quando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un’impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la sua valutazione a quella del Tribunale che statuisce sull’ammontare delle ammende inflitte a imprese a seguito della violazione, da parte di queste ultime, del diritto dell’Unione. Così, soltanto nei limiti in cui la Corte ritenesse che il livello della sanzione sia non soltanto inadeguato, ma anche eccessivo, al punto da essere sproporzionato, occorrerebbe ravvisare un errore di diritto commesso dal Tribunale per incongruenza dell’importo dell’ammenda (sentenza del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione, C‑295/12 P, EU:C:2014:2062, punto 205 e giurisprudenza ivi citata).

49

A tale riguardo, si deve ricordare, come correttamente fatto dal Tribunale al punto 328 della sentenza impugnata, che il limite massimo previsto all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 dev’essere calcolato sulla base del fatturato complessivo di tutte le società costituenti l’entità economica unica che agisce in qualità di impresa ai sensi dell’articolo 81 CE, al quale corrisponde oggi l’articolo 101 TFUE (v. sentenze dell’8 maggio 2013, Eni/Commissione, C‑508/11 P, EU:C:2013:289, punto 109; dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione, C‑444/11 P, EU:C:2013:464, punti 172173, nonché del 26 novembre 2013, Groupe Gascogne/Commissione, C‑58/12 P, EU:C:2013:770, punto 56). Infatti, la proporzionalità di una sanzione dev’essere valutata, in particolare, alla luce dell’obiettivo di dissuasione cui tende la sua imposizione, e la considerazione di tale fatturato complessivo è quindi necessaria ai fini di detta valutazione al fine di tener conto del potere economico della suddetta entità (v., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation/Commissione, C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punti 8384).

50

Orbene, facendo valere, essenzialmente, che l’importo dell’ammenda inflitta al gruppo CEPSA‑PROAS rappresenta più del 90% del fatturato della PROAS, la ricorrente non fornisce, a sostegno della sua affermazione, alcun elemento idoneo a dimostrare che l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta, e che rappresenta meno dell’1% del fatturato del gruppo CEPSA-PROAS, sia eccessivo al punto da essere sproporzionato, ai sensi della giurisprudenza della Corte richiamata al punto 48 della presente sentenza.

51

Per la parte in cui la ricorrente lamenta che il Tribunale, fondandosi sulla sentenza del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione (da 100/80 a 103/80, EU:C:1983:158), si è astenuto dal verificare se l’ammenda inflitta fosse proporzionata rispetto non solo al fatturato globale del gruppo, ma anche all’entità dell’infrazione, è sufficiente constatare che il Tribunale ha correttamente applicato tale giurisprudenza, dal momento che ha tenuto conto non soltanto del fatturato globale del gruppo, ma altresì delle vendite di bitume di penetrazione realizzate dai partecipanti all’intesa, ivi comprese quelle della PROAS. Peraltro, la ricorrente non ha contestato i punti 315, 316 e 322 della sentenza impugnata, secondo i quali la PROAS ha partecipato all’infrazione per un periodo di undici anni e sette mesi. Essa non ha neppure contestato l’aumento, da parte della Commissione, dell’importo di base dell’ammenda per tener conto di questo lungo periodo di partecipazione all’infrazione.

52

Alla luce delle suesposte considerazioni, il terzo motivo della presente impugnazione dev’essere respinto in quanto infondato.

Sul quarto e sul quinto motivo, relativi alla violazione del principio del rispetto del termine ragionevole

Argomenti delle parti

53

Con il suo quarto motivo, diretto contro i punti da 267 a 269 della sentenza impugnata, la ricorrente contesta al Tribunale di aver violato l’articolo 261 TFUE e l’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, per essersi rifiutato di pronunciarsi sulle conseguenze del proprio ritardo nell’emissione della sentenza impugnata. A tale riguardo, essa deduce che la competenza estesa al merito di cui dispone il Tribunale gli imponeva di tener conto di tutte le circostanze in fatto e in diritto della causa e, in particolare, del principio del rispetto del termine ragionevole.

54

Il quinto motivo, anch’esso vertente sulla violazione del principio del rispetto del termine ragionevole derivante dagli articoli 41, paragrafo 1, e 47, secondo comma, della Carta, è suddiviso in tre parti. In conseguenza di tale violazione e a titolo di risarcimento, la ricorrente chiede che l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta sia ridotto del 25%. A tale riguardo, essa deduce che ciascun anno di ritardo nella trattazione della causa dovrebbe comportare una riduzione del 10% dell’importo dell’ammenda inflitta, e ciascun periodo superiore a sei mesi e inferiore a un anno una riduzione del 5% di tale importo.

55

Con la prima parte di tale motivo, la ricorrente censura il Tribunale per aver violato l’obbligo di giudicare le cause di cui è investito entro un termine ragionevole, tenuto conto del termine di cinque anni e nove mesi intercorso tra la proposizione da parte della suddetta del suo ricorso e la pronuncia della sentenza impugnata, ivi compreso un periodo di quattro anni e due mesi tra la chiusura della fase scritta e la fase orale del procedimento.

56

Con la seconda parte di detto motivo, la ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe violato il principio del rispetto del termine ragionevole per non aver valutato congiuntamente la durata dei procedimenti amministrativo e giurisdizionale, la quale ha complessivamente superato gli undici anni. A sostegno della sua argomentazione, essa richiama il paragrafo 240 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Solvay/Commissione (C‑109/10 P, EU:C:2011:256).

57

Con la terza parte del medesimo motivo, diretta contro i punti da 245 a 265 della sentenza impugnata, la ricorrente censura il Tribunale per aver commesso un errore di diritto laddove ha dichiarato che il procedimento amministrativo era stato trattato entro un termine ragionevole.

58

A sostegno di tale parte, essa deduce che il periodo di trattazione di cinque anni del presente caso da parte della Commissione non può essere giustificato dalla complessità della controversia o dalla condotta delle imprese perseguite, le quali hanno tutte collaborato al procedimento.

59

Essa rileva altresì che, ai punti da 245 a 250 della sentenza impugnata, il Tribunale ha erroneamente preso in considerazione, ai fini dell’analisi della durata del procedimento amministrativo, il fatto che la Commissione aveva rispettato il termine di prescrizione per imporre ammende in materie di concorrenza. Essa contesta, poi, al Tribunale di non aver tenuto conto, nell’ambito della sua valutazione, ai punti da 251 a 265 della sentenza impugnata, dell’inizio del procedimento amministrativo, ossia il periodo intercorso tra il mese di ottobre 2002 e il mese di giugno 2004, nel corso del quale la Commissione aveva potuto analizzare la domanda di trattamento favorevole del gruppo BP ed effettuare le verifiche richieste da tale domanda.

60

La Commissione fa valere che, con riferimento alle prospettazioni di violazione del termine ragionevole nell’ambito dei procedimenti tanto amministrativo quanto giurisdizionale, separatamente o congiuntamente considerati, è onere della ricorrente proporre dinanzi al Tribunale un’azione risarcitoria. Essa aggiunge che, in ogni caso, la ricorrente non fornisce elementi idonei a dimostrare che il procedimento dinanzi alla Commissione e/o al Tribunale sia stato eccessivamente lungo alla luce delle circostanze della fattispecie.

Giudizio della Corte

61

Per quanto riguarda la terza parte del quinto motivo, con cui la ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto per aver dichiarato che il procedimento amministrativo non aveva ecceduto un termine ragionevole, occorre ricordare che, anche se la violazione del principio del rispetto del termine ragionevole può giustificare l’annullamento di una decisione adottata in esito a un procedimento amministrativo ai sensi dell’articolo 101 TFUE o 102 TFUE qualora essa comporti altresì una violazione dei diritti della difesa dell’impresa interessata (v., in tal senso, sentenza del 21 settembre 2006, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, C‑105/04 P, EU:C:2006:592, punti 4243), la violazione da parte della Commissione del termine ragionevole di un simile procedimento amministrativo, quand’anche dimostrata, non può condurre a una riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione, C‑414/12 P, non pubblicata, EU:C:2014:301, punto 109).

62

Orbene, nella fattispecie, come emerge dai punti 54 nonché da 57 a 59 della presente sentenza, è pacifico che, con le sue censure vertenti tanto sulla presa in considerazione, da parte del Tribunale, del mancato decorso del termine di prescrizione per constatare l’insussistenza di un’eccessiva durata del procedimento amministrativo quanto sulla mancata considerazione, da parte del Tribunale, di una parte del procedimento amministrativo controverso, la ricorrente mira unicamente a ottenere la riduzione dell’ammenda che le è stata inflitta.

63

A prescindere dalla sua fondatezza, la terza parte del quinto motivo deve conseguentemente essere respinta in quanto inconferente.

64

Con riferimento al quarto motivo nonché alla prima parte del quinto motivo di impugnazione, vertente sulla violazione da parte del Tribunale del termine ragionevole del procedimento, occorre ricordare che la violazione, da parte di un giudice dell’Unione, del proprio obbligo, derivante dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, di decidere le controversie di cui è investito entro un termine ragionevole deve, nonostante la competenza estesa al merito riconosciuta al Tribunale in applicazione dell’articolo 261 TFUE e dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, essere sanzionata in un ricorso per risarcimento danni presentato dinanzi al Tribunale, ricorso che costituisce un rimedio effettivo. Ne consegue che la domanda intesa ad ottenere il risarcimento del danno causato dalla violazione, da parte del Tribunale, del termine ragionevole del procedimento non può essere presentata direttamente alla Corte nel contesto di un’impugnazione, ma deve essere proposta dinanzi al Tribunale stesso (v., segnatamente, sentenze del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione, C‑295/12 P, EU:C:2014:2062, punto 66; del 9 ottobre 2014, ICF/Commissione, C‑467/13 P, EU:C:2014:2274, punto 57, nonché del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punti 1718).

65

Il Tribunale, competente ai sensi dell’articolo 256, paragrafo 1, TFUE e adito di una domanda risarcitoria, è tenuto a pronunciarsi su una domanda siffatta, decidendo in una composizione diversa da quella che si è trovata a decidere la controversia sfociata nel procedimento la cui durata è contestata (v., segnatamente, sentenze del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione, C‑295/12 P, EU:C:2014:2062, punto 67; del 9 ottobre 2014, ICF/Commissione, C‑467/13 P, EU:C:2014:2274, punto 58, nonché del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 19).

66

Ciò premesso, qualora sia manifesto, senza che le parti debbano produrre ulteriori elementi al riguardo, che il Tribunale ha violato in maniera sufficientemente qualificata il proprio obbligo di giudicare la causa entro un termine ragionevole, la Corte può rilevarlo (v., segnatamente, sentenze del 9 ottobre 2014, ICF/Commissione, C‑467/13 P, EU:C:2014:2274, punto 59, nonché del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 20).

67

Così è nel caso di specie. La durata del procedimento dinanzi al Tribunale, ossia quasi cinque anni e nove mesi – che comprende, in particolare, un periodo di quattro anni e un mese decorso, come emerge dai punti da 92 a 94 della sentenza impugnata, senza alcun atto procedurale, tra la fine della fase scritta e l’udienza dibattimentale –, non può trovare spiegazione né nella natura o nella complessità della causa né nel contesto di quest’ultima.

68

Infatti, da un lato, la controversia esaminata dal Tribunale non presentava un particolare grado di complessità. Dall’altro, né dalla sentenza impugnata né dagli elementi forniti dalle parti emerge che tale periodo di inattività fosse oggettivamente giustificato o, ancora, che la ricorrente vi avesse contribuito.

69

Risulta tuttavia dalle considerazioni esposte al punto 64 della presente sentenza che il quarto motivo nonché la prima parte del quinto motivo della presente impugnazione devono essere respinti.

70

Per quanto riguarda la seconda parte del quinto motivo, con cui la ricorrente censura il Tribunale per non aver valutato congiuntamente la durata delle fasi amministrativa e giurisdizionale al fine di esaminare in maniera globale la loro ragionevolezza, si deve nuovamente rilevare che detta parte mira a ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente.

71

Orbene, anche ipotizzando che, contrariamente a quanto statuito dal Tribunale nella sentenza impugnata, possa ravvisarsi una violazione del diritto al rispetto del termine ragionevole a causa della lunga durata del procedimento amministrativo e giurisdizionale al quale la CEPSA è stata soggetta, una violazione siffatta non può, di per sé sola, indurre il Tribunale, o la Corte nell’ambito di un’impugnazione, a diminuire l’importo dell’ammenda inflitta a tale società per l’infrazione considerata (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione, C‑414/12 P, EU:C:2014:301, punto 107).

72

Pertanto, la seconda parte del quinto motivo dev’essere respinta.

73

Di conseguenza, il quarto e il quinto motivo di impugnazione devono essere integralmente respinti.

Sul sesto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale nella versione applicabile alla controversia

74

Con il suo sesto motivo, la ricorrente sostiene che il Tribunale ha violato l’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, nella versione applicabile alla controversia, per aver condannato la CEPSA alle spese, quando avrebbe invece dovuto, in considerazione della reciproca soccombenza delle due parti, ripartire le spese tra le stesse.

75

In proposito, secondo costante giurisprudenza, nell’ipotesi in cui tutti gli altri motivi di un’impugnazione siano stati respinti, le conclusioni riguardanti l’asserita irregolarità della decisione del Tribunale sulle spese devono essere dichiarate irricevibili ai sensi dell’articolo 58, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, a tenore del quale un’impugnazione non può avere ad oggetto unicamente l’onere e l’importo delle spese (v., in tal senso, ordinanza del 13 gennaio 1995, Roujansky/Consiglio, C‑253/94 P, EU:C:1995:4, punti 1314, nonché sentenza del 2 ottobre 2014, Strack/Commissione, C‑127/13 P, EU:C:2014:2250, punto 151).

76

Dato che i primi cinque motivi di impugnazione sollevati dalla ricorrente sono stati respinti, l’ultimo motivo, relativo alla ripartizione delle spese, deve, di conseguenza, essere dichiarato irricevibile.

77

Pertanto, l’impugnazione dev’essere integralmente respinta.

Sulle spese

78

A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del suo regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese.

79

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, di tale regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza del suo articolo 184, paragrafo 1, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

80

Poiché la CEPSA è risultata soccombente, essa dev’essere condannata alle spese relative al presente procedimento di impugnazione, conformemente alla domanda della Commissione.

 

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’impugnazione è respinta.

 

2)

La Compañía Española de Petróleos (CEPSA) SA è condannata alle spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: lo spagnolo.

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