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Document 62010CJ0552

Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 22 novembre 2012.
Usha Martin Ltd contro Consiglio dell'Unione europea e Commissione europea.
Impugnazione - Dumping - Regolamento (CE) n. 121/2006 - Importazioni di cavi di acciaio originarie, tra l’altro, dell’India - Decisione 2006/38/CE - Regolamento (CE) n. 384/96 - Articolo 8, paragrafo 9 - Impegni offerti riguardo ai procedimenti antidumping.
Causa C-552/10 P.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2012:736

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

22 novembre 2012 ( *1 )

«Impugnazione — Dumping — Regolamento (CE) n. 121/2006 — Importazioni di cavi di acciaio originarie, tra l’altro, dell’India — Decisione 2006/38/CE — Regolamento (CE) n. 384/96 — Articolo 8, paragrafo 9 — Impegni offerti riguardo ai procedimenti antidumping»

Nella causa C-552/10 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 19 novembre 2010,

Usha Martin Ltd, con sede in Kolkata (India), rappresentata da V. Akritidis e E. Petritsi, dikigoroï, nonché da F. Crespo, avocat,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da B. Driessen, in qualità di agente, assistito da G. Berrisch, Rechtsanwalt, e da N. Chesaites, barrister,

Commissione europea, rappresentata da T. Scharf e S. Thomas, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuti in primo grado,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, facente funzione di presidente della Terza Sezione, dai sigg. K. Lenaerts, G. Arestis (relatore), J. Malenovský e T. von Danwitz, giudici,

avvocato generale: sig. P. Cruz Villalón

cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 maggio 2012,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione la Usha Martin Ltd chiede alla Corte l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 9 settembre 2010, Usha Martin/Consiglio e Commissione (T-119/06, Racc. pag. II-4335; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui quest’ultimo ha respinto il ricorso diretto ad ottenere l’annullamento, da un lato, della decisione 2006/38/CE della Commissione, del 22 dicembre 2005, recante modifica della decisione 1999/572/CE che accetta gli impegni offerti riguardo ai procedimenti antidumping relativi alle importazioni di cavi di acciaio originarie, tra l’altro, dell’India (GU 2006, L 22, pag. 54; in prosieguo: la «decisione controversa»), e, dall’altro, del regolamento (CE) n. 121/2006 del Consiglio, del 23 gennaio 2006, recante modifica del regolamento (CE) n. 1858/2005 che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di cavi di acciaio originarie, tra l’altro, dell’India (GU L 22, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento controverso»).

Contesto normativo

2

Le disposizioni che disciplinano l’applicazione di misure antidumping da parte dell’Unione europea sono contenute nel regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 461/2004 del Consiglio, dell’8 marzo 2004 (GU L 77, pag. 12; in prosieguo: il «regolamento di base»).

3

L’articolo 8 del regolamento di base, intitolato «Impegni», ai paragrafi 1, 7 e 9 così dispone:

«1.   Qualora sia stata accertata in via provvisoria l’esistenza di un dumping e di un pregiudizio, la Commissione può accettare l’offerta di un esportatore di impegnarsi volontariamente e in modo soddisfacente a modificare i suoi prezzi oppure a cessare le esportazioni a prezzi di dumping, sempreché la Commissione, previa specifica consultazione del comitato consultivo, ritenga che il pregiudizio causato dal dumping sia in tal modo eliminato. In tal caso e per tutto il periodo in cui hanno effetto tali impegni, i dazi provvisori istituiti dalla Commissione a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, o, se del caso, i dazi definitivi istituiti dal Consiglio a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, non si applicano alle relative importazioni del prodotto interessato fabbricato dalle società indicate nella decisione della Commissione con la quale si accettano gli impegni e nelle successive modificazioni di tale decisione. Gli aumenti dei prezzi in conformità di tali impegni non devono essere più elevati di quanto sia necessario per eliminare il margine di dumping e dovrebbero essere inferiori al margine di dumping qualora un importo inferiore sia sufficiente per eliminare il pregiudizio arrecato all’industria comunitaria.

(...)

7.   La Commissione chiede agli esportatori i cui impegni sono stati accettati di fornire informazioni periodiche inerenti all’adempimento di tali impegni e di autorizzare la verifica dei relativi dati. L’inosservanza di tale obbligo è considerata come una violazione dell’impegno assunto.

(...)

9.   In caso di violazione o di revoca di un impegno ad opera di una delle parti che lo hanno assunto, o in caso di revoca dell’accettazione dell’impegno da parte della Commissione, l’accettazione dell’impegno è, previa consultazione, revocata con decisione o, a seconda dei casi, con regolamento della Commissione e si applica automaticamente il dazio provvisorio istituito dalla Commissione a norma dell’articolo 7 o il dazio definitivo istituito dal Consiglio a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, a condizione che l’esportatore interessato, salvo nei casi in cui abbia revocato lui stesso l’impegno, abbia avuto la possibilità di presentare le sue osservazioni.

Una parte interessata o uno Stato membro può presentare informazioni contenenti elementi di prova prima facie della violazione di un impegno. La successiva valutazione, intesa ad accertare se vi sia stata o meno violazione di un impegno, si conclude di norma entro sei mesi e ad ogni modo non oltre nove mesi dopo la presentazione di una richiesta debitamente motivata. La Commissione può chiedere l’assistenza delle competenti autorità degli Stati membri per controllare il rispetto degli impegni».

Fatti

4

I fatti all’origine della controversia sono così esposti ai punti 2-19 della sentenza impugnata:

«2

La ricorrente, la Usha Martin Ltd, è una società di diritto indiano che produce cavi di acciaio e li esporta, in particolare, verso l’Unione europea. La ricorrente e la società Wolf hanno creato l’impresa comune Brunton Wolf Wire & Ropes, ubicata a Dubai (Emirati Arabi Uniti). Anche quest’ultima produce cavi di acciaio che esporta verso l’Unione.

3

Il 12 agosto 1999 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (CE) n. 1796, che istituisce un dazio antidumping definitivo e riscuote definitivamente il dazio provvisorio imposto sulle importazioni di cavi d’acciaio originarie della Repubblica popolare cinese, dell’Ungheria, dell’India, del Messico, della Polonia, del Sudafrica e dell’Ucraina e chiude il procedimento antidumping relativo alle importazioni originarie della Repubblica di Corea (GU L 217, pag. 1).

(…)

5

L’aliquota individuale del dazio antidumping imposto alla ricorrente nel ‘considerando’ 86 del regolamento n. 1796/1999, nonché nel suo art. 1, n. 2, era del 23,8%. Conformemente all’art. 2 del regolamento n. 1796/1999, i cavi di acciaio esportati dalle società che hanno offerto impegni accettati dalla Commissione europea, tra cui la ricorrente, sono stati esentati dal dazio antidumping di cui trattasi.

6

Nel suo impegno offerto in conformità all’art. 8, n. 1, del regolamento di base, la ricorrente si è impegnata, in particolare, a rispettare i prezzi minimi fissati per le esportazioni di cavi di acciaio verso l’Unione al fine di garantire l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli del dumping.

7

La ricorrente si è anche impegnata a garantire che ogni vendita del prodotto interessato fosse accompagnata da una fattura conforme all’impegno (in prosieguo: la “fattura conforme”), vale a dire contenente le informazioni descritte nell’allegato VI all’impegno (punto 4.1 dell’impegno). In forza del punto 4.2 dell’impegno, la ricorrente si è impegnata a non emettere fatture conformi per “prodotti non oggetto dell’impegno”. In base al punto 4.3 dell’impegno, la ricorrente “è cosciente del fatto che, qualora risulti che essa [ha] emesso fatture conformi che non rispettavano le clausole [di detto] impegno, la Commissione può dichiarare che la dichiarazione di conformità da [essa] riportata sulla fattura di cui trattasi è invalida, ed informarne di conseguenza le autorità doganali competenti degli Stati membri, lasciando impregiudicata la facoltà per le istituzioni comunitarie di adottare ogni misura prevista [al punto] 8 [di detto] impegno”.

8

La ricorrente, inoltre, si è impegnata a notificare alla Commissione, in relazioni trimestrali dettagliate, in conformità alle specificazioni tecniche richieste, tutte le sue vendite di cavi di acciaio nell’Unione, comprese quelle di cavi di acciaio non oggetto dell’impegno, e a collaborare con la Commissione fornendole qualsiasi informazione ritenuta necessaria da quest’ultima per garantire il rispetto dell’impegno (punto 5 e allegati II, III, IV e V all’impegno).

9

Inoltre, in forza del punto 6 dell’impegno, la ricorrente si è obbligata a non eludere le disposizioni dell’impegno, per esempio, non concludendo direttamente o indirettamente accordi di compensazione con clienti nell’Unione.

10

Infine, il punto 8 dell’impegno, intitolato “Violazioni o revoche”, prevede quanto segue:

“La [ricorrente] è cosciente del fatto che, fatto salvo [il punto] 8.3:

l’elusione del presente impegno o il fatto di non collaborare con la Commissione (…) nella salvaguardia di detto impegno sarà interpretato come una violazione di quest’ultimo; ciò include il fatto di non sottoporre il rapporto richiesto ai sensi del [punto] 5 nei termini prescritti, salvo il caso di forza maggiore;

in applicazione dell’art. 8, n. 10, del regolamento di base, la Commissione (…), quando abbia motivo di ritenere che l’impegno sia stato violato, può imporre immediatamente un dazio antidumping provvisorio sulla base delle migliori informazioni disponibili;

in applicazione dell’art. 8, n. 9, del regolamento di base, in caso di violazione o di revoca dell’impegno da parte della Commissione (…) o della [ricorrente], può essere imposto un dazio antidumping definitivo in base ai fatti accertati nel corso dell’inchiesta nel cui ambito è stato accettato l’impegno, a condizione che la [ricorrente] abbia avuto la possibilità di presentare le sue osservazioni, tranne il caso di revoca dell’impegno da parte sua”.

(…)

12

Con la sua decisione 13 agosto 1999, 1999/572/CE, che accetta gli impegni offerti riguardo ai procedimenti antidumping relativi alle importazioni di cavi di acciaio originarie della Repubblica popolare cinese, dell’Ungheria, dell’India, della Repubblica di Corea, del Messico, della Polonia, del Sudafrica e dell’Ucraina (GU L 217, pag. 63), la Commissione ha accettato, in particolare, l’impegno offerto dalla ricorrente.

13

Nell’ambito di un’inchiesta diretta a verificare il rispetto dell’impegno, conformemente ai punti 5.1 e 5.4 di quest’ultimo, la Commissione, nel gennaio e nel febbraio del 2005, ha ispezionato gli uffici della ricorrente in India e negli Emirati Arabi Uniti.

14

Con lettera 12 maggio 2005 la Commissione ha informato la ricorrente che, a seguito dell’inchiesta, essa riteneva che quest’ultima avesse violato tre volte l’impegno e che, di conseguenza, intendeva revocare l’accettazione dell’impegno.

15

Con lettere 20 maggio, 29 agosto e 6 settembre 2005 la ricorrente ha presentato le sue osservazioni sull’accertamento della violazione dell’impegno e sulla revoca ipotizzata dalla Commissione.

16

L’8 novembre 2005 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 1858, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di cavi d’acciaio originarie della Repubblica popolare cinese, dell’India, del Sudafrica e dell’Ucraina, a seguito di un riesame in previsione della scadenza avviato a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base (GU L 299, pag. 1). Con il regolamento n. 1858/2005, il Consiglio ha deciso di prorogare di altri cinque anni le misure antidumping applicabili alle importazioni del prodotto in esame originarie, in particolare, dell’India, istituite dal regolamento n. 1796/1999.

17

Con la decisione [controversa], la Commissione ha deciso di revocare l’accettazione dell’impegno relativo alle importazioni di cavi di acciaio offerto dalla ricorrente e, di conseguenza, di modificare la decisione 1999/572, che accetta l’impegno. Al contempo, il 23 dicembre 2005 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento al Consiglio volta a revocare l’accettazione dell’impegno e ad istituire dazi antidumping definitivi nei confronti della ricorrente [documento COM (2005) 541 def.].

18

Nella decisione [controversa], la Commissione ha constatato tre violazioni dell’impegno. In primo luogo, l’esame dei documenti contabili della ricorrente ha rivelato che quantitativi considerevoli del prodotto in esame non oggetto dell’impegno non erano stati inclusi nelle relazioni trimestrali sulle vendite presentate dalla ricorrente alla Commissione, contrariamente a quanto previsto nel punto 5.2 e nell’allegato IV, primo comma, all’impegno. In secondo luogo, la Commissione ha constatato che le merci di cui trattasi erano state vendute dalla ricorrente, in violazione dei punti 4.2 e 4.3 dell’impegno, ai suoi importatori collegati aventi sede nel Regno Unito e in Danimarca e incluse nelle fatture conformi. In terzo luogo, la verifica nei locali della Brunton Wolf Wire & Ropes a Dubai ha evidenziato che taluni cavi di acciaio erano stati esportati verso l’Unione dagli Emirati Arabi Uniti e dichiarati originari degli Emirati Arabi Uniti, sebbene in realtà avessero origine indiana.

19

Pertanto il Consiglio, in data 23 gennaio 2006, ha adottato il regolamento [controverso]. In forza dell’art. 1 del regolamento [controverso], la ricorrente è stata tolta dall’elenco delle società esenti da dazi antidumping definitivi. Di conseguenza, il dazio antidumping definitivo con un’aliquota del 23,8% imposto alla ricorrente in base al ‘considerando’ 86 e all’art. 1, n. 2, del regolamento n. 1796/1999, e prorogato dall’art. 1, n. 2, del regolamento n. 1858/2005, è stato istituito sulle importazioni del prodotto considerato, fabbricato dalla ricorrente ed esportato verso l’Unione».

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

5

Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 19 aprile 2006 la ricorrente ha proposto un ricorso diretto, da un lato, ad ottenere l’annullamento, nella parte in cui tali atti di diritto dell’Unione la riguardano, della decisione nonché del regolamento controversi e, dall’altro, alla condanna del Consiglio e della Commissione alle spese.

6

A sostegno del suo ricorso in primo grado la ricorrente ha dedotto due motivi, relativi, rispettivamente, alla violazione del principio di proporzionalità e ad un errore di diritto, ad un difetto di motivazione e ad uno sviamento di potere per quanto concerne l’origine dei prodotti di cui trattasi.

7

Con il suo primo motivo la ricorrente affermava che, in forza del principio di proporzionalità, le due irregolarità rilevate dalla Commissione, ossia, rispettivamente, l’omessa fornitura di una relazione sulle vendite non oggetto dell’impegno e l’uso di fatture conformi, non costituivano violazioni significative di detto impegno tali da consentire alla Commissione di infliggerle una sanzione così drastica come la revoca dell’accettazione dell’impegno.

8

Il Tribunale ha respinto detto primo motivo, giudicando, in sostanza, ai punti 53-55 della sentenza impugnata, che la violazione di un impegno è sufficiente di per sé a comportarne la revoca e che il principio di proporzionalità non si applica al problema dell’imposizione vera e propria dei dazi antidumping conseguente a detta revoca. Infatti, siffatta revoca dell’accettazione dell’impegno comporta l’istituzione di dazi antidumping definitivi sulle importazioni interessate e la legittimità della revoca dell’accettazione dell’impegno non può essere messa in discussione, in quanto tale, alla luce del menzionato principio.

9

Riguardo al secondo motivo dedotto dalla ricorrente a sostegno del suo ricorso, il Tribunale, al punto 58 della sentenza impugnata, l’ha respinto in quanto inconferente e, pertanto, ha respinto integralmente il ricorso.

Conclusioni delle parti

10

Con la sua impugnazione la ricorrente chiede che la Corte voglia:

in via principale, annullare integralmente la sentenza impugnata nonché la decisione e il regolamento controversi nella parte in cui tali atti di diritto dell’Unione la riguardano;

in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale, e

condannare il Consiglio e la Commissione alle spese, comprese quelle sostenute nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale.

11

Nel suo controricorso il Consiglio chiede che la Corte voglia:

in via principale, respingere l’impugnazione;

in subordine, respingere il ricorso o rinviare la causa dinanzi al Tribunale, e

condannare la ricorrente alle spese, comprese quelle sostenute nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale.

12

Nel suo controricorso la Commissione conclude per il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alle spese sostenute sia nell’ambito del procedimento d’impugnazione sia del procedimento di primo grado.

Sull’impugnazione

Argomenti delle parti

13

Con il suo motivo unico la ricorrente sostiene che il Tribunale ha, erroneamente, giudicato che la violazione di un impegno è sufficiente di per sé a comportarne la revoca e che, siccome siffatta revoca equivale all’imposizione vera e propria dei dazi antidumping, cui non si applica il principio di proporzionalità, ne risulta che la legittimità della revoca dell’accettazione di un impegno non può, in quanto tale, essere messa in discussione alla luce del summenzionato principio.

14

La ricorrente lamenta altresì che il Tribunale ha manifestamente snaturato i fatti dichiarando, al punto 48 della sentenza impugnata, che «è pacifico che la ricorrente non ha rispettato per due volte l’impegno di cui trattasi», in quanto tale affermazione lascia intendere, a torto, che essa avrebbe riconosciuto di aver violato l’impegno ai sensi dell’articolo 8 del regolamento di base, circostanza che non ricorre nel caso di specie. Essa, infatti, non avrebbe mai ammesso che gli errori o le irregolarità commessi fossero di una gravità sufficiente da costituire violazioni dell’impegno ai sensi del citato articolo 8, paragrafo 9. Peraltro, tutti i suoi prodotti oggetto dell’impegno erano venduti al di sotto del prezzo minimo, mentre gli altri prodotti non interessati dall’impegno erano effettivamente assoggettati ai dazi antidumping appropriati e che l’iter di verifica funzionava efficacemente con la sua piena collaborazione.

15

In particolare, la ricorrente sostiene che la decisione di revocare l’accettazione dell’impegno, in applicazione dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento di base, rappresenta una fase che precede l’imposizione di dazi antidumping e che equivale ad un atto delle istituzioni dell’Unione soggetto al controllo del giudice alla luce del principio di proporzionalità. Essa considera che qualsiasi decisione relativa ad impegni presi in applicazione del citato articolo 8, segnatamente l’accettazione di un impegno, le condizioni da questo imposte e la sua revoca provvisoria, sia idonea ad essere assoggetta al controllo da parte del giudice in considerazione del menzionato principio. Ad avviso della ricorrente un approccio diverso equivale a conferire alle istituzioni dell’Unione, in particolare alla Commissione, un potere discrezionale illimitato quando si tratti dell’applicazione del citato articolo 8. Peraltro, la mancata applicazione del principio in parola alla concretizzazione dell’impegno condurrebbe anche ad eliminare la necessità di una motivazione nelle decisioni con cui la Commissione revoca degli impegni e all’impossibilità di sottoporre la validità di tali atti e delle loro motivazioni al controllo del giudice.

16

Riguardo agli argomenti relativi ad un asserito snaturamento dei fatti al punto 48 della sentenza impugnata, il Consiglio ricorda che, nel corso dell’indagine amministrativa e del procedimento dinanzi al Tribunale, la ricorrente non ha mai contestato la conclusione della Commissione secondo cui la ricorrente aveva, da un lato, omesso di indicare, nelle relazioni indirizzate a quest’ultima istituzione, le vendite del prodotto interessato non oggetto dell’impegno, e, dall’altro, aveva fatto risultare in fatture conformi delle vendite del prodotto interessato non oggetto dell’impegno e che, di conseguenza, essa non rispettava il suo impegno. Pertanto l’affermazione del Tribunale, di cui al summenzionato punto 48, sarebbe esatta. Con riferimento all’asserzione in base alla quale la seconda frase del punto 51 della sentenza in questione potrebbe lasciar presumere che la ricorrente avesse riconosciuto l’importanza delle violazioni dell’impegno, il Consiglio considera che detto punto si limita a rinviare alla sentenza del Tribunale del 4 luglio 2002, Arne Mathisen/Consiglio (T-340/99, Racc. pag. II-2905), e alle due condizioni che devono ricorrere affinché la Commissione possa legittimamente revocare l’accettazione di un impegno e istituire un dazio antidumping definitivo.

17

Ad avviso del Consiglio la formulazione letterale dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento di base comporta in modo inequivocabile che la revoca dell’accettazione di un impegno è una conseguenza diretta di una violazione dello stesso, così come l’istituzione di un dazio antidumping è una conseguenza diretta della revoca dell’accettazione di un impegno. Non sussisterebbero differenze fra le violazioni importanti e le violazioni minori dell’impegno. Quando un esportatore offre un impegno e la Commissione lo accetta, è onere di tale esportatore rispettare tutte le condizioni di tale impegno. Il Consiglio ricorda che gli impegni sono basati su una relazione di fiducia fra l’esportatore, il quale, con l’impegno, ha la possibilità di evitare il pagamento di dazi, e la Commissione. Quest’ultima ha l’obbligo, nei confronti dell’industria dell’Unione, di far sì che gli impegni siano altrettanto efficaci quanto l’istituzione di dazi antidumping.

18

Il Consiglio ritiene che la decisione di revocare l’accettazione di un impegno in caso di violazione di quest’ultimo non sia subordinata ad una verifica distinta della proporzionalità di una siffatta decisione di revoca. Esso ricorda tuttavia che la Commissione può revocare l’accettazione di un impegno unicamente qualora constati la sussistenza di una violazione delle condizioni formulate nell’impegno. Orbene, una constatazione del genere è soggetta al controllo giurisdizionale ordinario.

19

Infine, il Consiglio pone in evidenza che la ricorrente non ha mai fatto valere che l’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento di base incidesse, in quanto tale, sul principio di proporzionalità prevedendo che qualsiasi violazione di un impegno è sufficiente a consentire alla Commissione di revocare l’accettazione dell’impegno di cui trattasi.

20

La Commissione aderisce alle osservazioni del Consiglio nel merito della controversia. Essa ricorda inoltre che l’articolo 8 del regolamento di base non attribuisce alla ricorrente alcun diritto a beneficiare di un impegno e che detta istituzione dispone di un ampio margine di discrezionalità per decidere se accettare o meno un impegno offerto da un’impresa. Il motivo dedotto dalla ricorrente equivarrebbe, in realtà, a contestare la validità del regolamento di base in quanto tale alla luce del principio di proporzionalità, nella misura in cui dalla formulazione letterale di tale regolamento risulta che la Commissione può legittimamente imporre dazi antidumping allorché vi è stata una violazione di un impegno. Essa fa valere che l’interpretazione del menzionato articolo 8 proposta dalla ricorrente, qualora fosse accolta, inciderebbe considerevolmente sull’efficacia degli impegni che sono diretti ad avere il medesimo effetto dei dazi antidumping, ossia, porre termine all’effetto di pregiudizio causato dal dumping.

21

La Commissione sostiene di essere tenuta a porre fine a un dumping dannoso e che, a tale riguardo, la verifica dell’esecuzione di un impegno riveste un’importanza cruciale. Per tale motivo le violazioni tecniche relative agli obblighi di comunicare informazioni sarebbero molto importanti, in quanto queste ultime sono finalizzate a consentire alla Commissione di adempiere al suo dovere di controllo del rispetto dell’impegno. L’articolo 8, paragrafo 7, del regolamento di base lascerebbe alla Commissione scarsi margini discrezionali a tale proposito, disponendo che, nell’ambito del controllo in parola, il rifiuto di attenersi agli obblighi dell’impegno deve essere considerato come una violazione del medesimo.

Giudizio della Corte

22

In via preliminare occorre rammentare che ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento di base, qualora sia stata constatata l’esistenza di un dumping e di un pregiudizio, la Commissione può accettare l’offerta di un esportatore di impegnarsi volontariamente e in modo soddisfacente a modificare i suoi prezzi onde evitare di esportare i prodotti interessati a prezzi di dumping, se essa ritiene che l’effetto di pregiudizio causato dal dumping sia eliminato grazie a tale impegno.

23

Nella fattispecie, dal punto 12 della sentenza impugnata, risulta che la Commissione ha deciso di accettare l’impegno offerto dalla ricorrente in base al quale quest’ultima si è impegnata a rispettare i prezzi minimi fissati per le esportazioni di cavi di acciaio verso l’Unione al fine di garantire l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli del dumping.

24

Infatti, secondo la finalità dell’articolo 8 del regolamento di base, in forza dell’impegno da essa sottoscritto, la ricorrente era tenuta non solo a garantire l’effettivo rispetto dello stesso, ma altresì sorvegliare efficacemente l’applicazione dell’impegno in parola, collaborando con la Commissione nel contesto della relazione di fiducia su cui è fondata l’accettazione di un siffatto impegno da parte di quest’ultima.

25

Al punto 48 della sentenza impugnata il Tribunale ha constatato che la ricorrente non aveva rispettato il suo impegno, in primo luogo, violando il suo obbligo di fornire relazioni trimestrali sulle vendite del prodotto considerato non oggetto dell’impegno e, in secondo luogo, violando il suo obbligo di non emettere fatture conformi per prodotti non oggetto dell’impegno in questione.

26

Con la seconda parte del suo motivo unico, che deve essere esaminata in primo luogo, la ricorrente sostiene che il Tribunale ha manifestamente snaturato i fatti constatando che essa aveva riconosciuto di avere violato il suo impegno, ai sensi dell’articolo 8 del regolamento di base, quando invece essa avrebbe sempre affermato che non sarebbe sussistita alcuna violazione grave di tale impegno.

27

A questo proposito è d’uopo ricordare che uno snaturamento deve risultare manifestamente dai documenti del fascicolo, senza necessità di effettuare una nuova valutazione dei fatti e delle prove (sentenza del 3 settembre 2009, Moser Baer India/Consiglio, C-535/06 P, Racc. pag. I-7051, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

28

Va rilevato che dalla sentenza impugnata risulta che la ricorrente non ha mai contestato la conclusione della Commissione secondo cui essa aveva, da un lato, omesso di indicare, nelle relazioni indirizzate a quest’ultima istituzione, le vendite del prodotto interessato che non erano oggetto dell’impegno e, dall’altro, fatto risultare in fatture conformi delle vendite del prodotto interessato non oggetto dell’impegno. Pertanto il Tribunale ha correttamente giudicato che la ricorrente non aveva rispettato le condizioni dell’impegno.

29

Nei limiti in cui la ricorrente tenta di rimettere in discussione la valutazione dei fatti operata dal Tribunale, contestando sostanzialmente che quest’ultimo ha considerato che le condizioni dell’impegno non fossero state rispettate, siffatto argomento deve essere dichiarato irricevibile in quanto diretto ad ottenere un riesame di valutazioni di fatto effettuate dal Tribunale e per il quale la Corte non è competente nell’ambito di un’impugnazione.

30

Riguardo alla censura secondo la quale il Tribunale, al punto 51 della sentenza impugnata, avrebbe lasciato intendere che la ricorrente non avrebbe contestato di aver commesso dei gravi errori, è necessario respingerla in quanto derivante da un’errata lettura del punto in questione. Difatti, la constatazione del Tribunale secondo cui «la ricorrente non contesta che tali presupposti [sono] soddisfatti» non comporta affatto che il Tribunale consideri che quest’ultima avesse ammesso di avere commesso dei gravi errori. Al contrario, il ragionamento del Tribunale al punto 51 in parola è incentrato sulla considerazione che «qualsiasi violazione» dell’impegno comporta automaticamente la revoca dell’accettazione del medesimo, senza che sia necessario qualificare l’ampiezza delle violazioni commesse.

31

Per quanto riguarda la prima parte del motivo unico della ricorrente, quest’ultima addebita al Tribunale di avere a torto giudicato, segnatamente al punto 51 della sentenza impugnata, che essa non avrebbe contestato l’esistenza di una violazione importante dell’impegno ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento di base, disposizione che autorizza la Commissione a revocare l’impegno. Ad avviso della ricorrente la decisione di revocare l’accettazione dell’impegno, in applicazione della menzionata disposizione, costituisce una fase precedente all’imposizione di dazi antidumping e comporta un potere discrezionale della Commissione soggetto al controllo del giudice dell’Unione alla luce del principio di proporzionalità.

32

È senz’altro corretto che dall’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento di base discende che l’applicazione di un dazio antidumping si verifica automaticamente in caso di revoca da parte della Commissione dell’accettazione di un impegno. Per contro, la Commissione dispone del succitato potere discrezionale in sede di valutazione diretta a qualificare la natura dell’impegno violato e, conformemente al principio di proporzionalità, a determinare se occorra o meno revocare l’accettazione dell’impegno. In tali condizioni è l’esercizio di siffatto potere discrezionale che, contrariamente a quanto giudicato dal Tribunale ai punti 51 e 55 della sentenza impugnata, costituisce l’oggetto di un controllo da parte del giudice dell’Unione.

33

L’articolo 8, paragrafo 9, secondo comma, del regolamento di base prevede, infatti, che la valutazione della Commissione intesa ad accertare se vi sia stata o meno violazione di un impegno si conclude di norma entro sei mesi e, ad ogni modo, non oltre nove mesi dopo la presentazione di una richiesta debitamente motivata presentata da una qualsiasi parte interessata o da qualsiasi Stato membro e diretta alla verifica dell’esistenza di siffatta violazione.

34

Nella fattispecie, come rammentato al punto 28 della presente sentenza, dal punto 48 della sentenza impugnata risulta che la ricorrente non aveva rispettato il suo impegno violando l’obbligo, da un lato, di fornire le relazioni trimestrali richieste e, dall’altro, di non emettere fatture conformi per i prodotti non oggetto dell’impegno. A tale riguardo, dal considerando 26 della decisione controversa emerge che la Commissione «non ritiene che l’obbligo di presentare relazioni accurate sulle vendite o l’inclusione nelle fatture corrispondenti all’impegno di merci non rientranti nell’impegno abbia rilevanza secondaria o subordinata». Ai sensi del medesimo considerando essa afferma che «[l]a Commissione può sorvegliare efficacemente un impegno e determinare se venga rispettato e siano eliminati gli effetti pregiudizievoli del dumping soltanto se è in possesso di tutti i dati relativi alle vendite alla Comunità del prodotto in esame. Se le relazioni sulle vendite sono incomplete o inesatte sorgono dubbi sul rispetto da parte della società dell’impegno complessivo [cosicché] il rispetto delle formalità in materia di relazioni deve essere considerato parte integrante degli obblighi principali delle società in questione».

35

È inoltre manifesto che l’adempimento, da parte della Commissione, del controllo degli impegni è vincolato all’affidabilità dei documenti forniti nel corso dello svolgimento dell’impegno assunto dall’esportatore interessato. Non rispettando tale obbligo di informazione derivante da un impegno come quello in discussione nel caso di specie, l’esportatore spezza la relazione di fiducia che è necessaria al rapporto di cooperazione istituito con un impegno del genere. Dunque, una tale violazione delle condizioni dell’impegno in parola rischia di privare il medesimo della sua utilità. In siffatte condizioni gli obblighi di informazione devono essere considerati essenziali per il buon funzionamento del sistema degli impegni che consentono di evitare l’applicazione dei dazi antidumping.

36

È d’uopo ricordare che lo scopo dell’articolo 8 del regolamento di base, diretto a garantire l’eliminazione del pregiudizio causato dal dumping subito dall’industria dell’Unione, si basa principalmente sull’obbligo di collaborazione dell’esportatore così come sul controllo del corretto adempimento dell’impegno sottoscritto da quest’ultimo.

37

La ricorrente non è dunque riuscita a dimostrare che tale valutazione della Commissione, secondo cui essa non avrebbe rispettato un obbligo principale, è errata.

38

Infatti, gli argomenti della ricorrente riprodotti ai punti 27-43 della sentenza impugnata non sono tali da inficiare la qualificazione, da parte della Commissione, degli obblighi violati dalla ricorrente quali obblighi principali.

39

Essendo pacifico che la ricorrente non ha rispettato il suo impegno per quanto riguarda sia l’obbligo di fornire relazioni trimestrali sulle vendite del prodotto interessato non oggetto dell’impegno, sia quello di non emettere fatture conformi per prodotti non oggetto dell’impegno e che, di conseguenza, la valutazione relativa alla sussistenza di una violazione di un obbligo principale dello stesso non può considerarsi errata, la Commissione poteva legittimamente revocare l’accettazione dell’impegno sottoscritto dalla ricorrente e, così facendo, non ha violato il principio di proporzionalità. Ciò posto, ad essa incombeva, inoltre, conformemente all’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento di base, imporre alla ricorrente un dazio antidumping definitivo.

40

Alla luce delle sue esposte considerazioni il motivo unico dedotto dalla ricorrente a sostegno della sua impugnazione non può essere accolto e, pertanto, quest’ultima deve essere respinta.

Sulle spese

41

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del suo regolamento di procedura, quando l’impugnazione non è fondata, la Corte statuisce sulle spese. In virtù dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio e la Commissione ne hanno fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente nel suo motivo unico, deve essere condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’impugnazione è respinta.

 

2)

La Usha Martin Ltd è condannata alle spese del presente procedimento.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

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