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Document 61998CJ0357

    Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 9 novembre 2000.
    The Queen contro Secretary of State for the Home Department, ex parte Nana Yaa Konadu Yiadom.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Court of Appeal (England & Wales) - Regno Unito.
    Libera circolazione delle persone - Deroghe - Decisioni in materia di polizia degli stranieri - Permesso temporaneo di soggiorno - Garanzie giurisdizionali - Mezzi di ricorso - Artt. 8 e 9 della direttiva 64/221/CEE.
    Causa C-357/98.

    Raccolta della Giurisprudenza 2000 I-09265

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2000:604

    61998J0357

    Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 9 novembre 2000. - The Queen contro Secretary of State for the Home Department, ex parte Nana Yaa Konadu Yiadom. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Court of Appeal (England & Wales) - Regno Unito. - Libera circolazione delle persone - Deroghe - Decisioni in materia di polizia degli stranieri - Permesso temporaneo di soggiorno - Garanzie giurisdizionali - Mezzi di ricorso - Artt. 8 e 9 della direttiva 64/221/CEE. - Causa C-357/98.

    raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-09265


    Massima
    Parti
    Motivazione della sentenza
    Decisione relativa alle spese
    Dispositivo

    Parole chiave


    Libera circolazione delle persone - Deroghe - Decisioni in materia di polizia degli stranieri - Provvedimento d'ingresso nel territorio di uno Stato membro ai sensi dell'art. 8 della direttiva 64/221 - Nozione - Decisione che nega il diritto d'ingresso ad un cittadino comunitario, sprovvisto di permesso di soggiorno, che è stato autorizzato a dimorare temporaneamente nel territorio di questo Stato membro - Esclusione - Effetto sospensivo del ricorso giurisdizionale proposto avverso tale decisione ed autorizzazione a svolgere un'attività lavorativa in attesa della decisione su tale ricorso - Irrilevanza

    (Direttiva del Consiglio 64/221/CEE, artt. 8 e 9)

    Massima


    $$Gli artt. 8 e 9 della direttiva 64/221 per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica devono essere interpretati nel senso che non può essere qualificata come «provvedimento d'ingresso», ai sensi del detto art. 8, la decisione adottata dalle autorità di uno Stato membro che neghi a un cittadino comunitario, sprovvisto di permesso di soggiorno, il diritto d'ingresso nel suo territorio, nel caso in cui l'interessato sia stato autorizzato a dimorare temporaneamente nel territorio di questo Stato membro, in attesa della decisione da adottare in esito alle indagini necessarie per l'esame del suo fascicolo, ed abbia quindi soggiornato per quasi sette mesi su tale territorio prima che questa decisione gli fosse notificata, fermo restando che un cittadino in tale situazione deve poter godere delle garanzie processuali di cui al detto art. 9 della direttiva 64/221.

    Il tempo trascorso successivamente alla decisione dell'autorità competente a causa della presentazione di un ricorso giurisdizionale munito di effetto sospensivo, da un lato, e l'autorizzazione a svolgere un'attività lavorativa in attesa della decisione su tale ricorso, dall'altro, non possono incidere sulla qualifica della detta decisione alla luce della direttiva 64/221.

    ( v. punto 43 e dispositivo )

    Parti


    Nel procedimento C-357/98,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dalla Court of Appeal (England & Wales) (Regno Unito) nella causa dinanzi ad essa pendente tra

    The Queen

    e

    Secretary of State for the Home Department,

    ex parte: Nana Yaa Konadu Yiadom,

    domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 8 e 9 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850),

    LA CORTE (Quinta Sezione),

    composta dai signori M. Wathelet, presidente della Prima Sezione, facente funzioni di presidente della Quinta Sezione, D.A.O. Edward e L. Sevón (relatore), giudici,

    avvocato generale: P. Léger

    cancelliere: signora L. Hewlett, amministratore

    viste le osservazioni scritte presentate:

    - per la signora Yiadom, dai signori P. Duffy, QC, e T. Eicke, barrister, su incarico della signora A. Stanley, solicitor;

    - per il governo del Regno Unito, dal signor J.E. Collins, Assistant Treasury Solicitor, in qualità di agente, assistito dalla signora E. Sharpston e dal signor S. Kovats, barristers;

    - per la Commissione delle Comunità europee, dal signor P.J. Kuijper, consigliere giuridico, e dalla signora N. Yerrell, funzionaria nazionale distaccata presso il servizio giuridico, in qualità di agenti,

    vista la relazione d'udienza,

    sentite le osservazioni orali della signora Yiadom, rappresentata dai signori D. Anderson, QC, e T. Eicke, del governo del Regno Unito, rappresentato dal signor J.E. Collins, assistito dalla signora E. Sharpston e dal signor S. Kovats, e della Commissione, rappresentata dalla signora N. Yerrell, all'udienza del 20 gennaio 2000,

    sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 30 marzo 2000,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Motivazione della sentenza


    1 Con ordinanza 13 maggio 1998, pervenuta alla Corte il 1° ottobre successivo, la Court of Appeal (England & Wales) ha proposto, a norma dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), sei questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 8 e 9 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850; in prosieguo: la «direttiva»).

    2 Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra la signora Yiadom e il Secretary of State for the Home Department (Ministro dell'Interno, in prosieguo: il «Secretary of State») in merito a un provvedimento di quest'ultimo recante diniego dell'autorizzazione all'ingresso nel territorio britannico.

    La normativa applicabile

    La direttiva

    3 Ai sensi dell'art. 5, n. 1, della direttiva:

    «La decisione relativa alla concessione o al diniego del primo permesso di soggiorno deve essere presa nel più breve termine, ed al più tardi entro sei mesi dalla domanda.

    L'interessato è autorizzato a dimorare provvisoriamente sul territorio fino a quando non intervenga la decisione di rilascio o di diniego del permesso di soggiorno».

    4 L'art. 8 della direttiva dispone:

    «Avverso il provvedimento (...) di ingresso, di diniego di rilascio del permesso di soggiorno o del suo rinnovo, o contro la decisione di allontanamento dal territorio, l'interessato deve avere assicurata la possibilità di esperire i ricorsi consentiti ai cittadini avverso gli atti amministrativi».

    5 L'art. 9 della direttiva prevede:

    «1. Se non sono ammessi ricorsi giurisdizionali o se tali ricorsi sono intesi ad accertare soltanto la legittimità dei provvedimenti impugnati o se essi non hanno effetto sospensivo, il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno o quello di allontanamento dal territorio del titolare del permesso di soggiorno è adottato dall'autorità amministrativa, tranne in casi di urgenza, solo dopo aver sentito il parere di una autorità competente del paese ospitante, dinanzi alla quale l'interessato deve poter far valere i propri mezzi di difesa e farsi assistere o rappresentare secondo la procedura prevista dalla legislazione di detto paese.

    La suddetta autorità deve essere diversa da quella cui spetta l'adozione dei provvedimenti di diniego del rinnovo del permesso o di allontanamento dal territorio.

    2. Il provvedimento di diniego del rilascio del primo permesso di soggiorno e quello di allontanamento dal territorio prima del rilascio di tale permesso sono sottoposti, a richiesta dell'interessato, all'esame dell'autorità il cui parere preliminare è previsto al paragrafo 1. L'interessato è allora autorizzato a presentare di persona i propri mezzi di difesa a meno che non vi si oppongano motivi di sicurezza dello Stato».

    Il diritto nazionale

    6 Nel Regno Unito l'art. 3, n. 1, dell'Immigration (European Economic Area) Order 1994 (regolamento in materia di immigrazione in seno allo Spazio economico europeo; in prosieguo: lo «SEE») enuncia quanto segue:

    «Salvo il disposto dell'art. 15, n. 1, un cittadino dello SEE è autorizzato a risiedere nel territorio del Regno Unito previa esibizione, al suo arrivo, di un documento d'identità o di un passaporto nazionale valido rilasciato da un altro Stato dello SEE».

    7 L'art. 15, n. 1, del medesimo regolamento precisa:

    «Una persona non è autorizzata a risiedere nel Regno Unito in forza dell'art. 3 qualora il suo allontanamento sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di igiene (...) la detta persona può impugnare il diniego di autorizzazione al pari di una persona alla quale sia stato negato l'ingresso e che abbia il diritto di presentare ricorso ai sensi dell'art. 13, n. 1, della legge 1971, ma il ricorso non può essere proposto fintantoché la persona permane nel Regno Unito».

    8 In forza dell'art. 13 dell'Immigration Act 1971 (legge britannica in materia di immigrazione), una persona alla quale venga negato l'ingresso nel territorio del Regno Unito ha il diritto di impugnare tale decisione dinanzi ad un Adjudicator. Tale diritto è qualificato «out of country», il che significa che può esercitato solo una volta che l'interessato abbia lasciato il Regno Unito, a meno che egli non sia in possesso di un visto d'ingresso o di un permesso di lavoro ancora validi.

    9 Inoltre, l'allegato 2, n. 16, dell'Immigration Act 1971 prevede che chiunque possa essere oggetto di un'indagine può essere affidato in custodia ad un agente dell'ufficio immigrazioni nell'attesa che il suo caso venga esaminato e che venga adottata la decisione di concedergli o negargli l'ingresso nel territorio. In forza del n. 21 del medesimo allegato, qualora non si faccia ricorso alla custodia, chiunque potrebbe essere sottoposto alla medesima, può essere, previa autorizzazione scritta di un agente dell'ufficio immigrazioni, temporaneamente autorizzato a risiedere nel Regno Unito senza essere detenuto o può essere rimesso in libertà. Questo permesso temporaneo di soggiorno può essere corredato di restrizioni riguardanti, in particolare, la sua attività di lavoro subordinato o l'esercizio di qualsiasi altra attività.

    10 Ai sensi dell'art. 11, n. 1, dell'Immigration Act 1971, una persona che non abbia avuto accesso al territorio nazionale, fintantoché sia tenuta in custodia o temporaneamente autorizzata o lasciata in libertà provvisoria, in forza dei poteri attribuiti dall'allegato 2 della detta legge, non è considerata, in particolare, presente nel territorio del Regno Unito.

    I fatti della causa principale e le questioni pregiudiziali

    11 Il 7 agosto 1995, la signora Yiadom, cittadina olandese originaria del Ghana, è arrivata nel territorio del Regno Unito, accompagnata da un'altra donna, che essa ha denunciato, mentendo, come sua figlia. Quest'ultima è stata rimpatriata in Ghana, mentre la signora Yiadom è stata autorizzata a risiedere temporaneamente nel Regno Unito nell'attesa che il suo fascicolo venisse esaminato.

    12 Con decisione 3 marzo 1996, il Secretary of State le ha negato l'ingresso nel Regno Unito per ragioni di ordine pubblico. Esso ha sostenuto che, in passato, la signora Yiadom aveva agevolato l'ingresso illegale di altre persone e che, a meno di non negarle l'ingresso, essa avrebbe verosimilmente reiterato siffatte infrazioni in futuro. Nell'attesa del suo allontanamento, essa è stata nuovamente autorizzata a risiedere in via temporanea.

    13 La signora Yiadom ha presentato un ricorso giurisdizionale avverso tale decisione dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Crown Office) (Regno Unito). A seguito del rigetto di tale ricorso, essa ha interposto appello dinanzi al giudice a quo.

    14 In quest'ultima sede essa sostiene, da un lato, che non esisterebbero ragioni sufficienti per limitare il suo diritto alla libera circolazione all'interno della Comunità, dal momento che la sua presenza non costituirebbe una minaccia sufficientemente grave per gli interessi fondamentali del Regno Unito e, dall'altro, che, conformemente agli artt. 8 e 9 della direttiva, essa dovrebbe poter godere del diritto di proporre un ricorso dinanzi all'Adjudicator restando fisicamente presente nel Regno Unito («in-country right of appeal») e non semplicemente del diritto di agire in giudizio riconosciuto nell'ordinamento nazionale allorché l'interessato non si trovi sul territorio nazionale («out of country right of appeal»).

    15 Alla luce dell'esame degli atti di causa, il giudice nazionale ritiene giustificati i motivi di ordine pubblico addotti dal Secretary of State.

    16 Tuttavia, per quanto concerne il motivo relativo alla violazione degli artt. 8 e 9 della direttiva, la Court of Appeal (England & Wales) ha deciso di sospendere il procedimento e di proporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1) Se gli artt. 8 e 9 della direttiva del Consiglio 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850) trovino entrambi applicazione nei riguardi di decisioni concernenti l'ingresso nel territorio di uno Stato membro, oppure se tali decisioni di ingresso siano soggette unicamente alle disposizioni dell'art. 8.

    2) Nel caso in cui la risposta alla prima questione sia nel senso che l'art. 8, e non l'art. 9, della direttiva 64/221 trova applicazione nei riguardi di decisioni di ingresso nel territorio di uno Stato membro, se i requisiti posti dall'art. 8 siano soddisfatti da disposizioni di diritto nazionale le quali garantiscano ai cittadini di uno Stato membro, a cui venga negato l'ingresso in un altro Stato membro per ragioni di ordine pubblico, un diritto di adire organi giudiziari, diritto che può essere esercitato però unicamente quando gli interessati non siano più fisicamente presenti nello Stato membro di cui trattasi.

    3) Ai fini dell'art. 8 e/o dell'art. 9 della direttiva 64/221/CEE, qualora il diritto nazionale:

    - consenta alle competenti autorità, in via alternativa alla custodia, di concedere un "permesso temporaneo di soggiorno" ad un cittadino di un altro Stato membro, il quale non possieda un normale permesso di soggiorno nel territorio dello Stato ospitante, senza però concedergli "ingresso" ai sensi del diritto nazionale di tale Stato membro; e

    - consenta alle competenti autorità di trattenere la persona di cui trattasi in stato di soggiorno temporaneo fino ad avvenuto espletamento delle indagini volte ad appurare se le circostanze giustifichino o meno un allontanamento della persona suddetta dallo Stato membro in oggetto per motivi di ordine pubblico,

    se la successiva decisione di "negare l'ingresso" a tale persona, e quindi di escluderla dal territorio dello Stato membro per motivi di ordine pubblico, sia un provvedimento vertente sull'ingresso nel territorio di uno Stato membro, oppure abbia natura di provvedimento di espulsione dal territorio del medesimo Stato.

    4) Se la risposta alla questione sub 3 possa essere diversa a seconda che il diritto nazionale consenta alle competenti autorità di adottare limitazioni al diritto al lavoro, poste inizialmente come requisito del sopraccitato permesso temporaneo di soggiorno, e le suddette autorità a ciò provvedano successivamente all'adozione della decisione di negare l'ingresso nel territorio nazionale in pendenza di un procedimento giudiziario di impugnazione di tale diniego.

    5) Se la risposta alla questione sub 3 sia tale da poter essere influenzata, e, in caso affermativo, in che modo, dall'eventuale lentezza (a) nel "negare l'ingresso" e/o (b) nel dare attuazione al provvedimento suddetto, allontanando concretamente la persona di cui trattasi dal territorio dello Stato membro.

    6) Se la risposta alla questione sub 5 sia a sua volta tale da poter essere influenzata e, in caso affermativo, in che modo, dal fatto che il ritardo nel dare attuazione al provvedimento di "negare l'ingresso" sia dovuto ad un procedimento giudiziario volto a statuire in merito alla legittimità del provvedimento medesimo».

    17 Con tali questioni, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice nazionale chiede, in sostanza, se gli artt. 8 e 9 della direttiva debbano essere interpretati nel senso che abbia natura di «provvedimento d'ingresso», ai sensi del detto art. 8, la decisione adottata dalle autorità di uno Stato membro che neghi a un cittadino comunitario, sprovvisto di permesso di soggiorno, il diritto di ingresso nel suo territorio, in un'ipotesi come quella oggetto della causa principale, nella quale:

    - l'interessato è stato autorizzato a risiedere temporaneamente nel territorio, in attesa di una decisione da adottare in esito alle indagini necessarie per l'esame del suo fascicolo;

    - nonostante la decisione di diniego d'ingresso e in attesa della conclusione del ricorso giurisdizionale proposto avverso quest'ultima, l'interessato è stato autorizzato a svolgere un'attività lavorativa; e

    - sono trascorsi diversi mesi tra l'arrivo di quest'ultimo nel territorio del detto Stato membro e la decisione di diniego d'ingresso, non ancora eseguita a causa della presentazione del ricorso giurisdizionale.

    18 La signora Yiadom e la Commissione allegano che, una volta che l'interessato sia stato autorizzato a risiedere nel territorio, anche solo temporaneamente, qualsiasi riesame della sua posizione mediante un provvedimento successivo costituirebbe, in realtà, una decisione di diniego del permesso di soggiorno e, per il fatto di condurre all'uscita dell'interessato dal territorio, una decisione di allontanamento. Secondo la signora Yiadom, ciò sarebbe tanto più esatto nel caso di specie, caratterizzato da una lunga attesa della decisione conclusiva. A tal proposito, la Commissione precisa che, qualora la causa principale dovesse essere considerata collegata a una decisione d'ingresso di un cittadino comunitario nel territorio di uno Stato membro, siffatta interpretazione si scontrerebbe con la struttura della direttiva, la quale opera una distinzione importante tra, da un lato, un «provvedimento d'ingresso» e, dall'altro, un «diniego di rilascio» o un «diniego di rinnovo» del permesso di soggiorno.

    19 La signora Yiadom fa richiamo parimenti alla decisione 26 giugno 1996 della Commissione europea dei diritti dell'uomo nella causa D./Regno Unito, la quale avrebbe dichiarato che il fatto di opporre all'interessato un diniego del diritto d'ingresso successivamente al rilascio di un permesso temporaneo di soggiorno nel territorio dello Stato costituirebbe un meccanismo artificioso.

    20 Essa ritiene inoltre che l'eventuale autorizzazione all'esercizio di un'attività lavorativa durante il periodo di permesso temporaneo di soggiorno nonché il tempo trascorso a causa della presentazione, da parte dell'interessato, di un ricorso avverso la decisione iniziale sarebbero ininfluenti sulla qualifica di quest'ultima alla luce della direttiva. Su quest'ultimo punto, la Commissione condivide tale argomento, allegando però che un intervallo temporale rilevante tra l'arrivo nel territorio e la data di adozione della decisione relativa all'ingresso potrebbe corroborare la qualifica di diniego di permesso di soggiorno e di provvedimento di allontanamento di quest'ultima.

    21 Il governo del Regno Unito sostiene, viceversa, che una decisione di diniego d'ingresso conserverebbe tale qualità anche se, in osservanza del diritto nazionale, essa venga adottata solo dopo un periodo di permesso temporaneo di soggiorno dell'interessato nel territorio. Infatti, quest'ultimo non dovrebbe essere considerato come entrato in uno Stato membro in conseguenza della sua mera presenza fisica sul suo territorio.

    22 Il detto governo sostiene, in particolare, che il permesso temporaneo di soggiorno in pendenza dell'esame del caso di un cittadino comunitario costituirebbe una misura più favorevole a quest'ultimo rispetto alla custodia, parimenti prevista dall'ordinamento nazionale. La concessione di un permesso di lavoro durante il periodo del permesso temporaneo di soggiorno implicherebbe un'ingerenza nella posizione dell'interessato meno seria di quella derivante dal mantenimento del divieto di impiego. Per quanto concerne l'intervallo di tempo tra l'adozione della decisione di diniego d'ingresso e la sua esecuzione, il detto governo ritiene che, in linea di principio, esso sarebbe ininfluente ai fini della qualifica di quest'ultima, fatta eccezione per un eventuale notevole ritardo, senza tuttavia che possa essere preso in considerazione il ritardo dovuto alla presentazione di un ricorso per contestare la legittimità di tale decisione.

    23 Occorre ricordare che l'art. 8 A del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 18 CE) enuncia che ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso.

    24 Secondo una costante giurisprudenza della Corte, il principio della libera circolazione delle persone deve essere interpretato estensivamente (v., in tal senso, sentenze 26 febbraio 1991, causa C-292/89, Antonissen, Racc. pag. I-745, punto 11, e 20 febbraio 1997, causa C-344/95, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-1035, punto 14), mentre le deroghe a tale principio devono essere, al contrario, interpretate restrittivamente (v., in tal senso, sentenze 4 dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn, Racc. pag. 1337, punto 18; 26 febbraio 1975, causa 67/74, Bonsignore, Racc. pag. 297, punto 6, e 3 giugno 1986, causa 139/85, Kempf, Racc. pag. 1741, punto 13).

    25 Analogamente, le disposizioni a tutela dei cittadini comunitari che esercitano questa libertà fondamentale devono essere interpretate in loro favore.

    26 Occorre peraltro ricordare che tanto l'applicazione uniforme del diritto comunitario, quanto il principio d'uguaglianza esigono che una disposizione di diritto comunitario che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo, nell'intera Comunità, ad un'interpretazione autonoma ed uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa (sentenze 18 gennaio 1984, causa 327/82, Ekro, Racc. pag. 107, punto 11, e 19 settembre 2000, causa C-287/98, Linster, Racc. pag. I-6917).

    27 Gli artt. 8 e 9 della direttiva hanno ad oggetto la definizione del minimo indispensabile di garanzie processuali di cui possono godere i cittadini comunitari che si avvalgono della libera circolazione in funzione della situazione in cui essi si trovano.

    28 L'art. 8 della direttiva impone agli Stati membri l'obbligo di consentire ad ogni loro cittadino di esperire, avverso un provvedimento d'ingresso, di diniego di rilascio del permesso di soggiorno o di un suo rinnovo, o contro una decisione di allontanamento dal territorio, i ricorsi consentiti ai cittadini avverso gli atti amministrativi.

    29 L'art. 9 della direttiva ha funzione complementare rispetto all'art. 8. Le sue disposizioni hanno lo scopo di attribuire un minimo di garanzie procedurali ai soggetti colpiti da uno dei provvedimenti contemplati, nelle tre ipotesi indicate al n. 1 dello stesso articolo, ossia se non sono ammessi ricorsi giurisdizionali o se tali ricorsi sono intesi ad accertare soltanto la legittimità dei provvedimenti impugnati o se essi non hanno effetto sospensivo (sentenza 17 giugno 1997, cause riunite C-65/95 e C-111/95, Shingara e Radiom, Racc. pag. I-3343, punto 34).

    30 La Corte ha precisato che queste tre ipotesi devono essere prese in considerazione per quanto concerne sia i provvedimenti di cui all'art. 9, n. 1, della direttiva, sia quelli menzionati nel n. 2 della medesima disposizione (sentenza Shingara e Radiom, citata, punto 37).

    31 L'art. 9, n. 1, prevede che, nelle suddette ipotesi, un provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno o una misura di allontanamento dal territorio del titolare del permesso di soggiorno può, tranne in casi di urgenza, essere adottato solo dopo aver sentito il parere di un'autorità competente dello Stato membro ospitante, dinanzi alla quale l'interessato deve poter far valere i propri mezzi di difesa e farsi assistere o rappresentare secondo la procedura prevista dalla legislazione di detto paese.

    32 Ai sensi dell'art. 9, n. 2, nelle stesse ipotesi il provvedimento di diniego del rilascio del primo permesso di soggiorno e quello di allontanamento dal territorio prima del rilascio di tale permesso sono sottoposti, a richiesta dell'interessato, all'esame di un'autorità competente, dinanzi alla quale quest'ultimo è autorizzato a presentare di persona i propri mezzi di difesa a meno che non vi si oppongano motivi di sicurezza dello Stato.

    33 Viceversa, il detto art. 9 non prevede nessuna specifica disposizione per quanto concerne i ricorsi avverso le decisioni di diniego di ingresso nel territorio. Di conseguenza, al cittadino comunitario che sia oggetto di una siffatta decisione è riconosciuto solo il diritto di proporre avverso quest'ultima gli stessi ricorsi consentiti ai cittadini avverso gli atti amministrativi.

    34 La limitatezza delle garanzie processuali previste a favore del cittadino che impugni una decisione di diniego d'ingresso può giustificarsi con la circostanza che, in linea di principio, la persona oggetto di una tale decisione non si trova fisicamente sul territorio di uno Stato membro ed è, di conseguenza, nell'impossibilità materiale di presentare di persona i propri mezzi di difesa dinanzi all'autorità competente.

    35 La Corte ha del resto interpretato l'art. 8 della direttiva nel senso che da questa disposizione non si può desumere l'obbligo, per gli Stati membri, di ammettere la presenza di uno straniero nel loro territorio nelle more del giudizio, a condizione che egli possa ciò nondimeno fruire di un processo equo ed essere in grado di far valere tutti i suoi mezzi di difesa (sentenza 5 marzo 1980, causa 98/79, Pecastaing, Racc. pag. 691, punto 13).

    36 La causa principale ha ad oggetto il caso di una cittadina comunitaria ammessa temporaneamente nel territorio dello Stato membro già da diversi mesi e, di conseguenza, fisicamente presente quando le competenti autorità nazionali le hanno notificato una decisione di diniego d'ingresso nel detto territorio in osservanza del diritto nazionale.

    37 A causa di una fictio iuris dell'ordinamento giuridico nazionale, in base alla quale il cittadino fisicamente presente nel territorio dello Stato membro ospitante non è ancora considerato destinatario di una decisione d'ingresso, il detto cittadino non può godere delle garanzie processuali attribuite dall'art. 9 della direttiva ai cittadini considerati legalmente presenti nel territorio e che sono oggetto di una decisione di diniego di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno o di una misura di allontanamento.

    38 Alla luce dei principi ermeneutici della direttiva ricordati nei punti 24-26 della presente motivazione, si deve affermare che il provvedimento che definisce la posizione di un cittadino in tali condizioni non può essere qualificato «provvedimento d'ingresso» ai sensi della direttiva, ma che quest'ultimo deve godere delle garanzie processuali di cui all'art. 9 della medesima.

    39 Occorre aggiungere che, nella causa principale, tra l'ingresso fisico nel territorio e la decisione di diniego dello stesso sono trascorsi quasi sette mesi.

    40 E' certo comprensibile che uno Stato membro disponga del tempo necessario per compiere un'indagine amministrativa sulla posizione di un cittadino comunitario prima di adottare una decisione che gli neghi il diritto d'ingresso nel proprio territorio.

    41 Tuttavia, se questo Stato ha ammesso la presenza fisica del detto cittadino nel proprio territorio per un intervallo di tempo manifestamente eccessivo in relazione alle esigenze di una simile indagine, è sensato giudicare che egli può parimenti ammettere la presenza di tale cittadino per il tempo necessario all'esercizio, da parte del medesimo, dei ricorsi giurisdizionali di cui all'art. 9 della direttiva.

    42 Occorre prendere in considerazione soltanto il tempo trascorso tra l'ingresso fisico nel territorio e la decisione di diniego del relativo permesso da parte dell'autorità competente, dato che il tempo trascorso a causa della presentazione di un ricorso giurisdizionale munito di effetto sospensivo e l'autorizzazione a svolgere un'attività lavorativa, nell'attesa di una decisione sul detto ricorso, vanno ritenuti ininfluenti ai fini della determinazione della natura di tale decisione e della qualifica da attribuirle ai sensi della direttiva (v., in tal senso, sentenza 20 settembre 1990, causa C-192/89, Sevince, Racc. pag. I-3461, punto 31).

    43 Occorre quindi risolvere le questioni proposte dichiarando che gli artt. 8 e 9 della direttiva devono essere interpretati nel senso che non può essere qualificata come «provvedimento d'ingresso», ai sensi del detto art. 8, la decisione adottata dalle autorità di uno Stato membro che neghi a un cittadino comunitario, sprovvisto di permesso di soggiorno, il diritto d'ingresso nel suo territorio, in un'ipotesi quale quella oggetto della causa principale, nella quale l'interessato è stato autorizzato a risiedere temporaneamente nel territorio di questo Stato membro, in attesa della decisione da adottare in esito alle indagini necessarie per l'esame del suo fascicolo, ed ha soggiornato per quasi sette mesi su tale territorio prima che questa decisione gli fosse notificata, fermo restando che un cittadino in tale situazione deve poter godere delle garanzie processuali di cui all'art. 9 della direttiva.

    Il tempo trascorso successivamente alla decisione dell'autorità competente a causa della presentazione di un ricorso giurisdizionale munito di effetto sospensivo, da un lato, e l'autorizzazione a svolgere un'attività lavorativa in attesa della decisione sul medesimo ricorso, dall'altro, non possono incidere sulla qualifica della detta decisione alla luce della direttiva.

    Decisione relativa alle spese


    Sulle spese

    44 Le spese sostenute dal governo del Regno Unito e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

    Dispositivo


    Per questi motivi,

    LA CORTE (Quinta Sezione),

    pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla Court of Appeal (England & Wales) con ordinanza 13 maggio 1998, dichiara:

    Gli artt. 8 e 9 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, devono essere interpretati nel senso che non può essere qualificata come «provvedimento d'ingresso», ai sensi del detto art. 8, la decisione adottata dalle autorità di uno Stato membro che neghi a un cittadino comunitario, sprovvisto di permesso di soggiorno, il diritto d'ingresso nel suo territorio, in un'ipotesi quale quella oggetto della causa principale, nella quale l'interessato è stato autorizzato a risiedere temporaneamente nel territorio di questo Stato membro, in attesa della decisione da adottare in esito alle indagini necessarie per l'esame del suo fascicolo, ed ha soggiornato per quasi sette mesi su tale territorio prima che questa decisione gli fosse notificata, fermo restando che un cittadino in tale situazione deve poter godere delle garanzie processuali di cui all'art. 9 della direttiva 64/221.

    Il tempo trascorso successivamente alla decisione dell'autorità competente a causa della presentazione di un ricorso giurisdizionale munito di effetto sospensivo, da un lato, e l'autorizzazione a svolgere un'attività lavorativa in attesa della decisione sul medesimo ricorso, dall'altro, non possono incidere sulla qualifica della detta decisione alla luce della direttiva 64/221.

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