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Document 62023CC0134

Conclusioni dell’avvocato generale P. Pikamäe, presentate il 13 giugno 2024.


Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2024:512

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PRIIT PIKAMÄE

presentate il 13 giugno 2024 (1)

Causa C134/23

Somateio «Elliniko Symvoulio gia tous Prosfyges»,

Astiki Mi Kerdoskopiki Etaireia «Ypostirixi Prosfygon sto Aigaio»

contro

Ypourgos Exoterikon,

Ypourgos Metanastefsis kai Asylou

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato, Grecia)]

«Rinvio pregiudiziale – Riconoscimento e revoca dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 38 – Concetto di “paese terzo sicuro” – Qualificazione della Turchia come “paese terzo sicuro “– Accordo UE‑Turchia di riammissione delle persone in posizione irregolare – Sospensione, de facto, della riammissione dei richiedenti protezione internazionale»






I.      Introduzione

1.        Nella presente causa, la Corte è investita dal Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato, Grecia) di una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione dell’articolo 38 della direttiva 2013/32/UE (2).

2.        Le tre questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio si inseriscono nell’ambito di un ricorso di annullamento di una normativa nazionale che designa la Turchia come paese generalmente sicuro per determinate categorie di richiedenti protezione internazionale mentre, nonostante un accordo di riammissione concluso con l’Unione europea, tale paese ha sospeso in via generale e senza prevedibili prospettive di modifica di tale posizione la riammissione di tali richiedenti nel proprio territorio.

3.        La presente causa fornisce alla Corte l’occasione per precisare, da un lato, il rapporto tra le condizioni per la designazione di un paese come generalmente sicuro e l’applicazione del concetto di «paese terzo sicuro» a un determinato richiedente protezione internazionale e, dall’altro lato, la portata del requisito di ammissione o riammissione del richiedente previsto all’articolo 38 della direttiva 2013/32.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Accordo UETurchia sulla riammissione

4.        Il 16 dicembre 2013 l’Unione europea e la Repubblica di Turchia hanno concluso un accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare (in prosieguo: l’«accordo UE‑Turchia sulla riammissione») (3). Tale accordo è stato ratificato a nome dell’Unione con decisione del Consiglio del 14 aprile 2014 (4).

5.        L’articolo 4 dell’accordo UE‑Turchia sulla riammissione prevede quanto segue:

«1.      La Turchia riammette, su istanza di uno Stato membro e senza ulteriori adempimenti da parte di quest’ultimo rispetto a quelli previsti dal presente accordo, tutti i cittadini di paesi terzi o gli apolidi che non soddisfano o non soddisfano più le vigenti condizioni di ingresso, presenza o soggiorno nel territorio dello Stato membro richiedente, purché, conformemente all’articolo 10, sia comprovato che tali persone:

(...)

c)      sono entrate irregolarmente e direttamente nel territorio degli Stati membri dopo aver soggiornato nel territorio della Turchia o esservi transitate.

2.      L’obbligo di riammissione di cui al paragrafo 1 del presente articolo non si applica se:

(...)».

6.        In forza della decisione (UE) 2016/551 del Consiglio, del 23 marzo 2016 (5), l’obbligo enunciato all’articolo 4 dell’accordo UE‑Turchia sulla riammissione è applicabile a decorrere dal 1º giugno 2016.

2.      Direttiva 2013/32

7.        Ai fini della presente causa vengono in rilievo gli articoli 31, 33, 35 e 38 della direttiva 2013/32.

B.      Diritto greco

1.      La legge greca sulla protezione internazionale

8.        La Nomos 4636/2019 peri diethnous prostasias kai alles diatakseis, nella sua versione modificata dalla Nomos 4686/2020 (legge sulla protezione internazionale e altre disposizioni, come modificata, FEK A’ 169/01.11.2019 e FEK A’ 96/12.05.2020; in prosieguo: la «legge greca sulla protezione internazionale»), recepisce nell’ordinamento giuridico ellenico la direttiva 2013/32.

9.        L’articolo 86 della legge greca sulla protezione internazionale è così formulato:

«1.      Un paese è considerato paese terzo sicuro per un determinato richiedente quando sono soddisfatti cumulativamente i seguenti criteri:

a)      non sussistono minacce alla sua vita ed alla sua libertà per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale;

b)      detto paese rispetta il principio di “non‑refoulement”, conformemente alla convenzione di Ginevra;

c)      non sussiste alcun rischio di danno grave ai sensi dell’articolo 15 della presente legge;

d)      conformemente al diritto internazionale, detto paese vieta l’allontanamento di un individuo verso un paese in cui rischia di essere sottoposto a tortura o ad altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti;

e)      esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come rifugiato, ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra; e

f)      tra il richiedente e detto paese terzo sussiste un legame, secondo il quale sarebbe ragionevole per detta persona recarsi in tale paese. Il transito del richiedente attraverso un paese terzo può (...) essere considerato un legame tra il richiedente e il paese terzo, legame secondo il quale sarebbe ragionevole per tale persona recarsi in detto paese.

2.      Il soddisfacimento dei criteri summenzionati è esaminato caso per caso e per ogni richiedente considerato separatamente, salvo qualora il paese terzo sia stato designato come generalmente sicuro e compaia nell’elenco nazionale dei paesi terzi sicuri. Se ricorre tale ipotesi, il richiedente protezione internazionale può impugnare l’applicazione del concetto di “paese terzo sicuro” a motivo del fatto che il paese terzo non è sicuro nelle particolari circostanze che lo riguardano.

3.      Un decreto interministeriale del Ministro della Protezione del cittadino e del Ministro degli Affari esteri, adottato su proposta del direttore del Servizio per l’asilo, stabilisce quali paesi terzi sono designati come sicuri ai sensi del presente articolo per talune categorie di richiedenti asilo, in base alle loro caratteristiche (relative, tra l’altro, alla razza e alla religione) ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale. Gli elementi presi in considerazione per l’adozione del summenzionato decreto interministeriale (il regime giuridico interno del paese terzo, gli accordi internazionali bilaterali o multilaterali, o accordi conclusi tra il paese terzo e l’Unione europea e la prassi nazionale) devono essere aggiornati e provenire da fonti informative affidabili, in particolare da fonti diplomatiche ufficiali in Grecia e all’estero, dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, dalla normativa degli altri Stati membri relativa al concetto di “paesi terzi sicuri”, dal Consiglio d’Europa e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Tale elenco è soggetto a riesame obbligatorio a novembre di ogni anno. Qualora si riscontrino cambiamenti significativi nella situazione dei diritti umani di un paese designato come paese terzo sicuro, tale designazione è riesaminata il prima possibile e anteriormente alla scadenza annuale di cui alla frase precedente. Ogni decisione di designazione è comunicata alla Commissione europea.

(...)

5.      Se il paese terzo summenzionato non concede al richiedente l’ingresso nel proprio territorio, la sua domanda è esaminata nel merito dalle autorità competenti a decidere.

(...)».

2.      I decreti interministeriali

10.      In forza dell’autorizzazione prevista all’articolo 86 della legge greca sulla protezione internazionale, è stata adottata la Koini Ypourgiki Apofasi 42799/3.6.2021, intitolata «Kathorismos triton choron pou charaktirizontai os asfaleis kai katartisi ethnikou katalogou, kata ta orizomena sto arthro 86 tou nomou 4636/2019 (A’169)» [decreto interministeriale 42799/2021, intitolato «Determinazione dei paesi terzi designati come sicuri e istituzione di un elenco nazionale, conformemente alle disposizioni dell’articolo 86 della legge 4636/2019 (A’169)», FEK B 2425/7.6.2021; in prosieguo: il «primo decreto interministeriale»], la quale prevede che la Turchia è un paese terzo sicuro per i richiedenti protezione internazionale originari di Siria, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e Somalia.

11.      Il primo decreto interministeriale è stato sostituito dalla Koini Ypourgiki Apofasi 458568/15.12.2021, «Tropopoiisi tis yp.ar. 42799/3.6.2021 koinis apofasis ton Ypourgon Exoterikon kai Metanastefsis kai Asylou “Kathorismos triton choron pou charaktirizontai os asfaleis kai katartisi ethnikou katalogou, kata ta orizomena sto arthro 86 tou nomou 4636/2019 (A’169)” » [decreto interministeriale 458568/15.12.2021, recante modifica del decreto interministeriale 42799/3.6.2021 dei ministri degli Affari esteri e dell’Immigrazione e dell’Asilo, intitolato «Determinazione dei paesi terzi designati come sicuri e istituzione di un elenco nazionale, conformemente alle disposizioni dell’articolo 86 della legge 4636/2019 (A’ 169) »] (FEK Β’ 5949/16.12.2021; in prosieguo: il «secondo decreto interministeriale»).

12.      Il secondo decreto interministeriale designa nuovamente la Turchia come paese terzo sicuro per i richiedenti protezione internazionale originari di Siria, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e Somalia.

III. Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

13.      Il Somateio «Elliniko Symvoulio gia tous Prosfyges» e la Astiki Mi Kerdoskopiki Etaireia «Ypostirixi Prosfygon sto Aigaio» (in prosieguo: le «ricorrenti nel procedimento principale»), che operano a favore dei rifugiati, hanno proposto dinanzi al Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato) un ricorso diretto contro il primo decreto interministeriale e, successivamente, contro il secondo decreto interministeriale, motivato, in particolare, con la loro contrarietà all’articolo 86 della legge greca sulla protezione internazionale e all’articolo 38 della direttiva 2013/32.

14.      Le ricorrenti nel procedimento principale affermano, in particolare, da un lato, che la possibilità di riammettere in Turchia i richiedenti protezione internazionale destinatari di tali decreti non è garantita «da accordi internazionali» e, dall’altro lato, che non sussiste la ragionevole prospettiva che i richiedenti protezione internazionale siano riammessi in tale paese terzo in quanto, a partire dal mese di marzo del 2020 e dalla pandemia di Covid‑19, la Turchia ha congelato le riammissioni nel proprio territorio.

15.      Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, dopo aver constatato che soltanto il ricorso di annullamento proposto contro il secondo decreto interministeriale era ricevibile, il giudice del rinvio ha dichiarato che, nella misura in cui le ricorrenti nel procedimento principale contestavano l’assenza dell’obbligo giuridico in capo alla Turchia di riammettere dalla Grecia richiedenti protezione internazionale, tale censura doveva essere respinta. Infatti, tenuto conto in particolare dell’accordo UE‑Turchia sulla riammissione, il giudice del rinvio ha ritenuto che la Turchia avesse assunto un siffatto obbligo giuridico.

16.      Per contro, il giudice del rinvio s’interroga sull’effettivo rispetto da parte della Turchia di detto obbligo, tenuto conto della circostanza, parimenti ammessa dalle autorità greche, che, dal mese di marzo del 2020 e senza che una simile circostanza possa cambiare nel prossimo futuro, tale paese terzo ha cessato di riammettere nel proprio territorio i richiedenti protezione internazionale le cui domande sono state considerate inammissibili in Grecia in forza del concetto di «paese terzo sicuro».

17.      Al riguardo, il giudice del rinvio menziona differenti opinioni espresse al suo interno su tale questione.

18.      Secondo l’opinione della maggioranza dei membri di tale organo giurisdizionale, la possibilità di una riammissione del richiedente protezione internazionale nel paese terzo di cui trattasi sarebbe un presupposto per la designazione di tale paese come «paese terzo sicuro» ai sensi dell’articolo 38 della direttiva 2013/32, in considerazione, in particolare, dell’obiettivo, richiamato segnatamente al considerando 18 ed espresso anche all’articolo 31, paragrafo 2, di quest’ultima, di garantire un trattamento quanto più rapido possibile delle domande di protezione internazionale. Un’interpretazione differente non farebbe altro che aumentare i tempi di esame della domanda di protezione internazionale e l’incertezza quanto al soggiorno del richiedente nel paese in cui ha presentato la propria domanda, senza escludere il rischio di un suo rimpatrio in un paese in cui sia esposto a persecuzioni e l’eventualità di turbare le relazioni internazionali. Ne conseguirebbe che uno Stato membro non potrebbe redigere un elenco nazionale di paesi terzi generalmente sicuri, come l’autorizza a fare l’articolo 38, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, se il paese terzo in questione non garantisce l’effettivo rispetto dell’obbligo giuridico da esso assunto. Pertanto, la maggioranza dei membri del giudice del rinvio è del parere che occorra accogliere il ricorso di annullamento contro il secondo decreto interministeriale.

19.      Il giudice del rinvio dichiara tuttavia che altri suoi componenti aderiscono a una differente interpretazione delle disposizioni della direttiva 2013/32. Secondo tali membri, l’esame della condizione relativa a un’accettazione effettiva della riammissione dei richiedenti protezione internazionale non costituisce un elemento della validità dell’atto regolamentare che designa un paese come generalmente sicuro, ma deve essere effettuato nelle fasi successive del procedimento amministrativo. Si tratterebbe di una condizione relativa alla validità dell’atto individuale con il quale una domanda concreta di protezione internazionale è considerata inammissibile in applicazione del concetto di «paese terzo sicuro», oppure dell’esecuzione della decisione di esecuzione di un simile atto. Secondo tali membri del giudice del rinvio, il ricorso di annullamento diretto contro il secondo decreto interministeriale dovrebbe dunque essere respinto in quanto infondato.

20.      In tale contesto, il Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«Se l’articolo 38 della [direttiva 2013/32], in combinato disposto con l’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, debba essere interpretato nel senso che

1)      esso osta a una normativa nazionale (regolamentare) che designa come generalmente sicuro per determinate categorie di richiedenti protezione internazionale un paese terzo che, pur avendo assunto l’obbligo giuridico di permettere la riammissione nel proprio territorio di tali categorie di richiedenti protezione internazionale, di fatto rifiuta da lungo tempo (nel caso di specie, più di venti mesi) le riammissioni, senza che risulti essere stata esaminata la possibilità di un cambiamento di posizione di tale paese in un futuro prossimo

      o nel senso che

2)      la riammissione nel paese terzo non costituisce una condizione cumulativa per l’adozione di un atto nazionale (regolamentare) che designi un paese terzo come generalmente sicuro per determinate categorie di richiedenti protezione internazionale, ma costituisce una condizione cumulativa per l’adozione di un atto individuale che respinga una specifica domanda di protezione internazionale come inammissibile per il motivo dell’esistenza di un “paese terzo sicuro”

      o nel senso che

3)      la riammissione nel “paese terzo sicuro” è una questione da verificare solo al momento dell’esecuzione della decisione, qualora la decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale sia fondata sul motivo del “paese terzo sicuro».

IV.    Procedimento dinanzi alla Corte

21.      Il giudice del rinvio ha chiesto che la presente causa sia sottoposta al procedimento accelerato, in applicazione dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte. Il 31 marzo 2023 il presidente della Corte, sentiti la giudice relatrice e l’avvocato generale, ha deciso che non occorreva accogliere tale domanda.

22.      Le ricorrenti nel procedimento principale, i governi greco, ceco, tedesco, cipriota, ungherese e dei Paesi Bassi nonché la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte.

23.      All’udienza del 14 marzo 2024, le ricorrenti nel procedimento principale, il governo greco e la Commissione europea hanno svolto le proprie osservazioni orali.

V.      Analisi

A.      Considerazioni preliminari

24.      Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si chiede se le disposizioni dell’articolo 38 della direttiva 2013/32 ostino a che uno Stato membro designi, con un atto di portata generale, un paese terzo come «paese terzo sicuro» sebbene, prima di tale designazione, detto paese abbia deciso, nonostante l’impegno giuridico da esso assunto, di sospendere di fatto la riammissione nel proprio territorio dei richiedenti protezione internazionale.

25.      Con la seconda e la terza questione pregiudiziale formulate in via alternativa alla prima questione, tale giudice intende sapere se l’adozione di un atto individuale che considera una domanda di protezione internazionale inammissibile in applicazione del concetto di «paese terzo sicuro» sia subordinata all’ammissione o alla riammissione del richiedente nel territorio di tale paese o se detta condizione debba essere verificata soltanto al momento dell’esecuzione di tale decisione.

26.      Orbene, si deve rilevare che detto giudice è investito unicamente di un ricorso diretto all’annullamento di una normativa nazionale che inserisce la Turchia in un elenco nazionale di paesi terzi sicuri, cosicché la controversia di cui al procedimento principale non verte sulla validità di decisioni individuali di inammissibilità adottate sulla base dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2013/32. Sotto tale profilo, sarebbe possibile ritenere che la risposta che la Corte fornirà alla prima questione pregiudiziale basti a consentire al giudice del rinvio di pronunciarsi sulla controversia di cui al procedimento principale (6) e che la seconda e la terza questione pregiudiziale siano irricevibili.

27.      Ciò premesso, occorre ricordare che, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito (7).

28.      Nel caso di specie, dalla motivazione della domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il giudice del rinvio s’interroga essenzialmente sulle conseguenze giuridiche connesse al rifiuto da parte di un paese terzo designato come generalmente sicuro di consentire l’ingresso nel proprio territorio dei richiedenti protezione internazionale. In tale ottica, detto giudice vorrebbe conoscere il momento in cui tale rifiuto dev’essere preso in considerazione e, in proposito, pensa a tre fasi, ossia quella della designazione, mediante un atto di portata generale, di un paese terzo come sicuro, quella dell’adozione di una decisione individuale di inammissibilità in applicazione di tale concetto o quella dell’esecuzione di detta decisione.

29.      Alla luce di tali interrogativi, per dirimere con piena cognizione di causa la controversia di cui è investito, il giudice del rinvio deve disporre di elementi completi sull’interpretazione dell’articolo 38 della direttiva 2013/32 che gli permettano di individuare con precisione le conseguenze del rifiuto opposto dal paese terzo interessato e la fase del procedimento in cui tale rifiuto dev’essere preso in considerazione.

30.      Alla luce di tale esigenza imperativa, mi sembra che la necessità di fornire una risposta utile al giudice del rinvio implichi non soltanto l’esame della prima questione pregiudiziale relativa alla validità di un atto di portata generale, ma anche, nell’ipotesi in cui il diritto dell’Unione non osti all’adozione di un simile atto, della seconda e della terza questione pregiudiziale relative all’atto individuale adottato in forza del concetto di «paese terzo sicuro».

B.      Sulle questioni pregiudiziali

31.      Anzitutto, sottolineo che, nelle conclusioni che ho presentato nelle cause riunite Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (8), avevo sostenuto che l’assenza di certezza quanto all’ammissione o alla riammissione nel paese terzo sicuro non osta all’adozione di una decisione di inammissibilità fondata sulle disposizioni dell’articolo 38 della direttiva 2013/32 e che l’ingresso in detto paese deve essere verificato solo al momento dell’esecuzione di tale decisione.

32.      Si deve tuttavia osservare, anzitutto, che, nella sentenza del 14 maggio 2020, la Corte non si è pronunciata sull’interpretazione delle disposizioni di tale articolo relative all’ammissione o alla riammissione dei richiedenti protezione internazionale, per il motivo che le questioni del giudice del rinvio relative a tale punto non erano ricevibili (9).

33.      Dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio e dalle spiegazioni date dal governo greco in udienza risulta inoltre che l’esecuzione delle decisioni di inammissibilità fondate sulla designazione della Turchia come paese generalmente sicuro contrasta, dal mese di marzo del 2020, con il rifiuto generale e assoluto espresso, a tempo indeterminato e senza una prevedibile prospettiva di modifica di tale posizione, da detto paese di riammettere i richiedenti protezione internazionale (10). Orbene, tale circostanza, nella misura in cui esclude, ab initio, l’ingresso del richiedente nel territorio del paese designato come generalmente sicuro, mi induce a escludere la trasposizione dell’analisi che avevo precedentemente proposto alla Corte di seguire.

34.      Tuttavia, questo solo elemento, a mio avviso, non può avere la conseguenza giuridica di porre in discussione la designazione di un paese come generalmente sicuro. Dalla formulazione e dalla struttura dell’articolo 38 della direttiva 2013/32 discende infatti che un requisito che attenga all’ammissione o alla riammissione di un richiedente protezione internazionale non costituisce una condizione di validità di un simile atto. Suggerirò dunque alla Corte di rispondere in senso negativo alla prima questione pregiudiziale (sezione 1).

35.      Per contro, per le stesse ragioni, ritengo che tale articolo osti a che le autorità competenti di uno Stato membro possano adottare una decisione individuale di inammissibilità fondata sul concetto di «paese terzo sicuro» qualora abbiano acquisito, sin dall’esame individuale della domanda di protezione internazionale, la certezza che il richiedente non sarà ammesso o riammesso in tale paese (sezione 2).

1.      Sulla prima questione pregiudiziale

36.      L’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 elenca in maniera esaustiva le situazioni nelle quali gli Stati membri possono giudicare inammissibile (11)una domanda di protezione internazionale. Fra tali motivi, la lettera c), dell’articolo in parola prevede la possibilità per uno Stato membro di considerare una domanda inammissibile se un paese che non è uno Stato membro è considerato «paese terzo sicuro» a norma dell’articolo 38 di tale direttiva.

37.      Con la sentenza del 19 marzo 2020, la Corte ha precisato che l’applicazione della nozione di «paese terzo sicuro» è subordinata al rispetto delle condizioni previste all’articolo 33, paragrafi da 1 a 4, di detta direttiva (12). Come rilevato dall’avvocato generale Bobek, tali condizioni possono essere descritte essenzialmente come principi, norme e garanzie (13).

38.      Anzitutto, in forza dell’articolo 38, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, gli Stati membri possono applicare il concetto di «paese terzo sicuro» solo se le autorità competenti hanno accertato che nel paese terzo in questione sono rispettati i seguenti principi elencati alle lettere da a) a e), di tale paragrafo: a) non sussistono minacce alla vita ed alla libertà di un richiedente protezione internazionale per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale; b) il richiedente protezione internazionale non rischia di subire danni gravi ai sensi della direttiva 2011/95/UE (14); c) è rispettato il principio di «non‑refoulement» conformemente alla convenzione di Ginevra (15); d) conformemente al diritto internazionale, è vietata l’adozione di misure di allontanamento in violazione del diritto a non subire torture né trattamenti crudeli, disumani o degradanti, ed e) il richiedente protezione internazionale ha la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, se riconosciuto come rifugiato, ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra.

39.      All’articolo 38, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 sono poi fissate le norme. A tal proposito, l’applicazione del concetto di «paese terzo sicuro» è subordinata alle norme stabilite dal diritto nazionale. Dette norme comprendono, in particolare, a) quelle che prevedono l’esistenza di un legame tra il richiedente protezione internazionale e il paese terzo in questione tale da rendere ragionevole il rimpatrio di tale richiedente in detto paese; b) quelle relative al metodo applicato dalle autorità competenti per accertare che la nozione di «paese terzo sicuro» può essere applicata a un determinato paese o a un determinato richiedente protezione internazionale; c) quelle, conformi al diritto internazionale, per accertare, con un esame individuale, se il paese terzo interessato sia sicuro per un determinato richiedente protezione internazionale e che, in tale contesto, consentono a detto richiedente di impugnare sia l’applicazione della nozione di «paese terzo sicuro» con riferimento alla sua specifica situazione sia l’esistenza di un legame con tale paese.

40.      Infine, riguardo a dette garanzie e oltre a tale possibilità di impugnazione, l’articolo 38, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 impone agli Stati membri, che applicano una decisione basata esclusivamente sul concetto di paese terzo sicuro, di informarne il richiedente e di fornirgli un documento con il quale informano le autorità del paese terzo, nella lingua di quest’ultimo, che la domanda non è stata esaminata nel merito. Peraltro, l’articolo 38, paragrafo 4, di tale direttiva prevede che, se il paese terzo non concede al richiedente l’ingresso nel suo territorio, gli Stati membri assicurano il ricorso a una procedura in conformità dei principi e delle garanzie fondamentali descritti al capo II della direttiva in parola.

41.      Mi sembra che dalla formulazione e dalla struttura dell’articolo 38 della direttiva 2013/32 si possano trarre due deduzioni.

42.      In primo luogo, è indubbio che le disposizioni di tale articolo autorizzano uno Stato membro a designare, mediante un atto di portata generale, un paese come «paese terzo sicuro». In proposito, rilevo che il metodo, al quale fa riferimento l’articolo 38, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva prevede espressamente un «esame caso per caso della sicurezza del paese per un determinato richiedente e/o la designazione nazionale dei paesi che possono essere considerati generalmente sicuri» (16).

43.      Nello stesso senso, l’articolo 38, paragrafo 2, lettera c), di detta direttiva, impone agli Stati membri di fissare norme che consentano al richiedente di impugnare l’applicazione del concetto di «paese terzo sicuro» a motivo del fatto che quel paese terzo non è sicuro nel suo caso specifico, dal che si deduce che l’esame della situazione individuale della persona interessata può inserirsi nel contesto di un atto di portata generale precedentemente adottato da uno Stato membro.

44.      Una simile interpretazione, del resto, è avvalorata dalla lettura del considerando 44 della direttiva 2013/32, il quale fa riferimento alla definizione di «principi comuni per la presa in considerazione o la designazione, da parte degli Stati membri, di paesi terzi quali paesi sicuri». Ancor più esplicitamente, il considerando 46 di tale direttiva precisa che «[q]ualora gli Stati membri (...) designino i paesi sicuri adottando gli elenchi a tal fine», essi dovrebbero fondarsi su informazioni e dati pertinenti (17).

45.      In secondo luogo, ritengo che la validità di un atto di portata generale che designa un paese terzo come sicuro non sia subordinata a un requisito relativo all’ammissione o alla riammissione di un richiedente protezione internazionale.

46.      In proposito, appare necessario distinguere tra, da un lato, i requisiti necessari per l’applicazione nei confronti di un determinato richiedente protezione internazionale del concetto di «paese terzo sicuro», i quali presuppongono il rispetto delle condizioni previste all’articolo 38, paragrafi da 1 a 4, della direttiva 2013/32, e, dall’altro lato, le condizioni necessarie per la designazione di un paese terzo come generalmente sicuro per tutti i richiedenti protezione internazionale o per determinate categorie di questi ultimi. A mio avviso, tale distinzione risulta dalla struttura stessa dell’articolo in parola, la quale invita a differenziare varie fasi.

47.      A tal proposito, per acquisire la certezza che, nel paese terzo in questione, il richiedente sarà trattato conformemente ai principi enunciati all’articolo 38, paragrafo 1, di tale direttiva, gli Stati membri devono effettuare, nel contesto del metodo che il diritto nazionale deve fissare in forza della lettera b) del paragrafo 2 di tale articolo, un esame della situazione nel paese in questione. Come attesta la formulazione del considerando 46 di detta direttiva, la verifica di tali standard non può basarsi sul solo studio formale di un dato sistema giuridico e deve fondarsi altresì sull’analisi aggiornata e concreta dell’applicazione effettiva da parte di tale paese dei principi enunciati nell’articolo in parola (18).

48.      Non nego che, alla luce di tale requisito, l’effettività dell’ammissione o della riammissione di un determinato richiedente protezione internazionale abbia un ruolo essenziale considerato che quest’ultimo potrà beneficiare di un trattamento conforme ai principi elencati all’articolo 38, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 soltanto a condizione che gli sia permesso l’ingresso nel paese terzo di cui trattasi. Ritengo tuttavia che la verifica richiesta in tale fase riguardi la certezza che il richiedente sarà trattato conformemente ai summenzionati principi nell’ipotesi in cui risulti successivamente il suo ingresso nel territorio del paese terzo.

49.      Si deve infatti constatare che l’ingresso del richiedente nel paese terzo non compare, in quanto tale, tra i principi enunciati nell’articolo in parola ed è preso in considerazione soltanto in sede di esame della situazione individuale del richiedente protezione internazionale. A mio avviso, tale interpretazione è avvalorata dall’analisi delle altre disposizioni dell’articolo 38 della direttiva 2013/32.

50.      Da un lato, l’articolo 38, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva impone agli Stati membri di prevedere norme nazionali relative all’esistenza di un legame tra un determinato richiedente e il paese terzo in questione tale che sarebbe ragionevole per detta persona recarsi in tale paese. Logicamente, la valutazione individuale di un legame che possa giustificare l’ingresso di un richiedente protezione internazionale nel paese interessato può avvenire soltanto dopo che lo Stato membro si sia assicurato, conformemente al metodo di designazione fissato dal diritto nazionale, che ricorrano le condizioni cumulative previste dall’articolo 38, paragrafo 1, di detta direttiva, le quali sono necessarie per la designazione di tale paese come generalmente sicuro.

51.      Dall’altro lato, l’articolo 38, paragrafo 4, della direttiva 2013/32 prevede le conseguenze del rifiuto opposto da un paese terzo all’ingresso di un determinato richiedente protezione internazionale. Una situazione siffatta corrisponde dunque alla fase in cui, malgrado l’esistenza di motivi per ritenere che il richiedente sarà ammesso o riammesso nel paese terzo sicuro, il rifiuto opposto da tale paese all’ingresso di detto richiedente nel suo territorio osta all’esecuzione di tale decisione. In una simile ipotesi, lo Stato membro deve garantire al richiedente l’accesso a una procedura di esame della sua domanda conforme ai principi e alle garanzie fondamentali previsti dalla direttiva in parola. Ne deriva che l’effettività dell’ammissione o della riammissione costituisce non già un elemento necessario per la qualificazione come «paese terzo sicuro», ma soltanto una condizione, che deve essere verificata al momento dell’esecuzione, indispensabile per l’applicazione di tale nozione a un determinato richiedente.

52.      Tale interpretazione è avvalorata dall’esame delle disposizioni relative al concetto di «paese di primo asilo» che, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2013/32, costituisce un motivo di inammissibilità della domanda di protezione internazionale. In proposito, dall’articolo 35, paragrafo 1, della direttiva in parola risulta che tale concetto si applica qualora il richiedente sia stato riconosciuto in detto paese quale rifugiato e possa ancora avvalersi di tale protezione ovvero in esso goda altrimenti di protezione sufficiente, tra cui il fatto di beneficiare del principio di «non‑refoulement», purché sia riammesso.

53.      I concetti di «paese di primo asilo» e di «paese terzo sicuro» sono dunque accomunati dal fatto di subordinare alla loro applicazione l’ammissione o la riammissione del richiedente protezione internazionale. Tuttavia, dalla formulazione dell’articolo 35 della direttiva 2013/32 risulta che tale condizione dev’essere verificata ab initio, cosicché la qualifica di «paese di primo asilo» non può essere riconosciuta in assenza di ammissione o riammissione del richiedente. Correlativamente, dall’articolo 38 della direttiva in parola, che fa riferimento al comprovato ingresso del richiedente soltanto al paragrafo 4, si evince che l’ammissione o la riammissione effettiva dei richiedenti non figurano tra i presupposti per la designazione di un paese come generalmente sicuro e devono essere verificate soltanto nella fase del trattamento individuale della domanda di protezione internazionale.

54.      Dall’insieme di tali considerazioni deduco che la circostanza che un paese si opponga de facto e in maniera generalizzata alla riammissione dei richiedenti protezione internazionale nel suo territorio non osta all’adozione da parte di uno Stato membro di una normativa nazionale che designi tale paese come generalmente sicuro.

55.      La soluzione che propongo alla Corte di adottare implica, come invitano a fare la seconda e la terza questione pregiudiziale, che venga stabilito in che misura e in quale momento del procedimento avviato da un determinato richiedente protezione internazionale il rifiuto opposto dal paese terzo in questione debba essere preso in considerazione.

2.      Sulla seconda e sulla terza questione pregiudiziale

56.      Con la seconda e la terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio intende sapere, in sostanza, se il rifiuto di ordine generale e assoluto opposto dal paese terzo designato come generalmente sicuro osti all’adozione di un atto individuale che considera una domanda di protezione internazionale inammissibile in applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera c), e dell’articolo 38 della direttiva 2013/32 o se la condizione relativa all’ammissione o alla riammissione debba essere verificata soltanto al momento dell’esecuzione di tale atto.

57.      Al fine di rispondere a tale questione, si deve sottolineare che, quando il concetto di «paese terzo sicuro» è applicato a un determinato richiedente protezione internazionale, l’esame della condizione relativa all’ammissione o alla riammissione di tale richiedente, in linea di principio, dev’essere effettuato in due fasi, la prima avente ad oggetto l’adozione della decisione di inammissibilità, la seconda avente ad oggetto l’esecuzione di quest’ultima.

58.      Per quanto attiene alla prima di tali fasi, dall’articolo 38, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 risulta che una decisione di inammissibilità fondata sul concetto di «paese terzo sicuro» può essere adottata soltanto nel contesto di norme nazionali che richiedono un legame tra il richiedente e il paese terzo in questione, secondo le quali sarebbe ragionevole per detta persona recarsi in tale paese. Del resto, il considerando 44 di tale direttiva, dedicato a tale concetto, esime gli Stati membri dall’obbligo di valutare il merito della domanda di protezione internazionale soltanto se «vi è motivo di ritenere che il richiedente sarà ammesso o riammesso in quel paese». Da tali testi discende quindi chiaramente che l’adozione di una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale in applicazione del concetto di «paese terzo sicuro» presuppone che l’ammissione o la riammissione del richiedente da parte di tale paese sia probabile o, perlomeno, plausibile.

59.      Soltanto dopo questa prima fase gli Stati membri devono verificare l’effettività dell’ammissione o della riammissione del richiedente. Qualora risulti che, nonostante l’esistenza della probabilità di cui sopra, il paese terzo in questione non autorizza l’ingresso del richiedente nel suo territorio, gli Stati membri non possono eseguire la decisione di inammissibilità e, conformemente all’articolo 38, paragrafo 4, di detta direttiva, devono consentire a tale persona il ricorso a una procedura di esame della sua domanda di protezione internazionale.

60.      Pertanto, qualora, fin dalla prima fase, gli Stati membri abbiano acquisito la certezza che il richiedente non potrà recarsi nel «paese terzo sicuro», la verifica effettuata, durante la seconda di tali fasi, riguardo all’effettività dell’ammissione o della riammissione è priva di oggetto. In una simile situazione, ritengo che, in ragione dell’impossibilità constatata, sin dalla prima fase, di un’ammissione o di una riammissione del richiedente protezione internazionale, gli Stati membri non possano adottare nei confronti di tale richiedente una decisione di inammissibilità fondata sul concetto di «paese terzo sicuro».

61.      A mio avviso, tale conclusione non può essere inficiata dalla circostanza che il paese interessato sia stato precedentemente designato da una normativa nazionale come generalmente sicuro. Infatti, tale designazione, che è subordinata soltanto alla certezza del rispetto dei principi enunciati all’articolo 38, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, non dipende dall’esistenza di motivi per ritenere che un determinato richiedente sarà ammesso o riammesso in tale paese.

62.      Mi sembra inoltre che due elementi confermino tale analisi.

63.      In primo luogo, si deve ricordare che, ai sensi del considerando 18 della direttiva 2013/32, «[è] nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione internazionale che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo» (19). Orbene, ritengo che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, sarebbe contrario all’obbligo di celerità che discende da tale articolo attendere il momento dell’esecuzione di una decisione che respinge una domanda in quanto inammissibile per trarre le conseguenze di uno stato di fatto conosciuto sin dall’esame della domanda di protezione internazionale.

64.      In secondo luogo, tale soluzione è esplicitamente ripresa dal legislatore dell’Unione nel regolamento (UE) 2024/1348 (20). Così, dal considerando 53 e dall’articolo 38, paragrafo 1, lettera b), di tale regolamento risulta che le autorità competenti di uno Stato membro non possono respingere una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile sulla base del concetto di «paese terzo sicuro» quando, nella fase di esame dell’ammissibilità, è chiaro che il richiedente non sarà ammesso o riammesso nel paese terzo interessato.

65.      Giunto a questo punto del mio ragionamento, mi sembra importante presentare, sulla base delle informazioni fornite dal governo greco in udienza, la procedura seguita dalle autorità di tale paese in quanto essa illustra le difficoltà sollevate da una prassi consistente nell’attendere il momento dell’esecuzione di una decisione di inammissibilità allorché è già appurato che, a causa della sospensione generalizzata delle riammissioni, il richiedente protezione internazionale non sarà ammesso nel paese terzo in questione.

66.      Tale procedura può essere schematicamente descritta nel modo seguente. Anzitutto, le autorità greche adottano una decisione che respinge in quanto inammissibile la domanda di protezione internazionale per il motivo che, con un atto di portata generale, la Turchia è stata designata, nei confronti di talune categorie di richiedenti, come un paese terzo sicuro.

67.      Successivamente, nella fase dell’esecuzione di tale decisione, la Grecia si rivolge alla Turchia per sapere se è disposta ad autorizzare l’ingresso del richiedente nel suo territorio. Poiché le autorità turche rifiutano di rispondere a tutte le domande presentate in tal senso, le autorità greche attendono per un periodo di tempo, che è stato qualificato come «ragionevole» (21) in udienza, prima di constatare l’impossibilità di procedere alla riammissione del richiedente.

68.      Infine, una volta effettuata tale constatazione, il governo greco ha dichiarato che spetta all’interessato presentare una nuova domanda in tal senso in quanto, secondo la normativa greca, le autorità competenti non hanno l’obbligo di riprendere d’ufficio l’esame della domanda di protezione internazionale (22).

69.      Tale presentazione mi conduce a formulare osservazioni aggiuntive, idonee a corroborare la mia analisi, sulla portata dell’obbligo imposto agli Stati membri di esaminare nel merito una domanda di protezione internazionale nell’ipotesi in cui il richiedente non sia autorizzato all’ingresso nel territorio del paese terzo sicuro.

70.      Al riguardo, si deve ricordare che, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 2013/32, si intende per «richiedente» un «cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione definitiva», mentre la decisione definitiva è definita all’articolo 2, lettera e), di tale direttiva come «una decisione che stabilisce se a un cittadino di un paese terzo o a un apolide è concesso lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria a norma della direttiva [direttiva 2011/95] (...)». Ne discende, come avevo sostenuto nelle conclusioni che ho presentato nelle cause riunite Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (23), che un migrante perde la sua qualità di richiedente solo al momento dell’adozione di una decisione che esclude il riconoscimento dello status di rifugiato o di persona che necessita di una protezione sussidiaria o, in altre parole, di una decisione nel merito.

71.      Orbene, l’applicazione del concetto di «paese terzo sicuro» ha la funzione di permettere alle autorità di uno Stato membro di trasferire la responsabilità dell’esame di una domanda di protezione internazionale su un altro paese, per il quale vi è la certezza che tratterà il migrante conformemente ai principi enunciati all’articolo 38, paragrafo 1, della direttiva 2013/32. Sotto questo profilo, tale concetto garantisce all’interessato un esame nel merito della sua domanda di protezione internazionale, nello Stato membro in cui ha presentato la propria domanda, oppure, in caso di ammissione o riammissione effettiva, nel paese terzo interessato.

72.      Sulla base di tali elementi, mi sembra che occorra distinguere due situazioni.

73.      La prima di tali situazioni corrisponde a quella in cui uno Stato membro, dopo aver constatato l’esistenza di motivi per ritenere che il richiedente si rechi nel paese qualificato come paese «terzo sicuro», adotta una decisione di inammissibilità. Se, nella fase dell’esecuzione di tale decisione, risulta che detto paese non autorizza l’ingresso di tale persona nel suo territorio, quest’ultima conserva il proprio status di richiedente, cosicché lo Stato membro deve riprendere d’ufficio l’esame della domanda di protezione internazionale.

74.      La seconda di tali situazioni corrisponde a quella del procedimento principale. In tal caso, lo Stato membro, senza poter adottare una decisione di inammissibilità in applicazione del concetto di «paese terzo sicuro», deve proseguire l’esame della domanda di protezione internazionale (24).

75.      Tenuto conto dell’insieme di tali considerazioni, suggerisco alla Corte di considerare che, nella circostanza in cui uno Stato membro abbia acquisito sin dall’esame della domanda di protezione internazionale la certezza che il richiedente non sarà autorizzato a recarsi nel territorio di un paese designato come generalmente sicuro, l’articolo 38 della direttiva 2013/32 osta all’adozione di una decisione di inammissibilità fondata sul concetto di «paese terzo sicuro».

VI.    Conclusione

76.      Alla luce dell’insieme di tali considerazioni, propongo di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato, Grecia) nel modo seguente:

L’articolo 38 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale

dev’essere interpretato nel senso che:

1.      esso non osta a una normativa nazionale che designa un paese terzo come generalmente sicuro nei confronti di talune categorie di richiedenti protezione internazionale mentre, nonostante il proprio obbligo giuridico, tale paese ha sospeso in via generale e senza una prevedibile prospettiva di modifica di tale posizione, l’ammissione o la riammissione di tali richiedenti;

2.      esso osta a una normativa nazionale che prevede l’adozione di una decisione la quale, in applicazione del concetto di «paese terzo sicuro», considera una domanda di protezione internazionale inammissibile mentre, sin dall’esame di tale domanda, lo Stato membro ha acquisito la certezza che il paese terzo in questione non consentirà al richiedente l’ingresso nel suo territorio.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).


3      GU 2014, L 134, pag. 3, e rettifica in GU 2014, L 331, pag. 40.


4      GU 2014, L 134, pag. 1.


5      Decisione che stabilisce la posizione che dev’essere adottata a nome dell’Unione europea in sede di comitato misto per la riammissione in merito a una decisione del comitato misto per la riammissione sulle modalità di attuazione per applicare gli articoli 4 e 6 dell’[accordo UE‑Turchia sulla riammissione] a decorrere dal 1º giugno 2016 (GU 2016, L 95, pag. 9).


6      In proposito, si deve ricordare che, conformemente a una giurisprudenza consolidata, non spetta alla Corte formulare opinioni consultive su questioni generiche o ipotetiche. V., in tal senso, sentenza del 20 ottobre 2022, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento della vittima della tratta di esseri umani) (C‑66/21, EU:C:2022:809, punto 82 e giurisprudenza ivi citata).


7      Sentenza del 18 gennaio 2024, Hewlett Packard Development Company (C‑367/21, EU:C:2024:61, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).


8      C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:294, paragrafi da 111 a 114 nonché 127.


9      Sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punti da 172 a 174).


10      La posizione del governo turco è illustrata nella sesta relazione annuale sullo strumento per i rifugiati in Turchia [COM(2022) 243 final]. In tale comunicazione indirizzata al Consiglio dell’Unione europea e al Parlamento europeo, la Commissione rileva in particolare: «In merito alle ripetute richieste delle autorità greche e della Commissione europea, concernenti la ripresa delle operazioni di rimpatrio, la Turchia ha dichiarato che non avrà luogo alcun rimpatrio a meno che non cessino i presunti respingimenti lungo il confine greco‑turco e la Grecia non revochi la decisione di considerare la Turchia un paese terzo sicuro»).


11      Sentenza dell’8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata) (C‑216/22, EU:C:2024:122, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).


12      Sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa) (C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 36). Si deve peraltro sottolineare che l’accordo UE‑Turchia sulla riammissione fissa le condizioni alle quali talune categorie di migranti possono essere riammesse nel territorio turco. Tale accordo istituisce soltanto un quadro giuridico generale distinto dalle norme procedurali comuni previste per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale disciplinate dalla direttiva 2013/32. Ne deriva che tale accordo è privo di incidenza sull’applicazione del concetto di «paese terzo sicuro», la quale dipende unicamente dal soddisfacimento delle condizioni previste all’articolo 33, paragrafi da 1 a 4, della direttiva 2013/32.


13      Conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa LH (Tompa) (C‑564/18, EU:C:2019:1056, paragrafo 42).


14      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).


15      Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 137, n. 2545 (1954)].


16      Il corsivo è mio.


17      Si deve rilevare che il regolamento (UE) 2024/1348 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE (GU L, 2024/1348, 22.5.2024) prevede esplicitamente, ai suoi articoli 60 e 64 la possibilità di designare un paese terzo come paese terzo sicuro sia a livello dell’Unione sia a livello nazionale.


18      V., altresì, UNHCR, «UNHCR Statement on safe country concepts and the right to an effective remedy in admissibility procedures », settembre 2019.


19      Tale obbligo si concretizza in particolare all’articolo 31, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, il quale impone agli Stati membri di provvedere affinché la procedura di esame sia espletata quanto prima possibile, fatto salvo un esame adeguato e completo.


20      Regolamento (UE) 2024/1348 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE (GU L, 2024/1348, 22.5.2024). Tale nuovo regolamento si applica, in virtu’ del suo articolo 79, paragrafo 3, alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale per quanto riguarda le domande presentate a partire dal 12 giugno 2026, posto che le domande di protezione internazionale presentate prima di tale data continuano ad essere disciplinate dalla direttiva 2013/32.


21      Rilevo che, al di là di tale aggettivo qualificativo, il governo greco ha dichiarato, in udienza, che detto termine corrispondeva a più mesi senza poter comunicare dati più precisi riguardo alla sua esatta durata. In ogni caso, ritengo che un termine siffatto abbia carattere meramente artificioso dal momento che è certo che il richiedente non sarà riammesso nel territorio turco. A mio avviso, una simile constatazione caratterizza il mancato rispetto dell’obbligo di celerità imposto dalla direttiva 2013/32.


22      Secondo le spiegazioni fornite dal governo greco, tale nuova domanda dev’essere considerata ammissibile e, di conseguenza, dev’essere oggetto di un esame nel merito. Un simile obbligo risulta discendere dall’articolo 86, paragrafo 5, della legge greca sulla protezione internazionale secondo il quale «[s]e il paese terzo summenzionato non concede al richiedente l’ingresso nel proprio territorio, la sua domanda è esaminata nel merito dalle autorità competenti a decidere».


23      C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:294, paragrafo 118.


24      A mio avviso, salvo nell’ipotesi di disposizioni nazionali più favorevoli, nulla vieta a uno Stato membro, che prosegue l’esame della domanda di protezione internazionale, di addurre un altro dei motivi di inammissibilità elencati all’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32.

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