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Document 62022CJ0479
Judgment of the Court (Sixth Chamber) of 7 March 2024.#OC v European Commission.#Appeal – Actions for damages – Non-contractual liability of the European Union – Alleged unlawful conduct of the European Anti-Fraud Office (OLAF) – Press release from OLAF – Protection of natural persons with regard to the processing of personal data by the Union institutions, bodies, offices and agencies – Regulation (EU) 2018/1725 – Article 3, point 1 – Concepts of ‘personal data’ and of ‘identifiable natural person’ – Investigations conducted by OLAF – Regulation (EU, Euratom) No 883/2013 – Presumption of innocence – Right to good administration.#Case C-479/22 P.
Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 7 marzo 2024.
OC contro Commissione europea.
Impugnazione – Ricorso per risarcimento danni – Responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea – Comportamento asseritamente illecito dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) – Comunicato stampa dell’OLAF – Tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione – Regolamento (UE) 2018/1725 – Articolo 3, punto 1 – Nozione di “dati personali” e di “persona fisica identificabile” – Indagini svolte dall’OLAF – Regolamento (UE, Euratom) n. 883/2013 – Presunzione d’innocenza – Diritto al buon andamento dell’amministrazione.
Causa C-479/22 P.
Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 7 marzo 2024.
OC contro Commissione europea.
Impugnazione – Ricorso per risarcimento danni – Responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea – Comportamento asseritamente illecito dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) – Comunicato stampa dell’OLAF – Tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione – Regolamento (UE) 2018/1725 – Articolo 3, punto 1 – Nozione di “dati personali” e di “persona fisica identificabile” – Indagini svolte dall’OLAF – Regolamento (UE, Euratom) n. 883/2013 – Presunzione d’innocenza – Diritto al buon andamento dell’amministrazione.
Causa C-479/22 P.
Court reports – general
ECLI identifier: ECLI:EU:C:2024:215
SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)
7 marzo 2024 ( *1 )
«Impugnazione – Ricorso per risarcimento danni – Responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea – Comportamento asseritamente illecito dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) – Comunicato stampa dell’OLAF – Tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione – Regolamento (UE) 2018/1725 – Articolo 3, punto 1 – Nozione di “dati personali” e di “persona fisica identificabile” – Indagini svolte dall’OLAF – Regolamento (UE, Euratom) n. 883/2013 – Presunzione d’innocenza – Diritto al buon andamento dell’amministrazione»
Nella causa C‑479/22 P,
avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 14 luglio 2022,
OC, rappresentata da I. Ktenidis, dikigoros,
ricorrente,
procedimento in cui l’altra parte è:
Commissione europea, rappresentata da T. Adamopoulos e J. Baquero Cruz, F. Blanc Simonetti e A. Bouchagiar, in qualità di agenti,
convenuta in primo grado,
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta da T. von Danwitz (relatore), presidente di sezione, P.G. Xuereb e A. Kumin, giudici,
avvocato generale: N. Emiliou
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 |
Con la sua impugnazione OC chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 4 maggio 2022, OC/Commissione (T‑384/20; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2022:273), con la quale quest’ultimo ha respinto il suo ricorso, basato sull’articolo 268 TFUE e diretto a ottenere il risarcimento del danno che essa avrebbe subito a causa del comunicato stampa n. 13/2020 dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (in prosieguo: l’«OLAF»), del 5 maggio 2020, intitolato «Un’indagine condotta dall’OLAF rivela una frode legata al finanziamento della ricerca in Grecia» (OLAF investigation uncovers research funding fraud in Greece) (in prosieguo: il «comunicato stampa controverso»), in quanto esso avrebbe proceduto ad un trattamento illecito dei suoi dati personali e veicolato false informazioni sul suo conto. |
I. Contesto normativo
A. Regolamento (UE, Euratom) n. 883/2013
2 |
L’articolo 5 del regolamento (UE, Euratom) n. 883/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 settembre 2013, relativo alle indagini svolte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) e che abroga il regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (Euratom) n. 1074/1999 del Consiglio (GU 2013, L 248, pag. 1), intitolato «Avvio delle indagini», al paragrafo 1 prevede che: «Il direttore generale può avviare un’indagine in presenza di un sufficiente sospetto, che può anche basarsi su informazioni fornite da terzi o su informazioni anonime, che induca a supporre l’esistenza di frodi, corruzione o ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari dell’Unione [europea]. La decisione del direttore generale di avviare o no un’indagine tiene conto delle priorità della politica dell’[OLAF] in materia di indagini e del relativo piano di gestione annuale, stabiliti conformemente all’articolo 17, paragrafo 5. Tale decisione tiene conto altresì della necessità di utilizzare in maniera efficiente le risorse dell’[OLAF] e della proporzionalità delle misure impiegate. Con riguardo alle indagini interne, si tiene conto specificamente dell’istituzione, dell’organo o dell’organismo più adeguato a svolgerle, in particolare sulla base della natura dei fatti, dell’incidenza finanziaria effettiva o potenziale del caso e della probabilità di un seguito giudiziario». |
3 |
L’articolo 9 di tale regolamento, intitolato «Garanzie procedurali», enuncia, al paragrafo 1, quanto segue: «Nelle sue indagini l’[OLAF] raccoglie elementi a carico e a favore della persona interessata. Le indagini sono svolte in modo obiettivo e imparziale e conformemente al principio della presunzione d’innocenza e alle garanzie procedurali enunciate nel presente articolo». |
4 |
L’articolo 10 di detto regolamento, intitolato «Riservatezza e tutela dei dati», così dispone: «1. Le informazioni trasmesse o ottenute in qualsiasi forma nell’ambito di indagini esterne sono protette dalle disposizioni pertinenti. 2. Le informazioni trasmesse o ottenute in qualsiasi forma nell’ambito di indagini interne sono coperte dal segreto d’ufficio e godono della tutela concessa dalle norme applicabili alle istituzioni dell’Unione. (...) 5. Il direttore generale assicura che qualsiasi informazione sia fornita al pubblico in modo neutrale e imparziale e che la sua divulgazione avvenga nel rispetto della riservatezza delle indagini e sia conforme ai principi di cui al presente articolo e all’articolo 9, paragrafo 1. (...)». |
5 |
L’articolo 11 del regolamento n. 883/2013, rubricato «Relazione sulle indagini e provvedimenti conseguenti alle indagini», al paragrafo 1 così dispone: «Al termine di un’indagine da parte dell’[OLAF] è redatta una relazione sotto l’autorità del direttore generale. Tale relazione descrive la base giuridica dell’indagine, le fasi procedurali seguite, i fatti accertati e la loro qualificazione giuridica preliminare, l’incidenza finanziaria stimata dei fatti accertati, il rispetto delle garanzie procedurali conformemente all’articolo 9 e le conclusioni dell’indagine. La relazione è accompagnata dalle raccomandazioni del direttore generale sull’opportunità di adottare provvedimenti. Tali raccomandazioni indicano, se del caso, eventuali misure disciplinari, amministrative, finanziarie e/o giudiziarie che le istituzioni, gli organi e gli organismi e le autorità competenti degli Stati membri interessati devono adottare, e precisano in particolare gli importi stimati da recuperare, nonché la qualificazione giuridica preliminare dei fatti accertati». |
B. RGPD
6 |
L’articolo 2 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1; in prosieguo: il «RGPD»), intitolato «Ambito di applicazione materiale», al paragrafo 3 così dispone: «Per il trattamento dei dati personali da parte di istituzioni, organi, uffici e agenzie dell’Unione, si applica il regolamento (CE) n. 45/2001 [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2000, concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonché la libera circolazione di tali dati (GU 2001, L 8, pag. 1)]. Il regolamento (CE) n. 45/2001 e gli altri atti giuridici dell’Unione applicabili a tale trattamento di dati personali devono essere adeguati ai principi e alle norme del presente regolamento conformemente all’articolo 98». |
7 |
L’articolo 4 del RGPD, intitolato «Definizioni», è così formulato: «Ai fini del presente regolamento s’intende per:
(...)». |
8 |
L’articolo 98 del RGPD, rubricato «Riesame di altri atti legislativi dell’Unione in materia di protezione dei dati», prevede quanto segue: «Se del caso, la Commissione [europea] presenta proposte legislative di modifica di altri atti legislativi dell’Unione in materia di protezione dei dati personali, allo scopo di garantire una protezione uniforme e coerente delle persone fisiche con riguardo al trattamento. Ciò riguarda in particolare le norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento da parte di istituzioni, organi, uffici e agenzie dell’Unione e le norme sulla libera circolazione di tali dati». |
C. Regolamento (UE) 2018/1725
9 |
I considerando 4, 5 e 16 del regolamento (UE) 2018/1725 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione e sulla libera circolazione di tali dati, e che abroga il regolamento (CE) n. 45/2001 e la decisione n. 1247/2002/CE (GU 2018, L 295, pag. 39), sono formulati come segue:
(...)
|
10 |
L’articolo 2 del regolamento 2018/1725, intitolato «Ambito di applicazione», enuncia, al paragrafo 1, che tale regolamento «si applica al trattamento di dati personali da parte di tutte le istituzioni e di tutti gli organi dell’Unione». |
11 |
L’articolo 3 del citato regolamento, intitolato «Definizioni», così dispone: «Ai fini del presente regolamento si applicano le seguenti definizioni:
(...)
(...)». |
12 |
Gli articoli 4 e 5 del regolamento 2018/1725 enunciano, rispettivamente, i principi applicabili al trattamento di dati personali e le condizioni di liceità del trattamento. L’articolo 6 di tale regolamento fissa gli elementi di cui il titolare del trattamento deve tenere conto al fine di verificare se il trattamento per un’altra finalità rispetto alla finalità per la quale i dati personali sono stati inizialmente raccolti sia compatibile con quest’ultima. Infine, l’articolo 15 di detto regolamento stabilisce l’elenco delle informazioni da fornire qualora i dati personali siano raccolti presso l’interessato. |
II. Fatti
13 |
I fatti all’origine della controversia, che figurano ai punti da 1 a 8 della sentenza impugnata, possono essere riassunti, ai fini del presente procedimento, come segue. |
14 |
La ricorrente, di cittadinanza ellenica, è ricercatrice universitaria nei settori delle applicazioni nella nanotecnologia, dello stoccaggio di energia e della biomedicina. |
15 |
Nel corso del 2007 ella ha presentato al Consiglio europeo della ricerca una proposta di ricerca vertente su un progetto intitolato «Studio del passaggio dal micro al nano: fondamenti, simulazioni e applicazioni teoriche e sperimentali» (in prosieguo: il «progetto»). |
16 |
Il 30 settembre 2008 la Commissione delle Comunità europee e l’Aristoteleio Panepistimio Thessalonikis (Università Aristotele di Salonicco, Grecia) (in prosieguo: l’«università Aristotele») hanno sottoscritto la convenzione di sovvenzione n. 211166 (in prosieguo: la «convenzione»), relativa al progetto. L’università Aristotele è stata designata come istituto ospitante il progetto. Il 15 luglio 2009 è entrata in vigore una clausola aggiuntiva a tale convenzione, ai sensi della quale la Commissione è stata sostituita dall’Agenzia esecutiva del Consiglio europeo della ricerca (in prosieguo: l’«ERCEA»), in qualità di parte contraente della convenzione con tale università. |
17 |
La convenzione prevedeva un importo massimo di EUR 1128400 a titolo di sovvenzione per la realizzazione del progetto, che è stato concesso all’università Aristotele in qualità di beneficiario principale, alla ricorrente in quanto ricercatrice principale nonché ad un altro istituto di ricerca situato in Grecia, che è stato sostituito, il 25 febbraio 2012, da un altro istituto di ricerca situato in Germania. Il progetto è stato realizzato in un laboratorio di tale università di cui il padre della ricorrente aveva la direzione. |
18 |
Poiché il progetto si è concluso il 30 settembre 2013, l’università Aristotele ha dichiarato all’ERCEA spese per un importo totale pari a EUR 1116189,21, ivi incluse le spese per il personale per un importo pari a EUR 255219,37, nonché un importo pari a EUR 15020,54 a titolo di spese di viaggio. Essa ha chiesto il versamento di tale somma in forza della convenzione. |
19 |
A seguito di un controllo finanziario ex post, l’ERCEA ha concluso che le spese per il personale di importo pari a EUR 245525,43 non erano finanziabili e ha deciso di richiedere all’università Aristotele il rimborso di tale somma, emettendo una nota di addebito a tal fine. L’università Aristotele ha contestato la fondatezza di tale nota di addebito dinanzi al Tribunale. Con sentenza del 17 gennaio 2019, Aristoteleio Panepistimio Thessalonikis/ERCEA (T‑348/16 OP, EU:T:2019:14), il Tribunale ha dichiarato che il credito indicato nella nota di addebito dell’ERCEA, diretto a che detta università rimborsasse un importo pari a EUR 245525,43, era infondato a concorrenza dell’importo di EUR 233611,75, corrispondente alle spese finanziabili. Tale sentenza è stata successivamente confermata dalla Corte, a seguito di impugnazione, con sentenza del 14 gennaio 2021, ERCEA/Aristoteleio Panepistimio Thessalonikis (C‑280/19 P, EU:C:2021:23). |
20 |
Poiché l’ERCEA ha altresì informato l’OLAF dei risultati della sua verifica, il 29 maggio 2015 il direttore generale dell’OLAF ha deciso, conformemente all’articolo 5 del regolamento n. 883/2013, di avviare un’indagine su eventuali irregolarità o su un’eventuale frode nell’ambito dell’esecuzione del progetto. |
21 |
Nella sua relazione finale relativa alla sua indagine, datata 11 novembre 2019, l’OLAF ha esposto varie constatazioni. Sulla base di tali constatazioni, esso ha, da un lato, raccomandato all’ERCEA di adottare le misure adeguate per recuperare i versamenti considerati indebiti presso l’università Aristotele. Dall’altro lato, esso ha trasmesso tale relazione alle autorità giudiziarie nazionali e ha raccomandato loro di avviare procedimenti per frode nonché per falso e uso di atto falso a carico della ricorrente, di suo padre e di alcuni membri del personale di tale università. |
22 |
Il 5 maggio 2020 l’OLAF ha pubblicato sul suo sito internet il comunicato stampa controverso. Tale comunicato, che menzionava l’indagine di cui ai punti 20 e 21 della presente sentenza, era così formulato: «La tutela del bilancio dell’Unione previsto per la ricerca ha sempre rivestito un’importanza particolare per l’[OLAF]. Gli investigatori dell’[OLAF] hanno scoperto una complessa frode che coinvolgeva una scienziata greca e la sua rete di ricercatori internazionali. Il caso riguarda una sovvenzione di importo pari a circa EUR 1,1 milioni, concessa dall’[ERCEA] ad un’università greca. Tali fondi erano destinati al finanziamento di un progetto di ricerca condotto sotto la responsabilità di una giovane promettente scienziata, il cui padre lavorava presso l’università in questione. Il progetto comprendeva una rete di oltre 40 ricercatori provenienti da tutto il mondo posta sotto la direzione dalla scienziata greca. L’OLAF ha iniziato a nutrire sospetti quando ha scoperto come i ricercatori internazionali sarebbero stati asseritamente pagati. Gli assegni venivano emessi a nome dei singoli ricercatori, ma venivano poi depositati su conti bancari aventi molteplici titolari. I sospetti si sono moltiplicati quando è emerso che gli assegni venivano depositati sui conti bancari da parte della scienziata capo. La squadra degli investigatori dell’OLAF ha quindi deciso di procedere ad un controllo in loco nell’università in questione. Nonostante i tentativi della ricercatrice principale di fare ostruzionismo contro le indagini, grazie all’aiuto delle autorità nazionali greche di contrasto, che hanno consentito l’accesso ai conti bancari, e grazie alle indagini criminologiche digitali dell’OLAF stesso, l’OLAF ha potuto ricostruire la vera storia che si nascondeva dietro la frode. Sono state ritrovate prove concrete che dimostrano che la scienziata principale aveva aperto i conti bancari utilizzati per il “pagamento” dei ricercatori internazionali e si era designata contitolare di tali conti allo scopo di avere accesso ai fondi. L’OLAF ha seguito le piste finanziarie ed è riuscito a dimostrare che ingenti somme erano state prelevate in contanti dalla scienziata o trasferite sul suo conto personale. L’OLAF ha contattato alcuni ricercatori che avrebbero dovuto partecipare al progetto di ricerca. Nessuno di essi sapeva che il proprio nome era correlato al progetto, né era a conoscenza dei conti bancari aperti a loro nome o del minimo pagamento a loro favore. (...) L’indagine si è conclusa a novembre dello scorso anno, con raccomandazioni che invitavano, da un lato, l’ERCEA a recuperare circa EUR 190000 (ossia la quota della sovvenzione di EUR 1,1 milioni asseritamente versata a favore dei ricercatori internazionali) e, dall’altro lato, le autorità nazionali ad avviare procedimenti giudiziari nei confronti delle persone coinvolte». |
III. Ricorso dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata
23 |
Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 giugno 2020 la ricorrente ha proposto un ricorso ai sensi dell’articolo 268 TFUE, diretto ad ottenere la condanna della Commissione a risarcire il danno morale che il comunicato stampa controverso le avrebbe asseritamente causato. |
24 |
A sostegno del suo ricorso la ricorrente ha affermato che, rendendo pubblico il comunicato stampa controverso, l’OLAF avrebbe palesemente violato le norme del regolamento 2018/1725 sulla tutela dei dati personali, il principio della presunzione d’innocenza previsto all’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2013, l’obbligo di rispettare la riservatezza delle indagini, previsto all’articolo 10, paragrafo 5, di quest’ultimo regolamento, il diritto ad un buon andamento dell’amministrazione, previsto all’articolo 41 della Carta, nonché il principio di proporzionalità. |
25 |
Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto l’insieme dei motivi sollevati dalla ricorrente nei confronti dell’OLAF e ha respinto, nella sua interezza, il ricorso da essa proposto. |
IV. Conclusioni delle parti
26 |
Con la sua impugnazione la ricorrente chiede che la Corte voglia:
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27 |
La Commissione chiede che la Corte voglia:
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V. Sull’impugnazione
28 |
A sostegno del suo ricorso la ricorrente deduce tre motivi vertenti, il primo, sull’erronea interpretazione della nozione di «persona fisica identificabile», ai sensi dell’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725, il secondo, sull’interpretazione erronea dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2013 e dell’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), per quanto concerne la portata della presunzione d’innocenza, nonché, il terzo, sullo snaturamento degli elementi di prova relativi alla violazione dell’articolo 41 della Carta concernente il diritto ad un buon andamento dell’amministrazione. |
A. Sul primo motivo
29 |
Con il primo motivo d’impugnazione, che è suddiviso in quattro parti, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe violato il diritto dell’Unione concludendo, ai punti 91 e 92 della sentenza impugnata, che essa non aveva dimostrato che il comunicato stampa controverso avesse consentito, di per sé ed anche con l’ausilio dei mezzi che un lettore può ragionevolmente adoperare, di identificare la ricorrente, per cui le informazioni contenute in tale comunicato non rientrerebbero nella nozione di «dati personali», ai sensi dell’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725, e tale regolamento non sarebbe applicabile. |
1. Sulla prima e seconda parte del primo motivo
a) Argomenti delle parti
30 |
Con la prima e seconda parte del primo motivo, che occorre esaminare congiuntamente, la ricorrente contesta al Tribunale di aver applicato criteri giuridici errati al fine di interpretare la nozione di «persona fisica identificabile», di cui all’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725. |
31 |
Per quanto riguarda la prima parte, essa sostiene che il Tribunale, al punto 49 della sentenza impugnata, avrebbe commesso un errore di diritto affermando che la sua identificazione doveva derivare dal comunicato stampa controverso e non poteva risultare da elementi esterni o complementari non riconducibili al comportamento addebitato all’OLAF. Secondo la giurisprudenza della Corte, sarebbe inerente alla nozione di «identificazione indiretta» il fatto che elementi aggiuntivi siano necessari per l’identificazione; elementi che possono essere a disposizione di una persona diversa rispetto al titolare del trattamento (v., in tal senso, sentenza del 19 ottobre 2016, Breyer, C‑582/14, EU:C:2016:779, punti 39 e 41). |
32 |
Il Tribunale avrebbe, quindi, erroneamente considerato, al punto 76 della sentenza impugnata, che una persona fisica alla quale si riferisce un’informazione è «identificabile», ai sensi dell’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725, solo se la sua identità può essere accertata da un «lettore medio» che non disponga egli stesso di elementi aggiuntivi che gli consentano di stabilire l’identità della persona alla quale l’informazione si riferisce. Al contrario, tale disposizione riguarderebbe qualsiasi persona diversa dal titolare del trattamento che disponga di tali elementi. Pertanto il Tribunale, ai punti 81, 82 e 87 della sentenza impugnata, avrebbe erroneamente rifiutato di prendere in considerazione la circostanza che il giornalista tedesco, di cui al punto 77 della sentenza impugnata, l’aveva identificata come la persona interessata dal comunicato stampa controverso. Il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare che ella poteva essere identificata da un lettore che disponeva di elementi aggiuntivi, al pari di tale giornalista tedesco, e che, in ogni caso, gli identificativi contenuti in tale comunicato stampa erano in grado di condurre alla sua identificazione da parte dei suoi familiari e dei suoi colleghi, che conoscevano il suo percorso professionale nonché il suo coinvolgimento quale ricercatrice principale nell’ambito del progetto. |
33 |
Con la seconda parte del primo motivo la ricorrente sostiene che il Tribunale, ai punti 65, 67 e 68 della sentenza impugnata, ha commesso un errore di diritto nel considerare che solo mezzi minori o irrilevanti, idonei a dimostrare facilmente e rapidamente l’identità della persona alla quale l’informazione si riferisce, rientrano nella nozione di «ragionevole probabilità di utilizzo dei mezzi» per identificare la persona alla quale i dati personali si riferiscono. Infatti, il considerando 16 del regolamento 2018/1725 enuncerebbe unicamente che, per accertare la ragionevole probabilità di utilizzo dei mezzi per identificare la persona fisica, si debbano prendere in considerazione i costi e il tempo necessari per l’identificazione, senza esigere che tali costi o tale tempo siano minimi o irrilevanti. |
34 |
La Commissione conclude per il rigetto della prima e seconda parte del primo motivo. |
35 |
Per quanto riguarda la prima parte, tale istituzione sostiene che il regolamento 2018/1725 considererebbe il «rischio di identificazione» come criterio di definizione della possibilità di identificazione, e si riferirebbe alla necessità di prendere in considerazione «l’insieme dei fattori oggettivi» al fine di determinare tale rischio. Pertanto, la mera possibilità ipotetica di distinguere una persona non sarebbe sufficiente per considerarla «identificabile». Nel ricordare che l’impugnazione è limitata alle questioni di diritto, la Commissione rileva che il Tribunale avrebbe esaminato le affermazioni in fatto della ricorrente al fine di stabilire se essa potesse essere identificata, direttamente o indirettamente, sottolineando al contempo che sarebbe spettato a quest’ultima fornire la prova che le condizioni per una responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340 TFUE, fossero soddisfatte. Orbene il Tribunale avrebbe concluso, al punto 73 della sentenza impugnata, che la ricorrente non aveva dimostrato di poter essere identificata con certezza da un lettore del comunicato stampa controverso, grazie ai mezzi di cui ci si può ragionevolmente avvalere. |
36 |
Inoltre la Commissione chiarisce che il Tribunale avrebbe concluso, al punto 58 della sentenza impugnata, che la ricorrente non aveva dimostrato l’esistenza di alcun caso specifico in cui essa fosse stata identificata a mezzo della sola lettura del comunicato stampa controverso. Pertanto, la ricorrente non avrebbe potuto validamente trarre argomenti dal fatto che essa avrebbe potuto essere identificata dai suoi familiari o dai colleghi. Inoltre, come risulterebbe dai punti 73 e da 78 a 81 della sentenza impugnata, sarebbe stato dimostrato dinanzi al Tribunale che l’unica persona che aveva determinato e rivelato al pubblico l’identità della ricorrente era il giornalista tedesco, ma anche che quest’ultimo conosceva già la sua carriera e quella di suo padre e che detto giornalista disponeva di un gran numero di informazioni. Orbene, in sede di impugnazione non si potrebbe contestare che detto giornalista disponesse di «conoscenze esterne soggettive» sulla ricorrente. |
37 |
Per quanto riguarda la seconda parte del primo motivo, la Commissione sostiene che dai punti da 65 a 68 della sentenza impugnata non risulterebbe che solo i motivi «minori o irrilevanti» rispondano alla definizione di «ragionevole probabilità di utilizzo dei mezzi». In particolare, l’argomentazione della ricorrente si baserebbe su una lettura erronea e isolata dell’ultima frase del punto 65 della sentenza impugnata, che dovrebbe essere letta congiuntamente al resto del contenuto di tale punto 65 e ai punti da 61 a 68 di tale sentenza, nei quali il Tribunale ha esaminato l’argomentazione della ricorrente. Il criterio giuridico utilizzato dal Tribunale avrebbe riguardato precisamente la questione se la ricorrente fosse identificabile nel comunicato stampa controverso con l’ausilio dei mezzi di cui ci si può ragionevolmente avvalere. |
b) Giudizio della Corte
38 |
Con la prima e seconda parte del primo motivo la ricorrente addebita, in sostanza, al Tribunale di essere incorso in diversi errori di diritto nel dichiarare che le informazioni contenute nel comunicato stampa controverso non rientrano nella nozione di «dati personali», ai sensi dell’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725 e che, di conseguenza, tale regolamento non era ad esso applicabile. |
1) Sulla ricevibilità della prima parte del primo motivo
39 |
La Commissione ritiene che taluni argomenti formulati a sostegno della prima parte del primo motivo rientrino nella valutazione dei fatti da parte del Tribunale e sfuggano, a tale titolo, al controllo della Corte nell’ambito della presente impugnazione. |
40 |
A tale riguardo occorre ricordare che la qualificazione giuridica di un fatto o di un atto, effettuata dal Tribunale, è una questione di diritto che può essere sollevata nell’ambito di un’impugnazione (sentenza del 12 maggio 2022, Klein/Commissione, C‑430/20 P, EU:C:2022:377, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). |
41 |
Orbene, dalla formulazione della prima parte del primo motivo, nonché dall’insieme degli argomenti dedotti a suo sostegno, risulta che la ricorrente contesta al Tribunale di aver commesso un errore di diritto fondandosi su criteri giuridici errati nella sua interpretazione dei termini «persona fisica identificabile» e procedendo, su tale base, a una qualificazione giuridica erronea delle informazioni contenute nel comunicato stampa controverso come non rientranti nella nozione di «dati personali», di cui all’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725. |
42 |
Ne consegue che la prima parte del primo motivo è ricevibile. |
2) Sulla fondatezza della prima e seconda parte del primo motivo
43 |
In via preliminare occorre rilevare che la definizione della nozione di «dati personali», di cui all’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725, è sostanzialmente identica a quella di cui all’articolo 4, punto 1, del RGPD. Inoltre, come risulta dai considerando 4 e 5 del regolamento 2018/1725 nonché dall’articolo 2, paragrafo 3, e dall’articolo 98 del RGPD, il legislatore dell’Unione ha inteso istituire un regime di protezione dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione equivalente a quello del RGPD al fine di garantire una tutela uniforme e coerente delle persone fisiche riguardo al trattamento dei loro dati personali all’interno dell’Unione. Occorre quindi assicurare un’interpretazione identica dell’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725 e dell’articolo 4, punto 1, del RGPD. |
44 |
L’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725 enuncia che costituisce un dato personale «qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile». |
45 |
Orbene, la Corte ha dichiarato che l’uso dell’espressione «qualsiasi informazione» nella definizione della nozione di «dato personale», che figura all’articolo 4, punto 1, del RGPD, riflette l’obiettivo del legislatore dell’Unione di attribuire un’accezione estesa a tale nozione, che comprende potenzialmente ogni tipo di informazioni, tanto oggettive quanto soggettive, sotto forma di pareri o valutazioni, a condizione che esse «riguardino» la persona interessata. Un’informazione riguarda una persona fisica identificata o identificabile qualora, in ragione del suo contenuto, della sua finalità o del suo effetto, essa sia connessa a una persona identificabile (sentenza del 4 maggio 2023, Österreichische Datenschutzbehörde e CRIF, C‑487/21, EU:C:2023:369, punti 23 e 24). |
46 |
In ordine al carattere «identificabile» di una persona fisica, l’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725 precisa che si considera identificabile «la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale». |
47 |
L’uso da parte del legislatore dell’Unione del termine «indirettamente» indica tendenzialmente che, per qualificare un’informazione come dato personale, non è necessario che tale informazione consenta di per sé sola di identificare la persona interessata (v., per analogia, sentenza del 19 ottobre 2016, Breyer, C‑582/14, EU:C:2016:779, punto 41). |
48 |
Il considerando 16 del regolamento 2018/1725 precisa, a tal proposito, che per stabilire l’identificabilità di una persona è opportuno considerare «tutti i mezzi» di cui il titolare del trattamento o «un terzo può ragionevolmente» avvalersi per identificare detta persona fisica «direttamente o indirettamente». Pertanto, perché un dato possa essere qualificato come «dato personale», non si richiede che tutte le informazioni che consentono di identificare l’interessato debbano essere in possesso di una sola persona. (v., per analogia, sentenza del 19 ottobre 2016, Breyer, C‑582/14, EU:C:2016:779, punto 43). |
49 |
In particolare, la circostanza che informazioni aggiuntive siano necessarie per identificare la persona interessata non è idoneo ad escludere che i dati in questione possano essere qualificati come dati personali (v., per analogia, sentenza del 19 ottobre 2016, Breyer, C‑582/14, EU:C:2016:779, punto 44). |
50 |
Tuttavia, occorre ulteriormente che la possibilità di combinare i dati di cui trattasi con informazioni aggiuntive costituisca un mezzo di cui ci si può ragionevolmente avvalere per identificare la persona interessata. Per accertare la ragionevole probabilità di utilizzo dei mezzi per identificare una persona fisica si dovrebbe, secondo il considerando 16 del regolamento 2018/1725, prendere in considerazione l’insieme dei fattori oggettivi, tra cui i costi e il tempo necessari per l’identificazione, tenendo conto sia delle tecnologie disponibili al momento del trattamento sia degli sviluppi tecnologici. |
51 |
A tal proposito, la Corte ha già giudicato che non ci si può avvalere ragionevolmente di un mezzo per identificare la persona interessata quando l’identificazione di tale persona è vietata dalla legge o praticamente irrealizzabile, per esempio a causa del fatto che ciò implicherebbe un dispendio di tempo, costi e manodopera, facendo così apparire in realtà insignificante il rischio di identificazione (v., per analogia, sentenza del 19 ottobre 2016, Breyer, C‑582/14, EU:C:2016:779, punto 46). |
52 |
Nel caso di specie, nell’ambito del suo esame volto a stabilire se il comunicato stampa controverso comprendesse dati personali ai sensi dell’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725, il Tribunale ha ricordato, al punto 49 della sentenza impugnata, che solo gli atti o i comportamenti imputabili a un’istituzione o a un organo dell’Unione possono far sorgere la responsabilità dell’Unione. Esso ne ha dedotto, a tale punto 49, che l’identificazione della ricorrente doveva derivare dal comunicato stampa controverso e non poteva risultare da elementi esterni non riconducibili al comportamento addebitato all’OLAF, e pertanto esso ha incentrato il suo esame sulle informazioni presenti unicamente in tale comunicato eventualmente idonee a consentire ai suoi lettori di identificare la ricorrente. |
53 |
Per quanto riguarda, poi, la rivelazione dell’identità della ricorrente da parte del giornalista tedesco che aveva pubblicato un articolo sui social network (Twitter) riguardo alle accuse dell’OLAF contenute nel comunicato stampa controverso che la riguardava, il Tribunale ha considerato, ai punti 82 e 87 della sentenza impugnata, che tale rivelazione non poteva essere presa in considerazione, poiché tale giornalista non era stato in grado di identificare la ricorrente sulla base dei soli identificativi presenti nel comunicato stampa controverso, e gli era stato necessario utilizzare elementi identificativi esterni e complementari a detto comunicato. Per giungere a tale conclusione il Tribunale ha in particolare considerato, ai punti 76 e 81 della sentenza impugnata, che detto giornalista non era un lettore medio, bensì un giornalista investigativo professionale, specializzato nel settore delle scienze, che disponeva di conoscenze personali esterne riguardanti la ricorrente. |
54 |
Tuttavia, la questione se le informazioni contenute in un comunicato stampa che proviene da un’istituzione o da un organo dell’Unione rientrino nella nozione di «dati personali», ai sensi dell’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725, non può essere confusa con quella relativa alle condizioni necessarie per far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione. Tale prima questione deve essere valutata esclusivamente alla luce delle condizioni poste da tale disposizione e non può quindi, contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale al punto 49 della sentenza impugnata, dipendere da considerazioni relative all’imputabilità di un atto all’Unione. |
55 |
A quest’ultimo riguardo, come risulta dalle considerazioni di cui ai punti da 48 a 51 della presente sentenza, è inerente all’«identificazione indiretta» di una persona il fatto che le informazioni aggiuntive debbano essere combinate con i dati in questione, ai fini dell’identificazione dell’interessato. Ne risulta altresì che il fatto che tali informazioni aggiuntive dipendano da una persona o fonte diversa da quella del titolare del trattamento dei dati di cui trattasi non esclude in alcun modo, contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale ai punti 49 e 87 della sentenza impugnata, il carattere identificabile di una persona. |
56 |
Inoltre, il regolamento 2018/1725 non pone alcuna condizione per quanto riguarda le persone che possono identificare la persona alla quale è correlata un’informazione, dal momento che il considerando 16 di tale regolamento si riferisce non solo al titolare del trattamento, ma anche a «un terzo». |
57 |
Per quanto riguarda, in particolare, un comunicato stampa emesso da un’autorità inquirente al fine di informare il pubblico sull’esito di un’indagine, quest’ultimo è, per sua natura, destinato a rivolgersi segnatamente ai giornalisti, di modo che questi ultimi non possano distinguersi da un «lettore medio», al quale fa riferimento il punto 76 della sentenza impugnata. |
58 |
Tuttavia, la circostanza che un giornalista investigativo, come nel caso di specie, abbia diffuso l’identità di una persona interessata da un comunicato stampa non può consentire, di per sé, di concludere che le informazioni contenute in tale comunicato debbano necessariamente essere qualificate come dati personali, ai sensi dell’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725, né di dispensare dall’obbligo di procedere all’esame del carattere identificabile della persona di cui trattasi. |
59 |
Riguardo alla questione se il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nella qualificazione giuridica dei fatti quanto al carattere identificabile della ricorrente, il comunicato stampa controverso contiene, come rilevato in sostanza dal Tribunale ai punti da 53 a 55 della sentenza impugnata, un certo numero di informazioni che si riferiscono alla ricorrente e che potevano consentire la sua identificazione, vale a dire il suo genere, la sua cittadinanza e la sua professione, l’indicazione che si trattava di una persona giovane e che era responsabile del progetto di ricerca finanziato in questione, come pure la menzione dell’importo della sovvenzione, dell’organismo di concessione, vale a dire l’ERCEA, della natura dell’ente che ospitava il progetto e il paese in cui quest’ultima si trovava, vale a dire un’università in Grecia, il riferimento al padre della persona in questione e al fatto che quest’ultimo esercitava la sua professione presso questo ente, così come il numero approssimativo di ricercatori che lavoravano a detto progetto sotto la direzione della persona in questione. |
60 |
Orbene, contrariamente alla conclusione cui è giunto il Tribunale al punto 68 della sentenza impugnata, le informazioni relative al genere di una persona interessata da un comunicato stampa, alla sua cittadinanza, all’attività di suo padre, all’importo della sovvenzione per un progetto scientifico e all’ubicazione geografica dell’ente che ospita tale progetto scientifico, considerate nel complesso, contengono informazioni tali da consentire l’identificazione della persona interessata da tale comunicato stampa, in particolare da parte delle persone che lavorano nello stesso settore scientifico e conoscono il suo percorso professionale. |
61 |
In tale contesto, la giurisprudenza della Corte richiamata al punto 51 della presente sentenza non consente di qualificare il rischio di un’identificazione della persona interessata come insignificante. A tal riguardo, per le persone che lavorano nello stesso settore scientifico, informazioni come quelle di cui al punto precedente della presente sentenza, considerate nel complesso, sono tali da consentire l’identificazione della persona interessata senza che tale identificazione implichi un dispendio di tempo, costi e manodopera. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, la ricorrente non era tenuta a fornire la prova di essere stata effettivamente identificata da una di tali persone, poiché una tale condizione non è prevista all’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725, in quanto quest’ultimo si limita ad esigere che una persona sia «identificabile». |
62 |
Peraltro, come risulta dal punto 66 della sentenza impugnata, la descrizione, sul sito Internet dell’ERCEA, della settantina di progetti finanziati da tale agenzia e i cui istituti ospitanti erano situati in Grecia conteneva diversi elementi chiave che consentivano all’utente del sito di trovare le informazioni desiderate, come il nome del responsabile del progetto o il nome dell’istituto ospitante o ancora l’importo del finanziamento. |
63 |
Orbene, un comunicato stampa riguardante comportamenti asseritamente illeciti, quali atti di frode o corruzione, può suscitare un sicuro interesse presso il pubblico e indurre i suoi lettori, in particolare i giornalisti, ad effettuare ricerche sulla persona interessata dal comunicato. In un tale contesto, lo sforzo che consiste nel procedere a tali ricerche su un sito Internet, come quello dell’ERCEA, scorrendo la descrizione della settantina di progetti finanziati che figurano in tale sito, combinate con altre ricerche su Internet che verosimilmente consentono di ottenere il nome e altri identificativi della persona interessata dal comunicato stampa controverso, non appare in alcun modo dispendioso, di modo che il rischio di identificazione della ricorrente da parte dei giornalisti o di altre persone che non conoscevano il suo percorso professionale non poteva essere qualificato come insignificante, ai sensi della giurisprudenza ivi citata al punto 51 della presente sentenza. |
64 |
Dalle considerazioni che precedono risulta che il Tribunale, ai punti 49 e 87 della sentenza impugnata, ha commesso un errore di diritto considerando che l’identificazione della ricorrente non poteva risultare da elementi esterni o complementari non riconducibili al comportamento addebitato all’OLAF. Inoltre, il Tribunale ha commesso un errore di diritto nella qualificazione giuridica dei fatti ad esso sottoposti statuendo, al punto 68 di tale sentenza, che gli identificativi contenuti nel comunicato stampa controverso non consentivano ragionevolmente di identificare la ricorrente, sulla base di una semplice lettura obiettiva di tale comunicato o con l’utilizzo di «mezzi di cui ci si può ragionevolmente avvalere» da parte di uno dei suoi lettori. |
65 |
Di conseguenza, il Tribunale ha parimenti errato nel dichiarare, ai punti 91 e 92 della sentenza impugnata, che le informazioni contenute nel comunicato stampa controverso non rientravano nella nozione di «dati personali», di cui all’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725, e che tale regolamento non si applicava nel caso di specie. |
66 |
Date tali circostanze, la prima e la seconda parte del primo motivo devono essere accolte. |
2. Sulla terza e quarta parte del primo motivo
67 |
Alla luce di quanto dichiarato al punto 65 della presente sentenza, non occorre esaminare la terza e la quarta parte del primo motivo, poiché anch’esse si riferiscono alla fondatezza delle conclusioni di cui ai punti 91 e 92 della sentenza impugnata. |
B. Sul secondo motivo
1. Argomenti delle parti
68 |
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente contesta la conclusione del Tribunale, contenuta al punto 106 della sentenza impugnata, secondo cui essa non poteva far valere una violazione del principio della presunzione d’innocenza previsto all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2013 e sancito all’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU, nella misura in cui essa non era identificata o identificabile nel comunicato stampa controverso. Essa ritiene che il Tribunale abbia, in ogni caso, commesso un errore di diritto applicando i criteri di cui all’articolo 3, punto 1, del regolamento 2018/1725 nell’ambito dell’esame che verteva sull’esistenza di un’eventuale violazione di tale principio. Infatti, sarebbe sufficiente che una persona possa essere identificata con qualsiasi mezzo, indipendentemente dal tempo e dai costi necessari a tal fine. |
69 |
La Commissione conclude per il rigetto del secondo motivo, in particolare con la motivazione che una violazione della presunzione d’innocenza presuppone che la persona che fa valere una tale violazione sia identificata o identificabile, il che non si verificherebbe nel caso di specie. |
2. Giudizio della Corte
70 |
Alla luce della conclusione di cui al punto 65 della presente sentenza il Tribunale ha commesso un errore di diritto statuendo, al punto 106 della sentenza impugnata, che la ricorrente non era identificata o identificabile nel comunicato stampa controverso e che, pertanto, essa non aveva potuto dimostrare una lesione della sua presunzione d’innocenza. |
71 |
Pertanto, senza che sia necessario esaminare gli altri argomenti sollevati nell’ambito del secondo motivo di impugnazione, tale motivo deve essere accolto. |
C. Sul terzo motivo
1. Argomenti delle parti
72 |
Con il suo terzo motivo di impugnazione la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe snaturato, ai punti 157 e 169 della sentenza impugnata, in modo manifesto, un elemento di prova relativo alla violazione del diritto ad un buon andamento dell’amministrazione, sancito all’articolo 41 della Carta. |
73 |
In primo luogo, la ricorrente osserva che, contrariamente alla constatazione operata dal Tribunale al punto 157 della sentenza impugnata, dalla semplice lettura della relazione finale dell’OLAF risulterebbe che tutti i ricercatori – e non solo alcuni di essi – hanno dichiarato di aver partecipato al progetto. Infatti, al punto 2.3.3.2 di tale relazione sarebbe espressamente menzionato che «i dieci ricercatori che hanno risposto ai questionari dell’OLAF hanno confermato di aver partecipato al progetto MINATRAN». Allo stesso modo, da tale punto 2.3.3.2, secondo cui, «[t]uttavia, alcuni ricercatori non hanno confermato né le spese che erano state dichiarate dall’[università Aristotele] a loro nome né il possesso di un conto bancario greco», nonché dal riassunto delle risposte dei ricercatori contenute in detta relazione risulterebbe che, per la maggior parte, i ricercatori effettivamente sapevano che erano stati aperti conti bancari a loro nome e che erano stati effettuati pagamenti a loro favore. Pertanto, mentre dall’insieme delle risposte dei ricercatori risulterebbe che tutti sapevano che i loro nomi erano correlati al progetto, il comunicato stampa controverso riporterebbe in modo inesatto che nessun ricercatore ne era a conoscenza. Inoltre, la valutazione effettuata dal Tribunale, secondo cui tale comunicato intendeva dire «alcuni» ricercatori utilizzando il termine «nessuno», costituirebbe uno snaturamento di quest’ultimo. |
74 |
In secondo luogo, per quanto concerne il punto 169 della sentenza impugnata, la ricorrente osserva che dal punto 2.3.3.1 della relazione finale dell’OLAF risulterebbe che l’unica censura che le era stata rivolta, quale tentativo di ostruzionismo dell’indagine, era il fatto di aver inviato un solo messaggio di posta elettronica a un solo ricercatore. Anche ipotizzando che l’invio di questo solo messaggio, nel quale essa aveva semplicemente segnalato a detto ricercatore che non era obbligato a rispondere al questionario dell’OLAF, possa essere qualificato come tentativo di ostruzionismo dell’indagine, la constatazione di cui al punto 169 della sentenza impugnata, secondo cui essa avrebbe «contattato più volte alcuni ricercatori», costituirebbe uno snaturamento manifesto dei fatti. |
75 |
Secondo la Commissione il Tribunale avrebbe correttamente dichiarato, al punto 157 della sentenza impugnata, che l’OLAF non aveva divulgato nel comunicato stampa controverso informazioni inesatte che snaturavano le conclusioni della sua relazione finale. In ogni caso, solo una violazione sufficientemente qualificata del principio di diligenza potrebbe far sorgere una responsabilità extracontrattuale dell’Unione. |
76 |
Inoltre, anche gli argomenti della ricorrente diretti avverso il punto 169 della sentenza impugnata dovrebbero essere respinti. Infatti, a sostegno del preteso snaturamento addotto la ricorrente si avvarrebbe di taluni elementi specifici della relazione finale dell’OLAF, senza prendere in considerazione il fatto che altri elementi contenuti in tale relazione indicherebbero che essa aveva parimenti contattato un ricercatore per informarlo di non essere tenuto a rispondere all’OLAF ed un altro ricercatore affinché correggesse le sue risposte iniziali. Peraltro, l’OLAF avrebbe ritenuto che la revoca o la modifica spontanea da parte di taluni ricercatori, nel corso dello stesso periodo, delle risposte da essi inizialmente fornite costituisse un indizio del fatto che tali ricercatori avessero ricevuto messaggi di posta elettronica di tenore analogo. |
2. Giudizio della Corte
77 |
Al punto 157 della sentenza impugnata il Tribunale ha dichiarato che, in particolare, dal fascicolo risultava che, utilizzando i termini «[n]essuno di tali ricercatori sapeva» nel quinto paragrafo del comunicato stampa controverso per designare «alcuni ricercatori», l’OLAF non aveva divulgato informazioni inesatte che avrebbero snaturato le conclusioni della sua relazione finale. Al punto 169 di tale sentenza, il Tribunale ha considerato che, per quanto riguarda la menzione dei presunti «tentativi» di ostruzionismo dell’indagine da parte della ricorrente al quarto paragrafo di tale comunicato, come risultava dalla relazione finale dell’OLAF, quest’ultimo aveva constatato, in occasione della sua indagine, che la ricorrente si era messa più volte in contatto con alcuni ricercatori, e aveva considerato che tali atti costituissero ostacolo alla sua indagine. |
78 |
Occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, lo snaturamento deve risultare manifestamente dai documenti del fascicolo, senza che sia necessario effettuare una nuova valutazione né dei fatti né delle prove (sentenza del 25 luglio 2018, Orange Polska/Commissione, C‑123/16 P, EU:C:2018:590, punto 75 e giurisprudenza ivi citata). Tale snaturamento sussiste quando, senza che occorra assumere nuove prove, la valutazione dei mezzi di prova disponibili risulta manifestamente erronea (sentenza del 17 luglio 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punto 17 e giurisprudenza ivi citata). |
79 |
Peraltro, benché uno snaturamento degli elementi di prova possa consistere nell’interpretazione di un documento contraria al contenuto di quest’ultimo, esso deve risultare in modo manifesto dal fascicolo sottoposto alla Corte e presuppone che il Tribunale abbia manifestamente violato i limiti di una valutazione ragionevole di tali elementi di prova. A questo proposito non è sufficiente dimostrare che un documento potrebbe essere oggetto di un’interpretazione differente da quella adottata dal Tribunale (sentenza del 16 febbraio 2023, Commissione/Italia e Spagna, C‑635/20 P, EU:C:2023:98, punto 127 e giurisprudenza ivi citata). |
80 |
Alla luce di tale giurisprudenza, le constatazioni di fatto operate dal Tribunale ai punti 157 e 169 della sentenza impugnata potrebbero essere rimesse in discussione solo se fosse dimostrato che dai documenti sottoposti al Tribunale risulta manifestamente che tali constatazioni sono inesatte. |
81 |
Per quanto riguarda, in primo luogo, il punto 157 della sentenza impugnata, la ricorrente contesta al Tribunale di aver snaturato sia il comunicato stampa controverso sia le conclusioni della relazione finale dell’OLAF. |
82 |
A questo proposito occorre ricordare che l’OLAF ha dichiarato, alla terza frase del quinto paragrafo del comunicato stampa controverso, che esso «ha contattato alcuni ricercatori che avrebbero dovuto partecipare al progetto di ricerca». La constatazione, contenuta nella frase successiva, secondo cui «nessuno di essi sapeva che il proprio nome fosse correlato al progetto, né era a conoscenza dei conti bancari aperti a loro nome o del minimo pagamento a loro favore» deve quindi essere intesa nel senso che essa si applicava a tutti i ricercatori con i quali l’OLAF aveva preso contatto. |
83 |
Pertanto, da un lato, il Tribunale, interpretando, al citato punto 157, tale ultima frase del comunicato stampa controverso nel senso che l’OLAF mirava a constatare che alcuni ricercatori con i quali esso aveva preso contatto non sapevano che i loro nomi erano correlati al progetto, né erano a conoscenza dei conti bancari aperti a loro nome o del minimo pagamento a loro favore, mentre il comunicato stampa controverso può solo essere inteso nel senso che esso riguardava l’insieme dei ricercatori contattati dall’OLAF, ne ha snaturato il contenuto. |
84 |
Dall’altro lato, per quanto riguarda l’asserito snaturamento delle conclusioni della relazione finale dell’OLAF, occorre rilevare che da dette conclusioni, che figurano al punto 2.3.3.2 di tale relazione, risulta che dieci ricercatori che avrebbero dovuto partecipare al progetto hanno risposto al questionario dell’OLAF e «hanno confermato di aver partecipato al progetto MINATRAN». Ne risulta altresì che, «[t]uttavia, alcuni ricercatori non hanno confermato né le spese che erano state dichiarate dall’[università Aristotele] a loro nome né il possesso di un conto bancario greco». In tali circostanze, appare in modo manifesto che, contrariamente a quanto emerge dal comunicato stampa controverso, non tutti i ricercatori con i quali l’OLAF si era messo in contatto non sapevano che i loro nomi erano correlati al progetto né erano a conoscenza dei conti bancari aperti a loro nome o di un pagamento a loro favore. Il Tribunale ha quindi snaturato le conclusioni di detta relazione finale dichiarando, al punto 157 della sentenza impugnata, che l’OLAF non aveva divulgato informazioni inesatte al quinto paragrafo del comunicato stampa controverso. |
85 |
Per quanto riguarda, in secondo luogo, il punto 169 della sentenza impugnata, dal testo del punto 2.3.3.1 della relazione finale dell’OLAF, cui fa riferimento la ricorrente, risulta che le era stato contestato, quale tentativo di ostruzionismo dell’indagine, il fatto di aver inviato un messaggio di posta elettronica a un solo ricercatore, mentre il comunicato stampa controverso si riferisce in maniera astratta a diversi tentativi di ostruzionismo. Tuttavia, non risulta in modo manifesto che l’OLAF abbia inteso coprire, a questo punto della relazione finale, in modo esaustivo, i tentativi di ostruzionismo contestati alla ricorrente. |
86 |
Peranto, non appare in modo manifesto che il Tribunale abbia snaturato la relazione finale dell’OLAF statuendo, al punto 169 della sentenza impugnata, che, come risulta da tale relazione, l’OLAF aveva constatato, in occasione della sua indagine, che la ricorrente si era più volte messa in contatto con alcuni ricercatori e aveva considerato che tali atti costituissero ostacolo alla sua indagine. |
87 |
Ne consegue che il terzo motivo di impugnazione deve essere accolto nella sola parte in cui il Tribunale ha respinto il motivo basato su una violazione del diritto ad un buon andamento dell’amministrazione per quanto riguarda il quinto paragrafo del comunicato stampa controverso. |
88 |
Poiché il primo e il secondo motivo nonché una parte del terzo motivo di impugnazione sono stati accolti, occorre annullare la sentenza impugnata nella parte in cui, con essa, il Tribunale ha respinto le conclusioni del ricorso dirette alla condanna della Commissione a risarcire il danno derivante dalla violazione da parte dell’OLAF degli obblighi ad esso incombenti in forza del regolamento 2018/1725, del principio della presunzione d’innocenza e del diritto ad un buon andamento dell’amministrazione. |
89 |
Per il resto, l’impugnazione dev’essere respinta. |
VI. Sul ricorso dinanzi al Tribunale
90 |
Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, seconda frase, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, la Corte, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta. |
91 |
Ciò non ricorre nel caso di specie. |
92 |
Infatti il Tribunale non ha verificato se l’OLAF, pubblicando il comunicato stampa controverso, abbia violato la presunzione di innocenza prevista all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2013 e sancita all’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU, né se, in caso di una tale violazione, ricorrano le condizioni richieste per accertare la responsabilità extracontrattuale dell’Unione ai sensi dell’articolo 340 TFUE. |
93 |
Ciò premesso, lo stato degli atti non consente di statuire sulla controversia. |
VII. Sulle spese
94 |
Poiché la causa è stata rinviata dinanzi al Tribunale, occorre riservare le spese relative all’impugnazione. |
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara e statuisce: |
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Firme |
( *1 ) Lingua processuale: il greco.