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Document 62022CJ0008

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 6 luglio 2023.
XXX contro Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d'État.
Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Articolo 14, paragrafo 4, lettera b) – Revoca dello status di rifugiato – Cittadino di un paese terzo condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità – Pericolo per la comunità – Controllo di proporzionalità.
Causa C-8/22.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:542

 SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

6 luglio 2023 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Articolo 14, paragrafo 4, lettera b) – Revoca dello status di rifugiato – Cittadino di un paese terzo condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità – Pericolo per la comunità – Controllo di proporzionalità»

Nella causa C‑8/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio), con decisione del 2 dicembre 2021, pervenuta in cancelleria il 5 gennaio 2022, nel procedimento

XXX

contro

Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da A. Arabadjiev, presidente di sezione, L. Bay Larsen (relatore), vicepresidente della Corte, P.G. Xuereb, T. von Danwitz e A. Kumin, giudici,

avvocato generale: J. Richard de la Tour

cancelliere: M. Krausenböck, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 novembre 2022,

considerate le osservazioni presentate:

per XXX, da J. Hardy, avocat;

per il governo belga, da M. Jacobs, C. Pochet, A. Van Baelen e M. Van Regemorter, in qualità di agenti;

per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e C.S. Schillemans, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da A. Azema e L. Grønfeldt, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 febbraio 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra XXX, cittadino di un paese terzo, e il Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Commissario generale per i rifugiati e gli apolidi, Belgio; in prosieguo: il «Commissario generale») in merito alla decisione adottata da quest’ultimo di revocargli lo status di rifugiato.

Contesto normativo

Diritto internazionale

3

La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata integrata e modificata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»).

4

L’articolo 1, sezione F), di tale Convenzione è così formulato:

«Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone di cui vi sia serio motivo di sospettare che:

(...)

b)

hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori del paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati;

(...)».

5

L’articolo 33, paragrafo 2, di detta convenzione dispone quanto segue:

«La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese».

Diritto dell’Unione

Direttiva 2004/38/CE

6

L’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifica in GU 2004, L 229, pag. 35), enuncia quanto segue:

«I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali [anteriori] non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».

Direttiva 2011/95

7

Il considerando 12 della direttiva 2011/95 è così formulato:

«Lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri».

8

L’articolo 1 di tale direttiva enuncia quanto segue:

«La presente direttiva stabilisce norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta».

9

L’articolo 2, lettera d), della suddetta direttiva precisa quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

d)

“rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;».

10

L’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della medesima direttiva enuncia quanto segue:

«Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che:

(...)

b)

abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato (...)».

11

L’articolo 13 della direttiva 2011/95 così dispone:

«Gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III».

12

L’articolo 14, paragrafi 4 e 6, di tale direttiva dispone quanto segue:

«4.   Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario quando:

a)

vi sono fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova;

b)

la persona in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro.

(...)

6.   Le persone cui si applicano i paragrafi 4 o 5 godono dei diritti (…) conferiti dagli articoli 3, 4, 16, 22, 31[,] 32 e 33 della convenzione di Ginevra, o di diritti analoghi, purché siano presenti nello Stato membro».

13

L’articolo 17, paragrafo 1, lettere b) e d), della suddetta direttiva precisa quanto segue:

«Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dalla qualifica di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria ove sussistano fondati motivi per ritenere che:

(...)

b)

abbia commesso un reato grave;

(...)

d)

rappresenti un pericolo per la comunità o la sicurezza dello Stato in cui si trova».

14

L’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), della medesima direttiva è così formulato:

«Qualora non sia vietato dagli obblighi internazionali previsti dal paragrafo 1, gli Stati membri possono respingere un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno:

(...)

b)

quando, essendo stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro».

15

L’articolo 23, paragrafo 4, della direttiva 2011/95 così recita:

«Nonostante i paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono rifiutare, ridurre o revocare i benefici ivi menzionati, per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico».

16

L’articolo 24 di detta direttiva prevede quanto segue:

«1.   Gli Stati membri rilasciano ai beneficiari dello status di rifugiato, quanto prima a seguito del riconoscimento della protezione internazionale, un permesso di soggiorno valido per un periodo di almeno tre anni e rinnovabile, purché non vi ostino imper[ativi] motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico e fatto salvo l’articolo 21, paragrafo 3.

(...)

2.   Gli Stati membri rilasciano ai beneficiari dello status di protezione sussidiaria e ai loro familiari, quanto prima a seguito del riconoscimento della protezione internazionale, un permesso di soggiorno rinnovabile che deve essere valido per un periodo di almeno un anno e, in caso di rinnovo, per un periodo di almeno due anni, purché non vi ostino imper[ativi] motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico».

17

L’articolo 25 della direttiva in parola dispone quanto segue:

«1.   Gli Stati membri rilasciano ai beneficiari dello status di rifugiato documenti di viaggio nella forma prevista dall’allegato della convenzione di Ginevra, allo scopo di permettere loro di viaggiare al di fuori del loro territorio, purché non vi ostino imper[ativi] motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico.

2.   Gli Stati membri rilasciano ai beneficiari dello status di protezione sussidiaria che si trovino nell’impossibilità di ottenere un passaporto nazionale, documenti che consentono loro di viaggiare al di fuori del loro territorio, purché non vi ostino imper[ativi] motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico».

Direttiva 2013/32/UE

18

L’articolo 45, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), enuncia quanto segue:

«1.   Gli Stati membri provvedono affinché, se l’autorità competente prende in considerazione di revocare la protezione internazionale di un cittadino di un paese terzo o di un apolide (…), l’interessato goda delle seguenti garanzie:

(...)

b)

gli sia data la possibilità di esporre in un colloquio personale (…), i motivi per cui la sua protezione internazionale non dovrebbe essere revocata.

(...)

3.   Gli Stati membri provvedono affinché la decisione dell’autorità competente di revocare la protezione internazionale sia comunicata per iscritto. La decisione specifica i motivi de jure e de facto e le informazioni sulle modalità per l’impugnazione della decisione sono comunicate per iscritto».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

19

Con decisione del Commissario generale del 23 febbraio 2007, a XXX è stato riconosciuto lo status di rifugiato.

20

Con sentenza del 20 dicembre 2010, la Cour d’assises de Bruxelles (Corte d’assise di Bruxelles, Belgio) ha condannato XXX a venticinque anni di reclusione. Secondo le informazioni contenute nelle osservazioni del governo belga, tale condanna si riferiva, in particolare, alla commissione, in concorso, di una rapina per l’impossessamento di diversi beni mobili e di un omicidio doloso al fine di facilitare tale rapina o di procurarsi l’impunità.

21

Con decisione del 4 maggio 2016, il Commissario generale gli ha revocato lo status di rifugiato.

22

XXX ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio).

23

Con sentenza del 26 agosto 2019, il suddetto organo giurisdizionale ha respinto detto ricorso. Esso ha ritenuto che il pericolo che XXX costituiva per la società derivasse dalla sua condanna per un reato di particolare gravità. In tale contesto, il Commissario generale non avrebbe l’onere di dimostrare che XXX costituisca un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità. Al contrario, sarebbe spettato a quest’ultimo dimostrare di non costituire più, nonostante la sua condanna per un reato di particolare gravità, un pericolo per la società.

24

Il 26 settembre 2019 XXX ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio), giudice del rinvio.

25

A sostegno del proprio ricorso egli afferma, in sostanza, che spetterebbe al Commissario generale dimostrare la sussistenza di un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità e che sarebbe necessario effettuare un controllo di proporzionalità per determinare se il pericolo da lui eventualmente costituito giustifichi la revoca del suo status di rifugiato.

26

Alla luce di tali circostanze, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 14, [paragrafo 4, lettera] b), della [direttiva 2011/95] debba essere interpretato nel senso che esso prevede che il pericolo per la società sia dimostrato per il solo fatto che il beneficiario dello status di rifugiato è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità, oppure nel senso che esso prevede che la mera condanna, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità non sia sufficiente per dimostrare la sussistenza di un pericolo per la società.

2)

Nel caso in cui la mera condanna, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità non sia sufficiente per dimostrare la sussistenza di un pericolo per la società, se l’articolo 14, [paragrafo 4, lettera] b), della [direttiva 2011/95] debba essere interpretato nel senso che esso esige che lo Stato membro dimostri che il ricorrente, successivamente alla sua condanna, continui a costituire un pericolo per la società. Se lo Stato membro debba dimostrare che tale pericolo è reale e attuale o se sia sufficiente la sussistenza di un pericolo potenziale. Se l’articolo 14, [paragrafo 4, lettera] b), [di tale direttiva], letto da solo o in combinato disposto con il principio di proporzionalità, debba essere interpretato nel senso che esso consente la revoca dello status di rifugiato soltanto qualora tale revoca sia proporzionata e il pericolo costituito dal beneficiario di tale status sia sufficientemente grave da giustificare detta revoca.

3)

Nel caso in cui lo Stato membro non sia tenuto a dimostrare che il ricorrente, successivamente alla sua condanna, continui a costituire un pericolo per la società e che tale pericolo sia reale, attuale e sufficientemente grave da giustificare la revoca dello status di rifugiato, se l’articolo 14, [paragrafo 4, lettera] b), della [direttiva 2011/95] debba essere interpretato nel senso che esso implica che il pericolo per la società è dimostrato, in linea di principio, dal fatto che il beneficiario dello status di rifugiato è stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, ma che quest’ultimo può dimostrare di non costituire o di non costituire più un simile pericolo».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

27

Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che la sussistenza di un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova il cittadino interessato di un paese terzo può ritenersi dimostrata per il solo fatto che quest’ultimo sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità.

28

L’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 prevede che gli Stati membri hanno la facoltà di revocare lo status riconosciuto a un rifugiato quando la persona in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova.

29

Secondo costante giurisprudenza della Corte, quando si interpreta una disposizione del diritto dell’Unione, occorre tener conto del tenore della stessa, del contesto in cui essa si inserisce e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte [sentenza del 20 ottobre 2022, Centre public d’action sociale de Liège (Revoca o sospensione di una decisione di rimpatrio), C‑825/21, EU:C:2022:810, punto 41 e giurisprudenza ivi citata].

30

Per quanto riguarda, anzitutto, la formulazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, occorre rilevare che tale disposizione menziona due elementi distinti vertenti sulla sussistenza, da un lato, di una condanna con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità e, dall’altro, di un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova il cittadino interessato di un paese terzo.

31

Sebbene il rapporto preciso tra questi due elementi non sia esplicitamente specificato, questi ultimi figurano, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle sue conclusioni, in tutte le versioni linguistiche dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, e ciò benché il legislatore dell’Unione europea avrebbe potuto far riferimento esclusivamente alla sussistenza di una siffatta condanna, qualora avesse voluto far sì che ciò fosse sufficiente a giustificare l’adozione di una misura prevista da tale disposizione.

32

Per quanto riguarda, poi, il contesto in cui si inserisce l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, occorre, in primo luogo, sottolineare che tale disposizione costituisce una deroga alla norma, enunciata all’articolo 13 di tale direttiva, secondo la quale gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo avente titolo al riconoscimento dello status di rifugiato. Tale disposizione deve, quindi, essere interpretata restrittivamente (v., per analogia, sentenza del 13 settembre 2018, Ahmed, C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 52).

33

In secondo luogo, la scelta del legislatore dell’Unione di menzionare, all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, la sussistenza, al contempo, di una condanna penale e di un pericolo per la comunità, anziché prescrivere soltanto la prima di tali condizioni, non può essere trascurata, dal momento che esso ha optato, all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva, per una formulazione diversa, prevedendo espressamente che il cittadino di un paese terzo debba essere escluso dallo status di rifugiato qualora abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto ordinario prima di essere ammesso come rifugiato, senza esigere in alcun modo che questi rappresenti un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova.

34

A tal proposito, la differenza di formulazione tra l’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/95 e l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di quest’ultima riflette, in sostanza, la distinzione esistente tra l’articolo 1, sezione F), della Convenzione di Ginevra e l’articolo 33, paragrafo 2, di tale Convenzione, la quale costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati [v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato), C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 81 nonché giurisprudenza ivi citata].

35

La Corte ha del resto già constatato che le ipotesi, previste nell’articolo 14, paragrafi 4, della direttiva in parola, nelle quali gli Stati membri possono procedere alla revoca o al rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato, corrispondono, in sostanza, a quelle nelle quali gli Stati membri possono procedere al respingimento di un rifugiato, in forza dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra [v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato), C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 93].

36

Orbene, l’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra è generalmente interpretato, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 73 delle sue conclusioni, nel senso che esso richiede che siano soddisfatte due condizioni cumulative relative alla sussistenza di una condanna definitiva per un reato di particolare gravità e di un pericolo per la comunità del paese in cui si trova la persona interessata.

37

In terzo luogo, occorre altresì evidenziare che, per quanto riguarda la concessione della protezione sussidiaria – la quale può offrire una tutela più limitata rispetto allo status di rifugiato – l’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 fa riferimento, alla sua lettera b), alla commissione di un reato grave e, alla sua lettera d), alla sussistenza di un pericolo per la comunità, elementi questi che sono esplicitamente presentati come condizioni alternative, implicanti, ciascuna di esse, considerata isolatamente, l’esclusione dal beneficio della protezione sussidiaria.

38

In quarto luogo, poiché il legislatore dell’Unione ha deciso di utilizzare gli stessi termini all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), e all’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/95, queste due disposizioni devono essere interpretate in modo coerente.

39

Orbene, dalla giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva risulta che l’applicazione di tale disposizione è subordinata al soddisfacimento di due condizioni distinte (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2015, T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 72).

40

In quinto luogo, non si può ritenere, contrariamente a quanto sostiene il governo belga, che interpretare l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 nel senso che esso richiede il soddisfacimento di due condizioni distinte priverebbe quest’ultimo di efficacia pratica, per il motivo che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), di tale direttiva già consentirebbe di revocare lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo che costituisce un pericolo, anche qualora quest’ultimo non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità.

41

Infatti, da un confronto tra queste due disposizioni emerge che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), di detta direttiva fa riferimento a un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova il cittadino interessato di un paese terzo, mentre l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di quest’ultima riguarda un pericolo per la comunità di tale Stato membro. Pertanto, queste due disposizioni si riferiscono a due diversi tipi di pericolo.

42

Infine, occorre rilevare che anche l’obiettivo principale della direttiva 2011/95, come emerge dall’articolo 1 e dal considerando 12 di quest’ultima – vale a dire assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri – depone a favore di un’interpretazione restrittiva dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della suddetta direttiva.

43

Dall’insieme di tali considerazioni risulta che l’applicazione di quest’ultima disposizione è subordinata al soddisfacimento di due condizioni distinte vertenti, da un lato, sul fatto che il cittadino interessato di un paese terzo sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità e, dall’altro, sul fatto che sia stato dimostrato che tale cittadino di un paese terzo costituisce un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova.

44

Di conseguenza, non può ritenersi, senza violare la scelta così operata dal legislatore dell’Unione, che la circostanza che una di queste due condizioni sia soddisfatta sia sufficiente a dimostrare anche il soddisfacimento della seconda.

45

Di conseguenza, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che la sussistenza di un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova il cittadino interessato di un paese terzo non può ritenersi dimostrata per il solo fatto che quest’ultimo sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità.

Sulle questioni seconda e terza

46

Con le sue questioni seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che l’applicazione di tale disposizione è subordinata al fatto che venga dimostrato, da parte dell’autorità competente, che il pericolo rappresentato dal cittadino interessato di un paese terzo per la comunità dello Stato membro in cui si trova sia reale, attuale e grave e che la revoca dello status di rifugiato costituisca una misura proporzionata a tale pericolo.

47

Come constatato al punto 43 della presente sentenza, lo status di rifugiato può essere revocato, in forza dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, solo qualora ricorrano due condizioni, la seconda delle quali consiste nel dimostrare che il cittadino interessato di un paese terzo costituisce un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova.

48

Al fine di determinare, in primo luogo, la portata della nozione di «pericolo per la comunità», ai sensi di tale disposizione, occorre ricordare che da costante giurisprudenza della Corte risulta che un cittadino dell’Unione, che abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione, e alcuni suoi familiari possono essere considerati una minaccia per l’ordine pubblico solo se il loro comportamento individuale rappresenta una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per uno degli interessi fondamentali della società dello Stato membro interessato [sentenza del 12 dicembre 2019, G.S. e V.G. (Minaccia per l’ordine pubblico), C‑381/18 e C‑382/18, EU:C:2019:1072, punto 53 nonché giurisprudenza ivi citata].

49

Poiché il giudice del rinvio ipotizza che la nozione di «pericolo per la comunità», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, possa essere definita sulla base dello standard stabilito da tale giurisprudenza, occorre sottolineare che non può ritenersi, in generale, che qualsiasi riferimento a una minaccia per l’ordine pubblico o per la società debba essere inteso nel senso che esso rinvia esclusivamente a un comportamento individuale che rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società dello Stato membro interessato [v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2019, G.S. e V.G. (Minaccia per l’ordine pubblico), C‑381/18 e C‑382/18, EU:C:2019:1072, punto 54 nonché giurisprudenza ivi citata].

50

Risulta quindi necessario, al fine di precisare la portata della nozione di «pericolo per la comunità», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95, tener conto dei termini di tali disposizioni, del loro contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui esse fanno parte [v., in tal senso, sentenza 12 dicembre 2019, G.S. e V.G. (Minaccia per l’ordine pubblico), C‑381/18 e C‑382/18, EU:C:2019:1072, punto 55 nonché giurisprudenza ivi citata].

51

Per quanto riguarda, anzitutto, la formulazione dell’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95, occorre osservare che, a differenza, in particolare, dell’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38, tale articolo non richiede espressamente che il comportamento del cittadino interessato di un paese terzo rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società affinché tale cittadino di un paese terzo possa essere considerato una minaccia per la società.

52

Tuttavia, da un lato, dalla formulazione stessa dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 emerge che tale disposizione è applicabile solo qualora il cittadino di un paese terzo interessato «costituisca» un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova, il che tende ad indicare che tale pericolo deve essere reale e attuale.

53

Dall’altro lato, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 86 delle sue conclusioni, l’esplicita prescrizione che tale cittadino di un paese terzo «costituisca» un simile pericolo sarebbe ampiamente privata di effetti qualora un pericolo potenziale per la comunità di tale Stato membro dovesse essere considerato sufficiente per consentire l’applicazione di tale articolo 14, paragrafo 4, lettera b). Infatti, la sussistenza di una condanna con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità – che è altresì richiesta da detto articolo 14, paragrafo 4, lettera b) – sarà di norma idonea, di per sé, a dimostrare quanto meno la sussistenza di un siffatto pericolo potenziale.

54

Per quanto riguarda, poi, il contesto in cui si inserisce l’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95, indubbiamente occorre rilevare che l’articolo 23, paragrafo 4, nonché gli articoli 24 e 25 di tale direttiva fanno direttamente riferimento, contrariamente all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di quest’ultima, alla nozione di «ordine pubblico», alla quale si riferisce la giurisprudenza richiamata al punto 48 della presente sentenza.

55

Dalla giurisprudenza della Corte si evince che, con riferimento, in particolare, a tale formulazione, l’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva può consentire il diniego del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi imperativi di ordine pubblico solo qualora il cittadino interessato di un paese terzo costituisca un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società (v., in tal senso, sentenza 24 giugno 2015, T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punti da 77 a 79).

56

Tuttavia, non si può ritenere che l’utilizzo dell’espressione «pericolo per la comunità», anziché l’utilizzo di un riferimento all’«ordine pubblico», traduca la scelta di sancire uno standard sostanzialmente diverso da quello adottato dalla giurisprudenza di cui al punto 48 della presente sentenza, dal momento che i termini utilizzati tanto all’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95 quanto all’articolo 21, paragrafo 2, di quest’ultima riflettono, come rilevato al punto 34 della presente sentenza, quelli impiegati all’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra.

57

Dalla giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva – il quale, come risulta dal punto 38 della presente sentenza, deve essere interpretato in modo coerente con l’articolo 14, paragrafo 4, di quest’ultima – si evince invece che l’applicazione di detto articolo 21, paragrafo 2, è subordinata a condizioni rigorose più severe di quelle che consentono l’applicazione dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva in parola (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2015, T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punti 72, 7475).

58

Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, nell’economia generale della direttiva 2011/95, i reati gravi commessi dal cittadino di un paese terzo prima di essere ammesso come rifugiato giustificano l’applicazione della clausola di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva, mentre l’articolo 14, paragrafo 4, e l’articolo 21, paragrafo 2, di quest’ultima consentono di prendere in considerazione il pericolo attuale rappresentato dal cittadino di un paese terzo (v., per analogia, sentenza del 9 novembre 2010, B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 101).

59

Infine, come si evince dal punto 42 della presente sentenza, l’obiettivo principale della direttiva 2011/95 implica che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva debba essere interpretato restrittivamente.

60

Da tutte le suesposte considerazioni risulta che una misura di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 può essere adottata solo qualora il cittadino interessato di un paese terzo costituisca un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della comunità dello Stato membro in cui si trova.

61

Per quanto riguarda, in secondo luogo, i ruoli, rispettivamente, dell’autorità competente e del cittadino interessato di un paese terzo nell’ambito della valutazione della sussistenza di un simile pericolo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che spetta all’autorità competente in sede di applicazione di tale disposizione procedere, per ciascun caso individuale, a una valutazione di tutte le circostanze specifiche del caso di cui trattasi [v., in tal senso, sentenze del 13 settembre 2018, Ahmed, C‑369/17, EU:C:2018:713, punti 4850, nonché del 22 settembre 2022, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a., C‑159/21, EU:C:2022:708, punti 7292].

62

In tale contesto, e dato che, in particolare, l’articolo 45, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 prevede che la decisione dell’autorità competente di revocare la protezione internazionale specifichi i motivi de iure e de facto sui quali si basa tale decisione, l’autorità competente deve disporre di tutte le informazioni rilevanti e procedere, alla luce di tali informazioni, alla propria valutazione di tutte le circostanze specifiche del caso in questione, al fine di determinare il senso della propria decisione e di motivare quest’ultima in maniera completa [v., in tal senso, sentenza del 22 settembre 2022, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a., C‑159/21, EU:C:2022:708, punto 80].

63

Tra le circostanze che devono essere prese in considerazione per valutare la sussistenza di un pericolo per la società, benché, in generale, l’accertamento di un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società faccia presumere la tendenza dell’interessato a persistere nel comportamento che costituisce tale pericolo, non è escluso che la sola condotta tenuta in passato costituisca un siffatto pericolo [v., in tal senso, sentenza del 2 maggio 2018, K. e H.F. (Diritto di soggiorno e allegazioni di crimini di guerra), C‑331/16 e C‑366/16, EU:C:2018:296, punto 62]. Il fatto che il cittadino interessato di un paese terzo sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità riveste un’importanza particolare, dal momento che il legislatore dell’Unione ha specificamente fatto riferimento alla sussistenza di una siffatta condanna e quest’ultima, a seconda delle circostanze che accompagnano la commissione di tale reato, può contribuire a dimostrare la sussistenza di un pericolo reale e tanto grave da pregiudicare un interesse fondamentale della comunità dello Stato membro interessato.

64

Tuttavia, per quanto riguarda, in particolare, l’attualità di un siffatto pericolo, dalla risposta alla prima questione e dalla giurisprudenza della Corte risulta che non si può dedurre automaticamente dai precedenti penali del cittadino di un paese terzo interessato che egli possa essere destinatario della misura di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2016, CS, C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 41). Pertanto, più una decisione ai sensi di tale disposizione è adottata in un momento temporale distante rispetto alla condanna definitiva per un reato di particolare gravità, più spetta all’autorità competente prendere in considerazione, in particolare, gli sviluppi successivi alla commissione di un reato siffatto, al fine di determinare se sussista un pericolo reale e sufficientemente grave nel giorno in cui essa deve decidere sull’eventuale revoca dello status di rifugiato.

65

In tale prospettiva, dato che l’articolo 45, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2013/32 prevede unicamente che il cittadino di un paese terzo, nei confronti del quale l’autorità competente prende in considerazione di revocare la protezione internazionale, debba avere la «possibilità» di esporre i motivi per cui la sua protezione internazionale non dovrebbe essere revocata, non si può ritenere che ‑ in assenza di informazioni fornite da tale cittadino di un paese terzo quanto alle ragioni per le quali egli non costituisce più un pericolo per la società ‑ l’autorità competente possa presumere il fatto che dalla sussistenza di una condanna con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità si evinca che detto cittadino di un paese terzo costituisce un pericolo reale, attuale e tanto grave da pregiudicare un interesse fondamentale della comunità dello Stato membro in cui si trova.

66

In terzo luogo, occorre rilevare che, in una situazione nella quale lo Stato membro interessato ha dimostrato che le due condizioni di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 sono soddisfatte, tale Stato membro dispone della facoltà di adottare la misura prevista da tale disposizione, senza essere tuttavia tenuto ad esercitare tale facoltà [v., per analogia, sentenze del 24 giugno 2015, T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 72, nonché del 22 settembre 2022, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a., C‑159/21, EU:C:2022:708, punto 81].

67

Detta facoltà deve essere esercitata nel rispetto, in particolare, del principio di proporzionalità, il quale implica un bilanciamento tra, da un lato, il pericolo che il cittadino interessato di un paese terzo costituisce per la società dello Stato membro in cui si trova e, dall’altro, i diritti che devono essere garantiti, conformemente a tale direttiva, alle persone che soddisfano le condizioni sostanziali dell’articolo 2, lettera d), di tale direttiva [v., in tal senso, sentenze del 2 maggio 2018, K. e H.F. (Diritto di soggiorno e allegazioni di crimini di guerra), C‑331/16 e C‑366/16, EU:C:2018:296, punto 62; del 12 dicembre 2019, G.S. e V.G. (Minaccia per l’ordine pubblico), C‑381/18 e C‑382/18, EU:C:2019:1072, punto 64, nonché del 9 febbraio 2023, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid e a. (Revoca del diritto di soggiorno di un lavoratore turco), C‑402/21, EU:C:2023:77, punto 72].

68

Nell’ambito di tale valutazione, l’autorità competente deve anche tener conto dei diritti fondamentali garantiti dal diritto dell’Unione e, segnatamente, verificare la possibilità di adottare altre misure meno lesive dei diritti garantiti ai rifugiati e ai diritti fondamentali di pari efficacia per assicurare la protezione della società dello Stato membro in cui si trova il cittadino interessato di un paese terzo [v., in tal senso, sentenza del 2 maggio 2018, K. e H.F. (Diritto di soggiorno e allegazioni di crimini di guerra), C‑331/16 e C‑366/16, EU:C:2018:296, punti 6364].

69

Ai fini di tale valutazione, l’autorità competente dovrà prendere in considerazione il fatto che, in caso di revoca dello status di rifugiato, i cittadini interessati di paesi terzi sono privati di tale status e quindi non godono più dell’insieme dei diritti e dei benefici previsti dalla direttiva 2011/95, ma continuano a godere, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 6, di tale direttiva, di un certo numero di diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra [v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato), C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 99].

70

Pertanto, l’articolo 14, paragrafo 6, della direttiva 2011/95 dev’essere interpretato, conformemente all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e all’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nel senso che lo Stato membro che fa uso della facoltà prevista dall’articolo 14, paragrafo 4, di detta direttiva deve concedere al rifugiato che rientri in una delle ipotesi previste da quest’ultima disposizione e che si trovi nel territorio di tale Stato membro, quanto meno, il godimento dei diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra ai quali detto articolo 14, paragrafo 6, fa espresso riferimento nonché dei diritti previsti da questa convenzione il cui godimento non richieda una residenza regolare, e ciò fatte salve le eventuali riserve formulate dal citato Stato membro [v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato), C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 107].

71

Di conseguenza, occorre rispondere alle questioni seconda e terza dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che l’applicazione di tale disposizione è subordinata al fatto che venga dimostrato, da parte dell’autorità competente, che il pericolo rappresentato dal cittadino interessato di un paese terzo per un interesse fondamentale della comunità dello Stato membro in cui si trova sia reale, attuale e sufficientemente grave e che la revoca dello status di rifugiato costituisca una misura proporzionata a tale pericolo.

Sulle spese

72

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta,

deve essere interpretato nel senso che:

la sussistenza di un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova il cittadino interessato di un paese terzo non può ritenersi dimostrata per il solo fatto che quest’ultimo sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità.

 

2)

L’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95

deve essere interpretato nel senso che:

l’applicazione di tale disposizione è subordinata al fatto che venga dimostrato, da parte dell’autorità competente, che il pericolo rappresentato dal cittadino interessato di un paese terzo per un interesse fondamentale della comunità dello Stato membro in cui si trova sia reale, attuale e sufficientemente grave e che la revoca dello status di rifugiato costituisca una misura proporzionata a tale pericolo.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il francese.

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