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Document 62022CC0402

    Conclusioni dell’avvocato generale J. Richard de la Tour, presentate il 17 maggio 2023.
    Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid contro M.A.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Paesi Bassi).
    Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2011/95/ UE – Norme relative ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Articolo 14, paragrafo 4, lettera b) – Revoca dello status di rifugiato – Cittadino di un paese terzo condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità – Pericolo per la comunità – Controllo di proporzionalità.
    Causa C-402/22.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:420

     CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    JEAN RICHARD DE LA TOUR

    presentate il 17 maggio 2023 ( 1 )

    Causa C‑402/22

    Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid

    contro

    M.A.

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)]

    «Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Articolo 14, paragrafo 4, lettera b), e paragrafo 5 – Rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato – Cittadino di un paese terzo che ha commesso un reato di particolare gravità – Nozione di “reato di particolare gravità”»

    I. Introduzione

    1.

    La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta ( 2 ).

    2.

    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra M.A., cittadino di un paese terzo, e lo Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi) (in prosieguo: il «Segretario di Stato»), relativamente alla decisione di quest’ultimo di respingere la domanda di protezione internazionale presentata da detto cittadino.

    3.

    L’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 stabilisce che gli Stati membri hanno la facoltà di revocare lo status riconosciuto a un rifugiato quando la persona in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova.

    4.

    In forza dell’articolo 14, paragrafo 5, di tale direttiva, in un caso del genere, gli Stati membri possono anche decidere di non riconoscere lo status a un rifugiato quando la decisione non è ancora stata presa. La decisione di cui trattasi nel procedimento principale è stata precisamente adottata sulla base di tale disposizione.

    5.

    Nelle conclusioni che ho presentato nelle cause AA (Rifugiato che ha commesso un reato di particolare gravità) e Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Rifugiato che ha commesso un reato di particolare gravità) ( 3 ), ho sostenuto l’interpretazione secondo cui l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 sottopone a due condizioni cumulative la facoltà di cui dispone uno Stato membro di revocare lo status di rifugiato. A questo proposito, ho spiegato perché considero che la sussistenza di una condanna definitiva per un reato di particolare gravità costituisca una condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché uno Stato membro possa revocare tale status.

    6.

    In tali conclusioni ho altresì esposto i motivi per i quali ritengo che il pericolo costituito dal condannato, nel momento in cui viene adottata una decisione di revoca dello status di rifugiato, debba essere reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità dello Stato membro interessato. Ho inoltre precisato che una decisione di revocare lo status di rifugiato deve, a mio avviso, rispettare il principio di proporzionalità e, più in generale, i diritti fondamentali dell’interessato, quali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

    7.

    Per contro, poiché nessuna delle questioni sollevate dai giudici del rinvio nelle cause C‑663/21 e C‑8/22 riguardava direttamente il significato della condizione secondo la quale il cittadino interessato di un paese terzo deve essere stato «condannat[o] con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità», non ho preso posizione su questo aspetto.

    8.

    Nella presente causa, il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) chiede espressamente alla Corte di pronunciarsi su tale aspetto nella sua prima questione pregiudiziale in relazione a una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale.

    9.

    Su richiesta della Corte, le presenti conclusioni si concentreranno su tale prima questione pregiudiziale, con la quale il giudice del rinvio chiede chiarimenti alla Corte sui criteri per poter definire la nozione di «reato di particolare gravità» ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95.

    10.

    Nelle considerazioni che seguono illustrerò i motivi per i quali ritengo che tale disposizione dovrebbe essere interpretata nel senso che costituisce un «reato di particolare gravità», ai sensi di detta disposizione, un reato caratterizzato da un livello eccezionale di gravità. Preciserò il metodo e i criteri che dovrebbero, a mio avviso, consentire agli Stati membri di valutare se si configuri un siffatto reato.

    II. Contesto normativo

    A.   Diritto internazionale

    11.

    L’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati ( 4 ), quale integrata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati ( 5 ) (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»), stabilisce quanto segue:

    «1.   Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

    2.   La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese».

    B.   Diritto dell’Unione

    12.

    L’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 così recita:

    «Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che:

    a)

    abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;

    b)

    abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato (…);

    c)

    si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite (…)».

    13.

    L’articolo 14, paragrafi 4 e 5, di tale direttiva dispone quanto segue:

    «4.   Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario quando:

    a)

    vi sono fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova;

    b)

    la persona in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro.

    5.   Nelle situazioni previste al paragrafo 4, gli Stati membri possono decidere di non riconoscere lo status a un rifugiato quando la decisione non è ancora stata presa».

    14.

    L’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), di detta direttiva è così formulato:

    «Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dalla qualifica di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria ove sussistano fondati motivi per ritenere che:

    (…)

    b) abbia commesso un reato grave».

    15.

    L’articolo 21, paragrafi 1 e 2, della medesima direttiva è formulato come segue:

    «1.   Gli Stati membri rispettano il principio di “non refoulement” in conformità dei propri obblighi internazionali.

    2.   Qualora non sia vietato dagli obblighi internazionali previsti dal paragrafo 1, gli Stati membri possono respingere un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno:

    a)

    quando vi siano ragionevoli motivi per considerare che rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova; o

    b)

    quando, essendo stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro».

    C.   Diritto dei Paesi Bassi

    16.

    Il paragrafo C2/7.10.1 della Vreemdelingencirculaire 2000 (circolare del 2000 sugli stranieri), intitolato «L’ordine pubblico come motivo di rifiuto», precisa quanto segue:

    «Nell’ambito della valutazione di una domanda di permesso di soggiorno temporaneo a titolo di asilo, l’Immigratie – en Naturalisatiedienst [(servizio per l’immigrazione e la naturalizzazione, Paesi Bassi (in prosieguo: l’«IND»)] esamina se il cittadino straniero costituisca un pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale. Qualora il cittadino straniero sia un rifugiato ai sensi della Convenzione [di Ginevra], l’IND valuta se si configuri un reato di particolare gravità (…).

    L’IND valuta caso per caso se sussista un reato (di particolare gravità), sulla base di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti. A tale riguardo, esso prende in ogni caso in considerazione le circostanze particolari invocate dal cittadino straniero riferite alla natura e alla gravità del reato nonché al tempo trascorso dai fatti.

    (…)

    L’IND valuta la questione della sussistenza di un reato (di particolare gravità) verificando se, in totale, la somma delle pene irrogate corrisponda almeno alla norma applicabile. In tale contesto, è attribuita particolare importanza alle circostanze individuali, compresa la questione della percentuale dei reati che costituiscono un pericolo per la comunità. In ogni caso, almeno una delle condanne deve essere relativa a un illecito che costituisce un siffatto pericolo.

    Al fine di stabilire se la somma delle pene irrogate corrisponda alla norma applicabile, l’IND tiene comunque conto della parte delle pene incondizionatamente esecutiva.

    Nell’ambito della valutazione, l’IND prende in considerazione la parte condizionalmente sospesa dell’esecuzione delle pene se, e nella misura in cui, si tratti (anche) di:

    reati connessi agli stupefacenti, reati sessuali e reati violenti;

    tratta di esseri umani; o

    commissione, preparazione o favoreggiamento di un reato terroristico.

    Al fine di valutare la sussistenza di un pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, l’IND prende in considerazione anche le condanne a pene di lavoro di pubblica utilità, calcolando la norma applicabile in base ai seguenti elementi:

    la durata della pena detentiva sostitutiva pronunciata dal giudice;

    la durata della pena detentiva pronunciata dal giudice nel caso in cui lo straniero non esegua debitamente una pena di lavoro di pubblica utilità alla quale sia stato condannato; e

    per ogni periodo di due ore [di lavoro di pubblica utilità inflitto] con decreto penale di condanna: un giorno di pena detentiva.

    (…)

    Ordine pubblico se il cittadino straniero è un rifugiato ai sensi della Convenzione [di Ginevra]

    L’IND non concede il permesso di soggiorno temporaneo a titolo di asilo a un cittadino straniero per il quale ricorrano tutte le seguenti condizioni:

    il cittadino straniero soddisfa le condizioni per ottenere un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di asilo (...); e

    è stato condannato per un “reato di particolare gravità” e costituisce un “pericolo per la comunità”.

    Un “reato di particolare gravità” si considera sussistente quando ricorrono tutte le seguenti condizioni:

    il cittadino straniero è stato oggetto di una condanna definitiva a una pena o una misura detentiva; e

    la durata complessiva della pena inflitta è di almeno dieci mesi.

    L’IND tiene parimenti conto, nell’ambito di tale valutazione, dei reati commessi all’estero. A tale riguardo, sulla base delle informazioni fornite dall’Openbaar Ministerie [pubblico ministero, Paesi Bassi], l’IND valuta quali sarebbero le conseguenze connesse a tali reati ai sensi del diritto dei Paesi Bassi se fossero stati commessi e puniti nei Paesi Bassi.

    L’IND valuta il pericolo per la comunità caso per caso e sulla base di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti.

    Nel valutare il “pericolo per la comunità” costituito dal cittadino straniero, l’IND tiene comunque conto, tra l’altro, dei seguenti aspetti:

    la natura del reato; e

    la pena inflitta.

    L’IND valuta il pericolo costituito dal cittadino straniero per la comunità sulla base della situazione esistente al momento dell’esame della domanda (valutazione “ex nunc”).

    L’IND può comunque riconoscere l’esistenza di un pericolo per la comunità in caso di:

    reati connessi agli stupefacenti, reati sessuali e reati violenti;

    incendio doloso;

    tratta di esseri umani;

    traffico di armi, munizioni ed esplosivi; e

    traffico di organi e tessuti umani.

    (…)».

    III. Fatti del procedimento principale e questioni pregiudiziali

    17.

    Il 5 luglio 2018 M.A. ha presentato una quarta domanda di protezione internazionale nei Paesi Bassi.

    18.

    Il Segretario di Stato ha respinto tale domanda con decisione del 12 giugno 2020. In detta decisione egli ha considerato che M.A., pur avendo un timore fondato di essere perseguitato nel suo paese d’origine, era stato tuttavia condannato per un reato di particolare gravità con decisione definitiva, costituendo di conseguenza un pericolo per la comunità.

    19.

    A tale riguardo, il Segretario di Stato si è fondato sul fatto che M.A. era stato condannato, nel 2018, con sentenza passata in giudicato, a una pena detentiva di 24 mesi ( 6 ) per aver commesso, nel corso della stessa sera, tre violenze sessuali, un tentativo di violenza sessuale e il furto di un telefono cellulare.

    20.

    M.A. ha proposto ricorso avverso la decisione del 12 giugno 2020.

    21.

    Con sentenza del 13 luglio 2020, il rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi) ha annullato tale decisione, sostenendo che il Segretario di Stato non aveva sufficientemente motivato, da un lato, che gli atti commessi da M.A. fossero di una gravità tale da giustificare il diniego dello status di rifugiato e, dall’altro, che M.A. costituisse un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della comunità.

    22.

    Il Segretario di Stato ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al Raad van State (Consiglio di Stato). A sostegno di tale appello, egli sostiene, in primo luogo, che i fatti addebitati a M.A. devono essere considerati come un unico illecito configurante un reato di particolare gravità, tenuto conto della natura di tali fatti, della pena inflitta e dell’effetto perturbante di detti fatti per la comunità dei Paesi Bassi. Egli sostiene, in secondo luogo, che la condanna di M.A. per un reato di particolare gravità dimostra, in linea di principio, che questi rappresenta un pericolo per la comunità.

    23.

    M.A., dal canto suo, sostiene che il Segretario di Stato ha erroneamente adottato la misura della pena inflitta come base per esaminare e valutare se il reato fosse di particolare gravità. Ogni caso dovrebbe essere oggetto di una valutazione individuale, cosa che il metodo seguito dal Segretario di Stato non consentirebbe. M.A. sottolinea parimenti che la violenza sessuale è la forma di illecito meno grave tra i reati contro il buoncostume. Inoltre, per quanto riguarda la condizione relativa all’esistenza di un pericolo per la comunità, M.A. ritiene che la valutazione adottata dal rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia) sia corretta.

    24.

    Per potersi pronunciare su detto ricorso in appello, il giudice del rinvio ritiene di necessitare di alcuni chiarimenti quanto alle circostanze sulla base delle quali gli Stati membri devono determinare se un cittadino di un paese terzo sia stato condannato in via definitiva per un reato di particolare gravità. Esso si chiede, in particolare, in che misura la soluzione adottata dalla Corte nella sentenza del 13 settembre 2018, Ahmed ( 7 ), in merito all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, possa essere trasposta all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della stessa, sebbene il primo faccia riferimento a un «reato grave» mentre il secondo fa riferimento a un «reato di particolare gravità».

    25.

    Inoltre, alla luce del disaccordo tra le parti quanto alla portata della nozione di «pericolo per la comunità», il giudice del rinvio fa proprie le questioni pregiudiziali sollevate dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) nella causa C‑8/22 ( 8 ).

    26.

    In tali circostanze, il Consiglio di Stato (Raad van State) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    a)

    Quando un reato sia di tale “particolare gravità”, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, parte iniziale e lettera b), della direttiva [2011/95], che uno Stato membro può rifiutare lo status di rifugiato a una persona bisognosa di protezione internazionale.

    b)

    Se i criteri applicabili per il “reato grave”, di cui all’articolo 17, paragrafo 1, parte iniziale e lettera b), della direttiva [2011/95], come enunciati al punto 56 della sentenza [Ahmed], siano rilevanti al fine di valutare se si configuri un “reato di particolare gravità”. In tal caso, se esistano anche criteri aggiuntivi che rendono un reato di “particolare” gravità.

    2)

    Se l’articolo 14, paragrafo 4, parte iniziale e lettera b), della direttiva [2011/95] debba essere interpretato nel senso che esso prevede che il pericolo per la società sia dimostrato per il solo fatto che il beneficiario dello status di rifugiato è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità, oppure nel senso che esso prevede che la mera condanna, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità non sia sufficiente per dimostrare la sussistenza di un pericolo per la società.

    3)

    Nel caso in cui la mera condanna, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità non sia sufficiente per dimostrare la sussistenza di un pericolo per la società, se l’articolo 14, paragrafo 4, parte iniziale e lettera b), della direttiva [2011/95] debba essere interpretato nel senso che esso esige che lo Stato membro dimostri che il ricorrente, successivamente alla sua condanna, continui a costituire un pericolo per la società. Se lo Stato membro debba dimostrare che tale pericolo è reale e attuale o se sia sufficiente la sussistenza di un pericolo potenziale. Se l’articolo 14, paragrafo 4, parte iniziale e lettera b), [di tale direttiva], letto da solo o in combinato disposto con il principio di proporzionalità, debba essere interpretato nel senso che esso consente la revoca dello status di rifugiato soltanto qualora tale revoca sia proporzionata e il pericolo costituito dal beneficiario di tale status sia sufficientemente grave da giustificare detta revoca.

    4)

    Nel caso in cui lo Stato membro non sia tenuto a dimostrare che il ricorrente, successivamente alla sua condanna, continui a costituire un pericolo per la società e che tale pericolo sia reale, attuale e sufficientemente grave da giustificare la revoca dello status di rifugiato, se l’articolo 14, paragrafo 4, parte iniziale e lettera b), della direttiva [2011/95] debba essere interpretato nel senso che esso implica che il pericolo per la società è dimostrato, in linea di principio, dal fatto che il beneficiario dello status di rifugiato è stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, ma che quest’ultimo può dimostrare di non costituire o di non costituire più un simile pericolo».

    27.

    Hanno presentato osservazioni scritte M.A., i governi dei Paesi Bassi e ungherese nonché la Commissione europea.

    IV. Analisi

    28.

    Con la sua prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte di pronunciarsi sulla portata dell’articolo 14, paragrafo 4, [parte iniziale e] lettera b), della direttiva 2011/95 al fine di determinare il metodo e i criteri in base ai quali debba essere definita la nozione di «reato di particolare gravità» ai sensi di tale disposizione.

    29.

    Detto giudice chiede, in particolare, se i requisiti e i parametri da prendere in considerazione per concludere che una persona ha commesso un «reato grave» ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, quali risultano in particolare dalla sentenza Ahmed, siano pertinenti anche per stabilire se una persona abbia commesso un «reato di particolare gravità», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva.

    30.

    Ricordo che l’esistenza di un reato di particolare gravità è una condizione necessaria – sebbene non sufficiente – per l’esercizio della facoltà di revoca o di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato di cui gli Stati membri dispongono in forza di tale disposizione o dell’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2011/95.

    31.

    Rilevo che né l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 né alcun’altra disposizione della stessa contemplano una definizione della nozione di «reato di particolare gravità».

    32.

    Occorre altresì constatare che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 non rinvia al diritto degli Stati membri ai fini della definizione della nozione di «reato di particolare gravità» contenuta in tale disposizione. Orbene, dalle esigenze inerenti tanto all’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto al principio di parità discende che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione non contenente alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri al fine di determinare il senso e la portata della disposizione stessa devono di norma ricevere, in tutta l’Unione, un’interpretazione autonoma e uniforme ( 9 ).

    33.

    Preciso, a tal riguardo, che l’adozione di un’interpretazione autonoma e uniforme della nozione di «reato di particolare gravità», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, non deve condurre a privare gli Stati membri del loro potere discrezionale in ordine alla definizione delle rispettive politiche penali. In altre parole, non si tratta di cercare di uniformare le politiche penali degli Stati membri per vie traverse. Una siffatta interpretazione mira unicamente ad assicurare che la valutazione della condizione relativa alla particolare gravità di un reato, enunciata in tale disposizione, si basi su un metodo e criteri comuni al fine di garantire che l’attuazione della facoltà di revoca o di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato sia vincolata dagli stessi limiti in tutti gli Stati membri.

    34.

    In breve, non si tratta di negare le diverse concezioni in materia di politiche penali che possono esistere tra gli Stati membri. Si tratta di fornire alle autorità competenti gli strumenti necessari per stabilire, su una base comune, la particolare gravità di un reato.

    35.

    Ciò precisato, poiché la direttiva 2011/95 non definisce i termini «reato di particolare gravità», questi devono essere interpretati conformemente al loro senso abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto del contesto nel quale vengono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essi fanno parte ( 10 ).

    36.

    Per quanto riguarda il termine «reato», esso deve, a mio avviso, essere inteso come riferito in generale a un illecito previsto dal diritto penale dello Stato membro interessato, senza essere limitato a categorie specifiche di illeciti.

    37.

    In realtà, il criterio distintivo che consente di limitare la portata della nozione di «reato di particolare gravità» riguarda il grado di gravità dell’illecito considerato. Pertanto, solo i reati che raggiungono un livello di particolare gravità sono idonei a consentire agli Stati membri di attuare la facoltà di cui dispongono di revocare o rifiutare il riconoscimento dello status di rifugiato.

    38.

    Per quanto riguarda il senso abituale dell’espressione «di particolare gravità», nel linguaggio corrente essa designa un livello di gravità che presenta, per la sua portata, un carattere inusuale o poco comune e che può quindi essere qualificato come «eccezionale». Tale espressione è quindi sinonimo di «di eccezionale gravità», «di straordinaria gravità» o «di estrema gravità».

    39.

    Ne consegue che un «reato di particolare gravità» è un illecito penale caratterizzato da talune specificità che consentono di collocarlo nella categoria dei reati più gravi.

    40.

    Ciò mi induce a ritenere che un «reato di particolare gravità» ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 costituisca un illecito penale caratterizzato dalla gravità eccezionale che gli viene riconosciuta nello Stato membro che intende esercitare la propria facoltà di revoca o di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato.

    41.

    La presa in considerazione del contesto in cui s’inserisce detta disposizione consente, a mio avviso, di confermare tali primi elementi di analisi.

    42.

    A questo proposito, rilevo che tale contesto deve condurre ad adottare un’interpretazione restrittiva della disposizione in parola.

    43.

    Ricordo infatti che lo status di rifugiato deve essere riconosciuto a una persona quando quest’ultima soddisfa i requisiti minimi stabiliti dal diritto dell’Unione. Pertanto, ai sensi dell’articolo 13 della direttiva 2011/95, gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III di tale direttiva.

    44.

    Orbene, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), e paragrafo 5, della direttiva 2011/95 prevede una causa di revoca o di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato, che costituisce un’eccezione alla regola generale stabilita all’articolo 13 di tale direttiva e che ha l’effetto di limitare i diritti e i benefici previsti al capo VII di quest’ultima. Tale causa di revoca o di rifiuto deve quindi, a mio avviso, in quanto norma derogatoria, essere interpretata restrittivamente, il che significa che essa può essere applicata soltanto qualora l’autorità competente dimostri che il cittadino interessato di un paese terzo è stato condannato in via definitiva per un reato di eccezionale gravità.

    45.

    Il raffronto con altre disposizioni della direttiva 2011/95 consente, a mio avviso, di confermare siffatta interpretazione. Sono infatti previste, tra le cause di esclusione dello status di rifugiato, la commissione di un «reato grave di diritto comune» all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva e, tra le cause di esclusione dal beneficio della protezione sussidiaria, la commissione di un «reato grave» all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della citata direttiva. Facendo riferimento a un «reato di particolare gravità» all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva medesima, il legislatore dell’Unione ha manifestamente inteso limitare l’ambito di applicazione di quest’ultima disposizione esigendo non solo che il livello di gravità richiesto dalla citata disposizione sia superiore a quello richiesto per l’applicazione delle cause di esclusione, ma che si tratti anche di un livello di eccezionale gravità. Osservo d’altronde che detto legislatore ha adottato l’espressione «di particolare gravità» e non l’espressione «molto grave».

    46.

    Inoltre, alla stregua di quanto precisato dalla Corte in relazione al motivo corrispondente di cui all’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, che consente il respingimento di un rifugiato, si deve considerare che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva assoggetta la revoca dello status di rifugiato a condizioni rigorose dato che, in particolare, solo un rifugiato condannato con sentenza passata in giudicato per un «reato di particolare gravità» può essere considerato una «pericolo per la comunità di tale Stato membro» ( 11 ). Tali condizioni rigorose sono commisurate alle conseguenze significative derivanti dalla revoca o dal rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato, vale a dire che l’interessato non disporrà, o non disporrà più, di tutti i diritti e i benefici enunciati al capo VII della citata direttiva, che sono associati a tale status ( 12 ).

    47.

    L’interpretazione secondo la quale occorre limitare l’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), e paragrafo 5, della direttiva 2011/95 ai reati connotati da un livello di eccezionale gravità mi sembra altresì coerente con quella adottata riguardo all’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, il quale dispone segnatamente che il principio di non respingimento non può essere invocato da un rifugiato che «costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività [del paese in cui si trova]». A questo proposito, osservo che, sebbene tale disposizione abbia un oggetto diverso, in quanto prevede eccezioni al divieto di respingimenti, è assodato che essa sia stata la fonte dei motivi di revoca o di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato menzionati dal legislatore dell’Unione all’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95. Mi pare quindi opportuno tenere conto dell’interpretazione dell’articolo 33, paragrafo 2, di tale convenzione che costituisce, come risulta dai considerando 4, 23 e 24 di detta direttiva, la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati ( 13 ).

    48.

    Più in generale, ritengo che, poiché le ipotesi previste all’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95, in cui gli Stati membri possono procedere alla revoca o al rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato, corrispondono, in sostanza, a quelle in cui gli Stati membri possono procedere al respingimento di un rifugiato ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, di detta direttiva e dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, i motivi menzionati in tali disposizioni dovrebbero essere interpretati nello stesso modo.

    49.

    Orbene, l’interpretazione dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra sembra collimare con quella che raccomando in relazione all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, secondo la quale un reato «di particolare gravità» è un reato connotato da un livello di eccezionale gravità.

    50.

    Per quanto riguarda il termine «reato», ho già precisato che esso può avere significati diversi nei diritti nazionali, circostanza che è stata evidenziata nel contesto dell’interpretazione dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra ( 14 ). Pertanto, l’applicabilità di tale disposizione non dipende dalla circostanza che l’atto per il quale una persona è stata condannata sia classificato in una determinata categoria del diritto penale nazionale, ma piuttosto dalla constatazione che si tratta di un atto «di particolare gravità» e considerato come tale da detto diritto ( 15 ).

    51.

    Peraltro, è stato sottolineato il carattere eccezionale dell’applicabilità dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra ( 16 ). In quest’ottica, il «reato di particolare gravità» costituisce una variante del «reato grave», limitata a «casi eccezionali» ( 17 ). Il requisito della sussistenza di un «reato di particolare gravità», per la portata limitante da cui è connotato, è coerente con la necessità di adottare una soglia di applicabilità particolarmente elevata dell’eccezione al principio di non respingimento contenuta all’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra ( 18 ).

    52.

    Lo scopo principale della direttiva 2011/95, che è quello di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri ( 19 ), depone parimenti, a mio avviso, a favore di un’interpretazione che limiti l’ambito di applicazione di detto articolo 14, paragrafo 4, lettera b), e paragrafo 5, della stessa a casi eccezionali, vale a dire agli atti più severamente puniti e alle forme più gravi di criminalità all’interno dello Stato membro interessato.

    53.

    Tanto precisato, occorre ora esaminare il metodo e i criteri che consentono agli Stati membri di stabilire se si configuri un «reato di particolare gravità» ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95.

    54.

    La giurisprudenza della Corte contiene, al riguardo, un certo numero di insegnamenti che ritengo, in larga misura, applicabili per analogia, ma che meritano tuttavia di essere completati.

    55.

    Per quanto riguarda il metodo, da tale giurisprudenza risulta che l’autorità competente dello Stato membro interessato può invocare la causa di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/95 e all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della medesima direttiva, che vertono sulla commissione, da parte del richiedente la protezione internazionale, di un «reato grave», solo dopo aver effettuato, per ciascun singolo caso, una valutazione dei fatti precisi di cui essa ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dalla persona interessata, che per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status richiesto, rientrino in tale causa di esclusione, mentre la valutazione della gravità dell’illecito in questione richiede un esame completo di tutte le circostanze del caso singolo di cui trattasi ( 20 ).

    56.

    Il metodo così definito mi sembra compatibile con la fissazione da parte degli Stati membri, nell’interesse della certezza del diritto, di soglie di pena minime per consentire l’esercizio della facoltà di revoca o di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato di cui essi dispongono ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), e paragrafo 5, della direttiva 2011/95 ( 21 ). Gli Stati membri possono parimenti decidere di riservare il ricorso a tale facoltà a determinate tipologie di reati. In ogni caso, è importante tuttavia escludere ogni automatismo nell’attuazione di detta facoltà ( 22 ). Pertanto, dev’essere sistematicamente effettuata una valutazione di tutte le circostanze individuali, indipendentemente dal fatto che gli Stati membri prevedano o meno una soglia di pena. Una siffatta valutazione è particolarmente significativa e difficile dal momento che è il criminale e non il reato ad essere punito ( 23 ). Peraltro, una stessa qualificazione penale può coprire un ampio spettro di comportamenti aventi un livello di gravità variabile.

    57.

    Le motivazioni della sentenza di condanna svolgono, a mio avviso, un ruolo decisivo nello svolgimento della valutazione da effettuare. Occorre quindi esaminare se il giudice che ha condannato la persona di cui trattasi abbia qualificato i fatti come «gravi» o come «di particolare gravità» e gli elementi da esso accolti a sostegno di tale qualificazione.

    58.

    Come indicato in precedenza, non si tratta pertanto di definire una soglia di particolare gravità di un reato a livello dell’Unione, poiché ciò sarebbe non solo in contrasto con le differenze esistenti tra le politiche penali degli Stati membri, ma anche incompatibile con il metodo di imporre un esame di tutte le circostanze specifiche di ogni singolo caso.

    59.

    In aggiunta, occorre precisare, alla stregua della Commissione, che, poiché il diritto penale sostanziale è soggetto soltanto a un’armonizzazione limitata, gli Stati membri mantengono un certo potere discrezionale nella definizione di ciò che costituisce un «reato di particolare gravità» ai fini dell’applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95.

    60.

    Passando ora ai criteri, la Corte ha indicato, nella sentenza Ahmed, che l’interpretazione secondo la quale è necessario effettuare una valutazione di tutti i fatti rilevanti «è avvalorata dalla relazione dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (“EASO”) [ ( 24 )], del gennaio 2016, intitolata “Esclusione: articoli 12 e 17 della direttiva qualifiche (2011/95/UE)”, la quale raccomanda, al punto 3.2.2 relativo all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, che la gravità del reato in grado di escludere una persona dalla protezione sussidiaria sia valutata alla luce di una pluralità di criteri quali, segnatamente, la natura dell’atto di cui trattasi, i danni causati, la forma del procedimento utilizzato per esercitare l’azione penale, la natura della pena prevista e la presa in considerazione della questione se anche la maggior parte degli organi giurisdizionali considera l’atto di cui trattasi un reato grave. L’[EUAA] fa riferimento, a tal riguardo, a talune decisioni adottate dai supremi organi giurisdizionali degli Stati membri» ( 25 ).

    61.

    Benché i criteri evidenziati dalla Corte nell’ambito di tale sentenza siano stati indicati in relazione alla nozione di «reato grave» ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, ritengo che essi siano utili anche per accertare l’esistenza di un «reato di particolare gravità» ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della citata direttiva ( 26 ), fermo restando che siffatti criteri devono, in tale contesto, essere intesi a dimostrare la gravità eccezionale del reato di cui trattasi, che si connota per un livello di gravità significativamente diverso rispetto al reato grave ( 27 ).

    62.

    Osservo, a tal riguardo, che, tra i fattori presi in considerazione ai fini dell’applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, figurano la natura del reato, il danno effettivamente cagionato, la forma del procedimento utilizzato per l’esercizio dell’azione penale e la questione se l’atto di cui trattasi possa essere considerato grave nella maggior parte degli ordinamenti giuridici ( 28 ).

    63.

    Di conseguenza, al fine di dimostrare l’esistenza di un «reato di particolare gravità» ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 occorre tenere conto dei seguenti criteri: la natura dell’atto di cui trattasi ( 29 ), i danni causati ( 30 ), la forma del procedimento utilizzato per esercitare l’azione penale nei confronti della persona interessata e per giudicarla, la natura e la durata della pena inflitta ( 31 ) nonché la presa in considerazione della questione se anche la maggior parte degli organi giurisdizionali considera l’atto di cui trattasi un reato di particolare gravità.

    64.

    Occorre, inoltre, tenere conto di quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Ahmed, con riferimento alla pena prevista, ossia che l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 osta a una legislazione nazionale ai sensi della quale si possa ritenere che un richiedente protezione internazionale abbia commesso un reato grave sulla sola base della pena prevista per un determinato reato ai sensi del diritto di tale Stato membro ( 32 ). Tale sentenza riconosce, tuttavia, che il criterio della pena prevista assume particolare importanza nel valutare la gravità di un reato ( 33 ).

    65.

    Nel caso di una pena inflitta e non più solo prevista, il criterio relativo alla natura e alla durata della pena mi sembra debba svolgere un ruolo ancor più significativo ( 34 ).

    66.

    Riconosco, tuttavia, per analogia con quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Ahmed, che il criterio della pena inflitta non deve essere utilizzato da solo e in modo automatico per esaminare se un reato sia di particolare gravità. Tale criterio, al pari di quello della natura del reato, deve essere completato da una valutazione di tutte le circostanze, compreso un esame del contesto in cui l’illecito è stato commesso e del comportamento della persona interessata ( 35 ), valutazione che deve, in particolare, basarsi sulle motivazioni della sentenza di condanna.

    67.

    Infatti, dal momento che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 fa riferimento a una condanna in via definitiva, si deve ritenere che il giudice che ha pronunciato una siffatta condanna abbia tenuto conto di tutte le circostanze individuali ai fini dell’inflizione della pena ritenuta appropriata. A tale riguardo, il carattere decisivo delle motivazioni della sentenza di condanna e della valutazione effettuata dal giudice penale che ha pronunciato tale sentenza, che ho evidenziato in precedenza, discende, a mio avviso, dalla differenza sussistente tra le cause di esclusione dallo status di rifugiato o dal beneficio della protezione sussidiaria, menzionate all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), e all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva, che fanno riferimento al fatto di aver «commesso» un reato grave, e la causa di revoca o di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), e paragrafo 5, della citata direttiva, che fa riferimento al fatto di essere una persona «condannata con sentenza passata in giudicato».

    68.

    Peraltro, ritengo particolarmente rilevante, nell’ambito della valutazione da effettuare, confrontare la sanzione inflitta con il massimo edittale previsto per il reato di cui trattasi ( 36 ). Occorre inoltre esaminare la collocazione della pena pronunciata nella gerarchia delle pene vigente nello Stato membro interessato ( 37 ).

    69.

    Aggiungo altresì i seguenti criteri, che ritengo debbano far parte del novero degli elementi utili per valutare se un reato presenti un livello di eccezionale gravità:

    la preponderanza delle circostanze aggravanti o, al contrario, delle circostanze attenuanti, e

    la natura dell’interesse giuridico leso ( 38 ).

    70.

    Occorre inoltre precisare che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 fa riferimento alla circostanza che un rifugiato sia stato «condannat[o] con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità» ( 39 ). L’uso del singolare e la necessità di adottare un’interpretazione restrittiva di tale disposizione escludono, a mio avviso, che tale causa di revoca o di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato possa essere applicata sulla base di un cumulo di pene pronunciate per più illeciti penali, nessuno dei quali, considerato isolatamente, possa essere qualificato come «reato di particolare gravità» ( 40 ).

    71.

    Spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce del metodo e dei criteri che ho appena descritto, se possa qualificare la condanna a carico di M.A. come relativa ad un «reato di particolare gravità». Tale giudice dovrà tener conto, in particolare, della natura e del livello della pena inflitta a M.A., nella fattispecie una pena detentiva di 24 mesi. Detto giudice dovrà altresì verificare se tale pena sia condizionalmente sospesa per un periodo di otto mesi, come sembra risultare dalle osservazioni scritte di M.A. e del governo dei Paesi Bassi.

    72.

    Inoltre, come ho già indicato, il metodo consistente nell’adottare, nella normativa dei Paesi Bassi, un livello di durata della pena o della misura privativa della libertà personale inflitta, nella fattispecie di dieci mesi, quale soglia minima idonea a consentire a uno Stato membro di attuare la facoltà di revoca o di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato di cui esso dispone, non mi sembra discutibile in linea di principio. Tale metodo deve tuttavia comprendere una valutazione di tutte le circostanze specifiche di ogni singolo caso, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare.

    73.

    In aggiunta, come correttamente precisato dalla Commissione, mi sembrerebbe in contrasto con l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 che la normativa dei Paesi Bassi consentisse all’autorità competente di sommare più pene inflitte per più reati al fine di verificare l’eventuale superamento di detta soglia minima. A tal riguardo, ritengo pertinente operare una distinzione a seconda che il diritto penale di uno Stato membro preveda, in caso di concorso di reati, il cumulo delle pene o il divieto di cumulo delle pene con l’irrogazione della pena massima prevista. Spetta al giudice del rinvio verificare se la pena inflitta a M.A. si basi sull’una o sull’altra di queste ipotesi, la prima delle quali non può condurre l’autorità competente, sommando più pene pronunciate per più reati, ad attribuire la qualificazione di «reato di particolare gravità», ai sensi di tale disposizione.

    V. Conclusione

    74.

    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale sollevata dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) nel modo seguente:

    L’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta,

    deve essere interpretato nel senso che:

    per «reato di particolare gravità», ai sensi di tale disposizione, si intende un illecito penale connotato da un livello di eccezionale gravità;

    uno Stato membro può invocare la causa di revoca o di rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), o paragrafo 5, della direttiva 2011/95 solo dopo aver effettuato, per ciascun singolo caso, una valutazione dei fatti precisi di cui esso ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dalla persona interessata rientrino in tale causa di revoca o di rifiuto del riconoscimento, mentre la valutazione del livello di eccezionale gravità del reato per il quale tale persona è stata condannata con sentenza passata in giudicato richiede un esame completo di tutte le circostanze del caso singolo di cui trattasi;

    al fine di stabilire se si configuri un «reato di particolare gravità» ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, lo Stato membro interessato deve segnatamente basare il proprio esame sui seguenti criteri: la natura dell’atto di cui trattasi, i danni causati, la forma del procedimento utilizzato per esercitare l’azione penale nei confronti della persona interessata e per giudicarla, la natura e la durata della pena inflitta, comparando tale pena con il massimo edittale previsto per l’illecito di cui trattasi ed esaminando la collocazione di detta pena nella gerarchia delle pene vigente in tale Stato membro, la presa in considerazione della questione se anche la maggior parte degli organi giurisdizionali considera l’atto di cui trattasi un reato di particolare gravità, la preponderanza delle circostanze aggravanti o, al contrario, delle circostanze attenuanti, e la natura dell’interesse giuridico leso;

    esso non osta a una normativa nazionale che fissi una soglia minima per la durata della pena inflitta, al di sopra della quale un illecito penale può essere qualificato come «reato di particolare gravità» ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, a condizione che, da un lato, la presa in considerazione di tale soglia minima sia accompagnata da una valutazione di tutte le circostanze specifiche di ogni singolo caso e, dall’altro, che tale normativa non consenta di sommare più pene inflitte per più reati, nessuno dei quali, considerato isolatamente, raggiunga il livello di eccezionale gravità richiesto da tale disposizione, al fine di determinare se detta soglia minima sia superata.


    ( 1 ) Lingua originale: il francese.

    ( 2 ) GU 2011, L 337, pag. 9.

    ( 3 ) C‑663/21 e C‑8/22, EU:C:2023:114.

    ( 4 ) Firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)] ed entrata in vigore il 22 aprile 1954.

    ( 5 ) Concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967.

    ( 6 ) Dei quali otto mesi con sospensione condizionale dell’esecuzione della pena, come risulta dalle osservazioni presentate da M.A. e dal governo dei Paesi Bassi.

    ( 7 ) C‑369/17; in prosieguo: la «sentenza Ahmed, EU:C:2018:713.

    ( 8 ) V. nota 3 delle presenti conclusioni.

    ( 9 ) V., in particolare, sentenze Ahmed (punto 36 e giurisprudenza ivi citata); del 31 marzo 2022, Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl e a. (Ricovero di un richiedente asilo in un ospedale psichiatrico) (C‑231/21, EU:C:2022:237, punto 42 e giurisprudenza ivi citata), e del 12 gennaio 2023, TP (Montatore audiovisivo per la televisione pubblica) (C‑356/21, EU:C:2023:9, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 10 ) V., in particolare, sentenza del 12 gennaio 2023, TP (Montatore audiovisivo per la televisione pubblica) (C‑356/21, EU:C:2023:9, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 11 ) V. sentenza del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 72).

    ( 12 ) V. sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 99).

    ( 13 ) V., in particolare, sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 81 e giurisprudenza ivi citata). V., altresì, per quanto riguarda la necessità di interpretare le disposizioni della direttiva 2011/95 nel rispetto della Convenzione di Ginevra, sentenza Ahmed (punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 14 ) V., per quanto riguarda l’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, «The refugee Convention, 1951: the Travaux préparatoires analysed with a Commentary by Dr Paul Weis», pag. 246, disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.unhcr.org/protection/travaux/4ca34be29/refugee-convention-1951-travaux-preparatoires-analysed-commentary-dr-paul.html. L’autore afferma che, «[c]on riferimento alle attività criminali, il termine, “crimini” non deve essere inteso nel senso tecnico di un codice penale, ma significa soltanto un reato grave» (traduzione libera). V., altresì, a proposito dell’articolo 1, sezione F, lettera b), della Convenzione di Ginevra, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (HCR), Handbook on Procedures and Criteria for Determining Refugee Status and Guidelines on International Protection under the 1951 Convention and the 1967 Protocol relating to the Status of Refugees, punto 155, pag. 36, nel quale si afferma che «la stessa parola “crimine” ha accezioni diverse a seconda dei vari sistemi giuridici. In alcuni paesi, la parola “crimine” designa esclusivamente i reati gravi; in altri, può designare tutta una serie di reati che vanno dal piccolo furto all’omicidio» (traduzione libera).

    ( 15 ) V., per quanto riguarda l’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, il commento a tale convenzione pubblicato nel 1997 dalla Divisione per la protezione internazionale dell’HCR, disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.unhcr.org/3d4ab5fb9.pdf (pag. 142). Sotto tale profilo, la differenza tra, da un lato, la versione in lingua francese dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, che menziona i termini «crime ou délit», e, dall’altro, la versione in lingua inglese, che utilizza il termine «crime», va relativizzata, in quanto ciò che rileva è l’esistenza di una condanna per un reato di particolare gravità.

    ( 16 ) V. Grahl-Madsen, A., «Expulsion of Refugees», in Macalister-Smith, P., e Alfredsson, G., The Land Beyond: Collected Essays on Refugee Law and Policy, Martinus Nijhoff Publishers, L’Aia, 2001, pagg. da 7 a 16. Secondo l’autore, «[è] possibile affermare con sicurezza che il respingimento di un rifugiato ai sensi dell’articolo 33 [della Convenzione di Ginevra] è una misura eccezionale alla quale si dovrebbe fare ricorso soltanto in circostanze eccezionali» (traduzione libera) (pag. 14).

    ( 17 ) V. Handbook on Procedures and Criteria for Determining Refugee Status and Guidelines on International Protection under the 1951 Convention and the 1967 Protocol relating to the Status of Refugees, citato alla nota 14 delle presenti conclusioni, pag. 36, punto 154.

    ( 18 ) V. Chetail, V., «Le principe de non-refoulement et le statut de réfugié en droit international», in La Convention de Genève du 28 juillet 1951 relative au statut des réfugiés 50 ans après: bilan et perspectives, Bruylant, Bruxelles, 2001, pagg. da 3 a 61, in particolare pag. 44.

    ( 19 ) V. considerando 12 della direttiva 2011/95.

    ( 20 ) V., in particolare, sentenze del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo di ricollocazione temporanea dei richiedenti protezione internazionale) (C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 154 e giurisprudenza ivi citata), nonché del 22 settembre 2022, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a. (C‑159/21, EU:C:2022:708, punto 92).

    ( 21 ) Soglie del genere sono previste in vario modo da taluni Stati membri, mentre altri privilegiano un’analisi caso per caso. V., in particolare, relazione della Commissione, intitolata «Evaluation of the application of the recast Qualification Directive (2011/95/EU)», 2019, pag. 135, disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.statewatch.org/media/documents/news/2019/feb/eu-ceas-qualification-directive-application-evaluation-1-19.pdf. Per gli Stati membri che prevedono soglie di pena nelle rispettive legislazioni nazionali, la Commissione fa riferimento a soglie di pena che vanno da tre a dieci anni di reclusione.

    ( 22 ) Come correttamente rilevato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, il rigetto degli automatismi e la necessità di una valutazione individuale sulla base di tutte le circostanze pertinenti sono elementi consolidati nella giurisprudenza della Corte relativa alla direttiva 2011/95: v., in particolare, sentenze del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti 87, 88, 9394); del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punti da 86 a 89); Ahmed (punti da 48 a 50), e del 22 settembre 2022, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a. (C‑159/21, EU:C:2022:708, punti 80, 8192).

    ( 23 ) V. «The refugee Convention, 1951: the Travaux préparatoires analysed with a Commentary by Dr Paul Weis», op. cit., pag. 246.

    ( 24 ) Divenuto Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA) [v. regolamento (UE) 2021/2303 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2021, relativo all’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo e che abroga il regolamento (UE) n. 439/2010 (GU 2021, L 468, pag. 1)].

    ( 25 ) V. sentenza Ahmed (punto 56).

    ( 26 ) V., a tal riguardo, EUAA, Judicial analysis: Ending international protection, 2a ed., 2021, pag. 62.

    ( 27 ) V., a titolo di esempio, per quanto riguarda i criteri adottati dal Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio), Hardy, J., e Mathues, G., «Retrait du statut de réfugié pour motifs d’ordre public – “Constituer un danger pour la société du fait qu’il a été condamné définitivement pour une infraction particulièrement grave”», Revue du droit des étrangers, Association pour le droit des étrangers, Bruxelles, 2020, n. 207, pagg. da 5 a 14, in particolare pagg. da 6 a 9.

    ( 28 ) V. Presa di posizione dell’HCR sull’iniziativa popolare federale “per l’espulsione dei criminali stranieri” (iniziativa sull’espulsione), 10 settembre 2008, punto 21, pag. 11.

    ( 29 ) Il fatto che un atto sia caratterizzato da un elevato grado di crudeltà può essere indicativo della particolare gravità di un reato, così come il carattere intenzionale o non intenzionale dell’atto punibile.

    ( 30 ) Tale categoria può includere gli effetti concreti dell’illecito nella società, vale a dire la natura e l’entità dei disagi per le vittime e più in generale per la società: perturbazione sociale, presa in considerazione delle preoccupazioni e delle misure adottate per alleviarle. V. Hinterhofer, H., «Das “besonders schwere Verbrechen” iS des § 6 Abs 1 Z 4 AsylG – Ein konkretisierender Auslegungsvorschlag aus strafrechtlicher Sicht», Fremden- und asylrechtliche Blätter: FABL: Jahrgangsband mit Judikatursammlung, Sramek, Vienna, 2009, n. 1, pagg. da 38 a 41.

    ( 31 ) La constatazione che una pena detentiva sia o meno accompagnata da sospensione condizionale assume, a mio avviso, una certa importanza.

    ( 32 ) V. sentenza Ahmed (punto 58).

    ( 33 ) V. sentenza Ahmed (punto 55).

    ( 34 ) V., sul criterio della pena, Kraft, I., «Article 14, Revocation of, ending of or refusal to renew refugee status», in Hailbronner, K. e Thym, D., EU Immigration and Asylum Law: A Commentary, 2a ed., C.H. Beck, Monaco di Baviera, 2016, pagg. da 1225 a 1233, in particolare pag. 1231. L’autore osserva che «un crimine particolarmente grave nel contesto dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra è generalmente riconosciuto se una persona è condannata per reati punibili con pene detentive a lungo termine, quali l’omicidio, lo stupro, la rapina a mano armata, l’incendio doloso, il terrorismo internazionale, ecc.» (traduzione libera).

    ( 35 ) V., per quanto riguarda l’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, Goodwin-Gill, G.S., e McAdam, J., The refugee in international law, 3° ed., Oxford University Press, Oxford, 2007, pag. 239, e Hathaway, J.C., The Rights of Refugees under International Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2021, pagg. da 413 a 416.

    ( 36 ) Quanto più la pena detentiva si avvicina alla pena massima, tanto più l’autorità competente potrà considerare di essere in presenza di un reato di particolare gravità (v. Hinterhofer, H., op. cit).

    ( 37 ) Il fatto che la pena inflitta si collochi nella parte superiore della gerarchia delle pene può costituire un indizio della particolare gravità del reato.

    ( 38 ) Si dovrebbe esaminare se si tratti di reati contro il patrimonio o contro le persone: taluni fatti di violenza contro le persone potrebbero risultare più frequentemente di particolare gravità. Inoltre, la risonanza mediatica di un reato può essere indicativa del carattere fondamentale dell’interesse giuridico leso.

    ( 39 ) Il corsivo è mio.

    ( 40 ) V. Hardy, J. e Mathues, G., op. cit., i quali ritengono che «[u]n numero molto elevato di condanne per fatti che non sono di eccezionale gravità, non dovrebbe a priori essere sufficiente, anche se attestano una tendenza irrefrenabile a compromettere l’ordine pubblico» (pag. 9). V., altresì, Neusiedler, M., «Der Asylaberkennungsgrund des “besonders schweren Verbrechens”», Migralex: Zeitschrift für Fremden- und Minderheitenrecht, Braumüller, Vienna, 2021, n. 1, pagg. da 8 a 14; e analisi giuridica dell’EUAA citata alla nota 26 delle presenti conclusioni, pag. 62, punto 5.3.

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