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Document 62021CJ0756
Judgment of the Court (First Chamber) of 29 June 2023.#X v International Protection Appeals Tribunal and Others.#Request for a preliminary ruling from the High Court (Irlande).#Reference for a preliminary ruling – Common policy on asylum and subsidiary protection – Directive 2004/83/EC – Minimum standards for granting refugee status or subsidiary protection status – Second sentence of Article 4(1) – Cooperation of the Member State with the applicant to assess the relevant elements of the application – Scope – General credibility of the applicant – Article 4(5)(e) – Evaluation criteria – Common procedures for the grant of international protection – Directive 2005/85/EC – Appropriate examination – Article 8(2) and (3) – Judicial review – Article 39 – Scope – Procedural autonomy of the Member States – Principle of effectiveness – Reasonable time to take a decision – Article 23(2) and Article 39(4) – Consequences of any breach.#Case C-756/21.
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 29 giugno 2023.
X contro International Protection Appeals Tribunal e a.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court (Irlande).
Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia d’asilo e di protezione sussidiaria – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Articolo 4, paragrafo 1, seconda frase – Cooperazione dello Stato membro con il richiedente per esaminare gli elementi significativi della sua domanda – Portata – Attendibilità generale di un richiedente – Articolo 4, paragrafo 5, lettera e) – Criteri di valutazione – Procedure comuni ai fini del riconoscimento della protezione internazionale – Direttiva 2005/85/CE – Esame adeguato – Articolo 8, paragrafi 2 e 3 – Sindacato giurisdizionale – Articolo 39 – Portata – Autonomia processuale degli Stati membri – Principio di effettività – Termine ragionevole per l’adozione di una decisione – Articolo 23, paragrafo 2, e articolo 39, paragrafo 4 – Conseguenze di un’eventuale inosservanza.
Causa C-756/21.
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 29 giugno 2023.
X contro International Protection Appeals Tribunal e a.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court (Irlande).
Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia d’asilo e di protezione sussidiaria – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Articolo 4, paragrafo 1, seconda frase – Cooperazione dello Stato membro con il richiedente per esaminare gli elementi significativi della sua domanda – Portata – Attendibilità generale di un richiedente – Articolo 4, paragrafo 5, lettera e) – Criteri di valutazione – Procedure comuni ai fini del riconoscimento della protezione internazionale – Direttiva 2005/85/CE – Esame adeguato – Articolo 8, paragrafi 2 e 3 – Sindacato giurisdizionale – Articolo 39 – Portata – Autonomia processuale degli Stati membri – Principio di effettività – Termine ragionevole per l’adozione di una decisione – Articolo 23, paragrafo 2, e articolo 39, paragrafo 4 – Conseguenze di un’eventuale inosservanza.
Causa C-756/21.
Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section
ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:523
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
29 giugno 2023 ( *1 )
«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia d’asilo e di protezione sussidiaria – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Articolo 4, paragrafo 1, seconda frase – Cooperazione dello Stato membro con il richiedente per esaminare gli elementi significativi della sua domanda – Portata – Attendibilità generale di un richiedente – Articolo 4, paragrafo 5, lettera e) – Criteri di valutazione – Procedure comuni ai fini del riconoscimento della protezione internazionale – Direttiva 2005/85/CE – Esame adeguato – Articolo 8, paragrafi 2 e 3 – Sindacato giurisdizionale – Articolo 39 – Portata – Autonomia processuale degli Stati membri – Principio di effettività – Termine ragionevole per l’adozione di una decisione – Articolo 23, paragrafo 2, e articolo 39, paragrafo 4 – Conseguenze di un’eventuale inosservanza»
Nella causa C‑756/21,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla High Court (Alta Corte, Irlanda), con decisione del 23 novembre 2021, pervenuta in cancelleria il 9 dicembre 2021, nel procedimento
X
contro
International Protection Appeals Tribunal,
Minister for Justice and Equality,
Ireland,
Attorney General,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta da A. Arabadjiev (relatore), presidente di sezione, P.G. Xuereb, T. von Danwitz, A. Kumin e I. Ziemele, giudici,
avvocato generale: M. Szpunar
cancelliere: C. Strömholm, amministratrice
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 16 novembre 2022,
considerate le osservazioni presentate:
– |
per X, da B. Burns, solicitor, H. Hofmann, Rechtsanwalt, e P. O’Shea, BL; |
– |
per l’International Protection Appeals Tribunal, il Minister for Justice and Equality, Ireland e The Attorney General, da M. Browne, C. Aherne e A. Joyce, in qualità di agenti, assistiti da C. Donnelly, SC, e da E. Doyle e A. McMahon, BL; |
– |
per il governo tedesco, da J. Möller e A. Hoesch, in qualità di agenti; |
– |
per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e J.M. Hoogveld, in qualità di agenti; |
– |
per la Commissione europea, da A. Azéma e L. Grønfeldt, in qualità di agenti; |
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 febbraio 2023,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 |
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e paragrafo 5, lettera e), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12, e rettifica GU 2005, L 204, pag. 24), nonché dell’articolo 8, paragrafi 2 e 3, dell’articolo 23, paragrafo 2, e dell’articolo 39, paragrafo 4, della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13). |
2 |
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra X e, in primo luogo, l’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per la protezione internazionale, Irlanda) (in prosieguo: l’«IPAT»), in secondo luogo, il Minister for Justice and Equality (Ministro della Giustizia e delle Pari opportunità, Irlanda), in terzo luogo, l’Irlanda e, in quarto luogo, l’Attorney General (Procuratore generale, Irlanda) (in prosieguo, congiuntamente: l’«IPAT e a.»), in merito al rigetto, da parte dell’IPAT, dei suoi ricorsi avverso le decisioni che hanno respinto le sue domande di asilo e di protezione sussidiaria. |
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Direttiva 2004/83
3 |
La direttiva 2004/83 è stata sostituita e abrogata dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9). Tuttavia, poiché l’Irlanda non ha partecipato all’adozione di quest’ultima direttiva e non è vincolata da essa, la direttiva 2004/83 continua ad applicarsi a tale Stato membro. |
4 |
L’articolo 2, lettere a), d), e), f), g) e k), della direttiva 2004/83 contiene le seguenti definizioni: «Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(...)
(...)
|
5 |
Ai sensi dell’articolo 4 di tale direttiva: «1. Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda. 2. Gli elementi di cui al paragrafo 1 sono le dichiarazioni del richiedente e tutta la documentazione in possesso del richiedente in merito alla sua età, estrazione, anche, ove occorra, dei congiunti, identità, cittadinanza/e, paese/i e luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di identità e di viaggio nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale. 3. L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:
(…) 4. Il fatto che un richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di siffatte persecuzioni o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi, a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tali persecuzioni o danni gravi non si ripeteranno. 5. Quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
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6 |
L’articolo 15, lettera c), di detta direttiva è così formulato: «Sono considerati danni gravi: (...)
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Direttiva 2005/85
7 |
La direttiva 2005/85 è stata sostituita e abrogata dalla direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60). Tuttavia, poiché l’Irlanda non ha partecipato all’adozione di quest’ultima direttiva e non è vincolata da essa, la direttiva 2005/85 continua ad applicarsi a tale Stato membro. |
8 |
Il considerando 11 della direttiva 2005/85 così recita: «È nell’interesse, sia degli Stati membri sia dei richiedenti asilo, decidere quanto prima possibile in merito alle domande di asilo. L’organizzazione dell’esame delle domande di asilo dovrebbe essere lasciata alla discrezione degli Stati membri, di modo che possano scegliere, in base alle esigenze nazionali, di esaminare in via prioritaria talune domande, o accelerarne l’esame, conformemente alle norme stabilite nella presente direttiva». |
9 |
L’articolo 2, lettere da b) a e), di tale direttiva contiene le seguenti definizioni: «Ai fini della presente direttiva, si intende per: (...)
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10 |
L’articolo 8, paragrafi 2 e 3, di detta direttiva prevede quanto segue: «2. Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni dell’autorità accertante relative alle domande di asilo siano adottate previo congruo esame. A tal fine gli Stati membri dispongono:
3. Le autorità di cui al capo V, per il tramite dell’autorità accertante o del richiedente o in altro modo, hanno accesso alle informazioni generali di cui al paragrafo 2, lettera b), necessarie per l’adempimento delle loro funzioni». |
11 |
L’articolo 23, paragrafi 1 e 2, della medesima direttiva così dispone: «1. Gli Stati membri esaminano le domande di asilo con procedura di esame conformemente ai principi fondamentali e alle garanzie di cui al capo II. 2. Gli Stati membri provvedono affinché siffatta procedura sia espletata quanto prima possibile, fatto salvo un esame adeguato e completo. Gli Stati membri provvedono affinché, nell’impossibilità di prendere una decisione entro sei mesi, il richiedente asilo interessato:
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12 |
L’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 prevede quanto segue: «Fatti salvi gli articoli 19 e 20, gli Stati membri possono ritenere infondata una domanda di asilo solo se l’autorità accertante ha stabilito che al richiedente non è attribuibile la qualifica di rifugiato a norma della direttiva 2004/83/CE». |
13 |
Ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 4, della direttiva 2005/85: «1. Gli Stati membri dispongono che il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:
(...) 4. Gli Stati membri possono stabilire i termini entro i quali il giudice di cui al paragrafo 1 esamina la decisione dell’autorità accertante». |
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
14 |
X è un cittadino pakistano entrato in Irlanda il 1o luglio 2015, dopo aver soggiornato, nel periodo compreso dal 2011 al 2015, nel Regno Unito, dove non ha presentato domanda di protezione internazionale. |
15 |
Il 2 luglio 2015 X ha presentato in Irlanda una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Tale domanda, inizialmente fondata su un elemento mendace che X ha ritrattato nel corso del suo primo colloquio, si basava sul fatto che egli si era trovato nelle immediate vicinanze del luogo di esplosione di un ordigno in un incidente terroristico che si è verificato in occasione di un funerale in Pakistan e nel quale erano rimaste uccise una quarantina di persone, tra cui due suoi conoscenti. Il ricorrente afferma di essere rimasto profondamente colpito da tale evento, tanto da aver timore di vivere in Pakistan e di subire danni gravi in caso di rimpatrio. Egli sostiene di soffrire di ansia, di depressione e di disturbi del sonno. Tale domanda è stata respinta dal Refugee Applications Commissioner (Commissario per le domande dei rifugiati, Irlanda) con decisione del 14 novembre 2016. |
16 |
Il 2 dicembre 2016 X ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Refugee Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i rifugiati, Irlanda). Il procedimento relativo a tale ricorso è stato sospeso a causa di modifiche legislative avvenute il 31 dicembre 2016, mediante l’entrata in vigore dell’International Protection Act 2015 (legge del 2015 sulla protezione internazionale), che ha unificato le varie procedure di protezione internazionale previste in precedenza e ha istituito, in particolare, l’International Protection Office (Ufficio per la protezione internazionale, Irlanda; in prosieguo: l’«IPO») e l’IPAT. |
17 |
Il 13 marzo 2017 X ha presentato una domanda di protezione sussidiaria. Il rigetto di tale domanda da parte dell’IPO è stato a sua volta impugnato dinanzi all’IPAT. |
18 |
Con decisione del 7 febbraio 2019, l’IPAT ha respinto i due ricorsi. |
19 |
Il 7 aprile 2019 X ha proposto impugnazione dinanzi alla High Court (Alta Corte, Irlanda), chiedendo l’annullamento di tale decisione dell’IPAT. |
20 |
A sostegno di tale ricorso, egli sostiene, in primo luogo, che l’IPAT ha consultato informazioni sul paese di origine incomplete e superate, risalenti al periodo dal 2015 al 2017, cosicché esso non ha tenuto conto della situazione esistente in Pakistan al momento dell’adozione della decisione del 7 febbraio 2019. Inoltre, l’IPAT non avrebbe esaminato in modo adeguato le informazioni di cui disponeva. |
21 |
In secondo luogo, il termine per statuire sulla domanda del 2 luglio 2015 sarebbe manifestamente irragionevole e violerebbe il principio di effettività, l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e le norme procedurali minime stabilite dalla direttiva 2005/85. |
22 |
In terzo luogo, l’IPAT sarebbe stato informato dello stato di salute mentale di X, ma avrebbe omesso di assicurarsi di disporre di tutti gli elementi di prova necessari per poter decidere correttamente sulle domande. In particolare, l’IPAT avrebbe dovuto chiedere una perizia medico-legale, utilizzata generalmente a sostegno della domanda di asilo di una persona che ha subito torture, o addirittura un’altra perizia sul suo stato di salute mentale. |
23 |
In quarto luogo, per quanto riguarda altri elementi significativi per la sua domanda, a X non sarebbe stato concesso il beneficio del dubbio, sebbene il suo stato di salute mentale non sia stato debitamente accertato e preso in considerazione. Pertanto, taluni elementi significativi della sua argomentazione non sarebbero stati verificati o non sarebbero stati presi in considerazione e non vi sarebbe stata alcuna cooperazione tra lui e le autorità competenti, e in particolare per quanto riguarda detta perizia medico-legale. |
24 |
In quinto luogo, nelle circostanze del caso di specie, caratterizzate dal fatto che il richiedente ha ammesso che la sua precedente versione degli eventi fatti valere era falsa, e che sarebbe quantomeno plausibile che il ricorrente soffra di problemi di salute mentale, sarebbe irragionevole concludere che X non è attendibile per quanto riguarda aspetti essenziali della sua argomentazione. |
25 |
In proposito, la High Court (Alta Corte) rileva, anzitutto, che l’IPAT non si è procurato le informazioni aggiornate sul paese d’origine né una perizia medico-legale. Tuttavia, essa si chiede se l’IPAT fosse tenuto, in forza del diritto dell’Unione, a procurarsi tale perizia e se sia compatibile con il diritto dell’Unione esigere, conformemente al diritto nazionale, che X dimostri, al fine di ottenere l’annullamento della decisione dell’IPAT, anche l’esistenza di un danno derivante da tale inadempimento. |
26 |
Inoltre, il giudice del rinvio si chiede quali conseguenze debba trarre dal fatto che sono trascorsi più di tre anni e sei mesi tra la presentazione della domanda del 2 luglio 2015 e l’adozione della decisione dell’IPAT il 7 febbraio 2019, termine per la decisione che esso potrebbe considerare irragionevole. |
27 |
Infine, tale giudice nutre dubbi sul fatto che una sola dichiarazione mendace, che X ha ritrattato alla prima occasione possibile dopo aver fornito chiarimenti in merito, possa giustificare la contestazione dell’attendibilità generale di X. |
28 |
In tale contesto, la High Court (Alta Corte) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
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Sul procedimento dinanzi alla Corte
29 |
Il giudice del rinvio ha chiesto che la causa sia sottoposta al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte. |
30 |
Il 17 dicembre 2021 la Corte ha deciso, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, di non accogliere tale domanda, dato che tale giudice non aveva fornito alcun elemento che consentisse di constatare che sarebbe stato urgente statuire sulla presente causa. In particolare, detto giudice non aveva fatto valere una situazione di detenzione di X né, a fortiori, aveva esposto i motivi per cui le risposte della Corte avrebbero potuto essere determinanti per un’eventuale liberazione di quest’ultimo. |
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
31 |
In primo luogo, l’IPAT e a. rilevano che, contrariamente a quanto suggerisce la formulazione della prima questione, il giudice del rinvio non ha né accertato una violazione totale dell’obbligo di cooperazione incombente alle autorità competenti né ha potuto effettuare un siffatto accertamento in base ai fatti della causa dinanzi ad esso pendente. Tale questione sarebbe, pertanto, ipotetica e inviterebbe, peraltro, la Corte a emettere una decisione determinante sui fatti del procedimento principale, il che non rientrerebbe nella sua competenza. Orbene, tali considerazioni si applicherebbero anche alle questioni seconda e terza, dato il loro stretto collegamento con la prima questione. |
32 |
In secondo luogo, anche le questioni quarta e quinta sarebbero ipotetiche, posto che la High Court (Alta Corte) non avrebbe accertato un inadempimento dell’obbligo di emettere una decisione entro un termine ragionevole. |
33 |
In terzo luogo, non sarebbe necessario rispondere alla sesta questione, dato che l’IPAT ha tenuto conto delle prove mediche fornite da X, senza metterle in discussione. |
34 |
In quarto luogo, la settima questione sarebbe ipotetica, posto che X avrebbe precisato di non contestare le conclusioni dell’IPAT relative alla sua attendibilità e che, contrariamente a quanto lascerebbe intendere tale questione, la dichiarazione mendace non è stata l’unico elemento che ha indotto l’IPAT a ritenere che la credibilità di X non fosse accertata. Infatti, X avrebbe menzionato solo molto tardivamente taluni elementi chiave relativi agli eventi passati e non avrebbe chiesto la protezione internazionale nella sua domanda iniziale. |
35 |
Secondo una costante giurisprudenza, nell’ambito del procedimento istituito all’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (sentenza del 20 settembre 2022, VD e SR, C‑339/20 e C‑397/20, EU:C:2022:703, punto 56). |
36 |
La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura teorica oppure nel caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 20 settembre 2022, VD e SR, C‑339/20 e C‑397/20, EU:C:2022:703, punto 57). |
37 |
Inoltre, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione europea e i giudici nazionali, spetta alla Corte prendere in considerazione il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dal provvedimento di rinvio [sentenza del 20 ottobre 2022, Centre public d’action sociale de Liège (Revoca o sospensione di una decisione di rimpatrio), C‑825/21, EU:C:2022:810, punto 35]. |
38 |
Pertanto, dal momento che il giudice del rinvio ha definito il contesto di fatto e di diritto nel quale si collocano le questioni da esso sollevate, non spetta alla Corte verificarne l’esattezza (sentenza del 5 marzo 2019, Eesti Pagar, C‑349/17, EU:C:2019:172, punto 50). |
39 |
Nel caso di specie, in primo luogo, dalle questioni dalla prima alla terza risulta che il giudice del rinvio si chiede se gli elementi di fatto riferiti costituiscano una violazione dell’obbligo di cooperazione e quali conseguenze esso debba eventualmente trarre da tale constatazione, tenuto conto dei limiti che il diritto nazionale impone alle competenze di tale giudice. Contrariamente a quanto sostengono l’IPAT e a., tali questioni non sono in alcun modo ipotetiche, essendo al centro del procedimento principale. Inoltre, la Corte è chiamata a rispondere a tali questioni interpretando il diritto dell’Unione e, pertanto, può farlo senza pronunciare una decisione determinante sui fatti del procedimento principale. |
40 |
In secondo luogo, poiché dalla decisione di rinvio risulta in modo inequivocabile che la High Court (Alta Corte) intende constatare un inadempimento dell’obbligo di emettere una decisione entro un termine ragionevole, le questioni quarta e quinta non possono essere ipotetiche per il solo fatto che tale giudice non ha ancora effettuato tale constatazione. |
41 |
In terzo luogo, la circostanza che l’IPAT abbia tenuto conto delle prove mediche fornite da X, senza metterle in discussione, non inficia in alcun modo la rilevanza della sesta questione, che verte sull’eventuale obbligo di svolgere una perizia medico-legale complementare. |
42 |
In quarto luogo, con le loro obiezioni in merito alla ricevibilità della settima questione, l’IPAT e a. contestano gli accertamenti di fatto effettuati dal giudice del rinvio nonché la valutazione di quest’ultimo riguardo alla rilevanza di tale questione ai fini della soluzione della controversia oggetto del procedimento principale. Orbene, non spetta alla Corte sostituirsi al giudice del rinvio né per quanto concerne l’accertamento dei fatti né a proposito di una siffatta valutazione. |
43 |
Dalle considerazioni che precedono risulta che le obiezioni formulate dall’IPAT e a. in merito alla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale devono essere respinte in quanto infondate. |
Sulle questioni prima e sesta, relative all’obbligo di cooperazione
44 |
Con le sue questioni prima e sesta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 debba essere interpretato nel senso che l’obbligo di cooperazione previsto a tale disposizione impone all’autorità accertante di procurarsi, da un lato, informazioni aggiornate su tutti i fatti pertinenti concernenti la situazione generale esistente nel paese d’origine di un richiedente asilo e protezione internazionale nonché, dall’altro, una perizia medico-legale sullo stato di salute mentale di quest’ultimo, allorché esistono indizi di problemi di salute mentale che possono derivare da un evento traumatico avvenuto in tale paese d’origine. |
45 |
Anzitutto, occorre rilevare che l’articolo 4 della direttiva 2004/83, come risulta dal suo titolo, concerne l’«esame dei fatti e delle circostanze». |
46 |
Ai sensi del paragrafo 1 di tale disposizione, da un lato, gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Dall’altro, lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda. |
47 |
Come già dichiarato dalla Corte, l’esame dei fatti e delle circostanze ha luogo in due fasi distinte. La prima fase riguarda l’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda, mentre la seconda fase riguarda la valutazione giuridica di tali elementi, che consiste nel decidere se, alla luce dei fatti che caratterizzano una fattispecie, siano soddisfatti i requisiti sostanziali previsti agli articoli 9 e 10 o 15 della direttiva 2004/83 per il riconoscimento di una protezione internazionale (sentenza del 22 novembre 2012, M., C‑277/11, EU:C:2012:744, punto 64). |
48 |
Orbene, benché, secondo l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale, la Corte ha già chiarito che le autorità degli Stati membri sono tenute, ove necessario, a cooperare attivamente con quest’ultimo al fine di determinare e di integrare gli elementi significativi della domanda, rivestendo peraltro spesso tali autorità una posizione più adeguata per l’accesso a determinati tipi di documenti (sentenza del 22 novembre 2012, M., C‑277/11, EU:C:2012:744, punti 65 e 66). |
49 |
Per quanto riguarda la portata di tale cooperazione, dal contesto in cui si inserisce detta disposizione e, in particolare, da un lato, dall’articolo 4, paragrafo 1, e dall’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2005/85 risulta che l’autorità accertante è competente a procedere ad un esame adeguato delle domande, in esito al quale essa prenderà una decisione sulle stesse (sentenza del 25 gennaio 2018, F, C‑473/16, EU:C:2018:36, punto 40). |
50 |
In particolare, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 59 delle sue conclusioni, la valutazione della questione se le circostanze accertate rappresentino o meno una minaccia tale che la persona interessata possa fondatamente temere, con riferimento alla sua situazione individuale, di essere effettivamente oggetto di atti di persecuzione deve, in tutti i casi, essere operata con vigilanza e prudenza, poiché si tratta di questioni di integrità della persona umana e di libertà individuali, questioni che attengono ai valori fondamentali dell’Unione (sentenza del 2 marzo 2010, Salahadin Abdulla e a., C‑175/08, C‑176/08, C‑178/08 e C‑179/08, EU:C:2010:105, punti 89 e 90). |
51 |
Dall’altro lato, dall’articolo 4, paragrafo 3, lettere da a) a c), e paragrafo 5, della direttiva 2004/83, risulta che l’esame della domanda di protezione internazionale deve comprendere una valutazione individuale di tale domanda, tenendo conto, in particolare, di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine dell’interessato al momento di statuire sulla domanda, informazioni e documenti pertinenti presentati da quest’ultimo e lo status individuale e la situazione personale di quest’ultimo. Se necessario, l’autorità competente deve inoltre prendere in considerazione le spiegazioni fornite in merito alla mancanza di elementi probanti e l’attendibilità generale del richiedente (v., per analogia, sentenza del 25 gennaio 2018, F, C‑473/16, EU:C:2018:36, punto 41). |
52 |
Occorre altresì ricordare che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 58 delle sue conclusioni, ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, gli Stati membri possono ritenere infondata una domanda di asilo solo se l’autorità accertante ha stabilito che al richiedente non è attribuibile la qualifica di rifugiato a norma della direttiva 2004/83. |
53 |
Pertanto, allorché una persona soddisfa i requisiti sostanziali previsti agli articoli 9 e 10 o 15 della direttiva 2004/83 per beneficiare del riconoscimento di una protezione internazionale, gli Stati membri sono tenuti, fatte salve le cause di esclusione previste da tale direttiva, a riconoscere la protezione internazionale richiesta, atteso che gli stessi Stati non dispongono di un potere discrezionale al riguardo (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 50 e giurisprudenza citata). |
54 |
Dalla giurisprudenza richiamata ai punti da 48 a 53 della presente sentenza risulta che l’obbligo di cooperazione previsto all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 implica che l’autorità accertante, nel caso di specie l’IPO, non può effettuare un esame adeguato delle domande né, pertanto, dichiarare una domanda infondata senza tenere conto, al momento di statuire sulla domanda, da un lato, di tutti i fatti pertinenti che riguardano la situazione generale esistente nel paese d’origine nonché, dall’altro, di tutti i gli elementi significativi relativi allo status individuale e alla situazione personale del richiedente. |
55 |
Per quanto concerne i fatti pertinenti che riguardano la situazione generale esistente nel paese d’origine, da una lettura congiunta dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 e dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2005/85 risulta che gli Stati membri devono garantire che pervengano informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nei paesi d’origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, nei paesi in cui essi hanno transitato (sentenza del 22 novembre 2012, M., C‑277/11, EU:C:2012:744, punto 67). |
56 |
Per quanto concerne gli elementi significativi relativi allo status individuale e alla situazione personale del richiedente, occorre ricordare che le disposizioni della direttiva 2005/85 non limitano i mezzi di cui possono disporre le autorità competenti e, in particolare, non escludono il ricorso alle perizie nel processo di valutazione dei fatti e delle circostanze al fine di stabilire con maggiore precisione le reali esigenze di protezione internazionale del richiedente, purché le modalità di un eventuale ricorso, in tale contesto, a una perizia siano conformi alle altre disposizioni di diritto dell’Unione pertinenti, segnatamente ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta (v., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2018, F, C‑473/16, EU:C:2018:36, punti 34 e 35). |
57 |
La valutazione individuale così richiesta può quindi includere, in particolare, il ricorso a una perizia medico-legale, nell’ipotesi in cui tale perizia risulti necessaria o pertinente per valutare, con la diligenza e la prudenza richieste, le reali esigenze di protezione internazionale del richiedente, purché le modalità di un tale ricorso siano conformi, segnatamente, ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta. |
58 |
Ne consegue che l’autorità accertante dispone di un margine di discrezionalità relativo alla necessità e alla pertinenza di tale perizia e che essa, qualora riscontri una siffatta necessità o pertinenza, è tenuta a cooperare con il richiedente per ottenerla, nei limiti richiamati al punto precedente. |
59 |
Infine, nella misura in cui dalla decisione di rinvio risulta che la High Court (Alta Corte) si chiede, più in particolare, se le constatazioni di cui ai punti da 54 a 58 della presente sentenza si applichino anche all’IPAT, occorre rilevare che tale giudice ha chiarito, in risposta a un quesito posto dalla Corte, che dalla normativa irlandese applicabile risulta che l’IPAT è tenuto a svolgere un esame completo ed ex nunc delle decisioni dell’IPO, che esso ha, in particolare, il potere di ingiungere al Ministro della Giustizia e delle Pari opportunità di svolgere indagini o di fornirgli informazioni e che l’IPAT può, segnatamente in base a tali prove, confermare o annullare le decisioni dell’IPO e raccomandare, in modo vincolante, la concessione dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria. |
60 |
In tali circostanze, è giocoforza constatare che le suddette constatazioni si applicano anche all’IPAT. Infatti, un tale esame della fondatezza della motivazione della decisione dell’IPO implica l’ottenimento e l’esame di informazioni precise e aggiornate sulla situazione esistente nel paese d’origine del richiedente che si colloca, segnatamente, alla base di tale decisione, nonché la possibilità di disporre mezzi istruttori, al fine di poter statuire ex nunc. L’IPAT può quindi essere tenuto a ottenere e ad esaminare tali informazioni precise e aggiornate, ivi compresa una perizia medico-legale ritenuta pertinente o necessaria. |
61 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni prima e sesta dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 dev’essere interpretato nel senso che l’obbligo di cooperazione previsto a tale disposizione impone all’autorità accertante di procurarsi, da un lato, informazioni precise e aggiornate su tutti i fatti pertinenti che riguardano la situazione generale esistente nel paese d’origine di un richiedente asilo e protezione internazionale nonché, dall’altro, una perizia medico-legale sullo stato di salute mentale di quest’ultimo, allorché esistono indizi di problemi di salute mentale che possono derivare da un evento traumatico avvenuto in tale paese d’origine e il ricorso a tale perizia risulti necessario o pertinente per valutare le reali esigenze di protezione internazionale di detto richiedente, purché le modalità di ricorso a una siffatta perizia siano conformi, segnatamente, ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta. |
Sulle questioni seconda e terza, relative alle conseguenze procedurali derivanti da una violazione dell’obbligo di cooperazione
62 |
Con le questioni seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 debba essere interpretato nel senso che la constatazione, nell’ambito dell’esercizio di un secondo grado di controllo giurisdizionale previsto dal diritto nazionale, di una violazione dell’obbligo di cooperazione previsto a tale disposizione deve comportare, di per sé, l’annullamento della decisione di rigetto del ricorso proposto avverso una decisione che ha respinto una domanda di protezione internazionale, o se al richiedente la protezione internazionale possa essere imposto di dimostrare che la decisione di rigetto del ricorso avrebbe potuto essere diversa in assenza di tale violazione. |
63 |
In via preliminare, occorre rilevare che, in base alle indicazioni fornite dal giudice del rinvio nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale nonché nella sua risposta al quesito posto dalla Corte, l’IPAT deve essere considerato come un tribunale di primo grado al quale sono stati conferiti i compiti di controllo giurisdizionale previsti all’articolo 39 della direttiva 2005/85. È a tale titolo che esso è chiamato a svolgere l’esame completo menzionato al punto 59 della presente sentenza, con la conseguenza che esso è competente a pronunciare una decisione ex nunc in base agli elementi prodotti dinanzi ad esso, ove occorra su sua richiesta, e che esso è legittimato a confermare o a annullare, in base a tali elementi, una decisione dell’IPO e, se del caso, a raccomandare, in modo vincolante, la concessione dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria. Occorre aggiungere che non è stato dedotto dinanzi alla Corte e che non risulta da alcun elemento del fascicolo di cui dispone la Corte che il controllo giurisdizionale che l’IPAT è così chiamato a svolgere sulle decisioni dell’IPO che respingono una domanda di protezione internazionale non soddisferebbe i requisiti di tale articolo 39. |
64 |
Da tale domanda e da tale risposta discende che il giudice del rinvio deve, da parte sua, essere considerato come un giudice di secondo grado competente, come da esso chiarito, a svolgere un controllo delle decisioni dell’IPAT limitato, da un lato, all’eccesso di potere, agli errori di diritto o sostanziali di fatto, all’irragionevolezza o alla sproporzionalità di una tale decisione e alla violazione dei principi di equità dei procedimenti o di tutela del legittimo affidamento nonché, dall’altro lato, in ipotesi di accertamento di tale illegittimità, all’annullamento di dette decisioni e al rinvio delle cause dinanzi a quest’ultimo. |
65 |
Come parimenti precisato da tale giudice, quest’ultimo deve, però, astenersi dal pronunciare un siffatto annullamento e dal disporre un tale rinvio qualora risulti che, anche in assenza della constatata illegittimità, la decisione dell’IPAT non avrebbe potuto essere diversa. Infatti, il diritto irlandese farebbe gravare sulla parte che chiede l’annullamento di tale decisione l’onere di dimostrare che detta decisione avrebbe potuto essere diversa in assenza di tale illegittimità. |
66 |
Orbene, poiché la direttiva 2005/85 non contiene alcuna norma relativa alla possibilità di interporre appello avverso la decisione che statuisce sul ricorso proposto nei confronti di una decisione che respinge una domanda di protezione internazionale o che disciplini in modo esplicito un eventuale ricorso in appello, si deve considerare che la tutela conferita da detto articolo 39, letto alla luce degli articoli 18 e 47 della Carta, si limita all’esistenza di un mezzo di ricorso giurisdizionale e non richiede l’introduzione di più gradi di giudizio [v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Effetto sospensivo dell’appello), C‑180/17, EU:C:2018:775, punto 33]. |
67 |
In assenza di norme dell’Unione in materia, spetta, quindi, in forza del principio di autonomia processuale, all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro decidere di introdurre un eventuale secondo grado di giudizio contro una sentenza che si pronuncia su un ricorso avente ad oggetto una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale e disciplinare, ove occorra, le modalità procedurali di tale secondo grado di giudizio, a condizione, tuttavia, che tali modalità non siano, in situazioni rientranti nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) [v., in tal senso, sentenze del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Effetto sospensivo dell’appello), C‑180/17, EU:C:2018:775, punti 34 e 35, nonché del 15 aprile 2021, État belge (Elementi successivi alla decisione di trasferimento), C‑194/19, EU:C:2021:270, punto 42]. |
68 |
Per quanto riguarda il principio di equivalenza, dalla risposta del giudice del rinvio al quesito postogli dalla Corte risulta che le modalità procedurali menzionate ai punti 64 e 65 della presente sentenza si applicano sempre al controllo di secondo grado esercitato da tale giudice, sia quando la situazione rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione sia quando rientra nell’ambito di applicazione del diritto nazionale. |
69 |
Per quanto riguarda il principio di effettività, non risulta che l’onere di dimostrare che, in assenza di una violazione accertata dell’obbligo di cooperazione, la decisione dell’IPO e/o quella dell’IPAT avrebbero potuto essere diverse renda in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare. |
70 |
Infatti, da un lato, tale onere non sembra comportare che un richiedente protezione internazionale debba dimostrare che la decisione sarebbe stata diversa in assenza di tale violazione, ma soltanto che non si può escludere che la decisione avrebbe potuto essere diversa. |
71 |
Dall’altro lato, se risulta fin da subito o se l’autorità competente riesce a dimostrare dinanzi al giudice del rinvio, eventualmente in risposta alle affermazioni del richiedente la protezione internazionale, che anche in assenza di detta violazione la decisione non avrebbe potuto in alcun caso essere diversa, non appare che vi siano diritti conferiti dal diritto dell’Unione il cui esercizio sarebbe reso in pratica impossibile o eccessivamente difficile. Infatti, lo stesso giudice del rinvio si presenta in tal modo nel senso che esercita un controllo sulla fondatezza di detta decisione, sicché, in un caso del genere, un annullamento e un rinvio della causa dinanzi all’IPAT rischierebbero di limitarsi a duplicare tale controllo e a prolungare inutilmente il procedimento. |
72 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni seconda e terza dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 dev’essere interpretato nel senso che la constatazione, nell’ambito dell’esercizio di un secondo grado di controllo giurisdizionale previsto dal diritto nazionale, di una violazione dell’obbligo di cooperazione previsto a tale disposizione non deve necessariamente comportare, di per sé, l’annullamento della decisione di rigetto del ricorso proposto contro una decisione che ha respinto una domanda di protezione internazionale, atteso che al richiedente la protezione internazionale può essere imposto di dimostrare che la decisione di rigetto del ricorso avrebbe potuto essere diversa in assenza di una siffatta violazione. |
Sulle questioni quarta e quinta, relative al termine ragionevole
73 |
Con le questioni quarta e quinta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 23, paragrafo 2, e l’articolo 39, paragrafo 4, della direttiva 2005/85, debba essere interpretato nel senso che i termini intercorsi tra, da un lato, la presentazione della domanda di asilo e, dall’altro, l’adozione delle decisioni dell’autorità accertante e del giudice di primo grado competente, possono essere giustificati dalle modifiche legislative intervenute nello Stato membro durante la decorrenza di tali termini e, in caso contrario, se l’eventuale carattere irragionevole di uno o dell’altro di tali termini possa determinare, di per sé, l’annullamento della decisione del giudice di primo grado competente. |
74 |
Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 89 a 93 delle sue conclusioni, dalla struttura, dall’impianto sistematico e dagli obiettivi della direttiva 2005/85 risulta, anzitutto, che i termini previsti, rispettivamente, all’articolo 23, paragrafo 2, e all’articolo 39, paragrafo 4, di quest’ultima devono essere distinti, in quanto il primo si applica al procedimento amministrativo, mentre il secondo riguarda il procedimento giurisdizionale. |
75 |
Inoltre, come risulta anche dal tenore letterale di tali disposizioni, detti termini non hanno carattere vincolante ai fini dell’adozione di una decisione. |
76 |
Infine, dato che la prima di tali disposizioni prevede che gli Stati membri provvedono affinché il procedimento amministrativo sia espletato quanto prima possibile, che la seconda di esse consente in modo esplicito agli Stato membri di stabilire i termini entro i quali il giudice competente esamina la decisione dell’autorità accertante e che il considerando 11 della direttiva 2005/85 afferma che è nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti asilo decidere quanto prima possibile in merito alle domande di asilo, tale direttiva sollecita un esame rapido tanto delle domande di protezione internazionale quanto dei ricorsi proposti avverso, in particolare, le decisioni di rigetto di tali domande. |
77 |
Infatti, l’effettività dell’accesso allo status conferito dalla protezione internazionale necessita che l’esame della domanda avvenga entro un termine ragionevole (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2014, N., C‑604/12, EU:C:2014:302, punto 45). Inoltre, dalla formulazione stessa dell’articolo 47 della Carta risulta che la tutela giurisdizionale effettiva richiede che la causa di una persona sia esaminata, segnatamente, entro un termine ragionevole da un giudice. |
78 |
Spetterà quindi al giudice del rinvio esaminare se le decisioni adottate, rispettivamente, all’esito della fase amministrativa dall’IPO e all’esito del procedimento giurisdizionale di primo grado da parte dell’IPAT siano state adottate entro un termine ragionevole, tenuto conto delle circostanze del caso di specie. |
79 |
Per quanto riguarda tali circostanze, dalla giurisprudenza risulta che, qualora la durata del procedimento non sia fissata da una disposizione del diritto dell’Unione, il carattere «ragionevole» del termine assunto per adottare l’atto in questione deve essere valutato in funzione dell’insieme delle circostanze proprie di ciascuna causa e, segnatamente, della rilevanza della controversia per l’interessato, della complessità del procedimento e del comportamento delle parti in causa (v., in tal senso, sentenza del 25 giugno 2020, SATCEN/KF, C‑14/19 P, EU:C:2020:492, punto 122 e giurisprudenza citata). |
80 |
Orbene, tra tali circostanze proprie di ciascuna causa non figurano modifiche legislative intervenute in uno Stato membro nel corso delle fasi amministrativa o giurisdizionale della trattazione di una causa. In effetti, dagli elementi riscontrati ai punti 76 e 77 della presente sentenza risulta che gli Stati membri provvedono affinché siffatte procedure siano espletate quanto prima possibile e, in ogni caso, entro un termine ragionevole. Pertanto, essi non possono far valere circostanze che rientrano nella loro competenza, quali le modifiche legislative, per giustificare eventuali violazioni di tale obbligo. |
81 |
Ciò premesso, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 103 a 105 delle sue conclusioni, l’eventuale inosservanza dell’obbligo di trattare le cause entro un termine ragionevole in materia di protezione internazionale, tanto nella fase amministrativa quanto in quella giurisdizionale, non può di per sé determinare l’annullamento di una decisione di rigetto di un ricorso volto all’annullamento di una decisione che non ha accolto una domanda di protezione internazionale, a meno che dal superamento del termine ragionevole sia conseguita una violazione dei diritti della difesa. |
82 |
Infatti, poiché le decisioni sulla fondatezza o meno delle domande di protezione internazionale devono essere adottate alla luce dei criteri sostanziali per il riconoscimento di tale protezione previsti dalla direttiva 2004/83, il mancato rispetto di un termine ragionevole di giudizio non può comportare l’annullamento della sentenza amministrativa o della decisione giurisdizionale impugnata, in mancanza di indizi secondo cui la durata eccessiva del procedimento amministrativo o giurisdizionale avrebbe avuto un’incidenza sulla soluzione della controversia (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione, C‑414/12 P, non pubblicata, EU:C:2014:301, punto 84). |
83 |
Per contro, qualora sussistano indizi secondo cui la durata eccessiva di un procedimento amministrativo o giurisdizionale ha potuto incidere sulla soluzione della controversia, il mancato rispetto di un termine ragionevole può determinare l’annullamento della decisione amministrativa o della decisione giurisdizionale impugnata, in particolare qualora tale inosservanza comporti una lesione dei diritti della difesa, i quali sono diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali di diritto di cui la Corte garantisce il rispetto [v., per analogia, sentenza del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C‑110/10 P, EU:C:2011:687, punti da 47 a 52)]. |
84 |
Pertanto, se il fascicolo presentato alla Corte non contiene alcun elemento tale da dimostrare che l’eventuale carattere irragionevole dell’uno o dell’altro dei due termini di cui trattasi nel procedimento principale ha determinato una lesione dei diritti della difesa di X, spetta al giudice del rinvio verificare tale circostanza. |
85 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alle questioni quarta e quinta dichiarando che il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 23, paragrafo 2, e l’articolo 39, paragrafo 4, della direttiva 2005/85, dev’essere interpretato nel senso che:
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Sulla settima questione, relativa all’attendibilità generale di un richiedente
86 |
Con la sua settima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 5, lettera e), della direttiva 2004/83 debba essere interpretato nel senso che una dichiarazione mendace, contenuta nella domanda iniziale di protezione internazionale, che il richiedente asilo ha chiarito e ritrattato alla prima occasione possibile, sia tale da impedire, di per sé, di accertare che quest’ultimo è in generale attendibile, ai sensi di detta disposizione. |
87 |
Conformemente all’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2004/83, quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le condizioni previste ai punti da a) a e) di tale disposizione. |
88 |
Tali condizioni cumulative riguardano il fatto che il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, che ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda, che tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi, che le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone e che è accertato che il richiedente è in generale attendibile. |
89 |
Pertanto, dall’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2004/83 risulta che, quando le condizioni elencate alle lettere da a) ad e) di tale disposizione non sono soddisfatte in via cumulativa, le dichiarazioni dei richiedenti asilo che non sono suffragate da prove possono necessitare di una conferma (v., in tal senso, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 51). |
90 |
Ne consegue che l’attendibilità generale del richiedente asilo è uno degli elementi da prendere in considerazione per verificare, nella prima fase dell’esame, previsto all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, che concerne l’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire gli elementi di prova a sostegno della domanda, se le dichiarazioni dei richiedenti asilo necessitino di una conferma. |
91 |
Orbene, occorre considerare che le constatazioni effettuate, in un caso specifico, relative alle condizioni enunciate all’articolo 4, paragrafo 5, lettere da a) a d), della direttiva 2004/83 sono tali da influire sulla valutazione dell’attendibilità generale del richiedente di cui alla lettera e) di tale disposizione. |
92 |
Ciò premesso, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 109 delle sue conclusioni, la valutazione dell’attendibilità generale del richiedente asilo non può limitarsi alla presa in considerazione di dette condizioni enunciate all’articolo 4, paragrafo 5, lettere da a) a d), della direttiva 2004/83, ma dev’essere effettuata, come riscontrato dal governo tedesco, tenendo conto, nell’ambito di una valutazione globale e individuale, di qualsiasi altro elemento pertinente del caso di specie. |
93 |
Nell’ambito di una siffatta analisi, una dichiarazione mendace contenuta nella domanda iniziale di protezione internazionale costituisce certamente un elemento pertinente da prendere in considerazione. Tuttavia, quest’ultimo non può, di per sé, impedire che sia accertata l’attendibilità generale del richiedente. Infatti, sono del pari pertinenti il fatto che tale dichiarazione mendace sia stata chiarita e ritrattata dal richiedente asilo alla prima occasione possibile, le domande che hanno sostituito tale dichiarazione mendace e il comportamento successivo del richiedente asilo. |
94 |
Infine, nell’ipotesi in cui dalla valutazione dell’insieme degli elementi pertinenti del procedimento principale dovesse discendere che l’attendibilità generale del richiedente asilo non può essere accertata, le dichiarazioni di quest’ultimo non supportate da prove possono quindi necessitare di una conferma, nel qual caso lo Stato membro interessato può essere tenuto a cooperare con tale richiedente, come è stato ricordato, in particolare, ai punti 47 e 48 della presente sentenza, per consentire la raccolta di tutti gli elementi idonei a suffragare la domanda di asilo. |
95 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla settima questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 5, lettera e), della direttiva 2004/83 dev’essere interpretato nel senso che una dichiarazione mendace, contenuta nella domanda iniziale di protezione internazionale, che il richiedente asilo ha chiarito e ritrattato alla prima occasione possibile, non è tale da impedire, di per sé, di accertare che quest’ultimo è in generale attendibile, ai sensi di detta disposizione. |
Sulle spese
96 |
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. |
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: |
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Firme |
( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.