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Document 62021CJ0197

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 27 ottobre 2022.
Soda-Club (CO2) SA e SodaStream International BV contro MySoda Oy.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Korkein oikeus.
Rinvio pregiudiziale – Diritto dei marchi – Regolamento (UE) 2017/1001 – Articolo 15, paragrafo 2 – Direttiva (UE) 2015/2436 – Articolo 15, paragrafo 2 – Esaurimento del diritto conferito dal marchio – Bombolette contenenti biossido di carbonio – Immissione in commercio in uno Stato membro dal titolare del marchio – Attività di un rivenditore consistente nel riempire e rietichettare bombolette – Opposizione proposta dal titolare del marchio – Motivi legittimi di opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti recanti il marchio.
Causa C-197/21.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2022:834

 SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

27 ottobre 2022 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Diritto dei marchi – Regolamento (UE) 2017/1001 – Articolo 15, paragrafo 2 – Direttiva (UE) 2015/2436 – Articolo 15, paragrafo 2 – Esaurimento del diritto conferito dal marchio – Bombolette contenenti biossido di carbonio – Immissione in commercio in uno Stato membro dal titolare del marchio – Attività di un rivenditore consistente nel riempire e rietichettare bombolette – Opposizione proposta dal titolare del marchio – Motivi legittimi di opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti recanti il marchio»

Nella causa C‑197/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Korkein oikeus (Corte suprema, Finlandia), con decisione del 9 marzo 2021, pervenuta in cancelleria il 29 marzo 2021, nel procedimento

Soda-Club (CO2) SA,

SodaStream International BV

contro

MySoda Oy,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan, presidente di sezione, D. Gratsias, M. Ilešič (relatore), I. Jarukaitis e Z. Csehi, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per la Soda-Club (CO2) SA e la SodaStream International BV, da J. Bonsdorf, H. Pohjola e B. Rapinoja, asianajajat;

per la MySoda Oy, da H.-M. Elo e E. Hodge, asianajajat;

per il governo finlandese, da S. Hartikainen, A. Laine e H. Leppo, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da É. Gippini Fournier, M. Huttunen, e T. Sevón, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 maggio 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato dal regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015 (GU 2015, L 341, pag. 21) (in prosieguo: il «regolamento n. 207/2009»), dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1), dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25) e dell’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Soda-Club (CO2) SA e la SodaStream International BV (in prosieguo, congiuntamente: la «SodaStream») e, dall’altro, la MySoda Oy, in relazione a un’asserita contraffazione dei marchi dell’Unione europea e dei marchi nazionali SODASTREAM e SODA-CLUB di cui le prime sono titolari.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Regolamento n. 207/2009

3

L’articolo 13 del regolamento 207/2009, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio UE», disponeva quanto segue:

«1.   Il diritto conferito dal marchio UE non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nello Spazio economico europeo [SEE] con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.   Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga alla successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

Regolamento 2017/1001

4

Il regolamento 2017/1001, che ha abrogato e sostituito il regolamento n. 207/2009 con effetto dal 1o ottobre 2017, contiene un articolo 9, rubricato «Diritti conferiti dal marchio UE», il quale è così formulato:

«1.   La registrazione del marchio UE conferisce al titolare un diritto esclusivo.

2.   Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando:

a)

il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato;

b)

il segno è identico o simile al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e a servizi identici o simili ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato, se vi è rischio di confusione da parte del pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio;

c)

il segno è identico o simile al marchio UE, a prescindere dal fatto che sia usato per prodotti o servizi identici, simili o non simili a quelli per i quali il marchio UE è stato registrato, se il marchio UE gode di notorietà nell’Unione e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio UE o reca pregiudizio agli stessi.

3.   Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 2:

(...)

b)

l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

(...)».

5

L’articolo 15 del regolamento 2017/1001, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio UE», dispone quanto segue:

«1.   Il diritto conferito dal marchio UE non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nel[ SEE] con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.   Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga alla successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

Direttiva 2008/95

6

L’articolo 7 della direttiva 2008/95, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», così prevedeva:

«1.   Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.   Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

7

La direttiva 2008/95 è stata abrogata, con effetto dal 15 gennaio 2019, dalla direttiva 2015/2436.

Direttiva 2015/2436

8

L’articolo 10 della direttiva 2015/2436, rubricato «Diritti conferiti dal marchio d’impresa», così dispone, ai paragrafi 1 e 3:

«1.   La registrazione di un marchio d’impresa conferisce al titolare diritti esclusivi.

(...)

3.   Si può in particolare vietare a norma del paragrafo 2:

(...)

b)

di offrire o immettere in commercio o stoccare a tali fini i prodotti ovvero offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

(...)».

9

L’articolo 15 di tale direttiva, rubricato «Esaurimento dei diritti conferiti dal marchio d’impresa», è così formulato:

«1.   Un marchio d’impresa non dà diritto al titolare dello stesso di vietarne l’uso per prodotti immessi in commercio nell’Unione con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.   Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

Diritto finlandese

10

Nel diritto finlandese, l’esaurimento dei diritti conferiti da un marchio è oggetto dell’articolo 9 del tavaramerkkilaki (544/2019) [legge sui marchi (544/2019)], del 26 aprile 2019, entrata in vigore il 1o maggio 2019. Tale disposizione prevede, al suo paragrafo 1, che il titolare del marchio non può impedire l’uso del marchio per prodotti immessi in commercio nel SEE con tale marchio dal titolare o con il suo consenso. Nonostante detto paragrafo 1, il paragrafo 2 di tale disposizione precisa che il titolare del marchio può opporsi all’uso del marchio su taluni prodotti qualora detto titolare abbia motivi legittimi per opporsi ad un’offerta o ad un’ulteriore commercializzazione dei prodotti. In particolare, il titolare del marchio può opporsi all’uso dello stesso quando lo stato dei prodotti è stato modificato o la loro qualità è stata alterata dopo la loro immissione in commercio.

11

L’articolo 10a del tavaramerkkilaki (1715/1995) [legge sui marchi (1715/1995)], che era in vigore fino al 31 agosto 2016 e successivamente l’articolo 8 del tavaramerkkilaki (616/2016) [legge sui marchi (616/2016)], che era in vigore fino al 30 aprile 2019, corrispondevano, in sostanza, all’articolo 9 della legge sui marchi (544/2019), applicabile a decorrere dal 1o maggio 2019.

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

12

La SodaStream, impresa multinazionale, produce e vende dispositivi per la carbonatazione che consentono ai consumatori di preparare con acqua di rubinetto, acqua gassata e bevande gassate aromatizzate. In Finlandia, la SodaStream commercializza tali dispositivi con una bomboletta ricaricabile di biossido di carbonio che essa offre altresì in vendita separatamente. Le società che compongono la SodaStream sono titolari dei marchi dell’Unione europea e dei marchi nazionali SODASTREAM e SODA-CLUB. Tali marchi figurano sull’etichettatura e sono incisi sul corpo in alluminio di tali bombolette.

13

La MySoda, società con sede in Finlandia, commercializza in tale Stato membro dispositivi per la carbonatazione per bevande con il marchio MySoda in imballaggi che di regola non includono bombolette di biossido di carbonio. Dal mese di giugno 2016 la MySoda offre in vendita bombolette di biossido di carbonio riempite in Finlandia, compatibili sia con i propri dispositivi per la carbonatazione sia con quelli della SodaStream. Alcune di queste bombolette sono state inizialmente immesse in commercio dalla SodaStream.

14

Dopo aver ricevuto, tramite distributori, le bombolette della SodaStream che sono state rispedite vuote da consumatori, la MySoda le ricarica di biossido di carbonio. Essa sostituisce le etichette originali con le proprie etichette, lasciando visibili i marchi della SodaStream incisi sul corpo delle bombolette.

15

Così facendo, la MySoda utilizza due diverse etichette. Sulla prima, di colore rosa, compaiono, in caratteri di grandi dimensioni, il logo della MySoda, e le parole «Biossido di carbonio finlandese per l’attrezzatura di carbonatazione» e, in caratteri di piccole dimensioni, il nome della MySoda in quanto società che ha riempito la bomboletta nonché un rinvio al suo sito web per maggiori informazioni. Sulla seconda etichetta, di colore bianco, figurano le parole «biossido di carbonio» in lettere maiuscole, in cinque lingue diverse, e, tra le informazioni sul prodotto, redatte in caratteri di piccole dimensioni, il nome della MySoda in quanto società che ha riempito la bomboletta nonché una dichiarazione secondo cui quest’ultima non ha alcun contatto con il fornitore originario della bomboletta o con la sua società o con il marchio depositato che compaiono sulla bomboletta. Tale etichetta contiene inoltre un rinvio al sito Internet della MySoda per maggiori informazioni.

16

La SodaStream ha proposto dinanzi al markkinaoikeus (Tribunale delle questioni economiche, Finlandia) un ricorso diretto a far dichiarare che la MySoda ha contraffatto, in Finlandia, i marchi SODASTREAM e SODACLUB commercializzando e vendendo bombolette di biossido di carbonio ricaricate recanti tali marchi senza l’autorizzazione dei loro titolari.

17

La SodaStream ha fatto valere che la prassi della MySoda interferisce sostanzialmente con i diritti conferiti da detti marchi e presenta un rischio significativo di confusione tra il pubblico interessato quanto all’origine delle bombolette di biossido di carbonio creando la falsa impressione che esista un rapporto, commerciale o economico, tra la SodaStream e la MySoda.

18

La SodaStream ha sottolineato, inoltre, che le bombolette di biossido di carbonio vendute sul mercato finlandese non sono tutte della stessa qualità o non presentano tutte le stesse caratteristiche. I rivenditori che riempiono le bombolette del marchio SodaStream senza autorizzazione non avrebbero necessariamente le conoscenze e il know-how richiesti per garantire che tali bombolette siano utilizzate e manipolate in modo sicuro e corretto. La SodaStream non potrebbe essere ritenuta responsabile dei danni causati da bombolette di biossido di carbonio ricaricate da tali rivenditori.

19

La MySoda ha replicato che un cambiamento di etichetta non pregiudica la funzione del marchio di indicare l’origine della bomboletta, dal momento che il pubblico di riferimento comprenderebbe che l’etichettatura indica unicamente l’origine del biossido di carbonio e l’identità del rivenditore che ha ricaricato la bomboletta la cui origine è incisa sul corpo di quest’ultima.

20

Con sentenza interlocutoria del 5 settembre 2019, il markkinaoikeus (Tribunale delle questioni economiche) ha parzialmente accolto le domande della SodaStream. Ciò facendo, esso si è basato sulla sentenza del 14 luglio 2011, Viking Gas (C‑46/10, EU:C:2011:485).

21

Tale giudice di primo grado ha considerato che non è stato dimostrato che la prassi della MySoda modifichi o alteri la bomboletta di biossido di carbonio o il suo contenuto, o pregiudichi la reputazione della SodaStream a motivo dei rischi per la sicurezza dei suoi prodotti, né che tale prassi abbia causato un danno che dia alla SodaStream un motivo legittimo per opporsi alla stessa. Per quanto riguarda le etichette bianche, detto giudice ha ritenuto che esse non abbiano creato un’impressione errata quanto al legame economico tra la MySoda e la SodaStream. Per contro, esso ha dichiarato che l’uso delle etichette rosa era idoneo a creare, presso un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento, l’impressione che tale legame esistesse. Pertanto, lo stesso giudice ha ritenuto che l’utilizzo di tali etichette rosa giustifichi il fatto che la SodaStream si opponga alla prassi della MySoda.

22

La SodaStream e la MySoda sono state autorizzate a proporre impugnazioni avverso tale sentenza dinanzi al Korkein oikeus (Corte suprema, Finlandia), giudice del rinvio.

23

Il giudice del rinvio espone, anzitutto, che il diritto dell’Unione non prevede norme dettagliate riguardanti le condizioni che consentono di accertare l’esistenza di motivi legittimi che giustifichino che il titolare del marchio si opponga alla commercializzazione di prodotti dopo la loro immissione in commercio. La giurisprudenza della Corte non fornirebbe risposte chiare alle questioni che si pongono nella controversia principale.

24

In primo luogo, dalla giurisprudenza della Corte non risulterebbe chiaramente se le condizioni enunciate nella sentenza dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a. (C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282), si applichino al riconfezionamento di prodotti commercializzati in uno stesso Stato membro. In secondo luogo, il giudice del rinvio si chiede se la sostituzione dell’etichetta del titolare del marchio con una nuova etichetta debba essere considerata un riconfezionamento ai sensi della giurisprudenza della Corte. Esso si interroga sull’importanza da attribuire al fatto che, nel procedimento principale, il prodotto di cui trattasi è composto, da un lato, della bomboletta proveniente dal titolare del marchio e, dall’altro, del biossido di carbonio proveniente dal rivenditore. Non risulterebbe chiaramente se, a tale riguardo, sia determinante che il pubblico di riferimento comprenda che l’etichetta indica unicamente l’origine del biossido di carbonio, dato che l’origine della bomboletta è identificata mediante il marchio inciso sul corpo di quest’ultima.

25

Il giudice del rinvio ritiene, poi, che i fatti del procedimento principale differiscano dalle circostanze all’origine della causa che ha dato luogo alla sentenza del 14 luglio 2011, Viking Gas (C‑46/10, EU:C:2011:485). Infatti, in quest’ultima causa, i marchi apposti su bombole di gas non erano stati né rimossi né ricoperti, il che tenderebbe ad escludere che lo stato delle bombole fosse stato modificato occultando la loro origine. Nel caso di specie, il rivenditore avrebbe sostituito l’etichetta originale con la propria etichetta che ricoprirebbe la maggior parte della superficie della bomboletta, lasciando al tempo stesso apparire il marchio di origine inciso sulla parte superiore della bomboletta.

26

Il giudice del rinvio rileva, infine, che qualora la sostituzione dell’etichetta originale dovesse essere esaminata alla luce delle condizioni enunciate nella sentenza dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a. (C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282), la giurisprudenza della Corte non indica chiaramente se occorra, nel valutare la condizione relativa alla necessità di una siffatta sostituzione, tener conto della destinazione dei prodotti di cui trattasi e, se del caso, in che modo. Il fatto che le bombolette di biossido di carbonio siano destinate ad essere riutilizzate e ricaricate numerose volte sarebbe tale da alterare lo stato delle etichette originali. Tale giudice chiede se la rottura o il distacco dell’etichetta originale apposta dal titolare del marchio, o il fatto che un rivenditore abbia sostituito tale etichetta originale con la propria etichetta, possano essere considerati circostanze tali da giustificare che lo scambio o la sostituzione dell’etichetta con quella del rivenditore sia considerato necessario per l’immissione in commercio della bomboletta ricaricata da quest’ultimo.

27

In tali circostanze, il Korkein oikeus (Corte Suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se i cosiddetti criteri “Bristol-Myers Squibb”, elaborati nella giurisprudenza della Corte in materia di riconfezionamento e di rietichettatura nell’ambito delle importazioni parallele e, in particolare, il cosiddetto requisito della necessità, trovino applicazione anche laddove si discuta del riconfezionamento o della rietichettatura di prodotti immessi in commercio in uno Stato membro dal titolare del marchio o con il suo consenso ai fini di una loro rivendita all’interno dello stesso Stato membro.

2)

Nel caso in cui, all’atto dell’immissione in commercio delle bombolette contenenti biossido di carbonio, il titolare del marchio vi abbia apposto il proprio marchio, stampato sull’etichetta della bomboletta e inciso altresì sul collo della stessa, se i menzionati criteri Bristol-Myers Squibb e, in particolare, il criterio della necessità si applichino anche quando un terzo ricarichi la bomboletta di biossido di carbonio ai fini della sua rivendita, rimuovendo da essa l’etichetta originale e sostituendola con un’etichetta recante il proprio segno, mentre, al tempo stesso, il marchio dell’autore dell’immissione in commercio della bomboletta resti visibile nell’incisione posta sul collo della stessa.

3)

Se, a fronte della fattispecie descritta supra, si possa ritenere che la rimozione e la sostituzione dell’etichetta recante il marchio metta a rischio, in linea di principio, la funzione del marchio quale prova della provenienza della bomboletta de qua o se, con riferimento all’applicabilità dei criteri per il riconfezionamento e la rietichettatura assuma rilievo il fatto che

si debba ritenere che la clientela interessata nella specie giunga alla conclusione che l’etichetta rimandi esclusivamente alla provenienza del biossido di carbonio (e, in tal modo, all’imbottigliatore della bomboletta); ovvero

si debba ritenere che la clientela interessata nella specie giunga alla conclusione che l’etichetta rimandi, quantomeno in parte, anche alla provenienza della bomboletta.

4)

In caso di valutazione della rimozione e sostituzione dell’etichetta delle bombolette di [biossido di carbonio] alla luce del principio della necessità, se un eventuale danneggiamento o distacco delle etichette applicate alle bombolette immesse in commercio dal titolare del marchio o la loro rimozione e sostituzione da parte di un precedente imbottigliatore costituiscano una circostanza idonea a far ritenere che la sistematica sostituzione delle etichette con un’etichetta dell’imbottigliatore sia necessaria ai fini dell’immissione in commercio delle bombolette ricaricate».

Sulle questioni pregiudiziali

28

In via preliminare, occorre rilevare che le questioni sollevate dal giudice del rinvio vertono, per quanto riguarda i marchi dell’Unione europea, sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001, e, per quanto riguarda i marchi nazionali, sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 e dell’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436.

29

A tale riguardo, occorre constatare che i fatti di cui alla controversia principale hanno avuto inizio nel giugno 2016 e rientrano, per una parte, nelle disposizioni del regolamento n. 207/2009 e della direttiva 2008/95 e, per un’altra parte, in quelle del regolamento 2017/1001 e della direttiva 2015/2436. Tuttavia, dal momento che le disposizioni di tali regolamenti e di dette direttive sono formulate in termini sostanzialmente identici e che le soluzioni da fornire alle questioni sollevate dal giudice del rinvio sono, a causa di tale identità, le medesime qualunque siano il regolamento e la direttiva rispettivamente applicabili, è opportuno, al fine di rispondere a tali questioni, fare riferimento unicamente alle disposizioni dell’articolo 15 del regolamento 2017/1001 e dell’articolo 15 della direttiva 2015/2436 (v., per analogia, sentenza del 9 novembre 2017, Maio Marques da Rosa, C‑306/16, EU:C:2017:844, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

30

Inoltre, dalla decisione di rinvio risulta che tali questioni sono sollevate nell’ambito di una controversia sorta in occasione dell’ulteriorecommercializzazione, in Finlandia, di bombolette di biossido di carbonio fabbricate e inizialmente commercializzate dalla SodaStream destinate ad essere riutilizzate e ricaricate numerose volte. La MySoda, dopo aver ricevuto, tramite distributori, le bombolette di biossido di carbonio della SodaStream che sono state rispedite vuote da consumatori, ricarica tali bombolette, ritira l’etichetta sulla quale era stato apposto il marchio di origine e la sostituisce con le proprie etichette su cui figura il logo della MySoda, lasciando al tempo stesso apparire il marchio di origine inciso sul corpo di dette bombolette.

31

Alla luce di tali precisazioni, si deve ritenere che il giudice del rinvio, con le sue quattro questioni, che devono essere esaminate congiuntamente, chieda, in sostanza, se, e, in caso affermativo, a quali condizioni, il titolare di un marchio che abbia commercializzato, in uno Stato membro, prodotti contrassegnati con tale marchio e destinati ad essere riutilizzati e ricaricati numerose volte, sia legittimato ad opporsi ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 nonché dell’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436, all’ulteriore commercializzazione di tali prodotti, in detto Stato membro, da parte di un rivenditore che li abbia ricaricati e abbia sostituito l’etichetta su cui figura il marchio di origine con un’altra etichettatura, lasciando al tempo stesso apparire il marchio di origine su tali prodotti.

32

A tale riguardo, occorre anzitutto ricordare che l’articolo 9 di tale regolamento e l’articolo 10 di detta direttiva attribuiscono rispettivamente al titolare di un marchio dell’Unione europea e al titolare di un marchio nazionale un diritto esclusivo che gli consente di vietare ai terzi, in particolare, di offrire i prodotti recanti il suo marchio, di immetterli in commercio o di stoccarli a tali fini. L’articolo 15, paragrafo 1, di detto regolamento, nonché l’articolo 15, paragrafo 1, di detta direttiva contengono un’eccezione a tale norma, in quanto prevedono che il diritto del titolare si esaurisce qualora i prodotti siano stati immessi in commercio nel SEE con tale marchio dal titolare o con il suo consenso (v., per analogia, sentenza del 14 luglio 2011, Viking Gas, C‑46/10, EU:C:2011:485, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

33

In particolare, per quanto riguarda gli articoli 10 e 15 della direttiva 2015/2436, occorre aggiungere che essi procedono ad un’armonizzazione completa delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio e definiscono così il contenuto sostanziale dei diritti di cui godono i titolari di marchi nell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar, C‑482/09, EU:C:2011:605, punto 32 e giurisprudenza ivi citata, nonché, per analogia, sentenza del 29 luglio 2019, Pelham e a., C‑476/17, EU:C:2019:624, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

34

Tuttavia, conformemente all’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 e all’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436, il titolare del marchio può avere un motivo legittimo per opporsi ad un’ulteriore commercializzazione dei prodotti contrassegnati con il suo marchio, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio. Tale facoltà di opposizione, che costituisce una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle merci, ha come unica finalità la salvaguardia dei diritti che rientrano nell’oggetto specifico del marchio, inteso alla luce della funzione essenziale di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a., C‑143/00, EU:C:2002:246, punto 28).

35

Come la Corte ha più volte affermato, l’oggetto specifico del diritto di marchio consiste, segnatamente, nel garantire al titolare il diritto di utilizzare il marchio per la prima immissione in commercio del prodotto e di tutelarlo in tal modo dai concorrenti che volessero abusare della posizione e della notorietà del marchio vendendo prodotti indebitamente contrassegnati con lo stesso. Al fine di stabilire l’esatta estensione di tale diritto esclusivo riconosciuto al titolare del marchio, occorre tener conto della funzione essenziale del marchio, che consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto contrassegnato, consentendogli di distinguere senza possibile confusione detto prodotto da quelli aventi diversa origine (sentenza del 20 dicembre 2017, Schweppes, C‑291/16, EU:C:2017:990, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

36

Pertanto, la questione se il titolare del marchio possa opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti contrassegnati con il suo marchio e, in particolare, alle misure prese dal rivenditore riguardanti il ritiro delle etichette originali e l’apposizione di nuove etichette su tali prodotti, lasciando visibile al tempo stesso un marchio di origine, deve essere esaminata alla luce dei legittimi interessi del titolare del marchio, in particolare quello relativo alla salvaguardia della funzione essenziale del marchio che consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto contrassegnato.

37

Come ha sottolineato l’avvocato generale al paragrafo 22 delle sue conclusioni, poiché costituisce necessariamente una limitazione al principio fondamentale della libera circolazione delle merci, il diritto del titolare del marchio di opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti recanti il suo marchio non è illimitato.

38

Nel caso di specie, è pacifico che le bombolette di biossido di carbonio di cui trattasi sono state immesse in commercio nel SEE, per la prima volta, dai titolari dei marchi dell’Unione europea e dei marchi nazionali apposti su di esse.

39

A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, la vendita di una bombola di gas ricaricabile da parte del titolare dei marchi apposti su quest’ultima esaurisce i diritti che detto titolare trae dalla registrazione di tali marchi e trasferisce all’acquirente il diritto di disporre liberamente di tale bombola, compreso quello di scambiarla o farla riempire presso un’impresa di sua scelta. Tale diritto dell’acquirente ha come corollario il diritto dei concorrenti del titolare dei marchi apposti sulla detta bombola di procedere al riempimento e al cambio delle bombole vuote (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2011, Viking Gas, C‑46/10, EU:C:2011:485, punto 35).

40

Ciò premesso, l’attività del rivenditore consistente nel ricaricare le bombolette in questione, che sono state rispedite vuote dai consumatori, e nell’apporre su queste ultime le proprie etichette dopo aver ritirato quelle contrassegnate con i marchi di origine, lasciando al tempo stesso apparire il marchio di origine sulle bombolette, può rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 e dell’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436.

41

Tuttavia, come ricordato al punto 34 della presente sentenza, in forza dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 e dell’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436, il titolare di un marchio ha il diritto, malgrado l’immissione in commercio dei prodotti recanti il suo marchio, di opporsi alla loro ulteriore commercializzazione qualora motivi legittimi giustifichino una siffatta opposizione. L’ipotesi relativa alla modifica o all’alterazione dello stato dei prodotti, espressamente prevista a tali disposizioni, è menzionata solo a titolo di esempio, in quanto dette disposizioni non forniscono un elenco tassativo dei motivi legittimi idonei ad escludere l’applicazione del principio dell’esaurimento (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2011, Viking Gas, C‑46/10, EU:C:2011:485, punto 36, e giurisprudenza ivi citata).

42

Nel contesto delle importazioni parallele dei prodotti farmaceutici riconfezionati, la Corte ha elaborato un elenco di condizioni dirette a disciplinare l’esistenza di siffatti motivi, in tale contesto specifico (v., in particolare, sentenza dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282).

43

In un contesto più simile a quello di cui al procedimento principale, la Corte ha già dichiarato che un siffatto motivo legittimo esiste anche qualora l’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile ad un marchio pregiudichi seriamente la sua notorietà, o anche qualora detto uso si svolga in modo da dare l’impressione che esiste un legame economico tra il titolare del marchio e tale terzo e, in particolare, che quest’ultimo appartiene alla rete di distribuzione del titolare o che sussiste una relazione speciale tra queste due persone (v., in tal senso, sentenze dell’8 luglio 2010, Portakabin, C‑558/08, EU:C:2010:416, punti 7980, nonché del 14 luglio 2011,Viking Gas, C‑46/10, EU:C:2011:485, punto 37).

44

Ne consegue che un’impressione errata che possa sorgere nella mente dei consumatori circa l’esistenza di un legame economico tra il titolare del marchio e un rivenditore è uno dei motivi legittimi per i quali il titolare del marchio può opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti contrassegnati con il suo marchio da parte di un rivenditore, in particolare, qualora quest’ultimo ritiri l’etichetta sulla quale figura il marchio di origine e apponga la propria etichetta su tale prodotto, lasciando visibile al tempo stesso un marchio di origine inciso sul prodotto. Il fatto che le misure adottate dal rivenditore ai fini dell’ulteriore commercializzazione dei prodotti di cui trattasi siano localizzate all’interno dello Stato membro in cui tali prodotti sono stati inizialmente immessi in commercio non ha un’importanza decisiva al fine di determinare se l’opposizione del titolare del marchio sia giustificata da un siffatto motivo legittimo.

45

Al fine di valutare se sussista una siffatta impressione errata, occorre tener conto di tutte le circostanze relative all’attività del rivenditore, quali il modo in cui le bombolette sono presentate ai consumatori a seguito della nuova etichettatura e le condizioni in cui queste ultime sono vendute, in particolare le pratiche di ricaricamento di tali bombolette prevalenti nel settore interessato (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2011, Viking Gas, C‑46/10, EU:C:2011:485, punti 3940).

46

Sebbene spetti al giudice del rinvio valutare l’esistenza di un’eventuale impressione errata quanto al legame economico tra i titolari dei marchi e il rivenditore che ha ricaricato le bombolette di cui trattasi nel procedimento principale, la Corte può tuttavia fornire a tale giudice gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che potrebbero essergli utili al riguardo (v., per analogia, sentenza del 7 aprile 2022, Berlin Chemie A. Menarini, C‑333/20, EU:C:2022:291, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

47

Pertanto, occorre rilevare, in primo luogo, che la portata delle informazioni figuranti sulle nuove etichette riveste un’importanza significativa. Infatti, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 51 delle sue conclusioni, per determinare se le informazioni relative al titolare del marchio che ha fabbricato la bomboletta e quelle relative al rivenditore che effettua la ricarica appaiano chiare e inequivocabili per un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento, deve essere valutata l’impressione complessiva data dalla nuova etichettatura. Tali informazioni, presentate mediante la nuova etichettatura, non devono, in particolare, lasciare intendere che esista un legame economico tra il rivenditore che ha ricaricato la bomboletta e il titolare del marchio di origine.

48

In secondo luogo, al fine di valutare l’impressione suscitata dalla nuova etichettatura, devono essere prese in considerazione anche le pratiche nel settore interessato e la questione se i consumatori siano abituati a che le bombolette siano ricaricate da operatori diversi dal titolare del marchio di origine.

49

A tale riguardo, la circostanza che il prodotto di cui trattasi sia composto da una bomboletta destinata ad essere riutilizzata e ricaricata numerose volte, nonché dal suo contenuto, può essere pertinente al fine di determinare se possa sussistere una siffatta impressione errata nella mente dei consumatori. Certo, occorre tener conto del fatto che, a causa del rapporto funzionale tra una bomboletta e il suo contenuto, il grande pubblico rischia di ritenere che entrambi abbiano di norma una stessa origine commerciale. Tuttavia, se è vero che sarebbe impossibile utilizzare gas compressi o liquefatti indipendentemente dai recipienti in metallo che li contengono e che tale tipo di bombolette può, a tale titolo, essere considerato come imballaggio (v., in tal senso, sentenza del 20 novembre 2014, Utopia, C‑40/14, EU:C:2014:2389, punto 40), dette bombolette – nei limiti in cui sono destinate ad essere riutilizzate e ricaricate numerose volte, secondo una logica di riciclaggio – non saranno necessariamente percepite come aventi la stessa origine commerciale del gas che esse contengono.

50

Per quanto riguarda, in particolare, le condizioni di ricaricamento di bombolette vuote, si deve presumere, come indicato dall’avvocato generale al paragrafo 56 delle sue conclusioni, che un consumatore che si rivolga direttamente ad un operatore diverso dal titolare del marchio di origine per far ricaricare una bomboletta vuota o scambiarla con una bomboletta ricaricata sarà più facilmente in grado di conoscere l’assenza di un legame economico tra tale operatore e il titolare del marchio.

51

Nel caso di specie, come risulta dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni scritte delle parti nel procedimento principale, né i titolari dei marchi di origine né il rivenditore propongono le loro bombolette di biossido di carbonio direttamente ai consumatori, dal momento che tali bombolette sono disponibili alla vendita solo nei negozi dei distributori.

52

Orbene, l’assenza di un contatto diretto con il rivenditore può generare un rischio di confusione nella mente dei consumatori quanto al rapporto tra tale rivenditore e i titolari dei marchi di origine. Una situazione del genere può quindi mettere a repentaglio la realizzazione della funzione essenziale del marchio, ricordata al punto 35 della presente sentenza, e giustificare così l’applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436 e dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001.

53

In terzo luogo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il fatto che il marchio di origine della bombola resti visibile malgrado l’etichettatura supplementare effettuata dal rivenditore costituisce un elemento pertinente nei limiti in cui sembra escludere il fatto che l’etichettatura abbia modificato lo stato delle bombole occultando la loro origine (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2011, Viking Gas, C‑46/10, EU:C:2011:485, punto 41).

54

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 e l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio che ha commercializzato, in uno Stato membro, prodotti contrassegnati con tale marchio e destinati a essere riutilizzati e ricaricati numerose volte non ha diritto di opporsi, in forza di tali disposizioni, all’ulteriore commercializzazione di tali prodotti, in detto Stato membro, da parte di un rivenditore che li abbia ricaricati e abbia sostituito l’etichetta su cui figura il marchio di origine con un’altra etichettatura, lasciando al tempo stesso apparire il marchio di origine su tali prodotti, a meno che tale nuova etichettatura non crei l’impressione errata nella mente dei consumatori che esista un legame economico tra il rivenditore e il titolare del marchio. Tale rischio di confusione deve essere valutato globalmente alla luce delle indicazioni che figurano sul prodotto e sulla sua nuova etichettatura, nonché in considerazione delle pratiche di distribuzione del settore interessato e del livello di conoscenza di tali pratiche da parte dei consumatori.

Sulle spese

55

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

 

L’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea e l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa,

 

devono essere interpretati nel senso che:

 

il titolare di un marchio che ha commercializzato, in uno Stato membro, prodotti contrassegnati con tale marchio e destinati a essere riutilizzati e ricaricati numerose volte non ha diritto di opporsi, in forza di tali disposizioni, all’ulteriore commercializzazione di tali prodotti, in detto Stato membro, da parte di un rivenditore che li abbia ricaricati e abbia sostituito l’etichetta su cui figura il marchio di origine con un’altra etichettatura, lasciando al tempo stesso apparire il marchio di origine su tali prodotti, a meno che tale nuova etichettatura non crei l’impressione errata nella mente dei consumatori che esista un legame economico tra il rivenditore e il titolare del marchio. Tale rischio di confusione deve essere valutato globalmente alla luce delle indicazioni che figurano sul prodotto e sulla sua nuova etichettatura, nonché in considerazione delle pratiche di distribuzione del settore interessato e del livello di conoscenza di tali pratiche da parte dei consumatori.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il finlandese.

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