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Document 62021CC0197

Conclusioni dell’avvocato generale G. Pitruzzella, presentate il 12 maggio 2022.
Soda-Club (CO2) SA e SodaStream International BV contro MySoda Oy.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Korkein oikeus.
Rinvio pregiudiziale – Diritto dei marchi – Regolamento (UE) 2017/1001 – Articolo 15, paragrafo 2 – Direttiva (UE) 2015/2436 – Articolo 15, paragrafo 2 – Esaurimento del diritto conferito dal marchio – Bombolette contenenti biossido di carbonio – Immissione in commercio in uno Stato membro dal titolare del marchio – Attività di un rivenditore consistente nel riempire e rietichettare bombolette – Opposizione proposta dal titolare del marchio – Motivi legittimi di opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti recanti il marchio.
Causa C-197/21.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2022:387

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 12 maggio 2022 ( 1 )

Causa C‑197/21

Soda-Club (CO2) SA,

SodaStream International BV

contro

MySoda Oy

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Korkein oikeus (Corte suprema, Finlandia)]

«Rinvio pregiudiziale – Marchi d’impresa – Esaurimento – Bombolette ricaricabili contenenti biossido di carbonio – Immissione in commercio in uno Stato membro dal titolare del marchio o con il suo consenso – Rivendita da parte di un terzo, a seguito del riconfezionamento e della nuova apposizione del marchio di quest’ultimo, nel medesimo Stato membro – Marchio della bomboletta in circolazione ancora visibile inciso sul collo della bomboletta – Riconfezionamento – Criteri della sentenza Bristol-Meyers Suibb e a. – Trasposizione a prodotti diversi da quelli farmaceutici – Trasposizione a una situazione riguardante un unico Stato membro – Requisito di necessità – Impressione di un legame economico»

1.

Il XXI secolo è caratterizzato da una diffusa presa di coscienza dell’impatto dei nostri modelli di consumo su sfide fondamentali, come, in particolare, la tutela dell’ambiente. Nella sua comunicazione del 2015, intitolata «L’anello mancante – Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare» ( 2 ), la Commissione europea elogiava le virtù di questo tipo di economia nei seguenti termini: «La transizione verso un’economia più circolare, in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo, è una componente indispensabile degli sforzi messi in campo dall’Unione europea per sviluppare un’economia che sia sostenibile, rilasci poche emissioni di biossido di carbonio, utilizzi le risorse in modo efficiente e resti competitiva». Tale circolarità dell’economia implica che prodotti immessi una prima volta in commercio nel territorio dell’Unione dai titolari dei marchi d’impresa verranno riutilizzati, riempiti o ricaricati prima di essere nuovamente immessi in commercio. È questo il contesto in cui s’inserisce la presente causa pregiudiziale, che offre alla Corte l’opportunità di precisare a quali condizioni debba aver luogo la necessaria conciliazione tra gli interessi legittimi di detti titolari e gli interessi dei terzi che riutilizzano e rivendono i loro prodotti.

I. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

1. Regolamento (UE) 2017/1001

2.

Il regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea ( 3 ) ha abrogato e sostituito, a decorrere dal 1o ottobre 2017, il regolamento (CE) n. 207/2009 ( 4 ).

3.

L’articolo 15 del regolamento 2017/1001, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio UE», dispone quanto segue:

«1.   Il diritto conferito dal marchio UE non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nello Spazio economico europeo con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.   Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga alla successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

2. Direttiva (UE) 2015/2436

4.

L’articolo 15 della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa ( 5 ), rubricato «Esaurimento dei diritti conferiti dal marchio d’impresa», è così formulato ( 6 ):

«1.   Un marchio d’impresa non dà diritto al titolare dello stesso di vietarne l’uso per prodotti immessi in commercio nell’Unione con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.   Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

B.   Diritto finlandese

5.

L’articolo 9, paragrafo 1, della tavaramerkkilaki (544/2019) [legge sui marchi (n. 544/2019)], del 26 aprile 2019, è applicabile ai marchi nazionali a decorrere dal 1o maggio 2019. Esso dispone che il titolare del marchio non può impedire l’uso del marchio per prodotti immessi in commercio nello Spazio economico europeo con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso. Il paragrafo 2 di tale articolo 9 stabilisce che, fatto salvo quanto previsto nel paragrafo 1, il titolare del marchio può opporsi all’uso del marchio per determinati prodotti quando ha motivi legittimi per opporsi all’ulteriore offerta o immissione in commercio dei prodotti. In particolare, il titolare del marchio può opporsi all’uso del marchio se lo stato dei prodotti è stato modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio ( 7 ).

II. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

6.

La Soda-Club (C02) SA e la SodaStream International BV (in prosieguo, congiuntamente: la «SodaStream») producono e vendono dispositivi domestici per la carbonatazione destinati all’uso da parte dei privati. Tali dispositivi consentono di preparare facilmente acqua frizzante e bevande frizzanti aromatizzate con acqua di rubinetto. In Finlandia detti dispositivi sono distribuiti con il marchio SODASTREAM. Le confezioni in vendita contengono, tra l’altro, il dispositivo di cui trattasi e una bomboletta di biossido di carbonio ricaricabile, formata da un corpo in alluminio con inciso il marchio SODASTREAM o SODA-CLUB. Sulla bomboletta è parimenti incollata un’etichetta recante uno dei due marchi menzionati. La SodaStream propone, inoltre, la vendita delle singole bombolette riempite di biossido di carbonio. La SodaStream è titolare dei marchi dell’Unione europea e dei marchi nazionali SODASTREAM e SODA-CLUB. I marchi registrati SODASTREAM e SODA-CLUB comprendono sia le bombolette controverse sia il biossido di carbonio in esse contenuto.

7.

La MySoda Oy ha sede in Finlandia. Essa vi commercializza dispositivi simili a quelli venduti dalla SodaStream con il marchio MYSODA in confezioni che tuttavia non includono bombolette. Dal 2016 la MySoda distribuisce in Finlandia bombolette ricaricate di biossido di carbonio compatibili non solo con i propri dispositivi per la carbonatazione, ma anche con i dispositivi immessi in commercio dalla SodaStream. Le bombolette di biossido di carbonio riempite e vendute dalla MySoda consistono segnatamente in bombolette ricaricate, originariamente immesse in commercio dalla SodaStream. La MySoda riceve dai rivenditori le bombolette di biossido di carbonio della SodaStream che sono state restituite vuote dai consumatori. La MySoda quindi rimuove l’etichetta incollata dalla SodaStream attorno alle bombolette e, dopo aver ricaricato le bombolette, vi applica la propria etichetta. È pacifico che l’etichetta in tal modo applicata lascia sempre visibili le incisioni presenti sulle bombolette, compresi i marchi SODASTREAM e SODA-CLUB.

8.

In Finlandia le bombolette di biossido di carbonio possono essere acquistate nei negozi al dettaglio. La SodaStream e la MySoda non dispongono di una propria rete di vendita.

9.

La MySoda ha utilizzato due diverse etichette. Sull’etichetta cosiddetta «rosa» figurava, in caratteri di grandi dimensioni, il logo della MySoda accompagnato dalla precisazione che si trattava di «biossido di carbonio finlandese per dispositivi per la carbonatazione». In caratteri di dimensioni ridotte erano riportate le informazioni sul prodotto, l’indicazione della società che aveva ricaricato la bomboletta e un rinvio alla sua pagina Internet per ulteriori informazioni. L’etichetta cosiddetta «bianca» recava, a lettere maiuscole e in cinque diverse lingue, la scritta «biossido di carbonio». In caratteri di dimensioni ridotte vi erano stampate le informazioni sul prodotto, ossia il nome della società che aveva ricaricato la bomboletta, la precisazione che tale società non era in alcun modo collegata con la fornitrice originaria della bomboletta né con la sua società o con i suoi marchi visibili sulla bomboletta nonché un rinvio alla pagina Internet della MySoda.

10.

Ritenendo tale pratica lesiva dei diritti ad essa conferiti dal marchio e di avere diversi motivi legittimi per opporvisi, la SodaStream proponeva un ricorso contro la MySoda al fine di far dichiarare che quest’ultima società aveva contraffatto i suoi marchi in Finlandia, utilizzandoli senza autorizzazione nell’ambito della propria attività commerciale e immettendo sul mercato bombolette ricaricate recanti tali marchi sulle quali era stato apposto il suo marchio MySoda, dopo aver rimosso e sostituito le etichette originali senza l’autorizzazione della SodaStream, o bombolette ricaricate dopo aver sostituito le etichette originali con nuove etichette. La SodaStream chiede l’inibitoria di tale pratica, che essa ritiene costituire una contraffazione, e di essere risarcita.

11.

In una sentenza non definitiva del 5 settembre 2019 il markkinaoikeus (Tribunale delle questioni economiche, Finlandia) si pronunciava su due domande della SodaStream, accogliendole nella parte relativa all’utilizzo da parte della MySoda delle etichette rosa e respingendole nella parte relativa alle etichette bianche. Il markkinaoikeus (Tribunale delle questioni economiche) rilevava che il diritto esclusivo riconosciuto con i marchi della SodaStream era esaurito rispetto alle bombolette di biossido di carbonio da essa originariamente immesse in commercio. Per opporsi alla pratica della MySoda, la SodaStream doveva quindi dimostrare di avere un interesse legittimo. Dopo aver escluso l’applicazione dei criteri della sentenza Bristol-Myers Squibb e a. ( 8 ), in quanto nella controversia tra la SodaStream e la MySoda non si discuteva di un’importazione parallela, il markkinaoikeus (Tribunale delle questioni economiche), sulla base della sentenza Viking Gas ( 9 ), riteneva che la pratica della MySoda non modificasse né alterasse le bombolette di biossido di carbonio originariamente immesse in commercio dalla SodaStream o il loro contenuto. Tale pratica non danneggerebbe nemmeno la reputazione di quest’ultima, né le avrebbe arrecato un qualsivoglia pregiudizio atto a integrare un motivo legittimo, per la SodaStream, per opporsi ad essa. Secondo il medesimo giudice, mentre l’utilizzo delle etichette bianche non ha generato un’impressione errata quanto all’esistenza di un legame economico tra la MySoda e la SodaStream, lo stesso non può affermarsi per l’uso delle etichette rosa che sono idonee a creare nel consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, l’impressione della sussistenza di un legame economico di qualche natura tra dette due società. In particolare, in considerazione del logo ben in evidenza della MySoda apposto sull’etichetta rosa, detto giudice riteneva che un tale consumatore potesse pensare che la bomboletta di biossido di carbonio provenisse da quest’ultima società. Di conseguenza, sussisteva un motivo legittimo perché la SodaStream si opponesse alla pratica consistente nell’utilizzo delle etichette rosa.

12.

La SodaStream e la MySoda proponevano entrambe impugnazione avverso tale sentenza interlocutoria, impugnazioni dichiarate ammissibili dal Korkein oikeus (Corte suprema, Finlandia) dinanzi al quale erano state presentate.

13.

Secondo la SodaStream, rimuovendo l’etichetta recante il suo marchio, e quindi l’indicazione della provenienza della bomboletta di biossido di carbonio, e applicando una nuova etichetta, la MySoda ha operato una rietichettatura del prodotto, operazione che già metterebbe a rischio la funzione di indicazione d’origine del marchio e alla quale dovrebbero applicarsi i criteri elaborati nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a. o, quantomeno, il requisito della necessità. Orbene, la sostituzione dell’etichetta alle condizioni descritte supra non sarebbe necessaria per immettere in commercio le bombolette ricaricate di biossido di carbonio, dal momento che l’apposizione sulla bomboletta ricaricata di un adesivo che consenta di fornire i dati relativi all’imbottigliatore sarebbe meno lesiva dei diritti del titolare del marchio. La SodaStream avrebbe quindi diritto di opporsi alla pratica della MySoda. La SodaStream deduce altresì, quale altro motivo legittimo di detta opposizione, l’errata impressione circa l’esistenza di un legame economico tra essa e la MySoda che sarebbe generata dalla pratica di quest’ultima.

14.

Dal canto suo, la MySoda sostiene che, nella specie, non possono trovare applicazione i criteri elaborati nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a., in quanto il caso in esame concerne scambi commerciali all’interno di un unico Stato membro. La MySoda non riconfezionerebbe un prodotto originale venduto nell’ambito di un’importazione parallela. La sostituzione dell’etichetta non metterebbe a rischio la funzione del marchio, poiché il pubblico di riferimento comprenderebbe che l’etichetta da essa apposta indica unicamente la provenienza del biossido di carbonio e il suo imbottigliatore, mentre l’incisione presente sulla bomboletta indicante la sua provenienza resterebbe visibile. La sostituzione dell’etichetta della SodaStream sarebbe in ogni caso necessaria, in quanto l’applicazione di una semplice etichetta autoadesiva sulla bomboletta ricaricata potrebbe ingenerare un maggiore rischio di confusione quanto all’identità dell’ultimo imbottigliatore della bomboletta, tenuto conto del fatto che tali bombolette sono destinate a essere ricaricate molte volte. La sostituzione dell’etichetta consentirebbe di evitare la presenza di più codici a barre sullo stesso prodotto e risulterebbe, peraltro, spesso necessaria nei casi in cui l’etichetta originale sia stata danneggiata o staccata. La MySoda afferma di conformarsi a una prassi, a suo dire, costante in Finlandia, tant’è che sarebbe seguita anche dalla stessa SodaStream. Infine, la MySoda ha precisato, dinanzi al giudice del rinvio, di non essere l’unico operatore sul mercato della ricarica di bombolette di biossido di carbonio e che è quindi possibile che le etichette da essa sostituite non siano le etichette della SodaStream bensì quelle dei precedenti imbottigliatori che hanno ricaricato le bombolette.

15.

Il giudice del rinvio ritiene che il diritto dell’Unione non disciplini in modo chiaro e dettagliato le condizioni in presenza delle quali sussistono motivi legittimi perché il titolare di un marchio possa opporsi all’ulteriore commercializzazione di prodotti immessi in commercio. In forza di una giurisprudenza costante della Corte, esiste un rischio, quantomeno in caso di riconfezionamento di medicinali importati parallelamente, che include la rietichettatura, che sia pregiudicata la garanzia di provenienza del marchio. Pertanto, un siffatto riconfezionamento pregiudica l’oggetto specifico del marchio ( 10 ). Secondo consolidata giurisprudenza, il titolare del marchio può opporsi allo smercio di prodotti riconfezionati quando il rivenditore non dimostra che il modus operandi soddisfa i criteri definiti nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a. ( 11 ). Il titolare del marchio può pertanto vietare il riconfezionamento di un prodotto, a meno che detto riconfezionamento non sia necessario per permettere la commercializzazione dei prodotti importati parallelamente e i legittimi interessi del titolare non siano per il resto salvaguardati ( 12 ). Il giudice del rinvio rileva altresì che dalla sentenza Viking Gas, in cui tuttavia non si fa riferimento né alla giurisprudenza della Corte in materia di riconfezionamento né ai criteri di cui alla sentenza Bristol-Myers Squibb e a., discende che, nei casi in cui un imbottigliatore di bombole di gas, immesse in commercio nel medesimo Stato membro, abbia apposto le proprie etichette su dette bombole, può segnatamente sussistere un motivo legittimo per opporsi alla pratica dell’imbottigliatore qualora l’uso del marchio si svolga in modo da dare l’impressione che esista un legame economico tra il titolare del marchio e l’imbottigliatore ( 13 ).

16.

Il giudice del rinvio rileva, da un lato, che dalla giurisprudenza della Corte non emerge chiaramente il fatto che il requisito della necessità, quale definito nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a., si applichi al riconfezionamento di merce immessa in commercio nel medesimo Stato membro. Il giudice del rinvio non è certo di poter qualificare l’operazione effettuata dalla MySoda come «riconfezionamento» ai sensi della giurisprudenza della Corte, dato che, nell’ambito del procedimento principale, si discute di bombolette destinate a essere ricaricate diverse decine di volte. Il giudice del rinvio s’interroga parimenti sulla questione se sia dirimente il fatto che la clientela interessata nella specie giunga alla conclusione che l’etichetta rimanda esclusivamente alla provenienza del biossido di carbonio, anche se originariamente, all’atto dell’iniziale immissione in commercio della bomboletta di biossido di carbonio, il titolare del marchio avrebbe applicato su di essa l’etichetta recante il proprio marchio anche a prova della provenienza dalla bomboletta. Non è nemmeno facile stabilire se le conclusioni tratte dalla sentenza Viking Gas possano trovare applicazione nell’ambito del procedimento principale, in quanto nella menzionata sentenza si discuteva di marchi applicati dal titolare del marchio su bombole di gas da questi originariamente immesse in commercio senza che i marchi in questione fossero mai stati rimossi o coperti. Nel caso del procedimento principale resta visibile soltanto il marchio inciso sul collo della bomboletta di biossido di carbonio.

17.

Dall’altro lato, alla luce della giurisprudenza della Corte e, in particolare, della sentenza Loendersloot ( 14 ), talvolta può essere sufficiente l’apposizione su determinate bottiglie di un semplice adesivo nel quale figurino informazioni ulteriori, senza necessità di rimuovere l’etichetta apposta dal titolare del marchio che ha messo in commercio le bottiglie. Risulta altresì dalla giurisprudenza della Corte che il requisito attinente alla necessità non è soddisfatto qualora la prassi di cui trattasi sia esclusivamente intesa a conseguire un vantaggio commerciale ( 15 ). Le bombolette ricaricate di biossido di carbonio devono recare le informazioni relative al rispettivo imbottigliatore. Nell’ipotesi in cui fossero applicabili i criteri della sentenza Bristol-Myers Squibb e a., e in particolare quello relativo alla necessità, il giudice del rinvio si chiede se si debba tenere conto dell’uso delle bombolette. Infatti, poiché le bombolette di biossido di carbonio sono destinate a essere ricaricate per essere riutilizzate, può porsi il problema della durata delle etichette apposte dal titolare del marchio che ha immesso le bombolette in questione in commercio. Più specificamente, si tratterebbe di stabilire se il danneggiamento di un’etichetta apposta dal titolare del marchio sulla bomboletta, il suo distacco o il fatto che già in precedenza un altro imbottigliatore possa aver sostituito l’etichetta originale con la propria possano costituire una circostanza idonea a far ritenere che l’applicazione di una nuova etichetta o la sua sostituzione con un’etichetta dell’imbottigliatore sia necessaria ai fini dell’immissione in commercio della bomboletta ricaricata.

18.

In tali circostanze il Korkein oikeus (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e, con decisione pervenuta nella cancelleria della Corte il 29 marzo 2021, ha sottoposto a quest’ultima le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se i cosiddetti criteri “Bristol-Myers Squibb”, elaborati nella giurisprudenza della Corte in materia di riconfezionamento e di rietichettatura nell’ambito delle importazioni parallele e, in particolare, il cosiddetto requisito della necessità, trovino applicazione anche laddove si discuta del riconfezionamento o della rietichettatura di prodotti immessi in commercio in uno Stato membro dal titolare del marchio o con il suo consenso ai fini di una loro rivendita all’interno dello stesso Stato membro.

2)

Nel caso in cui, all’atto dell’immissione in commercio delle bombolette contenenti biossido di carbonio, il titolare del marchio vi abbia apposto il proprio marchio, stampato sull’etichetta della bomboletta e inciso altresì sul collo della stessa, se i menzionati criteri Bristol-Myers Squibb e, in particolare, il criterio della necessità si applichino anche quando un terzo ricarichi la bomboletta di biossido di carbonio ai fini della sua rivendita, rimuovendo da essa l’etichetta originale e sostituendola con un’etichetta recante il proprio segno, mentre, al tempo stesso, il marchio dell’autore dell’immissione in commercio della bomboletta resti visibile nell’incisione posta sul collo della stessa.

3)

Se, a fronte della fattispecie descritta supra, si possa ritenere che la rimozione e la sostituzione dell’etichetta recante il marchio metta a rischio, in linea di principio, la funzione del marchio quale prova della provenienza della bomboletta de qua o se, con riferimento all’applicabilità dei criteri per il riconfezionamento e la rietichettatura assuma rilievo il fatto che:

si debba ritenere che il pubblico di riferimento comprenda che l’etichetta rimanda esclusivamente alla provenienza del biossido di carbonio (e, in tal modo, all’imbottigliatore della bomboletta); ovvero

si debba ritenere che il pubblico di riferimento comprenda l’etichetta rimanda, quantomeno in parte, anche alla provenienza della bomboletta.

4)

In caso di valutazione della rimozione e sostituzione dell’etichetta delle bombolette di biossido di carbonio alla luce del principio della necessità, se un eventuale danneggiamento o distacco delle etichette applicate alle bombolette immesse in commercio dal titolare del marchio o la loro rimozione e sostituzione da parte di un precedente imbottigliatore costituiscano una circostanza idonea a far ritenere che la sistematica sostituzione delle etichette con un’etichetta dell’imbottigliatore sia necessaria ai fini dell’immissione in commercio delle bombolette ricaricate».

19.

La MySoda, la SodaStream, il governo finlandese nonché la Commissione hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte.

III. Analisi

20.

Prima di esaminare le questioni sottoposte alla Corte, preciso che nelle presenti conclusioni farò riferimento alle pertinenti disposizioni del regolamento 2017/1001 e della direttiva 2015/2436, vale a dire, segnatamente, all’articolo 15 del regolamento 2017/1001 e all’articolo 15 della direttiva 2015/2436 ( 16 ). Poiché i fatti addebitati alla MySoda hanno avuto inizio nel 2016, e tenuto conto della somiglianza tra le disposizioni in materia di esaurimento del diritto conferito dai marchi nazionali e dell’Unione, le considerazioni che verranno dedicate all’articolo 15 del regolamento 2017/1001 e all’articolo 15 della direttiva 2015/2436 saranno valide anche per l’interpretazione delle corrispondenti disposizioni contenute negli atti precedentemente in vigore ( 17 ). Per la medesima ragione, la giurisprudenza della Corte elaborata sulla base di dette precedenti disposizioni rimane rilevante per la soluzione della controversia di cui al procedimento principale.

A.   Sulle questioni pregiudiziali prima, seconda e quarta

21.

Con le sue questioni pregiudiziali prima, seconda e quarta, che occorre, a mio avviso, esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede alla Corte di precisare se i criteri elaborati nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a. siano destinati ad applicarsi in un caso in cui i prodotti, successivamente alla loro prima immissione sul mercato dell’Unione ad opera del titolare del marchio, siano rivenduti da un terzo all’interno del medesimo Stato membro in cui è avvenuta la prima immissione sul mercato. Detto giudice chiede inoltre se i menzionati criteri, e in particolare quello attinente alla necessità, trovino applicazione laddove un terzo ricarichi la bomboletta di biossido di carbonio ai fini della sua rivendita, rimuova da essa l’etichetta originale e la sostituisca con la propria etichetta lasciando al tempo stesso visibile il marchio del titolare che è inciso sul collo della bottiglia. Infine, il giudice del rinvio chiede quale effetto possa avere sulla valutazione dell’esistenza di una necessità di riconfezionare il fatto che, per loro stessa natura, le etichette apposte dal titolare del marchio su bombolette destinate a essere ricaricate e riutilizzate molte volte tenderanno a deteriorarsi, se non a staccarsi, rendendo quindi potenzialmente necessaria la loro sistematica sostituzione ai fini dell’ulteriore immissione in commercio. Dette questioni sono state sollevate allo scopo di stabilire se la SodaStream sia legittimata a opporsi alla pratica della MySoda.

22.

Tale facoltà di opposizione, che costituisce una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle merci, ha come unica finalità la salvaguardia dei diritti che rientrano nell’oggetto specifico del marchio, inteso alla luce della funzione essenziale di quest’ultimo ( 18 ). L’oggetto specifico del diritto di marchio consiste segnatamente nel garantire al titolare il diritto esclusivo di utilizzare il marchio per la prima immissione in commercio del prodotto e di tutelarlo in tal modo dai concorrenti che volessero abusare della posizione e della reputazione del marchio vendendo prodotti indebitamente contrassegnati con questo ( 19 ). La funzione essenziale del marchio risiede nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto contrassegnato, consentendogli di distinguere senza possibile confusione detto prodotto da quelli aventi diversa origine ( 20 ). Tuttavia, il diritto del titolare del marchio di opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti contrassegnati dal suo marchio, poiché costituisce necessariamente un limite al principio fondamentale della libera circolazione delle merci, non è illimitato.

23.

La questione dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio dell’Unione o dal marchio nazionale è in tal senso disciplinata all’articolo 15 del regolamento 2017/1001 e all’articolo 15 della direttiva 2015/2436. Dette due norme, utilizzando termini analoghi, mirano segnatamente a conciliare gli interessi fondamentali della tutela dei diritti di marchio con quelli della libera circolazione delle merci tra gli Stati membri ( 21 ). Dalle citate disposizioni discende che il titolare del marchio non può, in linea di principio, opporsi all’uso di detto marchio una volta avvenuta la prima immissione sul mercato ad opera del titolare del marchio o con il suo consenso ( 22 ). Il principio dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio sancito dalle due disposizioni in parola costituisce quindi il limite ai diritti di esclusiva peraltro riconosciuti ai titolari di un marchio. I rapporti tra tale esclusività e la libera circolazione delle merci sono stati più volte illustrati nella giurisprudenza della Corte ( 23 ). Pertanto, per quanto la titolarità del marchio comporti, di per sé, una necessaria restrizione per la libera circolazione delle merci, in nome della protezione della proprietà industriale e commerciale, l’intensità di tale protezione tuttavia diminuisce col manifestarsi dei rischi anticoncorrenziali per il mercato, in particolare di compartimentazione.

24.

È pacifico tra le parti che le bombolette di cui trattasi sono state immesse in commercio per la prima volta nel territorio finlandese dalla SodaStream, titolare del marchio. Se ci si basasse esclusivamente su quanto premesso, quest’ultima non potrebbe opporsi alla pratica di cui trattasi nel procedimento principale.

25.

Tuttavia, il diritto conferito dal marchio non si esaurisce quando il suo titolare ha un motivo legittimo per opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti ( 24 ). L’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 e l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436, pur menzionando a titolo di esempio la modifica e l’alterazione dello stato dei prodotti, non forniscono un elenco esaustivo dei motivi legittimi idonei a ostacolare l’applicazione del principio dell’esaurimento ( 25 ).

26.

Nel contesto di un’importazione parallela di prodotti farmaceutici, la Corte ha segnatamente dichiarato che l’articolo 7, paragrafo 2, della prima direttiva 89/104 doveva essere interpretato nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore smercio di un prodotto farmaceutico, qualora l’importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio del titolare, a meno che, in primo luogo, sia provato che l’esercizio del diritto di marchio da parte del titolare per opporsi allo smercio dei prodotti riconfezionati con il detto marchio contribuirebbe a compartimentare artificiosamente i mercati tra gli Stati membri; in secondo luogo, sia provato che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione; in terzo luogo, siano indicati chiaramente sulla nuova confezione l’autore del riconfezionamento del prodotto e il nome del fabbricante di questo; in quarto luogo, la presentazione del prodotto riconfezionato non sia atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare e, in quinto luogo, l’importatore, prima di mettere in vendita il prodotto riconfezionato, ne informi il titolare del marchio e gli fornisca, su sua richiesta, un campione del prodotto stesso ( 26 ). È sufficiente che uno dei requisiti enunciati nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a. non risulti soddisfatto, perché il titolare del marchio possa legittimamente opporsi all’ulteriore commercializzazione di un prodotto farmaceutico recante il suo marchio e che sia stato oggetto di riconfezionamento ( 27 ).

27.

Pertanto, per valutare il diritto della SodaStream di opporsi alla pratica della MySoda è necessario stabilire se tale pratica costituisca un riconfezionamento ai sensi della giurisprudenza della Corte (seconda questione) ( 28 ). Si dovrà poi stabilire se gli insegnamenti tratti dalla sentenza Bristol-Myers Squibb e a. siano validi unicamente nei casi di importazioni parallele che comportino necessariamente la commercializzazione del prodotto in questione nel territorio di uno Stato membro diverso da quello della prima immissione in commercio (prima questione). Infine, occorrerà valutare se i criteri definiti nella citata sentenza siano stati specificamente elaborati con riferimento al particolare tipo di prodotto di cui si discuteva nella specie, vale a dire prodotti farmaceutici, prima di poter considerare l’applicazione del requisito attinente alla necessità, ai sensi di detta sentenza, alle circostanze del procedimento principale.

1. Sull’esistenza di un riconfezionamento

28.

In merito alla questione se la pratica della MySoda di cui trattasi nel procedimento principale costituisca un riconfezionamento, la Corte ha già dichiarato che «la rietichettatura dei medicinali recanti il marchio e il riconfezionamento degli stessi incidono sull’oggetto specifico del marchio (…). Infatti, la modifica implicata da ogni riconfezionamento o rietichettatura di un medicinale munito di un marchio genera per sua stessa natura rischi concreti ai fini della garanzia di provenienza che il marchio mira a tutelare» ( 29 ). La Corte ha ulteriormente precisato che l’apposizione di un’etichetta di dimensioni ridotte su un imballaggio di dispositivi medici d’origine, peraltro lasciato intatto e non aperto, che non nasconde il marchio originale e che si limita a indicare l’importatore parallelo quale responsabile dell’immissione sul mercato unitamente alle relative coordinate, un codice a barre e un numero farmacologico centrale, non costituisce un riconfezionamento. Non potendo pregiudicare l’obiettivo specifico del marchio, una siffatta operazione non costituisce un legittimo motivo idoneo a giustificare l’opposizione del titolare del marchio all’ulteriore commercializzazione del marchio di cui trattasi ( 30 ). Tuttavia, non ritengo possibile ridurre la pratica di cui si discute nel procedimento principale descritta al paragrafo 9 delle presenti conclusioni a quest’ultima ipotesi. La MySoda, infatti, apre le bombolette di biossido di carbonio, le manipola, le ispeziona, le pulisce, infine le riempie prima di sigillarle e di procedere alla loro rietichettatura ( 31 ). Non si può neppure escludere che, in conseguenza di tali operazioni, l’oggetto specifico del marchio possa essere pregiudicato, nonostante il marchio della SodaStream inciso sul collo resti visibile ( 32 ). Sussiste quindi un riconfezionamento delle bombolette di biossido di carbonio originariamente immesse sul mercato finlandese da parte della stessa.

2. Sulla possibile trasposizione, nell’ambito del procedimento principale, dei criteri della sentenza Bristol-Myers Squibb e a.

29.

Quanto alla questione del legame tra i criteri elaborati nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a. e le situazioni di importazione parallela, evidenzio sin d’ora che, benché il procedimento principale riguardi effettivamente una situazione che si verifica sul mercato finlandese, le etichette apposte dalla MySoda sono redatte in cinque lingue, rivelando così tutto il potenziale di un’eventuale diffusione delle bombolette ricaricate oltre il solo territorio finlandese.

30.

Rilevo altresì che i criteri definiti in tale sentenza, quantomeno sotto il profilo della loro formulazione, sono perfettamente applicabili a una situazione come quella oggetto del procedimento principale, in quanto sostanzialmente vertenti sulla portata della tutela conferita dal marchio e sui relativi limiti. A tale riguardo, concordo con la SodaStream quando sostiene che l’interesse del titolare del marchio a ottenere una tutela contro un eventuale pregiudizio della garanzia di origine del prodotto recante il suo marchio è lo stesso, a prescindere dalla circostanza che tale pregiudizio abbia luogo nel territorio del medesimo Stato membro in cui il prodotto in questione è stato immesso in commercio per la prima volta o nel territorio di un altro Stato membro.

31.

Ciò che più rileva è che la tutela della proprietà intellettuale non può spingersi sino a legittimare un mercato vincolato e dunque una concorrenza falsata ( 33 ). Orbene, a mio avviso, i rischi per il mercato sono analoghi, dal momento che l’opposizione al riconfezionamento può sortire l’immediato effetto di contribuire alla compartimentazione artificiosa del mercato, anche solo nazionale. Sono pertanto propenso a ritenere, di concerto con la Commissione, che la limitazione della pratica a un solo Stato membro non sia fondamentale quando occorre stabilire se i criteri elaborati nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a. siano applicabili. Qualora si decidesse altrimenti, si correrebbe il rischio di riconoscere alla SodaStream la possibilità di beneficiare incondizionatamente della futura rivendita dei suoi prodotti. È vero che la Corte non ha fatto riferimento alla sentenza Bristol-Myers Squibb e a. nella sua sentenza Viking Gas, benché si trattasse parimenti di una situazione di ricarica di bombole di gas limitata al territorio di un unico Stato membro. Tuttavia, in quella circostanza si discuteva di un’operazione diversa, esaminata anzitutto sotto il profilo della libertà di scelta e del diritto di proprietà del consumatore che aveva acquistato la bombola di gas in occasione della sua prima immissione sul mercato ( 34 ). La questione del diritto dei concorrenti di procedere al riempimento e allo scambio delle bombole di gas emergeva solo al termine dell’analisi ( 35 ) e la Corte si limitava a rammentare nel dispositivo la necessità di un «giusto motivo», senza specificarne i requisiti ( 36 ). Inoltre, come ha correttamente osservato il giudice del rinvio, il marchio di cui si discuteva nella citata causa non era stato né rimosso né coperto.

32.

Quanto alla questione se i criteri elaborati nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a. riguardino specificamente i prodotti farmaceutici e i dispositivi medici, da un lato, dalla lettura di tale sentenza non mi sembra risulti che i detti criteri siano limitati a tale tipo di prodotti ( 37 ) e, dall’altro lato, la Corte ha già statuito che così non è ( 38 ), in quanto l’elemento che innesca la loro applicazione non deriva dalla qualità dei prodotti bensì dal fatto che il prodotto marchiato ha subìto un intervento, ad opera di un terzo e senza autorizzazione del titolare del marchio, che potrebbe falsare la garanzia di provenienza apprestata dal marchio ( 39 ). Non condivido pertanto l’interpretazione proposta dalla Commissione dei punti 27 e 28 della sentenza Junek Europ-Vertrieb ( 40 ), perché da detti punti non discende che la Corte abbia escluso, in linea di principio, l’applicazione dei criteri elaborati nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a. a prodotti diversi da quelli farmaceutici. Tali punti, a mio avviso, svolgono esclusivamente la funzione di richiamare il contesto, in particolare di fatto, che ha condotto all’applicazione della precedente giurisprudenza della Corte.

33.

Da tutti questi elementi risulta pertanto che nulla sembra ostare all’applicazione del requisito della necessità, quale definito nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a., nell’ambito del procedimento principale.

3. Sul requisito della necessità ai sensi della sentenza Bristol-Myers Squibb e a.

34.

Da tale requisito, quale formulato nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a., risulta che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore smercio di un prodotto, qualora l’importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio, a meno che, in particolare, sia provato che l’esercizio del diritto di marchio da parte del titolare per opporsi allo smercio dei prodotti riconfezionati con il detto marchio contribuirebbe a compartimentare artificiosamente i mercati tra gli Stati membri – o, nella specie, il mercato (secondario) nazionale. Secondo la Corte, ciò si verifica, in particolare, quando il riconfezionamento è, da un lato, necessario per lo smercio del prodotto nello Stato membro dell’importazione e, dall’altro lato, avviene secondo modalità tali che lo stato originario del prodotto non può risultarne alterato ( 41 ). La facoltà del titolare di un diritto di marchio tutelato in uno Stato membro di opporsi allo smercio, con il detto marchio, dei prodotti riconfezionati dev’essere limitata solo se il riconfezionamento effettuato dall’importatore sia necessario per lo smercio del prodotto ( 42 ). In ogni caso, il requisito della necessità verrà esaminato attraverso il prisma della funzione essenziale riconosciuta al marchio ( 43 ).

35.

Infatti, il riconfezionamento è necessario per l’immissione in commercio di un determinato prodotto in un altro Stato membro quando la modifica della confezione è imposta da norme regolamentari ( 44 ). Per contro, la Corte ha dichiarato che il riconfezionamento del prodotto non risulta necessario se esso si spiega esclusivamente col desiderio da parte dell’importatore parallelo di conseguire un vantaggio commerciale ( 45 ).

36.

La valutazione del requisito di necessità avverrà esclusivamente alla luce del fatto che si proceda al riconfezionamento del prodotto per permetterne l’ulteriore commercializzazione e non della modalità o dello stile secondo i quali tale riconfezionamento viene effettuato ( 46 ). Tuttavia, il requisito della necessità non è di per sé sufficiente perché, una volta verificata la necessità del riconfezionamento, occorrerà ancora accertare che i legittimi interessi del titolare del marchio siano salvaguardati per poter concludere che questi non può opporsi alla rivendita dei suoi prodotti ( 47 ), e sarà in occasione di tale fase successiva che verranno esaminate le modalità o lo stile del riconfezionamento.

37.

Nell’analizzare il requisito della necessità, occorre parimenti rammentare il ruolo che dev’essere riconosciuto al marchio in un sistema di concorrenza non falsato. Come sostenuto dalla Commissione, ritengo che il requisito relativo alla necessità del riconfezionamento debba essere applicato tenendo presente l’esigenza di conciliare gli interessi del titolare del marchio e, nella specie, gli interessi dei rivenditori. Sottolineo, al riguardo, che l’operazione effettuata dalla MySoda è più complessa di una semplice rivendita di una bomboletta già immessa in commercio, in quanto la bomboletta de qua dev’essere ricaricata di biossido di carbonio dalla MySoda.

38.

Benché spetti al giudice del rinvio valutare la questione se, alla luce delle circostanze che caratterizzano la controversia di cui al procedimento principale, il riconfezionamento realizzato dalla MySoda sia necessario ai fini della commercializzazione delle bombolette di biossido di carbonio ricaricate, detto giudice chiede esplicitamente alla Corte di indirizzare tale valutazione.

39.

La SodaStream immette sul mercato prodotti destinati a essere riutilizzati ( 48 ). Essa addebita alla MySoda di organizzare autonomamente un’attività di riutilizzo e ricarica delle bombolette recanti il marchio della SodaStream. La SodaStream non dispone di altri mezzi legali per opporsi all’attività della MySoda – che, peraltro, sembra essere riconosciuta e disciplinata a livello quantomeno nazionale, trattandosi di una sostanza, quale il biossido di carbonio, classificata come pericolosa – che far valere il proprio diritto di marchio sulla bomboletta.

40.

Pertanto, delle due l’una.

41.

Da una parte, considerato che l’attività sviluppata dalla MySoda sembra essere legale e conforme alla destinazione dei prodotti immessi sul mercato dalla SodaStream, immaginiamo che la MySoda prosegua la sua attività di riempimento ma che le sia vietato, in nome dei diritti derivanti dal marchio, di rimuovere l’etichetta. In tal caso, sul mercato esisterebbe un prodotto al quale è stato palesemente conferito un valore aggiunto da un operatore che non è il titolare del marchio ma che recherebbe l’etichetta soltanto di quest’ultimo. Il marchio, quale garanzia di origine, produrrebbe indubbiamente tutti i suoi effetti rispetto alla bomboletta, ma non svolgerebbe la sua funzione per quanto riguarda il gas stesso e il servizio di ricarica. Una siffatta situazione, puramente teorica, risulterebbe d’altronde problematica sotto il profilo dell’attribuzione della responsabilità in caso di problemi successivi alla ricarica, perché tale responsabilità potrebbe sembrare erroneamente riconducibile al titolare del marchio della bomboletta anziché all’imbottigliatore della stessa. Come ho ricordato sopra, l’operazione effettuata dalla MySoda non consiste in una semplice rivendita di bombolette. In una situazione del genere, l’etichettatura non rispecchierebbe lo stato effettivo del prodotto che dev’essere, per sua destinazione, ulteriormente commercializzato.

42.

Dall’altra parte, qualora si aderisse alla linea argomentativa della SodaStream, consistente nel far valere una tutela permanente del suo marchio apposto su un prodotto riutilizzabile che si protragga oltre la prima immissione in commercio, si produrrebbe l’effetto di impedire ogni manipolazione da parte di un operatore terzo delle bombolette ricaricabili. Soltanto la SodaStream potrebbe quindi legittimamente ricaricare e rivendere le bombolette, benché la tutela conferita dal marchio e il relativo diritto di opposizione riconosciuto al suo titolare riguardino esclusivamente le bombolette di cui trattasi e non le ulteriori operazioni e non possano avere la conseguenza di compartimentare i mercati e quindi di falsare la concorrenza ( 49 ). Dalle osservazioni della SodaStream risulta che tale società ritiene essenziale accertarsi che vengano commercializzate con i suoi marchi soltanto le bombolette di biossido di carbonio di cui essa stessa abbia potuto garantire la sicurezza e il corretto riempimento. Il giudice del rinvio sembra essere nella posizione migliore per mediare tra tale argomento apparentemente cautelativo ( 50 ) e la sua eventuale manipolazione a fini anticoncorrenziali ( 51 ).

43.

In questo peculiare contesto, alla luce della natura e della destinazione dei prodotti, il loro riconfezionamento, inteso come la manipolazione (apertura, pulizia, controlli), il riempimento delle bombolette già immesse in commercio e, forse soprattutto, la loro rietichettatura, mi sembrano a priori necessari per l’uso cui tali bombolette sono destinate e affinché gli operatori indipendenti possano accedere al mercato secondario. A mio avviso, la rietichettatura, purché sia realizzata con modalità chiare e non ingannevoli, contribuisce paradossalmente a salvaguardare la funzione essenziale dei marchi, a prescindere che si tratti del marchio dell’operatore che ha immesso per la prima volta la bomboletta in commercio o del marchio dell’imbottigliatore che l’ha ricaricata prima di rivenderla. Sempre a mio parere, il requisito della necessità è quindi soddisfatto per quest’unica ragione, tanto più che dev’essere valutato in base alle circostanze del caso di specie, tenendo segnatamente in considerazione le differenze con i fatti del procedimento principale nella causa Bristol-Myers Squibb e a. Tenuto conto del ciclo di vita delle bombolette di biossido di carbonio che, secondo le indicazioni della MySoda, possono essere ricaricate un centinaio di volte, posso parimenti ammettere che lo stato di conservazione dell’etichetta originale è destinato a deteriorarsi e che, nell’ipotesi prevedibile di riempimenti successivi ad opera di diversi operatori, l’imbottigliatore che avrà rietichettato la bomboletta per ultimo non sarà necessariamente lo stesso che aveva rimosso l’etichetta originale.

4. Conclusione

44.

Da quanto precede risulta che, nell’ambito del procedimento principale, l’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 e l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436 devono essere interpretati nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore commercializzazione, nel territorio del medesimo Stato membro in cui le bombolette di biossido di carbonio sono state immesse sul mercato per la prima volta da detto titolare o con il suo consenso, da parte di un terzo di tali bombolette che siano state da questi ricaricate e quando detto terzo abbia riconfezionato tali bombolette e vi abbia riapposto il proprio marchio, salvo che sia dimostrato che una siffatta opposizione contribuirebbe a compartimentare artificiosamente il mercato. Per valutare la sussistenza di un simile rischio, spetta al giudice del rinvio verificare se il riconfezionamento effettuato, alla luce della natura del prodotto di cui trattasi e della sua destinazione, appaia necessario al fine di garantire l’accesso dei terzi al mercato della ricarica del biossido di carbonio. Qualora dovesse concludere per la necessità del riconfezionamento operato dal terzo, il giudice del rinvio dovrebbe ancora accertare che i legittimi interessi del titolare del marchio siano nondimeno salvaguardati.

B.   Sulla terza questione pregiudiziale

45.

Con la sua terza questione il giudice del rinvio chiede se la rimozione e la sostituzione dell’etichetta recante il marchio metta a rischio, in linea di principio, la funzione del marchio o se, con riferimento all’applicabilità dei criteri relativi al riconfezionamento e alla rietichettatura, si debba ancora valutare la questione se il pubblico di riferimento comprenda che l’etichetta rimanda esclusivamente alla provenienza del biossido di carbonio o se, al contrario, si debba ritenere che tale pubblico comprenda che l’etichetta rimanda, quantomeno in parte, anche alla provenienza della bomboletta ( 52 ).

46.

Al pari della SodaStream, intendo tale terza questione pregiudiziale nel senso che essa riguarda un requisito distinto e autonomo da quello relativo alla necessità del riconfezionamento. Infatti, come segnatamente ricordato al paragrafo 36 delle presenti conclusioni, ancorché la pratica di cui trattasi nel procedimento principale dovesse ritenersi necessaria, ai sensi del primo criterio definito nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a., tale conclusione non sarebbe sufficiente per constatare l’impossibilità della SodaStream di opporsi ad essa, in quanto i requisiti in parola sembrano essere cumulativi. In altri termini, una volta accertata la necessità oggettiva del riconfezionamento, dev’essere esaminata la sua concreta realizzazione.

47.

Il terzo criterio sancito dalla sentenza Bristol-Myers Squibb e a. esige che siano indicati chiaramente sulla nuova confezione l’autore del riconfezionamento del prodotto e il nome del fabbricante di questo e che tali indicazioni siano stampate in modo tale che una persona dotata di vista normale e che presta una normale attenzione sia in grado di comprenderle ( 53 ). La chiarezza delle informazioni richiesta deve quindi consentire di evitare di generare confusione nel consumatore ( 54 ).

48.

Per salvaguardare la garanzia di origine del marchio, la nuova etichettatura non deve segnatamente dare l’impressione che esista un legame economico tra il terzo che rivende il prodotto e il titolare del marchio, e in particolare, che l’impresa del rivenditore appartenga alla rete di distribuzione del titolare o che sussista una relazione speciale tra queste due imprese ( 55 ). Qualora il consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento abbia difficoltà a stabilire la provenienza dei prodotti, i diritti derivanti dal marchio non potranno considerarsi esauriti ( 56 ). Dalla sentenza Viking Gas ( 57 ) discende, nello specifico, che la valutazione dell’esistenza di un’impressione di un legame economico deve tenere conto dell’etichettatura delle bombole e delle condizioni in cui esse vengono scambiate ( 58 ). Si dovrà parimenti tenere conto delle pratiche del settore e della questione se i consumatori siano abituati a che le bombole siano riempite da altri distributori. Sarà quindi possibile presumere che il consumatore che si rivolga direttamente a un concorrente per far riempire la sua bombola o per scambiare la sua bombola vuota con una bombola piena sarà più facilmente in grado di sapere che non vi è un legame tra il concorrente di cui trattasi e il titolare del marchio ( 59 ). La Corte ha altresì ammesso che la circostanza che il marchio della bomboletta resti visibile malgrado l’ulteriore etichettatura ( 60 ) apposta dal concorrente costituisce un elemento pertinente nei limiti in cui sembra escludere che l’etichettatura abbia modificato lo stato delle bombole occultando completamente la loro origine ( 61 ).

49.

Nel procedere alla rietichettatura, il terzo non deve avere un intento malizioso, nutrendo ad esempio il reale proposito di ingannare il consumatore. Tuttavia, la rimozione dell’etichetta operata dalla MySoda non appare necessariamente illegittima, dato che non è possibile stabilire automaticamente se sia stata effettivamente la MySoda a staccare, da una determinata bomboletta, l’etichetta originale o l’etichetta dell’ultimo imbottigliatore che ha ricaricato la bomboletta di gas. La rimozione può essere giustificata alla luce della peculiare natura della merce considerata, vale a dire bombolette ricaricabili. Il marchio delle bombolette, essendo inciso sul collo, resta visibile, ragion per cui la funzione essenziale del marchio relativa alla garanzia di origine delle bombolette non è necessariamente messa a rischio per il semplice fatto che vi è stata una rietichettatura. Non mi sembra nemmeno che spetti al giudice del rinvio stabilire quale possa essere l’esatta conclusione che un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento possa trarre da tale rietichettatura ( 62 ). Vero è che tale comprensione dipende dal grado di conoscenza di detto consumatore del funzionamento e delle pratiche ( 63 ) del mercato delle ricariche delle bombolette di biossido di carbonio. Tuttavia, essa dipende anche dalla chiarezza delle indicazioni riportate sull’etichetta, la quale deve, senza ambiguità per quanto riguarda l’effettivo responsabile della fabbricazione della bomboletta, recare le informazioni relative all’ultimo imbottigliatore che ha riempito la bomboletta di biossido di carbonio.

50.

Aggiungo che il governo finlandese ha insistito sui profili ambientali della controversia principale, sulla base del rilievo che il recupero delle bombolette attraverso il relativo riempimento e riutilizzo dev’essere promosso nel quadro della politica di prevenzione dei rifiuti, che costituisce uno degli obiettivi perseguiti dalla direttiva (UE) 2018/852 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio ( 64 ). A tal fine, secondo detto governo, occorre evitare che un’eccessiva considerazione per i diritti del fabbricante della bomboletta, titolare del marchio, renda eccessivamente complesso il recupero delle bombolette.

51.

Alla luce dell’insieme di tali elementi, sono del parere che l’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 e l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436 debbano essere interpretati nel senso che, qualora un terzo proceda alla ricarica di gas e alla rivendita di una bomboletta di biossido di carbonio, rimuova l’etichetta recante il marchio del fabbricante della bomboletta, lasciando al tempo stesso visibile tale marchio inciso sul collo della medesima, e vi apponga la propria etichetta, per determinare se le informazioni relative all’autore del riconfezionamento del prodotto e quelle riguardanti il fabbricante di tale prodotto appaiano chiare e inequivocabili per un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento, dev’essere valutata l’impressione complessiva data dalla nuova etichettatura. Dette informazioni, quali presentate mediante la nuova etichettatura, non devono, in particolare, lasciare intendere che esista un legame economico o una relazione speciale tra il terzo che ha ricaricato la bomboletta e il titolare del marchio. Per valutare l’impressione che si ricava dalla nuova etichettatura, si devono tenere segnatamente in considerazione le specifiche pratiche del settore interessato e il grado di conoscenza dei consumatori di tali pratiche.

C.   Sull’applicazione del metodo derivante dalla sentenza Viking Gas

52.

In subordine, qualora la Corte non dovesse seguire la linea di ragionamento sopra suggerita, per ottenere un risultato pressoché equivalente, appare ipotizzabile applicare il metodo delineato dalla Corte nella sua sentenza Viking Gas.

53.

Ricordo che in tale causa la Corte era chiamata a stabilire in quali circostanze il detentore di una licenza esclusiva per l’uso di bombole di gas composite destinate ad essere riutilizzate, la cui forma era tutelata come marchio tridimensionale e sulle quali tale detentore aveva apposto la propria denominazione e il proprio logo, registrati come marchi denominativo e figurativo, poteva opporsi, in forza degli articoli 5 e 7 della prima direttiva 89/104, a che tali bombole, dopo essere state acquistate da consumatori che avevano poi utilizzato il gas in esse inizialmente contenuto, venissero scambiate da un terzo, dietro pagamento, con bombole composite riempite di gas che non provenivano da detto detentore ( 65 ).

54.

In tale circostanza la Corte ha anzitutto riconosciuto le bombole destinate a essere riutilizzate come veri e propri prodotti, e non soltanto come confezioni ( 66 ). Essa ha poi operato un bilanciamento tra, da un lato, il legittimo interesse del licenziatario del diritto al marchio, costituito dalla forma della bombola, e titolare dei marchi apposti su di essa, di trarre profitto dai diritti ad essi collegati e, dall’altro, gli altrettanto legittimi interessi degli acquirenti delle bombole e, segnatamente, quello di fruire a pieno del loro diritto di proprietà su dette bombole, nonché l’interesse generale al mantenimento di una concorrenza non falsata ( 67 ). La Corte ha, infine, ricordato che la realizzazione del valore economico dei marchi relativi alle bombole derivava dalla loro vendita e che una vendita che consente una siffatta realizzazione del valore economico del marchio esaurisce i diritti esclusivi conferiti dalla prima direttiva 89/104 ( 68 ).

55.

Dal punto di vista degli acquirenti, se il loro diritto di proprietà dovesse essere limitato dai diritti di marchio anche successivamente alla vendita, essi non sarebbero più liberi nell’esercizio del loro diritto, ma sarebbero legati ad un solo fornitore di gas per l’ulteriore riempimento di dette bombole ( 69 ). Sotto il profilo della concorrenza, una situazione del genere consentirebbe al licenziatario del diritto al marchio di ridurre indebitamente la concorrenza sul mercato a valle, relativo al riempimento delle bombole del gas, e comporterebbe il rischio di compartimentare detto mercato ( 70 ).

56.

La Corte ha, quindi, dichiarato che la vendita della bombola composita «esaurisce i diritti che il licenziatario del diritto al marchio (…) trae da [detto marchio] e trasferisce all’acquirente il diritto di disporre liberamente di tale bombola, incluso quello di scambiarla o di farla riempire, una volta consumato il gas originario, presso un’impresa a sua scelta (…) ma anche presso uno dei suoi concorrenti. Tale diritto dell’acquirente ha per corollario il diritto di questi concorrenti di procedere, nei limiti stabiliti all’art[icolo] 7, [paragrafo] 2, della [prima] direttiva 89/104, al riempimento ed al cambio delle bombole vuote» ( 71 ), limiti i quali attengono all’esistenza di motivi legittimi idonei a giustificare un’opposizione all’ulteriore commercializzazione dei prodotti immessi in commercio dal titolare del marchio. Detti legittimi motivi possono consistere nella modifica o nell’alterazione dello stato dei prodotti contrassegnati dal marchio, nell’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile ad un marchio che ne pregiudichi seriamente la notorietà o che si svolga in modo da dare l’impressione che sussista un legame economico tra il titolare del marchio e il terzo che ne fa uso (come l’esistenza di una relazione speciale tra queste due persone o l’appartenenza a una rete di distribuzione del titolare) ( 72 ). La valutazione circa l’esistenza dell’impressione che esista un legame economico dev’essere effettuata tenendo conto dell’etichettatura delle bombole e delle condizioni in cui esse vengono scambiate ( 73 ), le quali non devono indurre il consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed accorto, a ritenere che esista un legame tra le due imprese di cui trattasi o che il gas che è servito al riempimento di dette bombole provenga dal titolare del marchio. Si dovrà altresì tenere conto delle pratiche del settore e della questione se i consumatori siano abituati a che le bombole del gas siano riempite da altri distributori. Sarà quindi possibile presumere che il consumatore che si rivolga direttamente a un concorrente per far riempire la propria bombola o per scambiare la sua bombola di gas vuota con una bombola piena sia più facilmente in grado di sapere che non vi è un legame tra il concorrente di cui trattasi e il titolare del marchio ( 74 ). La Corte ha parimenti ammesso che la circostanza che il marchio della bombola restasse visibile malgrado l’etichettatura aggiuntiva ( 75 ) effettuata dal concorrente costituiva un elemento pertinente nei limiti in cui sembrava escludere il fatto che l’etichettatura avesse modificato lo stato delle bombole occultando la loro origine ( 76 ).

57.

Trasponendo quanto illustrato al presente procedimento principale, ne discende che l’articolo 15 del regolamento n. 2017/1001 e l’articolo 15 della direttiva 2015/2436 non consentono al titolare del marchio delle bombolette di biossido di carbonio, destinate a essere ricaricate e poi riutilizzate, di opporsi a che tali bombolette, dopo essere state acquistate da consumatori che hanno utilizzato il gas, dopo essere state consegnate da tali consumatori a rivenditori che gestiscono la raccolta delle bombolette vuote ed essere state ricaricate da un terzo concorrente, siano vendute da detto terzo che vi abbia previamente apposto il proprio marchio lasciando, al tempo stesso, visibile il marchio del titolare, salvo che il titolare del marchio non sia in grado di far valere un legittimo motivo ai sensi delle summenzionate disposizioni. Il giudice del rinvio dovrà in tal caso stabilire se la pratica di cui trattasi nel procedimento principale arrechi un serio pregiudizio alla notorietà del titolare del marchio o se l’uso così fatto del segno identico sia idoneo a dare l’impressione che esista un legame economico tra detto titolare e il terzo interessato. A tal fine, l’attenzione del giudice del rinvio dovrà essere rivolta alla percezione, da parte del consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, dell’eventuale esistenza di un legame economico tra il titolare del marchio e il terzo concorrente. Si dovrà tenere conto delle abitudini dei consumatori e delle pratiche di mercato. Infine, il giudice del rinvio dovrà parimenti accertare che l’etichettatura effettuata dal terzo concorrente non abbia prodotto l’effetto di modificare lo stato delle bombolette.

IV. Conclusione

58.

Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco di rispondere alle questioni sollevate dal Korkein oikeus (Corte suprema, Finlandia) nei termini seguenti:

1)

Nel contesto del procedimento principale, l’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea, e l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, devono essere interpretati nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all’ulteriore commercializzazione, nel territorio del medesimo Stato membro in cui le bombolette di biossido di carbonio sono state immesse sul mercato per la prima volta da detto titolare o con il suo consenso, da parte di un terzo di tali bombolette che siano state da questi ricaricate quando detto terzo abbia riconfezionato dette bombolette e vi abbia riapposto il proprio marchio, salvo che sia dimostrato che una siffatta opposizione contribuirebbe a compartimentare artificiosamente il mercato. Per valutare la sussistenza di un simile rischio, spetta al giudice del rinvio verificare se il riconfezionamento effettuato, alla luce della natura del prodotto di cui trattasi e della sua destinazione, appaia necessario al fine di garantire l’accesso dei terzi al mercato della ricarica del biossido di carbonio. Qualora dovesse concludere per la necessità del riconfezionamento operato dal terzo, il giudice del rinvio dovrebbe ulteriormente accertare che i legittimi interessi del titolare del marchio siano nondimeno salvaguardati.

2)

L’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 e l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436 devono essere interpretati nel senso che, qualora un terzo proceda alla ricarica di gas e alla rivendita di una bomboletta di biossido di carbonio, rimuova l’etichetta recante il marchio del fabbricante della bomboletta, lasciando al tempo stesso visibile tale marchio inciso sul collo della medesima, e vi apponga la propria etichetta, per determinare se le informazioni relative all’autore del riconfezionamento del prodotto e quelle riguardanti il fabbricante di tale prodotto appaiano chiare e inequivocabili per un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento, dev’essere valutata l’impressione complessiva data dalla nuova etichettatura. Dette informazioni, quali presentate mediante la nuova etichettatura, non devono, in particolare, lasciare intendere che esista un legame economico o una relazione speciale tra il terzo che ha ricaricato la bomboletta e il titolare del marchio. Per valutare l’impressione che si ricava dalla nuova etichettatura, si devono tenere segnatamente in considerazione le specifiche pratiche del settore interessato e il grado di conoscenza dei consumatori di tali pratiche.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) COM(2015) 614 final, del 2 dicembre 2015.

( 3 ) GU 2017, L 154, pag. 1.

( 4 ) Regolamento del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato dal regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015 (GU 2015, L 341, pag. 21) (in prosieguo: il «regolamento 207/2009»). L’articolo 13 del regolamento n. 207/2009 corrisponde all’articolo 15 del regolamento 2017/1001.

( 5 ) GU 2015, L 336, pag. 1.

( 6 ) A decorrere dal 15 gennaio 2019 tale disposizione sostituisce e corrisponde, in larghissima misura, all’articolo 7 della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25).

( 7 ) Considerato il periodo in cui si colloca la pratica contestata dinanzi al giudice del rinvio, occorre parimenti segnalare l’articolo 10a della tavaramerkkilaki (1715/1995) [legge sui marchi (1715/1995)], in vigore sino al 31 agosto 2016, e l’articolo 8 della tavaramerkkilaki (616/2016) [legge sui marchi (616/2016)], in vigore sino al 30 aprile 2019. Queste due disposizioni corrispondono in sostanza all’articolo 9 della legge sui marchi attualmente in vigore.

( 8 ) Sentenza dell’11 luglio 1996 (C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93; in prosieguo: la «sentenza Bristol-Myers Squibb e a., EU:C:1996:282).

( 9 ) Sentenza del 14 luglio 2011 (C‑46/10; in prosieguo: la «sentenza Viking Gas, EU:C:2011:485).

( 10 ) Il giudice del rinvio si richiama in proposito alle sentenze del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a. (C‑143/00, EU:C:2002:246, punti 2930), e del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249, punti da 28 a 30).

( 11 ) Il giudice del rinvio cita al riguardo la sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249, punti 5253).

( 12 ) Il giudice del rinvio menziona in proposito la sentenza del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a. (C‑143/00, EU:C:2002:246, punto 34).

( 13 ) Il giudice del rinvio si riferisce al riguardo al punto 37 della sentenza Viking Gas.

( 14 ) Sentenza dell’11 novembre 1997 (C‑349/95, EU:C:1997:530).

( 15 ) Il giudice del rinvio menziona in proposito la sentenza del 12 ottobre 1999, Upjohn (C‑379/97, EU:C:1999:494, punto 44).

( 16 ) Sul carattere esaustivo dell’armonizzazione operata dall’articolo 15 della direttiva 2015/2436, v., per analogia, sentenza del 20 dicembre 2017, Schweppes (C‑291/16, EU:C:2017:990, punto 30). A proposito dell’articolo 7 della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), v. sentenze Bristol-Myers Squibb e a. (punti 25 e 26), e del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a. (C‑143/00, EU:C:2002:246, punto 17).

( 17 ) Ossia l’articolo 13 del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 7 della direttiva 2008/95.

( 18 ) V. sentenza del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a. (C‑143/00, EU:C:2002:246, punto 28).

( 19 ) V. sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punto 44), e sentenza del 20 dicembre 2017, Schweppes (C‑291/16, EU:C:2017:990, punto 37).

( 20 ) V. sentenza del 20 dicembre 2017, Schweppes (C‑291/16, EU:C:2017:990, punto 37).

( 21 ) V. sentenza del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a. (C‑143/00, EU:C:2002:246, punto 18).

( 22 ) V. articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001 e articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436.

( 23 ) V., in particolare, sentenza del 20 dicembre 2017, Schweppes (C‑291/16, EU:C:2017:990, punto 30 e giurisprudenza ivi menzionata).

( 24 ) V. articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 e articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436.

( 25 ) V. sentenza Viking Gas (punto 36).

( 26 ) V. sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punto 79).

( 27 ) V., in particolare, sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249, punti 3160).

( 28 ) V. sentenza del 17 maggio 2018, Junek Europ-Vertrieb (C‑642/16, EU:C:2018:322, punto 29).

( 29 ) V. sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249, punti 2930). V., altresì, sentenza del 17 maggio 2018, Junek Europ-Vertrieb (C‑642/16, EU:C:2018:322, punto 30).

( 30 ) V. sentenza del 17 maggio 2018, Junek Europ-Vertrieb (C‑642/16, EU:C:2018:322, punti da 35 a 37).

( 31 ) A tal riguardo, l’insieme delle operazioni mi sembra molto più complesso di un semplice «riciclo», come sostiene il governo finlandese.

( 32 ) La visibilità dell’incisione, infatti, non è in nessun caso comparabile a quella dell’etichetta. Ciò premesso, per quanto non si tratti di un totale occultamento, il caso di specie si avvicina a quello esaminato al punto 86 della sentenza dell’8 luglio 2010, Portakabin (C‑558/08, EU:C:2010:416), senza confondersi con esso.

( 33 ) V. sentenza Viking Gas (punti 31 e 32). Il diritto di marchio è al contrario concepito come un elemento essenziale di un sistema di concorrenza non falsata.

( 34 ) V. sentenza Viking Gas (punti 31 e 35).

( 35 ) V. sentenza Viking Gas (punto 35 in fine e punti da 36 a 41).

( 36 ) V. sentenza Viking Gas (punto 42 e dispositivo).

( 37 ) V., ad esempio, sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punti 59, 60 e 75).

( 38 ) Sull’applicazione di tali requisiti a bottiglie di bevande spiritose, v. sentenza dell’11 novembre 1997, Loendersloot (C‑349/95, EU:C:1997:530).

( 39 ) V. sentenza dell’11 novembre 1997, Loendersloot (C‑349/95, EU:C:1997:530, punto 27).

( 40 ) Sentenza del 17 maggio 2018 (C‑642/16, EU:C:2018:322).

( 41 ) V. sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punto 79).

( 42 ) V. sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punto 56).

( 43 ) V. paragrafo 22 supra.

( 44 ) V. sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punto 53). V., altresì, sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249, punto 36).

( 45 ) V. sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249, punto 37 e giurisprudenza ivi menzionata).

( 46 ) V. sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249, punto 38 e giurisprudenza ivi menzionata).

( 47 ) V. sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249, punto 30).

( 48 ) Tale differenza mi sembra fondamentale per distinguere il presente caso dai sempre più frequenti casi cosiddetti di «riuso creativo», che per il momento restano ancora in una zona giuridica grigia (penso, ad esempio, alla questione del recupero, da capi firmati e legalmente acquistati, di bottoni contrassegnati da marchi di lusso per essere trasformati in gioielli da un terzo che non è il titolare del marchio di lusso interessato).

( 49 ) In un contesto leggermente diverso, la Corte ha infatti già dichiarato che «consentire al licenziatario del diritto al marchio costituito dalla forma della bombola composita e titolare dei marchi apposti su di essa di opporsi, in base a diritti relativi a detti marchi, all’ulteriore riempimento delle bombole ridurrebbe indebitamente la concorrenza sul mercato a valle, relativo al riempimento delle bombole del gas, e comporterebbe perfino il rischio di compartimentare detto mercato allorché detto licenziatario e titolare pervenga ad imporre la sua bombola grazie alle sue particolari caratteristiche tecniche, la tutela delle quali non fa parte del diritto dei marchi» (sentenza Viking Gas, punto 34).

( 50 ) La MySoda, dal canto suo, precisa che l’attività di riempimento delle bombolette con una sostanza considerata pericolosa quale il biossido di carbonio costituirebbe un’attività rigidamente disciplinata e controllata in Finlandia, e segnatamente subordinata al rispetto del pertinente diritto dell’Unione in materia.

( 51 ) Ad esempio, la SodaStream, dopo aver affermato di detenere tra il 55% e 60% delle quote di mercato relative all’attività di riempimento di bombolette di biossido di carbonio in Finlandia, contro una percentuale tra il 30% e il 35% della MySoda, propone, quale misura meno lesiva del suo diritto di marchio rispetto all’apposizione delle etichette di cui trattasi nel procedimento principale e come elemento atto a dimostrare che la rietichettatura effettuata dalla MySoda non è necessaria, di chiedere ai distributori di smistare le bombolette restituite vuote e di rinviarle ai titolari dei rispettivi marchi per il loro riempimento. Tuttavia, procedendo in tal modo, alla fine non esisterebbe più un mercato dei carbonatori, tradizionalmente venduti con almeno una bomboletta riempita di biossido di carbonio, distinto dallo specifico mercato della sola ricarica delle bombolette di biossido di carbonio, perché il mercato dei carbonatori e della prima bomboletta condizionerebbe necessariamente la società presso la quale la bomboletta potrebbe essere ricaricata un centinaio di volte.

( 52 ) A tale riguardo, la questione se l’applicazione di un’etichetta autoadesiva sulla bomboletta sia meno lesiva dei diritti del marchio della SodaStream dovrà essere valutata dal giudice del rinvio, segnatamente al fine di verificare se, al contrario, una tale soluzione non possa ingenerare un maggior rischio di confusione in capo ai consumatori, in particolare nel caso di più adesivi applicati col susseguirsi delle ricariche.

( 53 ) V. sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punto 79).

( 54 ) In taluni casi si potrebbe facilmente immaginare di esaminare il quarto criterio, relativo all’obbligo di non nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare, congiuntamente a tale terzo criterio. Rilevo tuttavia che esso non è oggetto delle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte.

( 55 ) V. sentenza dell’8 luglio 2010, Portakabin (C‑558/08, EU:C:2010:416, punto 80). V., altresì, sentenza Viking Gas (punti 37 e 39).

( 56 ) V., a proposito di internauti, sentenza dell’8 luglio 2010, Portakabin (C‑558/08, EU:C:2010:416, punto 81). A proposito di consumatori in generale, v. sentenza Viking Gas (punti 39 e 40).

( 57 ) Sentenza del 14 luglio 2011 (C‑46/10, EU:C:2011:485).

( 58 ) V. sentenza Viking Gas (punto 39).

( 59 ) V. sentenza Viking Gas (punto 40). Si ricorda che ciò non si verifica nell’ambito del procedimento principale.

( 60 ) Nella specie, l’impresa che effettuava il riempimento delle bombole vi aveva apposto due etichette autoadesive, senza che i marchi denominativo e figurativo dell’impresa che aveva immesso detta bombola in commercio per la prima volta fossero stati tolti né coperti (v. sentenza Viking Gas, punto 11).

( 61 ) V. sentenza Viking Gas (punto 41).

( 62 ) Mantengo, infatti, tale formulazione che mi sembra pressoché equivalente a quella utilizzata nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (v., per un raffronto, paragrafo 48 supra).

( 63 ) A tal riguardo, come rilevato dalla Commissione, a differenza dei fatti del procedimento principale che ha dato luogo alla sentenza Viking Gas, le bombolette ricaricate non vengono vendute in esercizi commerciali recanti l’insegna dell’imbottigliatore che ha effettuato la ricarica, sicché potrebbe essere più difficile per il consumatore distinguere l’esatto ruolo di ciascun marchio apposto su tali bombolette.

( 64 ) GU 2018, L 150, pag. 141.

( 65 ) V. sentenza Viking Gas (punto 15).

( 66 ) V. sentenza Viking Gas (punto 30).

( 67 ) V. sentenza Viking Gas (punto 31).

( 68 ) V. sentenza Viking Gas (punto 32).

( 69 ) V. sentenza Viking Gas (punto 33).

( 70 ) V. sentenza Viking Gas (punto 34).

( 71 ) V. sentenza Viking Gas (punto 35).

( 72 ) V. sentenza Viking Gas (punti 36 e 37).

( 73 ) V. sentenza Viking Gas (punto 39).

( 74 ) V. sentenza Viking Gas (punto 40).

( 75 ) Nella specie, l’impresa che effettuava il riempimento delle bombole vi aveva apposto due etichette autoadesive, senza che i marchi denominativo e figurativo dell’impresa che aveva immesso la bombola in commercio per la prima volta fossero stati tolti né coperti (v. sentenza Viking Gas, punto 11).

( 76 ) V. sentenza Viking Gas (punto 41).

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