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Document 62020CJ0102

    Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 25 novembre 2021.
    StWL Städtische Werke Lauf a.d. Pegnitz GmbH contro eprimo GmbH.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof.
    Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2002/58/CE – Trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche – Articolo 2, secondo comma, lettera h) – Nozione di “posta elettronica” – Articolo 13, paragrafo 1 – Nozione di “uso della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta” – Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali – Allegato I, punto 26 – Nozione di “ripetute e sgradite sollecitazioni per posta elettronica” – Messaggi pubblicitari – Inbox advertising.
    Causa C-102/20.

    Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2021:954

     SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

    25 novembre 2021 ( *1 )

    «Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2002/58/CE – Trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche – Articolo 2, secondo comma, lettera h) – Nozione di “posta elettronica” – Articolo 13, paragrafo 1 – Nozione di “uso della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta” – Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali – Allegato I, punto 26 – Nozione di “ripetute e sgradite sollecitazioni per posta elettronica” – Messaggi pubblicitari – Inbox advertising»

    Nella causa C‑102/20,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania), con decisione del 30 gennaio 2020, pervenuta in cancelleria il 26 febbraio 2020, nel procedimento

    StWL Städtische Werke Lauf a.d. Pegnitz GmbH

    contro

    eprimo GmbH,

    con l’intervento di:

    Interactive Media CCSP GmbH,

    LA CORTE (Terza Sezione),

    composta da A. Prechal, presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Terza Sezione, J. Passer, F. Biltgen, L.S. Rossi (relatrice) e N. Wahl, giudici,

    avvocato generale: J. Richard de la Tour

    cancelliere: A. Calot Escobar

    vista la fase scritta del procedimento,

    considerate le osservazioni presentate:

    per eprimo GmbH, da R. Hall, Rechtsanwalt;

    per Interactive Media CCSP GmbH, da D. Frey e M. Rudolph, Rechtsanwälte;

    per il governo portoghese, da L. Inez Fernandes, A. Guerra e P. Barros da Costa, in qualità di agenti;

    per la Commissione europea, da C. Hödlmayr, F. Wilman, N. Ruiz García e S. Kalėda, in qualità di agenti,

    sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 24 giugno 2021,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU 2002, L 201, pag. 37), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 (GU 2009, L 337, pag. 11; in prosieguo: la «direttiva 2002/58»), e dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22).

    2

    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di due controversie fra la StWL Städtische Werke Lauf a.d. Pegniz GmbH (in prosieguo: la «StWL») e la eprimo GmbH, due società che forniscono energia elettrica a clienti finali, relativamente ad un’attività pubblicitaria svolta dalla Interactive Media CCSP GmbH, su richiesta della eprimo, consistente nella visualizzazione di messaggi pubblicitari nella casella di posta in arrivo degli utenti del servizio di posta elettronica gratuito «T-Online».

    Contesto normativo

    Diritto dell’Unione

    3

    I considerando 4 e 40 della direttiva 2002/58 così recitano:

    «(4)

    La direttiva 97/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997, sul trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni [GU 1998, L 24, pag. 1] ha tradotto i principi enunciati dalla direttiva 95/46/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31)] in norme specifiche per il settore delle telecomunicazioni. La direttiva 97/66/CE deve essere adeguata agli sviluppi verificatisi nei mercati e nelle tecnologie dei servizi di comunicazione elettronica, in guisa da fornire un pari livello di tutela dei dati personali e della vita privata agli utenti dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, indipendentemente dalle tecnologie utilizzate. Tale direttiva dovrebbe pertanto essere abrogata e sostituita dalla presente direttiva.

    (...)

    (40)

    Occorre prevedere misure per tutelare gli abbonati da interferenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta, in particolare mediante dispositivi automatici di chiamata, telefax o posta elettronica, compresi i messaggi SMS. Tali forme di comunicazioni commerciali indesiderate possono da un lato essere relativamente facili ed economiche da inviare e dall’altro imporre un onere e/o un costo al destinatario. Inoltre, in taluni casi il loro volume può causare difficoltà per le reti di comunicazione elettronica e le apparecchiature terminali. Per tali forme di comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta è giustificato prevedere che le relative chiamate possano essere inviate ai destinatari solo previo consenso esplicito di questi ultimi. Il mercato unico prevede un approccio armonizzato per garantire norme semplici a livello [dell’Unione europea] per le aziende e gli utenti».

    4

    L’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva stabilisce quanto segue:

    «1.   La presente direttiva prevede l’armonizzazione delle disposizioni nazionali necessarie per assicurare un livello equivalente di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare del diritto alla vita privata e alla riservatezza, con riguardo al trattamento dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche e per assicurare la libera circolazione di tali dati e delle apparecchiature e dei servizi di comunicazione elettronica all’interno [dell’Unione europea]».

    5

    Ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettere d), f) e h), di detta direttiva, intitolato «Definizioni»:

    «Si applicano inoltre le seguenti definizioni:

    d)

    “comunicazione”: ogni informazione scambiata o trasmessa tra un numero finito di soggetti tramite un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico. Sono escluse le informazioni trasmesse, come parte di un servizio di radiodiffusione, al pubblico tramite una rete di comunicazione elettronica salvo quando le informazioni possono essere collegate all’abbonato o utente che riceve le informazioni che può essere identificato;

    (...)

    f)

    “consenso” dell’utente o dell’abbonato: corrisponde al consenso della persona interessata di cui alla direttiva 95/46/CE;

    (...)

    h)

    “posta elettronica”: messaggi contenenti testi, voci, suoni o immagini trasmessi attraverso una rete pubblica di comunicazione, che possono essere archiviati in rete o nell’apparecchiatura terminale ricevente fino a che il ricevente non ne ha preso conoscenza».

    6

    L’articolo 13, paragrafo 1, della medesima direttiva, intitolato «Comunicazioni indesiderate», così dispone:

    «L’uso di sistemi automatizzati di chiamata e di comunicazione senza intervento di un operatore (dispositivi automatici di chiamata), del telefax o della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta è consentito soltanto nei confronti degli abbonati o degli utenti che abbiano espresso preliminarmente il loro consenso».

    7

    Il considerando 67 della direttiva 2009/136 così recita:

    «La protezione garantita agli abbonati contro le intrusioni nella loro vita privata con comunicazioni indesiderate a fini di commercializzazione diretta mediante la posta elettronica dovrebbe essere applicabile anche agli SMS, a[l servizio di messaggi multimediali (MMS)] e a altri tipi di applicazioni con caratteristiche analoghe».

    8

    L’articolo 2, lettera h), della direttiva 95/46/CE così enuncia:

    «Ai fini della presente direttiva si intende per:

    (...)

    h) “consenso della persona interessata”: qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica e informata con la quale la persona interessata accetta che i dati personali che la riguardano siano oggetto di un trattamento».

    9

    L’articolo 94, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1, e rettifica in GU 2018, L 127, pag. 2), intitolato «Abrogazione della direttiva 95/46/CE», prevede quanto segue:

    «I riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti al presente regolamento. (...)».

    10

    L’articolo 4, punto 11, del medesimo regolamento è formulato nei seguenti termini:

    «Ai fini del presente regolamento s’intende per:

    (...)

    11) “consenso dell’interessato”: qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento».

    11

    Ai sensi del considerando 17 della direttiva 2005/29:

    «(17)

    È auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso sleali siano individuate per garantire una maggiore certezza del diritto. L’allegato I riporta pertanto l’elenco completo di tali pratiche. Si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9. L’elenco può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

    12

    L’articolo 5 di tale direttiva così dispone:

    «1.   Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

    2.   Una pratica commerciale è sleale se:

    a)

    è contraria alle norme di diligenza professionale,

    e

    b)

    falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.

    (...)

    4.   In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:

    a)

    ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7

    oppure

    b)

    aggressive di cui agli articoli 8 e 9.

    5.   L’allegato I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

    13

    L’articolo 8 di detta direttiva così prevede:

    «È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

    14

    Il punto 26 dell’allegato I della medesima direttiva, che contiene l’elenco delle pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali, prevede quanto segue:

    «Pratiche commerciali aggressive

    (...)

    (26) Effettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale, fatt[e] salv[e] (...) le direttive 95/46/CE e [2002/58]».

    Diritto tedesco

    15

    L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, del Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (legge contro la concorrenza sleale, del 3 luglio 2004, BGBl. 2004 I, pag. 1414; in prosieguo: l’«UWG»), nella versione applicabile alla controversia principale, così prevede:

    «(1)   Le pratiche commerciali sleali sono illecite.

    (2)   Le pratiche commerciali dirette ai consumatori o che raggiungono i consumatori sono sleali quando non sono conformi alla diligenza cui gli imprenditori sono tenuti e sono idonee a influenzare in maniera rilevante il comportamento economico del consumatore».

    16

    Ai sensi dell’articolo 5a, paragrafo 6, dell’UWG, intitolato «Inganno per omissione»:

    «Commette (...) un atto di concorrenza sleale chi ometta di indicare la reale intenzione commerciale di una pratica quando ciò non emerge già dal contesto e quando la mancanza di indicazioni sia idonea a indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

    17

    L’articolo 7 dell’UWG stabilisce quanto segue:

    «(1)   Sono illecite le pratiche commerciali che causano una molestia inaccettabile ad un attore del mercato. Ciò avviene, in particolare, nel caso della pubblicità, qualora appaia in modo manifesto che l’attore del mercato interessato non lo desidera.

    (2)   La sussistenza di una molestia inaccettabile deve sempre essere presunta:

    1. in caso di pubblicità che implica l’utilizzo di un mezzo di comunicazione commerciale adatto alla commercializzazione a distanza non menzionato nei punti 2 e 3 della disposizione di cui trattasi, che sollecita in maniera ripetuta il consumatore quando è evidente che quest’ultimo non lo desidera;

    (...)

    3. in caso di pubblicità che implica l’uso di un dispositivo automatico di chiamata, di un telefax o di posta elettronica senza che il destinatario abbia prestato preliminarmente ed espressamente il proprio consenso, o

    4. in caso di pubblicità sotto forma di un messaggio

    a)

    inviato camuffando o celando l’identità del mittente da parte del quale la comunicazione è effettuata (...)

    (...)».

    18

    L’articolo 8 dell’UWG così recita:

    «(1)   Ogni pratica commerciale illecita ai sensi dell’articolo 3 o dell’articolo 7 può dar luogo a un’ingiunzione di cessazione del fatto illecito e, nell’ipotesi di rischio di recidiva, a inibitoria. Il diritto di ottenere un provvedimento inibitorio sorge non appena sussista il rischio di violazione degli articoli 3 o 7.

    (...)

    (3)   Legittimati ad agire ai sensi del paragrafo 1 sono:

    1.

    tutti i concorrenti;

    (...)».

    Procedimento principale e questioni pregiudiziali

    19

    Dalla decisione di rinvio risulta che la StWL e la eprimo sono due fornitori di energia elettrica concorrenti. Su richiesta della eprimo, la Interactive Media CCSP, un’agenzia di pubblicità, ha diffuso annunci pubblicitari nelle caselle di posta elettronica degli utenti del servizio di posta elettronica gratuito T‑Online. Tale servizio è finanziato dalla pubblicità pagata dagli inserzionisti e fornito gratuitamente agli utenti.

    20

    Gli annunci pubblicitari in parola sono apparsi nella casella di posta in arrivo delle caselle di posta elettronica private di tali utenti, vale a dire nella rubrica in cui i messaggi di posta elettronica ricevuti compaiono sotto forma di un elenco, essendo inseriti tra messaggi di posta elettronica ricevuti.

    21

    Tali utenti hanno così ricevuto, il 12 dicembre 2016, il 13 gennaio 2017 e il 15 gennaio 2017, messaggi pubblicitari nelle loro caselle di posta in arrivo. In queste ultime sono comparsi avvisi di messaggio che si distinguevano visivamente dall’elenco degli altri messaggi di posta elettronica dell’utente dell’account solo per il fatto che la data era sostituita dalla dicitura «Anzeige» (annuncio), che non era menzionato alcun mittente e che il testo appariva su fondo grigio. La rubrica «Oggetto» corrispondente a tale avviso di messaggio conteneva un testo destinato alla promozione di prezzi vantaggiosi per i servizi di elettricità e il gas.

    22

    Da un punto di vista tecnico, un codice JavaScript di un server pubblicitario (TAG) è associato alla posizione della casella di posta in arrivo in questione sulla pagina Internet consultata dall’utente di una siffatta casella di posta elettronica. Pertanto, quando l’utente apre la pagina Internet, una domanda (Adrequest) è inviata al server pubblicitario affinché selezioni un banner pubblicitario in modo casuale in un paniere costituito dagli inserzionisti e lo trasmetta in modo tale che esso compaia nella casella di posta in arrivo dell’utente. Se l’utente clicca sulla pubblicità visualizzata, la richiesta è inoltrata al server pubblicitario che registra il click e reindirizza il navigatore al sito dell’inserzionista.

    23

    La funzionalità del servizio di posta elettronica T-Online gestisce l’arrivo del messaggio pubblicitario di cui trattasi nella casella di posta in arrivo degli utenti di tale servizio in modo diverso rispetto ai comuni messaggi di posta: detto messaggio pubblicitario, che compare nella forma di messaggio di posta elettronica, può essere eliminato dall’elenco, ma non può essere né archiviato, né modificato e non è possibile rispondervi. Infine, siffatto messaggio pubblicitario non è contabilizzato nel numero totale di messaggi di posta elettronica figuranti nella casella di posta in arrivo e non vi occupa neppure uno spazio di memorizzazione.

    24

    La StWL ha ritenuto che l’attività pubblicitaria in parola, la quale comporta l’utilizzo di posta elettronica senza il previo consenso espresso del destinatario, fosse contraria alle norme in materia di concorrenza sleale in quanto costitutiva di una «molestia inaccettabile», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 3, dell’UWG, e che fosse ingannevole, ai sensi dell’articolo 5a, paragrafo 6, dell’UWG. Per tale motivo, la StWL ha proposto un’azione inibitoria contro la eprimo dinanzi al Landgericht Nürnberg-Fürth (Tribunale del Land, Norimberga-Fürth, Germania). Detto giudice ha accolto la domanda della StWL e ha ingiunto alla eprimo, a pena di una sanzione pecuniaria, di cessare la diffusione, a consumatori finali, di una siffatta pubblicità connessa alla distribuzione di energia elettrica sull’account di posta elettronica di T-online.de.

    25

    A seguito dell’appello interposto dalla eprimo dinanzi all’Oberlandesgericht Nürnberg (Tribunale superiore del Land, Norimberga, Germania), tale giudice ha ritenuto che la collocazione contestata della pubblicità nella casella di posta in arrivo delle caselle di posta elettronica private T-Online non costituisse, alla luce del diritto della concorrenza, una pratica commerciale illecita.

    26

    In particolare, secondo detto giudice, da un lato, la pubblicità della convenuta non costituiva una molestia inaccettabile implicante l’uso della «posta elettronica», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 3, dell’UWG, poiché tale pubblicità non poteva essere considerata un «messaggio di posta elettronica», ai sensi di tale disposizione. In ogni caso, la pubblicità controversa non comportava, per l’utente del servizio di posta elettronica T-Online, oneri o costi eccedenti la «normale» molestia provocata da qualsiasi pubblicità e non causava quindi una «molestia inaccettabile» ai sensi della disposizione generale di cui all’articolo 7, paragrafo 1, prima frase, dell’UWG, segnatamente tenuto conto del carattere gratuito di tale servizio di posta elettronica.

    27

    D’altro lato, detto stesso giudice ha ritenuto che la pubblicità di cui trattasi non fosse illecita in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 4, lettera a), dell’UWG, giacché non si trattava di una pubblicità sotto forma di messaggi. L’articolo 7, paragrafo 2, punto 1, dell’UWG non era del pari applicabile, poiché esso presuppone una «sollecitazione commerciale», nel senso di una «condotta che risulta importuna» per il consumatore, circostanza che sarebbe insussistente nel caso di specie. Peraltro, poiché gli annunci della convenuta non dissimulavano il loro carattere pubblicitario, essi non potevano essere considerati sleali in quanto ingannevoli, ai sensi dell’articolo 5a, paragrafo 6, dell’UWG.

    28

    Investito di un ricorso per Revision dalla StWL, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) ritiene che l’accoglimento di tale ricorso dipenda dall’interpretazione dell’articolo 2, secondo comma, lettere d) e h), e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 nonché dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29.

    29

    A parere del giudice del rinvio, infatti, la condotta contestata alla eprimo potrebbe essere illecita ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 3, dell’UWG, che traspone l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58. Esso osserva che è del pari ipotizzabile che la pubblicità sia illecita a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 1, dell’UWG, che traspone l’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29.

    30

    A tal riguardo, il giudice del rinvio desidera ottenere dalla Corte chiarimenti sui criteri che disciplinano la nozione di «posta elettronica», ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58, e sulla nozione di «uso» di quest’ultima a fini di commercializzazione diretta, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della stessa. Inoltre, tale giudice chiede alla Corte di precisare i criteri della «sollecitazione commerciale», ai sensi dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29.

    31

    In tale contesto, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia) ha deciso di sospendere la decisione e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Se nella nozione di “trasmissione” ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58, rientri l’ipotesi in cui un messaggio non venga inviato da un utente di un servizio di comunicazione elettronica ad un altro utente tramite un fornitore di servizi all’“indirizzo” elettronico del secondo utente, ma, a seguito dell’apertura della pagina Internet, protetta da password, di un account di posta elettronica, venga automaticamente mostrato da server pubblicitari in determinati spazi, previsti a tal fine, nella casella di posta elettronica in arrivo di un utente selezionato in modo aleatorio (pubblicità nella casella di posta in arrivo).

    2)

    Se la presa di conoscenza di un messaggio ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58/CE presupponga che il destinatario, dopo essere giunto a conoscenza della presenza di un messaggio, attivi, mediante richiesta volontaria, la trasmissione dei dati del messaggio mediante un programma tecnicamente predeterminato o se sia sufficiente che la comparsa di un messaggio nella casella di posta in arrivo di un account e‑mail sia attivata dal fatto che l’utente apra la pagina Internet, protetta da password, del proprio account di posta elettronica.

    3)

    Se un messaggio che non è inviato ad un singolo destinatario già concretamente determinato prima della trasmissione, ma che è collocato nella casella di posta in arrivo di un utente selezionato in modo aleatorio costituisca parimenti un messaggio di posta elettronica ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58.

    4)

    Se sussista un’utilizzazione della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, solo a fronte di un onere a carico dell’utente che vada al di là di una molestia.

    5)

    Se una pubblicità individuale rispondente ai requisiti di una “sollecitazione commerciale”, ai sensi del punto 26, prima frase, dell’allegato I della direttiva 2005/29 sussista solo nel caso in cui un cliente venga contattato mediante un mezzo solitamente impiegato ai fini della comunicazione individuale tra un mittente e un destinatario, oppure se sia sufficiente che – come nel caso della pubblicità in discussione nella presente controversia – un riferimento individuale venga in essere per il fatto che la pubblicità compare nella casella di posta in arrivo di un account di posta elettronica privato e, quindi, in un’area nella quale il cliente si attende di ricevere comunicazioni personalmente indirizzate al medesimo».

    Sulle questioni pregiudiziali

    Sulle questioni dalla prima alla quarta

    32

    Con le sue questioni dalla prima alla quarta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, da un lato, se l’articolo 2, lettera h), e l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 debbano essere interpretati nel senso che i criteri della nozione di «posta elettronica», ai sensi di tali disposizioni, sono soddisfatti quando un messaggio pubblicitario è visualizzato a seguito dell’apertura della pagina Internet, protetta da una password, corrispondente a un account di posta elettronica, in determinati spazi, previsti a tal fine, della casella di posta elettronica in arrivo di un utente selezionato in modo aleatorio, e, dall’altro, se l’articolo 13, paragrafo 1, di tale direttiva debba essere interpretato nel senso che una siffatta attività pubblicitaria rientri nella nozione di «uso della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi di quest’ultima disposizione, la quale richiede che l’utente della posta elettronica interessata abbia espresso preliminarmente il suo consenso ad una simile attività, soltanto laddove sia constatato che l’onere imposto all’utente va oltre una molestia che gli sarebbe causata.

    33

    Al fine di rispondere a tali questioni, occorre ricordare che, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, la direttiva 2002/58 prevede, segnatamente, l’armonizzazione delle disposizioni nazionali necessarie per assicurare un livello equivalente di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, e in particolare del diritto alla vita privata e alla riservatezza, con riguardo al trattamento dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche.

    34

    Come enunciato dal considerando 40 di tale direttiva, quest’ultima mira segnatamente a proteggere gli abbonati da interferenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta, in particolare mediante dispositivi automatici di chiamata, telefax o posta elettronica, compresi i messaggi SMS.

    35

    L’articolo 2, lettera d), della direttiva 2002/58 prevede una definizione ampia della nozione di «comunicazione» che include ogni informazione scambiata o trasmessa tra un numero finito di soggetti tramite un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico.

    36

    A tale riguardo, l’articolo 13, paragrafo 1, di tale direttiva, intitolato «Comunicazioni indesiderate», autorizza l’uso di diversi tipi di comunicazione, ossia sistemi automatizzati di chiamata senza intervento di un operatore (dispositivi automatici di chiamata), del telefax o della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta a condizione che esso sia rivolto agli abbonati o agli utenti che abbiano espresso preliminarmente il loro consenso.

    37

    Ai fini dell’applicazione di tale disposizione, occorre quindi verificare, in primo luogo, se il tipo di comunicazione utilizzata a fini di commercializzazione diretta figuri tra quelli previsti da detta disposizione; in secondo luogo, se tale comunicazione abbia come finalità la commercializzazione diretta e, in terzo luogo, se il requisito di ottenere un previo consenso da parte dell’utente sia stato rispettato.

    38

    Per quanto riguarda, in primo luogo, i mezzi di comunicazione elettronica con i quali vengono realizzate attività di commercializzazione diretta, occorre rilevare, in via preliminare, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 53 delle sue conclusioni, che l’elenco dei mezzi di comunicazione menzionati al considerando 40 e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva in parola non ha carattere esaustivo.

    39

    Da un lato, infatti, la direttiva 2009/136, che ha modificato la direttiva 2002/58, fa riferimento, al suo considerando 67, a forme di comunicazioni diverse da quelle menzionate nella direttiva 2002/58, laddove quest’ultimo enuncia che le garanzie fornite agli abbonati contro le ingerenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate a fini di commercializzazione diretta tramite posta elettronica «dovrebbe[ro] essere applicabil[i] anche agli SMS, agli MMS e a altri tipi di applicazioni con caratteristiche analoghe». D’altro lato, come precisato dal considerando 4 della direttiva 2002/58, l’obiettivo volto ad assicurare un pari livello di tutela dei dati personali e della vita privata agli utenti dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico deve essere garantito «indipendentemente dalle tecnologie utilizzate», il che conferma che occorre accogliere una concezione ampia ed evolutiva da un punto di vista tecnologico del tipo di comunicazioni contemplate da tale direttiva.

    40

    Ciò premesso, si deve constatare che, nel caso di specie, il messaggio pubblicitario di cui trattasi nel procedimento principale è stato diffuso alle persone interessate utilizzando uno dei mezzi di comunicazione espressamente previsti all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, ossia la posta elettronica.

    41

    Al riguardo, infatti, dal punto di vista del destinatario, detto messaggio pubblicitario compare nella casella di posta in arrivo dell’utente della posta elettronica, ossia in uno spazio normalmente riservato ai messaggi di posta elettronica privati. L’utente può liberare detto spazio per ottenere una visione d’insieme dei suoi messaggi di posta elettronica esclusivamente privati soltanto dopo aver verificato il contenuto di tale messaggio pubblicitario e solo dopo averlo eliminato attivamente. Se l’utente clicca su un messaggio pubblicitario come quello di cui trattasi nel procedimento principale, egli viene reindirizzato verso un sito Internet contenente la pubblicità in discussione, invece di proseguire la lettura dei suoi messaggi di posta elettronica privati.

    42

    Pertanto, contrariamente ai banner pubblicitari o alle finestre contestuali, che compaiono a margine dell’elenco dei messaggi privati o separatamente dai medesimi, la comparsa dei messaggi pubblicitari di cui trattasi nel procedimento principale nell’elenco dei messaggi di posta elettronica privati dell’utente ostacola l’accesso a detti messaggi in modo analogo a quello utilizzato per i messaggi di posta elettronica indesiderati (denominati anche «spam») in quanto una siffatta pratica richiede il medesimo processo decisionale da parte dell’abbonato per quanto riguarda il trattamento di tali messaggi.

    43

    Peraltro, come rilevato dall’avvocato generale, al paragrafo 55 delle sue conclusioni, posto che i messaggi pubblicitari occupano stringhe della casella di posta in arrivo normalmente riservate ai messaggi di posta elettronica privati e stante la somiglianza con questi ultimi, sussiste un rischio di confusione tra queste due categorie di messaggi potenzialmente idoneo a far sì che l’utente che clicca sulla stringa corrispondente al messaggio pubblicitario sia reindirizzato, contro la sua volontà, a un sito Internet contenente la pubblicità di cui trattasi, invece di continuare a consultare i propri messaggi di posta elettronica privati.

    44

    Orbene, come osservato dalla Commissione, se avvisi pubblicitari di qualsiasi natura essi siano compaiono nella casella di posta in arrivo del sistema di posta via Internet, ossia nella rubrica in cui compare il complesso dei messaggi di posta elettronica indirizzati all’utente, si deve ritenere che detta casella di posta in arrivo costituisca il mezzo attraverso il quale i messaggi pubblicitari in discussione sono trasmessi a detto utente, il che comporta l’uso della sua posta elettronica a fini di commercializzazione diretta, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58. In altre parole, la convenuta e l’interveniente nel procedimento principale nonché il fornitore di posta elettronica interessati utilizzano l’esistenza dell’elenco dei messaggi di posta elettronica privati, tenendo conto dell’interesse e della fiducia particolari dell’abbonato relativamente a suddetto elenco, per collocare la loro pubblicità diretta fornendo alla stessa l’aspetto di un vero messaggio di posta elettronica.

    45

    Un siffatto modo di procedere costituisce un uso della posta elettronica, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, idoneo a compromettere l’obiettivo, perseguito da tale disposizione, di tutela degli utenti da interferenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta.

    46

    In tali circostanze, la questione se messaggi pubblicitari come quelli di cui trattasi nel procedimento principale soddisfino essi stessi i criteri che consentono di qualificarli come «posta elettronica», ai sensi dell’articolo 2, lettera h), di tale direttiva diventa superflua, giacché essi sono stati comunicati agli utenti interessati mediante la loro casella di posta elettronica e, quindi, mediante la loro posta elettronica.

    47

    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione se le comunicazioni di cui all’articolo 13, paragrafo 1, di detta direttiva abbiano come finalità la commercializzazione diretta, occorre verificare se una siffatta comunicazione persegua uno scopo commerciale e si rivolga direttamente e individualmente ad un consumatore.

    48

    Nel caso di specie, la natura stessa dei messaggi pubblicitari di cui al procedimento principale, che riguardano la promozione di servizi, e il fatto che siano diffusi sotto forma di messaggio di posta elettronica, così da comparire direttamente nella casella di posta in arrivo della posta elettronica privata dell’utente interessato consentono di qualificare tali messaggi come comunicazioni riguardanti la commercializzazione diretta, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58.

    49

    La circostanza che il destinatario di detti messaggi pubblicitari venga scelto in modo aleatorio, circostanza evocata nell’ambito della terza questione sollevata dal giudice del rinvio, non può rimettere in discussione tale conclusione.

    50

    In proposito, basti rilevare, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 61 delle sue conclusioni, che la scelta aleatoria o predeterminata del destinatario non costituisce una condizione di applicabilità dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58. In altre parole, è irrilevante che la pubblicità in discussione sia indirizzata a un destinatario predeterminato e identificato individualmente o che si tratti invece di una diffusione di massa e aleatoria a numerosi destinatari. Ciò che rileva è l’esistenza di una comunicazione a finalità commerciale che raggiunge direttamente e individualmente uno o più utenti di servizi di posta elettronica comparendo nella casella di posta in arrivo dell’account di posta elettronica di detti utenti.

    51

    Orbene, i destinatari di tali messaggi pubblicitari sono individuati, segnatamente, in quanto utenti di un fornitore di posta elettronica particolare, in quanto l’utente ottiene l’accesso alla sua casella di posta in arrivo solo dopo aver indicato i suoi dati di registrazione e la sua password. Di conseguenza, la visualizzazione avviene in esito a detta procedura di autenticazione da parte dell’utente in uno spazio privato che gli è riservato e che è destinato alla consultazione dei contenuti privati aventi la forma di messaggi di posta elettronica.

    52

    In terzo luogo, per quanto riguarda precisamente il requisito di ottenere un previo consenso, previsto all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, occorre ricordare che, sebbene una comunicazione rientri nell’ambito di applicazione della disposizione in parola, essa è autorizzata a condizione che il suo destinatario vi abbia preliminarmente acconsentito.

    53

    A tale riguardo, dall’articolo 2, secondo comma, lettera f), della direttiva 2002/58, in combinato disposto con l’articolo 94, paragrafo 2, del regolamento 2016/679, risulta che il consenso in parola deve soddisfare i requisiti risultanti dall’articolo 2, lettera h), della direttiva 95/46 o dall’articolo 4, punto 11, del menzionato regolamento, a seconda di quale tra le suddette due norme sia applicabile ratione temporis ai fatti oggetto del procedimento principale.

    54

    L’articolo 2, lettera h), della direttiva 95/46 definisce il termine «consenso» come «qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica e informata con la quale la persona interessata accetta che i dati personali che la riguardano siano oggetto di un trattamento [di dati personali]».

    55

    Questo stesso requisito si applica parimenti nell’ambito del regolamento 2016/679. Infatti, l’articolo 4, punto 11, di tale regolamento definisce il «consenso dell’interessato» nel senso che esso richiede una manifestazione di volontà «libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato», sotto forma di «dichiarazione o di azione positiva inequivocabile» che dà atto della sua accettazione del trattamento dei dati personali che lo riguardano.

    56

    Relativamente ad una domanda di cessazione di una pratica commerciale illecita, come quella in discussione nel procedimento principale, non è escluso che, al pari di quanto osservato dall’avvocato generale al paragrafo 50 delle sue conclusioni, ove il procedimento avviato dalla StWL mirasse a far cessare in futuro la condotta della eprimo, il regolamento 2016/679 possa trovare applicazione ratione temporis nell’ambito del procedimento principale, e ciò benché i fatti all’origine di detto procedimento siano anteriori al 25 maggio 2018, data in cui il regolamento in parola è divenuto applicabile, posto che la direttiva 95/46 è stata abrogata dal medesimo a decorrere da tale stessa data.

    57

    Da quanto precede discende che un siffatto consenso deve tradursi, quantomeno, in una manifestazione di volontà libera, specifica e informata da parte della persona interessata.

    58

    Nel caso di specie, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che, durante il processo di registrazione dell’indirizzo di posta elettronica di cui trattasi nel procedimento principale, il servizio di posta elettronica T-Online è proposto agli utenti sotto forma di due categorie di servizi di posta elettronica, ossia, da un lato, un servizio di posta elettronica gratuito, finanziato dalla pubblicità e, dall’altro, un servizio di posta elettronica a pagamento, senza pubblicità. Pertanto, gli utenti che scelgono la gratuità del servizio, come nel procedimento principale, accetterebbero di ricevere annunci pubblicitari al fine di non pagare alcun corrispettivo in cambio dell’utilizzo di detto servizio di posta elettronica.

    59

    A tal riguardo, spetta tuttavia al giudice del rinvio stabilire se l’utente interessato, avendo optato per la gratuità del servizio di posta elettronica T-Online, sia stato debitamente informato delle precise modalità di diffusione di una siffatta pubblicità e abbia effettivamente acconsentito a ricevere messaggi pubblicitari come quelli di cui trattasi nel procedimento principale. In particolare, occorre assicurarsi, da un lato, che tale utente sia stato informato in modo chiaro e preciso segnatamente del fatto che i messaggi pubblicitari compaiono nell’elenco dei messaggi privati ricevuti e, dall’altro, che questi abbia espresso il proprio consenso a ricevere tali messaggi pubblicitari in maniera specifica e con piena cognizione di causa (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2020, Orange Romania, C‑61/19, EU:C:2020:901, punto 52).

    60

    Occorre infine precisare, in risposta alla quarta questione, con la quale il giudice del rinvio chiede se, al fine di qualificare un’attività pubblicitaria come quella di cui trattasi nel procedimento principale come «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, occorra constatare che l’onere imposto all’utente va al di là di una molestia che gli sarebbe causata, che il rispetto di un siffatto requisito non è imposto dalla direttiva in parola.

    61

    Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 62 delle sue conclusioni, dal considerando 40 di tale direttiva emerge che il requisito del consenso preliminare previsto in tale disposizione si spiega, segnatamente, in ragione del fatto che le comunicazioni indesiderate effettuate a fini di commercializzazione diretta possono «imporre un onere e/o un costo al destinatario». Ove suddette comunicazioni rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, non è quindi necessario verificare se l’onere che ne deriva per il destinatario vada al di là di una molestia che gli sarebbe causata.

    62

    Nel caso di specie, è peraltro pacifico che una attività pubblicitaria come quella di cui trattasi nel procedimento principale impone effettivamente un onere all’utente interessato dal momento che, come è stato rilevato al punto 42 della presente sentenza, la comparsa di messaggi pubblicitari nell’elenco dei messaggi di posta elettronica privati dell’utente, in quanto ostacola l’accesso a tali messaggi in modo analogo a quello utilizzato per i messaggi di posta elettronica indesiderati (spam), richiede il medesimo processo decisionale da parte dell’abbonato per quanto riguarda il trattamento di tali messaggi.

    63

    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni dalla prima alla quarta dichiarando che l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 deve essere interpretato nel senso che costituisce un «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi della menzionata disposizione, la visualizzazione nella casella di posta in arrivo dell’utente di un servizio di posta elettronica di messaggi pubblicitari in una forma simile a quella di un vero e proprio messaggio di posta elettronica e nella stessa collocazione di quest’ultimo, senza che la determinazione aleatoria dei destinatari di siffatti messaggi né la determinazione del grado d’intensità dell’onere imposto a tale utente incidano al riguardo, essendo tale uso autorizzato soltanto a condizione che suddetto utente sia stato informato in modo chiaro e preciso delle modalità di diffusione di una simile pubblicità, segnatamente all’interno dell’elenco dei messaggi di posta elettronica privati ricevuti, e abbia espresso il proprio consenso a ricevere siffatti messaggi pubblicitari in maniera specifica e con piena cognizione di causa.

    Sulla quinta questione

    64

    Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29 debba essere interpretato nel senso che un’attività consistente nella visualizzazione nella casella di posta in arrivo dell’utente di un servizio di posta elettronica di messaggi pubblicitari in una forma simile a quella di un vero e proprio messaggio di posta elettronica e nella medesima collocazione di quest’ultimo rientri nella nozione di «ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali» degli utenti di servizi di posta elettronica, ai sensi di tale disposizione.

    65

    L’articolo 5 di suddetta direttiva vieta, al paragrafo 1, le pratiche commerciali sleali e fissa, al suo paragrafo 2, i criteri che consentono di determinare se una pratica commerciale abbia carattere sleale.

    66

    L’articolo 5, paragrafo 4, di tale direttiva precisa poi che sono sleali, in particolare, le pratiche commerciali «ingannevoli», ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29 e quelle «aggressive», ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva in parola.

    67

    Al riguardo, occorre ricordare che la direttiva 2005/29 realizza un’armonizzazione completa a livello dell’Unione delle norme relative alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori e stabilisce, al suo allegato I, un elenco tassativo di 31 pratiche commerciali che, conformemente all’articolo 5, paragrafo 5, di tale direttiva, sono considerate «in ogni caso» sleali. Di conseguenza, come precisa espressamente il considerando 17 di detta direttiva, si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali in quanto tali, senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9 della stessa direttiva (sentenza del 2 settembre 2021, Peek & Cloppenburg, C‑371/20, EU:C:2021:674, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

    68

    In applicazione dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29, difatti, è qualificato come «pratica commerciale in ogni caso sleale», in quanto pratica commerciale aggressiva, il fatto che un professionista «effettu[i] ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale».

    69

    Orbene, come è stato rilevato ai punti 48, 50 e 51 della presente sentenza, si deve ritenere che un messaggio pubblicitario come quello di cui trattasi nel procedimento principale si rivolga direttamente e individualmente all’utente interessato in quanto, essendo diffuso sotto forma di un messaggio di posta elettronica, appare direttamente nella casella di posta in arrivo del servizio di posta elettronica privata dell’utente interessato, in uno spazio privato, protetto da una password, che gli è riservato e dove si aspetta di ricevere soltanto messaggi che gli sono indirizzati individualmente.

    70

    Pertanto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 71 delle sue conclusioni, l’effetto prodotto da detto messaggio è quindi simile a quello di una commercializzazione diretta individualizzata, indipendentemente dal fatto che l’inserzionista abbia o meno individuato singolarmente tale specifico destinatario durante la preparazione tecnica del messaggio in parola e che tale messaggio sia o meno trattato in modo diverso rispetto ai messaggi di posta elettronica in termini di spazio di memorizzazione e di funzionalità connesse al trattamento di un vero e proprio messaggio di posta elettronica.

    71

    In tali circostanze, si deve ritenere che un messaggio pubblicitario siffatto costituisca una «sollecitazione commerciale» degli utenti di servizi di posta elettronica, ai sensi dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29.

    72

    Ciò posto, occorre ancora verificare se una tale sollecitazione commerciale sia «ripetuta e sgradita», cosicché essa debba essere vietata in ogni circostanza in forza di suddetta disposizione.

    73

    In proposito, occorre constatare, da un lato, che, come ricordato al punto 21 della presente sentenza, gli utenti interessati hanno ricevuto messaggi pubblicitari nella casella di posta in arrivo delle loro caselle di posta elettronica private in tre occasioni, ossia, rispettivamente, il 12 dicembre 2016, il 13 gennaio 2017 e il 15 gennaio 2017. In tali circostanze, una siffatta sollecitazione commerciale, tenuto conto anche della sua frequenza in un tempo limitato, deve essere considerata come «ripetuta», ai sensi dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29, come constatato dal giudice del rinvio.

    74

    D’altro lato, per quanto riguarda il carattere «sgradito», ai sensi del medesimo punto 26, di una siffatta attività pubblicitaria, occorre verificare se la visualizzazione di un messaggio pubblicitario come quello di cui trattasi nel procedimento principale soddisfi detta condizione, tenendo conto dell’esistenza o meno di un consenso prestato da tale utente prima di tale visualizzazione nonché dell’eventuale opposizione a una siffatta attività pubblicitaria espressa da detto utente. Una tale opposizione è, inoltre, accertata nel procedimento principale, come constatato dal giudice del rinvio.

    75

    Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quinta questione dichiarando che l’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29 deve essere interpretato nel senso che un’attività consistente nella visualizzazione nella casella di posta in arrivo dell’utente di un servizio di posta elettronica di messaggi pubblicitari, in una forma simile a quella di un vero e proprio messaggio di posta elettronica e nella medesima collocazione di quest’ultimo, rientra nella nozione di «ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali» degli utenti di servizi di posta elettronica, ai sensi di tale disposizione, qualora la visualizzazione di tali messaggi pubblicitari, da un lato, sia avvenuta con sufficiente frequenza e regolarità per essere qualificata come «ripetute sollecitazioni commerciali» e, dall’altro, possa, in mancanza di un consenso fornito dall’utente di cui trattasi preliminarmente a tale visualizzazione, essere qualificata come «sgradite sollecitazioni commerciali».

    Sulle spese

    76

    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

     

    Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

     

    1)

    L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, deve essere interpretato nel senso che costituisce un «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi della menzionata disposizione, la visualizzazione nella casella di posta in arrivo dell’utente di un servizio di posta elettronica di messaggi pubblicitari in una forma simile a quella di un vero e proprio messaggio di posta elettronica e nella stessa collocazione di quest’ultimo, senza che la determinazione aleatoria dei destinatari di siffatti messaggi né la determinazione del grado d’intensità dell’onere imposto a tale utente incidano al riguardo, essendo tale uso autorizzato soltanto a condizione che detto utente sia stato informato in modo chiaro e preciso delle modalità di diffusione di una simile pubblicità, segnatamente all’interno dell’elenco dei messaggi di posta elettronica privati ricevuti, e abbia espresso il proprio consenso a ricevere siffatti messaggi pubblicitari in maniera specifica e con piena cognizione di causa.

     

    2)

    L’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») deve essere interpretato nel senso che un’attività consistente nella visualizzazione nella casella di posta in arrivo dell’utente di un servizio di posta elettronica di messaggi pubblicitari, in una forma simile a quella di un vero e proprio messaggio di posta elettronica e nella medesima collocazione di quest’ultimo, rientra nella nozione di «ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali» degli utenti di servizi di posta elettronica, ai sensi di tale disposizione, qualora la visualizzazione di tali messaggi pubblicitari, da un lato, sia avvenuta con sufficiente frequenza e regolarità per essere qualificata come «ripetute sollecitazioni commerciali» e, dall’altro, possa, in mancanza di un consenso fornito dall’utente di cui trattasi preliminarmente a tale visualizzazione, essere qualificata come «sgradite sollecitazioni commerciali».

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.

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