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Document 62020CC0439

Conclusioni dell’avvocato generale G. Pitruzzella, presentate il 14 luglio 2022.
Commissione europea e Consiglio dell'Unione europea contro Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd.
Impugnazione – Dumping – Importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle loro componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Cina – Regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 che revoca l’accettazione dell’impegno per due produttori esportatori a norma della decisione di esecuzione 2013/707/UE – Ricevibilità del ricorso in primo grado – Articolo 263, quarto comma, TFUE – Criterio dell’incidenza diretta – Articolo 277 TFUE – Eccezione di illegittimità – Ricevibilità – Interesse ad agire contro gli atti che hanno costituito la base giuridica dell’atto impugnato – Regolamento (UE) 2016/1036 – Articolo 8, paragrafo 9 – Regolamento (UE) 2016/1037 – Articolo 13, paragrafo 9 – Conseguenze della revoca da parte della Commissione europea dell’accettazione di un impegno – Regolamento di esecuzione (UE) n. 1238/2013 – Articolo 3 – Regolamento di esecuzione (UE) n. 1239/2013 – Articolo 2 – Perdita del beneficio dell’esenzione dai dazi – Regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 – Articolo 2 – Annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno – Esigibilità dei dazi sull’insieme delle transazioni interessate – Assenza di retroattività.
Cause riunite C-439/20 P e C-441/20 P.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2022:585

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 14 luglio 2022 ( 1 )

Cause riunite C‑439/20 P e C‑441/20 P

Commissione europea

contro

Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd (C‑439/20 P)

e

Consiglio dell’Unione europea

contro

Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd,

(C‑441/20 P)

«Impugnazione – Dumping – Sovvenzioni – Importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle loro componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese – Regolamento (UE) 2016/1036 – Articolo 8, paragrafi 1, 9 e 10 e articolo 10, paragrafo 5 – Regolamento (UE) 2016/1037 – Articolo 13, paragrafi 1, 9 e 10 e articolo 16, paragrafo 5 – Violazione di un impegno – Effetto della revoca dell’accettazione di un impegno – Regolamenti di esecuzione (UE) nn. 1238/2013 e 1239/2013 – Ricevibilità di un’eccezione d’illegittimità – Regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 – Annullamento di fatture corrispondenti all’impegno»

1.

A seguito della revoca da parte della Commissione dell’accettazione di un impegno, per violazione di tale impegno da parte del produttore‑esportatore che l’ha assunto, i dazi antidumping e compensativi definitivi già istituiti si applicano alle importazioni corrispondenti all’impegno violato effettuate sin dal momento della loro istituzione, oppure si applicano solo alle importazioni successive alla revoca dell’impegno? In tale contesto, può la Commissione annullare le fatture relative alle importazioni corrispondenti all’impegno violato e ordinare alle autorità nazionali la riscossione dei dazi definitivi per tali importazioni?

2.

Sono queste, in sostanza, le questioni principali che si pongono nelle presenti cause riunite relative a due impugnazioni proposte rispettivamente dalla Commissione europea, nella causa C‑439/20, e dal Consiglio dell’Unione europea, nella causa C‑441/20 P ( 2 ) (in prosieguo, congiuntamente: «le istituzioni»), con cui queste chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea dell’8 luglio 2020, Jiangsu Seraphim Solar System/Commissione (T‑110/17, EU:T:2020:315, in prosieguo: la «sentenza impugnata») che ha accolto il ricorso presentato dalla società Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd (in prosieguo: «Jiangsu») volto a richiedere l’annullamento parziale del regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 ( 3 ) (in prosieguo: il «regolamento controverso»), nella parte in cui la riguardava.

I. Contesto normativo

3.

Alla data del regolamento controverso, l’adozione di misure antidumping da parte dell’Unione era disciplinata dal regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea ( 4 ) (in prosieguo: il «regolamento antidumping di base»).

4.

L’articolo 8 di tale regolamento, rubricato «Impegni», disponeva quanto segue nei suoi paragrafi 1, 9 e 10:

«1.   Qualora sia stata accertata in via provvisoria l’esistenza di un dumping e di un pregiudizio, la Commissione può, secondo la procedura consultiva di cui all’articolo 15, paragrafo 2, accettare l’offerta di un esportatore di impegnarsi volontariamente e in modo soddisfacente a modificare i suoi prezzi oppure a cessare le esportazioni a prezzi di dumping, sempreché la Commissione ritenga che il pregiudizio causato dal dumping sia in tal modo eliminato.

In tal caso e per tutto il periodo in cui hanno effetto tali impegni, i dazi provvisori istituiti dalla Commissione a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, o, se del caso, i dazi definitivi istituiti a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, non si applicano alle relative importazioni del prodotto interessato fabbricato dalle società indicate nella decisione della Commissione con la quale si accettano gli impegni, come successivamente modificata. (…)

9.   In caso di violazione o di revoca di un impegno a opera di una delle parti che lo hanno assunto, o in caso di revoca dell’accettazione dell’impegno da parte della Commissione, l’accettazione dell’impegno è revocata con decisione o, a seconda dei casi, con regolamento della Commissione e si applica automaticamente il dazio provvisorio istituito dalla Commissione a norma dell’articolo 7 o il dazio definitivo istituito a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, a condizione che l’esportatore interessato, salvo nei casi in cui abbia revocato lui stesso l’impegno, abbia avuto la possibilità di presentare le sue osservazioni. (…)

10.   A norma dell’articolo 7, può essere imposto un dazio provvisorio sulla base delle migliori informazioni disponibili quando vi sia motivo di ritenere che l’impegno sia stato violato oppure in caso di revoca o di violazione di un impegno qualora l’inchiesta nella quale è stato assunto l’impegno non sia ancora conclusa».

5.

L’articolo 10, dello stesso regolamento, rubricato «Retroattività», disponeva quanto segue al suo paragrafo 5:

«In caso di violazione o di revoca di un impegno, possono essere applicati dazi definitivi a prodotti immessi in consumo non oltre 90 giorni prima della data di applicazione dei dazi provvisori, a condizione che le importazioni siano state registrate a norma dell’articolo 14, paragrafo 5. Detta imposizione retroattiva non si applica tuttavia alle importazioni introdotte nell’Unione prima della violazione o della revoca dell’impegno».

6.

Alla data del regolamento controverso, l’adozione di misure antisovvenzioni da parte dell’Unione era disciplinata dal regolamento (UE) 2016/1037 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri dell’Unione europea ( 5 ) (in prosieguo: il «regolamento antisovvenzioni di base»).

7.

Il regolamento antisovvenzioni di base contiene disposizioni relative agli impegni e alla retroattività redatte in termini sostanzialmente identici alle corrispondenti disposizioni del regolamento antidumping di base. Così, in particolare, l’articolo 13, paragrafi 1, primo e secondo comma, 9 e 10, nonché l’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base, corrispondono, nella sostanza, rispettivamente all’articolo 8, paragrafo 1, primo e secondo comma, e paragrafi 9 e 10, nonché all’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base (in prosieguo, i due regolamenti saranno menzionati congiuntamente come: i «regolamenti di base») ( 6 ).

II. Fatti e regolamento controverso

8.

Jiangsu è una società che fabbrica moduli fotovoltaici in silicio cristallino in Cina e li esporta verso l’Unione.

9.

Dopo aver istituito un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (in prosieguo: i «prodotti in questione») ( 7 ), mediante la decisione 2013/423/UE, del 2 agosto 2013 ( 8 ), la Commissione ha accettato un’offerta di impegno sui prezzi (in prosieguo: l’«impegno») presentata dalla Camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di macchinari e di prodotti elettronici a nome, inter alia, di Jiangsu.

10.

Il 2 dicembre 2013, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 1238/2013 ( 9 ), che ha istituito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni dei prodotti in questione. Lo stesso giorno, il Consiglio ha altresì adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 1239/2013 ( 10 ), che ha istituito un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di tali prodotti.

11.

L’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 prevedono, con la stessa formulazione quanto segue:

«2.   All’atto dell’accettazione della dichiarazione d’immissione in libera pratica sorge un’obbligazione doganale:

(…)

b)

laddove la Commissione ritiri l’accettazione dell’impegno a norma [dei regolamenti di base] ( 11 ), con un regolamento o una decisione che si riferisca a transazioni particolari e dichiari nulle le pertinenti fatture corrispondenti all’impegno».

12.

Mediante la decisione di esecuzione 2013/707/UE, del 4 dicembre 2013 ( 12 ), la Commissione ha confermato l’accettazione dell’impegno offerto dai produttori‑esportatori cinesi.

13.

In forza dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, le importazioni relative all’impegno e rientranti nella decisione di esecuzione 2013/707 sono esenti dai dazi antidumping e compensativi imposti da tali regolamenti.

14.

Avendo tuttavia successivamente constatato la violazione dell’impegno da parte di Jiangsu, la Commissione ha adottato il regolamento controverso. Nell’articolo 1 di tale regolamento la Commissione ha revocato l’accettazione dell’impegno, inter alia, per Jiangsu. Nell’articolo 2 dello stesso regolamento la Commissione, al paragrafo 1, ha annullato le fatture relative all’impegno di cui all’allegato 1 dello stesso regolamento e, al paragrafo 2, ha deciso che sono «riscossi i dazi antidumping e compensativi dovuti all’atto dell’accettazione della dichiarazione doganale d’immissione in libera pratica, a norma dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (…) n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (…) n. 1239/2013».

III. Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

15.

Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 febbraio 2017, Jiangsu ha proposto un ricorso di annullamento avverso l’articolo 2 del regolamento controverso. Tale ricorso si fondava su un motivo unico di ricorso relativo alla violazione di diverse disposizioni dei regolamenti di base, basato su un’eccezione di illegittimità sollevata ai sensi dell’articolo 277 TFUE avverso l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1239/2013.

16.

Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha dapprima, ai punti da 28 a 64, respinto le eccezioni sollevate dalla Commissione, sostenuta dal Consiglio, riguardo alla ricevibilità del ricorso, nonché alla ricevibilità dell’eccezione di illegittimità.

17.

Poi, ai punti da 65 a 160 della sentenza impugnata, il Tribunale ha accolto nel merito il motivo unico e l’eccezione di illegittimità sollevati da Jiangsu e ha, pertanto, annullato l’articolo 2 del regolamento controverso nella parte in cui riguardava Jiangsu.

IV. Conclusioni delle parti

18.

Con la sua impugnazione nella causa C‑439/20 P, la Commissione, sostenuta dal Consiglio, chiede che la Corte voglia annullare la sentenza impugnata, dichiarare irricevibile il ricorso di primo grado o, in subordine, respingere il ricorso di primo grado, e condannare Jiangsu Seraphim alle spese.

19.

Con la sua impugnazione nella causa C‑441/20 P, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, chiede che la Corte voglia annullare la sentenza impugnata; respingere il ricorso di primo grado, e condannare Jiangsu Seraphim alle spese, o in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale, e riservare la decisione sulle spese sostenute in primo grado e in sede di impugnazione.

20.

Jiangsu chiede che la Corte voglia respingere le impugnazioni e condannare la Commissione e il Consiglio alle spese.

V. Analisi delle impugnazioni

21.

A sostegno della sua impugnazione nella causa C‑439/20 P, la Commissione deduce quattro motivi d’impugnazione. Tali motivi si sovrappongono, in gran parte, con i due motivi dedotti dal Consiglio a sostegno della sua impugnazione nella causa C‑441/20 P. Occorre pertanto esaminare congiuntamente le due impugnazioni.

A.   Sui primi motivi d’impugnazione relativi alla ricevibilità

22.

Con i loro primi motivi d’impugnazione, le istituzioni fanno valere che il Tribunale ha commesso errori di diritto nell’analisi della ricevibilità del ricorso di Jiangsu (prima parte) e nell’analisi della ricevibilità e del carattere conferente dell’eccezione di illegittimità da questa sollevata (seconda parte).

1. Sulla prima parte dei primi motivi d’impugnazione relativa alla legittimazione ad agire e all’interesse ad agire di Jiangsu

23.

Nella prima parte dei loro primi motivi d’impugnazione le istituzioni contestano l’analisi del Tribunale concernente la legittimazione ad agire e l’interesse ad agire di Jiangsu riguardo alla disposizione impugnata del regolamento controverso, ossia il suo articolo 2.

a) Sull’incidenza diretta

24.

Le istituzioni contestano, innanzitutto, al Tribunale di aver commesso vari errori di diritto ai punti 37, 38, 44 e 45 della sentenza impugnata considerando che Jiangsu fosse direttamente interessata, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, riguardo alla disposizione impugnata del regolamento controverso. Le istituzioni evidenziano che non è stata Jiangsu, in qualità di produttore‑esportatore, bensì la società importatrice collegata Seraphim Solar System GmbH, ad aver effettuato le dichiarazioni in dogana riguardo ai prodotti per cui le fatture sono state annullate mediante detto regolamento. Di conseguenza, sarebbe quest’ultima società, e non Jiangsu ad essere debitrice dei dazi antidumping e compensativi dovuti in conseguenza dell’annullamento delle fatture emesse da Jiangsu. La nascita di tale debito doganale costituirebbe la modifica della situazione giuridica risultante dall’articolo 2 del regolamento controverso. Ne conseguirebbe che, la situazione giuridica di Jiangsu, in quanto produttore‑esportatore, non sarebbe stata modificata dall’articolo 2 del regolamento controverso e che pertanto essa non sarebbe direttamente interessata ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

25.

A tale riguardo, risulta da giurisprudenza costante che la condizione di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE secondo cui una persona fisica o giuridica dev’essere direttamente interessata dalla misura oggetto del ricorso richiede la sussistenza di due condizioni cumulative, vale a dire che la misura contestata, da un lato, produca direttamente effetti sulla situazione giuridica di tale persona e, dall’altro, non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari della misura stessa incaricati della sua applicazione, applicazione avente carattere meramente automatico e derivante dalla sola normativa dell’Unione senza intervento di altre norme intermedie ( 13 ).

26.

Nella presente fattispecie, Jiangsu ha impugnato l’articolo 2 del regolamento controverso nella sua integralità. Come si desume dal precedente paragrafo 14, e come rilevato dal Tribunale al punto 44 della sentenza impugnata, con tale disposizione la Commissione, al paragrafo 1, ha annullato, inter alia, le fatture emesse da Jiangsu corrispondenti all’impegno che erano state emesse da questa relativamente a talune transazioni specifiche e al, paragrafo 2, ha ordinato la riscossione dei dazi definitivi dovuti in relazione alle transazioni oggetto delle fatture. A detto punto della sentenza impugnata il Tribunale ha concluso che in tal modo, le disposizioni impugnate da Jiangsu avevano prodotto effetti in via diretta sulla sua situazione giuridica.

27.

A tale riguardo ritengo che un provvedimento di annullamento di fatture emesse da un soggetto sia atto a produrre direttamente effetti sulla sua situazione giuridica. In effetti, eliminando le fatture, tale provvedimento incide sul rapporto contrattuale relativo alle transazioni specifiche oggetto delle fatture annullate, nella presente fattispecie il rapporto tra Jiangsu e l’importatore, ed è anche suscettibile di incidere sul rapporto tra il soggetto che emette le fatture e le autorità fiscali ( 14 ). Di conseguenza, le istituzioni non possono, a mio avviso, validamente sostenere che il Tribunale ha commesso un errore di diritto concludendo che Jiangsu fosse direttamente interessata dall’articolo 2, del regolamento controverso, almeno relativamente al paragrafo 1 di tale disposizione.

28.

Per ciò che riguarda il paragrafo 2, è vero, come fatto valere dalle istituzioni, che il debito doganale sorto a seguito dell’annullamento delle fatture è nato nei confronti dell’importatore, ossia la società Seraphim Solar System GmbH, soggetto giuridicamente distinto da Jiangsu, ancorché a questa collegato. Tuttavia, nel contesto della presente fattispecie, tale circostanza non è, a mio avviso, atta a rendere il ricorso di Jiangsu irricevibile per difetto di incidenza diretta.

29.

In effetti, innanzitutto, la nascita del debito doganale è la conseguenza immediata e diretta dell’annullamento delle fatture in questione, annullamento che, come risulta dal regolamento controverso stesso ( 15 ), costituisce il presupposto necessario per la nascita di tale debito. L’annullamento delle fatture riguardo alle transazioni relative all’impegno e la nascita del debito doganale riguardo a tali operazioni sono pertanto effetti strettamente connessi della stessa misura, di modo che sarebbe artificiale separarli. Inoltre, i debiti doganali riguardano precisamente le transazioni specifiche oggetto delle fatture, di modo che essi incidono necessariamente su tali operazioni, di cui Jiangsu è parte, e quindi sulla sua situazione giuridica.

30.

Risulta da quanto precede che, a mio avviso, contrariamente a quanto dedotto dalle istituzioni, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto concludendo che Jiangsu era direttamente interessata dall’articolo 2 del regolamento controverso.

b) Sull’interesse ad agire

31.

In subordine, le istituzioni sostengono che sarebbe viziata da errori di diritto l’analisi del Tribunale riguardo all’interesse ad agire di Jiangsu per impugnare l’articolo 2 del regolamento controverso.

32.

Al riguardo, al punto 47 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che la giurisprudenza ha implicitamente, ma necessariamente, ammesso la ricevibilità del ricorso di un produttore‑esportatore avverso gli atti di revoca dell’accettazione di un impegno e istitutivi di un dazio antidumping definitivo sui prodotti da esso fabbricati ed esportati sul mercato dell’Unione ( 16 ). Il Tribunale ne ha dedotto che, in una prospettiva analoga, un tale produttore‑esportatore deve altresì essere considerato legittimato a contestare l’imposizione di detto dazio ai prodotti da esso già esportati e le cui fatture corrispondenti all’impegno sono state annullate dalla Commissione. Al punto 48 della sentenza impugnata, il Tribunale ha inoltre considerato che le disposizioni impugnate, nella misura in cui contribuiscono ad aumentare il prezzo dei prodotti all’importazione di Jiangsu, hanno ripercussioni negative sui rapporti commerciali di questa con l’importatore dei prodotti di cui trattasi, che il ricorso, in caso di successo, è tale da rimuovere.

33.

Le istituzioni sostengono che tale analisi sia viziata da errori di diritto. Le considerazioni contenute al punto 47 della sentenza impugnata sarebbero irrilevanti in quanto si riferirebbero alla legittimazione ad agire e si fonderebbero su un’interpretazione erronea dell’articolo 263, paragrafo 4, TFUE. L’analogia giurisprudenziale fatta a tale punto sarebbe poi erronea, in quanto non si riferirebbe ad una situazione come quella della presente fattispecie. Il punto 48 della sentenza impugnata interpreterebbe, contrariamente alla giurisprudenza, la nozione di interesse ad agire come se fosse sufficiente dimostrare un mero vantaggio economico risultante dall’accoglimento del ricorso, allorché invece è necessaria una modifica della posizione giuridica del ricorrente. Jiangsu contesta gli argomenti delle istituzioni.

34.

A tale riguardo, risulta dalla giurisprudenza costante della Corte, che un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è ricevibile solo ove quest’ultima abbia un interesse all’annullamento dell’atto impugnato. Un tale interesse presuppone che l’annullamento di detto atto possa produrre di per sé conseguenze giuridiche e che il ricorso possa pertanto, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che lo ha proposto. L’interesse ad agire di un ricorrente deve essere concreto ed attuale e non può riguardare una situazione futura ed ipotetica ( 17 ).

35.

Nella presente fattispecie, il ragionamento sviluppato dal Tribunale nella sentenza impugnata non è esente da critiche. In effetti, da un lato, la portata dell’analogia effettuata dal Tribunale al punto 47 di tale sentenza appare dubbia. Essa non riguarda specificamente il requisito dell’interesse ad agire e la sua pertinenza non è in alcun modo motivata. Inoltre, le considerazioni, al punto 48 della sentenza impugnata, concernenti le ripercussioni negative sui rapporti commerciali tra Jiangsu e il suo importatore non appaiono sufficienti da sole a dimostrare la produzione da parte dell’annullamento dell’atto di effetti positivi sulla situazione giuridica di Jiangsu tale giustificare un interesse ad agire come delineato nella giurisprudenza ricordata al precedente paragrafo 34.

36.

Ciononostante tali errori non devono, a mio avviso, comportare l’annullamento della sentenza impugnata in quanto la conclusione secondo cui Jiangsu disponeva di interesse ad agire per ottenere l’annullamento dell’articolo 2, del regolamento controverso è corretta ( 18 ).

37.

Come rilevato al precedente paragrafo 26, nella presente fattispecie, mediante l’articolo 2 del regolamento controverso la Commissione, da un lato, ha annullato le fatture emesse, inter alia, da Jiangsu relative all’impegno e, dall’altro, ha ordinato la riscossione dei dazi definitivi dovuti in relazione alle transazioni oggetto delle fatture.

38.

In tali circostanze, l’annullamento di detta disposizione del regolamento controverso comporterebbe l’eliminazione dell’invalidazione delle fatture emesse da Jiangsu, ciò che produrrebbe quindi conseguenze giuridiche ai sensi della giurisprudenza indicata al precedente paragrafo 34. L’eliminazione delle conseguenze giuridiche per Jiangsu, specificamente nelle relazioni contrattuali relative alle transazioni oggetto delle fatture annullate, derivanti dall’invalidazione delle fatture, costituisce un beneficio che Jiangsu trarrebbe dall’accoglimento del ricorso. Detto annullamento, poi, invaliderebbe l’ordine di riscossione dei dazi definitivi dovuti in relazione alle transazioni oggetto delle fatture, transazioni di cui, come è già stato osservato sopra al paragrafo 29, Jiangsu era parte venditrice. Risulta a mio avviso da tali considerazioni che Jiangsu disponeva di interesse ad agire riguardo all’annullamento della disposizione impugnata del regolamento controverso. Ne consegue che anche questa censura delle istituzioni deve essere respinta.

2. Sulla seconda parte dei primi motivi d’impugnazione relativa alla ricevibilità e al carattere conferente dell’eccezione di illegittimità sollevata da Jiangsu

39.

La seconda parte dei primi motivi d’impugnazione sollevati dalle istituzioni è diretta contro l’analisi svolta dal Tribunale ai punti da 57 a 64 della sentenza impugnata in cui questo ha giudicato ricevibile l’eccezione di illegittimità sollevata da Jiangsu, ai sensi dell’articolo 277 TFUE, avverso l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1239/2013 (in prosieguo, congiuntamente, «le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità»).

40.

A seguito di tale analisi il Tribunale ha concluso che, in assenza di interesse ad agire contro tali disposizioni, non si poteva affermare che Jiangsu fosse legittimata a contestarle, a titolo dell’articolo 263 TFUE direttamente a seguito della loro adozione, e che, pertanto, detta società poteva contestarle nel quadro di un’eccezione di illegittimità ai sensi dell’articolo 277 TFUE ( 19 ).

41.

Le istituzioni ritengono che l’analisi del Tribunale sia inficiata da diversi errori di diritto e sia, in particolare, contraria alla giurisprudenza risultante dalle sentenze Solar World e Canadian Solar ( 20 ). La Commissione contesta anche il carattere conferente dell’eccezione d’illegittimità.

42.

A tale riguardo occorre, innanzitutto, ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 277 TFUE è espressione di un principio generale che garantisce a qualsiasi parte il diritto di contestare, al fine di ottenere l’annullamento di una decisione che la concerne direttamente e individualmente, la validità di precedenti atti delle istituzioni, che costituiscono il fondamento giuridico della decisione impugnata, qualora non avesse il diritto di proporre, in forza dell’articolo 263 TFUE, un ricorso diretto contro tali atti, di cui essa subisce così le conseguenze senza averne potuto chiedere l’annullamento ( 21 ). Il rimedio dell’eccezione di illegittimità è esperibile solo in mancanza di un altro mezzo di ricorso disponibile ( 22 ). Risulta, inoltre, dalla lettera dell’articolo 277 TFUE stesso che l’eventuale accoglimento dell’eccezione comporta la mera constatazione incidentale dell’illegittimità dell’atto e la conseguente inapplicabilità inter partes delle disposizioni dichiarate illegittime, e non quindi il loro annullamento ( 23 ).

43.

A titolo preliminare ritengo, altresì, opportuno ricordare che nella sentenza SolarWorld la Corte ha statuito che l’articolo 2 del regolamento n. 1239/2013 è una disposizione che non può essere separata dal resto del suddetto regolamento e che l’annullamento di tale disposizione inciderebbe necessariamente sulla sostanza di detto regolamento ( 24 ). Alla luce di tale constatazione, la Corte ha confermato l’ordinanza del Tribunale che aveva dichiarato irricevibile un ricorso diretto all’annullamento esclusivamente di tale disposizione e non dell’integralità di detto regolamento. La Corte si è fondata sulla giurisprudenza costante secondo cui l’annullamento parziale di un atto dell’Unione è possibile solo quando gli elementi di cui è chiesto l’annullamento sono separabili dal resto dell’atto ( 25 ). Nella sentenza Canadian Solar, la Corte ha, in sostanza esteso tali considerazioni all’articolo 3, del regolamento n. 1238/2013 ( 26 ).

44.

In tale contesto, si deve, in primo luogo, verificare se, come fatto valere dalle istituzioni, sia inficiata da errori di diritto la conclusione del Tribunale secondo cui Jiangsu non disponeva di interesse ad agire contro le disposizioni oggetto dell’eccezione d’illegittimità.

45.

Al riguardo rilevo che, ai punti 61 e 62 della sentenza impugnata, il Tribunale, da un lato, ha constatato che alla data di adozione di tali disposizioni, la questione se queste sarebbero state applicate a Jiangsu rimaneva puramente ipotetica. Dall’altro, il Tribunale ha rilevato che l’interesse ad agire di questa contro le disposizioni summenzionate non poteva fondarsi sulla mera eventualità che la Commissione revocasse nei suoi confronti l’accettazione degli impegni con il successivo annullamento delle fatture corrispondenti.

46.

Tali considerazioni del Tribunale sono, a mio avviso, esenti da errori. In effetti, al momento dell’adozione dei regolamenti nn. 1238/2013 e 1239/2013 l’applicazione delle disposizioni oggetto dell’eccezione d’illegittimità – le quali come ricordato al precedente paragrafo 11, prevedevano la nascita di un’obbligazione doganale laddove la Commissione ritirasse l’accettazione dell’impegno con un regolamento o una decisione che si riferisse a transazioni particolari e dichiarasse nulle le pertinenti fatture corrispondenti all’impegno – era puramente ipotetica e dipendeva da una circostanza – ossia la constatazione della violazione dell’impegno – che non si era ancora verificata e che avrebbe potuto non verificarsi.

47.

Le considerazioni del Tribunale sono, pertanto, conformi alla costante giurisprudenza della Corte ai termini della quale l’interesse ad agire di un ricorrente deve essere concreto ed attuale, non può riguardare una situazione futura ed ipotetica e deve sussistere, alla luce dell’oggetto del ricorso, al momento della presentazione di quest’ultimo, a pena di irricevibilità ( 27 ). Del resto, occorre altresì rilevare che, nelle loro impugnazioni, le istituzioni non contestano realmente tali considerazioni del Tribunale contenute nei suddetti punti della sentenza impugnata.

48.

Ne consegue che, a mio avviso, il Tribunale non ha commesso alcun errore considerando che, in assenza di constatazione della violazione dell’impegno, Jiangsu non disponeva di interesse ad agire contro le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità, al momento dell’adozione dei due suddetti regolamenti e nel periodo successivo in cui tale società avrebbe potuto impugnarli.

49.

Le istituzioni fanno valere, in secondo luogo, che, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto non dichiarando l’eccezione di illegittimità irricevibile in quanto, in ragione del carattere indissociabile delle disposizioni oggetto di tale eccezione dal resto dei regolamenti nn. 1238/2013 e 1239/2013, alla luce delle sentenze SolarWorld e Canadian Solar, Jiangsu avrebbe potuto impugnare l’integralità di tali regolamenti e far valere, in tale ambito, l’illegittimità di qualunque disposizione di questi. Non avendo impugnato tali regolamenti nei termini di impugnazione, la possibilità di sollevare un’eccezione di illegittimità sarebbe stata oramai preclusa a Jiangsu.

50.

A tale riguardo, rilevo tuttavia che, indipendentemente dalla questione della separabilità delle disposizioni in questione dal resto dei regolamenti, risulta dalle considerazioni effettuate ai precedenti paragrafi da 45 a 47 che, anche se Jiangsu avesse impugnato nei termini d’impugnazione i regolamenti nn. 1238/2013 e 1239/2013 nella loro integralità, essa non avrebbe comunque disposto dell’interesse ad agire per contestare le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità.

51.

In effetti, risulta dalla giurisprudenza che i principi menzionati al precedente paragrafo 47 relativamente al necessario carattere concreto, attuale e non ipotetico dell’interesse ad agire si applicano anche ai singoli motivi di ricorso ( 28 ). Alla luce delle considerazioni del Tribunale ricordate al precedente paragrafo 45, Jiangsu non avrebbe potuto contestare, per difetto di interesse ad agire, le disposizioni in questione neanche se avesse impugnato i regolamenti nn. 1238/2013 e 1239/2013 nella loro integralità. Le istituzioni non possono pertanto far valere che il Tribunale ha commesso un errore di diritto al riguardo.

52.

Ciò detto, occorre però, in terzo luogo, esaminare l’argomento sollevato dalla Commissione secondo cui il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto considerando ricevibile l’eccezione d’illegittimità, in quanto, in ragione del carattere non separabile delle disposizioni oggetto dell’eccezione d’illegittimità dal resto dei regolamenti nn. 1238/2013 e 1239/2013, riconosciuto nelle sentenze SolarWorld e Canadian Solar, Jiangsu non avrebbe potuto sollevare tale eccezione solo riguardo alle disposizioni oggetto di tale eccezione, ma avrebbe dovuto sollevarla nei confronti dell’integralità di tali regolamenti.

53.

La Commissione fonda tale argomento sul presupposto che sia trasponibile all’ambito dell’eccezione d’illegittimità di cui all’articolo 277 TFUE il principio, ricordato al precedente paragrafo 43, espresso dalla giurisprudenza in materia di ricorso di annullamento, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, secondo cui l’annullamento parziale di un atto dell’Unione è possibile solo quando gli elementi di cui è chiesto l’annullamento sono separabili dal resto dell’atto ( 29 ). Ne conseguirebbe che non sarebbe ricevibile un’eccezione di illegittimità sollevata esclusivamente nei confronti di disposizioni non separabili dal resto dell’atto.

54.

Indipendentemente dalla questione della separabilità delle disposizioni in questione dal resto dei regolamenti, la quale è contestata tra le parti ( 30 ), non sono, in ogni caso, convinto che tale presupposto sia corretto.

55.

In effetti, la ragione principale alla base della giurisprudenza secondo cui l’annullamento parziale di un atto dell’Unione è possibile solo se gli elementi di cui è chiesto l’annullamento siano separabili, si ritrova nell’esigenza di evitare che a seguito dell’annullamento parziale dell’atto, richiesto dal ricorrente, venga modificata la sostanza dell’atto medesimo ( 31 ). Ciò, infatti, implicherebbe una revisione dell’atto, la quale oltrepasserebbe i poteri del giudice dell’Unione nel quadro del ricorso di annullamento, nonché costituirebbe una statuizione ultra petita ( 32 ).

56.

Tuttavia, tale ragionamento non è applicabile all’eccezione di illegittimità. Infatti, come rilevato al precedente paragrafo 42, nell’ambito di tale rimedio giuridico, può essere fatta valere solo l’inapplicabilità dell’atto incidentalmente contestato, ma non l’annullamento di quest’ultimo ( 33 ). La mera constatazione incidentale dell’illegittimità delle disposizioni oggetto dell’eccezione d’illegittimità e la conseguente inapplicabilità inter partes nel giudizio in corso delle disposizioni dichiarate illegittime, ha mero carattere dichiarativo e non costituivo. Tale constatazione incidentale non potrà quindi comportare una modifica della sostanza dell’atto equiparabile a quella che avverrebbe nel caso dell’annullamento delle disposizioni stesse.

57.

Così, per esempio, nella presente fattispecie, anche ad ammettere che le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità non siano separabili dal resto dell’atto, la constatazione incidentale della loro illegittimità effettuata dal Tribunale al punto 158 della sentenza impugnata e la conseguente dichiarazione di inapplicabilità nei confronti di Jiangsu, non ha comportato una modifica sostanziale dei regolamenti nn. 1238/2013 e 1239/2013. Ne risulta che il ragionamento e la conclusione sviluppati dalla Corte nelle sentenze SolarWorld e Canadian Solar secondo cui l’annullamento di tali disposizioni inciderebbe necessariamente sulla sostanza di tali regolamenti non si applica in questo caso.

58.

Consegue da tutto ciò che a mio avviso, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto considerando ricevibile l’eccezione di illegittimità sollevata da Jiangsu, benché essa non fosse stata sollevata nei confronti dell’integralità dei regolamenti nn. 1238/2013 e 1239/2013.

59.

In quarto luogo, la Commissione fa ancora valere che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto al punto 63 della sentenza impugnata considerando che le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità sono disposizioni di carattere generale. Secondo la Commissione esse, tuttavia, si applicherebbero solo alle imprese che hanno offerto impegni e costituirebbero pertanto decisioni individuali nei loro confronti.

60.

A tale riguardo, risulta dalla lettera dell’articolo 277 TFUE che il rimedio dell’eccezione di illegittimità si applica in controversie che mettano in causa «un atto di portata generale». Ne risulta pertanto una delimitazione in negativo degli atti contro i quali il rimedio è ammesso, con esclusione degli atti aventi portata individuale nei confronti dei quali il ricorrente avrebbe potuto proporre un ricorso per annullamento ai sensi dell’articolo 263, paragrafo 4, TFUE. Tale condizione ha la finalità di evitare che l’eccezione di illegittimità possa essere utilizzata per eludere i requisiti di ricevibilità di un ricorso per annullamento e, pertanto di rimettere in discussione la legittimità di un atto al di là delle condizioni previste dall’articolo 263 TFUE.

61.

A questo proposito, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, un atto ha portata generale se si applica a situazioni determinate obiettivamente e se produce i suoi effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in maniera generale e astratta ( 34 ).

62.

Ciò non è, a mio avviso, il caso per le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità. In effetti come risulta esplicitamente dal paragrafo 1 dei due articoli in questione, tali disposizioni si applicano non nei confronti di categorie di persone considerate in maniera generale e astratta, ma esclusivamente nei confronti delle «società i cui impegni sono stati accettati dalla Commissione e i cui nominativi figurano nell’elenco di cui all’allegato della decisione di esecuzione 2013/707/UE».

63.

Concordo con la Commissione, quindi, quando fa valere che il Tribunale ha dunque commesso un errore di diritto qualificando le disposizioni in questione come atti aventi portata generale al punto 63 della sentenza impugnata.

64.

Ciononostante, ritengo che, in un caso specifico come quello della presente fattispecie, debba essere garantita la possibilità ad un operatore quale Jiangsu che, come risulta dai precedenti paragrafi da 45 a 47 e 50, non ha la possibilità di contestare tali disposizioni nell’ambito di un ricorso presentato ai sensi dell’articolo 263 TFUE di contestare la legittimità di tali disposizioni in via incidentale.

65.

In effetti, il principio generale, ricordato nella giurisprudenza menzionata al paragrafo 42, di cui è espressione l’articolo 277 TFUE, è volto a garantire a qualsiasi parte il diritto di contestare, al fine di ottenere l’annullamento di un atto che la concerne direttamente e individualmente, la validità di precedenti atti delle istituzioni, che costituiscono il fondamento giuridico dell’atto impugnato, qualora detta parte non avesse il diritto di proporre, in forza dell’articolo 263 TFUE, un ricorso diretto contro tali atti di cui essa subisce così le conseguenze senza averne potuto chiedere l’annullamento. Tale principio generale deve trovare a mio avviso applicazione in un caso come quello della presente fattispecie, come descritto al paragrafo precedente. Ne consegue che, nonostante l’errore di diritto menzionato al precedente paragrafo 63, la conclusione del Tribunale quanto alla possibilità per Jiangsu di contestare in via incidentale la legittimità delle disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità è a mio avviso corretta.

66.

Infine, in quinto luogo, la Commissione fa altresì valere, sempre in subordine, che il motivo unico di ricorso sollevato in primo grado da Jiangsu sarebbe inconferente in quanto sarebbe diretto contro disposizioni le quali non costituiscono la base giuridica del regolamento controverso. Tale regolamento si fonderebbe, infatti, sugli articoli 8 del regolamento antidumping di base e 13 del regolamento anti sovvenzioni di base. Inoltre, le istituzioni sostengono che il Tribunale ha male interpretato il motivo unico sollevato da Jiangsu nel senso che esso contiene un motivo diretto a far valere che il regolamento controverso viola direttamente le disposizioni pertinenti dei regolamenti di base, allorché detto ricorso non conterrebbe tale motivo. Il Tribunale avrebbe pertanto statuito ultra petita.

67.

Tali argomenti vanno respinti. Come risulta dall’analisi testuale del ricorso di primo grado, il motivo unico sollevato da Jiangsu dinanzi al Tribunale si fonda esplicitamente sulla violazione dell’articolo 8, paragrafi 1, 9 e 10 e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento di base antidumping e dell’articolo 13, paragrafi 1, 9 e 10 e dell’articolo 16, paragrafo 5 del regolamento di base antisovvenzioni, in connessione con un’eccezione di illegittimità sollevata nei confronti dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1239/2013. Ne consegue che il Tribunale non ha mal interpretato il ricorso di Jiangsu e non ha statuito ultra petita. Quanto al carattere inconferente dell’eccezione d’illegittimità, rilevo che, effettivamente vi è una certa sovrapposizione tra il motivo unico relativo alla violazione delle suddette disposizioni pertinenti dei regolamenti di base e detta eccezione. In effetti, l’accoglimento del motivo unico comporterebbe già, di per sé stesso, l’annullamento del regolamento controverso. Tuttavia, da un lato, le suddette disposizioni pertinenti dei regolamenti di base e le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità sono strettamente connesse, nel senso che – nella visione delle istituzioni la cui legittimità è contestata da Jiangsu – le seconde costituiscono attuazione delle prime, attuazione che trova espressione concreta nel regolamento controverso. In tale contesto è quindi chiaro che Jiangsu abbia sollevato un’eccezione di illegittimità nei confronti di tali disposizioni. Dall’altro, è altresì indubbio che la semplice constatazione incidentale dell’illegittimità delle disposizioni dei regolamenti nn. 1238/2013 e 1239/2013 oggetto dell’eccezione d’illegittimità per violazione delle suddette disposizioni dei regolamenti di base comporterebbe l’annullamento del regolamento controverso nei confronti di Jiangsu. Ne consegue che, a mio avviso, la suddetta eccezione non è inconferente.

68.

Consegue da tutto quanto precede che i primi motivi d’impugnazione sollevati dalle istituzioni devono essere respinti.

B.   Sui motivi d’impugnazione relativi al merito

69.

Con il secondo, terzo e quarto motivo d’impugnazione sollevati dalla Commissione e con il secondo motivo d’impugnazione sollevato dal Consiglio, le istituzioni contestano nel merito il ragionamento che ha portato il Tribunale ad annullare l’articolo 2 del regolamento controverso nei confronti di Jiangsu. Tali motivi possono essere suddivisi in due parti.

1. Sui motivi relativi alla violazione dei regolamenti di base

70.

Il secondo e terzo motivo d’impugnazione della Commissione e la prima parte del secondo motivo d’impugnazione del Consiglio sono diretti contro la parte della sentenza impugnata (punti da 115 a 152) in cui il Tribunale ha concluso che i regolamenti di base non costituivano un fondamento giuridico sufficiente per l’adozione dell’articolo 2 del regolamento controverso.

a) La sentenza impugnata

71.

Nella sentenza impugnata il Tribunale ha rilevato, ai punti da 115 a 118, che alla situazione del caso di specie non erano applicabili né le disposizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 10, del regolamento antidumping di base e all’articolo 13, paragrafo 10, del regolamento antisovvenzioni di base, né quelle di cui all’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base e all’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base.

72.

Il Tribunale ha considerato che tali disposizioni erano le uniche a disciplinare, nei regolamenti di base, la questione dell’imposizione nel tempo dei dazi antidumping e antisovvenzioni che sarebbero stati dovuti in assenza di un impegno nel frattempo violato o revocato e che la situazione del caso di specie non corrispondeva a nessuna delle ipotesi espressamente previste dai regolamenti di base al riguardo. In tali circostanze occorreva valutare se non sussistesse alcun’altra base giuridica per l’adozione dell’articolo 2 del regolamento controverso ( 35 ).

73.

Il Tribunale ha poi considerato che emerge dall’impianto sistematico e dalle finalità dei regolamenti di base, da un lato, che il legislatore ha inteso legiferare in merito alle procedure che possono essere utilizzate al fine di trarre le conseguenze di una revoca dell’accettazione di un impegno da parte della Commissione e, dall’altro, che tale intenzione del legislatore si è realizzata mediante le suddette (due coppie di) disposizioni menzionate al precedente paragrafo 71. Il Tribunale ha pertanto escluso che si potesse fondare su altre disposizioni dei regolamenti di base il potere delle istituzioni dell’Unione di esigere, nell’ambito del potere di attuazione dei regolamenti di base, il pagamento da parte delle società interessate di tutti i dazi dovuti per le operazioni coperte dalle fatture corrispondenti all’impegno nel frattempo annullate ( 36 ).

74.

In particolare al punto 138 della sentenza impugnata il Tribunale ha escluso che sia possibile evincere un siffatto potere dai termini dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base, conformemente ai quali i dazi si applicano automaticamente a seguito della revoca dell’accettazione di impegni. Secondo il Tribunale, una siffatta applicazione automatica sarebbe prevista esclusivamente nei limiti espressamente fissati dalle disposizioni dei regolamenti di base menzionate al precedente paragrafo 71. Ai successivi punti da 139 a 151 della sentenza impugnata, il Tribunale ha poi respinto gli altri argomenti sollevati dalle istituzioni.

b) Argomenti delle parti

75.

Le istituzioni contestano l’interpretazione delle disposizioni pertinenti dei regolamenti di base effettuata dal Tribunale e la conclusione secondo cui non vi sarebbe alcuna base giuridica in tali regolamenti per la riscossione dei dazi sulle importazioni effettuate in violazione dell’impegno prima del suo ritiro formale. In particolare, il Tribunale avrebbe completamente ignorato i cambiamenti apportati al sistema di impegni risultanti dalle modifiche introdotte con il regolamento n. 461/2004 ( 37 ).

76.

In primo luogo ( 38 ), le istituzioni contestano al Tribunale di aver commesso errori di diritto nella parte in cui ha qualificato, nella presente fattispecie, la riscossione dei dazi sulle suddette importazioni come «retroattiva». Da un lato, il Tribunale non fornirebbe alcuna motivazione riguardo a tale supposta retroattività. Dall’altro, tale supposizione violerebbe la nozione di retroattività quale interpretata nella giurisprudenza ( 39 ) e costituirebbe una violazione dell’articolo 10, paragrafi 1, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base.

77.

In secondo luogo, la Commissione, sostenuta dal Consiglio ( 40 ), fa valere che la sentenza impugnata è viziata da errori di diritto riguardo all’interpretazione dell’articolo 8, paragrafi 1, 9 e 10, e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, nonché dell’articolo 13, paragrafi 1, 9 e 10, e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base. Tali disposizioni dei regolamenti di base, come risultanti dalle modifiche apportate alla normativa antidumping mediante il regolamento n. 461/2004, apporterebbero un fondamento giuridico sufficiente per la riscossione di dazi sulle importazioni per le quali è stata accertata la violazione dell’impegno.

78.

Jiangsu contesta tali motivi d’impugnazione. In primo luogo, il regolamento controverso imporrebbe dei dazi retroattivamente andando oltre quanto consentito dai regolamenti di base. Il Tribunale avrebbe pertanto giustamente concluso che tali regolamenti non costituiscono una base giuridica sufficiente per l’adozione delle disposizioni del regolamento controverso.

79.

In secondo luogo, in caso di violazione dei termini di un impegno risulterebbe dai paragrafi 9 degli articoli 8 e 13 rispettivamente del regolamento antidumping di base e del regolamento antisovvenzioni di base che i dazi che non si applicavano come conseguenza dell’accettazione dell’impegno si applicano automaticamente alle importazioni effettuate dalla data in cui l’impegno è stato ritirato e non ad importazioni anteriori. Secondo Jiangsu, come considerato dal Tribunale, nel sistema creato dai regolamenti di base, i dazi per violazioni degli impegni non possono essere imposti retroattivamente al di fuori dei limiti procedurali fissati dalle diposizioni menzionate al precedente paragrafo 71. Il diritto dell’Unione non autorizzerebbe in nessun modo la Commissione a invalidare le fatture e a ordinare alle autorità doganali di riscuotere i dazi retroattivamente sulle precedenti importazioni immesse in libera pratica in assenza di registrazione e di imposizione di dazi provvisori. Secondo Jiangsu, le modifiche apportate nel 2004 avevano esclusivamente lo scopo, da un lato, di consentire la revoca di un impegno e l’applicazione del dazio mediante un unico atto giuridico ponendo fine al gravoso doppio procedimento in vigore in precedenza che prevedeva l’intervento sia della Commissione che del Consiglio e, dall’altro, quello di fissare scadenze obbligatorie per il completamento delle indagini su presunte violazioni degli impegni.

c) Analisi giuridica

80.

In via preliminare occorre rammentare che nel sistema degli impegni creato dall’articolo 8 del regolamento antidumping di base e dall’articolo 13 del regolamento antisovvenzioni di base, risulta dal paragrafo 1 di tali articoli che, qualora sia stata accertata in via provvisoria l’esistenza, rispettivamente di un dumping o di una sovvenzione e di un pregiudizio, la Commissione può accettare l’offerta d’impegno di un esportatore, sempreché essa ritenga che il pregiudizio sia in tal modo eliminato ( 41 ).

81.

Gli effetti dell’accettazione dell’impegno sono disciplinati esplicitamente al comma 2 delle stesse disposizioni. Tali comma prevedono che, in tal caso, e per tutto il periodo in cui hanno effetto gli impegni, i dazi provvisori istituiti dalla Commissione, o, se del caso, i dazi definitivi, non si applicano alle relative importazioni del prodotto interessato fabbricato dalle società indicate nella decisione della Commissione con la quale si accettano gli impegni ( 42 ).

82.

Il paragrafo 9 dei suddetti articoli dei regolamenti di base disciplina le situazioni di violazione o di revoca di un impegno a opera di una delle parti che lo hanno assunto, o di revoca dell’accettazione dell’impegno da parte della Commissione. Tali disposizioni prevedono che, in tali casi, l’accettazione dell’impegno è revocata dalla Commissione e si applicano (automaticamente) ( 43 ) i dazi (antidumping o compensativi) provvisori, o caso pertinente nella nostra fattispecie, definitivi istituiti dalla Commissione.

83.

Tali disposizioni dei regolamenti di base, nella loro forma attuale, risultano da una riforma attuata con il citato regolamento n. 461/2004.

84.

Nelle presenti cause, la questione centrale riguarda la portata esatta degli effetti della revoca dell’accettazione dell’impegno operata dalla Commissione, in particolare in caso di violazione di questo da parte dell’impresa che lo ha assunto. Tale questione impone di chiarire la portata delle disposizioni, contenute negli articoli 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base, secondo cui, in un caso di tal genere il dazio (antidumping e compensativo) definitivo istituito dalla Commissione «si applica» automaticamente. Il chiarimento della portata di tali disposizioni è volto a determinare se, a seguito di tale revoca i dazi definitivi già istituiti si applichino ab initio alle importazioni dell’esportatore corrispondenti all’impegno violato effettuate sin dal momento di istituzione del dazio definitivo (tesi delle istituzioni) o solo alle importazioni effettuate successivamente alla revoca formale dell’impegno (tesi di Jiangsu, accolta dal Tribunale).

85.

La questione ha un’incidenza fondamentale sulla disposizione impugnata del regolamento controverso, ossia l’articolo 2, in quanto nel caso in cui, come sostenuto da Jiangsu, i dazi antidumping e compensativi definitivi si applichino unicamente per il futuro, vale a dire solo per le importazioni effettuate a partire dal momento in cui la Commissione ha revocato l’accettazione dell’impegno, la Commissione non avrebbe potuto annullare le fatture corrispondenti all’impegno riguardanti le importazioni antecedenti alla revoca e non avrebbe potuto, in assenza di base giuridica al riguardo, ordinare la riscossione dei dazi antidumping e compensativi quali istituiti nei regolamenti nn. 1238/2013 e 1239/2013.

86.

In tale contesto occorre dunque interpretare specificamente le disposizioni, contenute negli articoli 8, paragrafo 9 del regolamento antidumping di base e 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base. Al riguardo occorre rammentare che, secondo giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione si deve tenere conto non solo dei suoi termini, ma anche del contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte ( 44 ) Anche la genesi di una disposizione del diritto dell’Unione può fornire elementi rilevanti per la sua interpretazione ( 45 ).

87.

Da un punto di vista letterale, la lettura delle disposizioni in causa non permette di risolvere in modo decisivo la questione centrale menzionata al precedente paragrafo 84, ossia se, a seguito della revoca dell’accettazione dell’impegno, i dazi definitivi si applichino ab initio oppure si applichino solo alle importazioni successive alla revoca. Tali disposizioni infatti si limitano a enunciare che i dazi si applicano (automaticamente), senza altre specificazioni.

88.

Da un punto di vista letterale, tuttavia, una lettura congiunta tra le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 4, (che prevede che la Commissione «istituisce» il dazio definitivo), dell’articolo 8, paragrafo 1, secondo comma (che prevede che per tutto il periodo in cui ha effetto l’impegno, i dazi definitivi «non si applicano» alle relative importazioni), nonché dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base (che dispone che in caso di revoca dell’accettazione dell’impegno il dazio si «applica automaticamente») appare assolutamente compatibile con un’interpretazione secondo cui l’applicazione del dazio definitivo inizialmente «istituito» sarebbe sospesa in ragione dell’accettazione dell’impegno («non si applica»). In caso di revoca dell’accettazione per violazione di tale impegno, tale sospensione non sarebbe più giustificata per le importazioni in relazione con la violazione, a cui quindi si applica automaticamente il dazio già istituito, la cui applicazione era sospesa. Lo stesso ragionamento vale per le corrispondenti disposizioni del regolamento antisovvenzioni di base.

89.

È opportuno poi soffermarsi brevemente sulla genesi di tali disposizioni, su cui le parti hanno ampiamente discusso. Come già detto, le versioni pertinenti nelle presenti cause delle disposizioni contenute negli articoli 8, paragrafi 1 e 9 del regolamento antidumping di base e 13, paragrafi 1 e 9, del regolamento antisovvenzioni di base risultano dalla riforma attuata attraverso il regolamento n. 461/2004.

90.

In tale contesto rileva il considerando 18 del regolamento n. 461/2004 il quale contiene elementi interpretativi pertinenti in relazione alle disposizioni introdotte da tale regolamento e in seguito confermate in versioni successive dei regolamenti di base ( 46 ).

91.

Da tale considerando risulta che la riforma aveva come obiettivo quello di semplificare una procedura tortuosa che, in caso di revoca dell’accettazione dell’impegno, prevedeva l’adozione di due atti giuridici, uno della Commissione (la revoca) e uno del Consiglio (l’istituzione dei dazi).

92.

Tuttavia, da una lettura attenta di tale considerando emerge che effettivamente la riforma ha dato luogo a un cambiamento sostanziale. Mentre nel sistema antecedente, a seguito della revoca dell’accettazione dell’impegno, il dazio veniva «istituito nuovamente» dal Consiglio, nel sistema post-riforma il dazio è già esistente ed è la sua mera applicazione che viene riconosciuta con il nuovo atto unico della Commissione. Ne consegue che mentre nel sistema antecedente era chiaro che il dazio – il quale doveva essere istituito e quindi non esisteva al momento della revoca dell’accettazione dell’impegno –non poteva essere oggettivamente applicato alle importazioni effettuate anteriormente a tale revoca (non essendo neanche istituito), nel sistema post-riforma ciò non è più il caso. Nel sistema post-riforma, il dazio esiste già ed è la sua mera applicazione che a seguito della revoca dell’accettazione dell’impegno, è riconosciuta da tale atto unico.

93.

Ne consegue che la genesi delle disposizioni in questione non solo appare compatibile con l’interpretazione di tali disposizioni menzionata al precedente paragrafo 88, ma appare piuttosto militare a favore di una tale interpretazione.

94.

Per ciò che riguarda poi l’analisi del contesto in cui le disposizioni in questione si collocano, esso ha giocato un ruolo fondamentale nell’analisi effettuata dal Tribunale. Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha, infatti, basato la sua conclusione riguardo all’assenza di base giuridica nei regolamenti di base per l’adozione dell’articolo 2 del regolamento controverso essenzialmente sulla constatazione che la questione sollevata nel caso di specie – ossia, a suo avviso, «l’imposizione dei dazi antidumping e antisovvenzioni che sarebbero stati dovuti in assenza di un impegno nel frattempo violato o revocato» – sarebbe esclusivamente disciplinata dalle disposizioni dei regolamenti di base menzionate ai precedenti paragrafi 71 ossia gli articoli 8, paragrafo 10, e 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base e gli articoli 13, paragrafo 10, e 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base ( 47 ). È su tale base che il Tribunale ha poi rigettato, al punto 138 della sentenza impugnata, l’interpretazione delle disposizioni in causa menzionata al precedente paragrafo 88.

95.

Il ragionamento sviluppato al riguardo dal Tribunale tuttavia non mi convince.

96.

A tal proposito, osservo, innanzitutto, che la conclusione cui è giunto il Tribunale, non trova, a mio avviso alcun fondamento nei considerando dei regolamenti di base menzionati ai punti da 133 a 136 della sentenza impugnata. In primo luogo, come fatto valere a giusto titolo dalla Commissione tali considerando non possono riferirsi alle modifiche introdotte con la riforma attuata con il regolamento n. 461/2004 in quanto essi erano già presenti nei regolamenti di base prima di tale riforma. Parti di essi invece si riferiscono alle disposizioni menzionate al precedente paragrafo 94 e forniscono chiavi d’interpretazione al riguardo.

97.

Per ciò che riguarda l’articolo 8, paragrafo 10, del regolamento antidumping di base e il corrispondente articolo 13, paragrafo 10, del regolamento antisovvenzioni di base, come risulta dai considerando rispettivamente 14 e 12 dei regolamenti di base, essi si applicano esplicitamente in due casi: in caso di «sospetta inosservanza degli impegni» oppure «qualora sia necessaria un’inchiesta supplementare per completare le risultanze». Tali disposizioni permettono in detti casi di imporre dazi provvisori. Contrariamente a quanto statuito dal Tribunale, esse non disciplinano l’applicazione retroattiva dei dazi antidumping e antisovvenzioni che sarebbero stati dovuti in assenza di un impegno nel frattempo violato e revocato ( 48 ). Si tratta semplicemente di disposizioni che, nelle due succitate situazioni, permettono di imporre misure provvisorie a titolo, si potrebbe dire, «cautelare». A riprova della circostanza che dette disposizioni non disciplinano l’applicazione retroattiva dei dazi sta il fatto che esse non si trovano negli articoli dei regolamenti dedicati alla retroattività, ossia l’articolo 10 del regolamento antidumping di base e l’articolo 16 del regolamento antisovvenzioni di base. Ne consegue che, contrariamente a quanto considerato dal Tribunale, tali disposizioni non possono realizzare «l’intenzione del legislatore di legiferare in merito alle procedure che possono essere utilizzate al fine di trarre le conseguenze di una revoca dell’accettazione dell’impegno» ( 49 ).

98.

Le disposizioni di cui all’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base e del corrispondente articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base disciplinano invece esplicitamente l’applicazione retroattiva dei dazi in caso di violazione o di revoca dell’impegno. Tali disposizioni permettono, in via eccezionale ed in ragione della violazione o della revoca dell’impegno, di applicare in via retroattiva i dazi definitivi, ad importazioni effettuate prima dell’imposizione dei dazi provvisori, con un limite di 90 giorni e a condizione che dette importazioni siano state registrate. Tali disposizioni permettono pertanto in via eccezionale in ragione della violazione o della revoca dell’impegno di applicare i dazi definitivi non solo prima del momento della loro imposizione, ma ben prima, addirittura 90 giorni prima dell’applicazione dei dazi provvisori. Ne consegue che tali disposizioni non solo non ostano all’interpretazione degli articoli 8, paragrafi 1 e 9 del regolamento antidumping di base e 13, paragrafi 1 e 9, del regolamento antisovvenzioni di base menzionata al precedente paragrafo 88, ma sembrano piuttosto militare a favore di tale interpretazione. In effetti, esse permettono, in caso di violazione o revoca dell’impegno, l’applicazione retroattiva dei dazi definitivi ad un momento ben anteriore rispetto al momento della loro imposizione. Da un punto di vista sistematico ne consegue che a fortiori i suddetti paragrafi 1 e 9 dovrebbero essere interpretati nel senso che, in caso di violazione dell’impegno, i dazi definitivi devono essere considerati applicabili sin dal momento della loro imposizione.

99.

Consegue dalle considerazioni che precedono che è inficiata da errori di diritto l’interpretazione degli articoli 8, paragrafo 10, e 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base e gli articoli 13, paragrafo 10, e 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base contenuta ai punti 130, 137, 138, 141 e 144 della sentenza impugnata.

100.

Ciò detto, l’argomento che mi fa propendere in maniera decisiva per l’interpretazione degli articoli 8, paragrafi 1 e 9 del regolamento antidumping di base e 13, paragrafi 1 e 9, del regolamento antisovvenzioni di base nel senso di quella menzionata al precedente paragrafo 88 è quello teleologico.

101.

Ritengo che l’interpretazione di tali disposizioni proposta da Jiangsu e accolta dal Tribunale abbia come conseguenza la perdita di effetto utile del sistema degli impegni previsto dai regolamenti di base, riducendo in modo sostanziale le conseguenze economiche per le imprese che assumono l’impegno in caso di una sua violazione. In tal caso dette imprese subirebbero conseguenze esclusivamente per il futuro e non per il passato. Un’interpretazione di tal genere riduce sostanzialmente l’effetto deterrente che le conseguenze negative per la violazione dell’impegno dovrebbe esercitare sulle imprese che lo offrono e quindi riduce fortemente i loro incentivi a rispettare gli impegni. Quale interesse può avere un’impresa a rispettare un impegno se essa sa che se lo viola in ogni caso non subirà alcuna conseguenza per il passato?

102.

Sono pertanto in disaccordo con quanto afferma il Tribunale al punto 151 della sentenza impugnata, facendo proprio un argomento di Jiangsu ( 50 ), secondo cui il ritiro dell’impegno sarebbe, di per sé, una sanzione sufficientemente importante per la violazione di questo. Al contrario, concordo con la Commissione quando sostiene che, nella presente fattispecie, il produttore‑esportatore e l’importatore sono stati pienamente consapevoli della violazione, e che quindi non vi è motivo di tutelarli contro l’imposizione di dazi.

103.

Del resto, la giurisprudenza ha già chiaramente evidenziato, da un lato, che l’obiettivo fondamentale perseguito dalle disposizioni dei regolamenti di base in materia di impegni è quello di garantire l’eliminazione del pregiudizio causato dal dumping subìto dall’industria dell’Unione, e, dall’altro, che tale obiettivo si basa principalmente sull’obbligo di collaborazione dell’esportatore così come sul controllo del corretto adempimento dell’impegno sottoscritto da quest’ultimo, nel contesto della relazione di fiducia su cui è fondata l’accettazione di un siffatto impegno da parte della Commissione ( 51 ).

104.

Un’interpretazione delle disposizioni dei regolamenti di base che, riducendo sensibilmente le conseguenze in caso di violazione dell’impego assunto, riduce sostanzialmente gli incentivi a adempiere all’impegno sottoscritto e a collaborare nel contesto di una relazione di fiducia con la Commissione è pertanto, secondo me, incompatibile con la suddetta giurisprudenza.

105.

Risulta da tutto quanto precede che, a mio avviso, le disposizioni di cui all’articolo 8, paragrafi 1, secondo comma e 9 del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13, paragrafi 1, secondo comma e 9 del regolamento antisovvenzioni di base devono essere interpretate nel senso che i dazi antidumping o compensativi definitivi istituiti, rispettivamente ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 4 del regolamento antidumping di base o ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base sono sospesi relativamente alle importazioni corrispondenti all’impegno in ragione dell’accettazione da parte della Commissione dell’impegno. In caso di revoca da parte della Commissione dell’accettazione per violazione dell’impegno, tale sospensione non risulta più giustificata per le importazioni in relazione con la violazione, a cui quindi si applica automaticamente il dazio già istituito, la cui applicazione era sospesa. Consegue da ciò che la revoca dell’accettazione dell’impegno, a seguito della sua violazione, ha l’effetto di rendere automaticamente applicabili i dazi definitivi inizialmente istituiti alle importazioni corrispondenti all’impegno violato, di modo che diventano automaticamente dovuti ab initio i dazi antidumping e compensativi definitivi concernenti tali importazioni.

106.

Tale interpretazione non viene a mio avviso rimessa in discussione dall’argomento sollevato da Jiangsu secondo cui se essa dovesse essere accolta, la riscossione ab initio dei dazi definitivi dopo la revoca dell’impegno sarebbe possibile non solo nei casi di violazione dell’impegno da parte dell’impresa, ma anche qualora la Commissione decidesse, nel quadro dell’ampio potere discrezionale riconosciutole dalla giurisprudenza, di revocare l’impegno per altri motivi, come ad esempio nel caso in cui esso non fosse più praticabile, o addirittura nel caso in cui fosse il produttore-esportatore che desidera revocare l’impegno.

107.

A tale riguardo rilevo che, benché, come risulta dalla giurisprudenza ( 52 ), la Commissione disponga di potere discrezionale per determinare se occorra o meno revocare l’accettazione dell’impegno, emerge dalla stessa giurisprudenza che tale potere discrezionale deve essere esercitato conformemente al principio di proporzionalità. Ciò implica che le conseguenze (negative) dell’esercizio di tale potere devono essere proporzionate all’interesse per cui tale potere è esercitato. Nel caso di specie, come risulta dalle considerazioni menzionate ai precedenti paragrafi da 101 a 104, sarebbe proporzionata la riscossione ab initio dei dazi definitivi sulle importazioni corrispondenti all’impegno violato, in ragione della violazione di questo da parte dell’impresa che lo ha offerto.

108.

In conclusione, risulta da tutto quanto precede, in primo luogo, che, alla luce dell’interpretazione proposta al precedente paragrafo 105, nel caso di specie, a seguito della revoca dell’accettazione dell’impegno offerto da Jiangsu in ragione della sua violazione non vi è stata alcuna applicazione retroattiva dei dazi antidumping e compensativi definitivi. Ne consegue che sono inficiati da errori di diritto i punti da 129 a 132, 138 e 141 della sentenza impugnata e che devono essere accolti il secondo motivo d’impugnazione della Commissione e la prima parte del secondo motivo d’impugnazione del Consiglio.

109.

In secondo luogo, la sentenza impugnata è viziata da errori di diritto riguardo all’interpretazione dell’articolo 8, paragrafi 1, 9 e 10, e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, nonché dell’articolo 13, paragrafi 1, 9 e 10, e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base e deve pertanto essere altresì accolto il terzo motivo d’impugnazione sollevato dalla Commissione.

2. Sui motivi d’impugnazione relativi all’eccezione di illegittimità

110.

Con il quarto motivo d’impugnazione sollevato dalla Commissione e con la seconda parte del secondo motivo sollevato dal Consiglio, le istituzioni contestano i punti da 153 a 158 della sentenza impugnata in cui il Tribunale ha accolto l’eccezione d’illegittimità proposta da Jiangsu avverso l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1239/2013, dichiarando dette disposizioni inapplicabili al caso di specie. In particolare al punto 157 di tale sentenza il Tribunale ha fondato tale accoglimento su due argomenti riferendosi al ragionamento esposto ai punti da 128 a 140 della stessa sentenza.

111.

Con un primo argomento il Tribunale ha considerato che le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità non rientrino nei casi previsti dalle disposizioni indicate al precedente paragrafo 94, le quali disciplinerebbero in via esclusiva l’imposizione dei dazi antidumping e antisovvenzioni che sarebbero stati dovuti in assenza di un impegno nel frattempo violato o revocato. Al riguardo, tuttavia, risulta dai precedenti paragrafi da 95 a 99 che tale analisi del Tribunale è, a mio avviso, viziata da errori di diritto. Ne consegue che essa non può stare a fondamento dell’eccezione di illegittimità. Per le stesse ragioni deve essere altresì respinto il secondo argomento sviluppato nello stesso punto della sentenza impugnata fondato sull’economia generale dei regolamenti di base. Tale argomento si basa anch’esso sull’analisi precedentemente effettuata dal Tribunale, viziata da errori di diritto.

112.

Ritengo, invece che, come fatto valere dalla Commissione, l’autorizzazione ad adottare le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità rientri nell’ambito del potere di fissare nel regolamento istitutivo dei dazi antidumping o compensativi gli «altri elementi» relativi alla riscossione di tali dazi, come previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base, nonché dall’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base, come interpretati dalla giurisprudenza ( 53 ).

113.

Risulta da tutto ciò che precede che il quarto motivo d’impugnazione sollevato dalla Commissione e la seconda parte del secondo motivo sollevato dal Consiglio, devono essere accolti e che pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata nella sua integralità.

VI. Sul ricorso di primo grado

114.

Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, la Corte stessa può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta.

115.

Ritengo che ciò sia il caso nella presente situazione. Risulta infatti da tutte le considerazioni svolte ed in particolare dall’interpretazione degli articoli 8, paragrafi 1 e 9 del regolamento antidumping di base e 13, paragrafi 1 e 9, del regolamento antisovvenzioni di base che ho proposto al precedente paragrafo 105, che, contrariamente a quanto statuito dal Tribunale, il motivo unico sollevato da Jiangsu in primo grado relativo alla violazione dell’articolo 8, paragrafi 1, 9 e 10 e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento di base antidumping e dell’articolo 13, paragrafi 1, 9 e 10 e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento di base antisovvenzioni, fondato sull’eccezione di illegittimità sollevata nei confronti dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1239/2013 deve essere respinto.

VII. Sulle spese

116.

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è accolta e la Corte statuisce definitivamente sulla controversia, la stessa statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, di tale regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In tali circostanze, poiché la Commissione e il Consiglio ne hanno chiesto la condanna alle spese, propongo alla Corte di condannare Jiangsu, parte soccombente, alle spese sostenute in primo grado e nel presente giudizio di impugnazione dalla Commissione e dal Consiglio.

VIII. Conclusione

117.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea dell’8 luglio 2020, Jiangsu Seraphim Solar System/Commissione (T‑110/17, EU:T:2020:315), è annullata;

il ricorso proposto da Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd dinanzi al Tribunale nella causa T‑110/17 è respinto;

Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd è condannata alle spese sostenute dalla Commissione europea e dal Consiglio dell’Unione europea in primo grado, nonché nel giudizio di impugnazione.


( 1 ) Lingua originale: l’italiano.

( 2 ) Le due cause in questione sono state riunite con decisione del presidente della Corte del 7 gennaio 2021.

( 3 ) Regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 della Commissione, del 7 dicembre 2016, che revoca l’accettazione dell’impegno per due produttori esportatori a norma della decisione di esecuzione 2013/707/UE, relativa alla conferma dell’accettazione di un impegno offerto in relazione ai procedimenti antidumping e antisovvenzioni relativi alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese per il periodo di applicazione di misure definitive (GU 2016, L 333, pag. 4).

( 4 ) GU 2016, L 176, pag. 21.

( 5 ) GU 2016, L 176, pag. 55.

( 6 ) Inoltre, le disposizioni pertinenti dei regolamenti di base sono sostanzialmente identiche a quelle di cui, rispettivamente, al regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51, e rettifica in GU 2016, L 44, pag. 20), applicabile alla data dell’istituzione dei dazi antidumping in questione, nonché al regolamento (CE) n. 597/2009 del Consiglio, dell’11 giugno 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 188, pag. 93), applicabile alla data dell’istituzione dei dazi compensativi in questione. Di conseguenza, ai fini dell’esame delle presenti impugnazioni, come nella sentenza impugnata, si farà riferimento ai regolamenti di base, salvo che i regolamenti nn. 1225/2009 e 597/2009 ne divergano o se il contesto lo richieda.

( 7 ) V. riferimenti al punto 2 della sentenza impugnata.

( 8 ) Decisione 2013/423/UE, del 2 agosto 2013, che accetta un impegno offerto nell’ambito del procedimento antidumping relativo alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 209, pag. 26).

( 9 ) Regolamento di esecuzione (UE) n. 1238/2013, che istituisce un dazio antidumping definitivo e riscuote definitivamente il dazio provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle loro componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 325, pag. 1).

( 10 ) Regolamento di esecuzione (UE) n. 1239/2013, che istituisce un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e dei relativi componenti chiave (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 325, pag. 66).

( 11 ) V. supra nota 6.

( 12 ) Decisione di esecuzione 2013/707/UE, del 4 dicembre 2013, relativa alla conferma dell’accettazione di un impegno offerto in relazione ai procedimenti antidumping e antisovvenzioni relativi alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese per il periodo di applicazione di misure definitive (GU 2013, L 325, pag. 214).

( 13 ) V., inter alia, sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association (C‑465/16 P, EU:C:2019:155, punto 69 e giurisprudenza citata).

( 14 ) Per esempi di casi dinanzi ai giudici dell’Unione riguardanti questioni connesse all’annullamento di fatture, vedi, inter alia, sentenza del 21 ottobre 2021, Wilo Salmson France (C‑80/20, EU:C:2021:870) o sentenza del Tribunale del 2 ottobre 2014, Spraylat/ECHA (T‑177/12, EU:T:2014:849, in particolare, punto 21).

( 15 ) V. considerando 32 e, a contrario, l’ultima frase del considerando 33 del regolamento controverso.

( 16 ) Il Tribunale si riferisce alla sentenza del 9 settembre 2010, Usha Martin/Consiglio e Commissione (T‑119/06, EU:T:2010:369), confermata in sede di impugnazione con sentenza del 22 novembre 2012 (Usha Martin/Consiglio e Commissione, C‑552/10 P, EU:C:2012:736).

( 17 ) V., inter alia, sentenze del 17 settembre 2015, Mory e a./Commissione (C‑33/14 P, EU:C:2015:609, punti 5556 e giurisprudenza ivi citata) e del 27 marzo 2019, Canadian Solar Emea e a./Consiglio (C‑236/17 P, EU:C:2019:258, punti 9192 e giurisprudenza ivi citata, in prosieguo: la «sentenza Canadian Solar»).

( 18 ) Risulta, infatti, dalla giurisprudenza che, se dalla motivazione di una sentenza del Tribunale risulta una violazione del diritto dell’Unione, ma il dispositivo della medesima sentenza appare fondato per altri motivi di diritto, una violazione siffatta non è idonea a determinare l’annullamento di tale sentenza ed occorre procedere ad una sostituzione della motivazione. V., inter alia, sentenza dell’11 maggio 2017, Dyson/Commissione (C‑44/16 P, EU:C:2017:357, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

( 19 ) V. punto 64 della sentenza impugnata.

( 20 ) Sentenza del 9 novembre 2017, SolarWorld/Consiglio (C‑205/16 P, EU:C:2017:840, in prosieguo: la «sentenza SolarWorld») e sentenza Canadian Solar Emea, citata alla nota 17 supra.

( 21 ) V., sentenze del 6 marzo 1979, Simmenthal/Commissione (92/78, EU:C:1979:53, punto 39) e, da ultimo, del 17 dicembre 2020, BP/FRA (C‑601/19 P, non pubblicata, EU:C:2020:1048, punto 26 e giurisprudenza citata).

( 22 ) V., inter alia, sentenza del 15 febbraio 2001, Nachi Europe (C‑239/99, EU:C:2001:101, punto 37), nonché l’altra giurisprudenza citata al punto 56 della sentenza impugnata.

( 23 ) Sulla necessaria differenza negli effetti tra constatazione incidentale dell’illegittimità e sentenza di annullamento v. le pertinenti riflessioni contenute a pag. 195 delle conclusioni dell’avvocato generale Trabucchi nelle cause riunite Kortner e a./Consiglio e a. (da 15/73 a 33/73, 52/73, 53/73, da 57/73 a 109/73, 116/73, 117/73, 123/73, 132/73 e da 135/73 a 137/73, non pubblicate, EU:C:1973:164).

( 24 ) V. punti 44, 55 e 57 della sentenza SolarWorld. La Corte ha in particolare statuito, al punto 46 di tale sentenza, che il legislatore dell’Unione, in sede di adozione di tale regolamento, ha attuato misure di difesa commerciale che costituiscono un insieme o «pacchetto». Tale regolamento impone infatti due misure distinte e complementari, che mirano a un risultato comune, ossia l’eliminazione dell’effetto pregiudizievole sull’industria dell’Unione della sovvenzione cinese relativa ai prodotti in questione, preservando l’interesse di tale industria.

( 25 ) V. punto 38 della sentenza SolarWorld e giurisprudenza ivi citata.

( 26 ) V. punto 64 della sentenza Canadian Solar.

( 27 ) V., inter alia, sentenze del 17 settembre 2015, Mory e a./Commissione (C‑33/14 P, EU:C:2015:609, punto 56 e Canadian Solar (punti 91 e 92 e giurisprudenza ivi citata).

( 28 ) Proprio nella sentenza Canadian Solar, la Corte ha statuito che un motivo di annullamento è irricevibile a causa della mancanza di interesse ad agire qualora, anche supponendo che detto motivo sia fondato, l’annullamento dell’atto impugnato sulla base di tale motivo non sia idoneo a dare soddisfazione al ricorrente. V. punto 93 di tale sentenza e giurisprudenza ivi citata.

( 29 ) V. sentenza SolarWorld, punto 38 e giurisprudenza ivi citata.

( 30 ) Jiangsu evidenzia che la sentenza SolarWorld e Canadian Solar si riferivano in generale agli articoli 3 e 2 rispettivamente dei regolamenti nn. 1238/2013 e 1239/2013 e non specificamente alle disposizioni di cui ai paragrafi 2 di tali articoli, le quali tuttavia sarebbero separabili dal resto dell’articolo. Le istituzioni contestano tale lettura delle disposizioni in questione.

( 31 ) Al riguardo v., inter alia, sentenze del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 293 e giurisprudenza citata), nonché Solar World punto 38 e giurisprudenza citata.

( 32 ) V., in tal senso, sentenza del 28 giugno 1972, Jamet/Commissione (37/71, EU:C:1972:57, punti 1112) e conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Spagna/Consiglio (C‑442/04, EU:C:2008:58, paragrafo 83).

( 33 ) Al riguardo, oltre alla nota 23 supra, v., anche, conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Spagna/Consiglio (C‑442/04, EU:C:2008:58, paragrafo 83).

( 34 ) V. sentenza del 6 novembre 2018, Scuola Elementare Maria Montessori/Commissione e Commissione/Scuola Elementare Maria Montessori e Ferracci, (da C‑622/16 P a C‑624/16 P, EU:C:2018:873, punto 29 e giurisprudenza citata).

( 35 ) V. punti 119 e 130 della sentenza impugnata.

( 36 ) V. punti da 132 a 137 della sentenza impugnata.

( 37 ) Regolamento (CE) n. 461/2004 del Consiglio, dell’8 marzo 2004, che modifica il regolamento (CE) n. 384/96 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea e il regolamento (CE) n. 2026/97 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea (GU 2004, L 77, pag. 12).

( 38 ) V. secondo motivo d’impugnazione della Commissione e prima parte del secondo motivo d’impugnazione del Consiglio i quali sono diretti contro i punti 119, da 129 a 132, 138, da 140 a 147 e 151 della sentenza impugnata.

( 39 ) Le istituzioni si riferiscono alle sentenze del 15 marzo 2018, Deichmann (C‑256/16, EU:C:2018:187, punto 78) e sentenza del 19 giugno 2019, C & J Clark International (C‑612/16, non pubblicata, EU:C:2019:508, punti da 52 a 58).

( 40 ) V. terzo motivo d’impugnazione nella causa C‑439/20 diretto contro i punti 119, da 130 a 138, da 140 a 147 e 151 della sentenza impugnata.

( 41 ) L’impegno viene quindi in principio accettato prima che venga imposto il dazio antidumping o compensativo definitivo.

( 42 ) Il corsivo è mio.

( 43 ) In realtà solo l’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base utilizza l’avverbio «automaticamente».

( 44 ) V., inter alia, sentenza del 2 dicembre 2021, Commissione e GMB Glasmanufaktur Brandenburg/Xinyi PV Products (Anhui) Holdings (C‑884/19 P e C‑888/19 P, EU:C:2021:973, punto 70 e giurisprudenza citata).

( 45 ) V., da ultimo, sentenza del 2 giugno 2022, SR (Spese di traduzione in un procedimento civile) (C‑196/21, EU:C:2022:427, punto 33 e giurisprudenza citata).

( 46 ) Tale considerando enuncia che «[l]’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base [precedentemente in vigore] stabilisce, tra l’altro, che qualora una delle parti revochi un impegno, può essere imposto un dazio definitivo, a norma dell’articolo 9, in base ai fatti accertati nel corso dell’inchiesta nel cui ambito è stato accettato l’impegno. Questa disposizione ha determinato una duplice procedura dispendiosa in termini di tempo, consistente in una decisione della Commissione che revoca l’accettazione dell’impegno e un regolamento del Consiglio che istituisce nuovamente il dazio. Considerando che questa procedura non lascia alcuna discrezione al Consiglio riguardo all’istituzione di tale dazio o alla fissazione del suo livello, si considera opportuno modificare le disposizioni di cui all’articolo 8, paragrafi 1, 5 e 9, per mettere in chiaro la responsabilità della Commissione e per riunire la revoca di un impegno e l’applicazione del dazio in un unico atto giuridico». Ritengo pertanto erroneo il rigetto della pertinenza di tale considerando effettuato dal Tribunale al punto 144 della sentenza impugnata.

( 47 ) V. punti 130, 137 e 141 della sentenza impugnata.

( 48 ) V. punto 130 della sentenza impugnata.

( 49 ) V. punto 137 della sentenza impugnata.

( 50 ) V. punto 151 della sentenza impugnata che si riferisce al punto 125 della stessa.

( 51 ) V., con riferimento all’articolo 8 del regolamento antidumping di base, sentenza del 22 novembre 2012, Usha Martin/Consiglio e Commissione (C‑552/10 P, EU:C:2012:736, punto 36 in relazione con il punto 24).

( 52 ) V. sentenza del 22 novembre 2012, Usha Martin/Consiglio e Commissione (C‑552/10 P, EU:C:2012:736, punto 32).

( 53 ) V., riguardo all’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base, sentenza del 15 marzo 2018, Deichmann (C‑256/16, EU:C:2018:187, paragrafi da 57 a 60).

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