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Document 62019CC0478

    Conclusioni dell’avvocato generale G. Hogan, presentate il 25 febbraio 2021.
    UBS Real Estate Kapitalanlagegesellschaft mbH contro Agenzia delle Entrate.
    Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dalla Corte suprema di cassazione.
    Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione dei capitali – Fondi comuni di investimento chiusi – Fondi comuni di investimento aperti – Investimenti in beni immobili – Imposte ipotecarie e catastali – Vantaggio fiscale riservato ai soli fondi immobiliari chiusi – Differenza di trattamento – Comparabilità delle situazioni – Criteri obiettivi di differenziazione.
    Cause riunite C-478/19 e C-479/19.

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2021:148

     CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    GERARD HOGAN

    presentate il 25 febbraio 2021 ( 1 )

    Cause riunite C‑478/19 e C‑479/19

    UBS Real Estate Kapitalanlagegesellschaft mbH

    contro

    Agenzia delle Entrate

    (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione, Italia)

    «Rinvio pregiudiziale ‐ Libertà di stabilimento ‐ Articolo 43, paragrafo 1, CE ‐ Libera circolazione dei capitali ‐ Articolo 56, paragrafo 1, CE ‐ Imposte ipotecarie e catastali ‐ Agevolazioni fiscali limitate ai fondi di investimento immobiliare chiusi»

    I. Introduzione

    1.

    Con le presenti domande di pronuncia pregiudiziale, la Corte suprema di cassazione (Italia) chiede alla Corte di pronunciarsi in merito alla compatibilità con il diritto dell’Unione europea e, in particolare, con riferimento alle disposizioni dei Trattati sulla libera circolazione dei capitali e sulla libertà di stabilimento, della normativa italiana che limita a quelli che definirò fondi di investimento immobiliare «chiusi» la disponibilità di una riduzione della metà dell’imposta ipotecaria e catastale dovuta in caso di acquisto di immobili strumentali per conto di fondi di investimento immobiliare. La causa solleva ancora una volta questioni di restrizione della libera circolazione dei capitali in materia fiscale.

    2.

    Più precisamente, i rinvii pregiudiziali sono stati effettuati nell’ambito di un procedimento tra la UBS Real Estate Kapitalanlagegesellschaft mbH (in prosieguo: la «UBS Real Estate»), società di diritto tedesco costituita come società di gestione del risparmio per fondi comuni di investimento, e l’Agenzia delle Entrate (Italia). Detto procedimento riguarda ricorsi interposti dalla UBS Real Estate contro la decisione implicita di rifiuto dell’Agenzia delle Entrate circa il rimborso a due fondi di investimento tedeschi gestiti dalla suddetta società del costo delle imposte ipotecarie e catastali versate da detti fondi all’atto della registrazione dell’acquisizione di due complessi commerciali poiché questi, diversamente da quanto richiesto dal decreto-legge n. 223/2006 per beneficiare di una riduzione del 50% delle imposte ipotecarie e catastali dovute, non sono fondi di investimento chiusi, bensì fondi di investimento aperti.

    II. Contesto normativo

    A. Diritto dell’Unione

    3.

    All’epoca dei fatti in questione nel procedimento principale, il Trattato di Lisbona non era ancora entrato in vigore. Di conseguenza, sebbene alcune parti abbiano fatto riferimento alle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e queste disposizioni siano identiche a quelle preesistenti, è comunque necessario fare riferimento alle disposizioni del Trattato che istituisce la Comunità europea.

    4.

    Il diritto dell’Unione opera attualmente una distinzione tra due tipi di strumenti di investimento collettivi: organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) e organismi d’investimento collettivo e strumenti non qualificati come OICVM, ossia fondi d’investimento alternativi (FIA), disciplinati dalla direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi, che modifica le direttive 2003/41/CE e 2009/65/CE e i regolamenti (CE) n. 1060/2009 e (UE) n. 1095/2010 (in prosieguo: la «direttiva FIA») ( 2 ), nonché dal regolamento delegato (UE) n. 694/2014 della Commissione, del 17 dicembre 2013, che integra la direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione che stabiliscono le tipologie di gestori di fondi di investimento alternativi ( 3 ).

    5.

    Né la direttiva FIA né il regolamento delegato n. 694/2104 erano, tuttavia, applicabili all’epoca dei fatti in questione nel procedimento principale. Il regolamento delegato n. 694/2014 permette comunque di comprendere la differenza tra un fondo chiuso e un fondo aperto.

    6.

    Il suddetto regolamento delegato è stato emanato al fine di integrare le norme della [direttiva FIA] con norme tecniche di regolamentazione che determinano i tipi di gestori di fondi di investimento alternativi (in prosieguo: i «GEFIA»), in modo che alcuni requisiti della direttiva siano applicati in modo uniforme ( 4 ).

    7.

    Il considerando 2 di tale regolamento fornisce la seguente spiegazione:

    «Per applicare in modo corretto ai GEFIA le norme sulla gestione della liquidità e le procedure di valutazione previste dalla [direttiva FIA], è opportuno operare una distinzione fra i GEFIA a seconda che gestiscano fondi d’investimento alternativi (FIA) di tipo aperto o di tipo chiuso ovvero di entrambi i tipi».

    8.

    Il considerando 3 del regolamento n. 694/2014 stabilisce che:

    «Per stabilire se il GEFIA gestisca FIA di tipo aperto o di tipo chiuso è opportuno prendere a discriminante il fatto che il FIA di tipo aperto riacquista o rimborsa le quote o azioni degli investitori se lo chiede un qualunque azionista o detentore di quote, prima dell’avvio della fase di liquidazione o dello scioglimento e secondo le procedure e la frequenza stabilite nel regolamento o nei documenti costitutivi, nel prospetto o nella documentazione (…)».

    9.

    L’articolo 1, paragrafi da 1 a 3, di detto regolamento, che è l’unico articolo di merito, recita:

    «1.   Il GEFIA può appartenere ad una delle seguenti categorie o a entrambe:

    GEFIA di FIA di tipo aperto,

    GEFIA di FIA di tipo chiuso.

    2.   È considerato GEFIA di FIA di tipo aperto il GEFIA che gestisce un FIA le cui quote o azioni sono riacquistate o rimborsate, se lo chiede un qualunque azionista o detentore di quote, prima dell’avvio della fase di liquidazione o dello scioglimento, direttamente o indirettamente tramite le attività del FIA e secondo le procedure e la frequenza stabilite nel regolamento o nei documenti costitutivi, nel prospetto o nella documentazione promozionale.

    Per stabilire se il FIA sia o no di tipo aperto non è tenuto conto della riduzione del suo capitale collegata a distribuzioni previste nel regolamento o nei documenti costitutivi, nel prospetto o nella documentazione promozionale, compresa la riduzione autorizzata da una risoluzione degli azionisti o detentori di quote approvata in base a detto regolamento o documenti costitutivi, prospetto o documentazione promozionale.

    Il fatto che le quote o azioni del FIA possano essere negoziate sul mercato secondario e non siano riacquistate né rimborsate dal FIA stesso non è rilevante per stabilire se il FIA sia o no di tipo aperto.

    3.   È GEFIA di FIA di tipo chiuso il GEFIA che gestisce un FIA che non è del tipo descritto nel paragrafo 2».

    B. Diritto italiano

    1.   Decreto legislativo n. 347/1990

    10.

    Il decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 relativo alle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 347/1990») prevede che le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione eseguite nei pubblici registri immobiliari sono soggette ad imposta di trascrizione. La base imponibile è costituita dal valore degli immobili trasferiti o conferiti e l’aliquota è fissata all’1,6%.

    11.

    Il decreto legislativo n. 347/1990 specifica, inoltre, che il cambiamento del nome del titolare del diritto di proprietà o di un diritto reale su un immobile iscritto nei registri immobiliari è soggetto a una imposta di registro («imposta catastale»). Tale imposta, la cui aliquota è dello 0,4%, è proporzionale al valore dell’immobile.

    2.   Decreto ministeriale n. 228/1999

    12.

    Il decreto ministeriale n. 228, – Regolamento recante norme per la determinazione dei criteri generali cui devono essere uniformati i fondi comuni di investimento del 24 maggio 1999 ( 5 ) dispone che si intendono per fondi immobiliari i fondi che investono esclusivamente o prevalentemente in beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari.

    3.   Decreto-legge n. 223/2006

    13.

    L’articolo 35, rubricato «Misure di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale» del decreto-legge n. 223 – Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale, del 4 luglio 2006 ( 6 ), convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (in prosieguo: il «decreto-legge n. 223/2006»), prevede, al comma 10-ter:

    «Per le volture catastali e le trascrizioni relative alle cessioni di beni immobili strumentali (...), anche se assoggettati all’imposta sul valore aggiunto, di cui siano parte fondi immobiliari chiusi disciplinati dall’articolo 37 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, e dall’articolo 14-bis della legge 25 gennaio 1994, n. 86, ovvero imprese di locazione finanziaria, ovvero banche e intermediari finanziari (...), limitatamente all’acquisto ed al riscatto dei beni da concedere o concessi in locazione finanziaria, le aliquote delle imposte ipotecaria e catastale, come modificate dal comma 10-bis, del presente articolo, sono ridotte della metà. L’efficacia della disposizione di cui al periodo precedente decorre dal 1o ottobre 2006».

    4.   Decreto legislativo n. 58/1998

    14.

    Il decreto legislativo n. 58/1998 – Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, del 24 febbraio 1998 ( 7 ), nella versione in vigore alla data in cui sono state effettuate le due operazioni oggetto del procedimento principale, stabiliva, all’articolo 1, rubricato «Definizioni»:

    «1.   Nel presente decreto legislativo si intendono per:

    (...)

    k)

    «fondo aperto»: il fondo comune di investimento i cui partecipanti hanno il diritto di chiedere, in qualsiasi tempo, il rimborso delle quote secondo le modalità previste dalle regole di funzionamento del fondo;

    l)

    «fondo chiuso»: il fondo comune di investimento in cui il diritto al rimborso delle quote viene riconosciuto ai partecipanti solo a scadenze predeterminate (...)».

    15.

    L’articolo 36 del decreto legislativo n. 58/1998, rubricato «Fondi comuni di investimento», nella versione in vigore alla data dei fatti di cui al procedimento principale, affermava quanto segue:

    «1.   Il fondo comune di investimento è gestito dalla società di gestione del risparmio che lo ha istituito o da altra società di gestione del risparmio. Quest’ultima può gestire sia fondi di propria istituzione sia fondi istituiti da altre società.

    (...)

    3.   Il rapporto di partecipazione al fondo comune di investimento è disciplinato dal regolamento del fondo. La Banca d’Italia, sentita la CONSOB [Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, Italia], determina i criteri generali di redazione del regolamento del fondo e il suo contenuto minimo, a integrazione di quanto previsto dall’articolo 39.

    (...)

    6.   Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società (...)».

    16.

    Ai sensi dell’articolo 37 del decreto legislativo n. 58/1998, nella versione in vigore alla data dei fatti di cui al procedimento principale, rubricato «Struttura dei fondi comuni di investimento»:

    «1.   Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e la CONSOB, determina i criteri generali cui devono uniformarsi i fondi comuni di investimento con riguardo:

    a)

    all’oggetto dell’investimento;

    b)

    alle categorie di investitori cui è destinata l’offerta delle quote;

    c)

    alle modalità di partecipazione ai fondi aperti e chiusi, con particolare riferimento alla frequenza di emissione e rimborso delle quote, all’eventuale ammontare minimo delle sottoscrizioni e alle procedure da seguire;

    d)

    all’eventuale durata minima e massima;

    d-bis)

    alle condizioni e alle modalità con le quali devono essere effettuati gli acquisti o i conferimenti dei beni, sia in fase costitutiva che in fase successiva alla costituzione del fondo, nel caso di fondi che investano esclusivamente o prevalentemente in beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari.

    (...)

    2-bis.   Con il regolamento previsto dal comma 1, sono altresì individuate le materie sulle quali i partecipanti dei fondi chiusi si riuniscono in assemblea per adottare deliberazioni vincolanti per la società di gestione del risparmio. L’assemblea delibera in ogni caso sulla sostituzione della società di gestione del risparmio, sulla richiesta di ammissione a quotazione ove non prevista e sulle modifiche delle politiche di gestione (...)».

    17.

    Ai sensi dell’articolo 39 del decreto legislativo 58/1998, nella versione in vigore alla data dei fatti di cui al procedimento principale, rubricato «Regolamento del fondo»:

    «1.   Il regolamento di ciascun fondo comune di investimento definisce le caratteristiche del fondo, ne disciplina il funzionamento, indica la società promotrice, il gestore, se diverso dalla società promotrice, e la banca depositaria, definisce la ripartizione dei compiti tra tali soggetti, regola i rapporti intercorrenti tra tali soggetti e i partecipanti al fondo.

    2.   Il regolamento stabilisce in particolare:

    a)

    la denominazione e la durata del fondo;

    b)

    le modalità di partecipazione al fondo, i termini e le modalità dell’emissione ed estinzione dei certificati e della sottoscrizione e del rimborso delle quote nonché le modalità di liquidazione del fondo;

    c)

    gli organismi competenti per la scelta degli investimenti e i criteri di ripartizione degli investimenti medesimi;

    d)

    il tipo di beni, di strumenti finanziari e di altri valori in cui è possibile investire il patrimonio del fondo;

    (...)».

    III. Fatti del procedimento principale e questioni pregiudiziali

    18.

    La società UBS Real Estate è una società di gestione del risparmio di fondi comuni di investimento con sede in Germania e una succursale in Italia. Essa gestisce i portafogli di due fondi di investimento immobiliare, segnatamente «UBS (D) 3 Sector Real Estate Europe» in liquidazione (in precedenza «UBS(D)3 Kontinente Immobilien») e «UBS (D) Euroinvest Immobilien Real Estate Investment Fund» (in prosieguo: i «fondi UBS»), entrambi costituiti secondo il diritto tedesco ( 8 ).

    19.

    Il 4 ottobre 2006 la società UBS Real Estate ha acquistato, per conto dei Fondi UBS, due complessi immobiliari strumentali situati a San Donato Milanese, (Italia). All’atto della registrazione dell’acquisizione dei due immobili, la società UBS Real Estate ha versato all’Agenzia delle Entrate, per conto di entrambi i fondi, l’imposta ipotecaria (3%) e l’imposta di registro (1%) per l’importo complessivo di EUR 802400, 00 per un immobile e di EUR 820900, 00 per l’altro.

    20.

    In una fase successiva, la UBS Real Estate è venuta a conoscenza del fatto che il 1o ottobre 2006 era entrato in vigore il decreto-legge n. 223/2006. Detto decreto-legge prevede la riduzione della metà delle imposte ipotecarie e di registro sulle acquisizioni di immobili per conto di fondi di investimento immobiliare chiusi ai sensi dell’articolo 37 del decreto legislativo n. 58/1998.

    21.

    La UBS Real Estate ha presentato due domande all’Agenzia delle Entrate italiana per il rimborso di quelle che, a suo dire, erano due eccedenze di imposta in relazione alla trascrizione di ciascun immobile, sostenendo che anche i fondi aperti, quali sono i due fondi in questione, avrebbero dovuto poter beneficiare delle disposizioni del decreto-legge n. 223/2006.

    22.

    L’Agenzia delle Entrate italiana non ha in realtà emesso alcuna decisione esplicita in merito alle due domande presentate dalla UBS Real Estate. Questa mancanza, tuttavia, ha dato luogo, secondo la legge italiana, all’adozione di due rigetti impliciti delle domande («silenzio rifiuto»).

    23.

    La UBS Real Estate ha quindi avviato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano (Italia) due procedimenti in relazione alle due decisioni implicite. Tali procedimenti sono terminati con il rigetto dei ricorsi con la motivazione che il legislatore italiano avrebbe espressamente limitato il beneficio della riduzione d’imposta prevista dal decreto-legge n. 223/2006 alla categoria dei fondi comuni di investimento chiusi.

    24.

    La UBS Real Estate ha presentato appello contro entrambe le sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Milano dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia.

    25.

    Entrambi gli appelli sono stati respinti da due sentenze della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia del 3 aprile 2012 con la motivazione che, date le numerose differenze tra le due tipologie di fondi immobiliari (il fondo chiuso disciplinato dalla legge italiana e il fondo aperto disciplinato dalla legge tedesca) non vi era stata né una violazione del diritto dell’Unione sulla base di un diverso trattamento (in quanto una disciplina tributaria diversa può essere applicata a fattispecie diverse) né una violazione dell’articolo 25 della Convenzione tra l’Italia e la Germania per evitare le doppie imposizioni (non essendo ravvisabile alcuna discriminazione basata sulla nazionalità).

    26.

    La UBS Real Estate ha quindi presentato due ricorsi per motivi di legittimità dinanzi alla Corte suprema di cassazione contro le suddette statuizioni. In tali ricorsi la UBS Real Estate ha contestato, tra l’altro, la compatibilità dell’articolo 35, comma 10‑ter, del decreto legislativo n. 223/2006 con gli articoli 18, 49 e 63 TFUE attualmente in vigore. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

    27.

    A sostegno dei suoi ricorsi, la UBS Real Estate sostiene, tra l’altro, che la Commissione Tributaria Regionale ha violato l’articolo 49 TFUE, dichiarando che la differenza di trattamento fiscale tra fondi di investimento chiusi e fondi di investimento aperti è giustificata sulla base delle differenze tra le situazioni, mentre tali differenze erano irrilevanti alla luce del criterio utilizzato e della ratio soggiacente all’articolo 35, comma 10‑ter del decreto-legge n. 223/2006.

    28.

    La Corte suprema di cassazione ritiene che le due cause sollevino, in sostanza, la questione se le differenze esistenti tra i fondi di investimento chiusi disciplinati dalla legge italiana e i fondi di investimento aperti disciplinati dalla legge di un altro Stato membro siano tali da giustificare un diverso trattamento fiscale.

    29.

    A tal proposito, detto giudice ricorda che la disciplina tributaria italiana dei fondi comuni di investimento immobiliare è stata oggetto nel corso degli ultimi anni di numerose modifiche, al fine di incentivare lo sviluppo dei fondi chiusi, garantendo nel contempo che essi non vengano utilizzati per eludere la legge.

    30.

    Per quanto riguarda più specificamente l’articolo 35, comma 10-ter, del decreto-legge n. 223/2006, la Corte suprema di cassazione ha indicato che la limitazione del beneficio fiscale previsto da tale disposizione ai fondi chiusi mira, in sostanza, solo a promuovere e incoraggiare lo sviluppo di fondi comuni di investimento immobiliare che non siano connotati da intenti fortemente speculativi e aleatori, e a limitare il rischio sistemico sul mercato immobiliare in caso di crisi. Infatti, in caso di crisi del mercato immobiliare, i soggetti che hanno investito in fondi di investimento di questo tipo richiederebbero, in linea generale, la restituzione anticipata delle loro quote, con conseguente assorbimento delle riserve di liquidità di tali fondi. Questi ultimi sarebbero quindi costretti a vendere una parte degli immobili acquisiti al di sotto del loro valore normale per soddisfare tali richieste di rimborso, il che accentuerebbe la crisi. Per questo motivo sarebbe preferibile incoraggiare gli investitori all’acquisto di quote di fondi chiusi piuttosto che di fondi aperti.

    31.

    È in questo contesto che la Corte suprema di cassazione ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale, formulata in termini identici in entrambe le cause:

    «Se il diritto comunitario ‐ ed in particolare le disposizioni del Trattato in materia di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali, come interpretate da codesta Corte ‐ ostino all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come quella di cui all’articolo 35, comma 10-ter del decreto-legge n. 223/2006, nella parte in cui limita ai fondi di investimento immobiliare chiusi l’agevolazione delle imposte ipotecarie e catastali».

    32.

    Nel corso del procedimento, la Corte ha rivolto domande per ottenere risposte scritte al governo italiano e alla UBS Real Estate. Mentre la UBS Real Estate ha risposto a queste domande, il governo italiano non lo ha fatto, per cui alcuni aspetti della sua legislazione rimangono da confermare.

    IV. Analisi

    33.

    Si ricorda, in limine, che ai sensi dell’articolo 267 TFUE, nell’ambito del procedimento pregiudiziale, la Corte è competente a pronunciarsi solo sull’interpretazione dei trattati o sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, ma non sull’interpretazione esatta da dare alla legislazione nazionale o sulla compatibilità di disposizioni di diritto interno con le norme giuridiche dell’Unione europea o sull’esattezza di tutti gli elementi di fatto contenuti nel fascicolo di causa ( 9 ).

    34.

    Ne consegue che, da un lato, la Corte non è competente a pronunciarsi sull’interpretazione di un accordo internazionale concluso dagli Stati membri, quale è la convenzione esistente tra Italia e Germania per evitare le doppie imposizioni. Dall’altro lato, quando la Corte si pronuncia in via pregiudiziale (e contrariamente a quanto avviene nella procedura d’infrazione), la risposta che fornisce è sempre data tenendo conto delle circostanze invocate dal giudice nazionale. Spetta esclusivamente a quest’ultimo verificare la correttezza degli elementi di fatto trasmessi e, pertanto, che il presupposto della questione posta corrisponda alla situazione di cui trattasi nel procedimento principale, in particolare per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dalla normativa in questione ( 10 ).

    35.

    Certo, la Corte può prendere in considerazione le convenzioni bilaterali esistenti tra due Stati membri, in quanto parte del contesto normativo, per circoscrivere la situazione prospettata dal giudice del rinvio nella sua questione e fornire così un’interpretazione del diritto dell’Unione che sarà utile al giudice nazionale, purché non si pronunci sull’interpretazione concreta da dare loro ( 11 ).

    36.

    Nel caso di specie, tuttavia, non sembra che la vigente convenzione fiscale tra Italia e Germania costituisca la giustificazione delle decisioni impugnate, né il giudice nazionale vi fa riferimento nelle sue due questioni. In tali circostanze, non vedo alcun motivo per tenerne conto nel rispondere alle questioni poste.

    37.

    In secondo luogo, dato che il giudice del rinvio fa riferimento nelle sue questioni a diverse libertà di movimento, è necessario anzitutto determinare quali di esse siano pertinenti.

    A. Determinazione delle disposizioni pertinenti del Trattato

    38.

    Poiché il giudice del rinvio menziona nella sua questione sia la libertà di stabilimento, di cui all’articolo 43 CE, sia la libera circolazione dei capitali, prevista dall’articolo 56 CE, occorre stabilire se la misura nazionale di cui trattasi nel procedimento principale rientri nella sfera di applicazione della libertà di stabilimento o della libera circolazione dei capitali o se essa rientri in entrambe.

    39.

    Secondo la giurisprudenza della Corte, nel determinare se una misura nazionale rientri in una o più libertà, è necessario che si tenga conto dell’oggetto della legislazione di cui trattasi ( 12 ).

    40.

    A tale riguardo, va osservato che la libertà di stabilimento può essere definita come la libertà di costituire o trasferire una società in uno Stato membro diverso dallo Stato di origine, alle stesse condizioni applicabili ai residenti ( 13 ). Di conseguenza, tale libertà presuppone che l’operatore interessato intenda esercitare, in modo effettivo, la sua attività economica mediante un’organizzazione stabile e per una durata indeterminata ( 14 ). Così, ad esempio, in una controversia relativa a un immobile, la libertà di stabilimento può essere invocata dai soggetti che acquistano tale immobile se in esso intendono svolgere un’attività economica ( 15 ).

    41.

    Sebbene il Trattato CE non abbia definito la nozione di «circolazione dei capitali» – non più di quanto faccia ora il TFUE – è tuttavia giurisprudenza consolidata che la direttiva 88/361/CEE, del 24 giugno 1988, per l’attuazione dell’articolo 67 del Trattato ( 16 ), unitamente alla nomenclatura e alla nota esplicativa ad essa allegata, riveste al riguardo un valore indicativo ( 17 ). Secondo la nota esplicativa della direttiva 88/361, i movimenti transfrontalieri di capitali comprendono, tra l’altro, «[g]li acquisti di terreni con immobili e senza, nonché la costruzione di immobili da parte di privati a scopo di lucro o personale». Infatti, il diritto di acquistare, godere e alienare beni immobili nel territorio di un altro Stato membro genera necessariamente, quando viene esercitato, movimenti di capitali.

    42.

    Ne consegue che qualsiasi misura nazionale che disciplini l’investimento immobiliare effettuato da non residenti nel territorio di uno Stato membro può quasi inevitabilmente incidere tanto sulla libertà di stabilimento che sulla libera circolazione dei capitali ( 18 ).

    43.

    Conformemente, tuttavia, a una giurisprudenza costante, la ratio del rinvio pregiudiziale non consiste nell’esprimere pareri consultivi su questioni generiche o ipotetiche, ma risponde all’esigenza di dirimere concretamente una controversia ( 19 ). Conseguentemente, per determinare quale libertà debba servire come base per la soluzione della questione pregiudiziale, occorre tener conto della configurazione della controversia di cui trattasi nel procedimento principale. Infatti, la circostanza che un provvedimento nazionale sia suscettibile di interferire con due libertà non significa necessariamente che tali due libertà possano essere invocate dal ricorrente nella controversia nel procedimento principale. Pertanto, nel caso in cui un provvedimento nazionale possa rientrare nell’ambito di applicazione di due libertà, tale provvedimento dovrebbe essere esaminato con riferimento a una sola di queste due libertà qualora risulti, nelle circostanze del caso di specie, che il ricorrente possa farne valere una sola ( 20 ).

    44.

    Nel caso di specie, dal fascicolo risulta che i due fondi che hanno acquisito i due complessi commerciali in questione lo hanno fatto come forma di investimento passivo piuttosto che per costituire un’impresa o per utilizzare in altro modo gli immobili in questione. Ne consegue che i fondi di cui al procedimento principale non si sono avvalsi del diritto alla libertà di stabilimento, ma solo del diritto alla libera circolazione dei capitali ( 21 ). Di conseguenza, come ha affermato la Commissione, l’asserita disparità di trattamento deve essere esaminata esclusivamente dal punto di vista della libera circolazione dei capitali.

    45.

    Tuttavia, affinché una qualsiasi delle libertà fondamentali associate al mercato interno sia applicabile, devono essere soddisfatte due condizioni: da un lato, la situazione di cui trattasi nel procedimento principale non deve essere puramente interna allo Stato membro in questione ( 22 ); in secondo luogo, il settore oggetto del provvedimento nazionale di cui è stata contestata la compatibilità con il diritto dell’Unione non deve essere stato ancora pienamente armonizzato ( 23 ).

    46.

    Nel caso di cui trattasi, la prima condizione è chiaramente soddisfatta, atteso che la ricorrente agisce per conto di due fondi disciplinati dalla legge di un altro Stato membro. Per quanto riguarda la seconda condizione, vale a dire la determinazione della piena armonizzazione a livello dell’Unione del settore oggetto del provvedimento di cui trattasi nel procedimento principale, non si deve tener conto dell’attività svolta dai fondi, ma piuttosto della natura e dell’effetto di detto provvedimento.

    47.

    Nel caso di specie si può osservare che, poiché l’articolo 35 del decreto-legge n. 223/2006 si applica in caso di trasferimenti e cessioni di beni immobili strumentali e poiché è destinato a procurare un beneficio fiscale, tale provvedimento appartiene alla normativa tributaria in materia di imposte sugli immobili. È chiaro che il diritto dell’Unione non ha armonizzato le norme tributarie applicabili alle transazioni immobiliari, anche quando, come nel caso in esame, queste sono effettuate da un fondo immobiliare «chiuso».

    48.

    In tali circostanze, propongo di esaminare la legislazione nazionale in questione solo alla luce della libera circolazione dei capitali, sancita dall’articolo 56 CE (ora articolo 63 TFUE).

    B. Sull’esistenza di una restrizione

    1.   Sul criterio da applicare

    49.

    In primis, va ricordato che l’imposizione diretta è ancora principalmente una questione demandata agli Stati membri, che sono liberi di istituire il sistema fiscale che ritengono più idoneo. Spetta loro determinare la portata della propria competenza fiscale nonché i principi di base del rispettivo sistema fiscale. Nell’attuale stato di armonizzazione delle legislazioni fiscali nazionali, gli Stati membri sono quindi liberi di istituire il sistema fiscale che giudicano più idoneo ( 24 ).

    50.

    In siffatto contesto, tali libertà di circolazione non possono essere intese nel senso che uno Stato membro sia obbligato ad allineare le proprie norme tributarie a quelle di altri Stati membri al fine di garantire, in ogni situazione, l’eliminazione di qualsivoglia disparità ( 25 ). Pertanto, le conseguenze svantaggiose che possono derivare dall’esercizio parallelo da parte degli Stati membri della loro competenza fiscale sovrana non dovrebbero, di per sé, essere considerate come restrizioni alla libera circolazione dei capitali ( 26 ). Se così fosse, la capacità impositiva degli Stati membri sarebbe indebitamente pregiudicata. In tali circostanze si deve ammettere che le quasi-restrizioni derivanti dalla coesistenza di due regimi fiscali esulano dall’ambito di applicazione del Trattato ( 27 ).

    51.

    Gli Stati membri devono tuttavia esercitare la loro competenza fiscale nel rispetto della libertà di circolazione, il che significa che nel 2006 avrebbero dovuto astenersi dall’adottare misure vietate dall’articolo 56, paragrafo 1, CE (divenuto articolo 63, paragrafo 1, TFUE) ( 28 ).

    52.

    In materia tributaria la Corte adotta generalmente un approccio più restrittivo rispetto ad altre materie nel valutare il rispetto delle libertà di circolazione. Infatti, mentre in queste altre materie la Corte dichiara la sussistenza di una restrizione non appena la normativa tributaria in questione ha avuto semplicemente l’effetto di scoraggiare le operazioni transfrontaliere, si deve osservare che il semplice fatto di assoggettare un’attività o un’operazione a una determinata imposta la rende necessariamente meno attraente. Di conseguenza, al fine di non pregiudicare indebitamente la capacità impositiva degli Stati membri, la Corte ritiene, in linea di principio, che, per poter essere qualificato come restrizione a tal fine, un provvedimento fiscale deve stabilire una discriminazione, diretta o indiretta, a svantaggio dell’investitore transfrontaliero ( 29 ). Conseguentemente, affinché un provvedimento sia dichiarato incompatibile con il diritto dell’Unione, la Corte richiede che sia effettuata una verifica della comparabilità ( 30 ).

    53.

    In generale, una misura è da considerare discriminatoria quando il suo oggetto o il suo effetto è trattare in modo diverso situazioni comparabili o, viceversa, trattare in modo identico situazioni diverse ( 31 ).

    54.

    Dato che l’obiettivo delle libertà di circolazione è la realizzazione del mercato interno, la Corte ha inizialmente adottato una definizione specifica in detto ambito. Infatti, quando il Trattato vieta l’uso di un criterio specifico, si ha discriminazione diretta laddove una persona viene espressamente trattata meno favorevolmente sulla base di tale criterio. Sussiste invece discriminazione indiretta quando il criterio utilizzato sembra essere neutro, mentre in pratica pone le persone che soddisfano il criterio proibito in una situazione di svantaggio rispetto ad altre persone ( 32 ). Sulla base di questo approccio, nell’ambito dell’esercizio delle libertà di circolazione, compresa la libera circolazione dei capitali, la Corte era solita considerare che una discriminazione diretta si verificasse quando una misura stabiliva una distinzione in base alla nazionalità, mentre una discriminazione indiretta sorgeva quando una misura, sebbene basata su un altro criterio, come quello della residenza, perveniva di fatto al medesimo risultato ( 33 ).

    55.

    È importante notare, tuttavia, che da circa un decennio la Corte ricorre molto spesso (ma non sempre) ( 34 ) alla definizione generale della nozione di discriminazione – enunciata al paragrafo 53 delle presenti conclusioni – che solleva una serie di potenziali questioni.

    56.

    In primo luogo, è difficile non sottolineare che questo approccio più generale potrebbe portare al risultato paradossale che, se un atto legislativo persegue un obiettivo chiaramente discriminatorio, non si riscontrerà alcuna discriminazione poiché, alla luce di tale obiettivo, le situazioni in questione dovrebbero essere considerate diverse.

    57.

    In secondo luogo, tale approccio non sembra del tutto coerente con quello seguito anche in alcune delle stesse sentenze, che consiste nell’esaminare la comparabilità delle situazioni nella fase di giustificazione, mentre secondo la definizione generale stessa della nozione di discriminazione, la comparabilità della situazione in questione è intrinseca nel concetto stesso di discriminazione ( 35 ).

    58.

    In terzo luogo, nella misura in cui la comparabilità deve essere valutata alla luce degli obiettivi perseguiti dalla normativa in questione, è logico, prima di procedere al confronto, valutare se l’obiettivo perseguito sia ammissibile. In questa situazione, potrebbe sorgere la questione di cosa resti da esaminare nella fase di giustificazione.

    59.

    Da parte mia, ritengo che, a prescindere dall’approccio adottato, nel caso di discriminazione diretta, ossia di discriminazione per oggetto, non sia in genere necessario valutare se le situazioni in questione siano strettamente comparabili, atteso che la comparabilità può essere presunta.

    60.

    Per quanto riguarda la fase in cui deve essere effettuato il confronto, si può osservare che la giurisprudenza in materia non sempre opera una distinzione molto chiara fra le diverse fasi della verifica (vale a dire, se la misura costituisca una restrizione e, in caso affermativo, se questa sia obiettivamente giustificabile), ma piuttosto esamina in generale se essa è contraria ai trattati ( 36 ). In ogni caso, anche se alcuni possono considerare questa prassi insoddisfacente dal punto di vista metodologico, osservo che, nell’ambito del rinvio pregiudiziale, la fase in cui viene effettuata la verifica della comparabilità non ha alcun effetto pratico, a condizione, naturalmente, che tale verifica venga effettuata ( 37 ).

    61.

    Infine, per quanto riguarda gli obiettivi da considerare nell’esaminare rispettivamente la comparabilità e la giustificazione, suggerisco che gli eventuali dubbi in proposito potrebbero essere prontamente fugati. Ciò che conta ai fini del confronto è l’obiettivo perseguito dal vantaggio o dallo svantaggio fiscale la cui applicazione è controversa, mentre, nella fase dell’esame delle possibili giustificazioni, gli obiettivi da prendere in considerazione sono quelli specificamente perseguiti, nell’ambito di tale misura, dal criterio che ha portato all’applicazione o, in base alla situazione, al rifiuto dell’applicazione di detta misura alla situazione o all’operazione transfrontaliera in questione ( 38 ).

    62.

    A questo proposito, ciò che a mio avviso occorre tenere presente in merito all’esame della comparabilità delle situazioni ‐ sia essa considerata come condizione per definire la nozione di restrizione o come giustificazione ‐ è che il criterio del confronto da utilizzare per stabilire se la differenza di trattamento risultante da siffatta normativa rifletta una differenza oggettiva di situazioni dipende dagli obiettivi perseguiti dalla normativa in questione ( 39 ).

    63.

    In questo contesto è anche importante ricordare che il semplice fatto che a un soggetto di diritto straniero e con una forma societaria sconosciuta nello Stato ospitante venga negato un particolare beneficio fiscale previsto per altre categorie di soggetti non è di per sé sufficiente per stabilire che la normativa in questione crea una restrizione ingiustificata alla libera circolazione dei capitali. Una siffatta normativa, infatti, potrebbe essere perfettamente coerente con un’altra scelta fatta da questo Stato membro, ossia quella di tassare gli utili distribuiti in base allo status giuridico del soggetto che effettua la distribuzione e non in base alla natura dell’attività svolta ( 40 ). Ad esempio, come ho spiegato nelle mie conclusioni nella causa E (Rendimenti corrisposti dagli OICVM) (C‑480/19, EU:C:2020:942), è perfettamente sensato che uno Stato membro applichi le norme fiscali sulla tassazione dei dividendi al reddito distribuito da fondi aventi personalità giuridica, sebbene lo Stato membro interessato non consenta la costituzione di fondi propri in tale forma.

    64.

    Sarebbe tuttavia errato escludere qualsiasi rischio di discriminazione indiretta anche nel caso in cui il criterio pertinente possa essere soddisfatto da taluni soggetti stranieri. Infatti, quando un criterio utilizzato ha l’effetto di escludere i soggetti stranieri solo in parte – ad esempio, quelli che hanno scelto una determinata forma societaria ‐ il fatto che, per converso, siano probabilmente solo i soggetti stranieri a non soddisfare la condizione o le condizioni richieste per avvalersi di un beneficio fiscale può comunque insinuare dubbi sulle reali intenzioni del legislatore nazionale ( 41 ).

    65.

    In una situazione di questo tipo è quindi particolarmente importante esaminare la comparabilità delle situazioni di questi soggetti stranieri per valutare se la scelta di un siffatto criterio sia coerente con la logica del diritto nazionale e, quindi, se il fatto che è probabile che siano solo i soggetti stranieri a non soddisfare tale criterio sia la semplice conseguenza della scelta dello Stato membro di non prevedere questa particolare forma giuridica o, al contrario, se ciò costituisca un mezzo indiretto per agevolare le imprese nazionali.

    66.

    Infine, occorre ricordare che una differenza di trattamento può essere compatibile con il diritto dell’Unione se è giustificata, in caso di discriminazione diretta, da motivi espressamente previsti dai Trattati ( 42 ) o, nel caso di discriminazione indiretta, altresì da motivi imperativi di interesse generale e, in entrambi i casi, nei limiti in cui la misura nazionale è idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito e non eccede quanto è necessario per raggiungerlo ( 43 ).

    67.

    È alla luce di quanto sopra esposto che propongo di rispondere alla domanda del giudice del rinvio.

    2.   Applicazione

    68.

    Anzitutto, va osservato che l’articolo 35, comma 10‑ter del decreto-legge n. 223/2006 subordina la disponibilità della riduzione dell’aliquota delle imposte ipotecaria e catastale a due condizioni specifiche, vale a dire che il richiedente sia, in primo luogo, un fondo immobiliare chiuso e, in secondo luogo, che sia disciplinato dall’articolo 37 del decreto legislativo n. 58/1998.

    69.

    Sebbene la questione posta dal giudice del rinvio nel caso di specie riguardi solo la prima condizione, mi permetto di formulare alcune osservazioni in merito alla seconda condizione. Infatti, sempre tenendo presente, come ho osservato, che spetta al giudice del rinvio interpretare in ultima analisi la normativa nazionale, osservo che, giacché queste due condizioni sono distinte, ciascuna di esse potrebbe essere addotta per giustificare il rifiuto di applicare la riduzione del 50% delle aliquote d’imposta ai due fondi immobiliari in questione.

    a)   Sulla seconda condizione di cui all’articolo 35, comma 10-ter, del decreto-legge n. 223/2006

    70.

    La ricorrente sostiene che la seconda condizione determina una discriminazione diretta, in quanto l’articolo 37 del decreto legislativo n. 58/1998 si applica solo ai fondi disciplinati dalla legge italiana.

    71.

    Sebbene dalle informazioni fornite dal giudice del rinvio non risulti in modo chiaro quale fosse l’ambito di applicazione dell’articolo 37 del decreto legislativo n. 58/1998 all’epoca dei fatti ( 44 ), è importante sottolineare che, qualora risultasse che tale disposizione si applicava solo ai fondi costituiti secondo la legge italiana (per quelli costituiti in forma statutaria) o a quelli il cui contratto è soggetto alla legge italiana (per quelli aventi forma contrattuale), o a quelli la cui società di gestione ha sede in Italia, allora la seconda condizione costituirebbe una discriminazione diretta. Infatti, in tali circostanze, il riferimento operato dall’articolo 35, comma 10-ter, del decreto-legge n. 223/2006 all’articolo 37 del decreto legislativo n. 58/1998 sarebbe esattamente equivalente all’istituzione di un criterio di «nazionalità» del fondo per l’applicazione dell’articolo 35, comma 10‑ter, di detto decreto-legge ( 45 ).

    72.

    Come ho spiegato, una discriminazione diretta può essere giustificata solo per uno dei motivi espressamente previsti dai Trattati, contenuti sostanzialmente, nell’ambito della libera circolazione dei capitali, all’articolo 58, paragrafo 1, lettera b), CE [ora articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE], vale a dire il mantenimento dell’ordine pubblico e la pubblica sicurezza ( 46 ), che comprende la lotta contro l’evasione o la frode fiscale e la necessità di prevenire vantaggi fiscali ingiustificabili.

    73.

    Pertanto, qualora risultasse che l’articolo 37 del decreto legislativo n. 58/1998 si applica soltanto a fondi di diritto italiano, o gestiti da società di gestione di diritto italiano, appare difficile comprendere come uno di questi motivi possa essere considerato accertato, in quanto il rischio di frode fiscale sembra, per quanto riguarda la natura delle due imposte in questione, altrettanto elevato indipendentemente dalla «nazionalità» dei fondi in questione. Anche se tale criterio perseguisse il motivo di ordine pubblico consistente nell’agevolare i fondi immobiliari «chiusi» (di cui si parlerà più dettagliatamente nel prosieguo) per evitare rischi sistemici, sembra che tale rischio rimarrebbe invariato, indipendentemente dalla «nazionalità» dei fondi.

    b)   Sulla prima condizione di cui all’articolo 35, comma 10‑ter del decreto-legge n. 223/2006

    1) Sull’esistenza di una restrizione

    74.

    Per quanto riguarda la prima condizione, si segnala che, nella misura in cui essa non è direttamente collegata alla legge applicabile ai fondi, non è possibile riscontrare alcuna discriminazione diretta.

    75.

    Con riguardo alla questione dell’eventuale esistenza di una discriminazione indiretta, è necessario esaminare se il criterio utilizzato ‐ ovvero se un determinato fondo immobiliare sia o meno «chiuso» ‐ costituisca un criterio che, seppur apparentemente neutro, in pratica pone i fondi di diritto estero in una situazione di svantaggio fiscale. A tal fine, è necessario che il suddetto criterio abbia l’effetto di trattare fondi di diritto straniero in modo meno favorevole, anche se, dal punto di vista degli obiettivi perseguiti dalla misura fiscale in questione, si trovano in una situazione identica rispetto ai fondi disciplinati dal diritto nazionale. A questo proposito, come è stato spiegato supra, si può presumere l’esistenza di una discriminazione indiretta quando gli unici soggetti che probabilmente non soddisfano il criterio utilizzato sono soggetti di diritto straniero ( 47 ).

    76.

    Nel caso di specie, sebbene sia i fondi aperti sia quelli chiusi siano soggetti alle imposte di cui trattasi al momento dell’acquisto di un immobile, la prima condizione prevede che solo i secondi possano beneficiare dello sconto del 50% sull’imposta. In virtù dell’articolo 12-bis del decreto ministeriale n. 228/1999, in Italia possono essere costituiti solo fondi immobiliari in forma chiusa. Ne consegue che solo i fondi disciplinati da un’altra legge rischiano di non soddisfare tale condizione. In questa particolare circostanza, si deve pertanto presumere che l’applicazione del suddetto criterio, pur essendo apparentemente neutra, comporta una differenza di trattamento a scapito di alcune situazioni transfrontaliere.

    77.

    Una siffatta disparità di trattamento può tuttavia costituire una discriminazione indiretta – e quindi una restrizione ai sensi dell’articolo 56 CE (ora articolo 63 TFUE) – solo se si può considerare che i fondi aperti e quelli chiusi si trovano in situazioni realmente comparabili tenuto conto degli obiettivi perseguiti dal legislatore quando ha concesso il vantaggio fiscale di cui si chiede di usufruire, vale a dire, nella fattispecie, la concessione di una riduzione del 50% delle aliquote applicabili.

    78.

    Una difficoltà che appare immediatamente evidente è che il giudice del rinvio non ha ben chiarito il motivo per cui la normativa italiana ha concesso un siffatto beneficio fiscale. Infatti, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, detto giudice si è limitato a menzionare che: «Nel corso degli ultimi anni, la disciplina tributaria dei fondi comuni di investimento immobiliare chiusi è stata oggetto di numerosi interventi legislativi ispirati da due opposte finalità: da un lato, quella di incentivare lo sviluppo di un peculiare strumento del risparmio gestito; dall’altro, quella di limitarne l’utilizzo con finalità elusive». È tuttavia difficile sapere se tale affermazione riguardi l’articolo 35, comma 10-ter, del decreto-legge n. 223/2006 o se si tratti semplicemente di un chiarimento del contesto della presente fattispecie, volto a spiegare la ragione in generale alla base dei vari interventi del legislatore nazionale in materia di regime fiscale dei fondi di investimento.

    79.

    Anche supponendo che tale spiegazione riguardi specificamente l’articolo 35, comma 10‑ter del decreto-legge n. 223/2006, essa spiegherebbe solamente perché i fondi aperti siano esclusi dal beneficio di tale disposizione, ma non perché un simile beneficio fiscale sia stato concesso.

    80.

    In questo contesto, l’unica motivazione seria addotta per spiegare l’obiettivo perseguito dalla riduzione del 50% delle aliquote delle tasse è stata quella esposta dalla UBS Real Estate. Secondo quest’ultima, il vero obiettivo della legge era evitare di pregiudicare i fondi che effettuano frequentemente operazioni di acquisto-rivendita in quanto ( 48 ), da un punto di vista economico, tali operazioni sarebbero state tassate due volte ( 49 ).

    81.

    Se così fosse ‐ cosa che spetta al giudice nazionale verificare ‐ si dovrebbe ritenere che, dal punto di vista di un tale obiettivo, tutti i fondi immobiliari, aperti o chiusi, devono essere considerati nella stessa situazione, cosicché, in linea di principio, avrebbero dovuto essere trattati in modo identico.

    82.

    Ne consegue che se questa fosse effettivamente la ragione del fatto che l’Italia ha previsto la possibilità di ottenere una riduzione delle imposte di cui trattasi, limitare il beneficio d’imposta ai soli fondi chiusi rappresenterebbe una discriminazione indiretta. Ciò sarebbe vero anche se il giudice del rinvio non potesse individuare un obiettivo chiaro per questo beneficio fiscale.

    83.

    Dal momento, tuttavia, che la limitazione del suddetto beneficio ai soli fondi chiusi potrebbe essere finalizzata a perseguire taluni obiettivi di interesse pubblico, è a questo tema che rivolgerò ora la mia analisi.

    2) Sull’esistenza di una giustificazione

    84.

    Come ho già cercato di spiegare, una discriminazione indiretta può essere compatibile con i trattati quando è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.

    85.

    A tale riguardo, il giudice del rinvio ha fatto riferimento, in sostanza, a due obiettivi che sarebbero perseguiti dalla prima condizione di cui all’articolo 35, paragrafo 10-ter, del decreto-legge n. 223/2006. Il primo consisterebbe nel promuovere e incoraggiare lo sviluppo di fondi di investimento immobiliare collettivo che non siano connotati da intenti fortemente speculativi e aleatori e il secondo nel limitare il rischio sistemico sui mercati immobiliari (e più in generale bancari) in caso di crisi ( 50 ). Oltre a questi due obiettivi, la Commissione ha menzionato, da parte sua, la lotta all’evasione fiscale. Infine, il governo italiano ha citato un’altra giustificazione, ovvero quella di preservare la coerenza del sistema italiano, in quanto la legge di questo paese riconosce i fondi di investimento chiusi come l’unico tipo di fondo che può effettuare acquisizioni immobiliari ( 51 ).

    86.

    In primo luogo, per quanto riguarda l’obiettivo suggerito dalla Commissione, sebbene l’articolo 35 del decreto-legge n. 223/2006 sia intitolato «Misure di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale», condivido pienamente il parere di quest’ultima secondo cui, se questo fosse effettivamente l’obiettivo perseguito, il primo criterio sarebbe del tutto inadeguato per raggiungere tale obiettivo. In effetti, ciò equivarrebbe a postulare che le acquisizioni effettuate da fondi immobiliari aperti sono fraudolente. Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, affinché un argomento fondato su una giustificazione del genere possa essere accolto, occorre che sia dimostrata l’esistenza di un nesso diretto tra l’agevolazione fiscale di cui trattasi e la compensazione della medesima con un determinato prelievo fiscale, il che non si verifica nel caso di specie ( 52 ).

    87.

    In secondo luogo, per quanto riguarda la giustificazione addotta dal governo italiano, rilevo che essa è incoerente con la giurisprudenza in cui si afferma che la discriminazione indiretta può derivare dal fatto che è improbabile che i non residenti soddisfino la condizione o le condizioni richieste per beneficiare di un regime fiscale o che potrebbero soddisfarle solo con difficoltà ( 53 ).

    88.

    Quanto al primo obiettivo enunciato dal giudice del rinvio nell’ambito della lotta contro le acquisizioni altamente speculative e le intenzioni non chiare, e indipendentemente dal fatto che un tale obiettivo costituisca o meno un motivo imperativo di interesse generale ai sensi del diritto dell’Unione, esso non sembra atto a giustificare la prima condizione di applicazione dell’articolo 35, comma 10-ter, del decreto-legge n. 223/2006. Infatti, la natura chiusa o aperta di un fondo si riferisce, come sottolinea la UBS Real Estate, alla possibilità per gli investitori di richiedere che il loro investimento (rappresentato dal numero di quote detenute) venga rimborsato dai fondi. Naturalmente, tale natura può avere ripercussioni sulle modalità di gestione di un fondo, in quanto, in particolare, il fatto che gli investitori possano chiedere in qualsiasi momento il rimborso delle proprie quote obbliga il fondo a conservare la liquidità per soddisfare un numero ragionevole di richieste. Tuttavia, tale questione non sembra essere legata al livello di speculazione dell’investimento effettuato dal fondo o al grado più o meno elevato di chiarezza delle sue intenzioni al riguardo.

    89.

    Se con tale motivo il giudice nazionale intende far riferimento a un obiettivo che sarebbe quello di favorire l’acquisizione di immobili a lungo termine rispetto a quella speculativa a breve termine ‐ tanto più che questi ultimi possono contribuire all’aumento artificiale dei prezzi e, quindi, al problema dell’accesso agli immobili ‐ tale considerazione, per quanto lodevole, non può di per sé e in queste particolari circostanze giustificare una tale differenza di trattamento tra fondi aperti e fondi chiusi. È invero insito nella natura di un fondo chiuso che gli investitori non possano esercitare i loro diritti di rimborso quando vogliono. Tuttavia, questa caratteristica dei fondi di tipo chiuso non li obbliga a detenere gli immobili che acquistano per un periodo di tempo più lungo rispetto a quello dei fondi di tipo aperto. Poiché la prima condizione di cui all’articolo 35, paragrafo 10-ter, non sembra essere coerente con un siffatto obiettivo, questa non sarebbe in grado di fornire la necessaria giustificazione oggettiva.

    90.

    La seconda giustificazione addotta dal giudice del rinvio è che, in sostanza, la normativa nazionale mira ad evitare quello che potrebbe essere definito un effetto «valanga» sul mercato immobiliare commerciale. In questo contesto, il giudice del rinvio spiega che nel caso di fondi aperti, se si dovesse verificare una crisi di mercato a seguito di un calo dei prezzi degli immobili, ciò potrebbe indurre molti investitori a chiedere il rimborso anticipato di parte delle somme investite. Tale fenomeno potrebbe assorbire le riserve di liquidità dei fondi, che a loro volta potrebbero essere costretti a vendere parte degli immobili al di sotto del loro valore di bilancio per soddisfare le richieste di rimborso delle quote ( 54 ). Per evitare tale rischio, sarebbe quindi legittimo favorire solo lo sviluppo dei fondi di tipo chiuso ‐ e indipendentemente dalla legge che li disciplina ‐ limitando ad essi alcuni benefici fiscali, come quello previsto dall’articolo 35, comma 10‑ter, del decreto-legge n. 223/2006.

    91.

    A tale riguardo, un obiettivo che mira a limitare un rischio di natura sistemica costituisce chiaramente un obiettivo imperativo di interesse generale ai fini del diritto dell’Unione ( 55 ). Infatti, i rischi di natura sistemica costituiscono ovviamente motivo di preoccupazione, come dimostra il fatto che l’Unione europea ha adottato un regolamento volto a limitare tali rischi in relazione ai mercati finanziari ( 56 ).

    92.

    Affinché una discriminazione indiretta di questo tipo sia compatibile con il diritto dell’Unione, tuttavia, essa non solo deve perseguire un motivo imperativo di interesse generale, ma deve anche essere proporzionata al conseguimento di tale obiettivo. Ciò implica che la misura adottata (nella fattispecie l’esclusione dei fondi di tipo aperto dal beneficio della riduzione del 50% dell’aliquota delle imposte) sia idonea a garantire il conseguimento di tale scopo e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo ( 57 ).

    93.

    Nel caso della prevenzione di un rischio complesso, credo anche che gli Stati membri devono poter disporre di un certo margine di discrezionalità ( 58 ). Pertanto, il controllo della Corte sulla proporzionalità di ogni misura adottata per raggiungere tale obiettivo dovrebbe limitarsi a verificare l’assenza di errori manifesti al riguardo ( 59 ).

    94.

    Sebbene questo problema sia probabilmente meno importante per il mercato immobiliare rispetto ad altri, come il sovraindebitamento di società o famiglie, è comunque ben noto nel settore finanziario e giustifica, a mio parere, l’interesse degli Stati membri, dal momento che qualsiasi crisi è generalmente il risultato di una combinazione di fattori. Ciò è vero a maggior ragione in quanto, nel caso di specie, la misura in questione riguarda più specificamente immobili commerciali ( 60 ), un mercato in cui i fondi di investimento sono gli attori principali ( 61 ).

    95.

    Propongo di iniziare esaminando il secondo criterio, ossia la necessità che la misura in esame non ecceda quanto necessario per conseguire il motivo imperativo di interesse generale in questione.

    96.

    Nel caso di specie, se si considerano gli effetti prodotti da tale misura, si può ritenere soddisfatta la suddetta condizione, in quanto, anziché vietare puramente e semplicemente l’acquisto di immobili situati sul suo territorio da parte di fondi di tipo aperto, l’Italia si è limitata ad escludere da un beneficio fiscale i fondi di tipo aperto.

    97.

    Per quanto riguarda il primo criterio, in base al quale la misura deve costituire un mezzo idoneo a garantire il conseguimento del motivo imperativo di interesse generale in questione, le cose non sono tuttavia così semplici.

    98.

    A tale proposito, va ricordato, in primo luogo, che questo criterio richiede semplicemente che la misura in questione sia in grado di ridurre il presunto rischio ( 62 ). Certamente ciò implica che la misura in questione sia, come minimo, efficace. Ciò non significa tuttavia che questa misura da sola debba essere in grado di eliminare il suddetto rischio, cosa che molto spesso sarebbe impossibile nella pratica. Se non fosse così, ciò significherebbe che agli Stati membri sarebbe preclusa la possibilità di ricorrere a una combinazione di misure dissuasive, piuttosto che a un divieto assoluto, al fine di conseguire un determinato obiettivo.

    99.

    In secondo luogo, per essere considerata idonea a garantire il conseguimento di un motivo imperativo di interesse generale, una misura deve anche rispondere effettivamente all’intento di realizzarlo in modo coerente e sistematico ( 63 ).

    100.

    Nel caso di specie, ritengo che esista un nesso tra il rischio percepito invocato e la natura dei fondi, se di tipo aperto o di tipo chiuso. Infatti, come spiegato dal giudice del rinvio, quando un fondo aperto offre rimborsi giornalieri, ma una parte significativa del patrimonio in cui il fondo investe non può essere liquidata entro un giorno senza una perdita di valore sostanziale, si verifica un disallineamento tra attivo e passivo. Tale questione genera a sua volta il rischio che detti fondi siano costretti a vendere immobili nel pieno di una crisi immobiliare, alimentando così qualsiasi crisi del mercato immobiliare commerciale ( 64 ). Per questo motivo, esistono ora una serie di norme volte a garantire un certo importo di liquidità nei fondi aperti, al fine di assicurare che essi possano far fronte agli obblighi di rimborso e ad altre passività ( 65 ).

    101.

    La posizione relativa ai fondi chiusi è diversa. In un fondo chiuso il rimborso delle quote può essere richiesto solo alla data prevista o, a seconda della formula scelta, dopo un certo numero di anni di sottoscrizione, contrariamente a quanto avviene, in linea di principio, per i fondi aperti. Il vantaggio dei fondi chiusi rispetto ai fondi aperti è che i primi non rischiano di trovarsi di fronte all’improvvisa necessità di effettuare disinvestimenti repentini per ottenere liquidità. Inoltre, dal punto di vista dei mercati dei capitali, si ritiene generalmente che i fondi immobiliari dovrebbero essere costituiti come fondi a liquidità limitata o come fondi chiusi a causa della natura a lungo termine di un investimento immobiliare e del tempo necessario per portare a termine le vendite di beni immobili ( 66 ).

    102.

    Certo, ci si può ragionevolmente chiedere se l’effetto dissuasivo di una misura che consiste semplicemente nel negare un beneficio fiscale a questo tipo di fondi sia sufficiente per raggiungere il motivo imperativo di interesse generale di ridurre il rischio sistemico sul mercato immobiliare dissuadendo i fondi aperti dall’operare su tale mercato ( 67 ). Tuttavia, come ho già spiegato, per essere considerata adeguata in base al principio di proporzionalità sancito dal diritto dell’Unione, è sufficiente che la misura di cui trattasi contribuisca al conseguimento del motivo imperativo di interesse generale in questione ( 68 ).

    103.

    Nel caso di specie, si rileva che l’obiettivo rilevante che sarebbe perseguito dal primo criterio di cui all’articolo 35, comma 10‑ter del decreto-legge n. 223/2006 è ridurre i rischi sistemici per il mercato immobiliare derivanti dallo sviluppo dell’attività dei fondi immobiliari aperti. Dato che il primo criterio è stato giudicato discriminatorio in modo indiretto, il che implica che esso ha un effetto dissuasivo sui fondi in questione, tale criterio contribuisce necessariamente al raggiungimento di tale obiettivo.

    104.

    Ciò è vero a maggior ragione in quanto, nella misura in cui gli Stati membri devono disporre di un certo margine di discrezionalità nella prevenzione di rischi complessi che coinvolgono un gran numero di fattori, non sembra affatto irrazionale che uno Stato membro tenga conto di tale rischio. Come la recente esperienza ha dimostrato, in alcuni mercati diverse crisi si sono verificate per il concomitante verificarsi di eventi che, presi isolatamente, sembravano improbabili. Gli eventi del 2007-2011 hanno dimostrato che il rischio di shock sistemici in questa situazione è molto reale.

    105.

    Analogamente, ci si può chiedere, in questo contesto, se una siffatta misura sia coerente con le misure adottate allo stesso fine nei confronti dei fondi immobiliari aperti di diritto italiano, dato che a questi ultimi è vietato investire nel mercato immobiliare. Tuttavia, va tenuto presente che il diritto dell’Unione non si applica alla discriminazione alla rovescia ( 69 ). Di conseguenza, il fatto che sia stata adottata una misura più drastica per quanto riguarda i fondi di diritto nazionale non può mettere in discussione la coerenza con cui si deve considerare il perseguimento dell’obiettivo.

    106.

    La misura fiscale di cui trattasi sembra in ogni caso essere parte di un pacchetto legislativo volto a raggiungere l’obiettivo dichiarato, ovvero favorire gli investimenti sul mercato immobiliare commerciale italiano da parte di fondi chiusi rispetto ai fondi aperti al fine di ridurre il rischio sistemico che si verrebbe a creare a seguito della detenzione di un numero eccessivo di immobili da parte di detti fondi ( 70 ). Conseguentemente, una valutazione della sufficienza della misura non può prescindere da un esame complessivo di tutte le suddette misure, che però non sono state specificate dal giudice nazionale.

    107.

    Certamente, in questo caso, altre misure, in particolare di carattere comportamentale, come il divieto di acquisto di immobili in Italia a fini speculativi, sarebbero state probabilmente più efficaci a tal fine. Tali misure avrebbero tuttavia avuto un impatto ancora maggiore sulla libera circolazione dei capitali e sulla libertà d’impresa. A maggior ragione, lo stesso problema sarebbe sorto se fossero state adottate misure strutturali, come quelle attualmente previste nella direttiva FIA, rispetto a tutti i fondi che intendono acquistare immobili commerciali in Italia. Va ricordato, infatti, che il diritto alla libertà d’impresa comprende il diritto di ogni impresa di disporre liberamente, nei limiti della responsabilità che su di essa grava per le sue azioni, delle risorse economiche, tecniche e finanziarie di cui dispone.

    108.

    La UBS Real Estate sostiene, tuttavia, che la prima condizione non sarebbe idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo di limitare il rischio sistemico individuato dal giudice del rinvio, poiché non vi sarebbe alcuna differenza tra i fondi di investimento chiusi in questione e i fondi di investimento aperti. Essi hanno caratteristiche identiche e sono soggetti alle medesime regole di gestione e di investimento.

    109.

    Ma è davvero così? Nel caso di specie si può notare che le analogie presentate dalla UBS Real Estate in merito alle regole di gestione e di investimento si riferiscono a regole che si applicano a causa della qualifica dei soggetti in questione come fondi di investimento. Con riferimento al problema sollevato dal giudice del rinvio, la UBS Real Estate riconosce che esiste una differenza tra un fondo aperto e un fondo chiuso a causa del fatto che il primo è soggetto, per definizione, a un disallineamento tra attività e passività.

    110.

    La UBS Real Estate replica affermando che i fondi immobiliari aperti, a condizione che dispongano di una maggiore liquidità rispetto ai fondi chiusi, sarebbero un investimento meno rischioso. Per quanto mi riguarda, tuttavia, non posso condividere tale argomento. I rischi cui si riferisce la UBS Real Estate sono quelli cui sono soggetti i singoli investitori. Non si tratta, tuttavia, dei rischi menzionati dal giudice del rinvio, che sono di natura sistemica generale nella misura in cui il problema del disallineamento tra attività e passività può amplificare un eventuale calo dei prezzi sul mercato immobiliare commerciale ( 71 ) e, a sua volta, in determinate circostanze, come l’esperienza recente ha dimostrato, può da ultimo minacciare i mercati bancari e finanziari.

    111.

    Infine, la UBS Real Estate sostiene che i fondi aperti di diritto tedesco sarebbero, in realtà, paragonabili ai fondi chiusi di diritto italiano. Da un lato, la legge tedesca richiederebbe il mantenimento di una riserva di liquidità che non può essere inferiore ad un certo importo. Questa riserva di liquidità ridurrebbe il rischio di liquidità associato all’investimento. Nel caso dei due fondi in questione, le loro regole di funzionamento prevedrebbero quindi che essi debbano mantenere almeno una liquidità pari al 5% del loro valore. D’altra parte, tale legge consentirebbe ai fondi aperti di prevedere clausole che consentano di ritardare l’eventuale vendita degli immobili del fondo per procedere al rimborso dei partecipanti, eliminando così il rischio previsto dal giudice del rinvio. Ciò era esattamente quanto previsto dalle norme di funzionamento dei fondi in questione ( 72 ). La legge italiana consente invece ai fondi chiusi italiani di prevedere un rimborso anticipato delle quote.

    112.

    A questo proposito, convengo che le clausole cui fa riferimento la UBS Real Estate potrebbero senz’altro ridurre il rischio individuato dal giudice del rinvio nella misura in cui consentono alla società stessa di rinviare il rimborso degli investimenti effettuati per un massimo di tre anni. Inoltre, mentre i prospetti e le norme relative al fondo prevedono che, in linea di principio, gli investitori possono chiedere di essere rimborsati e che solo in circostanze eccezionali tale rimborso può essere congelato, va osservato che tali clausole prevedono la possibilità di congelare i crediti per un periodo relativamente lungo e che le circostanze eccezionali che possono giustificarne l’attuazione comprendono l’evento di una crisi del mercato immobiliare. Spetta tuttavia al giudice nazionale verificare tutto ciò.

    113.

    In ogni caso, va notato che un periodo di tre anni di sospensione della richiesta di rimborso dell’investimento effettuato resta inferiore al periodo al termine del quale, in un fondo chiuso, gli investitori possono chiedere il rimborso, che è generalmente compreso tra 5 e 20 anni, con una durata media tra 10 e 12 anni. Poiché, tuttavia, una crisi immobiliare potrebbe senz’altro durare più di tre anni ( 73 ), ne consegue che, sebbene clausole come quelle specificate nel prospetto informativo e nel regolamento dei fondi della UBS Real Estate possano servire a ridurre il rischio cui fa riferimento il giudice del rinvio, non lo eliminano del tutto. A mio parere, non spetta alla Corte valutare se, tenuto conto del contenuto delle clausole in questione, il rischio che persiste sia sufficiente a giustificare l’adozione di misure di risposta da parte degli Stati membri. Spetta piuttosto ai giudici nazionali effettuare tale valutazione conclusiva.

    114.

    Se dette clausole fossero in grado di porre pienamente rimedio al rischio, allora ci si dovrebbe chiedere se un criterio debba essere considerato inidoneo (oppure eccedente quanto necessario) per il fatto che non comporta un esame dettagliato delle regole di funzionamento dei fondi ( 74 ), ma dipende unicamente dalla qualifica loro attribuita dalla legge che ne disciplina il funzionamento ( 75 ).

    115.

    In materia di libera circolazione, la Corte è stata effettivamente piuttosto cauta con questo tipo di approccio, prescrivendo l’uso di criteri il più possibile precisi ( 76 ).

    116.

    Da parte mia, tuttavia, sono dell’avviso che, qualora il giudice del rinvio ritenesse che il motivo del trattamento fiscale preferenziale dei fondi immobiliari chiusi fosse quello di cautelarsi contro i potenziali rischi sistemici sul mercato immobiliare commerciale e, per estensione, contro i potenziali rischi sistemici che emergono sui mercati finanziari, il ricorso a un siffatto criterio non sembrerebbe manifestamente inadeguato ( 77 ). Tenendo presente la discrezionalità di cui godono gli Stati membri in questa materia, qualsiasi sforzo per agevolare i fondi immobiliari chiusi dovrebbe essere considerato proporzionato in tali circostanze, pure se fosse possibile differenziare ulteriormente privilegiando anche determinati fondi aperti le cui clausole e i cui prospetti cerchino di escludere parzialmente il rischio derivante da un disallineamento tra attività e passività.

    V. Conclusioni

    117.

    Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere ai quesiti posti dalla Corte suprema di cassazione (Italia) come segue:

    L’articolo 56 CE deve essere interpretato nel senso che esso consente l’utilizzo di un criterio basato sulla natura aperta o chiusa di un fondo quale condizione per ottenere una riduzione dell’aliquota delle imposte ipotecaria e catastale che devono essere pagate in caso di acquisto di un immobile se la giustificazione di tale criterio è che esso contribuisce a prevenire il rischio sistemico nel mercato immobiliare di riferimento e purché, inoltre, non si verifichi una discriminazione diretta basata su fattori quali la circostanza che i fondi siano amministrati in Italia o siano comunque disciplinati dalla legge italiana.


    ( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

    ( 2 ) GU 2011, L 174, pag. 1.

    ( 3 ) GU 2014, L 183, pag. 18.

    ( 4 ) V. considerando 1 del regolamento delegato n. 694/2014.

    ( 5 ) GURI n. 164 del 15 luglio 1999.

    ( 6 ) GURI n. 153 del 4 luglio 2006.

    ( 7 ) Supplemento ordinario alla GURI n. 71 del 26 marzo 1998.

    ( 8 ) Secondo la UBS, i suddetti fondi non erano commercializzati in Italia.

    ( 9 ) V., in tal senso, sentenze del 16 giugno 2015, Gauweiler e a. (C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 15) e dell’11 giugno 2020, Subdelegación del Gobierno en Guadalajara (C‑448/19, EU:C:2020:467, punto 17).

    ( 10 ) Ciò è vero a maggior ragione in quanto, a differenza delle procedure d’infrazione, non vi è alcun onere della prova a carico delle parti, in quanto la domanda di pronuncia pregiudiziale è un procedimento da giudice a giudice. Infatti, la procedura prevista dall’articolo 267 TFUE non è un procedimento in contraddittorio, ma uno strumento di cooperazione fra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione necessari per risolvere le controversie dinanzi a essi pendenti. V. sentenza del 15 settembre 2011, Unió de Pagesos de Catalunya (C‑197/10, EU:C:2011:590, punto 16).

    ( 11 ) V., in tal senso, sentenze del 19 gennaio 2006, Bouanich (C‑265/04, EU:C:2006:51, punto 51), e del 25 ottobre 2017, Polbud‑ Wykonawstwo (C‑106/16, EU:C:2017:804, punto 27).

    ( 12 ) Sentenza del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C‑436/08 e C‑437/08, EU:C:2011:61, punto 34).

    ( 13 ) V., ad esempio, in tal senso, sentenze del 28 gennaio 1986, Commissione/Francia (270/83, EU:C:1986:37, punto 14); del 7 luglio 1988, Stanton e L’Étoile 1905 (143/87, EU:C:1988:378, punto 11), nonché sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud ‑ Wykonawstwo (C‑106/16, EU:C:2017:804, punto 33). A mio avviso, è sufficiente che i non residenti abbiano la facoltà di optare per la disciplina tributaria applicabile ai residenti. Spetta poi ai non residenti decidere se preferiscono questa o un’altra disciplina che, a seconda della loro situazione, può essere più o meno vantaggiosa.

    ( 14 ) V., ad esempio, sentenze del 23 febbraio 2016, Commissione/Ungheria (C‑179/14, EU:C:2016:108, punti da 148 a 150) e del 14 novembre 2018, Memoria e Dall’Antonia (C‑342/17, EU:C:2018:906, punto 44).

    ( 15 ) V., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 2010, SGI (C‑311/08, EU:C:2010:26, punto 38).

    ( 16 ) GU 1988, L 178, pag. 5. Tale direttiva, tuttora in vigore, ha realizzato la completa liberalizzazione dei movimenti di capitali e ha costituito la prima fase dell’unione monetaria. V. sentenza del 23 febbraio 1995, Bordessa e a. (C‑358/93 e C‑416/93, EU:C:1995:54, punto 17).

    ( 17 ) Sentenza del 23 febbraio 2006, van Hilten-van der Heijden (C‑513/03, EU:C:2006:131, punto 39).

    ( 18 ) V., in tal senso, sentenza del 1o giugno 1999, Konle (C‑302/97, EU:C:1999:271, punto 22).

    ( 19 ) V., ad esempio, sentenza del 10 dicembre 2018, Wightman e a. (C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 28).

    ( 20 ) V., in tal senso, sentenze del 26 giugno 2008, Burda (C‑284/06, EU:C:2008:365, punti 6869); del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, EU:C:2009:377, punti 3435), nonché sentenza del 30 aprile 2020, Société Générale (C‑565/18, EU:C:2020:318, punto 19). La determinazione della o delle libertà applicabili potrebbe avere un’importanza pratica, in quanto la libertà di stabilimento rientra nel campo di applicazione della direttiva 2006/123/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 347, pag. 36).

    ( 21 ) È vero che nella sentenza del 30 maggio 1989, Commissione/Grecia (305/87, EU:C:1989:218), la Corte ha esaminato, dal punto di vista della libertà di stabilimento, una normativa per la conclusione di negozi giuridici relativi a beni immobili situati nelle regioni greche di confine da parte di cittadini di altri Stati membri. Va tuttavia rilevato che detta causa riguardava un ricorso per inadempimento e non un rinvio pregiudiziale. In un rinvio pregiudiziale, la determinazione della libertà controversa deve tener conto della situazione delle parti (motivo per cui, tra l’altro, la questione se la controversia sia interna o meno è determinante ai fini della ricevibilità della questione). Tuttavia, in un ricorso per inadempimento, la Corte si pronuncia sulla compatibilità di una normativa con il diritto dell’Unione in generale. Nella causa Commissione/Grecia (305/87, EU:C:1989:218), tenuto conto degli obiettivi e del contenuto della normativa in questione, quest’ultima era applicabile sia ai semplici investitori sia alle persone che intendevano stabilirsi tramite i beni immobili in questione.

    ( 22 ) V. sentenza del 15 novembre 2016, Ullens de Schooten (C‑268/15, EU:C:2016:874, punto 47).

    ( 23 ) V., ad esempio, in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2014, Commissione/Germania (C‑100/13, non pubblicata, EU:C:2014:2293, punto 62).

    ( 24 ) V. sentenza del 3 marzo 2020, Vodafone Magyarország (C‑75/18, EU:C:2020:139, punto 49). Il diritto dell’Unione non impone agli Stati membri di concertarsi per evitare la doppia imposizione del medesimo reddito né, viceversa, che un determinato reddito non sia tassato affatto. V. sentenza del 26 maggio 2016, NN (L) International (C‑48/15, EU:C:2016:356, punto 47) o sentenza del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C‑436/08 e C‑437/08, EU:C:2011:61, punti da 169 a 172).

    ( 25 ) V., ad esempio, sentenza del 27 febbraio 2020, AURES Holdings (C‑405/18, EU:C:2020:127, punto 32).

    ( 26 ) Sentenza del 16 luglio 2009, Damseaux (C‑128/08, EU:C:2009:471, punto 27).

    ( 27 ) V., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2006, Kerckhaert e Morres (C‑513/04, EU:C:2006:713, punto 20) e conclusioni presentate dall’avvocato generale Geelhoed nella causa Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (C‑374/04, EU:C:2006:139, paragrafo 39).

    ( 28 ) V., ad esempio, sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 40).

    ( 29 ) V., in tal senso, sentenze del 6 dicembre 2007, Columbus Container Services (C‑298/05, EU:C:2007:754, punto 53) e del 26 maggio 2016, NN (L) International (C‑48/15, EU:C:2016:356, punto 47). È vero che, secondo talune sentenze, «le misure vietate dall’articolo [56], paragrafo 1, TFUE, in quanto restrizioni dei movimenti di capitali, comprendono quelle che sono idonee a dissuadere i non residenti dal fare investimenti in uno Stato membro o a dissuadere i residenti di detto Stato membro dal farne in altri Stati». V., ad esempio, sentenza del 10 maggio 2012 (da C‑338/11 a C‑347/11, EU:C:2012:286, punto 15). Il corsivo è mio. Da ciò non consegue, tuttavia, che il fatto che una misura abbia un siffatto effetto deterrente sia sufficiente per qualificarla come restrizione. V. punti 23 e 39 di detta sentenza.

    ( 30 ) L’avvocato generale Kokott ha proposto di abbandonare la verifica dell’assenza di discriminazione caldeggiando invece l’applicazione in materia tributaria della medesima verifica applicata in altri settori. La Corte non ha tuttavia accolto le sue conclusioni al riguardo. V. conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa Nordea Bank (C‑48/13, EU:C:2014:153, paragrafo 22) e sentenza del 17 luglio 2014, Nordea Bank Danmark (C‑48/13, EU:C:2014:2087, punti 2324).

    ( 31 ) V., ad esempio, sentenze del 13 marzo 2014, Bouanich (C‑375/12, EU:C:2014:138, punto 45) e del 30 aprile 2020, Société Générale (C‑565/18, EU:C:2020:318, punti 2425).

    ( 32 ) V. conclusioni presentate dall’avvocato generale Wahl nella causa Austria/Germania (C‑591/17, EU:C:2019:99, paragrafo 42). V., altresì, in tal senso, articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23).

    ( 33 ) V., ad esempio, sentenze del 14 febbraio 1995, Schumacker (C‑279/93, EU:C:1995:31, punti da 26 a 29); del 20 gennaio 2011, Commissione/Grecia (C‑155/09, EU:C:2011:22, punto 46); del 19 novembre 2015, Hirvonen (C‑632/13, EU:C:2015:765, punto 28), nonché sentenza del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza di associazione) (C‑78/18, EU:C:2020:476, punto 62). Tale approccio appare coerente con la giurisprudenza secondo la quale le libertà di circolazione costituiscono declinazioni del principio di non discriminazione in base alla nazionalità previsto dall’articolo 12 CE (ora articolo 18 TFUE), cosicché, quando tali libertà si applicano, non è necessario applicare autonomamente tale disposizione. V., ad esempio, sentenza del 21 gennaio 2010, SGI (C‑311/08, EU:C:2010:26, punto 31).

    ( 34 ) Per un esempio recente di applicazione del primo approccio, v. sentenza del 3 marzo 2020, Tesco-Global Áruházak (C‑323/18, EU:C:2020:140, punto 62).

    ( 35 ) È vero che l’articolo 58, paragrafo 1, lettera a), CE [ora articolo 65, paragrafo 1, lettera a), TFUE] prevede che «[l]e disposizioni dell’articolo 56 non pregiudicano il diritto degli Stati membri (...) di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale». Tuttavia, come ho spiegato nelle conclusioni da me presentate nella causa E (Rendimenti corrisposti dagli OICVM) (C‑480/19, EU:C:2020:942), l’espressione «non pregiudicano il diritto degli Stati membri» non implica l’esistenza di un’eccezione, ma piuttosto che gli Stati membri possono, se del caso, prevedere norme diverse per i non residenti. Di conseguenza, ritengo che l’articolo [58], paragrafo 1, lettera a), CE, in particolare in combinato disposto con il paragrafo 3 di detto articolo, si limiti a ricordare, per quanto riguarda il criterio della residenza, in quale caso l’uso di un tale criterio, sebbene equivalente alla cittadinanza, è compatibile con il diritto dell’Unione, vale a dire che tali Stati membri possono trattare le persone in modo diverso sulla base del suddetto criterio, a condizione che ciò non costituisca un mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata, il che presuppone che vi sia una giustificazione del criterio utilizzato (discriminazione arbitraria) e che, alla luce di tale giustificazione, questo diverso trattamento non appaia incoerente (discriminazione dissimulata). Per un esempio di sentenza che ha operato il confronto delle situazioni nella fase di qualificazione di una misura come restrizione, v. sentenza del 23 gennaio 2014, DMC (C‑164/12, EU:C:2014:20, punto 42).

    ( 36 ) V., ad esempio, sentenza del 30 aprile 2020, Société Générale (C‑565/18, EU:C:2020:318, punto 26).

    ( 37 ) Tuttavia, la suddetta questione può avere una certa importanza nell’ambito di un ricorso per inadempimento, nella misura in cui l’onere della prova della restrizione incombe alla Commissione, mentre quello della giustificazione allo Stato membro.

    ( 38 ) V., in tal senso, sentenze del 13 novembre 2019, College Pension Plan of British Columbia (C‑641/17, EU:C:2019:960, punti 6566), e del 23 gennaio 2014, DMC (C‑164/12, EU:C:2014:20, punto 42). Questi obiettivi possono essere talvolta identici.

    ( 39 ) V., ad esempio, sentenze del 10 maggio 2012, Santander Asset Management SGIIC e a. (da C‑338/11 a C‑347/11, EU:C:2012:286, punto 28) e del 2 giugno 2016, Pensioenfonds Metaal en Technie (C‑252/14, EU:C:2016:402, punto 49).

    ( 40 ) È vero che, al punto 50 della sentenza del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, EU:C:2009:377), la Corte ha dichiarato che «la circostanza che non esista in [uno Stato membro] un tipo di società con una forma giuridica identica a quella [della legge in questione] non può, di per sé, giustificare un trattamento differenziato, dal momento che, non essendo il diritto societario degli Stati membri interamente armonizzato a livello [dell’Unione], ciò priverebbe la libertà di stabilimento di ogni effetto utile». La Corte, nondimeno, non ha desunto l’esistenza di una restrizione dal mero fatto che la suddetta norma giuridica non esisteva nella normativa nazione, ma semplicemente che una siffatta circostanza non costituisce di per sé una giustificazione. Ciò che conta per stabilire una restrizione è che, in considerazione degli obiettivi perseguiti dalla misura in questione e dei principi fiscali applicati, questa forma di società avrebbe dovuto essere trattata in modo identico a un’altra forma di società esistente nel diritto nazionale.

    ( 41 ) V., in tal senso, sentenze del 9 ottobre 2014, van Caster (C‑326/12, EU:C:2014:2269, punti 3637), e dell’8 giugno 2017, Van der Weegen e a. (C‑580/15, EU:C:2017:429, punto 29).

    ( 42 ) V., per quanto riguarda le misure fiscali, le conclusioni presentate dall’avvocato generale Tizzano nella causa SEVIC Systems (C‑411/03, EU:C:2005:437, paragrafo 55) o, più in generale, le sentenze 7 maggio 1997, Pistre e a. (da C‑321/94 a C‑324/94, EU:C:1997:229, punto 52).

    ( 43 ) V., ad esempio, sentenza del 26 febbraio 2019, X (Società controllate in paesi terzi) (C‑135/17, EU:C:2019:136, punto 70).

    ( 44 ) Come spiegato, all’epoca dei fatti la direttiva FIA non era stata adottata. I fondi immobiliari, inoltre, non rientravano nell’ambito di applicazione della direttiva 85/611/CEE, del 20 dicembre 1985, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (o.i.c.v.m.), che ha stabilito il principio del controllo del paese d’origine, in quanto si presuppone che questi non investano in valori mobiliari e/o altre attività finanziarie liquide, come indicato all’articolo 1 della direttiva 85/611.

    ( 45 ) Questa non sarebbe una discriminazione indiretta, poiché il criterio applicato, sebbene tramite rinvio, sarebbe direttamente collegato all’eventuale natura transfrontaliera dell’operazione.

    ( 46 ) V. articolo 58, paragrafo 1, lettera b), CE.

    ( 47 ) V., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, EU:C:2009:377, punto 50).

    ( 48 ) Per dimostrare che l’articolo 35, comma 10‑ter del decreto-legge n. 223/2006 persegue tale obiettivo, la ricorrente fa riferimento allo Studio n. 2/2009/T del 15 maggio 2009 del Consiglio nazionale del Notariato dal titolo «Il regime tributario dei fondi immobiliari», nonché ad un documento di Assonime (Associazione fra le società italiane per azioni). Sebbene nessuno di questi documenti sia una fonte di diritto ufficiale, entrambi affermano che l’applicazione dell’imposta relativa all’acquisto di immobili strumentali tiene conto del fatto che l’acquisto di beni immobili da parte di tali soggetti è necessariamente seguito dalla rivendita degli stessi: i fondi immobiliari sono costituiti per un periodo determinato, nel corso del quale i beni immobili acquistati vengono rivenduti.

    ( 49 ) Dal punto di vista giuridico, ciò non sembra verificarsi, in quanto il contribuente al momento dell’acquisto e della rivendita non sarà lo stesso. Sebbene non sia chiaro come questo fenomeno possa riguardare specificamente i fondi di investimento ‐ poiché questa «doppia» imposizione sembra derivare semplicemente dal compimento di due distinti atti giuridici ‐ non si può escludere la possibilità che questo sia effettivamente l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano.

    ( 50 ) A tale riguardo, va notato che l’articolo 35, comma 10-ter, del decreto-legge n. 223/2006 si applica indipendentemente dal fatto che il fondo in questione sia distribuito o meno in Italia: esso si applica all’acquisizione di un immobile da parte di un fondo. Di conseguenza, la necessità di tutelare gli investitori non può essere invocata dall’Italia.

    ( 51 ) In ogni caso, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, non spetta alla Corte, nell’ambito di una domanda di pronuncia pregiudiziale, giudicare se l’interpretazione delle disposizioni nazionali data dal giudice del rinvio sia corretta né, a maggior ragione, stabilire quali siano gli obiettivi perseguiti da una misura. V., in tal senso, sentenze del 21 ottobre 2010, Padawan (C‑467/08, EU:C:2010:620, punto 22), del 15 settembre 2011, Gueye (C‑483/09 e C‑1/10, EU:C:2011:583, punto 42), nonché del 21 giugno 2016, New Valmar (C‑15/15, EU:C:2016:464, punti 2526). Come già esposto, poiché allo Stato membro interessato non incombe l’onere della prova, occorre tener presente che la Corte di giustizia, quando si pronuncia su una domanda di pronuncia pregiudiziale, lo fa sempre e solo sulla base delle giustificazioni addotte dal giudice del rinvio e, talvolta, ma con un certo margine di discrezionalità, dalle parti. Di conseguenza, qualora risulti che le giustificazioni addotte non sono corrette, la risposta fornita dalla Corte, sebbene giustificata alla luce delle circostanze descritte dal giudice del rinvio, può rivelarsi inconferente ai fini della controversia. Lo stesso vale quando si constata che talune disposizioni della normativa nazionale, benché pertinenti, non sono state menzionate dal giudice nazionale o quando risulta che le disposizioni citate non erano effettivamente applicabili alla controversia nel procedimento principale, in particolare ratione temporis. Per quanto sia deplorevole e costituisca una fonte di malintesi per i cittadini dell’Unione, quanto sopra è la conseguenza del procedimento di rinvio pregiudiziale nel quale, contrariamente a quanto avviene per una giurisdizione suprema nazionale, la Corte non ha le competenze per interpretare il diritto nazionale e deve quindi basarsi sulle dichiarazioni dei giudici del rinvio.

    ( 52 ) V., ad esempio, la sentenza del 1o dicembre 2011, Commissione/Belgio (C‑250/08, EU:C:2011:793, punto 71).

    ( 53 ) Tuttavia, come ho spiegato in precedenza, la circostanza che un soggetto assuma una forma non riconosciuta nello Stato ospitante non obbliga lo Stato membro ad applicare a tale soggetto il regime fiscale più favorevole esistente, ma semplicemente quello risultante da una coerente applicazione dei criteri previsti dalla legislazione nazionale.

    ( 54 ) La differenza tra la liquidità di un fondo di investimento di tipo aperto e quella di un fondo di investimento di tipo chiuso è ora riconosciuta dall’articolo 1 del regolamento delegato 694/2014.

    ( 55 ) Pretendere che il problema esista, piuttosto che ragionare in termini di rischio, per autorizzare uno Stato membro ad invocare la necessità di contrastarlo porterebbe ad uno sviluppo legislativo ondivago e rifletterebbe, a mio avviso, una forma di miopia giudiziaria: una misura verrebbe adottata in risposta al problema e poi abolita una volta stabilitane l’efficacia, il che farebbe riapparire il problema e porterebbe quindi lo Stato a reintrodurre la suddetta misura, e così via. Se il problema riscontrato da uno Stato membro è attualmente contenuto, forse è proprio perché le misure adottate per porvi rimedio sono efficaci.

    ( 56 ) V. regolamento (UE) n. 1092/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico (GU 2010, L 331, pag. 1). È vero che nel caso di specie il rischio sistemico riguarda il mercato immobiliare. L’esistenza di un siffatto rischio di ripercussioni della crisi dei mercati immobiliari sulla stabilità del sistema finanziario e dell’economia nel suo insieme sembra tuttavia essere largamente condiviso. V, ad esempio, il primo considerando della raccomandazione del Comitato europeo per il rischio sistemico del 31 ottobre 2016 relativa alle misure per colmare le lacune dei dati sugli immobili (CERS/2016/14) (GU 2017, C 31, pag. 1).

    ( 57 ) V., ad esempio, sentenza del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C‑436/08 e C‑437/08, EU:C:2011:61, punto 122). Alcune sentenze o atti hanno fatto riferimento ad un terzo criterio, ossia che non deve essere possibile sostituire il requisito con una misura meno restrittiva che possa raggiungere il medesimo risultato. Tuttavia, quest’ultimo costituisce l’altro aspetto del criterio che, per la misura controversa, è rappresentato dal non eccedere quanto necessario per il raggiungimento di tale scopo. Infatti, se fosse possibile adottare una misura meno restrittiva che potesse ottenere lo stesso risultato di una determinata misura, quest’ultima eccederebbe inevitabilmente quanto necessario a tal fine.

    ( 58 ) V., per analogia, quanto alla riduzione dei rischi per la salute, sentenza del 1o marzo 2018, CMVRO (C‑297/16, EU:C:2018:141, punto 65).

    ( 59 ) V., per analogia, sentenza del 18 giugno 2015, Estonia / Parlamento e Consiglio (C‑508/13 P, EU:C:2015:403, punto 29).

    ( 60 ) È generalmente riconosciuto che gli immobili commerciali hanno caratteristiche specifiche che li rendono, almeno in parte, un mercato distinto da quello degli immobili residenziali. Sembra tuttavia accertato che vi è un rischio significativo di effetti diffusivi negativi promananti dagli immobili commerciali sul più ampio settore finanziario e sull’economia reale. V., a tal fine, Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS), Report on vulnerabilities in the EU commercial real estate sector (Rapporto sulla vulnerabilità del settore immobiliare commerciale nell’Unione), novembre 2018, pag. 51. Inoltre, secondo il suddetto rapporto, nel 2018 il settore immobiliare rappresentava in Italia circa il 6% del prodotto interno lordo. V. pag. 11. Sebbene sia vero che, in base al suddetto rapporto, l’Italia non figurava fra gli Stati membri più esposti al rischio di effetti diffusivi negativi nel 2018, ciò non vuol dire che tale rischio non esista (e tanto meno che non esistesse nel 2006). Conseguentemente, il contrasto del suddetto rischio deve essere considerato come possibile motivo imperativo di interesse generale ai fini del diritto dell’Unione.

    ( 61 ) Secondo alcuni autori, nel 2020 i fondi comuni di investimento immobiliare rappresentavano il principale veicolo di investimento in immobili commerciali in Italia. V., Croce L., de Capitani, G. e Trutalli, F., Commercial real estate in Italy: Overview, Thomson Reuters Practical law, online Q&A guide to corporate real estate law in Italy. Uno studio PwC, che riporta dati della Banca d’Italia, indica che nel 2019 in Italia i fondi immobiliari gestivano patrimoni in immobili commerciali, ad uso ufficio e industriali sotto gestione per un valore pari a EUR 56000000000. Il suddetto studio, tuttavia, non specifica le dimensioni generali del mercato. V. PwC, Real Estate Market Overview: Italy 2019, disponibile sul sito web della suddetta rete globale di studi professionali. In Irlanda, la quota di immobili commerciali detenuti dai fondi di investimento (esclusi gli «investment trust» immobiliari, le compagnie di assicurazione e i fondi pensione) rappresentava nel 2016, a seconda della stima del mercato globale adottata, fra il 25 e il 50% del portafoglio immobiliare commerciale (uffici, esercizi commerciali e immobili industriali). Stime effettuate partendo dalle statistiche citate in Coates, D., Daly, P., Keenan, E., Kennedy, G., e McCarthy, B., Who Invests in the Irish Commercial Real Estate Market? An overview of Non-Bank Institutional Ownership of Irish CRE, Banc Ceannais na hÉireann/Central Bank of Ireland, Financial stability Notes, n. 6, 2019, n. 6, pagg. 5 e 7. In Francia il 14% degli immobili commerciali a Parigi e in periferia sono di proprietà di fondi di investimento (quotati o meno, ma con esclusione di investitori istituzionali o banche). V. Association française des sociétés de placement immobilier (ASPIM) e Ernst & Young, L’investissement immobilier, une dynamique au service des territoires: 1re étude socio-économique des fonds d’investissement immobilier non cotés, ottobre 2019, pag. 7.

    ( 62 ) V., in tal senso, sentenza del 1o marzo 2018, CMVRO (C‑297/16, EU:C:2018:141, punto 65).

    ( 63 ) V., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2018, Memoria e Dall’Antonia (C‑342/17, EU:C:2018:906, punto 52).

    ( 64 ) V., ad esempio, Comitato europeo per il rischio sistemico, Report on vulnerabilities in the EU commercial real estate sector, novembre 2018, pag. 5. «[G]li strumenti di investimento, come i fondi di investimento immobiliare, sono esposti a rischi di riscatto e possono portare a correzioni dei prezzi [sul mercato immobiliare commerciale] se i fondi sono costretti a vendere rapidamente il proprio patrimonio». Ibidem, pag. 79. A questo proposito va tenuto presente che è in genere a causa di un calo dei prezzi sul mercato immobiliare che gli investitori in questo tipo di fondi chiedono di essere rimborsati per limitare le loro perdite.

    ( 65 ) Nell’ottobre 2016, la SEC negli Stati uniti ha adottato nuove regole volte a promuovere un’efficace gestione del rischio di liquidità per i fondi aperti (https://www.sec.gov/rules/final/2016/33-10233.pdf); nel luglio 2016, la SFC di Hong Kong ha pubblicato una circolare che fornisce ulteriori indicazioni ai gestori patrimoniali, in particolare in relazione alla gestione del rischio di liquidità (https://apps.sfc.hk/edistributionWeb/gateway/EN/circular/doc?refNo= 16EC29); la FCA nel Regno Unito ha pubblicato ulteriori indicazioni (https://www.fca.org.uk/publications/documents/liquidity-management-investment-firms-good-practice); la AMF in Francia ha pubblicato un rapporto di consultazione sui test di stress a livello di fondi di investimento (agosto 2016, https://www.amf-france.org/it/en/news-pubblicazioni/news-releases/amf-news-releases/amf-news-releases/autorite-des-marches-financiers-amf-launches-consultation-use-stress-tests-help-manage-risk-asset, rapporto finale pubblicato nel febbraio 2017), nonché una guida dettagliata sui nuovi meccanismi per porre una soglia ai riscatti (dicembre 2016, https://www.amf-france.org/en/news-publications/news/setting-redemption-gates-mechanisms-amf-publishes-new-instruction-and-adjusts-its-existing-policy); la SEBI in India ha pubblicato una circolare (maggio 2016) nel settore della gestione della liquidità (https://www.sebi.gov.in/sebi_data/attachdocs/1464693701007.pdf). V. anche The Board of the International Organisation of Securities Commissions, Open-ended Fund Liquidity and Risk Management – Good Practices and Issues for Consideration – Final report, febbraio 2018 o, più recentemente, nel contesto della crisi Covid, relazione dell’ESMA (European Securities and Markets Authority, Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) sulla raccomandazione del Comitato europeo del rischio sistemico (ESRB, European Systemic Risk Board) sui rischi di liquidità nei fondi di investimento, 12 novembre 2020, specialmente pag. 54 sui fondi immobiliari.

    ( 66 ) V., ad esempio, Dillon Eustace, A Guide to Irish Regulated Real Estate Funds, 2009, pag. 4.

    ( 67 ) V., per analogia, sentenza del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punto 43).

    ( 68 ) Se, secondo la prima condizione del test di proporzionalità, si attribuisse eccessiva importanza all’efficacia della misura in questione, tale condizione entrerebbe in conflitto con la seconda condizione, ossia che la misura in questione non dovrebbe eccedere quanto necessario.

    ( 69 ) V. sentenza del 16 giugno 1994, Steen (C‑132/93, EU:C:1994:254, punti da 9 a 11).

    ( 70 ) V. il paragrafo 76 delle presenti conclusioni. Come ho spiegato nelle conclusioni da me presentate nella causa Autoridade Tributária e Aduaneira (Tassazione delle plusvalenze immobiliari) (C‑388/19, EU:C:2020:940), la Corte non dovrebbe considerare le misure fiscali isolatamente, ma cercare piuttosto di ottenere un quadro completo della legislazione tributaria applicabile alla situazione in questione, anche se ciò rende più difficile questa valutazione.

    ( 71 ) Lo stesso vale per le argomentazioni della UBS Real Estate relative all’orizzonte d’investimento raccomandato per gli investitori dei fondi.

    ( 72 ) L’articolo 12 del regolamento generale di questi due fondi, nella versione trasmessa alla Corte, prevede che: «la Società [di gestione] si riserva il diritto di rifiutare temporaneamente il riscatto per motivi di liquidità a tutela degli investitori. Se i depositi bancari e i proventi della vendita dello strumento del mercato monetario, le quote d’investimento e i titoli detenuti non sono sufficienti a consentire il pagamento del prezzo di rimborso e a garantire il servizio ordinato di gestione corrente dell’attività o se non sono immediatamente disponibili, la Società ha il diritto di rifiutare il rimborso per un periodo di sei mesi. Se, dopo la scadenza del periodo sopra indicato, non vi sono ancora fondi sufficienti a coprire il rimborso, gli immobili appartenenti al fondo d’investimento devono essere venduti. La Società può rifiutare il rimborso fino a quando la vendita di questi immobili non sia stata completata a condizioni ragionevoli, ma per non più di due anni dalla presentazione della richiesta di rimborso. Un annuncio agli investitori [pubblicato nel Bundesanzeiger elettronico (Gazzetta federale) e in un giornale finanziario o quotidiano a diffusione sufficientemente ampia o nei mezzi di informazione elettronici descritti nel prospetto di vendita] consente di prolungare il periodo sopra indicato di un ulteriore anno».

    ( 73 ) Ad esempio, la cosiddetta crisi dei subprime ha prodotto effetti sul mercato immobiliare statunitense almeno dal 2007 al 2012. Una crisi non dissimile ha colpito sia il mercato immobiliare spagnolo che quello irlandese dal 2008 al 2014.

    ( 74 ) A questo proposito, devo ricordare che la questione sollevata riguarda la compatibilità della prima condizione di cui all’articolo 35, comma 10-ter, del decreto-legge n. 223/2006 per beneficiare di una riduzione delle aliquote fiscali e non la prassi seguita dall’amministrazione tributaria italiana. Di conseguenza, l’argomentazione addotta dalla UBS Real Estate deve essere intesa come una critica al ricorso a una condizione tratta dalla natura aperta o chiusa del fondo, nella misura in cui sarebbe stato più adeguato ricorrere a un criterio basato su un’analisi approfondita delle norme che disciplinano il funzionamento dei fondi.

    ( 75 ) A tale riguardo, occorre ricordare ancora una volta che, all’epoca dei fatti controversi nel procedimento principale, i fondi immobiliari non rientravano nell’ambito di applicazione della direttiva 85/611 e, pertanto, non beneficiavano del principio del reciproco riconoscimento o del controllo da parte del solo Stato di origine.

    ( 76 ) Tuttavia, in un settore che certamente rientra nella competenza esclusiva dell’Unione, la Corte ha riconosciuto che il ricorso al criterio generale (la durata del matrimonio di almeno un anno, come prova dell’effettiva sussistenza e stabilità dei rapporti tra le persone interessate) non violava il principio di proporzionalità, anche se sarebbe stata possibile una valutazione più approfondita di ciascuna situazione, basata, ad esempio, sull’esame delle prove fornite dalle parti interessate. V. sentenza del 19 dicembre 2019, HK/Commissione (C‑460/18, EU:C:2019:1119, punto 89).

    ( 77 ) La posizione in merito alla discriminazione diretta – ove questa dovesse essere accertata – è, come ho già osservato, diversa.

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