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Document 62019CC0134

Conclusioni dell’avvocato generale G. Hogan, presentate il 28 maggio 2020.
Bank Refah Kargaran contro Consiglio dell'Unione europea.
Impugnazione – Politica estera e di sicurezza comune (PESC) – Articolo 29 TUE – Articolo 215 TFUE – Misure restrittive adottate nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran – Danno asseritamente subito dalla ricorrente a seguito dell’inserimento e del mantenimento del suo nome nell’elenco delle persone e delle entità alle quali si applica il congelamento di capitali e di risorse economiche – Ricorso per risarcimento danni – Competenza della Corte a statuire sulla domanda di risarcimento del danno asseritamente subito a causa delle misure restrittive previste da decisioni rientranti nell’ambito della PESC – Violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli – Insufficienza di motivazione di atti che istituiscono misure restrittive.
Causa C-134/19 P.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:396

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate il 28 maggio 2020 ( 1 )

Causa C‑134/19 P

Bank Refah Kargaran

contro

Consiglio dell’Unione europea

«Impugnazione – Ricorso per risarcimento – Misure restrittive adottate nei confronti dell’Iran – Articolo 29 TUE – Articolo 215 TFUE – Competenza della Corte a conoscere di un ricorso per risarcimento – Risarcimento del danno asseritamente subito dalla ricorrente a causa dell’inserimento del suo nome in vari elenchi di misure restrittive – Possibilità di ottenere il risarcimento del danno per violazione dell’obbligo di motivazione»

I. Introduzione

1.

La proliferazione delle armi nucleari è una delle maggiori minacce per l’umanità. Nel contesto del Medio Oriente, negli ultimi anni tale minaccia si è resa particolarmente acuta. Per questo motivo, gli Stati membri dell’Unione europea e l’Unione stessa hanno tentato, attraverso determinate misure restrittive (o sanzioni), di dissuadere la Repubblica islamica dell’Iran dall’intraprendere azioni idonee a consentire a tale Stato di sviluppare sistemi di armi nucleari. È in tale contesto generale che si inserisce la presente causa.

2.

Con la sua impugnazione, la Bank Refah Kargaran chiede l’annullamento parziale della sentenza del 10 dicembre 2018, Bank Refah Kargaran/Consiglio (T‑552/15; in prosieguo: la «sentenza impugnata», non pubblicata, EU:T:2018:897), con la quale il Tribunale ha respinto il suo ricorso diretto al risarcimento del danno da essa asseritamente subito a causa dell’inserimento del suo nome in vari elenchi di misure restrittive. La presente impugnazione solleva difficili questioni di interpretazione del Trattato concernenti la competenza della Corte a controllare le decisioni adottate in materia di politica estera e di sicurezza comune e, più in particolare, la questione se possa essere concesso un risarcimento dei danni quando una decisione recante misure restrittive nei confronti di una persona fisica o giuridica, adottata dal Consiglio sulla base del titolo V, capo 2, TUE è stata annullata dalla Corte ai sensi dell’articolo 275 TFUE.

II. Fatti all’origine della controversia

3.

I fatti all’origine della controversia, quali risultanti dai punti da 1 a 13 della sentenza impugnata, possono essere riassunti come segue.

4.

Come ho appena rilevato, la controversia si inserisce nel contesto delle misure restrittive adottate dall’Unione europea nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran. Tali misure miravano, e mirano tuttora, a esercitare pressioni sulla Repubblica islamica dell’Iran al fine di bloccare talune attività atte a presentare un rischio reale di proliferazione nucleare e far cessare lo sviluppo, da parte di tale Stato, di sistemi di lancio di armi nucleari.

5.

Il 26 luglio 2010 il nome della ricorrente, una banca iraniana, è stato inserito nell’elenco delle entità partecipanti alla proliferazione nucleare, contenuto nell’allegato II della decisione 2010/413/PESC del Consiglio, del 26 luglio 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran ( 2 ). Tali misure sono state adottate in ragione del fatto che detta banca sarebbe subentrata in talune operazioni finanziarie di un altro grande istituto finanziario iraniano, la Bank Melli, a seguito dell’adozione di misure restrittive nei confronti di quest’ultima.

6.

Per gli stessi motivi, il nome della ricorrente è stato altresì inserito nell’elenco di cui all’allegato V del regolamento (CE) n. 423/2007 del Consiglio concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2007, L 103, pag. 1). Tali misure restrittive nei confronti della Bank Refah sono state mantenute dal regolamento di esecuzione (UE) n. 668/2010 del Consiglio, del 26 luglio 2010, che attua l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 423/2007 concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2010, L 195, pag. 25).

7.

A seguito dell’abrogazione del regolamento n. 423/2007 ad opera del regolamento (UE) n. 961/2010 del Consiglio, del 25 ottobre 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran ( 3 ), il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco di cui all’allegato VIII di quest’ultimo regolamento.

8.

Con la decisione 2010/644/PESC ( 4 ), il Consiglio dell’Unione europea ha mantenuto il nome della ricorrente nell’elenco di cui all’allegato II della decisione 2010/413 ( 5 ).

9.

Il nome della ricorrente è stato altresì mantenuto nell’elenco di cui all’allegato VIII del regolamento n. 961/2010 ad opera del regolamento di esecuzione (UE) n. 1245/2011 del Consiglio, del 1o dicembre 2011, che attua il regolamento n. 961/2010 concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2011, L 319, pag. 11).

10.

Atteso che il regolamento n. 961/2010 è stato abrogato dal regolamento (UE) n. 267/2012 del Consiglio, del 23 marzo 2012, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2012, L 88, pag. 1), il nome della ricorrente è stato incluso dal Consiglio nell’allegato IX di tale regolamento. La motivazione addotta ai fini dell’inserimento del nome della ricorrente nell’elenco è uguale a quella indicata nella decisione 2010/413.

11.

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 19 gennaio 2011, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto, inter alia, all’annullamento della decisione 2010/644 e del regolamento n. 961/2010, nelle parti in cui la riguardavano. In seguito, la ricorrente ha modificato le sue conclusioni chiedendo l’annullamento della decisione 2011/783, del regolamento di esecuzione n. 1245/2011 e del regolamento n. 267/2012, nella parte in cui tali atti la riguardavano.

12.

Al punto 83 della sentenza del 6 settembre 2013, Bank Refah Kargaran/Consiglio (T‑24/11, EU:T:2013:403; in prosieguo: la «sentenza di annullamento»), il Tribunale ha accolto il secondo motivo dedotto dalla ricorrente, nei limiti in cui verteva su una violazione dell’obbligo di motivazione. Di conseguenza, il Tribunale ha annullato l’inserimento della ricorrente, in primo luogo, nell’allegato II, quale risultante dalla decisione 2010/644 e, successivamente, dalla decisione 2011/783, e, in secondo luogo, nell’allegato VIII del regolamento n. 961/2010 (come modificato, segnatamente, dal regolamento di esecuzione n. 1245/2011), nonché, in terzo luogo, nell’allegato IX del regolamento n. 267/2012. Nel giungere a tale decisione, il Tribunale non ha ritenuto necessario esaminare gli altri argomenti e motivi dedotti dalla ricorrente.

13.

Conformemente all’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, le decisioni del Tribunale che annullano un regolamento hanno effetto soltanto a decorrere dalla scadenza del termine di impugnazione contemplato all’articolo 56, primo comma, di detto Statuto oppure, se entro tale termine è stata proposta impugnazione, a decorrere dal relativo rigetto. Il Tribunale ha quindi deciso che, per far coincidere le date della produzione di effetti dell’annullamento di ciascun elenco, gli effetti dell’allegato II della decisione 2010/413, quali risultanti dalla decisione 2010/644 e, successivamente, dalla decisione 2011/783, dovevano essere mantenuti nei confronti della ricorrente sino al momento in cui anche l’annullamento dell’iscrizione della ricorrente nell’allegato IX del regolamento n. 267/2012 avesse spiegato i suoi effetti.

14.

In seguito, il nome della ricorrente è stato reinserito nell’elenco delle misure restrittive di cui all’allegato II della decisione 2010/413 mediante la decisione 2013/661/PESC del Consiglio, del 15 novembre 2013 ( 6 ). L’articolo 2 di tale decisione precisava che quest’ultima sarebbe entrata in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, ossia il 16 novembre 2013.

15.

Il nome della ricorrente è stato successivamente inserito nell’elenco di cui all’allegato IX del regolamento n. 267/2012 dal regolamento di esecuzione (UE) n. 1154/2013 del Consiglio, del 15 novembre 2013 ( 7 ). Tale regolamento di esecuzione è entrato in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, avvenuta anch’essa il 16 novembre 2013. Nell’allegato IX, l’iscrizione della ricorrente è stata motivata come segue:

«Entità che fornisce sostegno finanziario al governo dell’Iran. È posseduta per il 94% dall’Organismo di previdenza sociale iraniano, a sua volta controllato dal governo iraniano, e fornisce servizi bancari ai ministri governativi».

16.

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 gennaio 2014, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto, inter alia, all’annullamento della decisione 2013/661 e del regolamento di esecuzione n. 1154/2013 nella parte in cui tali atti la riguardavano. Tale ricorso è stato respinto con la sentenza del 30 novembre 2016, Bank Refah Kargaran/Consiglio (T‑65/14, non pubblicata, EU:T:2016:692). Questa seconda sentenza del Tribunale non è stata oggetto di impugnazione.

III. Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

17.

Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 25 settembre 2015, la ricorrente ha proposto un ricorso per risarcimento danni. Essa ha chiesto al Tribunale di condannare l’Unione europea a risarcirla del danno derivante dall’adozione e dal mantenimento delle misure restrittive in questione sino al loro annullamento ad opera della sentenza impugnata, versandole la somma di EUR 68651318, maggiorata degli interessi legali, a titolo di danno materiale, nonché la somma di EUR 52547415, maggiorata degli interessi legali, a titolo di danno morale. In subordine, la ricorrente ha chiesto al Tribunale di considerare tutte o parte delle somme richieste a titolo di danno morale come relative al danno materiale.

18.

Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 6 gennaio 2016, la Commissione ha chiesto di intervenire nel procedimento, a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Con decisione del 3 febbraio 2016, il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha autorizzato tale intervento. La Commissione ha depositato la sua memoria di intervento e le parti principali hanno presentato le loro osservazioni su tale memoria nei termini previsti ( 8 ).

19.

Con una misura di organizzazione del procedimento del 19 settembre 2018, la ricorrente è stata invitata a presentare le sue osservazioni, in particolare sull’argomento del Consiglio, esposto al punto 4 della controreplica, secondo cui il Tribunale non era competente a conoscere del ricorso per risarcimento dei danni relativamente alle decisioni 2010/413, 2010/644 e 2011/783. La risposta ai quesiti sottoposti alla ricorrente è pervenuta alla cancelleria del Tribunale il 4 ottobre 2018.

20.

Nella sentenza impugnata, il Tribunale si è pronunciato, ai punti da 25 a 32, sulla sua competenza a esaminare un ricorso per risarcimento dei danni asseritamente causati da misure restrittive. A seguito di un esame delle pertinenti disposizioni del Trattato, esso ha concluso che, per effetto del combinato disposto dell’articolo 24, paragrafo 1, TUE, dell’articolo 40 TUE e dell’articolo 275, primo comma, TFUE, esso non era competente a conoscere di un ricorso per il risarcimento dei danni asseritamente subiti a causa dell’adozione di decisioni nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC) ai sensi dell’articolo 29 TUE, quali le decisioni 2010/413, 2010/644 e 2011/783. Tuttavia, il Tribunale si è dichiarato competente a conoscere di una domanda di risarcimento dei danni asseritamente subiti da una persona o da un’entità in conseguenza alle misure restrittive adottate nei suoi confronti sulla base dell’articolo 215 TFUE, quali le misure individuali contenute nei regolamenti n. 961/2010 e n. 267/2012 nonché nel regolamento di esecuzione n. 1245/2011.

21.

Per quanto concerne il merito della domanda, il Tribunale ha ricordato, ai punti 34 e 35 della sentenza impugnata, che il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione presuppone che siano soddisfatte tre condizioni: occorre accertare un comportamento illegittimo consistente in una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica «preordinata a conferire diritti ai singoli», il ricorrente deve aver subito un danno effettivo, e deve sussistere un nesso di causalità fra il comportamento censurato e il danno lamentato.

22.

Il Tribunale ha esaminato, al punto 42 e seguenti, i tre argomenti dedotti dalla ricorrente per dimostrare l’esistenza di siffatta violazione.

23.

Per quanto riguarda il primo argomento, vertente sull’esistenza di una violazione qualificata di una norma giuridica a causa della violazione dell’obbligo di motivazione, constatata nella sentenza di annullamento, il Tribunale lo ha respinto sulla base del fatto che la violazione dell’obbligo di motivazione poteva con scarsa probabilità costituire una fonte di responsabilità dell’Unione.

24.

Per quanto concerne il secondo argomento, interpretato dal Tribunale come vertente sul fatto che, nella sentenza di annullamento, il Tribunale aveva constatato una violazione, da parte del Consiglio, dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva della ricorrente, il Tribunale lo ha respinto in quanto, in tale sentenza, le decisioni controverse sono state annullate per il solo motivo dell’esistenza di una violazione dell’obbligo di motivazione, senza esaminare i motivi dedotti dalla ricorrente vertenti su una violazione dei suoi diritti della difesa e del suo diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

25.

Con il suo terzo argomento, la ricorrente sostiene che il Consiglio non ha applicato il criterio che sostiene di aver applicato per giustificare l’inserimento della ricorrente negli elenchi. Il Tribunale ha respinto tale censura in quanto irricevibile, essendo stata sollevata tardivamente. Infatti, secondo il Tribunale, gli argomenti menzionati nel ricorso erano fondati unicamente sull’illegittimità constatata dal Tribunale nella sentenza di annullamento, sicché tale terzo argomento, menzionato per la prima volta nella replica della ricorrente, non può essere considerato un ampliamento degli argomenti esposti nel ricorso.

26.

Il Tribunale ha concluso che, nel caso di specie, la prima condizione richiesta per il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, relativa all’esistenza di un comportamento illegittimo imputabile al Consiglio, non era soddisfatta. Conseguentemente, il Tribunale ha respinto il ricorso, senza esaminare le altre due condizioni per il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE.

IV. Sull’impugnazione

A.   Procedimento e conclusioni delle parti

27.

La ricorrente chiede che la Corte voglia:

annullare parzialmente la sentenza impugnata;

nel procedimento principale, concederle il risarcimento del danno materiale da essa subito per un importo di EUR 68651318 e del danno morale per un importo di EUR 52547415;

in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale;

condannare il Consiglio alle spese dei due gradi di giudizio.

28.

Il Consiglio e la Commissione chiedono che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione e

condannare la ricorrente alle spese.

B.   Sintesi dei motivi della ricorrente

29.

A sostegno della sua impugnazione, la ricorrente deduce sette motivi che possono essere riassunti come vertenti, in sostanza, sul fatto che il Tribunale avrebbe commesso:

un errore di diritto laddove ha statuito che era poco probabile che una violazione dell’obbligo di motivazione costituisse un fondamento per la responsabilità dell’Unione (primo motivo);

un errore di diritto laddove ha dichiarato che un ricorrente, vittima di una sanzione illegittima adottata dal Consiglio, che abbia presentato un ricorso e ottenuto l’annullamento della sanzione, non può successivamente invocare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (secondo motivo);

un errore di diritto allorché ha respinto un motivo esposto dalla ricorrente nella sua replica senza verificare, come richiesto dalla giurisprudenza, se lo sviluppo del medesimo motivo nella replica derivasse dalla nomale evoluzione del contraddittorio avviato con il ricorso durante il procedimento contenzioso (terzo motivo).

un errore di diritto nell’interpretare erroneamente la sentenza di annullamento, e nel ritenere che la constatazione che il Consiglio ha violato il suo obbligo di comunicare alla ricorrente gli elementi posti a suo carico per quanto riguarda la motivazione addotta per le misure di congelamento dei capitali non dimostri l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione che fa sorgere la responsabilità dell’Unione (quarto e quinto motivo);

uno snaturamento del ricorso, laddove, per opporle l’irricevibilità del suo argomento, esso ha ritenuto che la ricorrente non aveva, in sede di ricorso, invocato una presunta illegittimità relativa all’assenza di conformità della motivazione per l’inserimento del suo nome negli elenchi delle persone sottoposte a misure restrittive con il criterio applicato dal Consiglio (sesto motivo);

uno snaturamento del ricorso, riducendo i motivi di illegittimità dedotti dalla ricorrente alla sola violazione dell’obbligo di motivazione (settimo motivo).

30.

Su richiesta della Corte, mi propongo di concentrare le presenti conclusioni, in primo luogo, sulla questione concernente la competenza, vale a dire la questione se il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nelle conclusioni a cui è giunto in merito alla sua competenza in materia di misure restrittive. Per il resto, esaminerò unicamente il primo motivo, con il quale la ricorrente contesta al Tribunale di aver commesso un errore di diritto dichiarando, nella presente causa, che una violazione dell’obbligo di motivazione non è idonea a far sorgere un diritto al risarcimento, considerando che gli altri motivi sono diretti, in sostanza, a eludere tale conclusione del Tribunale.

V. Analisi

A.   Sulla competenza del giudice dell’Unione a concedere un risarcimento a causa di misure restrittive

1. Se la Corte possa sollevare tale questione d’ufficio

31.

In via preliminare, occorre rilevare che, nella sua impugnazione, la ricorrente non ha contestato le conclusioni del Tribunale per quanto riguarda la sua competenza. Tuttavia, poiché la questione della competenza della Corte di giustizia a conoscere di una controversia è di ordine pubblico, tale questione può essere esaminata in qualsiasi momento dalla Corte di giustizia, anche d’ufficio ( 9 ).

32.

Tuttavia, poiché il giudice dell’Unione è vincolato dal principio del contraddittorio, un siffatto esame esige che le parti siano state informate del fatto che il giudice intende sollevare d’ufficio tale questione e che esse abbiano avuto la possibilità di dibatterla. Tali requisiti sono soddisfatti nella presente causa.

33.

Con lettera del 10 dicembre 2019, le parti sono state invitate a presentare osservazioni, in udienza, sulla questione se i giudici dell’Unione siano competenti a conoscere della domanda della ricorrente diretta a ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito a causa delle misure restrittive previste da decisioni rientranti nell’ambito della PESC. Esse sono state invitate altresì a prendere posizione in merito alla competenza della Corte a sollevare tale questione ex officio.

34.

Ne consegue che, qualora lo ritenga opportuno, la Corte può esaminare d’ufficio la questione della competenza dei giudici dell’Unione a statuire su un ricorso per risarcimento danni diretto alla riparazione del danno asseritamente subito a causa di una decisione che impone misure restrittive, adottata nell’ambito della PESC.

2. Sul merito

35.

Prima di esaminare il merito della questione, pare opportuno, anzitutto, descrivere ciò che sembra essere la prassi generale del Consiglio per quanto concerne l’adozione di misure restrittive, nonché esaminare la giurisprudenza del Tribunale sulla sua competenza in merito a tali questioni.

36.

Le misure restrittive sono adottate dal Consiglio, che delibera all’unanimità, sulla base dell’articolo 29 TUE. Tali misure, come quelle di cui trattasi nella presente causa, contengono disposizioni generali che possono, ad esempio, mirare a limitare l’importazione e l’esportazione di talune merci verso determinati Stati e da esse provenienti. Tali misure possono anche concretizzarsi in divieti specifici imposti a una categoria di destinatari e diretti, di fatto, a impedire a tali persone di commercializzare o di ricevere beni o servizi all’interno del territorio dell’Unione europea.

37.

A tal fine, le misure restrittive precisano a quali condizioni una persona può essere inserita e mantenuta nei relativi allegati. Tali decisioni adottate ai sensi dell’articolo 29 possono anche contenere un insieme di decisioni individuali che assumono la forma di un allegato contenente un elenco di persone, organismi o entità identificabili, nonché i motivi per i quali il Consiglio ritiene che esse soddisfino le condizioni stabilite dai criteri generali per figurare in tale elenco ( 10 ).

38.

Le misure restrittive adottate mediante una decisione ai sensi dell’articolo 29 TUE possiedono, dunque, una natura particolare, poiché si riconducono ad atti di portata generale (in quanto vietano ad una categoria di destinatari determinati in termini generali ed astratti, in particolare, di mettere capitali e risorse economiche a disposizione delle persone e degli enti i cui nomi si trovano negli elenchi contenuti nei loro allegati) e, al contempo, si riconducono a un insieme di decisioni individuali nei confronti di tali persone ed enti designati ( 11 ).

39.

Tuttavia, tali decisioni adottate ai sensi dell’articolo 29 si applicano soltanto agli Stati membri e non producono effetti nei confronti di terzi. Di conseguenza, al fine di garantire la loro uniforme applicazione da parte degli operatori economici in tutti gli Stati membri ( 12 ), la prassi del Consiglio comprende anche l’adozione parallela di regolamenti ai sensi dell’articolo 215 TFUE. Tali regolamenti riproducono, in generale, il testo delle decisioni basate sull’articolo 29 TUE ( 13 ). A tal fine, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata su proposta congiunta della Commissione e dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, e ne informa il Parlamento europeo. Ad esempio, in caso di modifica dell’elenco delle persone interessate dalle misure restrittive, sono apportate modifiche parallele alla decisione fondata sull’articolo 29 TUE e al regolamento adottato ai sensi dell’articolo 215 TFUE.

40.

Occorre tuttavia notare che, indubbiamente, le decisioni individuali che inseriscono e mantengono determinate persone negli elenchi contenuti negli allegati di tali regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 215 TFUE possono essere oggetto di un’azione per risarcimento danni, conformemente all’articolo 340, secondo comma, TFUE, qualora tale regolamento sia stato a sua volta annullato o sia stato accertato che esso non è stato applicato correttamente.

41.

Ad oggi, per quanto concerne la competenza dei giudici dell’Unione a conoscere di un ricorso diretto al risarcimento del danno asseritamente subito a causa dell’adozione di decisioni fondate sull’articolo 29 TUE, il Tribunale ha concluso, nella presente causa e in altre cause simili, di non essere competente ( 14 ).

42.

Conformemente all’attuale linea giurisprudenziale del Tribunale, riassunta ai punti 30 e 31 della sentenza impugnata, in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesta frase, TUE e dell’articolo 275, primo comma, TFUE, i giudici dell’Unione non sono competenti, in linea di principio, per quanto concerne le disposizioni di diritto primario relative alla PESC e gli atti giuridici adottati sulla base di tali disposizioni ( 15 ). I giudici dell’Unione dispongono di una competenza nel settore della PESC soltanto in via eccezionale, conformemente all’articolo 275, secondo comma, TFUE. Tale competenza comprende, da un lato, il controllo del rispetto dell’articolo 40 TUE e, dall’altro, i ricorsi di annullamento proposti da persone o entità, alle condizioni previste dall’articolo 263, quarto comma, TFUE, avverso misure restrittive adottate dal Consiglio nell’ambito della PESC.

43.

Tuttavia, è importante notare che il Tribunale interpreta l’articolo 275, secondo comma, TFUE nel senso che non attribuisce ai giudici dell’Unione alcuna competenza a conoscere di un ricorso per risarcimento danni ( 16 ). Pertanto, un ricorso per risarcimento del danno asseritamente subito a causa di un atto adottato nel settore della PESC esula dalla competenza di tale giudice ( 17 ). Il giudice dell’Unione è competente unicamente a conoscere di una domanda di risarcimento del danno asseritamente subito da una persona o da un’entità a causa dell’applicazione delle misure restrittive adottate nei suoi confronti ai sensi dell’articolo 215 TFUE, dal momento che quest’ultima disposizione non rientra nell’ambito di applicazione delle disposizioni PESC dei trattati ( 18 ).

44.

In altri termini, il Tribunale ritiene che, pur non essendo competente a conoscere di una domanda di risarcimento del danno asseritamente subito da una persona o da un’entità a causa delle misure restrittive adottate nei suoi confronti in una decisione fondata su disposizioni relative alla PESC (quali l’articolo 29 TUE), esso è competente a conoscere della medesima domanda nei limiti in cui è diretta al risarcimento del danno che tale persona o entità avrebbe subito a causa dell’attuazione di queste stesse decisioni, quando ciò è avvenuto attraverso un regolamento ai sensi dell’articolo 215 TFUE ( 19 ).

45.

In sede di esame di tale importante questione di competenza si rende necessario, anzitutto, analizzare le pertinenti disposizioni del Trattato.

46.

Sebbene l’articolo 19 TUE conferisca ai giudici dell’Unione il compito di «[a]ssicura[re] il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati», sia l’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, ultima frase, TUE, sia l’articolo 275, primo comma, TFUE indicano espressamente anche che, in materia di politica estera e di sicurezza comune, la Corte non è competente, in linea di principio, per quanto riguarda le disposizioni relative alla PESC né «per quanto riguarda gli atti adottati in base a dette disposizioni» ( 20 ).

47.

A tale riguardo, come rilevato dall’avvocato generale Wahl nelle sue conclusioni nella causa H/Consiglio e Commissione (C‑455/14 P, EU:C:2016:212, paragrafo 24), tali disposizioni del Trattato riflettono prassi ben consolidate dei giudici nazionali per quanto concerne decisioni di politica estera adottate dai governi dei rispettivi Stati membri. Questa tradizionale deferenza al potere esecutivo nell’ambito del controllo giurisdizionale di tali decisioni può essere giustificata da un insieme di diversi motivi. Molte di tali decisioni – inerenti, ad esempio, a questioni in materia di riconoscimento di uno Stato o alla risposta adeguata ad azioni ostili di uno Stato estero, per non parlare del dispiegamento di personale militare – implicano questioni politiche e diplomatiche di alto livello che, per loro natura, non sono idonee ad essere definite in sede giudiziaria. Le decisioni relative a tali materie comportano, non di rado, l’esercizio di discrezionalità politica da parte dei governi degli Stati membri, ed è importante che, in relazione ad esse, il potere esecutivo e giudiziario non si esprimano con voci discordanti. Peraltro, è frequente che le questioni che sorgono nel settore degli affari esteri non possano essere facilmente risolte mediante l’applicazione di principi giuridici convenzionali o il ricorso al metodo giudiziario classico dell’accertamento dei fatti, delle prove e della loro valutazione giuridica ( 21 ).

48.

Tuttavia, ciò non vale in relazione a tutte le decisioni che implicano questioni di politica estera. In particolare, la decisione di inserire il nome di una persona fisica o giuridica in un elenco di misure restrittive è suscettibile di controllo sulla base di criteri giuridici ordinari quali il rispetto dei diritti della difesa, l’obbligo di motivazione e il principio di proporzionalità. Infatti, la sentenza di annullamento pregressa, che è alla base del presente procedimento, costituisce, a suo modo, una testimonianza della modalità con cui questo tipo specifico e particolare di decisioni di politica estera può effettivamente costituire l’oggetto di un controllo giurisdizionale.

49.

Come ho appena osservato, tale logica offre una chiara spiegazione delle disposizioni del Trattato in materia di decisioni nel settore della PESC. Infatti, occorre ricordare che, in linea di principio, gli atti adottati sulla base delle disposizioni PESC sono destinati unicamente a tradurre decisioni di natura puramente politica connesse all’attuazione della PESC, in relazione alle quali è difficile conciliare il controllo giurisdizionale con la separazione dei poteri. Di conseguenza, come sottolineato dall’avvocato generale Wahl nella causa H/Consiglio e Commissione, l’esercizio del controllo giurisdizionale della Corte di giustizia dell’Unione europea su materie rientranti nella PESC interviene «solo in circostanze eccezionali» ( 22 ).

50.

Tuttavia, è altrettanto importante ricordare che non tutti gli atti adottati nell’ambito della PESC sono esclusi dal controllo della Corte dalle pertinenti disposizioni del Trattato.

51.

In primo luogo, come risulta dalla formulazione dell’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 275, primo comma, TFUE, l’esclusione esplicita prevista da tali disposizioni riguarda unicamente gli atti adottati sulla base di una delle disposizioni dettate agli articoli da 23 TUE a 46 TUE o in forza di un atto adottato esso stesso sulla base di tali disposizioni.

52.

In secondo luogo, la Corte ha dichiarato che, indipendentemente dalla loro base giuridica, taluni atti, in virtù della loro stessa natura, non sono esclusi dal controllo giurisdizionale per effetto delle disposizioni di cui all’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, TUE e all’articolo 275, primo comma, TFUE. La Corte ha dichiarato, ad esempio, di essere competente a sindacare la validità di atti di gestione del personale, che sono simili alle decisioni adottate dalle istituzioni dell’Unione nell’esercizio delle loro competenze, quali i provvedimenti di riassegnazione ( 23 ).

53.

In terzo luogo, poiché l’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, TUE e l’articolo 275, primo comma TFUE introducono una deroga alla regola della competenza generale che l’articolo 19 TUE conferisce alla Corte per assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati, tali disposizioni devono essere interpretate restrittivamente ( 24 ). Di conseguenza, quando un atto è soggetto all’applicazione di norme contenute nel TFUE, quali le disposizioni del regolamento finanziario in materia di appalti pubblici, la Corte si è riservata la competenza a interpretare e applicare tali norme ( 25 ).

54.

In quarto luogo, i Trattati stessi individuano due situazioni, nel quadro della PESC, nelle quali la competenza dei giudici dell’Unione è stata espressamente riconosciuta. Infatti, sia l’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, ultima frase, TUE, sia l’articolo 275, secondo comma, TFUE stabiliscono che la Corte è competente a controllare il rispetto dell’articolo 40 TUE, ossia a verificare se un atto sia stato adottato nel rispetto delle procedure e delle attribuzioni delle istituzioni previste dai Trattati ( 26 ).

55.

Inoltre, in virtù dell’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, ultima frase, TUE e dell’articolo 275, secondo comma, TFUE, i Trattati hanno espressamente attribuito alla Corte la competenza a controllare la legittimità delle decisioni del Consiglio che prevedono l’adozione di misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche.

56.

Per quanto riguarda tale seconda eccezione, mentre l’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, ultima frase, TUE attribuisce alla Corte la competenza a controllare la legittimità di talune decisioni di cui all’articolo 275, secondo comma, TFUE, quest’ultima disposizione precisa altresì che la Corte è competente a controllare la legittimità delle decisioni del Consiglio che prevedono l’adozione di misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche nel quadro dei ricorsi proposti «secondo le condizioni di cui all’articolo 263, quarto comma del [TFUE]».

57.

A tal riguardo, la Corte ha statuito, al punto 70 della sentenza Rosneft, che tale riferimento alle «condizioni di cui all’articolo 263, quarto comma» deve essere interpretato nel senso che non concerne il «tipo di procedura nell’ambito della quale la Corte può controllare la legittimità di talune decisioni, bensì il tipo di decisioni di cui la Corte può controllare la legittimità, nell’ambito di qualsiasi procedimento avente ad oggetto un siffatto controllo di legittimità» ( 27 ). Di conseguenza, poiché decisioni di questo tipo possono essere oggetto di un rinvio pregiudiziale di validità o di un ricorso di annullamento ( 28 ), e poiché tali due procedimenti sono diretti al controllo della legittimità di tali decisioni, la Corte ha ritenuto di essere competente, in forza dell’articolo 267 TFUE, a statuire in via pregiudiziale sulla validità di misure restrittive adottate nei confronti di persone fisiche o giuridiche ( 29 ).

58.

Risulta quindi chiaramente dalla formulazione dell’articolo 275, secondo comma, TFUE che la competenza della Corte in materia di legittimità di misure restrittive si limita ai soli ricorsi «secondo le condizioni di cui all’articolo 263, quarto comma del [TFUE]».

59.

Da un certo punto di vista, la competenza della Corte è limitata, in forza dell’articolo 275, secondo comma, TFUE, al mero controllo della legittimità delle misure restrittive adottate nei confronti di persone fisiche o giuridiche nell’ambito di un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263, secondo comma, TFUE. In tale prospettiva, siffatta competenza non si estende alla domanda di risarcimento danni conseguente o connessa. Del resto, da una giurisprudenza costante risulta che l’azione risarcitoria non rientra, in quanto tale, nel sistema di controllo della legittimità degli atti dell’Unione ( 30 ). Come rilevato dalla Corte nella sentenza Lütticke/Commissione ( 31 ), «l’azione di danni (…) è concepita (…) come un rimedio autonomo, dotato di una propria funzione che lo distingue dalle altre azioni esperibili e sottoposto a condizioni di esercizio» ( 32 ).

60.

Più esplicitamente, il Tribunale ha statuito che «l’azione risarcitoria (…) differisce dall’azione di annullamento in quanto tende ad ottenere non già l’eliminazione di un atto determinato, bensì il risarcimento del danno causato da un’istituzione (…). Il principio dell’autonomia dell’azione di risarcimento trova quindi giustificazione nel fatto che tale azione si contraddistingue da quella di annullamento per via del suo oggetto» ( 33 ). Si potrebbe aggiungere che la responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE è sottoposta a condizioni diverse da quelle di cui all’articolo 263 TFUE. In particolare, il sorgere della responsabilità dell’Unione presuppone non soltanto che il ricorrente dimostri l’esistenza di una violazione di una norma giuridica, ma anche che tale violazione sia qualificata e interessi una norma preordinata a conferire diritti ai singoli, nonché che il singolo subisca un danno per effetto di tale violazione ( 34 ). In altri termini, anche nell’ipotesi in cui, a seguito di un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, sia stata chiaramente accertata un’illegittimità, non vi è un diritto automatico al risarcimento.

61.

Al contempo, sebbene la fedeltà al testo stesso del Trattato sia particolarmente importante – non da ultimo nel contesto di vincoli giurisdizionali come quelli nel caso di specie –, l’articolo 275 TFUE non può essere interpretato letteralmente, senza alcuno scostamento. Dopotutto, l’intero trattato deve essere interpretato in modo globale e armonico, di modo che i suoi elementi interconnessi conducano a un risultato che, adattando leggermente le affermazioni della Corte al punto 78 della sentenza Rosneft, assicuri «la necessaria coerenza» ( 35 ) inerente a qualsiasi sistema di tutela giurisdizionale effettiva.

62.

A tale riguardo, si può osservare che, nella misura in cui, in tali materie, il Consiglio agisce mediante regolamento ai sensi dell’articolo 215 TFUE, qualora le parti pertinenti del regolamento siano state annullate o applicate in modo erroneo, può essere concesso un risarcimento dei danni, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, in presenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che, a sua volta, ha direttamente causato un danno. Trattasi, dopotutto, di ciò che è avvenuto nella causa Safa Nicu Sepahan, in cui è stato concesso un risarcimento in forza dell’articolo 340, secondo comma, TFUE in conseguenza dell’omessa prova, da parte del Consiglio, del fatto che la società ricorrente soddisfacesse almeno una delle condizioni specificate nei regolamenti pertinenti che prevedevano misure restrittive, e in cui, in tali circostanze, si è ritenuto che ciò integrasse una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica, tale da causare un danno alla ricorrente.

63.

Si può quindi porre la questione del motivo per cui la Corte non sarebbe competente a concedere un risarcimento dei danni quando la decisione PESC recante misure restrittive è stata adottata in applicazione del titolo V, capo 2, del TUE, mentre, allo stesso tempo, essa sarebbe competente allorché il Consiglio abbia altresì adottato un regolamento (come accade immancabilmente) ai sensi dell’articolo 215 TFUE, che si è limitato, sotto ogni profilo, a riprodurre la decisione originaria recante misure restrittive. È difficile sfuggire alla conclusione che una simile circostanza comporterebbe semplicemente anomalie inammissibili, impossibili da giustificare. Tutto ciò condurrebbe a una situazione tale per cui il sistema dei rimedi previsto dai Trattati in materia di controllo giurisdizionale delle misure restrittive mancherebbe della necessaria coerenza.

64.

A tale riguardo, non ritengo che si possa concordare con la posizione espressa dal Consiglio, secondo cui l’assenza di competenza del Tribunale e della Corte a conoscere di un ricorso di annullamento avverso una decisione individuale adottata sulla base dell’articolo 29 TUE sarebbe controbilanciata dall’esistenza di altri mezzi di ricorso, in particolare dalla possibilità di instaurare un’azione sul modello Francovich ( 36 ) nei confronti di singoli Stati membri a motivo delle misure nazionali adottate ai sensi di tale decisione. La risposta più ovvia a tale argomento è che, in virtù dell’articolo 29, seconda frase, TUE, gli Stati membri sono obbligati a eseguire ogni decisione adottata ai sensi di tale disposizione. Alla luce di qualsiasi interpretazione della dottrina Francovich, i singoli Stati membri non possono essere considerati responsabili dei danni causati da una misura nazionale adottata per conformarsi a tale decisione, posto che l’eventuale illegittimità all’origine del danno non può essere loro imputata.

65.

A tal riguardo, occorre altresì ricordare quanto statuito dalla Corte nella citata sentenza Rosneft, ai punti da 72 a 74. La Corte ha sottolineato che l’Unione si fonda sullo Stato di diritto e che l’esistenza stessa di un controllo giurisdizionale effettivo, «destinato ad assicurare il rispetto delle disposizioni del diritto dell’Unione, è intrinseca all’esistenza di uno Stato di diritto». La Corte ha proseguito affermando che, sebbene l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea «non possa creare una competenza per la Corte qualora i Trattati la escludano», il principio della tutela giurisdizionale effettiva «implica tuttavia che l’esclusione della competenza della Corte in materia di PESC vada interpretata restrittivamente».

66.

Per quanto concerne il testo dell’articolo 275, secondo comma, TFUE, ritengo che la migliore interpretazione di tali disposizioni di esclusione sia che i redattori abbiano semplicemente inteso, per ragioni molto comprensibili, escludere la competenza della Corte di giustizia per quanto concerne la generalità degli atti della PESC, ad eccezione di queste decisioni in materia di misure restrittive. Poiché il ricorso per risarcimento danni non è stato escluso per quanto concerne gli atti adottati sulla base dell’articolo 215 TFUE in relazione alla medesima materia, è dubbio che i redattori abbiano effettivamente inteso escludere un ricorso per risarcimento danni conseguente o strettamente connesso al ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE concernente siffatte misure restrittive. Più specificamente, è difficile che l’intenzione dei redattori sia stata quella di impedire a un ricorrente il cui ricorso di annullamento sia stato accolto di chiedere il risarcimento dei danni discendenti da ciò che potrebbe costituire una grave violazione di una norma giuridica.

67.

Qualsiasi altra conclusione condurrebbe, come ho indicato, ad anomalie inammissibili, che non solo contrasterebbero con i principi fondamentali relativi alla tutela dello Stato di diritto – esso stesso un principio fondante del diritto dell’Unione – ma pregiudicherebbero altresì l’effettività e la necessaria coerenza del sistema dei rimedi previsto dai Trattati.

68.

Ne consegue, pertanto, che, in tali circostanze, la Corte, a mio avviso, non è tenuta a interpretare i meri termini dell’articolo 275, secondo comma, TFUE in maniera rigorosamente letterale e intransigente. È possibile, a mio avviso, interpretare i trattati in modo globale e armonico, con particolare attenzione, ove necessario, al funzionamento dell’articolo 215 TFUE.

69.

È vero che sia l’articolo 24 TUE, sia l’articolo 275 TFUE menzionano il controllo della legittimità di talune decisioni, ma per quanto concerne il riferimento alle condizioni di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE ( 37 ), tali termini devono essere intesi in senso generale, facendo riferimento ai tipi di decisioni che possono essere sottoposte al controllo giurisdizionale del giudice dell’Unione, e non a un particolare procedimento di controllo giurisdizionale.

70.

In ogni caso, anche se il ricorso di annullamento e il ricorso per risarcimento danni non perseguono gli stessi obiettivi, sicché, nell’ambito di quest’ultimo, «la violazione di una norma giuridica» non è di per sé sufficiente a far sorgere la responsabilità, resta il fatto che, ciò nonostante, un controllo di legittimità della decisione che ha causato il danno lamentato risulta necessario quale passo procedurale nel valutare la fondatezza di un’azione di responsabilità ( 38 ). È vero che l’esistenza di un’illegittimità non è di per sé sufficiente a far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ma come per un ricorso di annullamento taluni vizi possono non comportare l’annullamento della decisione ( 39 ).

71.

Di conseguenza, ritengo che la Corte sia competente a conoscere di un ricorso per risarcimento danni direttamente connesso o accessorio a un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE riguardante la legittimità di misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio sulla base del titolo V, capo 2, TUE e che, tenuto conto di tale interpretazione, siffatta competenza non sia esclusa dall’articolo 275, secondo comma, TFUE.

72.

Mi propongo ora di esaminare nel merito il primo motivo della ricorrente.

B.   Sul primo motivo

73.

Conformemente alle condizioni enunciate nella sentenza Francovich ( 40 ), applicabili in via analogica ( 41 ), ai fini del sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, per comportamento illegittimo dei suoi organi, devono essere soddisfatte tre condizioni. Trattasi, in primo luogo, dell’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli, in secondo luogo, dell’esistenza di un danno, e, in terzo luogo, della sussistenza di un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo incombente all’autore dell’atto e il danno subito dai soggetti lesi ( 42 ).

74.

Per quanto riguarda la prima condizione, che è quella in considerazione nell’ambito della presente impugnazione, la Corte ha già statuito che vi è una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti a persone o entità qualora la violazione implichi un travalicamento manifesto e grave, da parte dell’istituzione interessata, dei limiti imposti al suo potere discrezionale. A tale riguardo, i fattori da tenere in considerazione sono, segnatamente, la complessità delle situazioni da disciplinare, la chiarezza e la precisione della disposizione violata e il margine di valutazione discrezionale rimesso all’istituzione dell’Unione ( 43 ). Una violazione si considera accertata in presenza di un’irregolarità che, in circostanze analoghe, un’amministrazione normalmente prudente e diligente non avrebbe commesso ( 44 ).

75.

Nella sentenza impugnata, il Tribunale si è fondato, per respingere il ricorso proposto dalla ricorrente, su un filone giurisprudenziale ai sensi del quale la violazione dell’obbligo di motivazione non è sufficiente per far sorgere una responsabilità extracontrattuale. Poiché la ricorrente, nell’atto introduttivo, ha fondato il suo ricorso soltanto sulla sentenza di annullamento, con cui il Tribunale aveva annullato le decisioni di inserimento del suo nome negli elenchi a motivo dell’insufficienza della motivazione, il Tribunale ha concluso che la prima condizione per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione non era soddisfatta ( 45 ).

76.

Con il suo primo motivo di impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale ha applicato erroneamente tale filone giurisprudenziale, dato che esso si applicherebbe soltanto ad atti normativi e, nel caso di specie, sussistevano circostanze eccezionali che avrebbero dovuto indurre il Tribunale ad escluderne l’applicazione.

77.

Per quanto mi riguarda, non posso concordare. Tenuto conto della formulazione generica utilizzata e della «raison d’être» di tale filone giurisprudenziale, quest’ultimo si applica a qualsiasi decisione, sia essa di natura amministrativa o normativa. Infatti, come rilevato dal Consiglio nelle sue osservazioni scritte, sebbene, in talune sentenze, la Corte abbia applicato tale filone giurisprudenziale ad atti normativi ( 46 ), essa l’ha anche applicato nel contesto di decisioni individuali che inseriscono il nome di una determinata persona nell’elenco dei soggetti sottoposti a misure restrittive ( 47 ). Benché la ricorrente abbia invocato, in modo alquanto vago, circostanze eccezionali, non risulta che vi fossero elementi in forza dei quali, nel caso di specie, il Tribunale avrebbe potuto legittimamente discostarsi da tale filone giurisprudenziale.

78.

Tuttavia, siffatto filone giurisprudenziale potrebbe essere ulteriormente precisato, affinché qualsiasi persona o entità interessata possa comprendere come ottenere un risarcimento.

79.

Tale impegno a fornire chiarimenti riveste un’importanza notevole se si considera che, da un lato, il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva implica che, anche in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui un’istituzione ha causato un danno adottando una decisione individuale senza un’adeguata giustificazione, la persona interessata deve poter ottenere un adeguato risarcimento di tale danno ( 48 ). Come sottolineato dal rappresentante della ricorrente in udienza, l’esistenza di questo tipo di rimedio riveste, per tale entità, un’importanza decisamente maggiore rispetto alla questione se la Corte sia competente a conoscere di un ricorso per risarcimento del danno derivante dall’adozione di una decisione fondata sull’articolo 29 TUE, poiché, come ho già indicato, nella prassi il Consiglio è solito adottare due decisioni identiche, una fondata sull’articolo 29 TUE e l’altra sull’articolo 215 TFUE.

80.

In secondo luogo, si può osservare che una violazione dell’obbligo di motivazione costituisce, di per sé, una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli. Come tacitamente riconosciuto dall’articolo 296 TFUE, il diritto a una motivazione è la tutela più sicura contro l’adozione di decisioni arbitrarie e costituisce un elemento fondamentale di una società fondata sullo Stato di diritto. Più specificamente, poiché uno scopo della motivazione è quello di consentire al destinatario dell’atto di cui trattasi di conoscere le ragioni della sua adozione e, pertanto, di decidere se impugnarlo o meno ( 49 ), si deve ritenere che esso conferisca diritti ai singoli.

81.

In tale particolare contesto, tuttavia, il diritto alla motivazione presenta due aspetti distinti che meritano di essere esaminati. Da un lato, se l’obbligo di motivazione costituisce una formalità sostanziale che deve essere rispettata in tutti i casi ( 50 ), la questione della fondatezza della motivazione in concreto fornita – che attiene alla legittimità sostanziale dell’atto controverso – è leggermente diversa.

82.

Dall’altro lato, in materia di PESC, il Consiglio può certamente incontrare talune difficoltà in termini di disponibilità di informazioni, ma tale circostanza non è idonea a giustificare un difetto di motivazione. Infatti, come statuito dalla Corte, «l’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296 TFUE implica in tutte le circostanze (…) che tale motivazione identifichi le ragioni individuali, specifiche e concrete per cui le autorità competenti ritengono che alla persona interessata debbano essere applicate misure restrittive» ( 51 ). Di conseguenza, una violazione dell’obbligo di motivazione dovrebbe essere considerata, in termini generali, come un’irregolarità che un’amministrazione normalmente prudente e diligente non avrebbe commesso.

83.

Sebbene la Corte non abbia avuto occasione, ad oggi, di precisare il motivo per cui una violazione dell’obbligo di motivazione non è di per sé sufficiente a far sorgere una responsabilità extracontrattuale, la risposta mi sembra, tuttavia, chiara. Quando un ricorrente chiede il risarcimento del danno causato dalle conseguenze giuridiche provocate da una decisione, tale danno non può derivare esclusivamente da un difetto di motivazione. Piuttosto, siffatto danno è causato unicamente dall’assenza di una solida base per tale decisione ( 52 ).

84.

Poiché l’esistenza di una motivazione è necessaria per consentire al giudice di esercitare un adeguato controllo giurisdizionale sulla legittimità della decisione di cui trattasi ( 53 ), in mancanza di una motivazione, non è possibile stabilire se tale decisione sia o meno fondata e, conseguentemente, se sia soddisfatta la condizione dell’esistenza di un nesso di causalità ( 54 ).

85.

Ciò non significa, tuttavia, che in circostanze quali quelle di cui alla presente causa, in cui, al fine di attuare ed eseguire una sentenza di annullamento, un’istituzione decide di adottare una nuova decisione produttiva di effetti soltanto per il futuro, il destinatario di tale decisione sia privato della possibilità di ottenere un risarcimento danni a causa del significativo impatto negativo della decisione originaria ( 55 ).

86.

Una violazione dell’obbligo di motivazione, sancito dall’articolo 296 TFUE, non è quindi, di per sé, idonea a far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione. Il destinatario di una decisione priva di motivazione può, tuttavia, spingersi oltre, e sostenere che la decisione in questione in realtà non è fondata e non è supportata da alcuna informazione o elemento di prova ( 56 ).

87.

Certamente, in assenza di motivazione, non ci si può attendere che il destinatario di una decisione deduca altro oltre a dichiarare che quest’ultima è contestata anche nel merito. Tuttavia, il ricorrente deve, quanto meno, dedurre siffatto motivo, vertente su ciò che si potrebbe qualificare come legittimità interna delle decisioni controverse, in particolare la circostanza che esse sono prive di una base probatoria adeguata. Dopotutto, la Corte è vincolata alle conclusioni delle parti. Non è quindi sufficiente, a tal fine, che la ricorrente invochi unicamente il fatto di aver contestato il difetto di motivazione.

88.

Nell’ipotesi in cui il destinatario di una decisione non invochi soltanto un difetto di motivazione, bensì anche l’insussistenza di motivi fondati, spetta all’istituzione interessata, nella fattispecie il Consiglio, dimostrare che tale decisione era, in realtà, fondata ( 57 ). Nel caso in cui esso ometta, in tale fase, di fornire una spiegazione dei motivi che hanno condotto all’adozione dell’atto di cui trattasi, devono essere considerate accertate, quanto meno, le prime condizioni per il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE.

89.

È vero che, nel contesto di un ricorso di annullamento, i motivi devono essere indicati, in linea di principio, al momento all’adozione della decisione in questione e, solo eccezionalmente, in una fase successiva, su domanda dell’interessato. Tuttavia, occorre ricordare che il ricorso per risarcimento danni è un rimedio giurisdizionale autonomo che non mira all’annullamento di un determinato atto, bensì, piuttosto, al risarcimento del danno causato da un’istituzione ( 58 ).

90.

Di conseguenza, mentre nell’ambito di un ricorso di annullamento il Tribunale deve annullare una decisione per la quale non sia stata fornita una motivazione prima della proposizione di tale ricorso, nel caso di un ricorso per risarcimento danni il Consiglio può sempre fornire tale motivazione nel contesto della sua difesa, al fine di dimostrare che la decisione era in realtà fondata e, pertanto, che non sussiste una responsabilità dell’Unione ( 59 ).

91.

Nella presente causa, la ricorrente si è basata esclusivamente, per quanto riguarda la sua domanda di risarcimento, sulla constatazione del Tribunale, nella sentenza di annullamento, di un difetto di motivazione.

92.

È vero che, al punto 82 di tale sentenza di annullamento, il Tribunale ha affermato che il Consiglio aveva violato il suo obbligo di motivazione e di comunicazione alla ricorrente, in quanto entità interessata, degli elementi dedotti a suo carico, dando forse l’impressione che il Tribunale avesse individuato due vizi distinti.

93.

Tuttavia, come correttamente rilevato dal Tribunale al punto 49 della sentenza impugnata, questo riferimento a una violazione derivante dalla mancata comunicazione degli elementi dedotti a carico della ricorrente è stato richiamato nella sentenza di annullamento in risposta a un motivo vertente non su un errore manifesto di valutazione, bensì su una violazione dell’obbligo di motivazione ( 60 ). Pertanto, secondo il Tribunale, non si trattava di un motivo autonomo di annullamento della sentenza impugnata, bensì, piuttosto, di un argomento a sostegno della conclusione secondo cui le decisioni controverse non erano state debitamente motivate, dal momento che il Consiglio non era stato in grado neppure di comunicare alla ricorrente, in quanto entità interessata, gli elementi dedotti a suo carico. Ciò non significa, tuttavia, che il Tribunale abbia constatato che il Consiglio non avesse raccolto alcun elemento di prova a sostegno delle misure restrittive o che non potessero essere dedotti motivi sufficienti e fondati ai fini dell’inserimento del nome della ricorrente nell’elenco delle misure restrittive.

94.

Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente con il suo quarto motivo di impugnazione, il Tribunale non ha interpretato erroneamente l’originaria sentenza di annullamento, su cui la ricorrente si era fondata in via esclusiva nel suo ricorso per risarcimento in primo grado, allorché ha statuito che, in tale sentenza, il Tribunale si era limitato a constatare una violazione dell’obbligo di motivazione, il che è diverso dall’accertare che non avrebbe potuto essere fornita alcuna motivazione fondata.

95.

È altresì vero che, ai punti 24, 31 e 33 della sua domanda di risarcimento in primo grado, la ricorrente ha affermato che, a suo avviso, il Consiglio, da un lato, aveva violato le disposizioni normative dei testi sui quali si sarebbe basato, applicandole senza alcuna giustificazione e, dall’altro, aveva violato i diritti della difesa e commesso un errore di diritto, avendo omesso di dimostrare la fondatezza delle misure adottate. Tuttavia, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorso deve fare chiaramente riferimento ai motivi dedotti dal ricorrente. Tali elementi devono essere sufficientemente chiari e precisi per consentire alla parte convenuta di predisporre la propria difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza altre informazioni ( 61 ).

96.

La ricorrente ha fatto riferimento a tali circostanze in una sezione del suo ricorso, il cui titolo ( 62 ) e primo paragrafo dichiarano che esso non aveva lo scopo di individuare il comportamento contestato al Consiglio, bensì, piuttosto, di dimostrare che il comportamento illegittimo individuato nella parte precedente soddisfaceva le condizioni previste dalla giurisprudenza della Corte per accertare la responsabilità dell’Unione. Nella parte precedente del ricorso di primo grado, la ricorrente si era tuttavia limitata, nell’individuazione del comportamento asseritamente illegittimo, al difetto di motivazione di cui all’originaria sentenza di annullamento.

97.

Tenuto conto della scelta operata dalla ricorrente di non fare riferimento a tali argomenti, potenzialmente più ampi, nella parte pertinente del suo ricorso, non si può contestare al Tribunale di non aver dedotto dal contenuto di tale seconda sezione che la ricorrente intendeva parimenti fondarsi su tali atti illegittimi. Come rilevato dal Tribunale ai punti da 52 a 58 della sentenza impugnata, la ricorrente ha precisato che essa intendeva contestare l’assenza di legittimità interna delle decisioni controverse soltanto in corso di causa.

98.

A mio avviso, tale circostanza distingue la presente causa dalla sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), invocata dalla ricorrente nella sua impugnazione. Benché i fatti all’origine di queste due cause siano molto simili, dal punto 26 di detta sentenza, confermata in sede di impugnazione dalla Corte, risulta che, in tale causa, la ricorrente aveva espressamente invocato un errore di valutazione – e non (come nel caso di specie), un mero difetto di motivazione – a sostegno della sua domanda di risarcimento dei danni ( 63 ).

99.

Di conseguenza, sebbene la distinzione tra la presente causa e la causa Safa Nicu Sepahan possa sembrare sottile, il rigetto da parte del Tribunale, nel caso di specie, della domanda di risarcimento della ricorrente deve essere considerato, tenuto conto del modo in cui la ricorrente l’ha formulata, perfettamente giustificato dalle circostanze.

100.

Propongo pertanto alla Corte di respingere il primo motivo di impugnazione.

VI. Conclusione

101.

Alla luce di quanto precede, le mie conclusioni principali sono le seguenti:

La Corte è competente a conoscere di un ricorso per risarcimento danni direttamente connesso o accessorio a un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE riguardante la legittimità di misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche, adottate dal Consiglio dell’Unione europea sulla base del titolo V, capo 2, TUE e, tenuto conto di tale interpretazione, siffatta competenza non è esclusa dall’articolo 275, secondo comma, TFUE.

Il primo motivo di impugnazione deve essere respinto.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Decisione del Consiglio concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga la posizione comune 2007/140/PESC (GU 2010, L 195, pag. 39).

( 3 ) Regolamento concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento n. 423/2007 (GU 2010, L 281, pag. 1).

( 4 ) Decisione del Consiglio, del 25 ottobre 2010, recante modifica della decisione 2010/413 concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga la posizione comune 2007/140/PESC (GU 2010, L 281, pag. 81).

( 5 ) La decisione 2011/783/PESC del Consiglio, del 1o dicembre 2011, che modifica la decisione 2010/413 relativa a misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2011, L 319, pag. 71) non ha modificato tale elenco per quanto concerne la ricorrente.

( 6 ) Decisione del Consiglio che modifica la decisione 2010/413 concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2013, L 306, pag. 18).

( 7 ) Regolamento del Consiglio che attua il regolamento n. 267/2012 concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2013, L 306, pag. 3).

( 8 ) Con decisione del 7 ottobre 2016 del presidente della Prima Sezione del Tribunale, il procedimento è stato sospeso, ai sensi dell’articolo 69, lettera b) del regolamento di procedura del Tribunale, in attesa della pronuncia della Corte di giustizia nella causa C‑45/15 P, Safa Nicu Sepahan/Consiglio. Con sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), la Corte ha respinto le impugnazioni proposte dalla Safa Nicu Sepahan e dal Consiglio. Con una misura di organizzazione del procedimento del 27 febbraio 2018, le parti sono state invitate a informare il Tribunale sulle conseguenze di tale sentenza per la presente causa. La Commissione ha risposto al quesito il 13 marzo 2018, mentre il Consiglio e la ricorrente hanno risposto il 15 marzo 2018.

( 9 ) V. sentenze del 12 novembre 2015, Elitaliana/Eulex Kosovo (C‑439/13 P, EU:C:2015:753, punti da 36 a 38) e del 26 febbraio 2015, Planet/Commissione (C‑564/13 P, EU:C:2015:124, punto 20).

( 10 ) V., ad esempio, sentenza del 21 aprile 2016, Consiglio/Bank Saderat Iran (C‑200/13 P, EU:C:2016:284, punto 119).

( 11 ) Sentenza del 23 aprile 2013, Gbagbo e a./Consiglio (da C‑478/11 P a C‑482/11 P, EU:C:2013:258, punto 56).

( 12 ) V. ad esempio, considerando 3 del regolamento n. 423/2007, e considerando 4 del regolamento n. 961/2010, che sono oggetto della presente causa.

( 13 ) L’articolo 215, paragrafo 2, TFUE stabilisce che quando una decisione adottata conformemente al titolo V, capo 2, TUE lo prevede, il Consiglio può adottare misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche, di gruppi o di entità non statali.

( 14 ) In precedenza, il Tribunale aveva evitato di prendere posizione su tale questione: v. in tal senso, sentenze dell’11 giugno 2014, Syria International Islamic Bank/Consiglio (T‑293/12, non pubblicata, EU:T:2014:439, punti 7083) e del 24 settembre 2014, Kadhaf Al Dam/Consiglio (T‑348/13, non pubblicata, EU:T:2014:806, punto 115).

( 15 ) Sentenze del 13 dicembre 2018, Iran Insurance/Consiglio (T‑558/15, EU:T:2018:945, punti 5355) e del 13 dicembre 2018, Post Bank Iran/Consiglio (T‑559/15, EU:T:2018:948, punti da 23 a 55).

( 16 ) Sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio (T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punto 30).

( 17 ) Sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio (T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punto 31).

( 18 ) V. in tal senso, sentenze dell’11 luglio 2007, Sison/Consiglio (T‑47/03, non pubblicata, EU:T:2007:207, punti da 232 a 251), e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986, punti da 45 a 149), confermata in sede di impugnazione dalla sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402).

( 19 ) V., in tal senso, sentenze del 13 dicembre 2018, Iran Insurance/Consiglio (T‑558/15, EU:T:2018:945, punto 57) e del 13 dicembre 2018, Post Bank Iran/Consiglio (T‑559/15, EU:T:2018:948, punto 57).

( 20 ) Sentenza del 19 luglio 2016, H/Consiglio e a. (C‑455/14 P, EU:C:2016:569, punto 39). Per una spiegazione delle origini di tali disposizioni, v. presa di posizione dell’avvocato generale Kokott sul parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), (EU:C:2014:2475, paragrafo 90).

( 21 ) V., in generale, Butler G., «Constitutional Law of the EU’s Common Foreign and Security Policy», Hart Publishing, Oxford, 2019, pagg. da 202 a 213.

( 22 ) C‑455/14 P, EU:C:2016:212, paragrafo 2.

( 23 ) Sentenza del 19 luglio 2016, H/Consiglio e a. (C‑455/14 P, EU:C:2016:569, punti 5459).

( 24 ) V. sentenza del 19 luglio 2016, H/Consiglio e a. (C‑455/14 P, EU:C:2016:569, punto 40.)

( 25 ) Sentenza del 12 novembre 2015, Elitaliana/Eulex Kosovo (C 439/13 P, EU:C:2015:753, punto 49).

( 26 ) V. sentenze del 14 giugno 2016, Parlamento/Consiglio (C‑263/14, EU:C:2016:435, punto 42) e del 5 marzo 2015, Ezz e a./Consiglio (C‑220/14 P, EU:C:2015:147, punto 42).

( 27 ) Sentenza del 28 marzo 2017 (C‑72/15, EU:C:2017:236).

( 28 ) Purché, in quest’ultimo caso, la persona interessata non sia il destinatario di tale decisione, poiché in tale eventualità si applicherebbe la giurisprudenza TWD. V. sentenza del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90, punto 18).

( 29 ) Sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft (C‑72/15, EU:C:2017:236, punti 66, 68, 7681).

( 30 ) Sentenza del 12 settembre 2006, Reynolds Tobacco e a./Commissione (C‑131/03 P, EU:C:2006:541, punto 83).

( 31 ) Sentenza del 28 aprile 1971 (4/69, EU:C:1971:40, punto 6).

( 32 ) Il corsivo è mio.

( 33 ) Sentenza del 24 ottobre 2000, Fresh Marine/Commissione (T‑178/98, EU:T:2000:240, punto 45).

( 34 ) V., ad esempio, sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punti da 29 a 32, 6162, nonché giurisprudenza ivi citata).

( 35 ) Sentenza del 28 marzo 2017 (C‑72/15, EU:C:2017:236).

( 36 ) Sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428).

( 37 ) Il punto 70 della sentenza Rosneft può dare l’impressione che la Corte abbia inteso escludere un ricorso che non abbia come obiettivo tale controllo di legittimità. Tuttavia, tale punto deve essere collocato nel contesto specifico della causa Rosneft, che concerneva la questione se la Corte fosse o meno competente a pronunciarsi ai sensi dell’articolo 267 TFUE, e non deve essere concepito come una regola di applicazione generale. Poiché la Corte aveva precedentemente statuito che il ricorso di annullamento e il rinvio pregiudiziale per accertamento di validità hanno entrambi a oggetto siffatto controllo di legittimità, tale punto dovrebbe essere letto appunto nel senso che si limita a sottolineare che il riferimento operato dall’articolo 275 TFUE all’articolo 263 TFUE deve essere inteso come comprensivo, in particolare, di qualsiasi procedura avente come obiettivo il controllo di legittimità, per quanto concerne gli atti di cui all’articolo 263 TFUE.

( 38 ) V., per analogia, sentenza del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione (C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476, punto 120).

( 39 ) Tale è il caso in una situazione di competenze vincolate o in cui è probabile che il vizio non abbia inciso sul contenuto della decisione. V. ad esempio, sentenza dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione (C‑414/12 P, non pubblicata, EU:C:2014:301, punto 84).

( 40 ) Sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 40).

( 41 ) Sentenza del 4 luglio 2000, Bergaderm e Goupil/Commissione (C‑352/98 P, EU:C:2000:361, punto 41).

( 42 ) V., ad esempio, sentenza del 4 luglio 2000, Bergaderm e Goupil/Commissione (C‑352/98 P, EU:C:2000:361, punto 42).

( 43 ) V., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio (C‑123/18 P, EU:C:2019:694, punto 42).

( 44 ) Ibid., punto 43.

( 45 ) Punti 42 e 43 della sentenza impugnata.

( 46 ) Sentenze del 15 settembre 1982, Kind/CEE (106/81, EU:C:1982:291, punto 14) e del 6 giugno 1990, AERPO e a./Commissione (C‑119/88, EU:C:1990:231, punto 20).

( 47 ) Sentenza del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio (C‑123/18 P, EU:C:2019:694, punto 103).

( 48 ) V., in tal senso, sentenza del 12 settembre 2006, Reynolds Tobacco e a./Commissione (C‑131/03 P, EU:C:2006:541, punti da 80 a 83).

( 49 ) V., ad esempio, sentenza del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba (C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 50).

( 50 ) In francese, «une formalité substantielle».

( 51 ) V., sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti da 116 a 118), e del 18 febbraio 2016, Consiglio/Bank Mellat (C‑176/13 P, EU:C:2016:96, punto 76).

( 52 ) Certamente, il difetto di motivazione può causare danni discendenti dallo stato di incertezza nel quale potrebbe essersi trovato il destinatario della decisione in conseguenza di tale fatto, ma si tratta di un danno morale. Qualora una persona lamenti di aver subito un danno a causa degli effetti giuridici prodotti da una decisione, tale danno è certamente materiale, ma può risultare unicamente dall’assenza di una solida base per tale decisione.

( 53 ) V., sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 100).

( 54 ) Sebbene talune sentenze sembrino collegare tale filone giurisprudenziale alla prima condizione, vale a dire l’esistenza di una violazione di una norma giuridica, nella prima sentenza in cui la Corte ha adottato tale soluzione, essa sembra averla ricondotta all’inidoneità di questo tipo di illegittimità a generare un danno di tale genere, che si riferisce, piuttosto, all’assenza di un nesso di causalità. V., in tal senso, sentenza del 15 settembre 1982, Kind/CEE (106/81, EU:C:1982:291, punti 1434).

( 55 ) V., per analogia, sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 132). Il destinatario di una decisione priva di motivazione non dovrebbe subire le conseguenze della negligenza dell’istituzione interessata né della scelta del Tribunale di annullare una decisione senza esaminare, per ragioni di economia processuale, tutti i motivi dedotti dal ricorrente. Inoltre, è opportuno rilevare che, quando una sentenza annulla una decisione per violazione dell’obbligo di motivazione, il ricorrente non può impugnare tale sentenza a motivo del fatto che il Tribunale avrebbe erroneamente qualificato il vizio accertato come violazione dell’obbligo di motivazione.

( 56 ) Si potrebbe ritenere che, al momento dell’annullamento di una decisione, è prematuro, in linea di principio, pronunciarsi sulla responsabilità extracontrattuale dell’Unione, dal momento che spetta all’istituzione che ha adottato tale decisione scegliere le modalità di esecuzione della sentenza. Quindi, soltanto a seguito dell’adozione di misure di esecuzione della sentenza è possibile determinare la portata del danno di cui è chiesto il risarcimento, poiché l’adozione di alcune di tali misure potrebbe aver posto rimedio a conseguenze negative della decisione. V., ad esempio, sentenza del 14 dicembre 2018, FV/Consiglio (T‑750/16, EU:T:2018:972, punti 176177). Tuttavia, nella presente causa, nell’eseguire la sentenza di annullamento, il Consiglio non ha adottato retroattivamente nuove decisioni debitamente motivate, bensì ha deciso di adottare decisioni unicamente per il futuro, omettendo di compensare lo svantaggio subito dalla ricorrente di cui trattasi a causa degli effetti passati degli atti annullati. V., con riferimento all’obbligo di porre rimedio agli effetti passati di una decisione annullata, sentenza del 14 maggio 1998, Consiglio/De Nil e Impens (C‑259/96 P, EU:C:1998:224, punto 16). Tuttavia, nella presente causa, la ricorrente non ha contestato al Consiglio di aver violato il suo obbligo, ai sensi dell’articolo 266 TFUE, di adottare i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza di annullamento comporta.

( 57 ) Sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas (C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punto 49).

( 58 ) V. sentenza del 2 dicembre 1971, Zuckerfabrik Schöppenstedt/Consiglio (5/71, EU:C:1971:116, punto 3). Tale conclusione non è rimessa in discussione dalla soluzione accolta dalla Corte al punto 46 della sentenza del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio (C‑123/18 P, EU:C:2019:694), che concerne la possibilità, per il Consiglio, di invocare fatti successivi a una decisione per giustificare retroattivamente quest’ultima, e non la questione se, nell’ambito di un ricorso per risarcimento, il Consiglio possa ancora fornire le ragioni che giustificano l’adozione di una decisione.

( 59 ) Si potrebbe aggiungere, incidentalmente, che, in tali circostanze, la tardività della motivazione dovrebbe essere presa in considerazione ai fini della decisione sulle spese. Inoltre, il ricorrente dovrebbe essere autorizzato ad adeguare i suoi argomenti in funzione delle spiegazioni fornite sino a quel momento.

( 60 ) V. punto 70 della sentenza di annullamento.

( 61 ) V., ad esempio, ordinanza del 21 gennaio 2016, Internationaler Hilfsfonds/Commissione (C‑103/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:51, punto 33).

( 62 ) Tale sezione è intitolata: «B. Tale illegittimità fa sorgere la responsabilità dell’Unione».

( 63 ) Infatti, come ho già ricordato, la violazione dell’obbligo di motivazione e l’inadempimento dell’obbligo di raccogliere informazioni o elementi di prova a sostegno delle misure restrittive sono due aspetti completamente diversi. V., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas (C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punto 48) e del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 70), le quali utilizzano i termini «da un lato» e «dall’altro» per distinguere ciascun obbligo. La violazione del primo obbligo costituisce un vizio che inficia ciò che si potrebbe definire come la legittimità esterna della decisione in questione, mentre la violazione del secondo obbligo incide sulla sua legittimità interna.

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