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Document 62018CJ0406

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 19 marzo 2020.
PG contro Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság.
Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Procedure comuni ai fini del riconoscimento della protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46, paragrafo 3 – Esame completo ed ex nunc – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto a un ricorso effettivo – Poteri e doveri del giudice di primo grado – Assenza del potere di riforma delle decisioni delle autorità competenti in materia di protezione internazionale – Normativa nazionale che prevede l’obbligo di statuire entro un termine di 60 giorni.
Causa C-406/18.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:216

 SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

19 marzo 2020 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Procedure comuni ai fini del riconoscimento della protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46, paragrafo 3 – Esame completo ed ex nunc – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto a un ricorso effettivo – Poteri e doveri del giudice di primo grado – Assenza del potere di riforma delle decisioni delle autorità competenti in materia di protezione internazionale – Normativa nazionale che prevede l’obbligo di statuire entro un termine di 60 giorni»

Nella causa C‑406/18,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest-Capitale, Ungheria), con decisione del 4 giugno 2018, pervenuta in cancelleria il 20 giugno 2018, nel procedimento

PG

contro

Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da J.‑C. Bonichot, presidente di sezione (relatore), R. Silva de Lapuerta, vicepresidente della Corte, facente funzione di giudice della Prima Sezione, M. Safjan, L. Bay Larsen e C. Toader, giudici,

avvocato generale: M. Bobek

cancelliere: I. Illéssy, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 settembre 2019,

considerate le osservazioni presentate:

per PG, da Sz. M. Sánta, ügyvéd;

per il governo ungherese, inizialmente da M.Z. Fehér, G. Tornyai e M. Tátrai, successivamente da M.Z. Fehér e M. Tátrai, in qualità di agenti;

per il governo tedesco, inizialmente da T. Henze e R. Kanitz, successivamente da quest’ultimo, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da M. Condou‑Durande, A. Tokár e J. Tomkin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 dicembre 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra PG e il Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ufficio per l’immigrazione e l’asilo, Ungheria) (in prosieguo: l’«Ufficio») in seguito alla decisione di quest’ultimo di respingere la sua domanda di protezione internazionale e di ordinare il suo allontanamento, accompagnata da un divieto d’ingresso e di soggiorno per un periodo di due anni.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

I considerando 18, 50 e 60 della direttiva 2013/32 così recitano:

«(18)

È nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione internazionale che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo.

(...)

(50)

È un principio fondamentale del diritto dell’Unione che le decisioni relative a una domanda di protezione internazionale (...) siano soggette a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice.

(...)

(60)

La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti nella Carta. In particolare, la presente direttiva intende assicurare il pieno rispetto della dignità umana nonché promuovere l’applicazione degli articoli 1, 4, 18, 19, 21, 23, 24 e 47 della Carta e deve essere attuata di conseguenza».

4

Ai sensi dell’articolo 1, la direttiva 2013/32 mira a stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

5

L’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32 definisce l’«autorità accertante» come «qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di protezione internazionale e a prendere una decisione di primo grado al riguardo».

6

Ai sensi dell’articolo 46, paragrafi 1, 3, 4 e 10, della direttiva succitata:

«1.   Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:

a)

la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione:

i)

di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o allo status di protezione sussidiaria;

(...)

3.   Per conformarsi al paragrafo 1 gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE, quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado.

4.   Gli Stati membri prevedono termini ragionevoli e le altre norme necessarie per l’esercizio, da parte del richiedente, del diritto ad un ricorso effettivo di cui al paragrafo 1. (...)

(...)

10.   Gli Stati membri possono stabilire i termini entro i quali il giudice di cui al paragrafo 1 esamina la decisione dell’autorità accertante».

Diritto ungherese

7

L’articolo 68, paragrafi 2, 3, 5 e 6, della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge LXXX del 2007 sul diritto di asilo) così recita:

«2.   Il giudice rende la propria decisione entro 60 giorni dalla ricezione dell’atto introduttivo del giudizio presso il tribunale.

(...)

4.   (...) Il giudice effettua un esame completo sia dei fatti sia dei punti di ordine giuridico alla data di adozione della decisione giurisdizionale.

(...)

5.   Il giudice non può riformare la decisione dell’autorità competente in materia di asilo.

6.   La decisione nel merito adottata dal giudice al termine del procedimento è definitiva e non impugnabile».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

8

Il 22 agosto 2017 PG, curdo originario dell’Iraq, si è presentato senza documento d’identità in una zona di transito dell’Ungheria e ha sottoposto una domanda di protezione internazionale in ragione di asseriti rischi per la propria vita nel suo paese d’origine. Le autorità ungheresi hanno respinto tale domanda il 14 marzo 2018 ed hanno «dichiarato inapplicabile nei suoi confronti il principio di “non-refoulement” (non respingimento)». Nei suoi confronti è stato adottato un provvedimento di rimpatrio accompagnato da un divieto di soggiorno per un periodo di due anni.

9

L’interessato ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio avverso il rifiuto di riconoscimento di protezione internazionale.

10

Dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che un giudice ungherese diverso da quello del rinvio ha già annullato due precedenti decisioni dell’Ufficio, la prima del 25 ottobre 2017, la seconda del 18 gennaio 2018, entrambe aventi ad oggetto il rifiuto della domanda di protezione internazionale della stessa persona. Pertanto, la decisione del 14 marzo 2018 sarebbe la terza che respinge una domanda di protezione internazionale di PG, dopo due annullamenti successivi.

11

Il giudice del rinvio rileva che, dal 2015, il diritto ungherese non consente più ai giudici di riformare le decisioni amministrative in materia di protezione internazionale e di accordare essi stessi l’una o l’altra forma di protezione. Siffatte decisioni possono essere soltanto, se del caso, annullate, venendosi dunque l’interessato a trovare nuovamente nella posizione di richiedente dinanzi all’Ufficio. Esso ritiene, di conseguenza, che il circolo vizioso costituito dal rifiuto da parte dell’Ufficio seguito da un annullamento da parte del giudice possa ripetersi ad libitum. Ciò ha indotto il giudice del rinvio a chiedersi se tale rischio non rendesse le nuove modalità procedurali ungheresi incompatibili con le prescrizioni della direttiva 2013/32 in materia di diritto a un ricorso effettivo.

12

Inoltre, il giudice del rinvio si trova di fronte al termine massimo di 60 giorni per la decisione, impostogli dalla normativa ungherese. Esso ritiene che, in talune controversie, di cui il procedimento principale sembra essere rappresentativo, tale termine non sia sufficiente per raccogliere gli elementi necessari, determinare il contesto dei fatti, ascoltare l’interessato e, di conseguenza, pronunciare una decisione giurisdizionale correttamente motivata. Il giudice del rinvio si interroga, quindi, sulla compatibilità di tale termine con il diritto a un ricorso effettivo previsto dalla direttiva 2013/32 e dall’articolo 47 della Carta.

13

In tali circostanze, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest-Capitale, Ungheria) ha deciso di sospendere la decisione e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se si debba interpretare l’articolo 47 della Carta (...) e l’articolo 31 della direttiva 2013/32 (...), in considerazione del contenuto degli articoli 6 e 13 della [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950], nel senso che uno Stato membro può garantire il diritto a un ricorso effettivo anche nel caso in cui ai suoi organi giurisdizionali non sia consentito modificare i provvedimenti emanati nell’ambito di procedimenti in materia di asilo ma gli stessi siano esclusivamente legittimati ad annullarli e a disporre lo svolgimento di un nuovo procedimento in materia di asilo.

2)

Se si debbano interpretare l’articolo 47 della Carta (...) e l’articolo 31 della direttiva 2013/32 (...), in considerazione del contenuto degli articoli 6 e 13 della [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali], nel senso che è conforme a tali norme la legislazione dello Stato membro che prevede un unico termine imperativo complessivo di 60 giorni per i procedimenti giurisdizionali di asilo, indipendentemente da qualsiasi circostanza individuale e senza considerare le specificità della causa né le possibili difficoltà in termini di prova».

Procedimento dinanzi alla Corte

14

Il giudice del rinvio ha chiesto che la causa fosse sottoposta al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Il 31 luglio 2018, la Prima Sezione, sentito l’avvocato generale, ha deciso di non accogliere tale richiesta.

Sulle questioni pregiudiziali

Osservazioni preliminari

15

Si deve osservare che, sebbene le questioni pregiudiziali come formulate dal giudice del rinvio vertano sull’interpretazione dell’articolo 31 della direttiva 2013/32, relativo al procedimento amministrativo di esame delle domande di protezione internazionale, la domanda di pronuncia pregiudiziale si riferisce, in realtà, all’attuazione del diritto a un ricorso effettivo previsto all’articolo 46 di tale direttiva. È dunque quest’ultima disposizione e, in particolare il suo paragrafo 3, che occorre interpretare al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio.

Sulla prima questione

16

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che conferisce ai giudici soltanto il potere di annullare le decisioni delle autorità competenti in materia di protezione internazionale, ad esclusione di quello di riformarle.

17

Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 21 e 31 delle sue conclusioni, la Corte, successivamente alla registrazione della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, si è pronunciata su una siffatta questione nelle sue sentenze del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584), e del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626).

18

Essa ha dunque rilevato, ai punti 145 e 146 della sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584), che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 si riferisce unicamente all’«esame» dell’impugnazione e non riguarda, pertanto, l’esito di un eventuale annullamento della decisione contestata. Adottando tale direttiva, il legislatore dell’Unione non ha inteso, quindi, introdurre una qualsiasi norma comune secondo la quale l’organo quasi giurisdizionale o amministrativo di cui all’articolo 2, lettera f), della direttiva suddetta dovrebbe perdere la sua competenza dopo l’annullamento della sua decisione iniziale relativa a una domanda di protezione internazionale. Gli Stati membri conservano, dunque, la facoltà di prevedere che il fascicolo debba, in seguito a un tale annullamento, essere rinviato al suddetto organo affinché esso adotti una nuova decisione.

19

Ai punti 147 e 148 della sentenza citata, la Corte ha precisato, tuttavia, che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 sarebbe privato di qualsiasi effetto utile se si ammettesse che, dopo la pronuncia di una sentenza con la quale il giudice di primo grado ha proceduto, conformemente a tale disposizione, a una valutazione completa ed ex nunc delle esigenze di protezione internazionale del richiedente in forza della direttiva 2011/95, l’organo succitato potesse adottare una decisione contrastante con tale valutazione o potesse lasciar trascorrere un lasso di tempo considerevole, tale da aumentare il rischio che sopravvengano elementi che richiedano una nuova valutazione aggiornata. Di conseguenza, anche se la direttiva 2013/32 non mira a stabilire una norma comune per quanto riguarda la competenza ad adottare una nuova decisione relativa a una domanda di protezione internazionale dopo l’annullamento della decisione iniziale, dal suo obiettivo consistente nell’assicurare un trattamento quanto più rapido possibile delle domande di tale natura, dall’obbligo di garantire un effetto utile all’articolo 46, paragrafo 3, nonché dalla necessità, derivante dall’articolo 47 della Carta, di garantire l’effettività del ricorso, emerge nondimeno che ogni Stato membro vincolato da detta direttiva deve adattare il suo diritto nazionale di modo che, in seguito all’annullamento della decisione iniziale e in caso di rinvio del fascicolo all’organo quasi giurisdizionale o amministrativo di cui all’articolo 2, lettera f), di tale direttiva, sia adottata entro un breve termine una nuova decisione che sia conforme alla valutazione contenuta nella sentenza che ha disposto l’annullamento.

20

Pertanto, quando un giudice annulla una decisione di un organo amministrativo all’esito di un esame esaustivo ed aggiornato delle esigenze di protezione internazionale di un richiedente alla luce di tutti gli elementi di diritto e di fatto pertinenti e constata che a tale richiedente deve essere riconosciuta una protezione internazionale e rinvia la causa all’autorità amministrativa affinché quest’ultima adotti una nuova decisione, tale autorità amministrativa è tenuta a riconoscere la protezione internazionale richiesta, fatta salva la sopravvenienza di elementi di fatto o di diritto che richiedano oggettivamente una nuova valutazione aggiornata, altrimenti l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, nonché gli articoli 13 e 18 della direttiva 2011/95 verrebbero privati del loro effetto utile (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 66).

21

Per quanto riguarda il controllo della decisione adottata da detta autorità amministrativa a seguito di una siffatta sentenza, la Corte ha sottolineato che, sebbene l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 non imponga agli Stati membri di conferire un potere di riforma ai giudici competenti a conoscere dei ricorsi ai sensi di questa stessa disposizione, resta il fatto che i medesimi Stati membri sono tenuti ad assicurare, in ciascun caso, il rispetto del diritto a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punti 6970).

22

Con riferimento alle norme procedurali attuate nel procedimento principale, la Corte ne ha dedotto che, se una decisione giurisdizionale in cui il giudice ha proceduto ad un esame completo ed ex nunc delle esigenze di protezione internazionale dell’interessato, in esito al quale esso ha dichiarato che una siffatta protezione doveva essergli concessa, è contraddetta dalla successiva decisione dell’autorità amministrativa competente, detto giudice deve, qualora il diritto nazionale non gli conferisca alcun mezzo che gli consenta di far rispettare la sua sentenza, riformare tale decisione dell’autorità amministrativa e sostituire ad essa la propria decisione, disapplicando, se del caso, la normativa nazionale che glielo vieti (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punti 68, 7277).

23

Occorre, di conseguenza, rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che conferisce ai giudici soltanto il potere di annullare le decisioni delle autorità competenti in materia di protezione internazionale, ad esclusione di quello di riformarle. Tuttavia, in caso di rinvio del fascicolo all’autorità amministrativa competente, occorre che sia adottata entro un breve termine una nuova decisione che sia conforme alla valutazione contenuta nella sentenza di annullamento. Inoltre, qualora un giudice nazionale abbia constatato, dopo aver effettuato un esame completo ed ex nunc di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti presentati dal richiedente la protezione internazionale, che, in applicazione dei criteri previsti dalla direttiva 2011/95, a tale richiedente deve essere riconosciuta una siffatta protezione per il motivo che egli invoca a sostegno della sua domanda, ma un’autorità amministrativa adotti successivamente una decisione in senso contrario, senza dimostrare a tal fine la sopravvenienza di nuovi elementi che giustifichino una nuova valutazione delle esigenze di protezione internazionale del richiedente interessato, detto giudice, qualora il diritto nazionale non gli conferisca alcun mezzo che gli consenta di far rispettare la sua sentenza, deve riformare tale decisione dell’autorità amministrativa non conforme alla sua precedente sentenza e sostituire ad essa la propria decisione riguardo alla domanda di protezione internazionale, disapplicando, se del caso, la normativa nazionale che gli vieti di procedere in tale senso.

Sulla seconda questione

24

Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che impone al giudice investito di un ricorso avverso una decisione di rifiuto di una domanda di protezione internazionale un termine di 60 giorni per statuire.

25

Occorre rilevare che la direttiva 2013/32 non solo non prevede norme armonizzate in materia di termini di giudizio ma, al suo articolo 46, paragrafo 10, autorizza altresì gli Stati membri a fissare siffatti termini.

26

Peraltro, come risulta da una giurisprudenza costante della Corte, in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei ricorsi giurisdizionali destinati a garantire la salvaguardia dei diritti dei soggetti dell’ordinamento, in forza del principio di autonomia processuale, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (sentenza del 15 marzo 2017, Aquino, C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

27

Per quanto riguarda il rispetto della condizione relativa al principio di equivalenza, con riferimento a un termine di giudizio come quello di cui trattasi nel procedimento principale, occorre rilevare che, fatte salve le verifiche spettanti al giudice del rinvio, dal fascicolo di cui dispone la Corte non risulta, né peraltro è stato asserito, che situazioni analoghe siano disciplinate da modalità procedurali nazionali più favorevoli di quelle previste per l’attuazione della direttiva 2013/32 e applicate nel procedimento principale (v., per analogia, sentenza del 7 novembre 2019, Flausch e a., C‑280/18, EU:C:2019:928, punto 28).

28

Quanto al rispetto del principio di effettività, occorre ricordare che l’articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 riconosce ai richiedenti protezione internazionale il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso le decisioni relative alla loro domanda. L’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva definisce la portata di tale diritto, precisando che gli Stati membri vincolati da quest’ultima devono assicurare che il giudice dinanzi al quale è contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale proceda all’«esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]» (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 51).

29

Inoltre, secondo una giurisprudenza consolidata, qualsiasi decisione relativa al riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria deve essere fondata su una valutazione individuale (sentenza del 25 gennaio 2018, F, C‑473/16, EU:C:2018:36, punto 41 e giurisprudenza ivi citata), diretta a determinare se, tenuto conto della situazione personale del richiedente, le condizioni per il riconoscimento di un siffatto status siano soddisfatte (sentenza del 5 settembre 2012, Y e Z, C‑71/11 e C‑99/11, EU:C:2012:518, punto 68).

30

Occorre poi ricordare, sulla scorta di quanto rilevato dall’avvocato generale nei paragrafi 62 e 63 delle sue conclusioni, che, nell’ambito del ricorso giurisdizionale previsto all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, ai ricorrenti è garantito un certo numero di diritti procedurali specifici in forza, rispettivamente, dell’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva – ossia il diritto a un interprete, la possibilità di comunicare, in particolare, con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’accesso a talune informazioni –, dell’articolo 20 di detta direttiva – vale a dire la possibilità di assistenza e rappresentanza legali gratuite –, dell’articolo 22 della medesima direttiva – ossia l’accesso a un avvocato –, nonché degli articoli 24 e 25 di quest’ultima, relativi ai diritti delle persone aventi particolari bisogni e dei minori non accompagnati.

31

La Corte ha anche avuto occasione di rammentare che, in linea di principio, è necessario prevedere, nella fase giurisdizionale, un’audizione del richiedente, a meno che non ricorrano determinate condizioni cumulative (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Sacko, C‑348/16, EU:C:2017:591, punti 37 e da 44 a 48). Può peraltro rivelarsi utile disporre altre misure istruttorie, in particolare la visita medica menzionata all’articolo 18, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2013/32.

32

Nel caso di specie, secondo il giudice del rinvio, può verificarsi che, tenuto conto del suo carico e delle sue condizioni di lavoro o di una particolare difficoltà di determinate controversie, il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di rifiuto di una domanda di protezione internazionale non sia materialmente in grado di garantire, nel termine di 60 giorni impartitogli, il rispetto di tutte le norme menzionate ai punti da 27 a 31 della presente sentenza per ciascuno dei casi sottoposti al suo esame.

33

Allo stesso tempo, occorre ricordare che il giudice del rinvio ha qualificato detto termine come «imperativo».

34

In una situazione del genere, in mancanza di qualsivoglia norma nazionale diretta a garantire che la causa sia giudicata entro un termine ragionevole, quale una norma secondo cui, alla scadenza del termine di 60 giorni, il fascicolo sia attribuito a un altro giudice, il principio di effettività del diritto dell’Unione implica l’obbligo per il giudice di disapplicare la normativa nazionale che consideri tale termine come imperativo.

35

Tuttavia, si deve ancora osservare che la direttiva 2013/32 prevede altresì, all’articolo 46, paragrafo 4, l’obbligo per gli Stati membri di prevedere termini di giudizio ragionevoli. Questi ultimi contribuiscono, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, al conseguimento dell’obiettivo globale di un trattamento quanto più rapido possibile delle domande di protezione internazionale, fissato al considerando 18 di tale direttiva.

36

Pertanto, l’obbligo per il giudice di disapplicare una normativa nazionale che prevede un termine per la decisione incompatibile con il principio di effettività del diritto dell’Unione non può esonerarlo da qualsiasi obbligo di celerità, ma gli impone soltanto di considerare il termine applicabile come indicativo, restando a suo carico statuire il più rapidamente possibile qualora tale termine risulti superato.

37

Occorre, di conseguenza, rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che impone al giudice investito di un ricorso avverso una decisione di rifiuto di una domanda di protezione internazionale un termine di 60 giorni per statuire, a condizione che tale giudice sia in grado di garantire, entro un termine siffatto, l’effettività delle norme sostanziali e delle garanzie procedurali riconosciute al richiedente dal diritto dell’Unione. In caso contrario, detto giudice è tenuto a disapplicare la normativa nazionale che fissa il termine per la decisione e, scaduto tale termine, a rendere la propria decisione il più rapidamente possibile.

Sulle spese

38

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi provvedere sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che conferisce ai giudici soltanto il potere di annullare le decisioni delle autorità competenti in materia di protezione internazionale, ad esclusione di quello di riformarle. Tuttavia, in caso di rinvio del fascicolo all’autorità amministrativa competente, occorre che sia adottata entro un breve termine una nuova decisione che sia conforme alla valutazione contenuta nella sentenza di annullamento. Inoltre, qualora un giudice nazionale abbia constatato, dopo aver effettuato un esame completo ed ex nunc di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti presentati dal richiedente la protezione internazionale, che, in applicazione dei criteri previsti dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, a tale richiedente deve essere riconosciuta una siffatta protezione per il motivo che egli invoca a sostegno della sua domanda, ma un’autorità amministrativa adotti successivamente una decisione in senso contrario, senza dimostrare a tal fine la sopravvenienza di nuovi elementi che giustifichino una nuova valutazione delle esigenze di protezione internazionale del richiedente interessato, detto giudice, qualora il diritto nazionale non gli conferisca alcun mezzo che gli consenta di far rispettare la sua sentenza, deve riformare tale decisione dell’autorità amministrativa non conforme alla sua precedente sentenza e sostituire ad essa la propria decisione riguardo alla domanda di protezione internazionale, disapplicando, se del caso, la normativa nazionale che gli vieti di procedere in tale senso.

 

2)

L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che impone al giudice investito di un ricorso avverso una decisione di rifiuto di una domanda di protezione internazionale un termine di 60 giorni per statuire, a condizione che tale giudice sia in grado di garantire, entro un termine siffatto, l’effettività delle norme sostanziali e delle garanzie procedurali riconosciute al richiedente dal diritto dell’Unione. In caso contrario, detto giudice è tenuto a disapplicare la normativa nazionale che fissa il termine per la decisione e, scaduto tale termine, a rendere la propria decisione il più rapidamente possibile.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’ungherese.

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