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Document 62018CC0649

Conclusioni dell’avvocato generale H. Saugmandsgaard Øe, presentate il 27 febbraio 2020.
A contro Daniel B e a.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour d'appel de Paris.
Rinvio pregiudiziale – Medicinali per uso umano non soggetti a prescrizione medica obbligatoria – Vendita on line – Pubblicità del sito Internet di una farmacia – Limitazioni – Divieto di sconto in caso di ordine che superi un determinato quantitativo e di ricorso all’indicizzazione a pagamento – Obbligo di far compilare al paziente un questionario sanitario prima della convalida del suo primo ordine sul sito Internet – Tutela della salute – Direttiva 2000/31/CE – Commercio elettronico – Articolo 2, lettera a) – Servizio della società dell’informazione – Articolo 2, lettera h) – Ambito regolamentato – Articolo 3 – Principio del paese d’origine – Deroghe – Giustificazione – Tutela della salute – Tutela della dignità della professione di farmacista – Prevenzione dell’abuso di medicinali.
Causa C-649/18.

Court reports – general ; Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:134

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 27 febbraio 2020 ( 1 )

Causa C‑649/18

A

contro

Daniel B,

UD,

AFP,

B,

L

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia)]

«Rinvio pregiudiziale – Medicinali per uso umano non soggetti a prescrizione medica obbligatoria – Vendita online – Pubblicità del sito Internet di una farmacia – Limitazioni – Obbligo di far compilare al paziente un questionario sanitario prima della convalida del suo primo ordine sul sito Internet di una farmacia – Libera circolazione delle merci – Articolo 34 TFUE – Modalità di vendita – Ostacoli – Articolo 36 TFUE – Giustificazione – Tutela del decoro della professione di farmacista – Prevenzione dell’abuso di medicinali – Tutela della salute pubblica – Direttiva 2000/31/CE – Commercio elettronico – Articolo 2, lettera a) – Servizio della società dell’informazione – Articolo 2, lettera h) – Ambito regolamentato – Articolo 3 – Principio del paese d’origine – Deroghe – Giustificazione – Tutela della salute pubblica – Obbligo d’informazione e di notificazione – Direttiva 2001/83/CE – Codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano – Articolo 85 quater, paragrafo 2 – Facoltà, per gli Stati membri, di imporre condizioni, giustificate dalla tutela della salute pubblica, per la fornitura al dettaglio sul loro territorio di medicinali venduti online»

I. Premessa

1.

La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) verte sull’interpretazione dell’articolo 3 della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico ( 2 ), dell’articolo 85 quater della direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano ( 3 ), nonché degli articoli 34 e 36 TFUE.

2.

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la A, società di diritto dei Paesi Bassi che gestisce una farmacia con sede nei Paesi Bassi e un sito web destinato specificamente ai clienti francesi, a diversi operatori di farmacie e associazioni che rappresentano gli interessi professionali dei farmacisti stabiliti in Francia. Questo sito web presenta un portale di vendita sul quale vengono offerti medicinali non soggetti a prescrizione medica obbligatoria e prodotti parafarmaceutici. Gli operatori e le associazioni di cui sopra sostengono che la A abbia commesso atti di concorrenza sleale promuovendo il sito web nei confronti della clientela francese attraverso una campagna pubblicitaria di vasta portata e dalle varie sfaccettature. La A avrebbe anche ignorato l’obbligo, previsto dalla normativa francese, di far compilare a ciascun paziente un questionario sanitario prima di convalidare il suo primo ordine.

3.

La presente causa chiede alla Corte di chiarire in che misura uno Stato membro abbia il diritto di regolamentare, da un lato, la pubblicità da parte di farmacisti stabiliti in altri Stati membri dei loro servizi per la vendita online di medicinali non soggetti a prescrizione medica, e, dall’altro, il processo di ordine online di tali medicinali.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

1. Direttiva 2000/31

4.

L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2000/31 dispone che:

«1.   La presente direttiva mira a contribuire al buon funzionamento del mercato interno garantendo la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra Stati membri.

2.   La presente direttiva ravvicina, nella misura necessaria alla realizzazione dell’obiettivo di cui al paragrafo 1, talune norme nazionali sui servizi della società dell’informazione che interessano il mercato interno, lo stabilimento dei prestatori, le comunicazioni commerciali, i contratti per via elettronica, la responsabilità degli intermediari, i codici di condotta, la composizione extragiudiziaria delle controversie, i ricorsi giurisdizionali e la cooperazione tra Stati membri».

5.

L’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31 definisce la nozione di «servizi della società dell’informazione» mediante richiamo all’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34/CE ( 4 ), come modificata dalla direttiva 98/48/CE ( 5 ). Tale ultima disposizione riguarda «qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi». L’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva (UE) 2015/1535 ( 6 ), che ha sostituito la direttiva 98/34, riprende la medesima definizione. Ai sensi dell’articolo 10, secondo comma, della direttiva 2015/1535 «i riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla presente direttiva e si leggono secondo la tavola di concordanza di cui all’allegato IV».

6.

L’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31 definisce la nozione di «ambito regolamentato» come «le prescrizioni degli ordinamenti degli Stati membri e applicabili ai prestatori di servizi della società dell’informazione o ai servizi della società dell’informazione, indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale o loro specificamente destinati». Tale disposizione precisa che:

«i)

L’ambito regolamentato riguarda le prescrizioni che il prestatore deve soddisfare per quanto concerne:

l’accesso all’attività di servizi della società dell’informazione, quali ad esempio le prescrizioni riguardanti le qualifiche e i regimi di autorizzazione o notifica;

l’esercizio dell’attività di servizi della società dell’informazione, quali ad esempio le prescrizioni riguardanti il comportamento del prestatore, la qualità o i contenuti del servizio, comprese le prescrizioni applicabili alla pubblicità e ai contratti, oppure la responsabilità del prestatore;

ii)

l’ambito regolamentato non comprende le norme su:

le merci in quanto tali,

la consegna delle merci,

i servizi non prestati per via elettronica».

7.

L’articolo 3 della direttiva 2000/31, intitolato «Mercato interno», prevede che:

«1.   Ogni Stato membro provvede affinché i servizi della società dell’informazione, forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio, rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro nell’ambito regolamentato.

2.   Gli Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi [della] società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro.

3.   I paragrafi 1 e 2 non si applicano ai settori di cui all’allegato.

4.   Gli Stati membri possono adottare provvedimenti in deroga al paragrafo 2, per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione, in presenza delle seguenti condizioni:

a)

i provvedimenti sono:

i)

necessari per una delle seguenti ragioni:

ordine pubblico, in particolare per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento in materie penali, quali la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché violazioni della dignità umana della persona;

tutela della sanità pubblica;

pubblica sicurezza, compresa la salvaguardia della sicurezza, e della difesa nazionale;

tutela dei consumatori, ivi compresi gli investitori;

ii)

relativi a un determinato servizio della società dell’informazione lesivo degli obiettivi di cui al punto i) o che costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio a tali obiettivi;

iii)

proporzionati a tali obiettivi;

b)

prima di adottare i provvedimenti in questione e fatti salvi i procedimenti giudiziari, anche istruttori, e gli atti compiuti nell’ambito di un’indagine penale, lo Stato membro ha:

chiesto allo Stato membro di cui al paragrafo 1 di prendere provvedimenti e questo non li ha presi o essi non erano adeguati;

notificato alla Commissione e allo Stato membro di cui al paragrafo 1 la sua intenzione di prendere tali provvedimenti.

[...]».

8.

L’articolo 8, paragrafo 1, della stessa direttiva dispone che «[g]li Stati membri provvedono affinché l’impiego di comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione o ne sono parte, fornite da chi esercita una professione regolamentata, [sia autorizzato] nel rispetto delle regole professionali relative, in particolare, all’indipendenza, alla dignità, all’onore della professione, al segreto professionale e alla lealtà verso clienti e colleghi».

2. Direttiva 2001/83

9.

Ai sensi dell’articolo 85 quater, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2001/83:

«1.   Fatte salve le disposizioni legislative nazionali che vietano la vendita a distanza al pubblico di medicinali soggetti a prescrizione medica mediante i servizi della società dell’informazione, gli Stati membri provvedono affinché i medicinali siano messi in vendita a distanza al pubblico mediante i servizi della società dell’informazione, quali definiti nella direttiva [98/34], alle seguenti condizioni:

a)

la persona fisica o giuridica che mette in vendita i medicinali è autorizzata o legittimata a fornire medicinali al pubblico, anche a distanza, in conformità della legislazione nazionale dello Stato membro in cui è stabilita;

b)

la persona di cui alla lettera a) ha comunicato allo Stato membro in cui è stabilita almeno le seguenti informazioni:

[…]

c)

i medicinali sono conformi alla legislazione nazionale dello Stato membro di destinazione a norma dell’articolo 6, paragrafo 1;

d)

fatti salvi gli obblighi di informazione previsti dalla direttiva [2000/31], il sito web per la vendita di medicinali contiene almeno:

[…]

2.   Gli Stati membri possono imporre condizioni, giustificate da motivi di tutela della salute pubblica, per la fornitura al dettaglio sul loro territorio di medicinali venduti a distanza al pubblico mediante i servizi della società dell’informazione».

10.

L’articolo 86, paragrafo 1 di tale direttiva, che apre il titolo VIII della direttiva stessa, intitolato «Pubblicità», recita:

«Ai fini del presente titolo si intende per “pubblicità dei medicinali” qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di incitamento, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali; essa comprende in particolare quanto segue:

la pubblicità dei medicinali presso il pubblico,

[…]».

B.   Diritto francese

1. Codice della sanità pubblica

11.

Ai sensi dell’articolo R. 4235-22 del codice della sanità pubblica, «è vietato ai farmacisti acquisire clienti tramite procedure e mezzi contrari al decoro della professione».

12.

L’articolo R. 4235-64 dello stesso codice prevede che «il farmacista non deve, con nessuna procedura o mezzo, incitare i suoi pazienti ad un abuso di farmaci».

2. Decreto del 28 novembre 2016 relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali

13.

Dal fascicolo agli atti della Corte risulta che il decreto del 28 novembre 2016 del Ministro degli Affari sociali e della Sanità relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali nelle farmacie, nelle farmacie legate alle casse di assicurazione malattia e nelle farmacie di società di mutuo soccorso minerario, di cui all’articolo L. 5121-5 del codice della sanità pubblica (JORF del 1o dicembre 2016, testo n. 25, in prosieguo: il «decreto relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali») contiene un allegato la cui sezione 7, intitolata «Norme complementari applicabili al commercio elettronico di medicinali», dispone, alla sezione 7.1, intitolata «Consulenza farmaceutica» quanto segue:

«Il sito web di commercio elettronico di medicinali è concepito in modo tale che nessun medicinale possa essere distribuito senza che sia reso possibile uno scambio interattivo tra il paziente e il farmacista della farmacia interessata prima della convalida dell’ordine. Una risposta automatica a una domanda posta dal paziente non è, quindi, sufficiente a garantire un’informazione e una consulenza adeguati al caso specifico del paziente.

Alcuni dati personali riguardanti il paziente sono necessari al farmacista affinché quest’ultimo garantisca che l’ordine sia adeguato allo stato di salute del paziente e possa riscontrare eventuali controindicazioni. Pertanto, prima di convalidare il primo ordine, il farmacista pubblica online un questionario in cui devono essere indicati l’età, il peso, l’altezza, il sesso, i trattamenti in corso, l’anamnesi allergica, le controindicazioni e, se del caso, lo stato di gravidanza o di allattamento del paziente. Il paziente deve attestare la veridicità di queste informazioni.

Il questionario è compilato al momento del primo ordine, durante il processo di convalida dello stesso. Se il questionario non è stato compilato, non è possibile consegnare alcun medicinale. Il farmacista convalida poi il questionario, dichiarando di aver letto le informazioni fornite dal paziente, prima di convalidare l’ordine.

In occasione di ogni ordine è proposto un aggiornamento del questionario.

[…]».

3. Decreto del 28 novembre 2016 relativo alle regole tecniche applicabili ai siti web di commercio elettronico di medicinali

14.

Come risulta dal fascicolo agli atti della Corte, il decreto del 28 novembre 2016 del Ministro degli Affari sociali e della Sanità relativo alle regole tecniche applicabili ai siti web di commercio elettronico di medicinali di cui all’articolo L. 5125-39 del codice della sanità pubblica (JORF del 1o dicembre 2016, testo n. 26, in prosieguo: il «decreto relativo alle regole tecniche») contiene un allegato, la cui sezione 1, intitolata «Funzionalità dei siti web di commercio elettronico di medicinali», stabilisce che «[è] vietata la ricerca di indicizzazioni a pagamento sui motori di ricerca o sui siti di comparazione dei prezzi».

III. Procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

15.

La A, società di diritto dei Paesi Bassi, è ivi registrata per svolgere attività di gestione di una farmacia. La società in questione, inoltre, commercializza online medicinali nonché prodotti parafarmaceutici attraverso diversi siti web, uno dei quali è appositamente dedicato ai consumatori francesi ( 7 ). I medicinali commercializzati attraverso tale sito dispongono, in Francia, di un’autorizzazione all’immissione sul mercato e non sono soggetti a prescrizione medica obbligatoria.

16.

La A ha condotto una campagna pubblicitaria per i prodotti proposti in vendita ai consumatori francesi. Tale campagna prevedeva l’inserimento di volantini pubblicitari nei pacchi spediti da altri operatori della vendita a distanza (metodo noto come «asilage»), l’invio di posta pubblicitaria, la pubblicazione sul sito web sopra citato di offerte promozionali consistenti in uno sconto sul prezzo totale dell’ordine una volta superato un determinato importo, nonché l’acquisto di un’indicizzazione a pagamento per i motori di ricerca per le parole chiave «lasante.net» tramite «Google Adwords».

17.

Daniel B, UD, AFP, B e L, operatori farmaceutici o associazioni rappresentanti gli interessi professionali dei farmacisti (in prosieguo: «Daniel B e a.»), hanno citato la A dinanzi al tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi, Francia). Daniel B e a. hanno chiesto, in particolare, il risarcimento del danno asseritamente subito a causa della concorrenza sleale che la A avrebbe esercitato beneficiando indebitamente del mancato rispetto della normativa francese in materia di pubblicità e di vendita di medicinali online.

18.

La A ha considerato, dal canto suo, che tali norme non siano ad essa applicabili in quanto è regolarmente stabilita nei Paesi Bassi per l’attività di gestione di una farmacia e vende i suoi prodotti ai consumatori francesi mediante il commercio elettronico.

19.

Con sentenza dell’11 luglio 2017, il tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi) ha stabilito che il diritto dei Paesi Bassi ha disciplinato la creazione del sito web francese della A. Tuttavia, secondo tale giudice, gli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica sono applicabili alle imprese stabilite in altri Stati membri che vendono via Internet medicinali a pazienti francesi. Orbene, distribuendo più di tre milioni di volantini pubblicitari al di fuori della sua farmacia, la A aveva acquisito clienti francesi con mezzi contrari al decoro della professione di farmacista in violazione di tali disposizioni. Il tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi) ha concluso che l’inosservanza di tali disposizioni, che ha fatto conseguire alla A un vantaggio economico rispetto agli altri operatori del mercato, costituisce un atto di concorrenza sleale.

20.

Tale sentenza è stata impugnata dinanzi alla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) dalla A, la quale ha sostenuto che gli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica non siano applicabili nei suoi confronti. Tali disposizioni costituirebbero ostacoli al principio di applicazione delle norme del paese d’origine sancito all’articolo 3 della direttiva 2000/31, all’articolo 85 quater della direttiva 2001/83 e all’articolo 34 TFUE. Tali ostacoli non sarebbero giustificati dalla tutela della salute pubblica.

21.

Dinanzi alla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), Daniel B e a. hanno chiesto la conferma della sentenza del tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi) nella parte in cui essa ha applicato il diritto francese alla pubblicità per la vendita di medicinali e nella parte in cui essa ha qualificato come atti di concorrenza sleale la massiccia pubblicità fatta dalla A per la sua contrarietà al decoro della professione di farmacista e per il fatto che il suo contenuto incita a un abuso di medicinali. Daniel B e a. chiedono la riforma della sentenza per le parti restanti, facendo valere che il codice della sanità pubblica e il decreto relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali disciplinano anche l’uso dell’indicizzazione a pagamento da parte della A. Essi sostengono che le restrizioni alla pubblicità per la vendita di medicinali online derivanti dal codice della sanità pubblica sono giustificate dall’obiettivo di tutelare il decoro e l’onore della professione di farmacista. Tali restrizioni sarebbero proporzionate al perseguimento di questo obiettivo, a sua volta connesso alla tutela della salute pubblica.

22.

In tali circostanze, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), con decisione del 28 settembre 2018, pervenuta alla Corte il 15 ottobre 2018, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la disciplina europea, e segnatamente:

l’articolo 34 TFUE

le disposizioni dell’articolo 85 quater della direttiva [2001/83], [e]

la clausola di mercato interno di cui all’articolo 3 della direttiva [2000/31].

consenta a uno Stato membro dell’Unione [europea] di imporre sul proprio territorio ai farmacisti cittadini di un altro Stato membro dell’Unione il rispetto di specifiche norme che contemplino:

il divieto di acquisire clienti tramite procedure e mezzi considerati contrari al decoro della professione ai sensi dell’attuale articolo R 4235-22 del codice della sanità pubblica;

il divieto di incitare i pazienti ad un abuso di medicinali ai sensi dell’attuale articolo R 4235-64 del codice della sanità pubblica;

l’obbligo di osservare le buone pratiche di distribuzione dei medicinali definite dall’autorità pubblica dello Stato membro, richiedendo altresì l’inserimento di un questionario sanitario nella procedura di ordine di medicinali online e vietando il ricorso all’indicizzazione a pagamento, ai sensi dell’attuale decreto del 28 novembre 2016 del Ministro degli [A]ffari sociali e della [S]anità».

23.

Osservazioni scritte sono state depositate dalla A, da Daniel B e a., dai governi francese, greco, spagnolo e dei Paesi Bassi, nonché dalla Commissione europea. Le medesime parti e i medesimi interessati, ad eccezione del governo dei Paesi Bassi, sono stati rappresentati all’udienza di discussione tenutasi il 3 ottobre 2019.

IV. Analisi

A.   Considerazioni preliminari

24.

Sebbene le condizioni di accesso alla professione di farmacista siano armonizzate a livello dell’Unione ( 8 ), quelle riguardanti l’esercizio di tale professione rientrano nell’ambito di competenza degli Stati membri. Tali normative variano da uno Stato membro all’altro, tanto sul piano della loro intensità quanto sul piano delle loro modalità ( 9 ). Quando un farmacista opera a livello transfrontaliero vendendo medicinali su Internet ( 10 ), si pone la questione se esso debba soddisfare le prescrizioni in vigore nello Stato membro in cui è stabilito oppure quelle fissate dallo Stato membro di destinazione.

25.

A tal proposito, l’articolo 85 quater, paragrafo 1, della direttiva 2001/83 obbliga ciascuno Stato membro ad autorizzare l’offerta di medicinali non soggetti a prescrizione medica attraverso servizi di vendita online prestati da un fornitore stabilito in un altro Stato membro purché siano soddisfatte le condizioni stabilite in tale disposizione ( 11 ). In particolare, il fornitore deve essere autorizzato dalla legislazione dello Stato membro in cui è stabilito a fornire a distanza dei medicinali al pubblico. I medicinali messi in vendita a distanza devono essere oggetto di un’autorizzazione all’immissione in commercio nello Stato membro di destinazione. Si pone l’interrogativo se, qualora tali condizioni siano soddisfatte, quest’ultimo Stato membro possa nondimeno disciplinare le modalità di esercizio delle attività di vendita online di medicinali a beneficio dei pazienti situati sul suo territorio. In particolare, in che misura vi ostino il cosiddetto principio del «paese di origine», sancito dall’articolo 3 della direttiva 2000/31, e le libertà fondamentali garantite dal Trattato?

26.

Questo è il tema generale sollevato dalla presente causa la quale, nello specifico, tratta della conformità con il diritto dell’Unione di disposizioni legislative o regolamentari di uno Stato membro che, da un lato, limitano le possibilità di porre in essere attività pubblicitarie volte a indirizzare i pazienti di tale Stato membro verso il sito Internet di una farmacia per l’acquisto di medicinali e prodotti parafarmaceutici e, dall’altro, disciplinano il processo di ordine online di medicinali. Tali disposizioni sono state applicate, nel caso di specie, a una farmacia stabilita nei Paesi Bassi che intendeva promuovere presso i consumatori francesi le proprie attività di vendita online svolte attraverso un sito Internet concepito appositamente per queste ultime. I medicinali offerti in vendita su tale sito erano autorizzati in Francia e potevano essere ivi consegnati senza prescrizione medica.

27.

Le disposizioni nazionali di cui si chiede alla Corte di esaminare la compatibilità con il diritto dell’Unione possono essere classificate in tre categorie.

28.

La prima comprende disposizioni che vietano, in determinate circostanze, la pubblicità effettuata mediante supporti materiali per i servizi di vendita online di medicinali forniti da una farmacia. A tal riguardo, il tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi) ha condannato la A per aver diffuso, su una scala che tale giudice ha definito massiccia, volantini pubblicitari e per avere, quindi, compiuto atti di pubblicità contrari al decoro della professione di farmacista in violazione dell’articolo R. 4235-22 del codice della sanità pubblica. Inoltre, tale giudice ha contestato alla A di aver proposto promozioni consistenti, come risulta dal fascicolo agli atti della Corte, in sconti sul prezzo dell’intero ordine online di medicinali e di prodotti parafarmaceutici quando l’importo dell’ordine superava determinate soglie. A parere dello stesso tribunale, siffatte promozioni costituivano un incentivo all’abuso di medicinali ai sensi dell’articolo R. 4235-64 del codice della sanità pubblica. La Corte è chiamata a verificare se l’interpretazione che il tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi) ha dato a queste disposizioni legislative e l’applicazione che ne ha fatto siano compatibili con il diritto dell’Unione (sezione C).

29.

La seconda categoria di disposizioni riguarda quelle che limitano la pubblicità effettuata su Internet per i medesimi servizi. Ricordo, a tal proposito, che il tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi) ha dichiarato illegittime le promozioni collegate all’importo dell’ordine anche in quanto erano proposte sul sito Internet di A. Per contro, tale giudice non ha condannato l’acquisto da parte di quest’ultima di un’indicizzazione presso «Google Adwords» ( 12 ). Daniel B e a. chiedono la riforma della sentenza di primo grado relativamente a questo punto. Pertanto, la Corte dovrà altresì stabilire se le promozioni pubblicate sul sito web della A e il divieto d’indicizzazione a pagamento, previsto dal decreto relativo alle regole tecniche ( 13 ), siano conformi al diritto dell’Unione (sezione D).

30.

La terza categoria riguarda una normativa nazionale che disciplina il processo di vendita online di medicinali non soggetti all’obbligo di prescrizione. A tal proposito, il giudice del rinvio fa riferimento all’obbligo previsto dal decreto relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali, cui sono soggette tutte le farmacie che offrono medicinali per la vendita al dettaglio sul territorio francese attraverso il loro sito Internet, di richiedere ai pazienti di compilare un questionario medico prima della convalida del loro primo ordine. La risposta alla questione pregiudiziale implica, pertanto, anche una valutazione se il diritto dell’Unione osti a un siffatto obbligo (sezione E).

31.

Per ciascuna delle categorie di norme nazionali così descritte, occorrerà, innanzitutto, individuare le disposizioni di diritto dell’Unione – ovvero quelle della direttiva 2000/31, della direttiva 2001/83 o del Trattato FUE – rispetto alle quali deve essere valutata la conformità di tali norme, e poi procedere a tale valutazione.

32.

Prima di passare al merito della questione pregiudiziale, è necessario respingere l’obiezione sollevata dal governo francese in merito alla ricevibilità della questione pregiudiziale (sezione B).

B.   Sulla ricevibilità

33.

Il governo francese eccepisce l’irricevibilità della questione pregiudiziale là dove essa verte sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2000/31. Tale governo sostiene che le disposizioni di una direttiva non possono essere opposte da una parte privata nei confronti di un’altra parte privata nell’ambito di una controversia di natura orizzontale, con l’intento di ostacolare l’applicazione di una normativa nazionale contraria a tali disposizioni ( 14 ). Tale aspetto della domanda pregiudiziale avrebbe, pertanto, carattere meramente ipotetico.

34.

Tale argomento non mi convince.

35.

In primo luogo, benché sia pacifico che una direttiva non può, di per sé, creare obblighi in capo a un individuo e non può, quindi, essere a tale titolo invocata nei suoi confronti, la Corte ha dichiarato, a più riprese, che i giudici nazionali devono interpretare le disposizioni del loro diritto nazionale, in particolare quelle che recepiscono una direttiva, per quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva di cui trattasi, onde conseguire il risultato fissato da quest’ultima ( 15 ).

36.

Nel caso di specie, il giudice nazionale dovrà interpretare gli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica conformemente al diritto dell’Unione e, a tal riguardo, stabilire se sia o meno opportuno confermare l’interpretazione data dal tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi).

37.

In secondo luogo, ed in ogni caso, la Corte ha stabilito che il mancato rispetto dell’obbligo di notifica previsto all’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31 rende inopponibile la normativa nazionale in questione non solo in un procedimento penale, ma anche in una controversia tra privati ( 16 ). Pertanto, dato che la questione pregiudiziale solleva la problematica se disposizioni nazionali come quelle di cui trattasi nel procedimento principale siano soggette a tale obbligo, la risposta della Corte appare indubbiamente rilevante per risolvere la controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio.

C.   Sulla compatibilità con il diritto dell’Unione delle restrizioni alla pubblicità fisica per i servizi di vendita online di medicinali

38.

Gli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica vietano in generale ai farmacisti di acquisire clienti in modo contrario al decoro della loro professione o in modo tale da incitare all’abuso di medicinali. Nel caso di specie, il tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi) ha interpretato e applicato tali disposizioni allo scopo, in particolare, di sanzionare l’invio, fatto dalla A, di oltre tre milioni di opuscoli, inseriti nei pacchi di partner commerciali o depositati direttamente nella cassetta postale dei potenziali clienti, nonché le promozioni proposte da tale società ( 17 ).

39.

In tale prospettiva, la questione pregiudiziale chiede alla Corte di stabilire se il diritto dell’Unione osti a una normativa nazionale che vieta, da un lato, l’invio su larga scala di opuscoli pubblicitari destinati ad attirare potenziali clienti, che si trovano in uno Stato membro, sul sito web di una farmacia stabilita in un altro Stato membro, la quale vende medicinali autorizzati in Francia e che possono essere ivi distribuiti senza prescrizione medica, e, dall’altro, le promozioni sotto forma di sconti sull’importo totale dell’ordine di medicinali di questo tipo e di e prodotti parafarmaceutici ottenuti quando tale importo supera determinate soglie.

40.

È necessario, innanzitutto, individuare gli strumenti di diritto dell’Unione applicabili alle attività pubblicitarie che, pur avendo per oggetto la promozione di servizi di vendita online di medicinali, sono svolte mediante supporti materiali. A mio parere, contrariamente a quanto sostenuto dalla A e dalla Commissione, tali attività non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 della direttiva 2000/31 (sezione 1). Esse non sono neppure disciplinate dalle disposizioni sulla pubblicità dei medicinali contenute nella direttiva 2001/83 (sezione 2). Gli Stati membri restano, pertanto, liberi di regolamentare tali attività entro i limiti fissati dal TFUE (sezione 3).

1. Sull’inapplicabilità dell’articolo 3 della direttiva 2000/31

41.

Ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31, che rinvia all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2015/1535 ( 18 ), la nozione di «servizio della società dell’informazione» comprende «qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi». Come attestato dal considerando 18 della direttiva 2000/31, tale nozione include la vendita online di merci e si estende anche a servizi non remunerati dal loro destinatario, come la fornitura di comunicazioni commerciali online ( 19 ).

42.

Alla luce di tale definizione, non vi è dubbio che i servizi di vendita online di medicinali e prodotti parafarmaceutici prestati dalla A costituiscano servizi della società dell’informazione ( 20 ). Anche la pubblicità online praticata da quest’ultima, pur facendo parte dei ridetti servizi di vendita online, può essere qualificata, di per sé, come un servizio della società dell’informazione.

43.

Pertanto, tali servizi sono soggetti al cosiddetto principio del «paese di origine» sancito all’articolo 3 della direttiva 2000/31. Come si evince dal paragrafo 1 dell’articolo appena richiamato, tale principio implica che il prestatore di un servizio della società dell’informazione deve conformarsi alle disposizioni nazionali applicabili nello Stato membro in cui è stabilito (chiamato anche «Stato membro di origine») per quanto riguarda le materie che rientrano nell’ambito regolamentato, quale definito all’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva in parola, gli altri Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione di tale servizio, fatte salve le deroghe autorizzate in presenza delle condizioni elencate al paragrafo 4 del medesimo articolo.

44.

A mio avviso, come sostenuto da Daniel B e a., la disciplina delle condizioni alle quali il prestatore di un servizio di vendita online può pubblicizzare il suo portale web mediante supporti materiali non rientra nell’ambito di applicazione del principio del paese d’origine sancito all’articolo 3 della direttiva 2000/31.

45.

Infatti, da un lato, l’invio, su supporti materiali, di comunicazioni commerciali per servizi di vendita online non può essere qualificato, in quanto tale, come servizio della società dell’informazione. La pubblicità fisica tesa ad indirizzare i clienti verso il sito web attraverso il quale un fornitore presta servizi di vendita online non costituisce un servizio prestato «per via elettronica».

46.

Dall’altro, il principio del paese di origine non potrebbe, a maggior ragione, essere applicato per disciplinare tali comunicazioni commerciali in quanto la ridetta disciplina limiterebbe la libera circolazione dei servizi di vendita online in questione. Ciò è dovuto al fatto che le prescrizioni relative alla pubblicità fisica non rientrano, a mio avviso, nell’ambito regolamentato di cui all’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31.

47.

A tal proposito, sottolineo che l’ambito regolamentato comprende le prescrizioni che il fornitore di servizi deve soddisfare sia per quanto riguarda l’accesso all’attività di prestazione di un servizio della società dell’informazione sia per l’esercizio di tale attività. Ai sensi del punto i) di tale disposizione, le prescrizioni relative all’esercizio di un’attività di prestazione di un servizio della società dell’informazione comprendono quelle relative alla qualità o ai contenuti del servizio, «comprese le prescrizioni applicabili alla pubblicità». Il considerando 21 della direttiva 2000/31 stabilisce tuttavia che l’ambito regolamentato «comprende unicamente requisiti riguardanti le attività in linea», quali, in particolare, «la pubblicità in linea».

48.

Tale interpretazione è ulteriormente corroborata dalla circostanza che la consegna delle merci ordinate online, in quanto operazione fisica posta a valle della prestazione di un servizio della società dell’informazione, è espressamente esclusa dall’ambito regolamentato ai sensi dell’articolo 2, lettera h), ii), della direttiva 2000/31 ( 21 ). Questa stessa logica implica, a mio avviso, che anche la pubblicità fisica, effettuata a monte della prestazione di tale servizio, non rientra nell’ambito regolamentato.

49.

Una siffatta esclusione mi pare ancor più giustificata dal fatto che la pubblicità fisica effettuata dal fornitore per i servizi di vendita online da lui prestati non può essere considerata parte integrante di tali servizi. In effetti, questa pubblicità è dissociabile dal futuro e ipotetico evento costituito dalla vendita online ai destinatari dei volantini pubblicitari. Ciò posto, l’invio di comunicazioni commerciali presentate su supporti materiali non è parte inscindibile dell’esercizio del servizio della società dell’informazione costituito dalla vendita di beni online.

2. Sull’inapplicabilità dei titoli VIII e VIII bis della direttiva 2001/83

50.

I titoli VIII e VIII bis della direttiva 2001/83, intitolati rispettivamente «Pubblicità» e «Informazione e pubblicità», contengono una serie di disposizioni che disciplinano la pubblicità dei medicinali. Secondo la giurisprudenza, tali disposizioni hanno esaustivamente armonizzato il settore della pubblicità dei medicinali ( 22 ).

51.

A mio avviso, come essenzialmente sostenuto dalla Commissione, le disposizioni dei titoli VIII e VIII bis della direttiva 2001/83 non armonizzano il settore della pubblicità, indipendentemente dal fatto che sia effettuata mediante supporti materiali o elettronici, per quanto riguarda i servizi di vendita online di medicinali ( 23 ). Rammento, a tal proposito, che, come risulta dal fascicolo agli atti della Corte, la campagna pubblicitaria promossa dalla A era intesa a incitare non già all’acquisto di medicinali specifici, ma piuttosto all’uso dei servizi di vendita online offerti da tale società per tutta una gamma di medicinali e di prodotti parafarmaceutici. La circostanza che, come sottolineato da Daniel B e a., gli opuscoli illustrativi distribuiti abbiano, all’occorrenza, rappresentato l’uno o l’altro medicinale di uso comune a titolo illustrativo, non mette in discussione tale constatazione.

52.

Sul punto, il tenore letterale dell’articolo 86, paragrafo 1, della direttiva in esame non è certamente decisivo, in quanto definisce la «pubblicità dei medicinali» come «qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di incitamento, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali». Infatti, questa definizione non esclude necessariamente, a prima vista, la promozione non già del consumo di determinati farmaci, ma piuttosto dell’acquisto di medicinali non specificati presso una determinata farmacia. Rilevo, tuttavia, che nessuna delle forme di pubblicità elencate a titolo esemplificativo dall’articolo 86, paragrafo 1, della direttiva in questione riguarda la pubblicità di una determinata farmacia. Inoltre, tutte le disposizioni degli articoli da 86 a 100 della medesima direttiva riguardano la pubblicità di un determinato medicinale. Tali norme intendono regolare il contenuto del messaggio pubblicitario, nonché le modalità di pubblicità dei medicinali. Queste disposizioni non hanno lo scopo di disciplinare la pubblicità dei servizi di una farmacia né, in particolare, i suoi servizi online per la vendita di medicinali.

53.

In altri termini, le disposizioni dei titoli VIII e VIII bis della direttiva 2001/83 armonizzano solo – ed esaustivamente – le condizioni alle quali gli Stati membri possono limitare la pubblicità dei medicinali. Tale armonizzazione non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di disciplinare, nei limiti fissati dal TFUE e, se del caso, da altri strumenti di diritto derivato, i settori non coperti da tale armonizzazione, come la pubblicità di una determinata farmacia o dei servizi di vendita online da questa prestati.

54.

Questa conclusione non è rimessa in discussione dal fatto che la Corte abbia dichiarato, nella sentenza Deutscher Apothekerverband ( 24 ), che l’articolo 88, paragrafo 1, della direttiva 2001/83, il quale vieta la pubblicità dei medicinali soggetti a prescrizione medica, osta a un divieto assoluto di pubblicizzazione dei servizi di vendita online di medicinali, nella misura in cui tale divieto si applichi a medicinali non soggetti a prescrizione medica. L’approccio seguito dalla Corte significa unicamente, a mio parere, che un siffatto divieto, pur non essendo diretto alla pubblicità dei medicinali in quanto tali, equivale in pratica a vietarla quando i medicinali in questione sono venduti online. Non ne consegue affatto che qualsiasi forma di restrizione alla pubblicità dei servizi di vendita online di medicinali non soggetti a prescrizione medica sia vietata per il solo fatto di non essere espressamente autorizzata dalle disposizioni dei titoli VIII e VIII bis della direttiva 2001/83.

55.

Invece, le norme sulla pubblicità dei servizi di vendita online di medicinali potrebbero, nella misura in cui hanno l’effetto di disciplinare la vendita online di medicinali ai pazienti, costituire condizioni per la vendita al dettaglio, nel territorio di uno Stato membro, di medicinali offerti al pubblico a distanza tramite servizi della società dell’informazione. Ai sensi dell’articolo 85 quater, paragrafo 2, della direttiva 2001/83, gli Stati membri possono imporre tali condizioni, purché siano giustificate da motivi di tutela della salute pubblica.

56.

A tal riguardo, il considerando 21 della direttiva 2011/62, mediante la quale è stato introdotto l’articolo 85 quater nella direttiva 2001/83, precisa che, con il paragrafo 2 del citato articolo, il legislatore dell’Unione ha inteso «tenere conto del fatto che le condizioni specifiche relative alla fornitura al dettaglio di medicinali al pubblico non sono state armonizzate a livello dell’Unione e che, pertanto, gli Stati membri possono imporre condizioni per la fornitura di medicinali al pubblico entro i limiti stabiliti dal [TFUE]». Pertanto, l’articolo 85 quater, paragrafo 2, della direttiva 2001/83 deve essere inteso come un semplice riconoscimento della competenza degli Stati membri a disciplinare le condizioni della vendita al dettaglio di medicinali nel rispetto del TFUE e, in particolare, delle libertà fondamentali da esso garantite.

3. Sull’applicazione dell’articolo 34 TFUE

57.

Poiché, come risulta da quanto precede, la pubblicità fisica per i servizi di vendita online di medicinali prestati da una farmacia non è oggetto di armonizzazione a livello dell’Unione, le disposizioni nazionali che, come gli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica, come interpretati e applicati dal tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi), limitano le possibilità di effettuare pubblicità di tali servizi, devono essere esaminate alla luce delle libertà fondamentali garantite dal TFUE.

a) Sulla necessità di un esame alla luce della libera circolazione delle merci e/o della libera prestazione dei servizi

58.

Le parti e gli interessati che hanno presentato osservazioni alla Corte divergono in merito al punto se misure nazionali che vietano alle farmacie di inviare volantini pubblicitari su larga scala e di proporre sconti per acquisti superiori a determinate soglie effettuati attraverso i loro siti web, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, debbano essere esaminate alla luce della libera circolazione delle merci garantita dall’articolo 34 TFUE, come suggerito dal giudice del rinvio, della libera prestazione dei servizi prevista dall’articolo 56 TFUE, o, ancora, di entrambe queste libertà in successione.

59.

Mentre la A, il governo greco e la Commissione analizzano le misure in questione dalla prospettiva dell’articolo 34 TFUE ( 25 ), i governi della Spagna e dei Paesi Bassi le esaminano dalla prospettiva dell’articolo 56 TFUE. Il governo francese, dopo aver sostenuto che tali misure costituiscono modalità di vendita che non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE, chiede alla Corte di valutarne la conformità con l’articolo 56 TFUE.

60.

A tal proposito, rammento che la vendita online di medicinali costituisce un «servizio della società dell’informazione» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2015/1535. Tale vendita deve essere altresì considerata un «servizio» ai sensi dell’articolo 56 TFUE. Tuttavia, la campagna pubblicitaria condotta dalla A, promuovendo un certo canale di vendita – il suo portale web dedicato ai consumatori francesi –, aveva lo scopo d’indirizzare i consumatori sul sito web per acquistarvi i medicinali e i prodotti parafarmaceutici offerti dalla stessa società. Le due categorie di prodotti in questione costituiscono «merci» ai sensi dell’articolo 34 TFUE ( 26 ). Di conseguenza, le misure in questione possono rientrare sia nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE, nella misura in cui riguardano le disposizioni per la commercializzazione di merci, sia dell’articolo 56 TFUE, nella misura in cui limitano i mezzi di un farmacia per pubblicizzare i suoi servizi di vendita di medicinali online.

61.

Secondo una giurisprudenza consolidata, quando una misura nazionale si ricollega sia alla libera circolazione delle merci sia a un’altra libertà fondamentale, la Corte l’esamina, in linea di principio, con riferimento ad una sola di queste due libertà fondamentali qualora emerga che una delle due è del tutto secondaria rispetto all’altra e possa esserle ricollegata ( 27 ).

62.

La Corte ha già stabilito che, sebbene le condizioni relative alla commercializzazione di merci rientrino in linea di principio nell’ambito della libera circolazione delle merci e non della libera prestazione dei servizi, non si può tuttavia escludere che la vendita di un prodotto possa avvenire in concomitanza con un’attività che comporti aspetti di «servizio». In ciascun caso di specie è necessario verificare se tale prestazione costituisca o meno un aspetto assolutamente secondario rispetto agli elementi afferenti alla libera circolazione delle merci ( 28 ).

63.

In applicazione dei principi appena richiamati, la Corte ha esaminato misure nazionali che disciplinano la pubblicità, da parte di un’impresa, dei beni da essa offerti in vendita dal punto di vista della sola libertà di circolazione delle merci ( 29 ). Si è ritenuto che la diffusione di messaggi pubblicitari non costituisse un fine in sé e per sé, ma piuttosto un elemento secondario rispetto alla vendita delle merci di cui trattasi ( 30 ). Allo stesso modo, la Corte ha valutato unicamente dalla prospettiva dell’articolo 34 TFUE misure nazionali che disciplinano la vendita di merci attraverso Internet – la quale, eppure, costituisce un servizio della società dell’informazione ( 31 ).

64.

Sussunto nel caso in esame, tale approccio giustifica, a mio avviso, l’opinione che, sebbene la campagna pubblicitaria fosse finalizzata a promuovere non già i prodotti specifici offerti in vendita dalla A, ma piuttosto i servizi di vendita online da essa prestati, la diffusione dei messaggi pubblicitari era accessoria alla vendita di tali prodotti.

65.

La conclusione secondo cui le misure in questione nel procedimento principale, derivanti dall’applicazione degli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica, dovrebbero essere valutate solo alla luce dell’articolo 34 TFUE non viene confutata dalla sentenza Gourmet International Products ( 32 ), che il governo francese invoca a sostegno della tesi secondo cui tali misure dovrebbero essere valutate anche alla luce dell’articolo 56 TFUE.

66.

In tale sentenza, la Corte ha esaminato, dapprima dalla prospettiva della libera circolazione delle merci e, successivamente, da quella della libera prestazione dei servizi, una normativa nazionale che limitava le possibilità di pubblicità delle bevande alcoliche ( 33 ). La Corte aveva adottato il medesimo approccio nelle sentenze De Agostini e TV‑Shop ( 34 ) e ARD ( 35 ), riguardo a norme nazionali che regolavano la pubblicità televisiva di alcuni prodotti. In tali sentenze, la Corte aveva stabilito che le normative nazionali in questione, sebbene potessero costituire modalità di vendita escluse dall’ambito di applicazione della libera circolazione delle merci, dovevano essere valutate dalla prospettiva della libera prestazione dei servizi.

67.

Diversamente dalla presente causa, relativa alla pubblicità effettuata da una farmacia per i propri servizi di vendita online, tali sentenze riguardavano servizi pubblicitari prestati da un fornitore stabilito in uno Stato membro a un beneficiario (inserzionista) stabilito in un altro Stato membro ( 36 ). In tale contesto, le condizioni per la prestazione transfrontaliera di un servizio pubblicitario non potevano essere considerate accessorie alla vendita di merci da parte dell’inserzionista.

68.

Ne consegue che le misure di cui trattasi nel procedimento principale, derivanti dall’applicazione degli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica, devono essere esaminate alla luce dell’articolo 34 TFUE, senza che sia necessario verificarne anche la conformità con l’articolo 56 TFUE.

b) Sulla qualificazione delle misure in questione come «misure di effetto equivalente»

69.

L’articolo 34 TFUE vieta fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente. La Corte ritiene, a partire dalla sentenza Dassonville ( 37 ), che qualsiasi misura di uno Stato membro che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi all’interno dell’Unione va considerata come una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative ai sensi di tale disposizione.

70.

Secondo la giurisprudenza scaturita dalla sentenza Keck e Mithouard ( 38 ), non può costituire ostacolo diretto o indiretto, in atto o in potenza, agli scambi commerciali tra gli Stati membri, ai sensi di tale giurisprudenza, l’assoggettamento di prodotti provenienti da altri Stati membri a disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita, sempreché tali disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgono la propria attività sul territorio nazionale, e sempreché incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri.

71.

La Corte ha, a più riprese, considerato normative nazionali che limitano la possibilità per un’impresa di fare pubblicità come misure limitative di determinate modalità di vendita ( 39 ). Queste ultime, pertanto, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE qualora le due citate condizioni siano soddisfatte.

72.

La prima di queste condizioni è chiaramente soddisfatta nel presente caso. Infatti, il giudice nazionale parte dal principio che, come ha affermato il tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi), gli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica si applicano a tutte le farmacie che vendono medicinali al pubblico francese, siano esse stabilite in Francia o in un altro Stato membro.

73.

Più delicata è la questione se anche la seconda di tali condizioni sia soddisfatta. A tal riguardo, la Corte ha ripetutamente stabilito che disposizioni nazionali che vietano determinati tipi di pubblicità in determinati settori incidono allo stesso modo, in termini giuridici e di fatto, sulla commercializzazione dei prodotti provenienti da altri Stati membri e dei prodotti nazionali, costituendo così modalità di vendita che si collocano al di fuori dell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE ( 40 ). Questo è stato il caso, in particolare, di una norma deontologica che vietava ai farmacisti di pubblicizzare, al di fuori delle loro farmacie, i prodotti parafarmaceutici che erano autorizzati a commercializzare ( 41 ).

74.

Tuttavia, la Corte non ha considerato allo stesso modo disposizioni nazionali che prevedevano un divieto totale di pubblicità o, quanto meno, di una certa forma di promozione di un prodotto legalmente venduto nello Stato membro in questione.

75.

Questo approccio dimostra il riconoscimento, da parte della Corte, della notevole importanza della pubblicità al fine di consentire ai prodotti di uno Stato membro di accedere nel mercato di un altro Stato membro ( 42 ). Ciò è tanto più vero quando la pubblicità si riferisce al portale di vendita online di un’impresa. La vendita su Internet, in effetti, rappresenta un metodo particolarmente efficace per la commercializzazione in uno Stato membro di medicinali provenienti da un altro Stato membro ( 43 ). La A ha fatto valere, a tal proposito, che la pubblicità è l’unico mezzo di cui dispone una farmacia stabilita in un altro Stato membro per attirare la clientela francese sul suo sito web, non avendo la visibilità offerta dall’esistenza di una farmacia fisica in Francia.

76.

Così, nella sentenza Gourmet International Products ( 44 ), un divieto di qualsiasi pubblicità di bevande alcoliche diretta ai consumatori tramite annunci nella stampa, alla radio e alla televisione, tramite invio diretto di materiale non richiesto o tramite cartelloni pubblicitari è stata considerata di natura tale da ostacolare l’accesso al mercato in misura maggiore per i prodotti originari di altri Stati membri rispetto che per i prodotti nazionali, con i quali il consumatore ha naturalmente una maggiore familiarità ( 45 ).

77.

Al contrario, la Corte ha considerato, nella sentenza Karner ( 46 ), che un divieto non rivolto a una determinata forma di promozione in quanto tale, sebbene sia, in linea di principio, idoneo a limitare il volume totale di vendite nello Stato membro interessato e, di conseguenza, a ridurre altresì il volume delle vendite di merci provenienti da altri Stati membri, non colpisce in maniera più rigorosa la commercializzazione dei prodotti originari di tali paesi rispetto a quella dei prodotti nazionali.

78.

Al fine di determinare se una misura nazionale comporti un divieto totale della pubblicità, o, almeno, di una determinata forma di pubblicità, ai sensi della richiamata giurisprudenza, alcuni insegnamenti, a mio avviso, possono essere tratti in via analogica dalla definizione data dalla Corte di una nozione simile utilizzata nell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno ( 47 ). Ai sensi di tale disposizione, gli Stati membri sopprimono tutti i divieti assoluti in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate. Secondo la Corte, in tale contesto, devono essere considerati come divieti assoluti non solo le norme che vietano ai membri di una determinata professione di utilizzare qualsiasi forma di comunicazione commerciale, ma anche quelle che vietano l’uso di una o più forme di comunicazione commerciale. Sicché, devono considerarsi «divieti assoluti» le regole professionali che proibiscono di fornire, nell’ambito di uno o più mezzi di comunicazione, informazioni sul prestatore o sulla sua attività ( 48 ). Ritengo che tale definizione possa essere recepita nell’applicazione dell’articolo 34 TFUE.

79.

Nel caso di specie, a prima vista, e come sostenuto dal governo francese e dalla Commissione, il divieto di pubblicità dei servizi di vendita online di medicinali sotto forma di invio in massa di opuscoli per posta, anche congiuntamente ai pacchi di un partner commerciale, offrendo eventualmente degli sconti, non ha, in quanto tale, l’effetto di vietare completamente una certa forma di pubblicità – ovvero la pubblicità per posta – di tali prodotti.

80.

Tuttavia, la A sostiene che gli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica, per come interpretati dal tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi), finiscono di fatto per qualificare qualsiasi pubblicità realizzata da una farmacia come potenzialmente contraria al decoro della professione e qualsiasi sconto sui prezzi come uno sconto comportante un fattore di rischio per l’incitamento all’abuso di medicinali ( 49 ). In particolare, la A lamenta che il tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi) non ha identificato alcun criterio atto a qualificare una determinata pratica pubblicitaria come «massiccia» né alcuna soglia oltre la quale si possa ritenere che una promozione inciti all’abuso di medicinali. Il governo dei Paesi Bassi ritiene, inoltre, che la legge francese vieti in generale tutte le forme di pubblicità poste in essere, online o meno, dai farmacisti.

81.

Daniel B e a. replicano che la creazione di un sito web di una farmacia può dare luogo a un comunicato sulla carta stampata che indica l’indirizzo del sito. I farmacisti possono anche pubblicizzare la loro attività di vendita online attraverso la carta stampata ( 50 ). Daniel B. e a. sembrano invece ammettere che la legge francese vieti alle farmacie di realizzare, quantomeno, attività pubblicitaria a mezzo posta presso i privati.

82.

In tali circostanze, spetterà alla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) verificare se tali disposizioni, da sole o combinate con altre disposizioni legislative o regolamentari, abbiano l’effetto di vietare totalmente la pubblicità a mezzo posta dei servizi di vendita online di medicinali. In caso di risposta affermativa a tale domanda, le restrizioni imposte dagli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica dovranno essere qualificate come misure di effetto equivalente ai sensi dell’articolo 34 TFUE. Incomberebbe, allora, al giudice del rinvio verificare se tali restrizioni siano quantomeno giustificate da uno dei motivi d’interesse generale elencati all’articolo 36 TFUE oppure da esigenze imperative ( 51 ).

c) Sulla giustificazione delle misure di effetto equivalente

83.

Il governo francese sostiene che lo scopo dell’articolo R. 4235‑22 del codice della sanità pubblica è, come indica il suo tenore letterale, quello di tutelare il decoro della professione di farmacista. Tale scopo si inserirebbe nel perseguimento del più ampio obiettivo della tutela della salute pubblica. L’articolo R. 4235-64 del citato codice avrebbe lo scopo di prevenire il consumo eccessivo o l’uso inappropriato di medicinali e, quindi, mirerebbe altresì alla tutela della salute pubblica.

84.

La tutela della salute pubblica è un obiettivo di interesse generale espressamente riconosciuto dall’articolo 36 TFUE. Inoltre, la Corte ha già riconosciuto la legittimità degli obiettivi più specifici consistenti nel garantire l’indipendenza, il decoro e l’integrità di una professione regolamentata ( 52 ) nonché nel prevenire il consumo eccessivo o l’uso inappropriato di medicinali ( 53 ).

85.

Gli obiettivi invocati dal governo francese possono tuttavia giustificare le misure in questione solo nella misura in cui queste ultime siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il suo raggiungimento ( 54 ).

86.

L’onere della prova dell’idoneità e della necessità della misura rispetto al raggiungimento degli obiettivi perseguiti grava, in ogni caso, sulle autorità nazionali. Nell’esaminare una normativa nazionale rispetto alla giustificazione relativa alla tutela della salute e della vita delle persone, un giudice nazionale deve valutare in modo obiettivo se gli elementi di prova forniti dallo Stato membro interessato consentano ragionevolmente di affermare che i mezzi scelti sono idonei a realizzare gli obiettivi perseguiti nonché se sia possibile conseguire questi ultimi attraverso misure meno restrittive della libera circolazione delle merci ( 55 ).

87.

Nell’ambito di tale analisi della proporzionalità, occorre tener conto del fatto che, secondo una giurisprudenza consolidata, la salute e la vita delle persone occupano un rango primario tra i beni e gli interessi tutelati dal TFUE. Spetta agli Stati membri decidere il livello al quale intendono garantire la tutela della salute pubblica nonché il modo in cui questo livello deve essere raggiunto. Poiché tale livello può variare da uno Stato membro all’altro, la Corte riconosce agli Stati membri un certo margine di apprezzamento in merito ( 56 ).

88.

Inoltre, la Corte ha ripetutamente sottolineato il carattere del tutto particolare dei medicinali, che si distinguono nettamente dalle altre merci per via dei loro effetti terapeutici ( 57 ). Tali effetti terapeutici implicano che, se i medicinali sono assunti senza necessità o in modo scorretto, possono nuocere gravemente alla salute senza che il paziente sia in grado di prenderne coscienza al momento della somministrazione ( 58 ).

89.

Per quanto attiene alle comunicazioni commerciali relative alla prestazione di cure sanitarie, la Corte ha stabilito, nella sentenza Vanderborght ( 59 ), che l’utilizzo intensivo di pubblicità o la scelta di messaggi promozionali aggressivi, addirittura tali da indurre i pazienti in errore a proposito delle cure proposte, può nuocere, deteriorando l’immagine della professione di dentista, alterando il rapporto tra i dentisti e i loro pazienti nonché favorendo la realizzazione di cure inadeguate o non necessarie, alla tutela della salute e pregiudicare la dignità della professione di dentista. Come suggerito dal governo francese, tale conclusione, tenuto conto del rapporto di fiducia che deve prevalere anche tra il farmacista e il suo cliente, è applicabile in via analogica alla pubblicità effettuata da una farmacia per i suoi servizi di vendita online di medicinali ( 60 ).

90.

Alla luce delle considerazioni che precedono, il divieto di inserire in maniera massiccia volantini pubblicitari nei pacchi dei partner commerciali, in particolare nel caso in cui tali volantini mostrino promozioni basate sull’importo dell’ordine, mi pare, in primo luogo, idoneo al raggiungimento dell’obiettivo di tutelare il decoro della professione di farmacista. Come sostenuto dal governo spagnolo, tale inserimento comporta il rischio di assimilare i medicinali a beni ordinari, posti sullo stesso piano dei prodotti di consumo, come l’abbigliamento o le calzature, consegnati nel pacchetto del partner commerciale. La distribuzione su larga scala di volantini pubblicitari nelle cassette postali dei potenziali consumatori trasmette anche un’immagine commerciale e mercantile della professione di farmacista che può alterare la percezione pubblica della professione. Ritengo, al pari dei governi francese, greco e spagnolo, che uno Stato membro abbia il diritto di considerare una siffatta pratica contraria al decoro di tale professione.

91.

L’articolo R. 4235‑22 del codice della sanità pubblica corrisponde, inoltre, alle regole fissate dal codice comunitario di buona condotta delle comunicazioni dei farmacisti ( 61 ), che Daniel B e a. hanno allegato alle loro osservazioni scritte ( 62 ). Ai sensi di tale codice, «[q]uando sono ammessi annunci pubblicitari e promozioni, questi devono mantenere l’aspetto professionale che si esige da una farmacia».

92.

Inoltre, nella misura in cui le promozioni proposte negli opuscoli pubblicitari e basate sull’importo dell’ordine erano intese proprio ad incitare agli acquisti, in particolare, di medicinali sul sito web della farmacia in questione e a far sì che i pazienti spendessero importi superiori a determinate soglie, il divieto di tali promozioni era, a mio avviso, idoneo a raggiungere l’obiettivo di evitare l’incoraggiamento al consumo eccessivo di medicinali.

93.

A tal proposito, deve essere respinta l’argomentazione, sostenuta essenzialmente dalla A, secondo cui il divieto di tali promozioni non sarebbe, nella fattispecie, né utile né, a maggior ragione, necessario per la tutela della salute pubblica in quanto tale società vende esclusivamente, oltre a prodotti parafarmaceutici, medicinali non soggetti a prescrizione medica. Secondo la A, poiché tali medicinali presentano un rischio per la salute inferiore rispetto ai medicinali soggetti a prescrizione medica, l’interesse della salute pubblica non giustificherebbe l’adozione di misure restrittive volte a limitarne o regolamentarne il consumo.

94.

Come essenzialmente sostenuto dai governi francese e greco nel corso dell’udienza, la circostanza che la consegna di alcuni medicinali non richieda l’intervento di un medico non implica in alcun modo che tali medicinali non comportino effetti collaterali indesiderati e non rappresentino un rischio significativo per la salute pubblica, specialmente se consumati in quantità eccessive. D’altronde, la Corte ha riconosciuto il rischio associato al consumo eccessivo o all’abuso di medicinali, senza limitarlo a quelli la cui consegna è soggetta a prescrizione medica ( 63 ).

95.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la necessità dei divieti in questione, rammento che la Corte ha stabilito, nella sentenza Vanderborght ( 64 ), che una normativa nazionale la quale vieti in modo generale e assoluto ogni tipo di pubblicità utilizzata dai dentisti per promuovere le loro cure eccede quanto necessario per tutelare la salute pubblica e il decoro della professione di dentista. Per contro, secondo la Corte, una normativa nazionale che regolamenti, se del caso in modo rigoroso, le forme e le modalità che possono avere gli strumenti di comunicazione utilizzati dai dentisti consentirebbe di prevedere misure alternative meno restrittive, compatibili con l’articolo 56 TFUE. Tale ragionamento è, a mio avviso, applicabile alle restrizioni sulle forme e sulle modalità della pubblicità che le farmacie possono praticare per i prodotti che vendono e per i servizi che forniscono.

96.

Secondo Daniel B e a. e i governi francese e greco, gli articoli R. 4235-22 e R. 4235-64 del codice della sanità pubblica si limitano a sancire una disciplina rigorosa per le forme e le modalità di pubblicità che le farmacie possono adottare.

97.

Come poc’anzi illustrato ( 65 ), la A lamenta, d’altro canto, l’effetto cumulativo delle varie restrizioni che il diritto francese imporrebbe alla pubblicità relativa ai servizi di vendita online di medicinali. Il governo dei Paesi Bassi si chiede, al pari della A, se la legislazione francese non ponga, di fatto, un divieto generale per i farmacisti di fare pubblicità. Anche la Commissione ritiene che la normativa francese imponga notevoli restrizioni alla pubblicità sulla maggior parte dei supporti ipotizzabili. Tuttavia, nessuna di tali parti né delle parti interessate nega che, come sottolineato da Daniel B e a. e dalla Commissione, la pubblicità dei servizi di vendita online forniti da una farmacia rimanga, quantomeno, possibile sulla carta stampata, purché siano soddisfatte determinate condizioni.

98.

In tali circostanze, non risulta che una farmacia stabilita in un altro Stato membro sia privata di ogni possibilità di pubblicizzare i propri servizi di vendita online destinati ai consumatori francesi ( 66 ). In ogni caso, rilevo che il procedimento principale verte esclusivamente sulla conformità con il diritto dell’Unione di un divieto per un farmacista di effettuare una campagna pubblicitaria per i suoi servizi di vendita online consistente nell’inviare al pubblico opuscoli pubblicitari non richiesti e, se del caso, nell’offrire sconti sul prezzo dei medicinali ordinati. Per la soluzione della presente causa non è necessario statuire in merito alla questione se le disposizioni del codice della sanità pubblica, nella misura in cui vietano anche altre forme di pubblicità, siano sproporzionate.

99.

Inoltre, la A sostiene che il divieto di proporre promozioni basate sull’importo dell’ordine va oltre quanto necessario per evitare l’abuso di medicinali, poiché si applica anche quando l’ordine comprende solo prodotti parafarmaceutici. Il fascicolo agli atti della Corte non consente di stabilire se l’articolo R. 4235-64 del codice della sanità pubblica vieti tali promozioni anche qualora l’importo dell’ordine preso in considerazione per determinare il riconoscimento uno sconto riguardi solo prodotti parafarmaceutici, con esclusione di qualsiasi medicinale. Se così fosse, il divieto in questione andrebbe, a mio avviso, al di là di quanto necessario per evitare l’abuso di medicinali. Vietare promozioni basate sull’importo dell’ordine solo nella misura in cui detto ordine includa medicinali basterebbe, a mio parere, a raggiungere il citato obiettivo.

100.

Tuttavia, in ogni caso, il divieto d’invio massiccio ai potenziali consumatori di opuscoli pubblicitari contenenti promozioni come quelle di cui trattasi nel procedimento principale mi sembra già, di per sé, giustificato dalla necessità di tutelare il decoro della professione di farmacista.

D.   Sulla compatibilità con il diritto dell’Unione delle restrizioni alla pubblicità digitale per i servizi di vendita online di medicinali

101.

Come si evince dalla decisione di rinvio, l’articolo R. 4235-64 del codice della sanità pubblica è stato interpretato dal tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi) anche come un divieto di offrire promozioni legate all’importo dell’ordine, quando esse sono esposte sul sito web di una farmacia. Inoltre, il decreto relativo alle regole tecniche vieta alle farmacie di utilizzare servizi di indicizzazione a pagamento sui motori di ricerca e sui siti di comparazione dei prezzi. Dato che tale tecnica ha lo scopo di attrarre sul sito web di una farmacia potenziali consumatori che effettuano ricerche su Internet, anche l’indicizzazione a pagamento riveste il carattere di attività pubblicitaria ( 67 ).

102.

Per le ragioni che saranno illustrate di seguito, ritengo che il divieto per una farmacia di esporre sul suo sito web promozioni di medicinali e il divieto di utilizzare servizi di indicizzazione a pagamento rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 della direttiva 2000/31 (sezione 1). Nella misura in cui tali divieti sono emanati dallo Stato membro di destinazione di un servizio della società dell’informazione e limitano la libera circolazione di tale servizio per un motivo che rientra nell’ambito regolamentato, essi sono consentiti solo alle rigorose condizioni stabilite al paragrafo 4 del citato articolo (sezioni 2 e 3).

1. Sull’applicabilità dell’articolo 3 della direttiva 2000/31

103.

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31, lo Stato membro di destinazione di un servizio della società dell’informazione non può, in linea di principio, limitare la libera circolazione di tale servizio sulla base di motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, come definito all’articolo 2, lettera h), della direttiva in questione.

104.

L’ambito regolamentato ricomprende, lo ricordo, le prescrizioni che i prestatori di un servizio di vendita online devono rispettare per quanto riguarda la pubblicità di tale servizio effettuata su Internet ( 68 ).

105.

Dalla lettera di tale disposizione emerge, inoltre, che le prescrizioni in questione rientrano nell’ambito regolamentato «indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale o specificamente destinat[e ai prestatori di servizi della società dell’informazione o ai servizi della società dell’informazione]» ( 69 ). Anche la circostanza secondo la quale l’articolo R. 4235-64 del codice della sanità pubblica si riferisce, in generale, alla pubblicità, sia essa online o meno, non può sottrarre le prescrizioni da esso sancite dall’ambito regolamentato.

106.

Di conseguenza, lo Stato membro di destinazione di un servizio di vendita online non può, in linea di principio, limitare la prestazione di tale servizio a causa di prescrizioni relative alla pubblicità su Internet.

107.

Tuttavia, il divieto d’indicizzazione a pagamento sui motori di ricerca, limitando le possibilità di pubblicizzare un servizio di vendita online, limita la libera circolazione di tale servizio. Poiché la pubblicità su Internet può essere considerata, di per sé, un servizio della società dell’informazione, il divieto in esame ne ostacola pure la libera circolazione. Lo stesso vale per il divieto di offrire sconti sul sito web di una farmacia, nella misura in cui si ritiene che tale pratica inciti al consumo di medicinali.

108.

A tal proposito, non può trovare accoglimento l’argomentazione, avanzata da Daniel B e a., secondo cui l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 riconoscerebbe la competenza di principio dello Stato membro di destinazione a disciplinare le comunicazioni commerciali dei membri di una professione regolamentata, quale la professione di farmacista ( 70 ). Questa disposizione impone agli Stati membri di autorizzare le comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione o ne sono parte, fatto salvo il rispetto delle norme professionali a tutela dell’indipendenza, del decoro e dell’onore della professione. A mio avviso, non si può ritenere che tale norma attribuisca allo Stato membro di destinazione la competenza a disciplinare tali comunicazioni commerciali in deroga all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2000/31. L’articolo 8, paragrafo 1, della citata direttiva si trova, infatti, all’interno di un capo separato, intitolato «Principi», che contiene una serie di disposizioni per l’armonizzazione minima di taluni aspetti relativi alla prestazione di servizi da parte della società dell’informazione ( 71 ). L’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva in esame costituisce pertanto una disposizione di armonizzazione positiva, in quanto obbliga ciascuno Stato membro ad autorizzare i membri di una professione regolamentata stabiliti nel loro territorio ad effettuare comunicazioni commerciali in merito alla loro offerta di servizi della società dell’informazione nel rispetto delle norme deontologiche applicabili a tale professione ( 72 ).

109.

Al fine di rispondere alla questione sollevata dal giudice del rinvio, è altresì necessario stabilire se il divieto per una farmacia di esporre sul proprio sito web promozioni di medicinali e di utilizzare servizi d’indicizzazione a pagamento costituiscano condizioni imposte da uno Stato membro per la fornitura al dettaglio di medicinali sul suo territorio, ai sensi dell’articolo 85 quater, paragrafo 2, della direttiva 2001/83 ( 73 ). Questa disposizione, il cui contenuto non è stato ancora esplicitato dalla Corte, comporta alcune difficoltà di interpretazione per quanto riguarda la sua articolazione con l’articolo 3 della direttiva 2000/31.

110.

Contrariamente a quanto sostenuto dal governo spagnolo, la direttiva 2001/83 non costituisce una lex specialis che prevale sulla direttiva 2000/31. La direttiva 2000/31, come emerge dall’articolo 1, paragrafo 3, e dal considerando 11 della stessa, si affianca agli strumenti di diritto derivato che si applicano, più in particolare, in determinati settori specifici. Solo i settori elencati all’articolo 1, paragrafo 5, e all’allegato di tale direttiva ( 74 ) – di cui non fanno parte né i servizi di vendita online né i servizi pubblicitari per i medicinali ( 75 ) – sono esclusi dall’ambito di applicazione del principio del paese di origine sancito all’articolo 3 della direttiva in esame.

111.

Come ho già osservato in precedenza ( 76 ), l’articolo 85 quater, paragrafo 2, della direttiva 2001/83 si limita a ricordare la competenza degli Stati membri a stabilire modalità per la fornitura al dettaglio di medicinali sul loro territorio entro i limiti previsti dal TFUE. Tale disposizione lascia impregiudicate le restrizioni che l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31 pone alla competenza dello Stato membro di destinazione di servizi di vendita online di medicinali a disciplinare le condizioni riguardanti l’esercizio di tali attività di vendita online e la relativa pubblicità online.

112.

Poiché l’ambito regolamentato dalla direttiva 2000/31 comprende, conformemente all’articolo 2, lettera h), i), della stessa, le prescrizioni riguardanti l’esercizio dell’attività di fornitura di un servizio della società dell’informazione e poiché tale categoria include quelle relative alla pubblicità online di tali servizi, l’articolo 85 quater, paragrafo 2, della direttiva 2001/83 non può quindi autorizzare lo Stato membro di destinazione a disciplinare tale forma di pubblicità e, in tal modo, a derogare alla competenza di principio che l’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2000/31 conferisce allo Stato membro di origine a tal riguardo.

113.

Tuttavia, l’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 consente agli Stati membri di derogare al principio del paese d’origine alle condizioni sostanziali e procedurali di cui, rispettivamente, alle lettere a) e b) di tale disposizione. Come emerge dalla sentenza Airbnb Ireland ( 77 ), tali deroghe possono consistere nell’applicazione, nell’ambito di un caso concreto, a un prestatore di servizi della società dell’informazione, di una normativa che si applica in modo generale a una categoria di determinati servizi o prestatori.

114.

È pertanto necessario esaminare, nel caso di specie, se le condizioni elencate all’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 siano soddisfatte. Non sarà, peraltro, necessario esaminare le prescrizioni per la pubblicità online rispetto alle disposizioni del TFUE. Difatti, secondo la giurisprudenza, qualsiasi misura nazionale in un ambito che ha costituito oggetto di un’armonizzazione esauriente a livello dell’Unione dev’essere valutata alla luce delle disposizioni di questa misura di armonizzazione, e non di quelle del diritto primario ( 78 ). L’articolo 3 della direttiva 2000/31 contiene, più precisamente, una regola di coordinamento volta a garantire il principio del controllo alla fonte delle attività di servizi della società dell’informazione nelle materie che rientrano nell’ambito regolamentato. La logica sottesa implica che, per quanto riguarda tali materie, gli Stati membri possono derogare al principio del paese d’origine solo alle condizioni di cui al paragrafo 4 dell’articolo in questione. Pertanto, tali deroghe non devono, essere esaminate alla luce delle disposizioni del TFUE.

2. Sul rispetto dei requisiti procedurali di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31

115.

L’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31 prevede che, prima di adottare un provvedimento in deroga al paragrafo 2 di tale articolo, lo Stato membro di destinazione del servizio in questione deve chiedere allo Stato membro di stabilimento del prestatore di prendere provvedimenti. Se quest’ultimo non acconsente a tale richiesta o non adotta provvedimenti adeguati, il primo Stato membro deve notificare alla Commissione e al secondo Stato membro la propria intenzione di prendere un provvedimento restrittivo nei confronti di tale prestatore ( 79 ).

116.

La A sostiene che la Repubblica francese non ha rispettato gli obblighi sulla stessa gravanti ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31. Sebbene spetti al giudice del rinvio effettuare tale verifica, dal fascicolo agli atti della Corte non risulta che detto Stato membro abbia notificato alla Commissione e allo Stato membro in cui il prestatore interessato è stabilito, vale a dire il Regno dei Paesi Bassi, la sua intenzione di applicare a tale prestatore l’articolo R. 4235-64 del codice del sanità pubblica nonché il decreto relativo alle regole tecniche ( 80 ).

117.

Come osservato dalla A, dal database relativo alle notificazioni in virtù della direttiva 2015/1535 che il decreto relativo alle regole tecniche, nonché il decreto relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali, sono stati notificati alla Commissione ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della citata direttiva ( 81 ). Siffatta notificazione non potrebbe, tuttavia, sostituirsi a quella prescritta dall’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31. In effetti, gli obblighi di notificazione imposti da queste due disposizioni sono imposti secondo una sequenza temporale distinta, hanno uno scopo diverso e sono di natura complementare.

118.

Da un lato, l’articolo 5, paragrafo 1 della direttiva 2015/1535 prevede la notificazione alla Commissione da parte degli Stati membri dei progetti di regolamentazione riguardanti, tra l’altro, le regole sui servizi della società dell’informazione. Tale notificazione ha l’obiettivo di consentire alla Commissione, nonché agli altri Stati membri ( 82 ), di effettuare, a monte della loro adozione, una verifica se le regole generali e astratte previste sono conformi alle libertà fondamentali garantite dal TFUE.

119.

Dall’altro, successivamente all’adozione di tali regole, l’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31 impone inoltre allo Stato membro di destinazione di notificare allo Stato membro di origine nonché alla Commissione la sua intenzione di applicare tali regole, in un caso specifico, a un prestatore o a un servizio determinato, specificando il provvedimento che intende adottare nei confronti di tale prestatore o servizio. Inoltre, lo Stato membro di destinazione può presentare tale richiesta solo se ha precedentemente chiesto allo Stato membro di origine di adottare provvedimenti e quest’ultimo non abbia aderito a tale richiesta o abbia adottato provvedimenti inadeguati.

120.

La Corte ha stabilito, nella sentenza Airbnb Ireland ( 83 ), che l’inosservanza dell’obbligo di preventiva notifica previsto dall’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31, analogamente all’obbligo previsto dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2015/1535, implica l’inopponibilità, nei confronti del prestatore interessato, della normativa contenente il provvedimento restrittivo. Tale inopponibilità può essere fatta valere non solo nei procedimenti penali, ma anche, come nel caso in esame, nelle controversie tra privati.

121.

Qualora il giudice del rinvio confermasse che la Repubblica francese non ha rispettato le condizioni procedurali di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31, tale giudice dovrebbe concludere nel senso dell’inopponibilità alla A delle disposizioni di cui al procedimento principale, senza che sia necessario verificare se siano soddisfatte le condizioni sostanziali di cui alla lettera a) della norma in questione ( 84 ). Tali condizioni procedurali e sostanziali hanno, difatti, carattere cumulativo ( 85 ). Per scrupolo di esaustività, andrò, tuttavia, a esaminare il rispetto delle condizioni sostanziali fissate dall’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31.

3. Sul rispetto delle condizioni sostanziali di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31

122.

L’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31 dispone che qualsiasi provvedimento restrittivo della libera circolazione di un servizio della società dell’informazione dev’essere necessario al fine di garantire l’ordine pubblico, la tutela della salute pubblica, la pubblica sicurezza o la tutela dei consumatori, dev’essere adottato nei confronti di un servizio che sia concretamente lesivo di detti obiettivi o che costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio per questi ultimi e dev’essere proporzionato a tali obiettivi. Tali condizioni di necessità e proporzionalità si sovrappongono in larga parte alle condizioni per il rispetto delle libertà fondamentali garantite dagli articoli 34 e 56 TFUE. A tal riguardo, come sostenuto dalla Commissione, è alla luce della giurisprudenza relativa a tali disposizioni che deve essere valutata la conformità dei provvedimenti in esame di cui all’articolo 3, paragrafo 4 della direttiva 2000/31.

123.

A sostegno del divieto di promozioni pubblicate sul sito web della A, il governo francese invoca i medesimi obiettivi posti a fondamento del divieto di tali promozioni quando sono portate all’attenzione del pubblico su supporti materiali. Gli obiettivi in questione riguardano la tutela della salute pubblica e costituiscono, pertanto, conformemente all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), i), della direttiva 2000/31, motivi idonei a giustificare una deroga al paragrafo 2 del medesimo articolo.

124.

L’indicizzazione a pagamento, che mira ad aumentare la visibilità di una determinata farmacia facendo apparire il suo sito web fra i primi risultati di un motore di ricerca, non include di per sé un messaggio promozionale con contenuti che possano essere considerati contrari al decoro della professione di farmacista o incitare al consumo di medicinali. Per quanto riguarda il divieto di tale pratica, il governo francese ha fatto valere, nel corso dell’udienza, la necessità di garantire una distribuzione equilibrata delle farmacie su tutto il territorio nazionale. Secondo il citato governo, l’indicizzazione a pagamento rischia di mutare questo equilibrio territoriale, concentrando la commercializzazione dei medicinali nelle mani delle grandi farmacie online. Questo fenomeno rischia di aggravare la situazione di «desertificazione» farmaceutica già osservata in alcune regioni della Francia. Tale governo rileva che, se da un lato non si può escludere che, come rilevato dalla A e dalla Commissione, il commercio online di medicinali faciliti l’accesso ai medicinali disponibili senza prescrizione medica per le persone che vivono nelle zone più isolate, dall’altro lo sviluppo di tale pratica avrebbe l’effetto collaterale di rendere più difficile l’accesso ai medicinali soggetti a prescrizione medica, che possono essere consegnati solo in una farmacia fisica.

125.

A tal proposito, la Corte ha già riconosciuto che la necessità di garantire l’approvvigionamento stabile di uno Stato membro a fini medici essenziali può giustificare un ostacolo agli scambi tra gli Stati membri, dato che tale scopo è riconducibile alla tutela della salute e della vita delle persone ( 86 ). Di conseguenza, l’obiettivo dedotto dal governo francese a sostegno del divieto d’indicizzazione a pagamento rappresenta anch’esso un motivo riconosciuto come legittimo dall’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31.

126.

Ciò posto, spetta, lo ribadisco, alle autorità nazionali offrire la prova dell’idoneità e della necessità di un provvedimento restrittivo delle libertà fondamentali di circolazione ai fini del raggiungimento dell’obiettivo legittimo perseguito ( 87 ).

127.

A tal riguardo, le considerazioni di cui ai paragrafi da 90 a 99 delle presenti conclusioni, relative all’idoneità e alla necessità di un divieto di promozioni rese note al pubblico mediante opuscoli distribuiti nelle loro cassette delle lettere, consistenti in uno sconto sul prezzo ove l’ordine superi un determinato importo, si applicano, mutatis mutandis, qualora tali promozioni siano pubblicate sul sito web della farmacia.

128.

Per quanto riguarda il divieto di indicizzazione a pagamento, la A e la Commissione ne contestano, in primo luogo, l’idoneità al conseguimento dell’obiettivo prefissato da parte delle autorità francesi. Secondo la A, le varie restrizioni alla pubblicità dei servizi di vendita online di medicinali sono ancor più in grado d’impedire l’ingresso di nuovi operatori, spesso di piccole dimensioni, sul mercato francese. Dal canto suo, la Commissione dubita che esista un nesso causale sufficiente tra l’esecuzione di campagne pubblicitarie per la vendita online di medicinali e la scomparsa delle farmacie fisiche. A tal riguardo, la Commissione sostiene che le farmacie tradizionali continuano a godere di determinati vantaggi in termini di concorrenza, in particolare per quanto riguarda l’accesso e la consegna immediata dei prodotti; essa sottolinea, inoltre, che queste ultime mantengono il monopolio della vendita di medicinali soggetti a prescrizione medica.

129.

A mio parere, l’asserita assenza di un provato nesso causale tra il divieto d’indicizzazione a pagamento e la prevenzione del rischio di scomparsa di un numero significativo di farmacie in aree isolate non può, in quanto tale, precludere l’idoneità di tale divieto al conseguimento dell’obiettivo invocato. Secondo la giurisprudenza, difatti, qualora sussistano incertezze sull’esistenza o sulla portata dei rischi per la salute delle persone - compresi, nello specifico, i rischi per la fornitura di medicinali sicura e di qualità alla popolazione - lo Stato membro interessato deve poter adottare misure di protezione senza dover attendere che l’esistenza di tali rischi sia pienamente dimostrata. In una situazione simile, lo Stato membro può adottare le misure che riducono, per quanto possibile, un rischio per la salute pubblica ( 88 ).

130.

Tuttavia, ritengo che lo Stato membro interessato rimanga tenuto a dimostrare l’esistenza del presunto rischio nonché la ragionevole probabilità che sussista un nesso causale tra la misura restrittiva e la mitigazione di tale rischio - oppure, correlativamente, tra la pratica che tale misura intende disciplinare e l’aumento di detto rischio ( 89 ).

131.

In altri termini, uno Stato membro che invochi, a sostegno di una misura restrittiva, la necessità di evitare il verificarsi di un rischio - come la comparsa o l’aggravamento di un fenomeno di allentamento della rete territoriale delle farmacie -, non può essere tenuto a produrre prove empiriche che dimostrino in modo inequivocabile l’esistenza di un nesso causale tra la misura in questione e l’effetto desiderato. Una prova di questo tipo implicherebbe, difatti, l’attendere che il rischio in questione si concretizzi per poter verificare se la misura restrittiva permetta di porvi effettivamente rimedio. Nell’esaminare la proporzionalità di una normativa nazionale adottata nel settore particolarmente sensibile della salute pubblica, occorre tener conto della complessità delle valutazioni poste alla base delle scelte delle autorità nazionali e del margine di incertezza che caratterizza gli effetti di una simile normativa ( 90 ). Lo Stato membro in questione è comunque tenuto a corredare le giustificazioni addotte di prove adeguate o di un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità della normativa, nonché di elementi circostanziati che consentano di suffragare la sua argomentazione ( 91 ). Il giudice nazionale, quindi, è chiamato a verificare se gli elementi di prova addotti permettano, ragionevolmente, di ritenere che tale normativa è idonea a raggiungere l’obiettivo perseguito e se sia possibile raggiungerlo mediante delle misure meno restrittive. In questo contesto, spetta al giudice nazionale prendere in considerazione tutte le prove a sua disposizione al momento della decisione ( 92 ).

132.

Nel caso di specie, il governo francese si è limitato ad affermare, dinanzi alla Corte, che l’indicizzazione a pagamento rischia di amplificare il fenomeno dell’allentamento della rete territoriale delle farmacie, senza fornire alcuna analisi più specifica a corredo di tale argomentazione. Dubito che una simile affermazione sia sufficiente a dimostrare l’idoneità del divieto d’indicizzazione a pagamento di prevenire tale effetto. Ciò posto, spetterà al giudice nazionale valutare, alla luce di tutti gli elementi di prova che gli saranno stati presentati al momento della decisione, se tale governo abbia dimostrato che la misura in questione è idonea a prevenire una riduzione del numero di farmacie sul territorio francese, la quale comporterebbe che una fornitura sicura e di qualità non sarebbe più garantita su tutto il territorio in questione.

133.

Su tale argomento, mi limito a osservare che, come già riconosciuto dalla Corte, «in linea di principio le farmacie tradizionali sono maggiormente in grado, rispetto alle farmacie per corrispondenza, di dispensare consulenze individuali ai pazienti mediante il personale della farmacia e di assicurare la fornitura di medicinali in caso di urgenza» ( 93 ). Tuttavia, tale vantaggio comparativo non può, di per sé, prevenire il rischio di un’amplificazione del fenomeno della «desertificazione» farmaceutica invocato dal governo francese. A condizione che tale governo possa dimostrare l’esistenza di questo rischio e stabilire la ragionevole probabilità che l’indicizzazione a pagamento, aumentando la visibilità delle grandi farmacie online, aumenti il rischio in questione, il divieto di tale pratica dovrebbe essere considerato appropriato per raggiungere l’obiettivo di minimizzarlo.

134.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la necessità del divieto d’indicizzazione a pagamento, la A sostiene che si sarebbe potuta prevedere l’adozione di una misura meno restrittiva, consistente nel vietare solamente l’indicizzazione a pagamento di alcune specifiche parole chiave.

135.

Dubito che una tale misura possa raggiungere gli obiettivi perseguiti dal governo francese con la stessa efficacia dell’attuale divieto. Secondo tale governo, lo scopo del divieto in questione è infatti quello di impedire che una farmacia venga promossa a discapito di tutte le altre. Poiché questo effetto dell’indicizzazione a pagamento non dipende dalla scelta delle parole chiave, l’obiettivo perseguito da tale divieto non può essere raggiunto limitandolo a determinate parole chiave.

136.

Inoltre, come sostenuto dalla Commissione, se è vero che i motori di ricerca rappresentano il principale mezzo per le farmacie online per farsi conoscere dal pubblico, la normativa francese non impedisce in alcun modo alle stesse di comparire nei primi risultati di un motore di ricerca sulla base di un’indicizzazione naturale (ovvero realizzata sulla base dell’algoritmo sviluppato da tale motore di ricerca, indipendentemente da qualsiasi pagamento da parte del prestatore interessato). Tenuto conto, altresì, delle possibilità, seppur limitate, di pubblicizzare il loro sito web con altri mezzi ( 94 ), il divieto d’indicizzazione a pagamento non priva, quindi, le farmacie di ogni possibilità di farsi conoscere dal pubblico.

E.   Sulla compatibilità con il diritto dell’Unione dell’obbligo di far compilare al paziente un questionario sanitario

1. Sull’applicabilità dell’articolo 3 della direttiva 2000/31

137.

La disposizione del decreto relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali, la quale subordina la convalida del primo ordine di medicinali realizzato da un paziente sul sito web di una farmacia alla previa compilazione di un questionario sanitario online, rientra anch’essa, a mio avviso, nell’ambito di applicazione del principio del paese d’origine sancito all’articolo 3 della direttiva 2000/31.

138.

Infatti, tale disposizione non riguarda una condizione per la fornitura al dettaglio di medicinali sul territorio francese ai sensi dell’articolo 85 quater, paragrafo 2, della direttiva 2001/83, ma piuttosto una prescrizione relativa all’esercizio stesso, da parte di un farmacista, della sua attività di vendita online. Tale norma disciplina le condizioni alle quali può essere concluso il contratto di vendita online nonché le modalità di svolgimento dell’attività di vendita e di consulenza online del farmacista. Orbene, l’ambito regolamentato di cui all’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31 comprende, conformemente al punto i) di tale disposizione, le prescrizioni relative all’esercizio del servizio di cui trattasi e, in particolare, il suo contenuto, comprese le prescrizioni applicabili ai contratti. L’obbligo di far compilare al paziente un questionario sanitario, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, riguarda quindi, effettivamente, una materia che rientra nell’ambito regolamentato.

139.

Un obbligo di tal specie, che investe il prestatore del compito di raccogliere e di analizzare le risposte dei pazienti al questionario, e che esercita potenzialmente, come sostenuto dalla A, un certo effetto dissuasivo per i pazienti che desiderano acquistare medicinali online può, a mio avviso, essere analizzato come una restrizione alla libera circolazione di un servizio della società dell’informazione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31 ( 95 ). Di conseguenza, può essere applicato solo nel rispetto delle condizioni sostanziali e procedurali di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettere a) e b), di detta direttiva.

2. Sul rispetto delle condizioni sostanziali e procedurali di cui all’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31

140.

Per quanto riguarda le condizioni procedurali, il fascicolo agli atti della Corte non indica che le autorità francesi abbiano notificato la loro intenzione di applicare alla A il decreto relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali conformemente all’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31: ciò dovrà essere verificato dal giudice del rinvio.

141.

Per quanto riguarda le condizioni sostanziali di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31, che tratterò nuovamente per ragioni di esaustività, il governo francese fa valere, a sostegno dell’obbligo per una farmacia di richiedere al paziente di compilare il questionario di cui trattasi prima di convalidare il suo primo ordine sul sito web di tale farmacia, la necessità di fornire al paziente una consulenza personalizzata al fine di proteggerlo dall’uso inappropriato di medicinali.

142.

La Corte ha già riconosciuto la legittimità di tale obiettivo di salute pubblica ( 96 ). In effetti, non si può escludere che la vendita online di medicinali comporti, a causa della mancanza di contatto tra il farmacista e il paziente, un rischio di consumo scorretto oppure di abuso di medicinali ( 97 ). Come evidenziato dal governo francese, tale rischio è correlato, sebbene con diverse intensità, alla consegna di qualsiasi medicinale, sia esso soggetto o meno all’obbligo di prescrizione medica.

143.

Spetterà al giudice del rinvio verificare se l’obbligo di cui trattasi sia idoneo e necessario per il conseguimento di tale obiettivo sulla base degli elementi di prova sottopostigli dal governo francese e alla luce delle considerazioni di seguito esposte.

144.

A tal riguardo, tale governo fa riferimento a una sentenza del Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) ( 98 ) in cui detto giudice avrebbe esplicitato l’obiettivo di cui trattasi nei termini seguenti: «[u]na simile esigenza ha lo scopo di consentire al farmacista, nelle condizioni particolari della dispensazione per via elettronica, che non lo mettono in contatto diretto con il paziente, di rilevare eventuali controindicazioni o, addirittura, come previsto dagli articoli R. 4235‑61 e R. 4235‑62 del codice della sanità pubblica, di rifiutare di dispensare un medicinale laddove appaia che l’interesse per la salute del paziente lo richiede e di incoraggiarlo a consultare un medico qualificato ogni qualvolta lo ritenga necessario». Il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha concluso, come sostiene il governo francese nel caso in esame, che l’obbligo di compilare preventivamente il questionario sanitario non assoggettava la vendita online di medicinali a vincoli sproporzionati rispetto all’obiettivo di tutela della salute pubblica.

145.

Condivido tale valutazione. Come sottolineato da Daniel B e a., una simile prescrizione permette di assicurare che ogni paziente sia tutelato allo stesso modo, indipendentemente dal fatto che si procuri i medicinali via Internet oppure presso una farmacia fisica. Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, il decreto relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali non sottopone la vendita online dei medicinali a norme più severe rispetto a quelle che disciplinano la loro vendita in farmacia.

146.

Più precisamente, dalle spiegazioni offerte dal governo francese risulta che detto decreto mira a tener conto della natura e delle condizioni specifiche che caratterizzano la vendita di medicinali su Internet, per la quale il farmacista, in assenza di un contatto diretto e visivo con il paziente, non ha l’opportunità di offrirgli dei consigli di propria iniziativa qualora il rispetto del proprio dovere professionale lo richieda ( 99 ). Da questo punto di vista, la situazione di tale farmacista è differente rispetto a quella di un farmacista che dispensa medicinali da una farmacia fisica. Certo, il rispetto dell’obbligo professionale di consulenza non implica necessariamente che un farmacista chieda a qualsiasi paziente che entra nella sua farmacia di rispondere alle domande presenti nel citato questionario. Tuttavia, la presenza fisica del paziente gli offre, quantomeno, la possibilità di porgli le domande che ritiene necessarie per adempiere al suo dovere professionale di consulenza sulla base delle condizioni e delle caratteristiche visibili del paziente che manifestano il suo stato di salute. L’esigenza di compilare un questionario sanitario è quindi intesa a porre il farmacista online su un piano di parità con un farmacista che opera all’interno di una farmacia fisica, al fine di garantire che egli possa adempiere al suo dovere professionale di consulenza.

147.

La A indica una serie di misure meno restrittive che, a suo avviso, consentirebbero di raggiungere l’obiettivo desiderato di tutelare la salute pubblica con la stessa efficacia. In particolare, il decreto relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali garantirebbe già oggi ai pazienti la possibilità di beneficiare di una consulenza personalizzata, imponendo alle farmacie virtuali di rendere possibile per questi ultimi uno scambio interattivo con un farmacista. La A controllerebbe, inoltre, le quantità ordinate tramite il suo sito web sulla base di vari fattori, tra cui lo storico degli ordini del paziente. Questi controlli sarebbero sufficienti a prevenire il rischio di un consumo eccessivo di medicinali. La Commissione ritiene, inoltre, che dare ai pazienti l’accesso al foglietto illustrativo, ricordando loro le principali controindicazioni e dando loro la possibilità di interrogare un farmacista prima di effettuare un ordine, nonché la possibilità per i farmacisti di contattare i pazienti sulla base delle informazioni a loro disposizione e in particolare dello storico degli ordini, costituiscono misure alternative meno restrittive.

148.

Come sostenuto da Daniel B e a. e dal governo spagnolo, la facoltà del paziente di consultare il farmacista prima di effettuare un ordine, anche se accompagnata da un controllo delle quantità acquistate a valle del primo ordine, non costituisce un mezzo efficace come il controllo preventivo, attraverso la previa raccolta di informazioni dal paziente, dell’adeguatezza del suo ordine, in termini quantitativi e qualitativi, rispetto al suo stato di salute. Fra l’altro, la Corte ha già ritenuto che «l’aumento degli elementi interattivi esistenti in Internet che devono essere utilizzati dal cliente prima di poter procedere ad un acquisto [di un medicinale]» costituisce una misura alternativa accettabile, meno lesiva della libertà di circolazione delle merci, al divieto di vendita online di medicinali e che permette di raggiungere altrettanto efficacemente l’obiettivo di ridurre il rischio di un uso improprio dei medicinali acquistati online ( 100 ).

149.

A tal proposito, come sostenuto dal governo greco, il questionario introdotto dal decreto relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali contiene solamente domande di base relative all’età, al peso, all’altezza, al sesso, ai trattamenti in corso, all’anamnesi allergica, alle controindicazioni nonché alla gravidanza o all’allattamento. Queste domande richiedono una risposta semplice e diretta da parte del paziente. A mio parere, potrebbero essere ragionevolmente considerate come pertinenti e necessarie per evitare che il paziente acquisti medicinali inappropriati al suo stato di salute.

150.

In tali condizioni, l’obbligo di far compilare al paziente un simile questionario prima di convalidare il suo primo ordine mi pare idoneo e necessario per raggiungere l’obiettivo di garantire una consulenza personalizzata ai pazienti al fine di tutelarli dall’abuso di medicinali nell’interesse della salute pubblica.

V. Conclusione

151.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dalla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) nel modo seguente:

1)

L’articolo 34 TFUE non osta a una normativa di uno Stato membro che vieta la pubblicità dei servizi di vendita online di medicinali prestati da una farmacia stabilita in un altro Stato membro, consistente consiste nell’invio di opuscoli per posta su larga scala, eventualmente inserendoli nei pacchi di partner commerciali attivi nella vendita online di beni di consumo di uso quotidiano, e nell’offrire sconti sul prezzo qualora l’ordine superi un determinato importo, a condizione che una simile normativa sia necessaria e proporzionata al conseguimento dell’obiettivo della tutela del decoro della professione di farmacista, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

2)

L’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») osta a che lo Stato membro di destinazione di un servizio di vendita online di medicinali applichi al prestatore di tale servizio, stabilito in un altro Stato membro:

una normativa che vieta le promozioni, visualizzate sul sito web di tale prestatore, consistenti nell’offrire sconti di prezzo qualora l’ordine superi un determinato importo;

una normativa che vieta l’uso di servizi d’indicizzazione a pagamento a pagamento sui motori di ricerca e sui siti di comparazione dei prezzi, e

una normativa che subordina la convalida del primo ordine di medicinali di un paziente sul sito web del suddetto prestatore alla previa compilazione di un questionario sanitario,

nella misura in cui il primo Stato membro non abbia notificato al secondo Stato membro e alla Commissione europea la sua intenzione di applicare la normativa in questione al medesimo prestatore, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Qualora tali normative siano state notificate, l’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31 non osterebbe alla loro applicazione da parte dello Stato membro interessato a un prestatore di un servizio di vendita online di medicinali stabilito in un altro Stato membro, purché tale applicazione sia idonea e necessaria alla tutela della salute pubblica, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 2000, L 178, pag. 1).

( 3 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001 (GU 2001, L 311, pag. 67), come modificata dalla direttiva 2011/62/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2011 (GU 2011, L 174, pag. 74) (in prosieguo: la «direttiva 2001/83»).

( 4 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (GU 1998, L 204, pag. 37).

( 5 ) Direttiva 98/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 luglio 1998, relativa ad una modifica della direttiva [98/34] (GU 1998, L 217, pag. 18).

( 6 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU 2015, L 241, pag. 1).

( 7 ) Tale sito web ha un nome di dominio di primo livello «.fr».

( 8 ) V. direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (GU 2005, L 255, pag. 22), come modificata dalla direttiva 2013/55/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013 (GU 2013, L 354, pag. 132).

( 9 ) V., a tal riguardo, Debarge, O., «La distribution au détail du médicament au sein de l’Union européenne: un croisement entre santé et commerce», Revue internationale de droit économique, (2011) pag. 197 e pagg. da 201 a 217.

( 10 ) Come evidenziato dalla A, la situazione di tale farmacista differisce da quella di un farmacista che viaggia fisicamente, per prestarvi i suoi servizi, nel territorio di uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito. Come risulta dall’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2005/36, la situazione di quest’ultimo farmacista è disciplinata dagli articoli da 5 a 9 della medesima direttiva. Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2005/36, egli «è soggetto a norme professionali, di carattere professionale, legale o amministrativo, direttamente connesse alle qualifiche professionali, quali la definizione della professione, l’uso dei titoli e gravi errori professionali connessi direttamente e specificamente alla tutela e sicurezza dei consumatori, nonché le disposizioni disciplinari applicabili nello Stato membro ospitante ai professionisti che, ivi, esercitano la stessa professione».

( 11 ) Tale disposizione cristallizza la massima della sentenza dell’11 dicembre 2003, Deutscher Apothekerverband (C‑322/01, EU:C:2003:664, punto 112), in cui la Corte ha dichiarato incompatibile con la libera circolazione delle merci un divieto assoluto di vendita online di medicinali non soggetti a prescrizione medica.

( 12 ) L’indicizzazione consiste nel collocare le pagine di un sito Internet fra le prime pagine dei motori di ricerca.

( 13 ) Nel testo della sua questione, il giudice del rinvio fa unicamente riferimento al decreto relativo alle buone pratiche di distribuzione dei medicinali, dinanzi a esso invocato da Daniel B e a. Risulta, tuttavia, dal fascicolo agli atti della Corte che, come evidenziato dalla A, il divieto di acquistare un’indicizzazione sui motori di ricerca deriva non già da questo decreto, ma piuttosto dal decreto relativo alle regole tecniche.

( 14 ) Il governo francese fa riferimento alla sentenza del 7 agosto 2018, Smith (C‑122/17, EU:C:2018:631, punto 44).

( 15 ) Sentenza del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278, punti 3031 e giurisprudenza citata).

( 16 ) Sentenza del 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland (C‑390/18, EU:C:2019:1112, punto 97). La sentenza è stata pronunciata dopo che il governo francese ha presentato alla Corte le sue osservazioni scritte e orali.

( 17 ) V., tuttavia, paragrafo 80 delle presenti conclusioni.

( 18 ) V. paragrafo 5 delle presenti conclusioni.

( 19 ) V. sentenza del 4 maggio 2017, Vanderborght (C‑339/15, EU:C:2017:335, punti 3637). La nozione di «comunicazioni commerciali» è definita all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2000/31 come «tutte le forme di comunicazione destinate, in modo diretto o indiretto, a promuovere beni, servizi o l’immagine di un’impresa, di un’organizzazione o di una persona che esercita un’attività commerciale, industriale, artigianale o una libera professione».

( 20 ) Nella sua prima relazione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato Economico e Sociale europeo, del 21 novembre 2003, in merito all’applicazione della direttiva [2000/31], COM(2003) 702 final (pag. 12), la Commissione ha, del resto, fatto esplicito riferimento alla vendita online di prodotti farmaceutici fra i servizi coperti dalla direttiva.

( 21 ) V., a tal proposito, sentenza del 2 dicembre 2010, Ker-Optika (C‑108/09, EU:C:2010:725, punti 2930).

( 22 ) V. sentenza dell’8 novembre 2007, Gintec (C‑374/05, EU:C:2007:654, punto 20).

( 23 ) Anche il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha fatto propria tale interpretazione nella sua sentenza del 4 aprile 2018, No 407292 (FR:CECHR:2018:407292.20180404, punto 6), allegata alle osservazioni scritte della A e di Daniel B e a.

( 24 ) Sentenza dell’11 dicembre 2003 (C‑322/01, EU:C:2003:664, punto 144).

( 25 ) Poiché la Commissione ritiene che una normativa nazionale che disciplina la pubblicità fisica per il sito web di una farmacia rientri nell’ambito di applicazione delle direttive 2000/31 e 2001/83, quest’ultima esamina tale normativa alla luce dell’articolo 34 TFUE solo in via subordinata.

( 26 ) V., in particolare, sentenze dell’8 giugno 2017, Medisanus (C‑296/15, EU:C:2017:431, punto 53) e del 18 settembre 2019, VIPA (C‑222/18, EU:C:2019:751, punto 60).

( 27 ) V., in particolare, sentenze del 26 maggio 2005, Burmanjer e a. (C‑20/03, EU:C:2005:307, punto 35); del 2 dicembre 2010, Ker-Optika (C‑108/09, EU:C:2010:725, punto 43), nonché del 18 settembre 2019, VIPA (C‑222/18, EU:C:2019:751, punto 58).

( 28 ) Sentenza del 26 maggio 2005, Burmanjer e a. (C‑20/03, EU:C:2005:307, punti 3334).

( 29 ) V. sentenza del 25 marzo 2004, Karner (C‑71/02, EU:C:2004:181, punto 35).

( 30 ) V. sentenza del 25 marzo 2004, Karner (C‑71/02, EU:C:2004:181, punto 47).

( 31 ) Sentenze dell’11 dicembre 2003, Deutscher Apothekerverband (C‑322/01, EU:C:2003:664, punti 65 e ss.) e del 2 dicembre 2010, Ker-Optika (C‑108/09, EU:C:2010:725, punti da 44 a 46).

( 32 ) Sentenza dell’8 marzo 2001 (C‑405/98, EU:C:2001:135).

( 33 ) Sentenza dell’8 marzo 2001 (C‑405/98, EU:C:2001:135, punti da 13 a 42).

( 34 ) Sentenza del 9 luglio 1997 (da C‑34/95 a C‑36/95, EU:C:1997:344, punti da 39 a 54).

( 35 ) Sentenza del 28 ottobre 1999 (C‑6/98, EU:C:1999:532, punti da 45 a 52).

( 36 ) Difatti le sentenze del 9 luglio 1997, De Agostini e TV-Shop (da C‑34/95 a C‑36/95, EU:C:1997:344) e del 28 ottobre 1999, ARD (C‑6/98, EU:C:1999:532) riguardavano la prestazione di servizi di trasmissione di pubblicità televisiva da parte di emittenti stabiliti in uno Stato membro a vantaggio degli inserzionisti stabiliti in un altro Stato membro. La sentenza dell’8 marzo 2001, Gourmet International Products (C‑405/98, EU:C:2001:135), riguardava il diritto delle società editrici stabilite nel territorio di uno Stato membro di offrire spazi pubblicitari nelle loro pubblicazioni ai potenziali inserzionisti stabiliti in altri Stati membri.

( 37 ) Sentenza dell’11 luglio 1974 (C‑8/74, EU:C:1974:82, punto 5). V. altresì, in particolare, sentenza del 3 luglio 2019, Delfarma (C‑387/18, EU:C:2019:556, punto 20 e giurisprudenza citata).

( 38 ) Sentenza del 24 novembre 1993 (C‑267/91 e C‑268/91, EU:C:1993:905, punto 16). V. altresì sentenze del 2 dicembre 2010, Ker-Optika (C‑108/09, EU:C:2010:725, punto 51); del 12 novembre 2015, Visnapuu (C‑198/14, EU:C:2015:751, punto 103), nonché del 21 settembre 2016, Etablissements Fr. Colruyt (C‑221/15, EU:C:2016:704, punto 35).

( 39 ) V. sentenze del 15 dicembre 1993, Hünermund e a. (C‑292/92, EU:C:1993:932, punto 22); del 9 febbraio 1995, Leclerc-Siplec (C‑412/93, EU:C:1995:26, punto 22); del 9 luglio 1997, De Agostini e TV-Shop (da C‑34/95 a C‑36/95, EU:C:1997:344, punto 39); del 28 ottobre 1999, ARD (C‑6/98, EU:C:1999:532, punto 46); dell’8 marzo 2001, Gourmet International Products (C‑405/98, EU:C:2001:135, punti 1920), nonché del 25 marzo 2004, Karner (C‑71/02, EU:C:2004:181, punto 39).

( 40 ) V. sentenze del 15 dicembre 1993, Hünermund e a. (C‑292/92, EU:C:1993:932, punto 22); del 9 febbraio 1995, Leclerc-Siplec (C‑412/93, EU:C:1995:26, punto 24), nonché del 25 marzo 2004, Karner (C‑71/02, EU:C:2004:181, punto 42).

( 41 ) Sentenza del 15 dicembre 1993, Hünermund e a. (C‑292/92, EU:C:1993:932, punti da 22 a 24).

( 42 ) V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Leclerc-Siplec (C‑412/93, EU:C:1994:393, paragrafi da 19 a 22); conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nelle cause riunite De Agostini e TV-Shop (da C‑34/95 a C‑36/95, EU:C:1996:333, paragrafo 99), nonché, per analogia, sentenza del 5 aprile 2011, Société fiduciaire nationale d’expertise comptable (C‑119/09, EU:C:2011:208, punto 43).

( 43 ) V. sentenze dell’11 dicembre 2003, Deutscher Apothekerverband (C‑322/01, EU:C:2003:664, punto 74) e, per analogia, del 2 dicembre 2010, Ker-Optika (C‑108/09, EU:C:2010:725, punto 54).

( 44 ) Sentenza dell’8 marzo 2001 (C‑405/98, EU:C:2001:135, punto 21).

( 45 ) Osservo altresì che, nella sentenza del 9 luglio1997, De Agostini e TV-Shop (da C‑34/95 a C‑36/95, EU:C:1997:344, punto 44) la Corte ha ritenuto che il divieto totale della pubblicità rivolta ai bambini minori di dodici anni e della pubblicità ingannevole potrebbe rappresentare un ostacolo ai sensi dell’articolo 34 TFUE qualora sia dimostrato che tale divieto non incide in egual misura, sia in diritto sia in fatto, sullo smercio dei prodotti nazionali e di quelli provenienti da altri Stati membri. La Corte ha affidato al giudice nazionale il compito di effettuare tale verifica.

( 46 ) Sentenza del 25 marzo 2004 (C‑71/02, EU:C:2004:181, punto 42). V. parimenti, in tal senso, sentenza del 28 ottobre 1999, ARD (C‑6/98, EU:C:1999:532, punto 48).

( 47 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 (GU 2006, L 376, pag. 36).

( 48 ) V. sentenza del 5 aprile 2011, Société fiduciaire nationale d’expertise comptable (C‑119/09, EU:C:2011:208, punto 29).

( 49 ) La A fa riferimento al parere no 19-A-08 dell’Autorità garante della concorrenza (Francia), del 4 aprile 2019, relativo ai settori della distribuzione di medicinali in città e della biologia medica privata. L’autorità in parola sostiene che la natura imprecisa dei concetti di «acquisizione di clienti» e di «decoro della professione di farmacista» avrebbe portato le autorità ordinistiche a sanzionare qualsiasi tipo di pubblicità online, indipendentemente dal fatto che riguardasse la farmacia, i prodotti venduti o i servizi offerti.

( 50 ) Daniel B e a. Fanno riferimento all’articolo R. 5125-26 del codice della sanità pubblica, il quale recita: «La pubblicità in favore delle farmacie è consentita solo nel rispetto delle seguenti condizioni:

1) La creazione, il trasferimento o il cambio di proprietà di una farmacia, nonché la creazione di un sito web della farmacia, possono dare luogo a un comunicato sulla carta stampata che si limiti all’indicazione del nome del farmacista e dei suoi titoli accademici, ospedalieri e scientifici [...], all’indirizzo del sito web della farmacia, al nome del predecessore, all’indirizzo della farmacia corredato, se del caso, dalla menzione delle attività connesse al commercio di beni di cui all’elenco dell’articolo L. 5125-24, primo comma. Tale annuncio è preventivamente comunicato al consiglio regionale dell’Ordine dei farmacisti. Esso non eccede la dimensione di 100 [cm2].

2) Oltre ai mezzi d’informazione sulla farmacia citati all’articolo R. 4235-57, le farmacie possono far pubblicare sulla carta stampata degli annunci in favore delle attività citate al precedente comma 1) di una dimensione non eccedente 100 [cm2], contenente il loro nome e indirizzo, nonché i loro numeri di telefono e di fax e gli orari di apertura delle farmacie».

( 51 ) V., in particolare, sentenza del 9 luglio 1997, De Agostini e TV-Shop (da C‑34/95 a C‑36/95, EU:C:1997:344, punto 45).

( 52 ) V., per analogia, dal punto di vista della libera prestazione dei servizi, sentenze del 5 aprile 2011, Société fiduciaire nationale d’expertise comptable (C‑119/09, EU:C:2011:208, punto 30); del 12 settembre 2013, Konstantinides (C‑475/11, EU:C:2013:542, punto 57), nonché del 4 maggio 2017, Vanderborght (C‑339/15, EU:C:2017:335, punto 68).

( 53 ) Sentenza del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a. (C‑171/07 et C‑172/07, EU:C:2009:316, punto 33).

( 54 ) V., in particolare, sentenze del 13 luglio 2004, Bacardi France (C‑429/02, EU:C:2004:432, punto 33); del 18 giugno 2019, Austria/Germania (C‑591/17, EU:C:2019:504, punto 122), nonché del 18 settembre 2019, VIPA (C‑222/18, EU:C:2019:751, punto 69).

( 55 ) V. sentenze del 23 dicembre 2015, Scotch Whisky Association e a. (C‑333/14, EU:C:2015:845, punto 56), nonché del 18 settembre 2019, VIPA (C‑222/18, EU:C:2019:751, punto 70 e giurisprudenza citata).

( 56 ) V., in particolare, sentenze del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a. (C‑171/07 e C‑172/07, EU:C:2009:316, punto 19); del 27 ottobre 2016, Audace e a. (C‑114/15, EU:C:2016:813, punto 70), nonché del 18 settembre 2019, VIPA (C‑222/18, EU:C:2019:751, punto 71). V., altresì, considerando 22 della direttiva 2011/62.

( 57 ) V., in particolare, sentenze del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a. (C‑171/07 e C‑172/07, EU:C:2009:316, punto 31) e del 18 settembre 2019, VIPA (C‑222/18, EU:C:2019:751, punto 73). V., altresì, considerando 22 della direttiva 2011/62.

( 58 ) V., in particolare, sentenza del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a. (C‑171/07 e C‑172/07, EU:C:2009:316, punto 32).

( 59 ) Sentenza del 4 maggio 2017 (C‑339/15, EU:C:2017:335, punto 69).

( 60 ) La Corte ha altresì stabilito, nelle sentenze del 2 aprile 2009, Damgaard (C‑421/07, EU:C:2009:222, punto 22) e del 5 maggio 2011, Novo Nordisk (C‑249/09, EU:C:2011:272, punto 32), che la pubblicità di medicinali potrebbe essere nociva alla salute pubblica.

( 61 ) Elaborato il 14 giugno 2001 sotto l’egida del Raggruppamento farmaceutico dell’Unione europea (PGEU). Si veda, a tal proposito, la prima relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato Economico e Sociale europeo, del 21 novembre 2011, in merito all’applicazione della direttiva [2000/31] COM(2003) 702 final, pag. 12.

( 62 ) All’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2000/31, il legislatore ha auspicato l’adozione di codici di condotta a livello dell’Unione per le professioni regolamentate.

( 63 ) V. paragrafo 88 delle presenti conclusioni.

( 64 ) Sentenza del 4 maggio 2017 (C‑339/15, EU:C:2017:335, punto 72). V., altresì, ordinanza del 23 ottobre 2018, Conseil départemental de l’ordre des chirurgiens-dentistes de la Haute-Garonne (C‑296/18, non pubblicata, EU:C:2018:857, punto 18).

( 65 ) V. paragrafo 80 delle presenti conclusioni.

( 66 ) È altrettanto pacifico che il sito web di una farmacia stabilita in un altro Stato membro può sempre beneficiare di servizi d’indicizzazione naturale (non a pagamento) sui motori di ricerca (v. paragrafo 136 delle presenti conclusioni).

( 67 ) V., in tal senso, sentenza del Conseil d’État (Consiglio di Stato) del 4 aprile 2018, No 407292 (FR:CECHR:2018:407292.20180404, punto 8).

( 68 ) Rilevo altresì che l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 ha parzialmente armonizzato l’uso da parte dei membri di una professione regolamentata di comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione o ne sono parte (v. paragrafo 108 delle presenti conclusioni).

( 69 ) La nozione di «ambito regolamentato», di cui all’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31, si distingue, in tal senso, da quella di «regola relativa [al servizio]» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera e), della), della direttiva 2015/1535. Quest’ultima nozione si riferisce, infatti, unicamente ai requisiti di natura generale relativi all’accesso alle attività dei servizi della società dell’informazione e al loro esercizio, ad esclusione delle regole che non riguardino specificamente tali servizi. V., a tal proposito, la nota a piè pagina 81 delle presenti conclusioni.

( 70 ) La nozione di «professione regolamentata» è definita all’articolo 2, lettera g), della direttiva 2000/31.

( 71 ) Tali aspetti riguardano, oltre alle comunicazioni commerciali (articoli da 6 a 8), le prescrizioni in materia di stabilimento e di informazione (articoli 4 e 5), i contratti conclusi per via elettronica (articoli da 9 a 11), nonché la responsabilità dei prestatori intermediari (articoli da 12 a 15).

( 72 ) A tal riguardo, emerge dalla sentenza del 4 maggio 2017, Vanderborght (C‑339/15, EU:C:2017:335, punto 49), che l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 osta a che uno Stato membro vieti qualsiasi forma di comunicazione elettronica commerciale relativa alla prestazione di servizi di cure sanitarie, anche mediante un sito web creato dal prestatore. Gli Stati membri possono, invece, disciplinare, se necessario in modo rigoroso, le forme e le modalità delle comunicazioni commerciali online. V., altresì, ordinanza del 23 ottobre 2018, Conseil départemental de l’ordre des chirurgiens-dentistes de la Haute-Garonne (C‑296/18, non pubblicata, EU:C:2018:857).

( 73 ) D’altronde, come già evidenziato nei paragrafi da 50 a 54 delle presenti conclusioni, le disposizioni di cui ai titoli VIII e VIII bis della direttiva 2001/83 non si applicano alla pubblicità avente ad oggetto non già medicinali, ma piuttosto i servizi offerti da una determinata farmacia.

( 74 ) V. articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2000/31.

( 75 ) L’articolo 85 quater, paragrafo 1, della direttiva 2001/83, nella parte in cui si riferisce espressamente alla direttiva 2000/31, si basa del resto sul presupposto che tale direttiva si applica ai servizi di vendita online di medicinali.

( 76 ) V. paragrafo 56 delle presenti conclusioni.

( 77 ) Sentenza del 19 dicembre 2019 (C‑390/18, EU:C:2019:1112, punti 81 e ss.).

( 78 ) V., in particolare, sentenza del 12 novembre 2015, Visnapuu (C‑198/14, EU:C:2015:751, punto 40 e giurisprudenza citata).

( 79 ) L’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31 specifica che, in ogni caso, sono «fatti salvi i procedimenti giudiziari, anche istruttori, e gli atti compiuti nell’ambito di un’indagine penale». Letto alla luce del considerando 26 della direttiva 2000/31, tale inciso sembra indicare che l’applicazione delle norme nazionali di diritto penale e di procedura penale per avviare tutte le procedure investigative e le altre procedure necessarie per individuare e perseguire i reati, nella misura in cui ostacolino la libera circolazione di un servizio della società dell’informazione, non deve essere notificata ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva. Sottolineo inoltre che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, della direttiva in esame si può derogare a tale obbligo di notifica in caso di urgenza.

( 80 ) La circostanza che l’articolo R. 4235-64 del codice della sanità pubblica non riguardi specificamente i servizi di vendita online non esonera la Repubblica francese dall’obbligo di notifica di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31. In effetti, l’ambito regolamentato ai sensi dell’articolo 2, lettera h), di tale direttiva riguarda tutte le prescrizioni relative all’accesso o all’esercizio dei servizi della società dell’informazione, sia che si applichino in maniera generale oppure unicamente a tali servizi. La portata dell’obbligo di notifica delle misure restrittive di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31 differisce, sotto questo profilo, da quella dell’obbligo di notifica dei progetti di regole tecniche di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2015/1535. Come emerge dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera e), della citata direttiva, le «regole relative ai servizi» che devono essere notificate includono qualsiasi esigenza di natura generale relativa all’accesso alle attività dei servizi della società dell’informazione e al loro esercizio, ad esclusione delle regole che non riguardino specificamente tali servizi. Mentre una prescrizione generale relativa all’accesso o all’esercizio di servizi che includono servizi della società dell’informazione senza esserne limitati non deve essere comunicata ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2015/1535, l’intenzione dello Stato membro interessato di applicare la medesima prescrizione, caso per caso, in relazione a un determinato servizio, deve essere notificata ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31. Siffatta argomentazione vale anche per quanto attiene l’articolo R. 4235-22 del codice della sanità pubblica.

( 81 ) V. Commissione, database TRIS, https://ec.europa.eu/growth/tools-databases/tris/en/search/?trisaction=search.detail&year= 2016&num= 410. e https://ec.europa.eu/growth/tools-databases/tris/en/search/?trisaction=search.detail&year= 2016&num= 411.

( 82 ) Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, quinto comma, della direttiva 2015/1535, la Commissione, dopo aver ricevuto da uno Stato membro la notifica di un progetto di regola tecnica, lo comunica senza indugio agli altri Stati membri.

( 83 ) Sentenza del 19 dicembre 2019 (C‑390/18, EU:C:2019:1112, punti 9697).

( 84 ) In pratica, pertanto, l’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31 ha l’effetto di impedire a un privato di far valere dinanzi ai tribunali di uno Stato membro l’inosservanza, da parte di un prestatore di servizi della società dell’informazione stabilito in un altro Stato membro, di prescrizioni – in particolare di natura deontologica – in vigore nel primo Stato membro, salvo che un’autorità nazionale di quello Stato membro abbia precedentemente adempiuto agli obblighi procedurali stabiliti dalla disposizione in esame.

( 85 ) V. sentenza del 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland (C‑390/18, EU:C:2019:1112, EU:C:2019:1112, punto 99).

( 86 ) V., in particolare, sentenze del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a. (C‑171/07 et C‑172/07, EU:C:2009:316, punto 28), nonché del 19 ottobre 2016, Deutsche Parkinson Vereinigung (C‑148/15, EU:C:2016:776, punto 31).

( 87 ) V. paragrafo 86 delle presenti conclusioni.

( 88 ) V. sentenze del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a. (C‑171/07 e C‑172/07, EU:C:2009:316, punto 30), nonché del 18 settembre 2019, VIPA (C‑222/18, EU:C:2019:751, punto 72 e giurisprudenza citata). V. altresì, in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2015, Scotch Whisky Association e a. (C‑333/14, EU:C:2015:845, punto 57).

( 89 ) Tale approccio riflette il principio di precauzione sancito dall’articolo 191, paragrafo 2, TFUE. Qualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del presunto rischio a causa della natura non concludente dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute pubblica nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, tale principio giustifica l’adozione di misure restrittive. V., in particolare, sentenza del 1o ottobre 2019, Blaise e a. (C‑616/17, EU:C:2019:800, punto 43 e giurisprudenza citata).

( 90 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Scotch Whisky Association e a. (C‑333/14, EU:C:2015:527, paragrafo 84). V. altresì, a tal proposito, López Artetxe, S., «Is Health Really the First Thing in Life?», Legal Issues of Economic Integration (2017), pagg. da 315 a 321, nonché Dunne, N., «Minimum Alcohol Pricing: Balancing the “Essentially Incomparable” in Scotch Whisky», The Modern Law Review (2018), pagg. 901 e 902.

( 91 ) V. sentenze del 23 dicembre 2015, Scotch Whisky Association e a. (C‑333/14, EU:C:2015:845, punto 54), nonché del 19 ottobre 2016, Deutsche Parkinson Vereinigung (C‑148/15, EU:C:2016:776, punto 35).

( 92 ) V. sentenza del 23 dicembre 2015, Scotch Whisky Association e a. (C‑333/14, EU:C:2015:845, paragrafo 63).

( 93 ) Sentenza del 19 ottobre 2016, Deutsche Parkinson Vereinigung (C‑148/15, EU:C:2016:776, punto 24).

( 94 ) V. paragrafi da 95 a 97 delle presenti conclusioni.

( 95 ) La Corte ha già qualificato un divieto di vendita di lenti a contatto su Internet come una restrizione ai sensi di tale disposizione [v. sentenza del 2 dicembre 2010, Ker‑Optika (C‑108/09, EU:C:2010:725, punto 76)]. Questa qualificazione si applica, a mio avviso, anche alle disposizioni che, senza vietare totalmente tale vendita, vi pongono alcune restrizioni.

( 96 ) V. sentenza dell’11 dicembre 2003, Deutscher Apothekerverband (C‑322/01, EU:C:2003:664, punto 106).

( 97 ) V., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2003, Deutscher Apothekerverband (C‑322/01, EU:C:2003:664, punto 114).

( 98 ) Sentenza del 26 marzo 2018 (No 407289, FR: CECHR:2018:407289.20180326).

( 99 ) Daniel B e a. hanno evidenziato, a tal proposito, che l’articolo R. 4235-61 del codice della sanità pubblica prevede che «[l]addove appaia che l’interesse della salute del paziente lo richiede, il farmacista deve rifiutare di dispensare un medicinale».

( 100 ) Sentenza dell’11 dicembre 2003, Deutscher Apothekerverband (C-322/01, EU:C:2003:664, punto 114).

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