Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62018CC0380

Conclusioni dell’avvocato generale G. Pitruzzella, presentate l'11 luglio 2019.
Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid contre E.P.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State.
Rinvio pregiudiziale – Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Regolamento (UE) 2016/399 – Codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) – Articolo 6 – Condizioni di ingresso per i cittadini di paesi terzi – Nozione di “minaccia per l’ordine pubblico” – Decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare.
Causa C-380/18.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2019:609

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate l’11 luglio 2019 ( 1 )

Causa C‑380/18

Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid

contro

E.P.

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)]

«Rinvio pregiudiziale – Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere – Attraversamento delle frontiere esterne e condizioni di ingresso – Decisione che constata la fine della regolarità del soggiorno a causa di una minaccia per l’ordine pubblico – Decisione di rimpatrio di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare – Nozione di “minaccia per l’ordine pubblico” – Margine di discrezionalità degli Stati membri»

1. 

Si pone la questione se le autorità nazionali, quando adottano una decisione con la quale accertano che la condizione di ingresso nel territorio dell’Unione definita all’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (in prosieguo: il «CFS») ( 2 ), non è o non è più soddisfatta, siano tenute a valutare il comportamento personale del cittadino del paese terzo di cui trattasi e a concludere nel senso dell’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società, oppure se esse possano fondarsi sul mero sospetto che detto cittadino abbia commesso un reato penale grave. È questa, in sostanza, la questione al centro del presente rinvio pregiudiziale.

I. Contesto normativo

A.   La convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen

2.

La convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 (in prosieguo: la «CAAS») ( 3 ), come modificata dal regolamento (UE) n. 610/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 ( 4 ), prevede, in forza del suo articolo 20, paragrafo 1, che «[g]li stranieri non soggetti all’obbligo del visto possono circolare liberamente nei territori delle Parti contraenti per una durata massima di tre mesi nel corso di un periodo di sei mesi a decorrere dalla data del primo ingresso, sempreché soddisfino le condizioni di ingresso di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e) [della CAAS]».

B.   Il codice frontiere Schengen

3.

Ai sensi del considerando 6 del CFS, «[i]l controllo di frontiera è nell’interesse non solo dello Stato membro alle cui frontiere esterne viene effettuato, ma di tutti gli Stati membri che hanno abolito il controllo di frontiera interno. Il controllo di frontiera dovrebbe contribuire alla lotta contro l’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani nonché alla prevenzione di qualunque minaccia per la sicurezza interna, l’ordine pubblico, la salute pubblica e le relazioni internazionali degli Stati membri».

4.

Il considerando 27 del CFS enuncia che, «[c]onformemente alla giurisprudenza della [Corte], una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone deve essere interpretata in modo restrittivo e il concetto di ordine pubblico presuppone l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di interessi fondamentali della società».

5.

L’articolo 6, paragrafo 1, del CFS dispone quanto segue:

«Per soggiorni previsti nel territorio degli Stati membri, la cui durata non sia superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, il che comporta di prendere in considerazione il periodo di 180 giorni che precede ogni giorno di soggiorno, le condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi sono le seguenti:

(…)

d)

non essere segnalato nel [sistema d’informazione Schengen (SIS)] ai fini della non ammissione;

e)

non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri, in particolare non essere oggetto di segnalazione ai fini della non ammissione nelle banche dati nazionali degli Stati membri per gli stessi motivi».

II. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

6.

E.P. è un cittadino albanese, il quale sarebbe entrato nel territorio dei Paesi Bassi in veste di turista il 22 aprile 2016, dopo essere passato, a suo dire, attraverso la Danimarca e la Svezia. Il 18 maggio 2016, egli veniva sorpreso in flagrante in un’abitazione che ospitava una coltivazione di cannabis e poi sottoposto a fermo di polizia in attesa di un procedimento penale prima di essere preso in carico dalle autorità di polizia degli stranieri. Poiché sul posto erano state trovate ingenti quantità di droga, E.P. veniva sospettato di avere commesso un reato qualificato come grave dal diritto penale dei Paesi Bassi.

7.

Il 19 maggio 2016, lo staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi; in prosieguo: il «Segretario di Stato»), ritenendo che E.P. non soddisfacesse più le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS e che costituisse una minaccia per l’ordine pubblico, ha adottato una decisione che ordinava al medesimo di lasciare il territorio dell’Unione entro 28 giorni. E.P. ha proposto un ricorso avverso tale decisione dinanzi al rechtbank Den Haag, zittingsplaats Amsterdam (Tribunale dell’Aia, sede di Amsterdam, Paesi Bassi), il quale, con sentenza del 13 settembre 2016, ha annullato la decisione di rimpatrio e ha ordinato al Segretario di Stato di adottare una nuova decisione. Il rechtbank Den Haag, zittingsplaats Amsterdam (Tribunale dell’Aia, sede di Amsterdam) ha dichiarato, in particolare, che il Segretario di Stato non aveva adeguatamente motivato la sua tesi secondo la quale il soggiorno regolare di E.P. nei Paesi Bassi, sulla base di un’esenzione dall’obbligo di visto ( 5 ), era cessato in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS poiché E.P. era ormai considerato una minaccia per l’ordine pubblico dei Paesi Bassi per sospetta violazione della legislazione sugli stupefacenti. Secondo tale tribunale, il quale si fonda sulle sentenze Zh. e O. ( 6 ) e N. ( 7 ), il Segretario di Stato avrebbe dovuto basare la propria decisione su una valutazione del caso di specie al fine di verificare se il comportamento personale di E.P. costituisse una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società, e non sulla mera esistenza di un sospetto.

8.

Il Segretario di Stato ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio. Egli contesta, in particolare, che il requisito di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società sia trasponibile alle decisioni fondate sull’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS, le quali accertano che una persona ha cessato di soddisfare le condizioni di ingresso nel territorio dell’Unione.

9.

È in tali circostanze che il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) ha deciso di sospendere il procedimento e, con decisione di rinvio pervenuta nella cancelleria della Corte l’11 giugno 2018, di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del [CFS] debba essere interpretato nel senso che, nell’accertare che il soggiorno regolare non superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni è terminato, in quanto uno straniero viene considerato una minaccia per l’ordine pubblico, occorre come motivazione che il comportamento personale dello straniero di cui trattasi costituisce una minaccia attuale, reale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società.

2)

In caso di risposta negativa alla prima questione, quali requisiti di motivazione siano richiesti dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del [CFS] per motivare che uno straniero costituisce una minaccia per l’ordine pubblico. Se l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del [CFS] debba essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi nazionale in conformità della quale uno straniero viene considerato una minaccia per l’ordine pubblico per il solo fatto che egli risulta/di risultare sospettato di aver commesso un reato».

10.

E.P., i governi dei Paesi Bassi, belga, tedesco, la Commissione europea, nonché la Confederazione svizzera hanno partecipato alla fase scritta del procedimento dinanzi alla Corte.

11.

All’udienza tenutasi dinanzi alla Corte il 2 maggio 2019, E.P., i governi dei Paesi Bassi, belga e tedesco, nonché la Commissione hanno esposto le loro difese orali.

III. Analisi

12.

Anzitutto, preciso che esaminerò congiuntamente le due questioni pregiudiziali delle quali la Corte è oggi investita, poiché dalla mia lettura della seconda questione pregiudiziale risulta che quest’ultima non verte sull’obbligo di motivazione in quanto tale, ma invita piuttosto la Corte a stabilire i criteri che devono guidare la valutazione delle autorità nazionali al momento di adottare una decisione con la quale esse accertano che le condizioni di ingresso e di soggiorno regolari nel territorio dell’Unione non sono più soddisfatte, poiché l’individuo interessato è considerato una minaccia per l’ordine pubblico.

13.

Rispondere alle questioni rivolte alla Corte così prospettate imporrà di chiarire, in un primo momento, il rapporto fra il CFS, la CAAS e la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ( 8 ). In un secondo momento, occorrerà interpretare l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS in funzione del suo testo, del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dal CFS. La conclusione intermedia che ne trarrò dovrà infine essere confrontata, in un terzo momento, con gli insegnamenti che devono essere tratti, se del caso, dalla giurisprudenza della Corte relativa al requisito di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società.

A.   Rapporto fra il CFS, la CAAS e la direttiva 2008/115

14.

Il CFS stabilisce le norme applicabili al controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione, fermo restando che, una volta attraversate tali frontiere, la circolazione fra gli Stati membri sarà facilitata dall’assenza di controllo alle frontiere interne ( 9 ). Allorché operano nella vigenza del CFS, gli Stati membri sono evidentemente tenuti al rispetto dei diritti fondamentali, quali garantiti dal diritto dell’Unione e, dunque, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

15.

L’articolo 6, paragrafo 1, del CFS elenca le condizioni di ingresso nel territorio dell’Unione per i cittadini di paesi terzi per soggiorni la cui durata massima sia 90 giorni su un periodo di 180 giorni. In tal senso, detti cittadini devono essere in possesso di un documento di viaggio valido e, se del caso, di un visto valido ( 10 ). Inoltre, essi devono giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre di mezzi di sussistenza sufficienti, non essere segnalati nel SIS ai fini della non ammissione e, infine, non essere considerati una minaccia per l’ordine pubblico ( 11 ).

16.

Benché le questioni pregiudiziali vertano sull’articolo 6, paragrafo 1, del CFS e sulla possibilità degli Stati membri di negare l’ingresso nel loro territorio qualora l’individuo interessato rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico, è giocoforza constatare, nella specie, che oggetto di discussione non è una decisione che nega l’ingresso a E.P., poiché quest’ultimo è già presente nel territorio dei Paesi Bassi.

17.

Orbene, è piuttosto l’articolo 20, paragrafo 1, della CAAS, come modificata dal regolamento n. 610/2013, a disciplinare una siffatta situazione, enunciando che «[g]li stranieri non soggetti all’obbligo del visto possono circolare liberamente nei territori delle Parti contraenti per una durata massima di tre mesi nel corso di un periodo di sei mesi a decorrere dalla data del primo ingresso, sempreché soddisfino le condizioni di ingresso di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e) [della CAAS]». Quest’ultima lettera esige, dal canto suo, che il soggetto non sia «considerato pericoloso per l’ordine pubblico (…) di una delle Parti contraenti», riprendendo così la condizione di ingresso di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS. Ne consegue che le condizioni per il primo ingresso sono anche le condizioni che devono essere soddisfatte nel corso del soggiorno. Pertanto, qualora tali condizioni di ingresso non siano più soddisfatte nel corso del soggiorno, il cittadino di un paese terzo si ritrova in soggiorno irregolare nel territorio dell’Unione, come risulta parimenti dall’articolo 3, punto 2), della direttiva 2008/115 ( 12 ).

18.

Avendo E.P. cessato di soddisfare le condizioni di ingresso e di soggiorno regolari, le autorità dei Paesi Bassi erano tenute ad adottare una decisione di rimpatrio ( 13 ). Ai sensi della direttiva 2008/115, una decisione che pone fine al soggiorno regolare può essere adottata contestualmente a una decisione di rimpatrio, a condizione di rispettare le garanzie procedurali previste da tale direttiva ( 14 ). A mio avviso, la decisione di cui al procedimento principale, datata 19 maggio 2016, deve essere dunque intesa come una decisione con la quale le autorità dei Paesi Bassi hanno contestualmente accertato la fine del soggiorno regolare e ordinato il rimpatrio di E.P. Essa ha dunque come fondamento, al contempo, la CAAS, il CFS di riflesso e la direttiva 2008/115 ( 15 ).

19.

Una decisione di rimpatrio deve essere motivata in fatto e in diritto e contenere informazioni sui mezzi di ricorso disponibili ( 16 ). Le informazioni sui motivi in fatto possono essere ridotte «laddove la legislazione nazionale consenta che il diritto di informazione sia limitato, in particolare (…) per la prevenzione, le indagini, l’accertamento e il perseguimento di reati» ( 17 ). Poiché la decisione di rimpatrio constata il carattere irregolare del soggiorno, e poiché tale irregolarità discende, come previsto dall’articolo 20 della CAAS, dall’inadempimento di una delle condizioni stabilite all’articolo 5 della CAAS e riprese dall’articolo 6 del CFS, le autorità dei Paesi Bassi dovevano specificare in detta decisione quale condizione non risultasse più soddisfatta da E.P.

20.

A tal fine, il Segretario di Stato ha specificato che E.P. costituisse ormai una minaccia per l’ordine pubblico dei Paesi Bassi, poiché era sospettato di aver violato la legislazione nazionale relativa agli stupefacenti ( 18 ). Per questo motivo, era considerato una minaccia per l’ordine pubblico.

21.

Orbene, la questione fondamentale che si pone nella specie è se il Segretario di Stato poteva fondarsi sul mero sospetto della commissione di un reato grave per pervenire a tale conclusione o se invece era tenuto a fondare la sua decisione sulla valutazione del comportamento personale di E. P quale costitutivo di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società.

22.

Il giudice del rinvio ritiene che tale situazione potrebbe configurarsi alla luce della giurisprudenza della Corte, segnatamente elaborata, prima di essere estesa, nell’ambito dell’interpretazione della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 e abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE ( 19 ). Prima di analizzarla, ritornerò anzitutto sul testo, sul contesto e sugli obiettivi perseguiti dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS.

B.   Il motivo di ordine pubblico nel CFS

23.

Come ho indicato poc’anzi, l’articolo 6 del CFS è strettamente connesso all’articolo 20 della CAAS, il quale rimanda a sua volta all’articolo 5 della CAAS. Il motivo di ordine pubblico non può essere interpretato diversamente nel contesto del CFS o in quello della CAAS. Inoltre, poiché in sede di esame di una domanda di visto uniforme viene verificato il rispetto delle condizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, lettere a) e da c) a e), del CFS ( 20 ), e il consolato è tenuto ad accertarsi che il richiedente non sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico ( 21 ), il motivo di ordine pubblico dovrebbe ricevere una stessa definizione vuoi per la CAAS, vuoi per il CFS oppure per il codice dei visti.

24.

Orbene, né la CAAS né il CFS definiscono l’ordine pubblico. Se è ben vero che il considerando 27 di quest’ultimo enuncia che «il concetto di ordine pubblico presuppone l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di interessi fondamentali della società», tale minaccia è richiesta in caso di «deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone» ( 22 ).

25.

A rigor di termini, occorre rilevare che l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS non contiene un riferimento esplicito al requisito di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società. Esso non specifica il grado della minaccia né circoscrive tale minaccia ad una situazione di messa in pericolo di un interesse fondamentale della società. Inoltre, esso è formulato in termini negativi, poiché l’individuo non deve essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico. Una siffatta formulazione sembra lasciare un margine di manovra più ampio agli Stati membri allorché devono valutare l’assenza di una minaccia per l’ordine pubblico ( 23 ). A livello testuale, il requisito relativo all’assenza di una minaccia per l’ordine pubblico contenuto all’articolo 6 del CFS risulta dunque assai distante dalla formulazione dell’articolo 27 della direttiva 2004/38.

26.

Quanto al contesto e all’obiettivo perseguito dall’articolo 6 del CFS, ricordo che esso disciplina le condizioni di ingresso per i cittadini di paesi terzi che desiderano soggiornare per un breve periodo nel territorio dell’Unione senza che il loro soggiorno necessiti di essere motivato da una ragione particolare. Il rispetto di tali condizioni viene controllato, in linea di principio, al momento del rilascio del visto, qualora esso sia richiesto, oppure al momento dell’attraversamento delle frontiere esterne dell’Unione. Il considerando 6 del CFS ricorda che «[i]l controllo di frontiera è nell’interesse non solo dello Stato membro alle cui frontiere esterne viene effettuato, ma di tutti gli Stati membri che hanno abolito il controllo di frontiera interno». Inoltre, l’articolo 6 del CFS si applica ai cittadini di paesi terzi a priori senza legami con il territorio dell’Unione e in relazione ai quali la Corte ha già dichiarato che non hanno alcun diritto fondamentale di entrare o risiedere nel territorio di un paese determinato ( 24 ).

27.

In tale fase dell’analisi, nulla indica che il legislatore dell’Unione abbia inteso delimitare il potere discrezionale delle autorità nazionali, in caso di decisione che nega l’ingresso ad un cittadino di un paese terzo o che accerta la fine del soggiorno regolare nel territorio dell’Unione in considerazione di una minaccia per l’ordine pubblico, al punto di esigere che una siffatta decisione sia fondata sul comportamento personale di detto cittadino che costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società.

28.

Ciò si spiega parimenti con considerazioni pratiche. Infatti, allorché le autorità controllano il rispetto delle condizioni di ingresso elencate all’articolo 6 del CFS, vuoi in occasione dell’attraversamento delle frontiere esterne dell’Unione vuoi in occasione del rilascio di un visto, le informazioni a loro disposizione concernenti l’individuo interessato sono limitate. I diversi governi che sono intervenuti nel corso del presente procedimento pregiudiziale hanno sollevato a più riprese tale argomento, al quale confesso di essere sensibile. Lo stesso vale, in definitiva, per il controllo operato dalle autorità nazionali allorché sono chiamate a constatare che le condizioni di ingresso non sono più rispettate nel corso del soggiorno del cittadino di un paese terzo nel territorio dell’Unione. Nel caso concreto di E.P., ad eccezione dell’asserita commissione di un reato grave, il Segretario di Stato non disponeva di informazioni supplementari idonee a consentirgli di suffragare il comportamento personale di E.P. Egli era cionondimeno tenuto ad adottare, con una certa urgenza, una decisione che avrebbe impegnato gli Stati membri interessati sulla base di elementi di informazione relativamente limitati. I cittadini di paesi terzi che desiderano effettuare un soggiorno di breve durata nell’Unione non sono infatti particolarmente noti alle autorità nazionali, a fortiori allorché vi soggiornano in regime di esenzione dal visto. Esigere da tali autorità che esse fondino la propria decisione su una valutazione sistematica e precisa del comportamento personale dell’individuo interessato e imporre loro di dimostrare l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società rischierebbe di metterle di fronte ad una sfida impossibile da sostenere, non consentendo più alle medesime di adottare decisioni negative e mettendo potenzialmente in pericolo, in definitiva, la sicurezza dello spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle persone ( 25 ).

29.

In tali particolari circostanze occorre dunque riconoscere un ampio potere discrezionale alle autorità nazionali, simile a quello che la Corte ha riconosciuto loro nella sentenza Koushkaki ( 26 ) in relazione al codice dei visti. In detta sentenza essa ha dichiarato che «la valutazione della situazione individuale di un richiedente il visto, per stabilire se la sua domanda non contrasti con uno dei motivi di rifiuto, implica valutazioni complesse fondate, in particolare, sulla personalità di tale richiedente, sul suo inserimento nel paese in cui risiede, sulla situazione politica, sociale ed economica di quest’ultimo, nonché sull’eventuale minaccia che costituirebbe l’ingresso di tale richiedente per l’ordine pubblico» ( 27 ). La Corte ha proseguito precisando che «[s]imili valutazioni complesse implicano l’elaborazione di previsioni sull’eventuale comportamento di detto richiedente e devono basarsi, in particolare, su un’ampia conoscenza del paese di residenza di quest’ultimo, così come sull’analisi di documenti di vario tipo» ( 28 ). Essa ha parimenti messo in evidenza il fatto che «l’esame condotto dalle autorità competenti dello Stato membro al quale viene presentata una domanda di visto deve essere molto minuzioso perché l’eventuale rilascio di un visto uniforme consente al richiedente di entrare nel territorio degli Stati membri, nei limiti fissati dal [CFS]» ( 29 ). La Corte ha così riconosciuto un «ampio margine discrezionale riguardo alle condizioni di applicazione degli articoli 32, paragrafo 1, e 35, paragrafo 6, di tale codice, nonché alla valutazione dei fatti pertinenti per stabilire se i motivi elencati in tali disposizioni ostino al rilascio del visto richiesto» ( 30 ). Orbene, l’articolo 32, paragrafo 1, lettera a), vi), del codice dei visti enuncia il requisito relativo all’assenza di una minaccia per l’ordine pubblico. Logicamente, la Corte dovrebbe parimenti riconoscere la complessità delle valutazioni da effettuare quanto alle condizioni di ingresso e di soggiorno regolari elencate all’articolo 6 del CFS e, pertanto, riconoscere un ampio margine discrezionale alle autorità nazionali che non si riduca quindi al requisito di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società.

30.

Aggiungo inoltre che la Corte ha esteso la soluzione della sentenza Koushkaki ( 31 ) nella sentenza Fahimian ( 32 ), la quale verteva sulle condizioni di ingresso di cittadini di paesi terzi per motivi di studio e, più specificamente, su una disposizione dal testo simile a quello dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS ( 33 ). In detta sentenza si trattava di determinare se uno Stato membro poteva negare l’ingresso ad una cittadina iraniana che chiedeva un visto per motivi di studio in Germania per ragioni relative alla sicurezza pubblica senza fondare necessariamente la sua decisione sul comportamento personale dell’interessata e sulla minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società che tale comportamento si presumeva costituisse. La Corte ha ammesso di sì, per due ragioni essenziali: anzitutto, perché uno dei considerando della direttiva 2004/114 in questione prevedeva che la minaccia potesse essere soltanto potenziale ( 34 ); poi, perché la valutazione della situazione individuale della richiedente il visto implicava analisi complesse da parte delle autorità, sicché occorreva lasciare un ampio margine discrezionale alle autorità nazionali in sede di esame dei fatti rilevanti ( 35 ).

31.

A parte tali precedenti, ai quali la Corte potrebbe utilmente ispirarsi, la condizione di ingresso definita all’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS dovrebbe essere interpretata in maniera coerente con le altre condizioni di ingresso. A tal riguardo osservo che l’articolo 6, paragrafo 1, lettera d), del CFS prevede che il cittadino di un paese terzo che desideri entrare nel territorio dell’Unione non debba essere segnalato nel SIS ai fini della non ammissione. È il regolamento (CE) n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) ( 36 ), che definisce i criteri per una siffatta segnalazione. L’articolo 24, paragrafo 1, di tale regolamento indica anzitutto che la segnalazione deve essere basata su una «valutazione individuale». Inoltre, una segnalazione è inserita nel SIS quando la decisione è fondata su una minaccia per l’ordine pubblico che la presenza di un cittadino di un paese terzo può costituire nel territorio di uno Stato membro. Conformemente al regolamento n. 1987/2006, una situazione del genere può ricorrere se tale cittadino è stato condannato ad una pena superiore ad un anno di reclusione oppure se «esistono fondati motivi per ritenere che abbia commesso un reato grave o (…) indizi concreti sull’intenzione di commettere un tale reato nel territorio di uno Stato membro» ( 37 ). Per tale ipotesi, il legislatore dell’Unione ha chiaramente ammesso che il mero sospetto della commissione di un reato può già integrare un pericolo per l’ordine pubblico, senza che un tale pericolo sussista necessariamente e solo in presenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società. A mio avviso, l’accezione di «minaccia per l’ordine pubblico», nel contesto del CFS, dovrebbe rivestire lo stesso significato vuoi in relazione alla condizione di ingresso prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera d), del CFS vuoi in relazione alla condizione di ingresso imposta dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS.

32.

Se, come ritengo, non si tratta di trasporre in maniera sistematica il requisito risultante dall’articolo 27 della direttiva 2004/38 a tutti gli atti di diritto derivato contenenti una disposizione che consente di invocare ragioni relative all’ordine pubblico e la nozione di «minaccia di ordine pubblico» deve essere interpretata in funzione del contesto normativo in cui è collocata, gli elementi che ho appena elencato depongono nel senso di riconoscere un ampio potere discrezionale alle autorità nazionali allorché adottano una decisione che accerta che la condizione di ingresso relativa all’assenza di una minaccia per l’ordine pubblico non è soddisfatta o non lo è più.

33.

Resta tuttavia da verificare se tale conclusione non sia rimessa in discussione, o non possa esserlo, alla luce della giurisprudenza della Corte dalla quale sono sorti i dubbi del giudice del rinvio.

C.   Requisito di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società in presenza di un sospetto di un reato o di una condanna penale nella giurisprudenza della Corte

1. Esposizione della giurisprudenza della Corte

34.

È nella sentenza Bouchereau ( 38 ) che la Corte ha dichiarato per la prima volta che l’esistenza di una condanna penale poteva essere presa in considerazione, ai fini dell’attuazione di una limitazione alla libera circolazione dei cittadini degli Stati membri per motivi di ordine pubblico, solo in quanto le circostanze che avevano portato a tale condanna provassero «un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l’ordine pubblico» ( 39 ). Essa aggiungeva allora che benché, «in generale, l’accertamento di una minaccia di tal natura implichi il fatto che nell’individuo interessato esiste la tendenza a persistere nel suddetto comportamento, non è escluso che la sola condotta tenuta in passato costituisca una siffatta minaccia per l’ordine pubblico» ( 40 ), circostanza che spettava ai giudici nazionali verificare «tenendo conto della particolare situazione giuridica delle persone cui si applica il diritto comunitario, nonché dell’importanza fondamentale del principio della libera circolazione delle persone» ( 41 ). Prima di tale affermazione, la Corte aveva rilevato che la direttiva che era chiamata ad interpretare, la quale era volta a coordinare i regimi nazionali in materia di polizia degli stranieri, mirava a tutelare i cittadini degli Stati membri «contro qualsiasi atto, inerente all’esercizio dei poteri derivanti dalla deroga relativa alle limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico (…), che [andasse] oltre quanto [fosse] necessario a giustificare un’eccezione al principio fondamentale della libera circolazione delle persone» ( 42 ).

35.

Il requisito che impone di fondare una decisione che deroga a una libertà fondamentale sul comportamento personale dell’individuo interessato che costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società è dunque stato elaborato inizialmente nel contesto della libera circolazione delle persone, ed è stato poi ribadito ( 43 ), prima di essere codificato, come è noto, nella direttiva 2004/38 ( 44 ).

36.

Ciò premesso, in più occasioni, la Corte ha esteso l’applicazione di tale requisito a settori connessi meno direttamente, o non connessi affatto, alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione.

37.

Così, nella sua sentenza Commissione/Spagna ( 45 ), la Corte ha dichiarato che uno Stato membro veniva meno ai suoi obblighi risultanti dalla stessa direttiva, quale interpretata nella sentenza Bouchereau ( 46 ), allorché esso negava l’ingresso nel territorio dell’Unione ad un cittadino di un paese terzo coniuge di un cittadino dell’Unione basandosi sulla sola circostanza che tale cittadino avesse formato oggetto di una segnalazione nel SIS. Dopo aver ricordato che l’eccezione di ordine pubblico costituiva una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone e doveva intendersi in modo restrittivo, senza poter essere determinata unilateralmente dagli Stati membri ( 47 ), la Corte ha dichiarato che il ricorso, da parte di un’autorità nazionale, alla nozione di «ordine pubblico»«presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione alla legge, l’esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività» ( 48 ). La Corte ha parimenti annodato, in tale sentenza, l’interpretazione restrittiva della nozione di «ordine pubblico» alla protezione del diritto del cittadino dell’Unione al rispetto della sua vita familiare ( 49 ). In tali circostanze, l’ingresso di un cittadino di un paese terzo coniuge di un cittadino dell’Unione può essere denegato soltanto se la segnalazione nel SIS è corroborata da informazioni che consentano di constatare che la presenza di tale cittadino di paese terzo costituisce una minaccia effettiva, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della collettività ( 50 ).

38.

Nella sentenza Zh. e O. ( 51 ), la Corte ha inoltre dichiarato, in relazione all’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, il quale prevede la possibilità per gli Stati membri di ridurre il periodo per la partenza volontaria qualora l’interessato costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, che quest’ultima nozione deve essere valutata caso per caso, per verificare se il comportamento personale del cittadino del paese terzo di cui trattasi costituisca un pericolo reale e attuale per l’ordine pubblico ( 52 ). Escludendo ogni prassi che si basi su considerazioni generali o su presunzioni di sorta, la Corte ha dichiarato che la circostanza che un tale cittadino «sia sospettato di aver commesso un fatto punibile come delitto nel diritto nazionale o abbia subito una condanna penale per un fatto del genere non può, di per sé, giustificare che detto cittadino sia considerato un pericolo per l’ordine pubblico ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2008/115» ( 53 ). Cionondimeno, uno Stato membro può constatare la sussistenza di un pericolo per l’ordine pubblico in presenza di una condanna penale allorché tale condanna, «unitamente ad altre circostanze relative alla situazione della persona interessata, giustifichi una siffatta constatazione» ( 54 ). Nello stesso ordine di idee, il semplice sospetto che un tale cittadino abbia commesso un reato può, «unitamente ad altri elementi relativi al caso particolare» ( 55 ), fondare una constatazione di pericolo per l’ordine pubblico, sempre ai sensi della disposizione di cui trattasi. Al riguardo la Corte ha ricordato che gli Stati membri restano sostanzialmente liberi di determinare il contenuto della nozione di «ordine pubblico», conformemente alle loro necessità nazionali ( 56 ). In tale contesto, l’applicazione della soluzione risultante dalla sentenza Bouchereau ( 57 ) non risulta giustificata né dalla deroga alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione né dal loro diritto al ricongiungimento familiare, bensì dal fatto che la direttiva 2008/115 sanciva una deroga a un obbligo – quello di prevedere un periodo per la partenza volontaria congruo – concepito allo scopo di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini di paesi terzi al momento del loro allontanamento dall’Unione ( 58 ).

39.

Successivamente, nella sentenza N. ( 59 ), la Corte ha richiamato la sua giurisprudenza divenuta di principio sulla nozione di «ordine pubblico», la quale presuppone in ogni caso l’esistenza, oltre alla perturbazione sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società ( 60 ), al fine di applicarla nel contesto dell’interpretazione della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale ( 61 ). Pertanto, il trattenimento o il proseguimento del trattenimento di un richiedente protezione internazionale per motivi attinenti all’ordine pubblico è giustificato «soltanto quando il suo comportamento individuale costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società» ( 62 ). In tal caso, è in considerazione del carattere eccezionale del trattenimento, al quale si fa ricorso esclusivamente in ultima istanza ( 63 ), che la Corte ha inteso inquadrare rigorosamente il potere attribuito alle autorità nazionali ( 64 ).

40.

Invitata, nella sentenza T. ( 65 ), ad interpretare il motivo di ordine pubblico nel contesto della direttiva 2004/83/CE ( 66 ), la Corte, dopo aver rilevato che tale direttiva non definiva l’ordine pubblico, ha richiamato l’interpretazione che essa stessa aveva già fornito di tale nozione nel contesto della direttiva 2004/38. Benché queste due direttive perseguano obiettivi diversi, la Corte ha dichiarato che la giurisprudenza elaborata in relazione a quest’ultima era rilevante nella specie, poiché «la portata della protezione che una comunità intende accordare ai suoi interessi fondamentali non può variare a seconda dello status giuridico della persona che lede tali interessi». La Corte ha poi dichiarato che un’autorità nazionale non poteva fondarsi, al fine di privare un rifugiato del suo permesso di soggiorno per motivi di ordine pubblico, sulla mera circostanza del sostegno di costui a un’organizzazione terroristica, poiché, in un caso del genere, detta autorità non procede ad una «valutazione individuale di fatti specifici» ( 67 ).

2. Le peculiarità del caso di specie, ostacoli alla trasposizione della soluzione risultante dalla sentenza Bouchereau

41.

Per quanto riguarda il presente rinvio pregiudiziale, ritengo che, oltre agli elementi elaborati ai paragrafi da 23 a 32 delle presenti conclusioni, le peculiarità del caso in esame depongano nel senso di non trasporre all’infinito, secondo l’espressione utilizzata dalla Commissione, la soluzione risultante dalla sentenza Bouchereau ( 68 ) e di non imporre alle autorità nazionali di fondare la loro decisione che accerta che un cittadino di un paese terzo non soddisfa più le condizioni di un soggiorno regolare, per motivi connessi all’ordine pubblico, su una valutazione del comportamento personale di detto cittadino che costituisca necessariamente una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società.

42.

E.P. non è un cittadino dell’Unione. Il suo ingresso e poi il suo soggiorno nell’Unione non sono correlati ad un altro cittadino dell’Unione o ad una situazione di ricongiungimento familiare con un cittadino di un paese terzo soggiornante di lungo periodo nel territorio dell’Unione. La decisione di cui al procedimento principale, nella misura in cui accerta la fine del soggiorno regolare, non costituisce una violazione di un diritto fondamentale di un’intensità tale da comportare necessariamente l’applicazione della soluzione risultante dalla sentenza Bouchereau ( 69 ), come avveniva segnatamente nella sentenza N. ( 70 ), poiché la conseguenza giuridica immediata di tale accertamento è la fine anticipata del soggiorno, il quale era inizialmente, in ogni caso, di breve durata. È vero che l’accertamento delle autorità è stato accompagnato dall’imposizione di un rimpatrio, ma quest’ultimo è stato ordinato entro un termine di 28 giorni, quando la direttiva 2008/115 prevede un termine ragionevole massimo di 30 giorni ( 71 ). Orbene, è proprio tale elemento che distingue il caso di E.P. da quello della causa Zh. e O. ( 72 ).

43.

Infine, la logica sottesa alla giurisprudenza Bouchereau ( 73 ) e alle sue successive elaborazioni in relazione alla libera circolazione delle persone è alquanto estranea alle considerazioni che governano il CFS, la CAAS o, ancora, il codice dei visti. Più la situazione giuridica risulta consolidata (integrazione del cittadino dell’Unione o del cittadino di un paese terzo nello Stato membro ospitante, sviluppo della vita familiare), più la protezione per l’ipotesi dell’allontanamento deve essere importante e più sarà elevato il livello di requisiti richiesto alle autorità nazionali ( 74 ). Un cittadino di un paese terzo che si trova in una situazione di soggiorno breve nel territorio dell’Unione non può validamente invocare circostanze analoghe.

44.

Senza esigere dalle autorità nazionali che esse fondino la loro decisione di diniego di ingresso o di soggiorno irregolare sul comportamento personale del cittadino di un paese terzo interessato considerato costitutivo di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società e riconoscendo loro al contempo un ampio potere discrezionale, restano comunque garanzie minime a delimitare il loro terreno.

3. Delimitazione dell’ampio potere discrezionale degli Stati membri

45.

Anzitutto, l’articolo 14, paragrafo 2, del CFS obbliga le autorità degli Stati membri a negare l’ingresso, qualora le condizioni di cui all’articolo 6 del CFS non siano soddisfatte, «con un provvedimento motivato che ne indichi le ragioni precise». Alla luce del parallelismo esistente fra le condizioni di ingresso e le condizioni di soggiorno breve regolare, tale disposizione si applica per analogia alle decisioni che accertano il carattere irregolare di tale soggiorno.

46.

Inoltre – e, forse, soprattutto –, la totalità del CFS è evidentemente sigillata, come ho ricordato supra, dai diritti fondamentali e dal principio di proporzionalità ( 75 ). Come illustrato dalla Commissione, quest’ultimo non sarà considerato rispettato se l’unico sospetto sul quale le autorità nazionali si basassero per constatare la fine del soggiorno regolare fosse, ad esempio, quello di una violazione al codice della strada. Il controllo del rispetto del principio di proporzionalità spetta, in definitiva, al giudice nazionale. Mi limiterò pertanto ad indicare che le condizioni nelle quali il sospetto è sorto devono essere prese in considerazione. Nel caso di E.P., con ogni probabilità siamo in presenza di una flagranza di reato. Si tratta pertanto di una sorta di sospetto rafforzato, il quale allontana a priori lo spettro di un arresto e di un’accusa arbitrari.

47.

In tali circostanze, ritengo che l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del CFS, in combinato disposto con l’articolo 20 della CAAS, debba essere interpretato nel senso che, al fine di constatare l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di un paese terzo, le autorità nazionali, le quali dispongono di un ampio potere discrezionale, non sono tenute a fondare la loro decisione sul comportamento personale di detto cittadino, che costituisca necessariamente una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società. Esso deve inoltre essere interpretato nel senso che, in linea di principio, una minaccia per l’ordine pubblico può risultare dalla mera sussistenza di un sospetto serio che il cittadino del paese terzo di cui trattasi abbia commesso un reato. Nell’esercizio del loro ampio potere discrezionale, dette autorità sono però tenute a fondare la loro decisione su fatti precisi e a rispettare il principio di proporzionalità.

IV. Conclusione

48.

Per tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alle questioni sollevate dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi):

1)

L’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), in combinato disposto con l’articolo 20 della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990, deve essere interpretato nel senso che, al fine di constatare l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di un paese terzo, le autorità nazionali, le quali dispongono di un ampio potere discrezionale, non sono tenute a fondare la loro decisione sul comportamento personale di tale cittadino, che costituisca necessariamente una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società.

2)

L’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (UE) 2016/399, in combinato disposto con l’articolo 20 della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, deve essere interpretato nel senso che, in linea di principio, una minaccia per l’ordine pubblico può risultare dalla mera sussistenza di un sospetto serio che il cittadino del paese terzo di cui trattasi abbia commesso un reato. Nell’esercizio del loro ampio potere discrezionale, le autorità nazionali sono però tenute a fondare la loro decisione su fatti precisi e a rispettare il principio di proporzionalità.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2016, L 77, pag. 1.

( 3 ) GU 2000, L 239, pag. 19.

( 4 ) Che modifica il regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), la convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, i regolamenti (CE) n. 1683/95 e (CE) n. 539/2001 del Consiglio e i regolamenti (CE) n. 767/2008 e (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2013, L 182, pag. 1).

( 5 ) Emerge, infatti, dal regolamento (UE) n. 1091/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che modifica il regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU 2010, L 329, pag. 1), che i cittadini albanesi sono esenti dall’obbligo di visto all’attraversamento delle frontiere esterne dell’Unione.

( 6 ) Sentenza dell’11 giugno 2015 (C‑554/13, EU:C:2015:377).

( 7 ) Sentenza del 15 febbraio 2016 (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84).

( 8 ) GU 2008, L 348, pag. 98.

( 9 ) V. articolo 1 del CFS.

( 10 ) V. articolo 6, paragrafo 1, lettere a) e b), del CFS.

( 11 ) V. articolo 6, paragrafo 1, lettere c), d) ed e), del CFS.

( 12 ) Ricordo che l’articolo 5 della versione del 2006 del CFS corrisponde all’attuale articolo 6 del CFS del 2016.

( 13 ) V. articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

( 14 ) V. articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115.

( 15 ) V. la definizione della nozione di «decisione di rimpatrio» fornita dall’articolo 3, punto 4), della direttiva 2008/115.

( 16 ) V. articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

( 17 ) Articolo 12, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2008/115.

( 18 ) V. paragrafo 6 delle presenti conclusioni.

( 19 ) GU 2004, L 158, pag. 77. V. più specificamente l’articolo 27 di tale direttiva.

( 20 ) V. articolo 21 del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti) (GU 2009, L 243, pag. 1; in prosieguo: il «codice dei visti»).

( 21 ) V. articolo 21, paragrafo 3, lettera d), del codice dei visti.

( 22 ) Le verifiche richieste dal CFS prendono in considerazione la differenza di status fra le persone, poiché l’articolo 8, paragrafo 6, del CFS prevede che tali verifiche, qualora vertano «sui beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto unionale[,] siano effettuate a norma della direttiva 2004/38/CE».

( 23 ) V., in relazione ad una formulazione equiparabile, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nelle cause riunite Abcur (C‑544/13 e C‑545/13, EU:C:2015:136, paragrafo 58).

( 24 ) V. sentenza del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio (C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 53).

( 25 ) V. considerando 2 del CFS.

( 26 ) Sentenza del 19 dicembre 2013 (C‑84/12, EU:C:2013:862).

( 27 ) Sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862, punto 56). Il corsivo è mio.

( 28 ) Sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862, punto 57).

( 29 ) Sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862, punto 59).

( 30 ) Sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862, punto 60).

( 31 ) Sentenza del 19 dicembre 2013 (C‑84/12, EU:C:2013:862).

( 32 ) Sentenza del 4 aprile 2017 (C‑544/15, EU:C:2017:255).

( 33 ) Ossia l’articolo 6, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato (GU 2004, L 375, pag. 12).

( 34 ) V. sentenza del 4 aprile 2017, Fahimian (C‑544/15, EU:C:2017:255, punto 40).

( 35 ) V. sentenza del 4 aprile 2017, Fahimian (C‑544/15, EU:C:2017:255, punti 4142).

( 36 ) GU 2006, L 381, pag. 4.

( 37 ) Articolo 24, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1987/2006.

( 38 ) Sentenza del 27 ottobre 1977 (30/77, EU:C:1977:172).

( 39 ) Sentenza del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punto 28). Analogo requisito era già stato sancito nella sentenza del 28 ottobre 1975, Rutili (36/75, EU:C:1975:137), in relazione ad una decisione che limitava la libertà di circolazione in Francia di un cittadino italiano a causa delle sue attività politiche e sindacali (v., in particolare, punto 28 di tale sentenza).

( 40 ) Sentenza del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punto 29).

( 41 ) Sentenza del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punto 30).

( 42 ) Sentenza del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punto 15).

( 43 ) V., tra tante, sentenze del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punto 66).

( 44 ) V., più precisamente, articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

( 45 ) Sentenza del 31 gennaio 2006 (C‑503/03, EU:C:2006:74).

( 46 ) Sentenza del 27 ottobre 1977 (30/77, EU:C:1977:172).

( 47 ) V. sentenza del 31 gennaio 2006, Commissione/Spagna (C‑503/03, EU:C:2006:74, punto 45).

( 48 ) Sentenza del 31 gennaio 2006, Commissione/Spagna (C‑503/03, EU:C:2006:74, punto 46). Il corsivo è mio.

( 49 ) Sentenza del 31 gennaio 2006, Commissione/Spagna (C‑503/03, EU:C:2006:74, punto 47).

( 50 ) Sentenza del 31 gennaio 2006, Commissione/Spagna (C‑503/03, EU:C:2006:74, punto 53. V. parimenti punto 55).

( 51 ) Sentenza dell’11 giugno 2015 (C‑554/13, EU:C:2015:377).

( 52 ) Sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 50).

( 53 ) Sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 50). Il corsivo è mio.

( 54 ) Sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 51). Il corsivo è mio.

( 55 ) Sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 52).

( 56 ) V. sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 52).

( 57 ) Sentenza del 27 ottobre 1977 (30/77, EU:C:1977:172).

( 58 ) V. sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 48). La Corte ha ribadito la propria posizione relativamente alla nozione di «ordine pubblico» nell’ambito della direttiva 2008/115 nella sua sentenza del 16 gennaio 2018, E (C‑240/17, EU:C:2018:8, punti 4849).

( 59 ) Sentenza del 15 febbraio 2016 (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84). In tale causa, il ricorrente nel procedimento principale aveva subito ventuno condanne per diversi reati fra il 1999 e il 2015.

( 60 ) V. punto 65 della sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84).

( 61 ) GU 2013, L 180, pag. 96. In particolare, la sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84), riguardava l’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della direttiva 2013/33.

( 62 ) Sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 67).

( 63 ) V. sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 63).

( 64 ) V. sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 64).

( 65 ) Sentenza del 24 giugno 2015 (C‑373/13, EU:C:2015:413).

( 66 ) Direttiva del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12).

( 67 ) Sentenza del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 89).

( 68 ) Sentenza del 27 ottobre 1977 (30/77, EU:C:1977:172).

( 69 ) Sentenza del 27 ottobre 1977 (30/77, EU:C:1977:172).

( 70 ) Sentenza del 15 febbraio 2016 (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84).

( 71 ) V. articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

( 72 ) Sentenza dell’11 giugno 2015 (C‑554/13, EU:C:2015:377).

( 73 ) Sentenza del 27 ottobre 1977 (30/77, EU:C:1977:172).

( 74 ) La stessa disponibilità delle informazioni è strettamente connessa alla durata della situazione giuridica di cui trattasi.

( 75 ) V., in particolare, articoli 4 e 7 del CFS.

Top