Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62017CC0129

    Conclusioni dell’avvocato generale M. Campos Sánchez-Bordona, presentate il 26 aprile 2018.
    Mitsubishi Shoji Kaisha Ltd e Mitsubishi Caterpillar Forklift Europe BV contro Duma Forklifts NV e G.S. International BVBA.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Hof van beroep te Brussel.
    Rinvio pregiudiziale – Marchio dell’Unione europea – Direttiva 2008/95/CE – Articolo 5 – Regolamento (CE) n. 207/2009 – Articolo 9 – Diritto del titolare di un marchio di opporsi alla rimozione ad opera di un terzo di tutti i segni identici a tale marchio e all’apposizione di nuovi segni su prodotti identici a quelli per i quali detto marchio è stato registrato al fine della loro importazione o della loro immissione in commercio nello Spazio economico europeo (SEE).
    Causa C-129/17.

    Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2018:292

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    MANUEL CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA

    presentate il 26 aprile 2018 ( 1 )

    Causa C‑129/17

    Mitsubishi Shoji Kaisha,

    Mitsubishi Caterpillar Forklift Europe

    contro

    Duma Forklifts,

    G.S. International

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio)]

    «Questione pregiudiziale – Marchio dell’Unione europea – Diritti conferiti dal marchio – Importazioni parallele nel SEE – Rimarchiatura di prodotti prima della loro importazione nel SEE»

    1. 

    A partire dalla registrazione di un segno distintivo come marchio, il suo titolare gode, nei confronti dei terzi, di una serie di diritti che gli consentono di opporre tale segno ai suoi concorrenti. Fra tali diritti rientra, in particolare, quello di vietare l’uso del marchio nel commercio senza il suo consenso.

    2. 

    La legislazione dell’Unione conferisce inoltre al titolare il diritto di autorizzare, nel territorio dello Spazio economico europeo (SEE), la prima immissione in commercio dei prodotti designati dal marchio. L’esercizio di tale diritto comporta il cosiddetto esaurimento del diritto di marchio, in seguito al quale il titolare non può più opporsi alle successive cessioni di detti prodotti, salvo in alcuni casi limitati ( 2 ).

    3. 

    Nel contesto del presente rinvio pregiudiziale concorrono due circostanze particolari:

    da un lato, un terzo ha rimosso (de-branding ‑ smarchiatura) senza il consenso del titolare del marchio i segni distintivi di quest’ultimo, che apparivano su taluni carrelli elevatori non ancora immessi in commercio nel SEE, in quanto posti in regime di deposito doganale;

    dall’altro, la rimozione di tali segni da parte del terzo è funzionale allo scopo di importare o immettere in commercio tali prodotti nel SEE, dopo avervi apposto un proprio segno distintivo (re‑branding – rimarchiatura) ( 3 ).

    4. 

    In tale contesto, il giudice del rinvio sottopone alla Corte i suoi dubbi circa i limiti dei diritti conferiti al titolare del marchio dalla normativa applicabile in materia di segni distintivi. In particolare, detto giudice chiede se il terzo che ha tenuto il comportamento sopra descritto abbia usato il marchio registrato, in violazione dei diritti del suo titolare.

    I. Contesto normativo

    5.

    Nel diritto dell’Unione, il regime giuridico di protezione dei marchi d’impresa è costituito tanto dalle misure di armonizzazione dei diritti nazionali (in particolare la direttiva 2008/95/CE ( 4 ), le cui modifiche successive non riguardano il caso in esame) ( 5 ), quanto dalle disposizioni che disciplinano il marchio dell’Unione ( 6 ), applicabili agli operatori che scelgano di ricorrere a tale diritto di proprietà industriale a livello europeo ( 7 ).

    A.   Normativa sui marchi

    1. Direttiva 2008/95

    6.

    Il suo considerando 11 enuncia quanto segue:

    «La tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a garantire la funzione d’origine del marchio di impresa dovrebbe essere assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno, nonché tra i prodotti o servizi. La tutela dovrebbe essere accordata anche in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi. (…)».

    7.

    L’articolo 5 («Diritti conferiti dal marchio di impresa»), paragrafi 1 e 3, così dispone:

    «1.   Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

    a)

    un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato;

    b)

    un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio di impresa.

    (…)

    3.   Si può in particolare vietare, ove sussistano le condizioni menzionate ai paragrafi 1 e 2:

    a)

    di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

    b)

    di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, ovvero di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

    c)

    di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

    d)

    di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità».

    8.

    L’articolo 7(«Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa») prevede quanto segue:

    «1.   Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

    2.   Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

    2. Regolamento n. 207/2009

    9.

    A tenore del considerando 9:

    «Il principio della libera circolazione delle merci implica che il titolare di un marchio [dell’Unione europea] non possa vietarne l’uso a un terzo, per prodotti contraddistinti dal marchio immessi in commercio nella [Unione europea] dal titolare stesso o con il suo consenso, salvo che sussistano motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti».

    10.

    Gli articoli 9 («Diritti conferiti dal marchio [dell’Unione europea]») e 13 («Esaurimento del diritto conferito dal marchio [dell’Unione europea]») corrispondono rispettivamente agli articoli 5 e 7 della direttiva 2008/95.

    B.   La normativa doganale

    11.

    Il regime di deposito doganale applicabile ratione temporis nel presente procedimento figurava tra i regimi speciali di cui al titolo VII, capo I («Disposizioni generali»), articolo 135 («Campo di applicazione»), lettera b), del regolamento (CE) n. 450/2008, relativo al codice doganale dell’Unione ( 8 ).

    12.

    L’articolo 141 («Manipolazioni usuali») del codice doganale dell’Unione così dispone:

    «Le merci vincolate al regime di deposito doganale o a un regime di perfezionamento o collocate in una zona franca possono essere oggetto di manipolazioni usuali intese a garantirne la conservazione, a migliorarne la presentazione o la qualità commerciale o a prepararle per la distribuzione o la rivendita».

    13.

    L’articolo 531 del regolamento di applicazione del codice doganale ( 9 ) prevede che le «merci non comunitarie possono essere sottoposte alle manipolazioni usuali elencate all’allegato 72». Detto allegato precisa la nozione di «manipolazioni usuali», tra le quali include, per quanto qui di rilievo:

    «16.

    Imballaggio, disimballaggio, cambiamento d’imballaggio, travaso e semplice trasferimento in container, anche se ciò dà luogo a un cambiamento del codice NC a otto cifre. Apposizione, rimozione e modifica di marchi, sigilli, etichette, cartellini segnaprezzo o altro segno distintivo analogo (…)» ( 10 ).

    C.   Normativa sulla concorrenza sleale

    14.

    Dal momento che non è esclusa la possibilità di ricorrere alla normativa sulla concorrenza sleale, occorre prendere in considerazione l’articolo 10 bis della Convenzione di Parigi ( 11 ), che così recita:

    1)   I paesi dell’Unione sono tenuti ad assicurare ai cittadini dei paesi della Unione una protezione effettiva contro la concorrenza sleale.

    2)   Costituisce un atto di concorrenza sleale ogni atto di concorrenza contrario agli usi onesti in materia industriale o commerciale.

    3)   Dovranno particolarmente essere vietati:

    i)

    tutti i fatti di natura tale da ingenerare confusione, qualunque ne sia il mezzo, con lo stabilimento, i prodotti o l’attività industriale o commerciale di un concorrente;

    ii)

    le asserzioni false, nell’esercizio del commercio, tali da discreditare lo stabilimento, i prodotti o l’attività industriale o commerciale di un concorrente;

    iii)

    le indicazioni o asserzioni il cui uso, nell’esercizio del commercio, possa trarre in errore il pubblico sulla natura, il modo di fabbricazione, le caratteristiche, l’attitudine all’uso o la quantità delle merci».

    II. Fatti del procedimento principale e questioni pregiudiziali

    A.   Fatti

    15.

    La Mitsubishi Shoji Kaisha Ltd., società con sede in Giappone (in prosieguo: la «Mitsubishi»), gestisce a livello mondiale il portafoglio di marchi del gruppo Mitsubishi. In tale qualità essa opera come titolare dei seguenti marchi (in prosieguo: i «marchi Mitsubishi»):

    due marchi dell’Unione: uno denominativo «MITSUBISHI», registrato il 24 settembre 2001, e l’altro figurativo di seguito riprodotto, registrato il 3 marzo 2000; entrambi sono stati registrati, tra l’altro, per i prodotti della classe 12, tra cui, segnatamente, veicoli a motore, veicoli elettrici e carrelli elevatori:

    Image

    due marchi Benelux registrati il 1o giugno 1974: uno, denominativo, «MITSUBISHI» e l’altro, figurativo, graficamente identico al marchio dell’Unione figurativo; entrambi comprendono, tra l’altro, i prodotti della classe 12, inclusi i veicoli e mezzi di trasporto terrestri.

    16.

    La Mitsubishi Caterpillar Forklift Europe BV (in prosieguo: la «MCFE»), con sede nei Paesi Bassi, è autorizzata a titolo esclusivo a produrre e a immettere in commercio nel SEE carrelli elevatori con il marchio Mitsubishi. La MCFE opera mediante distributori ufficiali che vendono i carrelli nel SEE. Al di fuori di tale territorio, i carrelli elevatori Mitsubishi sono fabbricati essenzialmente dalla Mitsubishi Heavy Industries Ltd., che fa parte anch’essa del gruppo Mitsubishi ma è una società indipendente dalla società che gestisce i marchi.

    17.

    La Duma Forklifts NV (in prosieguo: la «Duma») è una società con sede in Belgio la cui attività principale consiste nella compravendita a livello mondiale di carrelli elevatori, nuovi e di seconda mano, tra l’altro con i marchi Mitsubishi, Caterpillar, Nissan e Toyota. Inoltre, la Duma offre i suoi carrelli elevatori con i nomi «GSI», «GS» o «Duma» e si presenta come commerciante all’ingrosso di carrelli elevatori, escavatori, mini‑trattori e carrelli stivatori, che essa vende sia all’interno che all’esterno del SEE. Fino alla metà degli anni novanta essa ha fatto parte della rete di distributori ufficiali dei carrelli elevatori Mitsubishi in Belgio.

    18.

    La G.S. International BVBA (in prosieguo: la «GSI»), anch’essa avente sede in Belgio, è collegata alla Duma, con la quale condivide amministratore e sede. La GSI fabbrica e ripara carrelli elevatori, che essa importa ed esporta all’ingrosso sul mercato mondiale insieme alle relative parti di ricambio. La sua attività consiste inoltre nell’adattare i carrelli alla normativa europea vigente, assegnando loro un proprio numero di serie. Dopo aver effettuato una serie di interventi, la GSI fornisce alla Duma le macchine con le pertinenti dichiarazioni di conformità UE da essa stessa predisposte.

    19.

    Secondo l’ordinanza di rinvio, tra il 1o gennaio 2004 e il 12 novembre 2009 la Duma e la GSI hanno effettuato un commercio parallelo illecito, vale a dire senza il consenso del titolare dei marchi Mitsubishi, di carrelli elevatori recanti detti marchi. Tale comportamento, tuttavia, non forma oggetto delle questioni pregiudiziali.

    20.

    D’altro canto, a partire dal 20 novembre 2009 la Duma e la GSI hanno acquistato carrelli elevatori del medesimo tipo presso un’impresa del gruppo Mitsubishi collocandoli in regime di deposito doganale. Nel periodo in cui i prodotti sono stati assoggettati a detto regime, le due imprese:

    hanno effettuato la smarchiatura completa delle macchine, dalle quali hanno rimosso i marchi Mitsubishi;

    hanno apportato le modifiche necessarie per adeguare i carrelli alla normativa dell’Unione;

    hanno apposto i loro marchi sui carrelli e sostituito le targhette di identificazione e i numeri di serie con i propri;

    infine, hanno importato e venduto i veicoli nel SEE e in paesi terzi.

    B.   Procedimento dinanzi ai giudici nazionali

    21.

    Il 10 novembre 2008 la Mitsubishi e la MCFE hanno adito il Rechtbank van koophandel te Brussel (Tribunale del commercio di Bruxelles, Belgio), chiedendo la cessazione delle attività di importazione parallela nonché di smarchiatura e rimarchiatura da esse addebitate alla Duma e alla GSI. Con sentenza del 17 marzo 2010 detto giudice ha respinto tale domanda in quanto infondata.

    22.

    La Mitsubishi e la MCFE hanno proposto appello avverso la sentenza di primo grado. Esse chiedono, in sintesi, che lo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio) voglia annullare detta sentenza e vietare il commercio parallelo di carrelli elevatori recanti i marchi Mitsubishi, come pure quella dei medesimi veicoli smarchiati.

    23.

    Le appellanti sostengono che la prassi della smarchiatura e rimarchiatura con un segno diverso dei carrelli e la loro successiva importazione nel SEE ledono i loro diritti di marchio. Oltre a ignorare la funzione di indicazione dell’origine del prodotto, il comportamento controverso violerebbe il diritto del titolare del marchio di controllare la prima immissione in commercio, nel SEE, dei prodotti recanti i suoi marchi. Il deposito doganale non dovrebbe trasformarsi in una zona franca e, dopo la smarchiatura e rimarchiatura, il consumatore continuerebbe a riconoscere i carrelli della Mitsubishi.

    24.

    La Duma e la GSI negano che siano lesi i diritti della Mitsubishi. I marchi rimossi durante il deposito doganale erano asiatici e non europei. Inoltre, dal momento che esse hanno adeguato i carrelli alla normativa vigente nell’Unione, si considerano fabbricanti di tali veicoli e, pertanto, legittimate ad apporvi i propri marchi.

    25.

    Nella medesima ordinanza contenente il rinvio pregiudiziale, il giudice di appello ha già accolto (parzialmente) i ricorsi della Mitsubishi e della MCFE relativamente ai fatti antecedenti al 20 novembre 2009. Tuttavia, detto giudice nutre dubbi in ordine all’applicabilità delle azioni in materia di marchi ai comportamenti successivi a tale data, vale a dire quelli consistenti nella rimozione dei marchi Mitsubishi, nella loro sostituzione con altri marchi propri della Duma e della GSI nonché nell’eliminazione della targhetta di identificazione e del numero di serie dei veicoli. Esso ritiene che la Corte non si sia ancora pronunciata sulla pratica della smarchiatura, quale effettuata dalla Duma e dalla GSI.

    26.

    In tale contesto, lo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles) sottopone alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1

    a)

    Se gli articoli 5 della direttiva 2008/95/CE e 9 del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio (…) prevedano il diritto del titolare del marchio di opporsi alla rimozione, ad opera di un terzo, senza il consenso del titolare del marchio, di tutti i segni uguali ai marchi apposti sui prodotti (“smarchiatura”), che non siano ancora commercializzati nello Spazio economico europeo, come prodotti in regime di deposito doganale, e qualora la rimozione ad opera di tale terzo avvenga al fine di importare o commercializzare detti prodotti nello Spazio economico europeo.

    b)

    Se ai fini della risposta alla questione a) sopra formulata rilevi se l’importazione o la commercializzazione di tali prodotti nello Spazio economico europeo abbia luogo con un proprio segno distintivo apposto da tale terzo (“rimarchiatura”).

    2)

    Se ai fini della risposta alla prima questione rilevi se i prodotti in tal modo importati o commercializzati grazie al loro aspetto esteriore o al loro modello vengano ancora identificati dal consumatore medio di riferimento come provenienti dal titolare del marchio».

    III. Procedimento dinanzi alla Corte e argomenti delle parti

    A.   Procedimento

    27.

    L’ordinanza di rinvio è pervenuta nella cancelleria della Corte il 13 marzo 2017. Hanno presentato osservazioni scritte la Mitsubishi, la Duma, il governo tedesco e la Commissione.

    28.

    L’8 febbraio 2018 si è tenuta un’udienza alla quale hanno partecipato i rappresentanti della Mitsubishi, della Duma e della Commissione.

    B.   Sintesi degli argomenti delle parti

    29.

    La Mitsubishi ( 12 ) sostiene che la Duma e la GSI sottopongono i carrelli elevatori acquistati fuori del SEE agli interventi sopra descritti al solo scopo di eludere le norme sull’esaurimento del diritto di marchio. Essa propone di interpretare l’articolo 5 della direttiva 2008/95 e il suo omologo del regolamento n. 207/2009 (l’articolo 9) nel senso che conferiscono al titolare di un marchio il diritto di opporsi alla rimozione, ad opera di terzi e senza il suo consenso, dei segni apposti sui prodotti quando si tratti di prodotti non ancora commercializzati nel SEE, come quelli che si trovano in un deposito doganale.

    30.

    Sottolinea inoltre che l’elenco degli usi del marchio di impresa che il titolare può vietare ai terzi, contenuto nell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2008/95 e nell’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, non è esaustivo ( 13 ). A suo parere, il diritto del titolare di controllare la prima immissione in commercio costituirebbe l’oggetto specifico del diritto di marchio ( 14 ). Sebbene l’assoggettamento dei prodotti al regime sospensivo del deposito doganale non sia considerato un uso del marchio, esso non implicherebbe un’autorizzazione a sottoporre tali prodotti ad interventi finalizzati esclusivamente ad eludere il diritto del titolare di controllarne l’immissione sul mercato.

    31.

    Inoltre, dette operazioni pregiudicherebbero le funzioni del marchio, tanto quella di garanzia di origine e di qualità del prodotto ( 15 ) quanto quelle relative all’investimento ( 16 ) e alla pubblicità ( 17 ). Essa considera irrilevante la nuova marchiatura con un segno dell’importatore e ritiene che il consumatore si renda conto che i carrelli sono prodotti dalla Mitsubishi. Quest’ultima circostanza implicherebbe, inoltre, che si dia al consumatore l’impressione che esista un legame commerciale con il titolare del marchio originale, cosicché la Duma e la GSI trarrebbero vantaggio dai marchi del fabbricante, ledendone in tal modo la reputazione ( 18 ).

    32.

    La Duma auspica invece una soluzione negativa delle questioni pregiudiziali. Essa fonda la sua tesi sul fatto che non effettua alcun uso di un segno identico o simile ad uno dei marchi europei della Mitsubishi, poiché le macchine vengono importate nell’Unione solo dopo la rimozione di tali marchi ( 19 ). A suo parere, sarebbe applicabile la giurisprudenza della Corte di giustizia secondo cui il titolare di un marchio non può opporsi alla mera introduzione nell’Unione, in regime di deposito doganale, di prodotti originali contrassegnati da detto marchio che, precedentemente, non siano già stati immessi in commercio nel SEE ( 20 ).

    33.

    La Duma ricorda che, secondo la giurisprudenza citata, il titolare del diritto può opporsi solo all’immissione in libera pratica dei prodotti recanti il marchio, o se è accertato che i prodotti dovrebbero essere venduti o offerti nel SEE, il che implicherebbe necessariamente la loro immissione in commercio nel detto territorio ( 21 ). Tuttavia, sottolinea che tale facoltà del titolare sussiste solo nei casi in cui i prodotti siano immessi sul mercato con il marchio ( 22 ). Pertanto, in mancanza di uso di un segno identico o simile ai marchi della Mitsubishi, la Duma esclude che la percezione del consumatore medio possa avere alcuna rilevanza.

    34.

    Anche il governo tedesco propende per una risposta negativa alle questioni pregiudiziali. Esso deduce dal tenore letterale degli articoli 5 della direttiva 2008/95 e 9 del regolamento n. 207/2009 che l’esercizio dei diritti conferiti dal marchio presuppone l’«uso» del medesimo, termine che deve essere interpretato allo stesso modo nelle due disposizioni ( 23 ). Un approccio sistematico condurrebbe allo stesso risultato, posto che gli esempi previsti dalle due disposizioni quali usi soggetti all’autorizzazione del titolare del marchio implicano che il segno debba figurare, in quanto tale, nel commercio, il che non avverrebbe quando il marchio venga completamente rimosso dal prodotto. Tuttavia, ciò non escluderebbe che il titolare del marchio possa far valere le norme in materia di concorrenza sleale per opporsi all’importazione dei prodotti rimarchiati.

    35.

    A parere del governo tedesco, la smarchiatura completa non lederebbe nessuna delle funzioni del marchio ( 24 ). Tanto meno si potrebbe parlare, nel caso di specie, di violazione del diritto di controllare la prima immissione in commercio dei prodotti nel SEE, poiché il diritto dei marchi non tutelerebbe il titolare del marchio contro l’immissione in commercio dei suoi prodotti a prescindere dalla loro marchiatura ( 25 ). In tale contesto, esso esclude che la sentenza Portakabin ( 26 ) osti a tali valutazioni, giacché quel caso non verteva sulla rimozione completa del marchio, bensì sul suo uso da parte di terzi nella pubblicità.

    36.

    La Commissione ritiene che le questioni pregiudiziali richiedano una risposta affermativa. Essa muove dalla premessa che il diritto dell’Unione non contempla l’esaurimento internazionale, cosicché, nel caso di specie, in mancanza di una vendita nel SEE, il titolare potrebbe opporsi all’immissione in commercio di prodotti contrassegnati con il suo marchio in tale territorio ( 27 ). Essa sostiene che, sebbene la collocazione dei prodotti in un regime quale il deposito doganale da parte di terzi non comporti una violazione del diritto esclusivo del titolare del marchio ( 28 ), ciò non vale quando vengano effettuate determinate operazioni commerciali nell’Unione, quali l’offerta in vendita o la pubblicità, o vi sia motivo di temere che i prodotti vengano dirottati verso il SEE ( 29 ).

    37.

    Ad avviso della Commissione, la Duma e la GSI avrebbero utilizzato il regime di deposito doganale per introdurre i carrelli elevatori nel territorio del SEE al fine di formalizzarne l’importazione, cosicché sarebbe irrilevante che la smarchiatura dei prodotti potesse essere considerata un atto illecito sotto il profilo della concorrenza sleale.

    IV. Analisi

    A.   Impostazione e osservazioni preliminari

    38.

    Il giudice del rinvio chiede se l’articolo 5 della direttiva 2008/95 e l’articolo 9 del regolamento n. 207/2009 consentano alla Mitsubishi di opporsi alla rimozione dei suoi marchi per carrelli elevatori, come quella effettuata dalla Duma e dalla GSI.

    39.

    Dal momento che non si contestano né la mancanza di consenso del titolare del marchio, né l’uso nel commercio (vale a dire due delle condizioni di applicazione delle due disposizioni suddette), la questione è, in sostanza, se vi sia stato un uso dei marchi controversi. Tenterò di spiegare perché ritengo che non vi sia stato (parte B).

    40.

    Il fatto che la Duma e la GSI, dopo la smarchiatura, abbiano apposto i propri segni sui carrelli elevatori mentre erano assoggettati al regime di deposito doganale, sarebbe solo uno stratagemma giuridico per eludere il diritto del titolare dei marchi di vietare l’importazione parallela dei prodotti, diritto di cui detto titolare gode in ragione della mancanza, nell’ordinamento giuridico dell’Unione, del riconoscimento dell’esaurimento internazionale. Tale è la tesi della Mitsubishi, cui fa riferimento il giudice del rinvio. Occorrerà quindi accertare, in una seconda fase, se vi siano stati elusione della legge o frode, in violazione dei diritti del titolare del marchio (parte C).

    41.

    Infine, sarà necessario richiamare brevemente le norme in materia di concorrenza sleale, che potrebbero facilitare una reazione di fronte a comportamenti come quello di cui al procedimento principale (parte D).

    42.

    Prima di iniziare la mia analisi, mi preme svolgere due considerazioni. La prima è che, per risolvere il problema, occorre orientare la discussione verso l’uso (o il non uso) del segno, vale a dire, verso le disposizioni della direttiva 2008/95 e del regolamento n. 207/2009 che disciplinano le facoltà del titolare del marchio. A mio avviso, sono tali precetti, e non le disposizioni in materia doganale, quelli che offrono la risposta alla questione fondamentale del rinvio, vertente, per l’appunto, sull’articolo 5 della direttiva e sull’articolo 9 del regolamento.

    43.

    La seconda osservazione è che, stando alle informazioni contenute nei documenti del fascicolo e a quelle fornite in udienza, i carrelli commercializzati dalla Duma, se pure provenivano originariamente dalla Mitsubishi e recavano i marchi di detta società, avevano subito modifiche strutturali mentre si trovavano nel deposito doganale. Mediante tali modifiche, la Duma intendeva adeguare i veicoli ai requisiti di sicurezza e ambientali propri del diritto dell’Unione, al fine di immetterli successivamente in commercio nel SEE. L’immissione in commercio viene effettuata già con i marchi della Duma, la quale si presenta al consumatore come responsabile dei carrelli, di cui assume il servizio postvendita, in concorrenza con la Mitsubishi.

    B.   Sulla smarchiatura in quanto «uso» dei marchi Mitsubishi

    1. Diritti del titolare del marchio

    44.

    Per riprendere i termini utilizzati dalla Corte, «[s]econdo l’art. 5, n. 1, prima frase, della direttiva [ ( 30 )], il marchio registrato conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Ai sensi dello stesso paragrafo, lett. a), tale diritto esclusivo consente al titolare di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato» ( 31 ).

    45.

    Tuttavia, la Corte ha anche precisato che, «negli artt. 5 e 7 della direttiva [89/104], il legislatore comunitario ha consacrato la regola dell’esaurimento comunitario, vale a dire quella in forza della quale il diritto attribuito dal marchio non consente al suo titolare di vietare l’uso del medesimo per prodotti messi in commercio nel SEE con questo marchio da esso stesso o con il suo consenso. Adottando tali disposizioni, il legislatore [dell’Unione] non ha lasciato agli Stati membri la possibilità di stabilire nel loro diritto nazionale l’esaurimento del diritto conferito dal marchio per prodotti posti in commercio in paesi terzi (sentenza 16 luglio 1998, causa C‑355/96, Silhouette International Schmied, [EU:C:1998:374], punto 26)» ( 32 ).

    46.

    Ai presenti fini, si deve segnalare un limite al diritto del titolare del marchio di controllare la prima immissione in commercio nel SEE: la «circolazione di merci tra uffici doganali e [l]’immagazzinamento di merci in un deposito soggetto a controllo doganale (…) non possono, in quanto tali, essere considerate un’immissione in commercio di merci nell’Unione» ( 33 ).

    47.

    Da tale premessa discende che «le merci [assoggettate] ad un regime doganale sospensivo non possono violare, per il solo fatto dell’assoggettamento, diritti di proprietà intellettuale applicabili nell’Unione» ( 34 ). Solo in caso di offerta o vendita a terzi dei prodotti contrassegnati dal marchio nel SEE può configurarsi una lesione del diritto esclusivo del titolare.

    2. Interpretazione del termine «uso»

    48.

    La Corte ha escluso che costituiscano usi lesivi del diritto di marchio la menzione orale del marchio concorrente a titolo di esempio tra commercianti ( 35 ), gli annunci pubblicitari relativi agli accessori e pezzi di ricambio per la riparazione e la manutenzione di automobili ( 36 ) e le insegne commerciali, purché rispettino gli usi consueti di lealtà in campo industriale o commerciale ( 37 ). Tuttavia, finora non si è occupata (salvo errore da parte mia) del «non uso» in circostanze analoghe a quelle della presente causa.

    49.

    Nella sentenza Portakabin ( 38 ) è stato esaminato un comportamento più o meno simile, ma con un elemento di distinzione decisivo, vale a dire l’uso, a fini pubblicitari, di un marchio il cui titolare non aveva prestato il proprio consenso ( 39 ). La Corte ha ritenuto che il titolare possa vietare a un terzo di fare pubblicità, a partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del titolare. La questione posta dal giudice nazionale verteva in quel caso sull’uso, nella pubblicità su Internet, del segno protetto, e risulta decisiva proprio la mancata consultazione in merito alla rimozione del marchio. Dalla sentenza non emerge che l’impresa titolare del diritto di marchio ne lamentasse la violazione attraverso la pratica della smarchiatura e rimarchiatura.

    a) Interpretazione letterale

    50.

    Dal punto di vista semantico, il termine usare, nella sua prima accezione, significa «servirsi di qualcosa per una certa finalità». L’impiego di un marchio per identificare i prodotti di un fabbricante costituisce, quindi, un uso di tale marchio.

    51.

    All’inverso, e a rigor di logica, la rimozione o cancellazione del marchio di un determinato prodotto rappresenta l’opposto dell’uso di tale segno distintivo. Concordo quindi con il governo tedesco ( 40 ) sul fatto che la rimozione completa del marchio non può essere considerata un uso del medesimo. È difficile sostenere che, privando un prodotto del marchio che fino a quel momento lo distingueva dagli altri, l’autore di tale condotta continui ad usare il segno già rimosso come elemento identificativo dell’origine del prodotto.

    52.

    L’uso del marchio deve avere luogo «nel commercio», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 e dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009. Secondo costante giurisprudenza, tale espressione fa riferimento all’uso effettuato nel contesto di un’attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico e non nell’ambito privato ( 41 ). Pertanto, la rimozione del marchio dai prodotti che lo recavano comporta l’assenza del medesimo dal mercato, vale a dire dal commercio, cosicché il consumatore non sarà in grado di percepirlo.

    53.

    Come rilevato dalla Duma, esistono solo due ipotesi nelle quali la mancanza di segno distintivo può essere considerata un uso idoneo a ledere i diritti del titolare del marchio: a) se il marchio è la forma tridimensionale del prodotto, registrata dopo il superamento dell’esame di impedimenti assoluti alla registrazione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b), c) ed e), della direttiva 2008/95 ( 42 ); e b) quando un colore registrato come marchio sia stato utilizzato costantemente fino ad acquisire carattere distintivo ( 43 ). Nessuna di tali ipotesi corrisponde al caso di specie.

    b) Interpretazione sistematica

    54.

    Sotto il profilo sistematico, occorre concentrare l’attenzione sull’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2008/95 e sull’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009. Tra gli usi vietati senza il consenso del titolare del marchio non è menzionato il comportamento consistente nel rimuovere il segno dai prodotti che fino a quel momento lo contenevano.

    55.

    L’elenco degli usi che il titolare del marchio può vietare, quale previsto dalle due disposizioni citate, non è esaustivo ( 44 ). Tuttavia, come rilevato dal governo tedesco, è naturale che in tale elenco manchi la rimozione del marchio: secondo la logica delle due disposizioni, il segno che si presume utilizzato deve apparire sul mercato per dispiegarvi i suoi effetti come strumento di comunicazione ( 45 ).

    56.

    Mi sembra evidente che la Duma e la GSI, dopo avere rimosso i marchi Mitsubishi dai carrelli elevatori, sostituendoli con i propri, non usano i segni distintivi della Mitsubishi. Questione diversa sarebbe se i segni oggetto della rimarchiatura («Duma» e «GSI») presentassero una somiglianza con i marchi Mitsubishi, somiglianza che il titolare di questi ultimi non adduce e che appare improbabile (per quanto si tratti di una circostanza di fatto il cui accertamento spetterebbe al giudice del rinvio).

    57.

    Se è così, come credo, risulta irrilevante – sotto il profilo del diritto dei marchi – che i prodotti immessi in commercio dalla Duma e dalla GSI siano o meno simili a quelli della Mitsubishi. Nel caso di specie occorre risolvere una questione relativa all’uso di marchi appartenenti a un titolare, vale a dire al segno distintivo in quanto tale, e non alla maggiore o minore somiglianza dei prodotti da essi designati.

    c) Interpretazione teleologica

    58.

    Secondo la Corte, all’articolo 2 della direttiva 2008/95 viene sancita la funzione essenziale che il marchio è chiamato a svolgere, disponendo che possono costituire un marchio solo i segni adatti a distinguere i prodotti o servizi di un’impresa da quelli di altre imprese ( 46 ).

    59.

    Pertanto, il marchio protegge il modo in cui il titolare deve distinguere i suoi prodotti: gli viene concesso il monopolio del segno, opponibile ai terzi, per motivi di trasparenza informativa del mercato, al fine di identificare tali prodotti, in modo che siano associati al segno protetto. Quando si rimuove da un prodotto il segno che fino a quel momento lo differenziava, si può indurre in errore il consumatore o si può incorrere in una condotta commerciale sleale, ma, ripeto, non per questo si effettua un uso indebito del marchio che fino a quel momento figurava sul prodotto in questione.

    60.

    Come esporrò nel prosieguo, a fronte di un’azione siffatta, che comporta un inganno nei confronti del consumatore o una pratica commerciale sleale, la reazione giuridicamente appropriata ha altre modalità procedurali.

    d) Nota di diritto comparato

    61.

    Il diritto di alcuni Stati membri confermerebbe questa tesi. Mi limiterò a tre esempi.

    62.

    Nel Regno Unito ( 47 ), la rimozione del marchio dai prodotti che lo recavano non dà diritto al suo titolare di opporsi alla smarchiatura (de‑branding), purché questa sia completa, vale a dire, purché il segno precedente sia stato eliminato del tutto. La giurisprudenza del Regno Unito accoglie questa tesi, negando che coloro che incorrono in tale condotta ledano il diritto del titolare del marchio di opporsi al suo uso da parte di terzi ( 48 ).

    63.

    Nel diritto tedesco, la dottrina sostiene del pari che la rimozione del marchio originale non soddisfa le condizioni di applicazione della normativa che disciplina le violazioni del diritto dei marchi ( 49 ). Tale posizione si basa sulla giurisprudenza del Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania), secondo la quale, in linea con le sentenze del Regno Unito, «quando la merce, modificata o meno, viene ceduta previa rimozione del marchio del fabbricante, quest’ultimo non può avvalersi delle azioni in materia di marchi, poiché l’uso del suo marchio registrato non ha avuto luogo» ( 50 ).

    64.

    È vero che, in Francia, «la rimozione o modifica di un marchio regolarmente apposto» costituisce una violazione del diritto del titolare di detto marchio. Tuttavia, ciò avviene in quanto il legislatore ha espressamente introdotto, all’articolo L 713‑2 del Code de la propriété intellectuelle (Codice della proprietà intellettuale), il divieto di tale comportamento, salvo consenso del titolare ( 51 ). Il fatto che sia stato necessario introdurre questa regola, a complemento della protezione contro l’uso illecito del marchio, dimostra che, senza di essa, tale potere di veto non potrebbe essere considerato incluso nel fascio di facoltà conferite al titolare del marchio dall’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2008/95 e dall’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009.

    65.

    Pur essendo consapevole che questi esempi riguardano il diritto interno, in cui vige il principio dell’esaurimento, ritengo che la giustificazione della posizione adottata (che si potrebbe sintetizzare nella regola «no use, no infringement») non sia assolutamente legata a detto principio.

    e) La funzione del legislatore

    66.

    Se i diritti degli Stati membri mostrano differenze significative per quanto concerne l’inclusione della smarchiatura e della rimarchiatura tra le ipotesi di uso illecito del marchio, lo si deve al fatto che il legislatore dell’Unione si è astenuto dal prendere posizione al riguardo. L’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2008/95 e l’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 si limitano a disciplinare gli usi dei marchi, senza tuttavia andare oltre: ne consegue che gli Stati membri possono adottare regole proprie, favorevoli o contrarie, relativamente al non uso (o all’eliminazione) del segno distintivo, nei limiti del loro margine di discrezionalità normativa.

    67.

    Se si accogliesse l’interpretazione secondo cui la mancanza di uso costituisce, nonostante tutto, un uso nell’accezione delle due disposizioni citate, si darebbe al diritto dell’Unione un significato che, a mio avviso, oltrepassa quello che gli si deve attribuire sulla base di detta normativa e che gli Stati membri non hanno previsto (come dimostra il fatto che alcuni di essi continuano a respingerlo). Sotto la copertura di un compito interpretativo, probabilmente si adotterebbe, invece, una soluzione legislativa.

    3. Funzioni del marchio

    68.

    Nella giurisprudenza della Corte, quanto meno nell’ipotesi della «doppia identità» di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/95, l’esercizio del diritto esclusivo è riservato ai casi nei quali l’uso del segno da parte di un terzo leda o possa ledere una delle funzioni del marchio, che si tratti della funzione essenziale di indicazione d’origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio oppure di una delle altre funzioni di quest’ultimo ( 52 ). Tra le altre funzioni rientrano, in particolare, quella di garantire la qualità di detto prodotto o servizio e quelle di comunicazione, investimento o pubblicità ( 53 ).

    69.

    Risulta, ad ogni modo, che la Corte sottolinea sempre l’uso del segno protetto. Poiché sostengo che, nella fattispecie, non vi è stato realmente un uso dei marchi Mitsubishi, ritengo che non occorra esaminare la controversia sull’eventuale pregiudizio alle funzioni proprie di tali marchi, controversia che avrebbe senso solo in presenza del loro uso.

    70.

    Qualora, invece, nella nozione di uso che il titolare del marchio può vietare rientrassero comportamenti come quelli esaminati in questa sede, occorrerebbe verificare se sia stata lesa la funzione del marchio consistente nell’indicazione di origine dei prodotti ( 54 ). Si tratterebbe più di una questione di fatto, la cui soluzione spetterebbe al giudice a quo, alla luce della circostanza che, stanti le particolarità dei carrelli elevatori, i quali vengono utilizzati in attività di immagazzinamento o simili, il consumatore è costituito generalmente da professionisti con un livello superiore di discernimento ( 55 ).

    71.

    A tale proposito, potrebbe assume rilevanza un dato che emerge dall’ordinanza di rinvio: se, stando a quanto affermato dal giudice a quo (seconda questione pregiudiziale), nonostante la rimarchiatura del prodotto, i consumatori continuavano a identificare i prodotti come provenienti dalla Mitsubishi, è probabile che non vi fosse confusione circa loro origine imprenditoriale ( 56 )

    C.   Vincolo delle merci al regime di deposito doganale

    72.

    Da quanto sopra esposto deduco che la rimozione, da un determinato prodotto, del segno che lo contrassegnava non costituisce un uso del marchio per il quale sia necessario il consenso del titolare. L’apposizione di un altro segno potrebbe dare diritto al titolare di vietare l’immissione in commercio dei prodotti solo se il nuovo marchio fosse identico o simile al segno originale, il che non risulta essere accaduto nel caso di specie.

    73.

    In una situazione siffatta, i problemi relativi all’applicazione del diritto doganale rivestono in realtà molto meno interesse per la controversia in esame. In linea di principio, fintanto che i beni si trovano in un deposito doganale, non possono verificarsi violazioni dei diritti di marchio protetti all’interno dell’Unione. Inoltre, le questioni relative alla prima immissione in commercio di prodotti nel SEE si pongono, sotto il profilo del diritto dei marchi, solo quando si tratti di prodotti recanti un segno distintivo che il suo titolare assuma violato. Se, invece, si tratta di prodotti che non recano detto segno, ripeto, la reazione del titolare del marchio rimosso non potrà più essere fondata su tale titolo (ma eventualmente su altri).

    74.

    Ad ogni modo, prenderò posizione, in subordine, sugli ulteriori argomenti presentati.

    1. Sull’asserita frode

    75.

    La Mitsubishi sostiene che le pratiche di smarchiatura e rimarchiatura ledono il suo diritto di controllare la prima immissione sul mercato dei prodotti recanti il suo marchio ( 57 ), in quanto il loro unico scopo sarebbe eludere o neutralizzare tale diritto. A sostegno della sua tesi essa richiama un passaggio della sentenza TOP Logistics e a. ( 58 ).

    76.

    L’argomento relativo alla frode alla legge non è facile da dimostrare. In realtà, il giudice remittente non formula neppure le sue questioni in questi termini. Tuttavia, dal momento che esso ha esteso la prima questione (concernente la smarchiatura) all’importazione o commercializzazione dei prodotti nel SEE dopo la loro rimarchiatura, nulla impedisce di esaminare se, nella fattispecie, possa esservi stato un utilizzo fraudolento della normativa doganale.

    77.

    La Corte ha dichiarato che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione ( 59 ). Affinché possa concludersi per la sussistenza di tale ipotesi, devono ricorrere:

    «un insieme di circostanze oggettive [dalle quali risulti] che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non è stato raggiunto», e

    «[la] volontà di ottenere un vantaggio indebito derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento» ( 60 ).

    78.

    Orbene, se è vero che, ricorrendo alla smarchiatura e successiva rimarchiatura, la Duma e la GSI introducono nel SEE i carrelli elevatori inizialmente fabbricati dalla Mitsubishi, lo fanno adeguandoli ai requisiti tecnici propri del diritto dell’Unione. Si deve sottolineare, inoltre, che esse non intendono vendere tali prodotti con il marchio (e altri segni distintivi) di detto fabbricante, bensì con i propri.

    79.

    Pertanto, la Duma e la GSI non ledono il diritto del titolare del marchio registrato, diritto che prevarrebbe qualora i prodotti fossero introdotti ancora contrassegnati da detto marchio. Così si evince dall’articolo 5, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2008/95 («importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno») ( 61 ).

    80.

    Il richiamo alla sentenza TOP Logistics e a. ( 62 ), invero, non è di alcuna utilità per la Mitsubishi. In detta sentenza si fa riferimento al diritto del titolare del marchio di controllare la prima immissione in commercio nel SEE di prodotti recanti tale marchio. In quel caso, le merci erano state immesse in libera pratica e successivamente assoggettate ad un regime di sospensione dell’accisa, circostanza che non ricorre nella presente causa. Inoltre, gli interventi ai quali la Duma e la GSI sottopongono i carrelli potrebbero eventualmente ricadere nell’ambito di applicazione dell’articolo 531 del regolamento di applicazione del codice doganale, che ammette, in particolare, le manipolazioni usuali consistenti nella «apposizione o rimozione di marchi» ( 63 ).

    81.

    In sintesi, non mi sembra che vi sia stata frode alla legge o abuso del diritto da parte delle resistenti, in quanto:

    le manipolazioni cui vengono sottoposte le merci mentre sono assoggettate al regime di deposito doganale perseguono un obiettivo legittimo (l’adeguamento a requisiti tecnici) e i prodotti non sono ancora giuridicamente presenti nel SEE;

    il titolare di detti marchi non può opporsi all’immissione in libera pratica dei prodotti ai fini del loro consumo nel SEE se i suoi marchi, in quanto tali, non possono essere percepiti dai consumatori;

    in siffatte circostanze, la situazione del titolare è comparabile, semmai, a quella che ricorre in caso di importazione diretta delle merci dopo la smarchiatura e rimarchiatura all’esterno del SEE.

    2. Uso nel commercio dei prodotti in regime di deposito doganale

    82.

    La Commissione, pur ritenendo a sua volta che non ricorra una frode, sostiene che, ove vi fosse motivo di credere che i prodotti possano essere dirottati verso consumatori del SEE, si potrebbe parlare di uso nel commercio e, pertanto, di violazione del diritto di marchio, sebbene tali prodotti si trovino in regime di deposito doganale ( 64 ). A sostegno di questa tesi richiama alcune sentenze della Corte.

    83.

    Le tre sentenze menzionate dalla Commissione riguardano merci usurpative (copie o imitazioni), contraffatte (il marchio veniva apposto a prodotti non elaborati dal suo titolare) ( 65 ) oppure originali ma che mantenevano il marchio del produttore, provenienti da paesi terzi e assoggettati ad un regime sospensivo. In tutti i suddetti contesti, la questione era se il titolare del diritto di marchio potesse opporsi alla vendita (o all’offerta) effettuata durante la permanenza dei prodotti in regime sospensivo, a fronte del mero rischio che essi venissero immessi in commercio nel SEE ( 66 ).

    84.

    Orbene, nel caso di specie, da un lato, si evince dall’esposizione del giudice remittente che i prodotti non erano stati né venduti né offerti con il segno del produttore (Mitsubishi) nel SEE, mentre si trovavano in regime di deposito doganale. A tale proposito, inoltre, spetta al titolare del diritto di marchio fornire la prova delle circostanze che consentono l’esercizio del diritto di veto (articolo 5 della direttiva 2008/95 e articolo 9 del regolamento n. 207/2009), dimostrando l’immissione in libera pratica ovvero l’offerta o la vendita delle merci non comunitarie contrassegnate dal marchio ( 67 ).

    85.

    Di conseguenza, ove non venga fornita tale prova, le merci assoggettate a un regime di deposito doganale non possono, per questo solo fatto, violare diritti di proprietà industriale ( 68 ). Inoltre, durante il loro assoggettamento a detto regime, esse possono essere sottoposte alle manipolazioni usuali legalmente riconosciute come legittime in virtù dell’articolo 141 del codice doganale e del già citato articolo 531 del regolamento di applicazione di detto codice.

    86.

    D’altro canto, il rischio che le merci fossero dirottate verso i consumatori europei derivava, nelle tre cause suddette, dal fatto che i prodotti, in caso di offerta o di rivendita a clienti, avrebbero potuto essere introdotti nel SEE con il segno del fabbricante originario, il che avrebbe comportato in effetti la violazione del diritto di marchio. Per contro, tale circostanza non ricorreva nel presente caso: dopo gli interventi (smarchiatura e rimarchiatura, tra gli altri) ai quali venivano sottoposti durante il regime sospensivo, i prodotti non erano confrontati sul mercato con altri prodotti identici recanti il medesimo segno.

    87.

    Inoltre, la Duma poteva esportare in paesi terzi i carrelli modificati ( 69 ), il che non avrebbe comunque violato il diritto di marchio del titolare, sempre che essi non fossero ancora stati immessi in libera pratica. In tale contesto, ammettere il sequestro dei beni avrebbe comportato una presunzione di violazione dei diritti di marchio, incompatibile con la giurisprudenza sopra citata.

    88.

    La Commissione concentra l’attenzione unicamente sulla commercializzazione dei prodotti ( 70 ), senza tenere conto della presenza o dell’assenza del marchio sui medesimi al momento del loro eventuale ingresso nel SEE. E tale circostanza, a mio avviso, risulta rilevante. La finzione giuridica secondo cui le merci in deposito doganale non sono presenti sul mercato del SEE rende dette merci analoghe ai prodotti direttamente importati da paesi terzi e che siano stati parimenti sottoposti a smarchiatura e rimarchiatura: in tale contesto, il titolare del marchio non potrebbe avvalersi delle azioni in materia di marchi per fermare le merci in parola, e ciò deve valere anche nel caso di specie.

    89.

    In altri termini: se il titolare del marchio non può opporsi all’importazione nel SEE dei suoi stessi prodotti, una volta smarchiati e rimarchiati da terzi senza il suo consenso, posto che non sussiste un uso del suo segno registrato, non può farlo nemmeno per i suoi prodotti originali sottoposti alle medesime manipolazioni in regime di deposito doganale, che, per definizione, sono merci non comunitarie.

    D.   La protezione conferita dalla normativa sulla concorrenza sleale

    90.

    Unitamente alla pubblicità ingannevole e comparativa ( 71 ), il diritto dell’Unione ha armonizzato parzialmente le normative in materia di concorrenza sleale per quanto riguarda le pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori ( 72 ).

    91.

    Per contro, i comportamenti sleali tra commercianti non sono attualmente soggetti a una disciplina specifica nell’ambito dell’Unione. Per contrastarli è necessario ricorrere alla normativa nazionale vigente in ciascuno Stato membro. Non si può sostenere, come ha fatto la Commissione in udienza, che, a fronte della mancanza di armonizzazione delle norme in materia di concorrenza sleale tra imprese nell’Unione, occorre rafforzare per via giurisprudenziale il diritto del titolare del marchio. La graduale instaurazione del mercato interno implica l’accettazione del fatto che, in mancanza di misure di armonizzazione dei diritti nazionali, le divergenze tra i medesimi sono legittime fino a quando non venga posto rimedio a tale situazione mediante un intervento legislativo dell’Unione.

    92.

    Inoltre, dal considerando 13 della direttiva 2008/95 risulta che gli Stati membri sono parti contraenti della Convenzione di Parigi, il cui articolo 10 bis impone loro di garantire una protezione effettiva contro la concorrenza sleale ( 73 ). Pertanto, si può ragionevolmente auspicare che, nonostante le differenze, tutti gli Stati membri abbiano disposizioni legislative che perseguano tale scopo.

    93.

    Alcuni Stati membri ( 74 ) hanno esteso l’applicazione delle disposizioni della direttiva sulle pratiche commerciali sleali ai rapporti tra commercianti. Di fatto, ai sensi di tale direttiva, la rimozione del marchio da un prodotto e la sua sostituzione con un altro potrebbe essere fatta rientrare, probabilmente e in funzione delle circostanze, nella clausola generale dell’articolo 5, paragrafo 1 (in quanto «pratica commerciale sleale»), oppure nel paragrafo 4, lettera a), del medesimo articolo (in quanto «pratica ingannevole»).

    94.

    In altri ordinamenti, come quello tedesco, la dottrina tende a considerare i casi di smarchiatura e rimarchiatura di prodotti come comportamenti idonei, in linea di principio, ad ostacolare la concorrenza (Wettbewerbsbehinderung), in particolare come ostacoli alla vendita (Absatzbehinderung) e alla pubblicità (Werbebehinderung) ( 75 ).

    95.

    Introducendo tali riferimenti non intendo intromettermi nelle possibilità offerte al giudice del rinvio dal suo diritto nazionale ai fini della qualificazione del comportamento controverso. Mi limito ad aprire la prospettiva dalla quale si possono scorgere le reazioni processuali a fronte di un possibile comportamento illecito, al di là dell’ambito proprio del diritto dei marchi ( 76 ).

    V. Conclusione

    96.

    Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alle questioni sollevate dallo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio):

    «Non costituisce uso del marchio, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, e dell’articolo 9 del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio [dell’Unione], la rimozione, ad opera di un terzo, senza il consenso del titolare del marchio, dei segni apposti sui prodotti, quando:

    tali prodotti non siano ancora commercializzati nello Spazio economico europeo, in quanto si trovino immagazzinati in un deposito doganale, nel quale abbiano subito modifiche finalizzate al loro adeguamento alle norme tecniche dell’Unione, e

    la rimozione dei segni venga effettuata al fine di importare o commercializzare tali prodotti nello Spazio economico europeo con un (nuovo) marchio, diverso da quello originario».


    ( 1 ) Lingua originale: lo spagnolo.

    ( 2 ) Tuttavia, tale esaurimento non ha luogo se i prodotti contrassegnati dal marchio registrato sono già stati commercializzati in paesi terzi.

    ( 3 ) In prosieguo utilizzerò i termini «smarchiatura» e «rimarchiatura» per riferirmi alle azioni denominate, in inglese, de-branding e re-branding, fatto salvo l’impiego occasionale di alcune perifrasi.

    ( 4 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25).

    ( 5 ) La direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015 (GU 2015, L 336, pag. 1), recante la stessa denominazione della direttiva precedente, ha modificato quest’ultima, ma non è applicabile ratione temporis al caso in esame.

    ( 6 ) La versione applicabile nel presente procedimento è quella di cui al regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU 2009, L 78, pag. 1). Esiste una versione successiva, codificata nel regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1), che a sua volta non si applica ratione temporis ai fatti della controversia.

    ( 7 ) A decorrere dal 23 marzo 2016, i marchi «comunitari» sono denominati «marchi dell’Unione europea», in virtù dell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, recante modifica del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio sul marchio comunitario, che modifica il regolamento (CE) n. 2868/95 della Commissione, recante modalità di esecuzione del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio sul marchio comunitario, e che abroga il regolamento (CE) n. 2869/95 della Commissione relativo alle tasse da pagare all’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (marchi, disegni e modelli) (GU 2015, L 341, pag. 1). In prosieguo vi farò riferimento come ai «marchi dell’Unione».

    ( 8 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, che istituisce il codice doganale comunitario (Codice doganale aggiornato) (GU 2008, L 145, pag. 1). Nel frattempo, detto regolamento è stato sostituito dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1).

    ( 9 ) Regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (GU 1993, L 253, pag. 1), nella versione modificata applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: il «regolamento di applicazione del codice doganale»).

    ( 10 ) L’articolo 180 del regolamento delegato (UE) 2015/2446 della Commissione, del 28 luglio 2015, che integra il regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio in relazione alle modalità che specificano alcune disposizioni del codice doganale dell’Unione (GU 2015, L 343, pag. 1), che non è applicabile ratione temporis, rinvia all’articolo 220 del codice, il quale rinvia, a propria volta, al suo allegato 71‑03, il cui numero 18 presenta un tenore identico al numero 16 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992 (GU 1992, L 302, pag. 1).

    ( 11 ) Convenzione per la protezione della proprietà industriale, firmata a Parigi il 20 marzo 1883, riveduta da ultimo a Stoccolma il 14 luglio 1967 e modificata il 28 settembre 1979 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 828, n. 11851, pag. 305).

    ( 12 ) La MCFE non ha presentato osservazioni nel presente procedimento pregiudiziale.

    ( 13 ) La Mitsubishi fa riferimento alle sentenze del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club (C‑206/01, EU:C:2002:651, punto 38), e del 25 gennaio 2007, Adam Opel (C‑48/05, EU:C:2007:55, punto 16).

    ( 14 ) La Mitsubishi richiama, a tale proposito, le sentenze del 22 settembre 2011, Interflora e Interflora British Unit (C‑323/09, EU:C:2001:604, punto 38), e del 16 luglio 2015, TOP Logistics e a. (C‑379/14, EU:C:2015:497, punto 32).

    ( 15 ) La Mitsubishi menziona, tra altre, le sentenze dell’11 novembre 1997, Loendersloot (C‑349/95, EU:C:1997:530, punto 24), e del 12 luglio 2011, L’Oréal e a. (C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 81).

    ( 16 ) Sentenza del 22 settembre 2011, Interflora e Interflora British Unit (C‑323/09, EU:C:2001:604, punto 62).

    ( 17 ) Sentenza del 23 marzo 2010, Google France e Google (da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punto 92).

    ( 18 ) La Mitsubishi richiama, tra altre, le sentenze del 23 febbraio 1999, BMW (C‑63/97, EU:C:1999:82, punto 51), e del 14 luglio 2011, Viking Gas (C‑46/10, EU:C:2011:485, punto 37).

    ( 19 ) La Duma fa riferimento, tra altre, alle sentenze del 18 ottobre 2005, Class International (C‑405/03, EU:C:2005:616, punti 7172), e del 1o dicembre 2011, Philips e Nokia (C‑446/09 e C‑495/09, EU:C:2011:796, punto 57).

    ( 20 ) La Duma richiama, tra altre, le sentenze del 18 ottobre 2005, Class International (C‑405/03, EU:C:2005:616, punto 50), e del 1o dicembre 2011, Philips e Nokia (C‑446/09 e C‑495/09, EU:C:2011:796, punto 56).

    ( 21 ) La Duma rinvia alla sentenza del 18 ottobre 2005, Class International (C‑405/03, EU:C:2005:616, punti 7172).

    ( 22 ) Tra altre, sentenze del 18 ottobre 2005, Class International (C‑405/03, EU:C:2005:616, punti 5860), e del 9 novembre 2006, Montex Holdings (C‑281/05, EU:C:2006:709, punto 26).

    ( 23 ) Il governo tedesco richiama l’ordinanza del 19 febbraio 2009, UDV North America (C‑62/08, EU:C:2009:111, punto 42).

    ( 24 ) Il governo tedesco fa riferimento alla sentenza del 23 marzo 2010, Google France e Google (da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punti 7577 e giurisprudenza citata).

    ( 25 ) A tale proposito, il governo tedesco rinvia alla giurisprudenza in materia di riconfezionamento di prodotti medicinali, la quale pone in risalto la necessità che il marchio originario figuri in qualche modo affinché il titolare possa opporsi all’immissione in commercio del prodotto riconfezionato, e richiama espressamente la sentenza del 23 aprile 2000, Boehringer Ingelheim e a. (C‑143/00, EU:C:2002:246, punto 7).

    ( 26 ) Sentenza dell’8 luglio 2010 (C‑558/08, EU:C:2010:416, punto 86).

    ( 27 ) La Commissione menziona, tra altre, le sentenze del 16 luglio 1998, Silhouette International Schmied (C‑355/96, EU:C:1998:374, punto 31), e del 18 ottobre 2005, Class International (C‑405/03, EU:C:2005:616, punto 33).

    ( 28 ) Essa richiama, tra altre, le sentenze del 1o dicembre 2011, Philips e Nokia (C‑446/09 e C‑495/09, EU:C:2011:796, punto 56), e del 16 luglio 2015, TOP Logistics e a. (C‑379/14, EU:C:2015:497, punto 34).

    ( 29 ) La Commissione evoca, tra le altre, le sentenze 18 ottobre 2005, Class International (C‑405/03, EU:C:2005:616, punto 58), e del 12 luglio 2011, L’Oréal e a. (C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 67).

    ( 30 ) La Corte faceva riferimento alla prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).

    ( 31 ) Sentenza dell’11 settembre 2007, Céline (C‑17/06, EU:C:2007:497, punto 14).

    ( 32 ) Sentenza del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss (da C‑414/99 a C‑416/99, EU:2001:617, punto 32).

    ( 33 ) Sentenza del 1o dicembre 2011, Philips e Nokia (C‑446/09 e C‑495/09, EU:C:2011:796, punto 55 e giurisprudenza citata).

    ( 34 ) Ibidem, punto 56.

    ( 35 ) Sentenza del 14 maggio 2002, Hölterhoff (C‑2/00, EU:C:2002:287, punti da 14 a 16).

    ( 36 ) Sentenza del 23 febbraio 1999, BMW (C‑63/97, EU:C:1999:82, punti da 37 a 42).

    ( 37 ) Sentenza dell’11 settembre 2007, Céline (C‑17/06, EU:C:2007:497).

    ( 38 ) Sentenza dell’8 luglio 2010 (C‑558/08, EU:C:2010:416, punto 86).

    ( 39 ) Il titolare di un marchio intendeva vietare «che un terzo [facesse] apparire – a partire da una parola chiave identica a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – un annuncio per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio suddetto [era] registrato».

    ( 40 ) Punti 19 e 20 delle sue osservazioni scritte.

    ( 41 ) Sentenza del 16 luglio 2015, TOP Logistics e a. (C‑379/14, EU:C:2015:497, punto 43).

    ( 42 ) O del suo omologo articolo 7, paragrafo 1, lettere b), c) ed e), del regolamento n. 207/2009. V. sentenza dell’8 aprile 2003, Linde e a. (C‑53/01, C‑54/01 e C‑55/01, EU:C:2003:206), sulla domanda di registrazione di un segno, costituito dalla forma del prodotto, per attrezzi agricoli motorizzati e altri macchinari mobili con cabina di guida, in special modo carrelli elevatori a forca.

    ( 43 ) Sulle condizioni alle quali un colore può essere registrato come marchio, v. sentenza del 21 ottobre 2004, KWS Saat/UAMI (C‑447/02 P, EU:C:2004:649, punto 79).

    ( 44 ) Sentenza del 23 marzo 2010, Google France e Google (da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punto 65 e giurisprudenza citata).

    ( 45 ) Punti da 24 a 26 delle sue osservazioni scritte.

    ( 46 ) Sentenza del 6 marzo 2014, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company (C‑409/12, EU:C:2014:130, punto 21 e giurisprudenza citata).

    ( 47 ) Stothers, Ch., Parallel Trade in Europe – Intellectual Property, Competition and regulatory Law, Hart Publishing, Portland (Oregon), 2007, pagg. 84 e 85.

    ( 48 ) Court of Appeal (Civil Division) (Corte d’appello, Sezione civile, Regno Unito), sentenza del 21 febbraio 2008, Boehringer Ingelheim KG & Anor v Swingward Ltd, [2008] EWCA Civ 83. Ai punti da 51 a 53 si legge: «Total de-branding in general is far from uncommon. (…). To say that removing (or not applying) the original supplier’s mark to the goods amounts to an infringement would be absurd: traders have (…) applied their own trade marks to goods for centuries. There is no harm in it. (…) Going back to the legislation, such total de-branding is clearly not an infringement. There is simply no use of the trade mark in any shape or form. Total de-branding does not fall within Art. 5 at all. No defence is needed. (…) So a trade mark owner has no right to insist that his trade mark stays on the goods for the aftermarket». Il corsivo è mio.

    ( 49 ) V., ad esempio, Hacker, F., «Teil I Anwendungsbereich - § 2», in Ströbele, P./Hacker, F., Markengesetz - Kommentar, Edizioni Carl Heymanns, 9a ed., Colonia, 2009, pag. 48, punto 62.

    ( 50 ) Sentenza del 12 luglio 2007, «CORDARONE» (I ZR 148/04, punto 24). Traduzione libera.

    ( 51 ) Disposizione inserita in detto codice mediante la legge n. 92‑597 del 1o luglio 1992 (allegato al JORF del 3 luglio 1992).

    ( 52 ) Sentenze del 23 marzo 2010, Google France e Google (da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punto 79), e del 22 settembre 2011, Interflora e Interflora British Unit (C‑323/09, EU:C:2011:604, punto 38). Il corsivo è mio.

    ( 53 ) Sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a. (C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 58).

    ( 54 ) Si intende come tale la funzione che «consente di identificare il prodotto o il servizio designato dal marchio come proveniente da una determinata impresa[, che corrisponde a] quella sotto il cui controllo il prodotto o servizio viene commercializzato». Sentenza del 6 marzo de 2014, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company (C‑409/12, EU:C:2014:130, punto 20 e giurisprudenza citata).

    ( 55 ) V., in tal senso, ordinanza del 6 febbraio 2009, MPDV Mikrolab/UAMI (C‑17/08 P, EU:C:2009:64, punti 2829).

    ( 56 ) Sentenza del 25 gennaio 2007, Adam Opel (C‑48/05, EU:C:2007:55, punto 24).

    ( 57 ) La Mitsubishi richiama le sentenze 1o luglio 1999, Sebago e Maison Dubois (C‑173/98, EU:C:1999:347, punto 21), e del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss (da C‑414/99 a C‑416/99, EU:2001:617, punto 33).

    ( 58 ) Sentenza del 16 luglio 2015 (C‑379/14, EU:C:2015:497, punto 48: «qualsiasi atto di un terzo che impedisca al titolare di un marchio registrato in uno o più Stati membri di esercitare il suo diritto, riconosciuto dalla giurisprudenza (…), di controllare la prima immissione in commercio nel SEE di prodotti recanti detto marchio, pregiudica di per sé detta funzione fondamentale del marchio. L’importazione di prodotti senza il consenso del titolare del marchio interessato e la detenzione in deposito fiscale di tali prodotti in attesa della loro immissione in consumo nell’Unione hanno l’effetto di privare il titolare di detto marchio della possibilità di controllare le modalità della prima immissione in commercio nel SEE di prodotti recanti il suo marchio».

    ( 59 ) Sentenza del 17 luglio 2014, Torresi (C‑58/13 e C‑59/13, EU:C:2014:2088, punto 42 e giurisprudenza citata).

    ( 60 ) Sentenza del 28 gennaio 2015, ÖBB Personenverkehr (C‑417/13, EU:C:2015:38, punto 56 e giurisprudenza citata).

    ( 61 ) Il corsivo è mio.

    ( 62 ) Sentenza del 16 luglio 2015 (C‑379/14, EU:C:2015:497).

    ( 63 ) Ritengo che non sia necessario approfondire tale aspetto, in quanto la controversia non si è estesa all’incidenza dell’articolo 531 del regolamento di applicazione del codice doganale.

    ( 64 ) La Commissione richiama le sentenze del 18 ottobre 2005, Class International (C‑405/03, EU:C:2005:616, punto 58); del 12 luglio 2011, L’Oréal e a. (C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 67), e del 1o dicembre 2011, Philips e Nokia (C‑446/09 e C‑495/09, EU:C:2011:796, punti da 57 a 62).

    ( 65 ) V. punti 31, 32, 41, 42 e 51 della sentenza del 1o dicembre 2011, Philips e Nokia (C‑446/09 e C‑495/09, EU:C:2011:796).

    ( 66 ) Punti da 13 a 16 della sentenza del 18 ottobre 2005, Class International (C‑405/03, EU:C:2005:616), e da 26 a 32 della sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a. (C‑324/09, EU:C:2011:474).

    ( 67 ) Sentenza del 18 ottobre 2005, Class International (C‑405/03; EU:C:2005:616, punto 75).

    ( 68 ) Sentenza del 1o dicembre 2011, Philips e Nokia (C‑446/09 e C‑495/09, EU:C:2011:796, punto 56 e giurisprudenza citata).

    ( 69 ) In udienza, la Duma ha confermato che esporta carrelli elevatori recanti il suo marchio, tra l’altro, in Marocco e in Russia.

    ( 70 ) Punto 27 delle sue osservazioni scritte.

    ( 71 ) Direttiva 2006/114/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (GU 2006, L 376, pag. 21). In relazione ai marchi, v., segnatamente, l’articolo 4 di detta direttiva.

    ( 72 ) Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22).

    ( 73 ) V. paragrafo 14 delle presenti conclusioni.

    ( 74 ) La legge spagnola del 30 dicembre 2009, n. 29, recante modifica del regime legale della concorrenza sleale e della pubblicità per il miglioramento della tutela dei consumatori e degli utenti (BOE n. 315, del 31 dicembre 2009, pag. 112039) stabilisce «un regime giuridico unitario riguardo al carattere sleale degli atti ingannevoli e aggressivi, essendo esigibile il medesimo livello di correttezza a prescindere dalla circostanza che i destinatari siano consumatori o imprenditori».

    ( 75 ) V. Fezer, K.‑H., Markenrecht, 4a ed., C.H. Beck, Monaco di Baviera, 2009, pag. 249, punti 87 e 88, nonché Hacker, F., in Ströbele, P./Hacker, F., Markengesetz – Kommentar, 9a ed., Edizioni Carl Heymanns, Colonia, 2009, pag. 48, punto 62. Entrambi contengono richiami alla giurisprudenza dei giudici tedeschi.

    ( 76 ) Sebbene il giudice a quo non abbia sollevato questioni a tale proposito, la Mitsubishi afferma che la sua azione nei confronti della Duma e della GSI si fonda altresì, in subordine, sulle norme belghe in materia di concorrenza sleale.

    Top