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Document 62016TJ0629

Sentenza del Tribunale (Nona Sezione) del 1° marzo 2018.
Shoe Branding Europe BVBA contro Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale.
Marchio dell’Unione europea – Opposizione – Domanda di marchio figurativo dell’Unione europea consistente in due strisce parallele su una scarpa – Marchio figurativo anteriore dell’Unione europea raffigurante tre strisce parallele su una scarpa – Impedimento alla registrazione relativo – Pregiudizio alla notorietà – Articolo 8, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 5, del regolamento (UE) 2017/1001].
Causa T-629/16.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:T:2018:108

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione)

1o marzo 2018 ( *1 )

«Marchio dell’Unione europea – Opposizione – Domanda di marchio figurativo dell’Unione europea consistente in due strisce parallele su una scarpa – Marchio figurativo anteriore dell’Unione europea raffigurante tre strisce parallele su una scarpa – Impedimento relativo alla registrazione – Pregiudizio alla notorietà – Articolo 8, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 5, del regolamento (UE) 2017/1001]»

Nella causa T‑629/16,

Shoe Branding Europe BVBA, con sede a Oudenaarde (Belgio), rappresentata da J. Løje, avvocato,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da A. Lukošiūtė e A. Söder, in qualità di agenti,

convenuto,

altra parte nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO e interveniente dinanzi al Tribunale:

adidas AG, con sede a Herzogenaurach (Germania), rappresentata da I. Fowler e I. Junkar, solicitors,

avente ad oggetto il ricorso proposto contro la decisione della seconda commissione di ricorso dell’EUIPO dell’8 giugno 2016 (procedimento R 597/2016-2), relativa ad un procedimento di opposizione tra la adidas e la Shoe Branding Europe,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione),

composto da S. Gervasoni, presidente, L. Madise e K. Kowalik-Bańczyk (relatore), giudici,

cancelliere: X. Lopez Bancalari, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1o settembre 2016,

visto il controricorso dell’EUIPO depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1o dicembre 2016,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 dicembre 2016,

in seguito all’udienza del 6 luglio 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti

1

Il 1o luglio 2009 la Shoe Branding Europe BVBA, ricorrente, ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), ai sensi del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)].

2

Il marchio per il quale è stata chiesta la registrazione, identificato dalla ricorrente come «altro marchio», è di seguito riprodotto:

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3

Nella domanda di registrazione, il marchio è descritto nei termini seguenti:

«Il marchio è un marchio di posizione e consiste in due linee parallele posizionate sulla superficie esterna della parte superiore di una scarpa, le linee parallele vanno dal bordo della suola e salgono all’indietro verso il collo del piede della scarpa; la linea tratteggiata indica la posizione del marchio e non ne fa parte».

4

I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nella classe 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come rivisto e modificato, e corrispondono alla descrizione seguente: «Calzature».

5

La domanda di marchio dell’Unione europea è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 107/2010 del 14 giugno 2010.

6

Il 13 settembre 2010 l’adidas AG, interveniente, ha proposto opposizione, ai sensi dell’articolo 41 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 46 del regolamento 2017/1001), alla registrazione del marchio richiesto per i tutti i prodotti designati nella domanda di registrazione.

7

L’opposizione si basava, in particolare, sui seguenti diritti anteriori:

il marchio figurativo dell’Unione europea, registrato il 26 gennaio 2006 con il numero 3517646, per le «calzature» rientranti nella classe 25, con la seguente descrizione: «Il marchio è composto da tre strisce della stessa grandezza e larghezza, parallele, applicate sulle scarpe; le strisce sono applicate sulla parte superiore della scarpa nella superficie fra i lacci e la suola. Tale marchio (in prosieguo: il «marchio anteriore») è di seguito riprodotto:

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il marchio tedesco del tipo «altro marchio», registrato il 14 dicembre 1999 con il numero 39950559 e regolarmente rinnovato, per le «calzature, comprese calzature per lo sport e per il tempo libero» rientranti nella classe 25, con la seguente descrizione: «Il marchio è composto da tre strisce in contrasto con il colore di base della scarpa. La forma della scarpa serve unicamente per rappresentare il modo in cui è apposto il marchio commerciale, essa non fa parte in quanto tale del marchio commerciale». Tale marchio (in prosieguo: il «marchio tedesco n. 39950559») è di seguito riprodotto:

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8

Gli impedimenti invocati a sostegno dell’opposizione erano, in particolare, quelli di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 [divenuti, rispettivamente, articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e articolo 8, paragrafo 5, del regolamento 2017/1001].

9

Con decisione del 22 maggio 2012 la divisione di opposizione ha respinto l’opposizione.

10

Il 2 luglio 2012 l’interveniente ha presentato all’EUIPO un ricorso avverso la decisione della divisione di opposizione, ai sensi degli articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009 (divenuti articoli da 66 a 71 del regolamento 2017/1001).

11

Con decisione del 28 novembre 2013 la seconda commissione di ricorso dell’EUIPO ha respinto il ricorso con la motivazione, in particolare, che i marchi in conflitto erano complessivamente diversi e che tale circostanza era sufficiente, da un lato, a escludere, nella percezione del pubblico di riferimento, qualsiasi rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e, dall’altro, a rendere improbabile che, nella mente di tale medesimo pubblico di riferimento, si stabilisse un nesso tra i marchi in conflitto e, di conseguenza, si verificasse uno dei pregiudizi di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del medesimo regolamento (in prosieguo: la «decisione del 28 novembre 2013»).

12

L’interveniente ha quindi contestato tale decisione dinanzi al Tribunale.

13

Con sentenza del 21 maggio 2015, adidas/UAMI – Shoe Branding Europe (Due strisce parallele su una scarpa) (T‑145/14, non pubblicata, EU:T:2015:303; in prosieguo la «sentenza di annullamento»), il Tribunale ha annullato la decisione del 28 novembre 2013, con la motivazione che la commissione di ricorso aveva, erroneamente, concluso per l’assenza di qualsiasi somiglianza tra i marchi in conflitto e che tale errore di valutazione aveva falsato la valutazione effettuata dalla commissione di ricorso sull’esistenza, nella mente del pubblico, di un rischio di confusione o, a fortiori, di un rischio di accostamento tra i marchi in conflitto.

14

La ricorrente ha quindi proposto ricorso avverso tale sentenza.

15

Con ordinanza del 17 febbraio 2016, la Shoe Branding Europe/UAMI (C‑396/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:95; in prosieguo l’«ordinanza su impugnazione»), la Corte ha respinto tale impugnazione.

16

Traendo le conseguenze dalla sentenza di annullamento e dall’ordinanza su impugnazione, la seconda commissione di ricorso dell’EUIPO ha riesaminato il ricorso proposto dall’interveniente avverso la decisione della divisione di opposizione.

17

Con decisione dell’8 giugno 2016 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la commissione di ricorso ha accolto tale ricorso e ha ritenuto fondata l’opposizione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009. In particolare, essa ha considerato che, tenuto conto di una certa somiglianza tra i marchi in conflitto, dell’identità dei prodotti designati da tali marchi e dell’elevata notorietà del marchio anteriore, esisteva il rischio che il pubblico di riferimento stabilisse un nesso tra i marchi in conflitto e che l’uso del marchio richiesto traesse indebito vantaggio dalla notorietà del marchio anteriore, senza che tale uso fosse, nel caso di specie, giustificato da un giusto motivo.

Conclusioni delle parti

18

La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

annullare la decisione impugnata;

condannare la commissione di ricorso alle spese.

19

In udienza la ricorrente ha precisato che il secondo capo delle sue conclusioni doveva essere inteso come diretto a chiedere la condanna dell’EUIPO alle spese, richiesta di cui il Tribunale ha preso atto nel verbale di udienza.

20

L’EUIPO e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.

In diritto

21

A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce, in sostanza, un unico motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, nonché su un «travisamento dei fatti». Secondo la ricorrente, la commissione di ricorso è pervenuta, erroneamente, alla conclusione che, nel caso di specie, erano soddisfatte le condizioni di diniego di registrazione di un marchio previste dall’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009.

22

Tale motivo si suddivide in tre parti, in quanto la ricorrente sostiene che la commissione di ricorso ha commesso vari errori di valutazione per quanto riguarda, in primo luogo, la prova della notorietà del marchio anteriore, in secondo luogo, l’esistenza di un pregiudizio alla notorietà o al carattere distintivo di tale marchio e, in terzo luogo, la mancanza di un giusto motivo per l’uso del marchio richiesto.

Considerazioni generali sull’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009

23

Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, a seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore conformemente all’articolo 8, paragrafo 2, del medesimo regolamento (divenuto articolo 8, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001), la registrazione del marchio depositato è esclusa se il marchio è identico o simile al marchio anteriore o se ne viene richiesta la registrazione per prodotti o servizi non simili a quelli per i quali è registrato il marchio anteriore, qualora, nel caso di un marchio dell’Unione europea anteriore, quest’ultimo sia il marchio che gode di notorietà nell’Unione europea o, nel caso di un marchio nazionale anteriore, quest’ultimo sia un marchio che gode di notorietà nello Stato membro in questione e l’uso senza giusto motivo del marchio richiesto possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o recare pregiudizio agli stessi.

24

La tutela ampliata riconosciuta al marchio anteriore dall’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 presuppone quindi la coesistenza di varie condizioni. In primo luogo, il marchio anteriore dev’essere registrato. In secondo luogo, quest’ultimo e quello di cui si chiede la registrazione devono essere identici o simili. In terzo luogo, il marchio anteriore deve godere di notorietà nell’Unione, se si tratta di un marchio dell’Unione europea, o nello Stato membro interessato, se si tratta di un marchio nazionale. In quarto luogo, l’uso senza giusto motivo del marchio richiesto deve determinare il rischio che si possa trarre un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o che si possa arrecare pregiudizio al carattere distintivo o alla notorietà del marchio anteriore. Tali quattro condizioni sono cumulative, la mancanza di una di esse è sufficiente a rendere inapplicabile la suddetta disposizione [v. sentenza del 22 marzo 2007, Sigla/UAMI – Elleni Holding (VIPS), T‑215/03, EU:T:2007:93, punto 34 e giurisprudenza ivi citata].

Nozione di notorietà del marchio anteriore

25

Per beneficiare della tutela di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, un marchio registrato dev’essere conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi da esso contraddistinti [sentenza del 6 febbraio 2007, Aktieselskabet af 21. novembre 2001/UAMI – TDK Kabushiki Kaisha (TDK), T‑477/04, EU:T:2007:35, punto 48; v. anche, per analogia, sentenza del 14 settembre 1999, General Motors, C‑375/97, EU:C:1999:408, punto 26].

26

Nell’esaminare tale condizione, occorre prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti della causa, vale a dire, in particolare, la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità, l’ambito geografico e la durata del suo uso, nonché l’entità degli investimenti realizzati dall’impresa per promuoverlo (sentenza del 6 febbraio 2007, TDK, T‑477/04, EU:T:2007:35, punto 49; v. anche, per analogia, sentenza del 14 settembre 1999, General Motors, C‑375/97, EU:C:1999:408, punto 27).

27

A livello territoriale, il requisito relativo alla notorietà, per un marchio dell’Unione europea, deve considerarsi soddisfatto qualora tale marchio goda di notorietà in una parte sostanziale del territorio dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2009, PAGO International, C‑301/07, EU:C:2009:611, punto 27). In taluni casi, il territorio di un solo Stato membro può essere considerato parte sostanziale di tale territorio (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 6 ottobre 2009, PAGO International, C‑301/07, EU:C:2009:611, punto 28).

28

Inoltre, il titolare di un marchio registrato, al fine di dimostrare il carattere distintivo particolare e la notorietà di quest’ultimo, può avvalersi di prove del suo utilizzo in una forma differente, come parte di un altro marchio registrato e notorio, purché il pubblico di riferimento continui a percepire i prodotti di cui trattasi come provenienti dalla stessa impresa. Per determinare se tale ultima circostanza sussista, occorre verificare che gli elementi di diversità tra i due marchi non impediscano al pubblico di riferimento di continuare a percepire i prodotti di cui trattasi come provenienti da una determinata impresa [v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2015, Spa Monopole/UAMI – Orly International (SPARITUAL), T‑131/12, EU:T:2015:257, punti 3335].

Necessità di un nesso o accostamento tra i marchi in conflitto

29

Occorre ricordare che i pregiudizi di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, allorché si verificano, sono la conseguenza di un certo grado di somiglianza tra il marchio anteriore notorio e quello richiesto, a causa del quale il pubblico di riferimento associa un marchio all’altro, vale a dire stabilisce un nesso tra loro, pur non confondendoli. Non è dunque richiesto che il grado di somiglianza tra il marchio anteriore notorio e il marchio richiesto sia tale da generare, nel pubblico di riferimento, un rischio di confusione. È sufficiente che il grado di somiglianza tra il marchio notorio e il marchio richiesto abbia come effetto di far sì che il pubblico di riferimento stabilisca un nesso tra i due marchi (sentenza del 22 marzo 2007, VIPS, T‑215/03, EU:T:2007:93, punto 41; v. anche, per analogia, sentenze del 23 ottobre 2003, Adidas-Salomon e Adidas Benelux, C‑408/01, EU:C:2003:582, punto 29, e del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 36).

30

L’esistenza di un tale nesso deve essere valutata globalmente, tenendo conto di tutti gli elementi pertinenti del caso di specie, tra i quali vi sono, in particolare, in primo luogo, la natura e il grado di prossimità o di dissomiglianza dei prodotti o servizi di cui trattasi, in secondo luogo, il grado di somiglianza tra i marchi in conflitto, in terzo luogo, il livello di notorietà del marchio anteriore, in quarto luogo, il grado di carattere distintivo, intrinseco o acquisito grazie all’uso, del marchio anteriore o ancora, se del caso, in quinto luogo, l’esistenza di un rischio di confusione nella mente del pubblico di riferimento (v., per analogia, sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, punti 4142).

31

Occorre parimenti tener conto del fatto che il livello di attenzione del pubblico di riferimento può variare in funzione della categoria dei prodotti o servizi di cui trattasi [v., par analogia, sentenze del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punto 26, e del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI – Altana Pharma (RESPICUR), T‑256/04, EU:T:2007:46, punto 42]. Per tale motivo, anche il livello di attenzione del suddetto pubblico è un elemento rilevante ai fini della valutazione dell’esistenza di un nesso tra i marchi in conflitto [v., in tal senso, sentenze 9 marzo 2012, Ella Valley Vineyards/UAMI – HFP (ELLA VALLEY VINEYARDS), T‑32/10, EU:T:2012:118, punti 27, 28, 45 e da 55 a 57; del 9 aprile 2014, EI du Pont de Nemours/UAMI – Zueco Ruiz (ZYTeL), T‑288/12, non pubblicata, EU:T:2014:196, punti 7475, e del 19 maggio 2015, Swatch/UAMI – Panavision Europe (SWATCHBALL), T‑71/14, non pubblicata, EU:T:2015:293, punto 33].

32

Inoltre, non si può escludere che la coesistenza di due marchi in un mercato determinato possa eventualmente contribuire, unitamente ad altri elementi, a ridurre il rischio di accostare tali due marchi ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 [sentenza del 26 settembre 2012, IG Communications/UAMI – Citigroup e Citibank (CITIGATE), T‑301/09, non pubblicata, EU:T:2012:473, punto 128; v. anche, per analogia, sentenze del 3 settembre 2009, Aceites del Sur-Coosur/Koipe, C‑498/07 P, EU:C:2009:503, punto 82, e dell’11 maggio 2005, Grupo Sada/UAMI – Sadia (GRUPO SADA), T‑31/03, EU:T:2005:169, punto 86].

33

Tuttavia, un’eventualità del genere può essere presa in considerazione soltanto qualora sia debitamente dimostrato che la suddetta coesistenza si fondava sull’insussistenza di un rischio di associazione, nella percezione del pubblico di riferimento, tra detti marchi e con riserva che questi ultimi e i marchi in conflitto siano identici (sentenza del 26 settembre 2012, CITIGATE, T‑301/09, non pubblicata, EU:T:2012:473, punto 128; v. anche, per analogia, sentenza dell’11 maggio 2005, GRUPO SADA, T‑31/03, EU:T:2005:169, punto 86) o, almeno, sufficientemente simili.

34

L’assenza di rischio di associazione può, in particolare, essere dedotta dal carattere «pacifico» della coesistenza dei marchi in conflitto nel mercato in questione (v., per analogia, sentenza del 3 settembre 2009, Aceites del Sur‑Coosur/Koipe, C‑498/07 P, EU:C:2009:503, punto 82). La coesistenza tra i due marchi non può tuttavia essere qualificata come «pacifica» quando l’uso di uno di tali marchi è stato contestato dal titolare dell’altro marchio dinanzi alle istanze amministrative o agli organi giurisdizionali [v., in tal senso e per analogia, sentenze del 3 settembre 2009, Aceites del Sur-Coosur/Koipe, C‑498/07 P, EU:C:2009:503, punto 83, e dell’8 dicembre 2005, Castellblanch/UAMI – Champagne Roederer (CRISTAL CASTELLBLANCH), T‑29/04, EU:T:2005:438, punto 74].

Tipi di pregiudizi alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore

35

L’esistenza di un nesso tra i marchi in conflitto nella percezione del pubblico di riferimento è una condizione necessaria, ma, da sola, non sufficiente per affermare la sussistenza di uno dei pregiudizi contro i quali l’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento 207/2009 assicura la tutela a favore dei marchi notori (v, per analogia, sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

36

Detti pregiudizi sono, anzitutto, il danno al carattere distintivo del marchio anteriore, poi il danno alla notorietà di tale marchio e, infine, il vantaggio indebito tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del suddetto marchio (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

37

Occorre rilevare che, tranne il caso in cui l’uso del marchio richiesto sia giustificato da un giusto motivo, uno solo di tali tre tipi di pregiudizio è sufficiente affinché l’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 sia applicabile. Ne discende che il vantaggio tratto da parte di un terzo dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio può rivelarsi indebito, anche quando l’uso del segno identico o simile non arreca pregiudizio né al carattere distintivo né alla notorietà del marchio o, più in generale, al titolare di quest’ultimo (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punti 4243).

Regime probatorio e articolazione tra l’esistenza di un pregiudizio e l’esistenza di un giusto motivo

38

Affinché gli si applichi la tutela introdotta dalle disposizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, il titolare del marchio anteriore deve, in primo luogo, fornire la prova o che l’uso del marchio richiesto tragga indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore, o che lo stesso arrechi pregiudizio al carattere distintivo o ancora a tale notorietà (v., per analogia, sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 37).

39

A tal proposito, l’uso effettivo del marchio richiesto può essere preso in considerazione come un’indicazione, un indizio dell’elevata probabilità di un rischio di pregiudizio al marchio anteriore notorio. Quando il marchio richiesto, infatti, è già sfruttato e vengono forniti elementi concreti volti a provare l’esistenza di un nesso nella percezione del pubblico di riferimento e dell’asserito pregiudizio, questi ultimi avranno manifestamente una peso significativo nella valutazione del rischio di pregiudizio al marchio anteriore [v., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2012, Viaguara/UAMI – Pfizer (VIAGUARA), T‑332/10, non pubblicata, EU:T:2012:26, punto 72; dell’11 dicembre 2014, Coca‑Cola/UAMI – Mitico (Master), T‑480/12, EU:T:2014:1062, punti 8889, e conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:370, paragrafo 84].

40

Tuttavia, il titolare del marchio anteriore non è tenuto a dimostrare l’esistenza di un pregiudizio effettivo e attuale al suo marchio. Quando, infatti, è prevedibile che dall’uso che il titolare del marchio richiesto possa fare del proprio marchio deriverà un tale pregiudizio, il titolare del marchio anteriore non può essere obbligato ad attendere che questo si realizzi per poter far vietare detto uso. Il titolare del marchio anteriore deve tuttavia dimostrare l’esistenza di elementi che permettono di concludere, prima facie, per un rischio serio che un tale pregiudizio si produca in futuro [sentenza del 25 maggio 2005, Spa Monopole/UAMI – Spa‑Finders Travel Arrangements (SPA-FINDERS), T‑67/04, EU:T:2005:179, punto 40; v. anche, per analogia, sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 38].

41

Inoltre, è possibile, segnatamente nel caso di opposizione fondata su un marchio anteriore che gode di una notorietà eccezionalmente elevata, che la probabilità di un rischio futuro non ipotetico di pregiudizio al marchio anteriore o di indebito vantaggio tratto dal marchio sia talmente manifesta che all’opponente non occorra invocare o dimostrare alcun elemento fattuale a tal fine (sentenza del 22 marzo 2007, VIPS, T‑215/03, EU:T:2007:93, punto 48).

42

Nel caso in cui il titolare del marchio anteriore riesca a provare l’esistenza o di un pregiudizio effettivo e attuale al suo marchio ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5 del regolamento n. 207/2009 o, quantomeno, di un rischio serio che tale pregiudizio si produca in futuro, spetta dunque, in un secondo momento, al titolare del marchio richiesto dimostrare di avere un giusto motivo per l’uso di tale marchio (v., per analogia, sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 39).

Nozione di indebito vantaggio tratto dalla notorietà o dal carattere distintivo del marchio anteriore

43

Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di indebito vantaggio tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore, detto anche «parassitismo» e «free-riding», si ricollega al vantaggio tratto dall’uso del marchio richiesto identico o simile. Essa comprende, in particolare, il caso in cui, grazie ad un trasferimento dell’immagine del marchio notorio o delle caratteristiche da questo proiettate sui prodotti designati dal marchio richiesto, sussiste un palese sfruttamento nel tentativo di introdursi nella scia del marchio notorio (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 41).

44

Pertanto, quando un terzo tenta, mediante l’uso di un marchio simile a un marchio notorio, di porsi nel solco tracciato da quest’ultimo, al fine di beneficiare del suo potere attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio, nonché di sfruttare, senza alcun corrispettivo economico e senza dover operare sforzi propri a tale scopo, lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio anteriore per creare e mantenere l’immagine di detto marchio, si deve considerare il vantaggio derivante da siffatto uso come indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio in parola (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 49).

45

Di conseguenza, si può riconoscere il rischio che un tale pregiudizio si produca, in particolare qualora sia fornita la prova che il marchio richiesto venga associato alle qualità positive del marchio anteriore identico o simile [v., in tal senso, sentenza del 29 marzo 2012, You-Q/UAMI – Apple Corps (BEATLE), T‑369/10, non pubblicata, EU:T:2012:177, punti 7172; del 27 settembre 2012, El Corte Inglés/UAMI – Pucci International (Emidio Tucci), T‑373/09, non pubblicata, EU:T:2012:500, punti 6668, e del 2 ottobre 2015, The Tea Board/UAMI – Delta Lingerie (Darjeeling), T‑624/13, EU:T:2015:743, punti da 140 a 143146].

46

Tuttavia, al fine di determinare se, nel caso di specie, l’uso, senza giusto motivo, del marchio richiesto tragga indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore, occorre effettuare una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie (v., per analogia, sentenze del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, punti 6879, e del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punti 44).

47

Tra tali elementi compaiono, in particolare, il livello di notorietà e il grado di carattere distintivo del marchio anteriore, il grado di somiglianza tra i marchi in conflitto, nonché la natura e il grado di prossimità dei prodotti o dei servizi interessati (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 44).

48

Per quanto concerne, in particolare, il livello di notorietà e il grado di carattere distintivo del marchio anteriore, più il carattere distintivo e la notorietà di tale marchio sono rilevanti, più sarà riconosciuta l’esistenza di un pregiudizio (v., per analogia, sentenze del 14 settembre 1999, General Motors, C‑375/97, EU:C:1999:408, punto 30; del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 69, e del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 44).

49

Del pari, più la somiglianza tra i prodotti o i servizi designati dai marchi in conflitto è significativa, più aumenterà il rischio che il marchio richiesto tragga vantaggio da un nesso stabilito tra i due marchi nella percezione del pubblico di riferimento (v., per analogia, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:370, paragrafo 65).

50

Inoltre, occorre rilevare che, nell’ambito della valutazione complessiva menzionata al punto 46 supra, può, essere presa in considerazione eventualmente, anche l’esistenza di un rischio di diluizione o annacquamento del marchio, e quindi del verificarsi di uno degli altri tipi di pregiudizi menzionati al precedente punto 36 di cui sopra (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 45).

51

Infine, l’esistenza del pregiudizio costituito dall’indebito vantaggio tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore deve essere verificata avendo riguardo al consumatore medio dei prodotti o dei servizi designati dal marchio richiesto (v., per analogia, sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation,C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 36).

Nozione di giusto motivo

52

Occorre precisare che l’esistenza di un giusto motivo che consenta l’uso di un marchio che arreca pregiudizio a un marchio notorio deve essere interpretata restrittivamente [sentenza del 16 marzo 2016, The Body Shop International/UAMI – Spa Monopole (SPA WISDOM), T‑201/14, non pubblicata, EU:T:2016:148, punto 65].

53

Tuttavia, occorre ricordare che il regolamento n. 207/2009 è diretto, in maniera generale, a contemperare, da un lato, gli interessi del titolare di un marchio a salvaguardare le funzioni proprie di quest’ultimo e, dall’altro, gli interessi di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi (v., per analogia, sentenze del 27 aprile 2006, Levi Strauss, C‑145/05, EU:C:2006:264, punto 29, e del 6 febbraio 2014, Leidseplein Beheer e de Vries, C‑65/12, EU:C:2014:49, punto 41).

54

Nel sistema di tutela dei marchi instaurato dal regolamento n. 207/2009, l’interesse di un terzo a usare nel commercio un segno identico o simile a un marchio anteriore notorio e a registrarlo come marchio dell’Unione europea è segnatamente preso in considerazione, nell’ambito dell’articolo 8, paragrafo 5, di detto regolamento, mediante la possibilità per l’utilizzatore del marchio richiesto di addurre un «giusto motivo» (v., per analogia, sentenza del 6 febbraio 2014, Leidseplein Beheer e de Vries, C‑65/12, EU:C:2014:49, punto 43).

55

Ne consegue che la nozione di «giusto motivo» non può essere interpretata nel senso che sia limitata a ragioni oggettivamente imperative, ma può anche collegarsi agli interessi soggettivi di un terzo che utilizza un segno identico o simile al marchio anteriore notorio e ha intenzione di registrarlo come marchio dell’Unione europea (v., per analogia, sentenza del 6 febbraio 2014, Leidseplein Beheer e de Vries, C‑65/12, EU:C:2014:49, punti 4548).

56

Perciò la Corte ha statuito che al titolare di un marchio poteva essere imposto, in virtù di un «giusto motivo», di tollerare l’utilizzo da parte di un terzo di un segno simile a tale marchio, anche per un prodotto o un servizio identico a quello per il quale detto marchio era registrato, qualora, da un lato, fosse assodato che tale segno era stato utilizzato anteriormente al deposito di detto marchio e, dall’altro, che l’uso così fatto di detto segno avesse avuto luogo in buona fede (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 6 febbraio 2014, Leidseplein Beheer e de Vries, C‑65/12, EU:C:2014:49, punto 60).

57

La Corte ha precisato che, per verificare, in particolare, se il terzo in parola avesse utilizzato in buona fede il segno simile al marchio notorio, occorreva tener conto, segnatamente, anzitutto del radicamento e della rinomanza di detto segno presso il pubblico di riferimento, in secondo luogo, del grado di prossimità tra i prodotti e i sevizi per i quali detto segno era stato originariamente utilizzato e i prodotti e i servizi per i quali il marchio notorio era stato registrato, in terzo luogo, della cronologia del primo utilizzo del suddetto segno per un prodotto identico a quello del marchio medesimo e dell’acquisizione da parte di quest’ultimo della sua notorietà e, in quarto luogo, della rilevanza economica e commerciale dell’utilizzo del segno simile a tale marchio (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 6 febbraio 2014, Leidseplein Beheer e de Vries, C‑65/12, EU:C:2014:49, punti da 54 a 60).

58

Pertanto, l’uso anteriore da parte di un terzo di un segno o di un marchio richiesto identico o simile a un marchio anteriore notorio può essere qualificato come «giusto motivo» ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 e può consentire al suddetto terzo non soltanto di continuare a utilizzare tale segno, ma anche di farlo registrare come marchio dell’Unione europea, anche qualora l’uso del marchio richiesto possa trarre vantaggio dalla notorietà del marchio anteriore [v., in tal senso, sentenza 5 luglio 2016, Future Enterprises/EUIPO – McDonald’s International Property (MACCOFFEE), T‑518/13, EU:T:2016:389, punto 113].

59

Tuttavia, per far sì che ciò avvenga, l’uso del marchio richiesto deve soddisfare varie condizioni che permettono di confermare l’effettività di tale uso e la buona fede del titolare del marchio richiesto.

60

In particolare, in primo luogo, il segno che corrisponde al marchio richiesto deve essere stato oggetto di un uso serio ed effettivo.

61

In secondo luogo, l’uso di tale segno, in via di principio, deve essere iniziato prima del deposito del marchio anteriore notorio o, almeno, dell’acquisizione da parte di tale marchio della sua notorietà (v., in tal senso, sentenze del 6 febbraio 2014, Leidseplein Beheer e de Vries, C‑65/12, EU:C:2014:49, punti da 56 a 59, e del 5 luglio 2016, MACCOFFEE, T‑518/13, EU:T:2016:389, punto 114).

62

In terzo luogo, il segno corrispondente al marchio richiesto deve essere stato utilizzato in tutto il territorio per il quale il marchio anteriore notorio era registrato. Ne consegue che, qualora il marchio anteriore notorio sia un marchio dell’Unione europea, il segno che corrisponde al marchio richiesto deve essere stato utilizzato in tutto il territorio dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 16 aprile 2008, CITI, T‑181/05, EU:T:2008:112, punto 85, e del 5 luglio 2016, MACCOFFEE, T‑518/13, EU:T:2016:389, punto 115).

63

In quarto luogo, tale uso non deve, in via generale, essere stato oggetto di contestazione da parte del titolare del marchio anteriore notorio. In altri termini, il marchio richiesto e il marchio anteriore notorio devono aver coesistito pacificamente nel territorio di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze del 16 aprile 2008, CITI, T‑181/05, EU:T:2008:112, punto 85, e del 5 luglio 2016, MACCOFFEE, T‑518/13, EU:T:2016:389, punto 114).

64

È alla luce delle suesposte considerazioni che occorre esaminare le tre parti del motivo unico dedotto dalla ricorrente.

Sulla prima parte, vertente sull’assenza di notorietà del marchio anteriore

65

Nell’ambito della prima parte del motivo, la ricorrente sostiene che la commissione di ricorso ha commesso un errore di valutazione ritenendo che gli elementi di prova forniti dall’interveniente fossero sufficienti ad accertare che il marchio anteriore godeva di notorietà nell’Unione.

66

A tal proposito, occorre, in via preliminare, ricordare che, come indicato nei summenzionati punti 23 e 24, un marchio dell’Unione europea, come il marchio anteriore, può beneficiare della tutela attribuita dall’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 soltanto se il medesimo gode di notorietà nell’Unione.

67

Nel caso di specie, l’interveniente ha prodotto, nel corso del procedimento di opposizione, vari documenti volti a provare l’uso effettivo dei suoi marchi anteriori nonché la notorietà di questi ultimi quando apposti su indumenti o su calzature per lo sport. Tra tali documenti comparivano, segnatamente, un memorandum sulla prova dell’uso di vari marchi tedeschi e di una registrazione internazionale, una dichiarazione giurata relativa al giro d’affari del «marchio adidas», sondaggi vertenti sulle quote di mercato dell’impresa nonché sulla notorietà dei suoi marchi, decisioni di giudici nazionali, cataloghi, ritagli di stampa e messaggi pubblicitari.

68

Sia la divisione d’opposizione, nella sua decisione del 22 maggio 2012 (pagine 3 e 4), sia la commissione di ricorso, prima nella decisione del 28 novembre 2013 (punto 66), poi, di nuovo, nella decisione impugnata (punti da 33 a 42 e 59), hanno ritenuto che tali elementi di prova, considerati nel loro complesso, dimostrassero che il marchio figurativo composto da tre strisce parallele apposte su un scarpa godeva di notorietà nell’Unione.

69

Tra gli elementi dedotti dall’interveniente e menzionati dalla divisione di opposizione e dalla commissione di ricorso, il Tribunale ritiene che taluni siano particolarmente rilevanti, laddove, in particolare, riguardano la notorietà di marchi anteriori dell’interveniente apposti su una scarpa.

70

In primo luogo, la divisione d’opposizione e la commissione di ricorso hanno ricordato che il marchio figurativo composto da tre strisce parallele era stato apposto dall’interveniente su scarpe fin dal 1949 e che lo stesso compariva attualmente sul 70% delle scarpe commercializzate dall’interveniente. Tali organi hanno anche menzionato i risultati di uno studio realizzato nel 2004 da cui emergeva che, nel mercato tedesco, le quote di mercato detenute dall’interveniente per le calzature per lo sport, nel periodo 2000-2004, erano tra il 23,1% e il 25,7%. Inoltre, l’interveniente ha fornito all’EUIPO una dichiarazione giurata che indicava in modo dettagliato, per gli anni 2005-2009, l’importo delle sue vendite di scarpe quello delle sue spese pubblicitarie nei tredici Stati membri, ossia la Danimarca, la Germania, la Grecia, la Spagna, la Francia, l’Italia, l’Austria, il Portogallo, la Finlandia, la Svezia nonché, complessivamente, i tre Stati del Benelux. Da tale dichiarazione giurata, non priva di valore probatorio, risulta che l’interveniente realizza un fatturato significativo e sostiene considerevoli spese pubblicitarie negli Stati membri summenzionati. Pertanto, il Tribunale ritiene che tali diversi elementi, considerati complessivamente, consentano di accertare la grandissima diffusione, per un lungo periodo, delle scarpe prodotte dall’interveniente con un marchio figurativo composto da tre strisce parallele.

71

In secondo luogo, gli organi summenzionati hanno fatto presente, nelle loro decisioni, che diversi sondaggi d’opinione avevano rivelato che il pubblico di riferimento conosceva bene il marchio costituito da tre strisce parallele, in particolare quando il medesimo era apposto su una scarpa. A tal proposito, il Tribunale constata che l’interveniente ha fornito all’EUIPO vari sondaggi diretti a determinare, in un campione di persone interrogate, la percentuale di persone che, messe di fronte a una scarpa sulla quale è apposto un marchio simile al marchio anteriore e costituito da tre strisce parallele, ritengono che si tratti di un prodotto dell’interveniente o, almeno, associano tale scarpa a quest’ultima. Da un sondaggio realizzato nel 2008 in Spagna emerge, ad esempio, che in tale Stato membro, il 61,3% delle persone interrogate riconosce detta scarpa come un prodotto dell’intervenente o l’associa a quest’ultima, tale percentuale raggiungendo anche l’83,3% tra le persone d’età compresa tra i 15 e i 34 anni, le quali rappresentano la parte essenziale del pubblico di riferimento dell’interveniente. Parimenti, secondo un sondaggio realizzato in Italia nel 2005, il 42% delle persone interrogate – e fino al 55% di quelle appartenenti al pubblico di riferimento delle calzature per lo sport – associa spontaneamente una scarpa del genere all’interveniente. Il tasso di associazione spontanea con l’interveniente raggiunge addirittura il 71% in Svezia secondo un sondaggio effettuato in tale Stato membro nel 2003. Infine, altri studi, realizzati segnatamente in Germania nel 1983, a Liverpool (Regno Unito) nel 1995 e in Finlandia nel 2005, sono volti a dimostrare che, anche, in questi Stati membri, il grande pubblico conosce il marchio dell’interveniente consistente in tre strisce parallele quando è apposto su una scarpa.

72

In terzo luogo, la divisione di opposizione e la commissione di ricorso hanno menzionato il fatto che diverse decisioni di giudici nazionali avevano riconosciuto la notorietà del marchio dell’interveniente consistente in tre strisce parallele. A tal proposito, il Tribunale constata che l’interveniente ha effettivamente prodotto dinanzi all’EUIPO varie decisioni di giudici nazionali che hanno statuito che tale marchio, quando era apposto su scarpe, godeva di notorietà. È questo, in particolare, il caso di una sentenza del 12 febbraio 1987 del Korkein oikeus (Corte suprema, Finlandia), di una sentenza del 1o ottobre 1998 dell’Audiencia Provincial de Valencia (Corte provinciale di Valencia, Spagna), di una sentenza del 20 maggio 2002 del Juzgado de lo Mercantil de Madrid (Tribunale di commercio di Madrid, Spagna), di una sentenza del 24 gennaio 2003 dell’Oberlandesgericht Köln (Tribunale superiore del Land di Colonia, Germania), di vari sentenze pronunciate nel 2004 dal Polymeles Protodikeio Athinon (Tribunale collegiale di primo grado di Atene, Grecia) nonché dal Polymeles Protodikeio Thessaloniki (Tribunale collegiale di primo grado di Salonicco, Grecia), di una sentenza del 31 agosto 2005 del Helsingin käräjäoikeus (Tribunale di primo grado di Helsinki, Finlandia), di una sentenza del 19 ottobre 2005 del Landesgericht Graz (Tribunale del Land di Graz, Austria), di una sentenza del 31 luglio 2009 del Juzgado de lo Mercantil de Zaragoza (Tribunale di commercio di Saragozza, Spagna) e di una sentenza del 7 ottobre 2010 del Tribunale civile di Roma (Italia). Inoltre, dagli elementi prodotti dall’interveniente risulta che, in Spagna e nel Regno Unito, anche le autorità amministrative nazionali competenti in materia di diritto dei marchi sono pervenute alla medesima conclusione.

73

In quarto luogo, gli organi summenzionati dell’EUIPO hanno anche tenuto conto della considerevole attività di sponsorizzazione dell’interveniente. In particolare, quest’ultima sarebbe stata presente durante prestigiose manifestazioni sportive, come la Coppa del mondo di calcio del 1998, in Francia, il Campionato europeo di calcio del 2000 in Belgio e nei Paesi Bassi o la Coppa del mondo di calcio nel 2002 in Corea del Sud e in Giappone, e sarebbe il fornitore ufficiale di varie squadre di calcio, come il FC Bayern o il Real Madrid. Pertanto, mediante tale attività di sponsorizzazione, molti giocatori di calcio e di tennis conosciutissimi indossano, in particolare, scarpe sulle quali è apposto il marchio costituito da tre strisce parallele.

74

La ricorrente contesta tuttavia la valutazione fornita dalla commissione di ricorso e, prima di essa, dalla divisione di opposizione, formulando tre serie di obiezioni.

75

In primo luogo, la ricorrente lamenta che i documenti prodotti dall’interveniente sarebbero per la maggior parte relativi non al marchio anteriore, bensì ad altri marchi dell’interveniente, utilizzati principalmente in Germania, alcuni dei quali apposti su indumenti. Orbene, la prova dell’uso, in Germania, di tali diversi marchi non consentirebbe di dimostrare la notorietà nell’Unione del marchio anteriore.

76

Per quanto attiene, innanzitutto, alla circostanza che taluni elementi di prova sarebbero relativi a marchi dell’interveniente diversi dal marchio anteriore medesimo, occorre ricordare, che, conformemente alla giurisprudenza richiamata al punto 28 supra, il titolare di un marchio registrato può avvalersi, al fine di dimostrare la notorietà di quest’ultimo, di elementi che provano la sua notorietà in una forma diversa e segnatamente nella forma di un altro marchio registrato, purché il pubblico interessato continui a percepire i prodotti in questione come provenienti dalla medesima impresa.

77

Orbene, nel caso di specie, dal punto 42 della decisione impugnata risulta che la commissione di ricorso ha correttamente considerato che, sebbene le prove prodotte dall’interveniente riguardassero l’insieme dei marchi anteriori, quelle relative al marchio anteriore medesimo e al marchio tedesco n. 39950559 erano tuttavia particolarmente rilevanti.

78

Alla luce della notevole contiguità visiva tra tali due marchi, entrambi composti da tre strisce parallele apposte nella medesima posizione su delle scarpe, non vi è alcun dubbio, infatti, che il pubblico di riferimento, di fronte all’uno o all’altro dei suddetti marchi, percepirà i prodotti in parola come provenienti dalla medesima impresa. Pertanto, gli elementi di prova relativi al marchio tedesco n. 39950559 sono rilevanti al fine di dimostrare la notorietà del marchio anteriore. Lo stesso dicasi, d’altronde, per gli elementi di prova relativi ad altri marchi consistenti in tre strisce parallele apposte, nella medesima posizione, su delle scarpe, quali ad esempio, i marchi tedeschi n. 944623 e n. 944624.

79

Per quanto concerne, poi, la circostanza che taluni elementi di prova riguardino marchi apposti su indumenti, occorre, certamente, escluderli in quanto non pertinenti nel caso di specie. Tuttavia, occorre rilevare che dal precedente punto 77 risulta che la commissione di ricorso non si è principalmente basata su tali elementi e che, al contrario, gli elementi più rilevanti forniti dall’interveniente, enumerati ai punti da 70 a 73 supra, riguardano i marchi apposti su scarpe e non su indumenti.

80

Quanto, infine, al fatto che alcuni marchi dell’interveniente sarebbero utilizzati principalmente in Germania, occorre ricordare che, in virtù della giurisprudenza citata ai precedenti punti da 25 a 27, per beneficiare della tutela prevista dall’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, il marchio anteriore, che è un marchio dell’Unione europea, deve essere conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi coperti dal medesimo, in una parte sostanziale del territorio dell’Unione, la quale può, in determinati casi, essere costituita dal territorio di un solo Stato membro.

81

Orbene, nelle circostanze del caso di specie, il territorio della Germania può essere considerato una parte sostanziale del territorio dell’Unione.

82

Del resto, occorre rilevare che alcuni elementi di prova forniti, e segnatamente quelli menzionati ai punti 71 e 72 supra, sono tali da dimostrare la notorietà del marchio anteriore in diversi altri Stati membri, tra cui la Spagna, la Finlandia, l’Italia e la Svezia. Orbene, è evidente che tali Stati membri, considerati complessivamente, costituiscono una parte sostanziale del territorio dell’Unione, a maggior ragione se vi si aggiunge la Germania, Stato membro dal quale l’interveniente ha sviluppato la sua attività.

83

In secondo luogo, la ricorrente sostiene che i documenti relativi all’attività dell’interveniente e alla notorietà del suo nome non sarebbero rilevanti per dimostrare l’uso e la notorietà del marchio anteriore e del marchio tedesco n. 39950559.

84

A tal proposito, occorre rilevare che il Tribunale ha enumerato, ai punti da 70 a 73 supra, gli elementi più rilevanti prodotti dall’interveniente e presi in considerazione dalla commissione di ricorso. È necessario constatare che tali elementi non vertono sull’attività in generale dell’interveniente e sulla notorietà del nome adidas e che alcuni di essi sono, tutt’al più, relativi alla sua attività di produzione di calzature per lo sport e alla diffusione di tali prodotti contrassegnati da un marchio figurativo composto da tre strisce parallele. Laddove gli elementi summenzionati, considerati globalmente, sono da soli sufficienti per dimostrare l’uso e la notorietà di taluni marchi anteriori dell’interveniente apposti su scarpe, e segnatamente del marchio anteriore medesimo e del marchio tedesco n. 39950559, la ricorrente non può utilmente avvalersi del fatto che, tra tutti i documenti prodotti dall’interveniente, taluni presentino un carattere più generale e siano relativi all’attività di quest’ultima e alla notorietà del suo nome.

85

In terzo luogo, la ricorrente evidenzia che i documenti che menzionano specificamente il marchio anteriore sarebbero pochi e consisterebbero o in sondaggi riguardanti numeri esigui di partecipanti in aree geografiche limitate o in decisioni giudiziarie non basate su prove della notorietà di tale marchio.

86

A tal proposito, occorre rilevare, da un lato, che i sondaggi menzionati al precedente punto 71 sono stati effettuati in vari Stati membri e in base a campioni significativi, ossia 319 persone per il sondaggio effettuato in Finlandia, 330 persone per quello condotto in Spagna – e non nella sola città di Saragozza –; 500 persone per il sondaggio realizzato in Italia, 675 persone per quello effettuato in Germania e 18000 persone per quello condotto in Svezia. Solo il campione, di 82 persone, corrispondente al sondaggio realizzato a Liverpool, sembra, da solo, insufficiente a dimostrare, in modo certo, la notorietà del marchio anteriore nel Regno Unito, anche se tende a confermare una certa notorietà di tale marchio in una delle principali città di tale Stato membro.

87

Dall’altro lato, la ricorrente non contesta utilmente il valore probatorio delle decisioni dei giudici nazionali che menzionano la notorietà del marchio anteriore, limitandosi ad affermare che esse non sarebbero sostenute da prove relative alla notorietà.

88

In tale contesto, le obiezioni formulate dalla ricorrente devono essere respinte e gli elementi menzionati ai precedenti punti da 70 a 73 risultano sufficienti a dimostrare che il marchio anteriore era conosciuto da una parte significativa del pubblico di riferimento, e in una parte sostanziale del territorio dell’Unione.

89

Di conseguenza, occorre confermare la valutazione fornita dalla divisione di opposizione e poi dalla commissione di ricorso quanto all’esistenza della notorietà del marchio anteriore.

90

Da quanto precede risulta che la prima parte del motivo dev’essere respinta.

Sulla seconda parte, vertente sull’assenza di pregiudizio arrecato alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore

91

Nell’ambito della seconda parte del motivo, la ricorrente sostiene, in sostanza, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla commissione di ricorso, l’uso del marchio richiesto non trarrebbe indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore e neppure arrecherebbe loro pregiudizio.

92

Tale parte si articola in quattro censure, in quanto la ricorrente sostiene che il ragionamento della commissione di ricorso è affetta da vari errori di valutazione consistenti, in primo luogo, in un’applicazione erronea del «test del consumatore medio», in secondo luogo, nella mancanza di valutazione complessiva del grado di somiglianza tra i marchi in conflitto, in terzo luogo, nella mancanza di presa in considerazione del carattere distintivo intrinseco molto debole del marchio anteriore e, in quarto luogo, nella mancanza di valutazione autonoma e, in ogni caso, nella valutazione erronea del rischio di pregiudizio al carattere distintivo o alla notorietà del marchio anteriore.

Sul primo motivo, vertente sulla non corretta applicazione del «test del consumatore medio»

93

La ricorrente ritiene che la commissione di ricorso non abbia applicato correttamente il «test del consumatore medio» e che abbia inficiato, a tal riguardo, la sua decisione a causa di diversi errori di analisi, i quali, per la maggior parte, sarebbero già stati commessi dal Tribunale nella sentenza di annullamento.

94

Essa contesta, anzitutto, alla commissione di ricorso di aver ritenuto, erroneamente, che gli indumenti e le calzature per lo sport fossero beni di consumo corrente, mentre si tratterebbe in realtà di articoli specializzati. Essa evidenzia, poi, che la commissione di ricorso ha omesso di riconoscere la circostanza che talune parti di indumenti e di calzature per lo sport avevano una funzione pubblicitaria o di sponsorizzazione e che era, in particolare, molto frequente che marchi o segni figurativi come delle strisce fossero apposti su tali prodotti. La ricorrente spiega che il consumatore medio di calzature per lo sport è abituato a far affidamento su tali segni al momento della scelta dei beni che acquista e che, per tale ragione, è in genere capace di distinguere diverse marche di calzature per lo sport, anche simili. Essa sostiene, infine, che la commissione di ricorso ha omesso di riconoscere il fatto che il consumatore medio prestasse un’attenzione particolarmente elevata alla parte laterale delle calzature per lo sport e ai marchi figurativi che vi erano apposti. Di conseguenza, la commissione di ricorso avrebbe commesso un errore di valutazione ritenendo che il consumatore medio di calzature per lo sport non avesse dimostrato un livello di attenzione elevato, bensì soltanto un livello di attenzione basso.

95

Alla luce di tale argomentazione, risulta che la prima censura della ricorrente è volta, in sostanza, a mettere in discussione la valutazione fornita dalla commissione di ricorso quanto al grado di attenzione del pubblico di riferimento e a pretendere che venga preso in considerazione un grado di attenzione elevato.

96

A tal proposito, occorre rilevare che la commissione di ricorso non ha espressamente definito nella decisione impugnata il grado di attenzione del pubblico di riferimento.

97

Tuttavia, da un lato, la commissione di ricorso ha menzionato, al punto 10 della decisione impugnata, il fatto che essa aveva valutato, al punto 51 della sua precedente decisione del 28 novembre 2013, che il grado di attenzione che il consumatore medio presta ai prodotti controversi non era superiore alla media. Dall’altro, essa ha ricordato, al punto 57 della decisione impugnata, che anche il Tribunale aveva ritenuto, al punto 40 della sentenza di annullamento, che il consumatore medio dei suddetti prodotti dimostrasse un livello di attenzione medio. Date tali circostanze, si deve ritenere che la commissione di ricorso abbia considerato, nella decisione impugnata, un grado di attenzione medio, conformemente a quanto stabilito nella sentenza di annullamento.

98

Occorre, pertanto, esaminare se è ammissibile ed, eventualmente, legittimo che la ricorrente contesti la valutazione così fornita dalla commissione di ricorso in riferimento al grado di attenzione del pubblico di riferimento.

99

L’EUIPO e l’interveniente evidenziano, infatti, che la questione del grado di attenzione del pubblico di riferimento è stata definitivamente chiarita dal Tribunale e dalla Corte, rispettivamente, nella sentenza di annullamento e nell’ordinanza su impugnazione. L’EUIPO precisa che tali pronunce giurisdizionali hanno autorità di cosa giudicata.

100

A tal proposito, occorre rilevare che, per affermare che la commissione di ricorso aveva commesso errori nella sua valutazione relativa alla somiglianza dei segni in conflitto e per annullare la decisione del 28 novembre 2013, il Tribunale si è, in particolare, basato, ai punti 33 e 40 della sentenza di annullamento, sulla duplice circostanza, da un lato, che le «calzature per lo sport» erano beni di consumo corrente e, dall’altro, che il pubblico di riferimento, costituito dal consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, aveva dato prova di un grado di attenzione medio al momento dell’acquisto delle suddette «calzature per lo sport». La ricorrente ha tentato di contestare tali valutazioni di fatto dinanzi alla Corte, ma quest’ultima ha respinto la sua argomentazione in quanto, in parte, inammissibile e, in parte, manifestamente infondata (ordinanza su impugnazione, punti da 11 a 18). Ne consegue che la sentenza di annullamento della decisione del 28 novembre 2013 è divenuta definitiva.

101

Orbene, da una giurisprudenza costante risulta che una sentenza di annullamento, una volta divenuta definitiva, ha autorità assoluta di cosa giudicata (vedi sentenza del 29 aprile 2004, Italia/Commissione, C‑372/97, EU:C:2004:234, punto 36 e giurisprudenza ivi citata). Il giudicato riguarda sia il dispositivo della sentenza sia la motivazione, la quale costituisce il necessario fondamento di tale dispositivo e ne è di conseguenza inscindibile (v. sentenza del 1o giugno 2006, P & O European Ferries (Vizcaya) e Diputación Foral de Vizcaya/Commissione, C‑442/03 P e C‑471/03 P, EU:C:2006:356, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

102

Inoltre, ai sensi dell’articolo 65, paragrafo 6, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 72, paragrafo 6, del regolamento n. 2017/1001), l’EUIPO è tenuto a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi a una sentenza del giudice dell’Unione. A tal proposito, da giurisprudenza costante risulta che, per conformarsi alla sentenza di annullamento e dare a essa piena esecuzione, l’istituzione da cui proviene l’atto annullato è tenuta a rispettare non soltanto il dispositivo della sentenza, ma anche la motivazione che ha condotto a tale dispositivo e che ne costituisce il sostegno necessario. È la motivazione, infatti che, da un lato, individua la disposizione esatta giudicata illegittima e, dall’altro, permette di conoscere le ragioni precise dell’illegittimità accertata nel dispositivo e che l’istituzione interessata deve prendere in considerazione nel sostituire l’atto annullato [v. sentenze del 25 marzo 2009, Kaul/UAMI – Bayer (ARCOL), T‑402/07, EU:T:2009:85, punto 22 e giurisprudenza ivi citata, e del 13 aprile 2011, Safariland/UAMI – DEF-TEC Defense Technology (FIRST DEFENSE AEROSOL PEPPER PROJECTOR), T‑262/09, EU:T:2011:171, punto 41].

103

Nel caso di specie, occorre rilevare che la motivazione della sentenza di annullamento, ricordata al punto 100 supra, relativa al grado di attenzione del pubblico di riferimento costituisce il fondamento necessario del dispositivo di tale sentenza. Pertanto, anche tale motivazione ha autorità di cosa giudicata e la commissione di ricorso era tenuta a conformarsi alla medesima.

104

Orbene, si deve constatare che, considerando, come rilevato al precedente punto 97, un grado di attenzione medio, la commissione di ricorso si è effettivamente e pienamente conformata alla motivazione summenzionata della sentenza di annullamento.

105

Ne consegue che la ricorrente non può contestare la fondatezza della valutazione fornita dalla commissione di ricorso per quanto riguarda il grado di attenzione del pubblico di riferimento.

106

Del resto, occorre notare che, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, la commissione di ricorso, nella decisione impugnata, non ha qualificato come debole il grado di attenzione del pubblico di riferimento. Dai precedenti punti 97 e 104 risulta, infatti, che la commissione di ricorso ha, in realtà, considerato un grado di attenzione medio.

107

Per di più, nessun elemento del fascicolo consente di mettere in discussione tale valutazione e giustificare che il grado di attenzione del consumatore medio dei prodotti controversi sia qualificato come elevato. A tal proposito, occorre notare che, nella sua precedente decisione del 28 novembre 2013, la commissione di ricorso aveva già ritenuto, correttamente, che un consumatore del genere non avesse dato prova di un grado di attenzione superiore alla media, per i motivi che i prodotti in parola, rientranti nella classe 25 (calzature e abbigliamento) erano prodotti di largo consumo, frequentemente acquistati e utilizzati dal consumatore dell’Unione, che non erano né costosi né rari, che il loro acquisto e il loro utilizzo non necessitava di conoscenze specifiche e che non avevano un impatto grave sulla salute, sul budget o sulla vita del consumatore. Inoltre, il Tribunale ha già ritenuto più volte che i prodotti rientranti nella classe 25, e in particolare le «calzature», le «calzature per lo sport» o ancora le «scarpe», fossero beni di consumo corrente per i quali il pubblico di riferimento dava prova di un grado di attenzione medio [v., in tal senso, sentenze del 16 ottobre 2013, Zoo Sport/UAMI – K-2 (zoo sport), T‑455/12, non pubblicata, EU:T:2013:531, punti 28, 30, 36, 3942, e del 25 febbraio 2016, Puma/UAMI – Sinda Poland (Raffigurazione di un animale), T‑692/14, non pubblicata, EU:T:2016:99, punto 25]. Ne consegue che la valutazione della commissione di ricorso secondo cui il consumatore medio di prodotti designati dal marchio richiesto, ossia le «calzature» rientranti nella classe 25, dimostra un grado di attenzione medio non può, in ogni caso, che essere confermata.

108

Pertanto, la prima censura della seconda parte del motivo è inammissibile e, comunque, infondata, sicché deve essere respinta.

Sulla seconda censura, vertente su una mancanza di valutazione complessiva del grado di somiglianza tra i marchi in conflitto

109

La ricorrente sostiene che la commissione di ricorso non ha correttamente valutato, nella decisione impugnata, il grado di somiglianza tra i marchi in conflitto. Essa, infatti, si sarebbe limitata ad adottare la conclusione del Tribunale nella sentenza di annullamento, secondo cui i marchi in conflitto sarebbero, in una certa misura, simili, invece di procedere a una sua propria analisi delle somiglianze e delle differenze tra i marchi. La ricorrente precisa che la commissione di ricorso avrebbe, in particolare, dovuto tener conto di alcune differenze, relative alla lunghezza e al colore delle strisce, non menzionate nella decisione del 28 novembre 2013 e, per tale ragione, non esaminate dal Tribunale nella sentenza del 21 maggio 2015. Essa aggiunge che la divisione di opposizione, per quanto la concerne, ha proceduto a una comparazione approfondita dei marchi in conflitto, basandosi segnatamente sulla circostanza che il marchio richiesto è un «marchio di posizione», mentre il marchio anteriore è un marchio figurativo.

110

A tal proposito, occorre, preliminarmente, constatare che la commissione di ricorso ha effettivamente ritenuto, ai punti 58, 60 e 62 della decisione impugnata, che i marchi in conflitto fossero, in una certa misura, simili sul piano visivo.

111

Tuttavia, dalla decisione impugnata risulta parimenti, e segnatamente dei punti 18, 20 e 57, che per pervenire a tale conclusione la commissione di ricorso si è basata sulla circostanza che, nella sentenza di annullamento, il Tribunale aveva analizzato le somiglianze e le differenze tra i marchi in conflitto (sentenza di annullamento, punti 34, 35, 39 e 40) e aveva concluso che i marchi erano, in una certa misura, simili sul piano visivo (sentenza di annullamento, punto 43).

112

Orbene, l’EUIPO evidenzia correttamente che la questione della somiglianza dei marchi in conflitto è stata definitivamente chiarita dalla motivazione della sentenza di annullamento passata in giudicato.

113

La motivazione di tale sentenza che conclude per l’esistenza di una certa somiglianza dei marchi in conflitto costituisce, infatti, il fondamento necessario del dispositivo di tale sentenza che annulla la decisione del 28 novembre 2013. Occorre a tal proposito rilevare che l’annullamento pronunciato con detta sentenza è fondato sulla motivazione secondo cui la valutazione erronea fornita dalla commissione di ricorso quanto alla somiglianza dei marchi in conflitto aveva influenzato, segnatamente, la valutazione condotta dalla commissione di ricorso relativamente al rischio che il pubblico stabilisse un nesso tra tali marchi e che si verificasse uno dei due pregiudizi di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 (sentenza di annullamento, punti da 51 a 54).

114

Ne consegue che, conformemente alla giurisprudenza menzionata ai precedenti punti 101 e 102, la commissione di ricorso, al momento della verifica della fondatezza dell’opposizione ai sensi delle disposizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, non poteva discostarsi dalla valutazione fornita dal Tribunale nella sentenza di annullamento relativamente alla somiglianza dei marchi in conflitto.

115

Pertanto, la ricorrente non può contestare la motivazione della decisione impugnata che riporta la conclusione del Tribunale relativa alla somiglianza tra i marchi in conflitto. Di conseguenza, essa non può utilmente contestare alla commissione di ricorso di essersi limitata ad adottare la suddetta conclusione invece di svolgere una propria analisi del grado di somiglianza tra i marchi in conflitto.

116

Tale conclusione così come la valutazione fornita dal Tribunale e successivamente dalla commissione di ricorso non possono, comunque, essere messe in discussione dagli altri argomenti della ricorrente menzionati al punto 109 supra.

117

In primo luogo, infatti, è certamente corretto, come rilevato dalla ricorrente, che il Tribunale ha specificato, al punto 44 della sentenza di annullamento, che taluni elementi addotti dinanzi al medesimo da parte dell’EUIPO e della ricorrente, volti a dimostrare che i marchi in conflitto erano differenti per il diverso colore e la diversa lunghezza delle strisce parallele apposte sui prodotti della ricorrente e dell’interveniente, «[non erano] pertinenti in quanto [non erano] stati menzionati dalla commissione di ricorso nella decisione [del 28 novembre 2013]». Il Tribunale ha parimenti aggiunto, al punto 44 della suddetta sentenza, che «[t]ali nuovi elementi non possono integrare la motivazione della decisione [del 28 novembre 2013] e non influenzano la valutazione della validità di quest’ultima».

118

Tuttavia, occorre rilevare, da un lato, che il Tribunale ha parimenti considerato, sempre al punto 44 della sentenza di annullamento, che, quanto all’argomento relativo alla diversa lunghezza delle strisce risultante dalla loro differente inclinazione, tale differenza minima tra i marchi in conflitto non poteva essere percepita dal consumatore medio, in quanto quest’ultimo dava prova di un grado di attenzione medio, e che tale differenza non influenzava la percezione complessiva prodotta dai marchi in conflitto risultante dalla presenza di spesse strisce oblique sulla parte laterale della scarpa. Pertanto, risulta che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il Tribunale ha ben preso in considerazione il fatto che le strisce che costituiscono i marchi in conflitto potevano presentare una diversa lunghezza.

119

Dall’altro lato, se è vero che il Tribunale non ha espressamente preso in considerazione il colore delle strisce, occorre precisare, anzitutto che spettava alla ricorrente, qualora ritenesse di avervi diritto, contestare tale mancanza di presa in considerazione nell’impugnazione che essa ha proposto avverso la sentenza di annullamento. La Corte ha, poi, statuito, al punto 59 dell’ordinanza su impugnazione che, tenuto conto proprio del fatto che il Tribunale si era pronunciato sull’argomento attinente alla differenza di lunghezza tra le due strisce, quest’ultimo, nella sentenza di annullamento, aveva ben proceduto a una valutazione complessiva delle somiglianze e delle differenze del marchio in conflitto. Infine, dal fascicolo non risulta che la ricorrente e l’interveniente abbiano chiesto la registrazione, rispettivamente, del marchio richiesto e del marchio anteriore con un’indicazione di colore, secondo la regola 3, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 2868/95 della Commissione, del 13 dicembre 1995, recante modalità di esecuzione del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio sul marchio comunitario (GU 1995, L 303, pag. 1) [divenuto articolo 3, paragrafo 3, lettere b) e f), del regolamento di esecuzione (UE) 2017/1431 della Commissione, del 18 maggio 2017, recante modalità di esecuzione di alcune disposizioni del regolamento n. 207/2009 (GU 2017, L 205, pag. 39)]. Del resto, se è vero che le strisce del marchio richiesto sono di colore grigio mentre quelle del marchio anteriore sono di colore nero, i marchi in conflitto tuttavia riproducono entrambi strisce di colore scuro, sicché la leggera differenza di colore tra tali marchi non può invalidare la valutazione fornita dal Tribunale, poi dalla commissione di ricorso, quanto all’esistenza di un certo grado di somiglianza tra i marchi in conflitto.

120

In secondo luogo, la circostanza che la divisione di opposizione, per quanto la concerne, avrebbe proceduto a un confronto approfondito dei marchi in conflitto è, di per sé, irrilevante in riferimento alla fondatezza della valutazione fornita dal Tribunale, poi dalla commissione di ricorso, a proposito della somiglianza dei marchi. Occorre inoltre rilevare che la divisione di opposizione non ha solamente ritenuto, alla pagina 5 della sua decisione del 22 maggio 2012, che le differenze visive tra i marchi in conflitto compensassero le somiglianze tra questi ultimi, ma ha parimenti fatto presente, alle pagine 2, 5, 7 e 8 di tale decisione, che i marchi in conflitto presentavano somiglianze ed erano, di conseguenza, in un certo modo simili.

121

Inoltre, per quanto attiene all’argomento secondo cui il marchio richiesto sarebbe un «marchio di posizione», mentre il marchio anteriore sarebbe un marchio figurativo, occorre rilevare, come sostenuto dall’EUIPO in udienza, che il marchio anteriore, riprodotto al punto 7 supra, potrebbe parimenti essere qualificato come «marchio di posizione». Alla stregua del marchio richiesto, infatti, il marchio anteriore si compone unicamente di tre strisce parallele apposte su una scarpa, il cui contorno è rappresentato da una linea tratteggiata, per indicare che non è parte del marchio.

122

In ogni caso, la ricorrente non precisa, e il Tribunale non individua, in che modo l’asserita differenza tra i marchi in conflitto possa affievolire il grado di somiglianza di tali marchi.

123

A tal proposito, occorre rilevare che, contrariamente al regolamento 2017/1431, il regolamento n. 207/2009 e il regolamento n. 2868/95 non menzionano i «marchi di posizione» come categoria particolare di marchi. Inoltre, i «marchi di posizione» si avvicinano alle categorie di marchi figurativi e tridimensionali, dal momento che hanno ad oggetto l’applicazione di elementi figurativi tridimensionali sulla superficie del prodotto [sentenza del 15 giugno 2010, X Technology Swiss/UAMI (Colorazione arancione della punta di un calzino), T‑547/08, EU:T:2010:235, punto 20; v. anche, in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2014, Sartorius Lab Instruments/UAMI (Arco di circonferenza giallo nel bordo inferiore di uno schermo), T‑331/12, EU:T:2014:87, punto 14].

124

Per di più, è la stessa ricorrente a fare presente, basandosi sulle direttive dell’EUIPO, che la differenza tra tali due tipi di marchi attiene al fatto che un marchio figurativo conferisce una tutela complessiva a tutto il marchio, mentre un marchio di posizione conferisce tutela soltanto al modo in cui è presentato il marchio.

125

Pertanto, quand’anche accertata, l’asserita differenza tra i marchi in conflitto, consistenti entrambi in due strisce parallele apposte su una scarpa, può avere rilevanza, nel caso di specie, soltanto sulla quantità degli elementi tutelati da tali marchi e, pertanto, non risulta che possa avere un’incidenza sul grado di somiglianza tra i suddetti marchi, neanche sulla percezione che il pubblico di riferimento può avere dei medesimi.

126

Occorre inoltre notare che dalla decisione della divisione di opposizione non risulta che quest’ultima abbia dedotto una qualsivoglia conseguenza dalla diversa qualificazione dei marchi in conflitto in occasione della sua valutazione del grado di somiglianza di detti marchi.

127

Ciò posto, la ricorrente non può utilmente contestare alla commissione di ricorso di non aver tenuto conto di tale differenza tra i marchi in conflitto.

128

Pertanto, la seconda censura della seconda parte del motivo deve essere respinta in quanto inammissibile e, comunque, infondata.

Sulla terza censura, vertente sulla mancata presa in considerazione del carattere distintivo intrinseco molto debole

129

La ricorrente sostiene che la commissione di ricorso avrebbe commesso un errore di valutazione non pronunciandosi, nella decisione impugnata, sul grado di carattere distintivo del marchio anteriore e, in particolare, non prendendo in considerazione il fatto che tale marchio presentava un carattere distintivo intrinseco molto debole. Il grado di carattere distintivo, in particolare intrinseco, del marchio anteriore sarebbe, infatti, un criterio particolarmente significativo al fine di valutare, da un lato, il rischio che il pubblico di riferimento confonda, associ o accosti i marchi in conflitto e, dall’altro lato, la probabilità che si verifichi uno dei pregiudizi di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009. Per di più, anche in presenza di un marchio notorio, il grado di carattere distintivo di un marchio dipenderebbe dal carattere distintivo intrinseco del medesimo. Inoltre, il fatto che il marchio richiesto sia apposto su calzature, come il marchio anteriore e conformemente a una prassi corrente, e che, di conseguenza, i marchi in conflitto siano utilizzati su prodotti identici renderebbe il marchio anteriore ancora meno unico rispetto al caso in cui i marchi in conflitto fossero stati utilizzati per prodotti diversi.

130

Da tale argomentazione risulta che la ricorrente, da un lato, contesta alla commissione di ricorso di non aver esaminato e definito il grado di carattere distintivo, in particolare intrinseco, del marchio anteriore e, dall’altro, sostiene che il grado di carattere distintivo di tale marchio è poco elevato a causa, segnatamente, del carattere distintivo intrinseco molto debole del medesimo.

131

Occorre, in primo luogo, rilevare che la commissione di ricorso ha agito correttamente nel non prendere espressamente posizione, nella decisione impugnata, relativamente al grado di carattere distintivo, intrinseco o acquisito mediante l’uso, del marchio anteriore.

132

Tuttavia, la commissione di ricorso aveva precisato, ai punti 65, 67 e 83 della sua precedente decisione del 28 novembre 2013, che, se è vero che i marchi anteriori dell’interveniente, e segnatamente il marchio anteriore e il marchio tedesco n. 39950559, presentavano un carattere distintivo intrinseco debole, tale carattere debole era tuttavia compensato da un uso duraturo nel tempo e su vasta scala di tali marchi, cosicché questi ultimi avevano acquisito, almeno, un carattere distintivo normale. Tale valutazione del grado di carattere distintivo di tali marchi anteriori non è messa in discussione dal Tribunale nella sentenza di annullamento. Per di più, il punto 10 della decisione impugnata, che riassume il ragionamento seguito dalla commissione di ricorso nella decisione del 28 novembre 2013, riporta tale valutazione. Date tali circostanze, si deve ritenere che la commissione di ricorso, nella decisione impugnata, abbia mantenuto la sua precedente valutazione del grado di carattere distintivo del marchio anteriore.

133

Pertanto, la ricorrente non può fondatamente sostenere che la commissione di ricorso ha totalmente omesso, nella decisione impugnata, di prendere in considerazione il grado di carattere distintivo del marchio anteriore.

134

In secondo luogo, occorre ricordare che dall’esame della prima parte del motivo (v. punti da 65 a 90 supra) risulta che il marchio anteriore gode di notorietà nell’Unione. In più, si rileverà al successivo punto 162 che tale notorietà può essere qualificata come elevata.

135

Orbene, quando è accertata la notorietà di un marchio, non è rilevante dimostrare il carattere distintivo intrinseco di tale marchio per poter ritenere che il medesimo possieda un carattere distintivo (ordinanza su impugnazione, punti 75 e 76). Un marchio anteriore può possedere, infatti, un carattere distintivo particolare non soltanto intrinsecamente, ma anche grazie alla notorietà di cui gode presso il pubblico (v., per analogia, sentenza dell’11 novembre 1997, SABEL, C‑251/95, EU:C:1997:528, punto 24), cosicché, quando un marchio ha acquisito un carattere distintivo particolare grazie alla sua notorietà, è irrilevante, nell’ambito della valutazione dell’esistenza di un nesso tra i marchi in conflitto e, di conseguenza, di un pregiudizio ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, argomentare che tale marchio ha soltanto un carattere distintivo intrinseco debole (v., per analogia, sentenza del 17 luglio 2008, L & D/UAMI, C‑488/06 P, EU:C:2008:420, punti 6768).

136

Ciò posto, la valutazione della commissione di ricorso secondo cui il marchio anteriore, dato l’ampio uso, possiede un carattere distintivo normale non può che essere confermata.

137

Pertanto, la ricorrente non può fondatamente sostenere, in primo luogo, che la commissione di ricorso avrebbe dovuto prendere in considerazione, nella decisione impugnata, il grado di carattere distintivo intrinseco del marchio anteriore e, in secondo luogo, che, a causa del carattere distintivo intrinseco debole, il grado di carattere distintivo del marchio anteriore avrebbe dovuto essere riesaminato e considerato debole.

138

La terza censura della seconda parte del motivo, di conseguenza, deve essere respinta.

Sulla quarta censura, vertente sulla mancanza di valutazione autonoma e, comunque, sulla valutazione erronea del rischio di pregiudizio al carattere distintivo o alla notorietà del marchio anteriore

139

La ricorrente sostiene, in sostanza, che l’uso del marchio richiesto non trarrebbe indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore e neanche arrecherebbe loro pregiudizio.

140

Più precisamente, la ricorrente formula due sotto censure nei confronti della decisione impugnata. Da un lato, la commissione di ricorso non avrebbe valutato, «in maniera autonoma», se l’uso del marchio richiesto traesse indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o arrecasse loro pregiudizio. Dall’altro lato, la commissione di ricorso non avrebbe tenuto in considerazione il fatto che l’interveniente non avrebbe dimostrato, durante il procedimento di opposizione, poi di ricorso, l’esistenza di un vantaggio indebito o di un pregiudizio, quando invece i marchi in conflitto avrebbero coesistito pacificamente nel mercato per molti anni e che, date tali circostanze, il pregiudizio asserito avrebbe dovuto emergere chiaramente nel mercato.

141

Occorre, dunque, verificare se tali due sotto censure siano fondate, alla luce della motivazione della decisione impugnata e di tutti gli elementi rilevanti che compaiono nel fascicolo.

Sulla prima sotto censura, vertente sulla mancanza di una verifica autonoma circa l’esistenza di un pregiudizio alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore

142

Occorre, in via preliminare, esporre brevemente il ragionamento seguito dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata.

143

Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha anzitutto riconosciuto, in sostanza, al punto 61 della decisione impugnata, che, sebbene il marchio richiesto fosse registrato, sarebbe affievolito il grado di associazione tra, da un lato, il marchio anteriore, che evoca un «goodwill», un’immagine prestigiosa e una buona reputazione, e, dall’altro, l’interveniente, cosicché l’esclusività del marchio anteriore risulterebbe «diluita». A tal proposito, la decisione impugnata accerta un «goodwill» reale, risultante da diversi decenni di promozione di tale marchio, d’intensa pubblicità e di costante massiccia presenza nel mercato.

144

La commissione di ricorso ha poi rilevato, ai punti 60, 62 e 63 della decisione impugnata, che il marchio anteriore godeva di notorietà ragguardevole e mondiale, che i marchi in conflitto erano simili, che i prodotti controversi erano identici e che, di conseguenza, anche il pubblico di riferimento era identico. Al punto 63 della decisione impugnata, essa ha aggiunto che, ciò posto, era inevitabile che i clienti della ricorrente conoscessero il marchio anteriore e stabilissero «un nesso di associazione» con il marchio richiesto.

145

Infine, alla luce di tali elementi, la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 65 della decisione impugnata, che, nel caso di specie, fosse molto probabile che l’uso del marchio richiesto traesse, intenzionalmente o non intenzionalmente, indebito profitto dalla notorietà ben dimostrata del marchio anteriore nonché dal notevole investimento effettuato dall’interveniente al fine di raggiungere tale notorietà.

146

Dai termini così ricordati della decisione impugnata risulta che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la commissione di ricorso ha, dal suo canto, ben valutato se, nel caso di specie, l’uso del marchio richiesto rischiasse di trarre indebito vantaggio dalla notorietà del marchio anteriore. In tale contesto, la commissione di ricorso ha preso in considerazione, al punto 61 della decisione impugnata e in via incidentale, conformemente alla giurisprudenza menzionata al punto 50 supra, la possibilità che tale uso arrecasse pregiudizio al carattere distintivo del marchio anteriore, in conseguenza della «diluizione» dell’esclusività del marchio anteriore.

147

La commissione di ricorso invece, da un lato, non si è pronunciata sull’esistenza di un pregiudizio arrecato alla notorietà del marchio anteriore e, dall’altro lato, si è espressa solo in maniera indiretta sull’esistenza di un pregiudizio arrecato al carattere distintivo del marchio anteriore. Per accogliere l’opposizione fondata sull’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, infatti, la commissione di ricorso si è anzitutto basata sul motivo secondo cui l’uso del marchio richiesto trarrebbe indebito vantaggio dalla notorietà del marchio anteriore, motivo che era soltanto parzialmente e indirettamente fondato sul rischio di indebolimento o di «diluizione» del carattere distintivo di tale marchio.

148

Tuttavia, tenuto conto dell’alternatività, ricordata al punto 37 supra, dei tre tipi di pregiudizi di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, il motivo attinente al fatto che l’uso del marchio richiesto trarrebbe indebito vantaggio dalla notorietà del marchio anteriore, se effettivamente fondato, basterebbe a motivare un diniego di registrazione, purché non sussista un giusto motivo per l’uso del marchio richiesto. Ne consegue che la ricorrente non può utilmente contestare alla commissione di ricorso di non essersi pronunciata sulla sussistenza o insussistenza di un altro tipo di pregiudizio diverso da quello considerato dalla medesima. Pertanto, gli argomenti della ricorrente vertenti sulla mancata verifica da parte della commissione di ricorso circa l’esistenza di un pregiudizio alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore sono irrilevanti.

149

La prima sotto censura della quarta censura della seconda parte del motivo deve pertanto essere respinta.

Sulla seconda sotto censura, vertente sulla mancata dimostrazione dell’esistenza di un pregiudizio alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore

150

Come rilevato al precedente punto 140, la ricorrente afferma, in sostanza, che l’interveniente non ha dimostrato che l’uso del marchio richiesto potesse, in futuro, arrecare pregiudizio alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore. La somiglianza tra i marchi in conflitto, infatti, non sarebbe sufficiente affinché il pubblico di riferimento stabilisca un nesso tra di essi. Inoltre, il marchio richiesto, in passato, sarebbe stato utilizzato per molti anni accanto al marchio anteriore e, nonostante ciò, fino a questo momento non sarebbe stato evidenziato alcun vantaggio indebito tratto dalla notorietà o dal carattere distintivo del marchio anteriore, e neppure un pregiudizio arrecato a tale marchio.

151

In via preliminare, occorre ricordare che, come rilevato ai punti 147 e 148 supra, da un lato, la decisione impugnata è anzitutto fondata sul motivo secondo cui l’uso del marchio richiesto potrebbe trarre indebito vantaggio dalla notorietà del marchio anteriore e, dall’altro, il rischio che si verifichi un tale pregiudizio basta, da solo, a fondare un impedimento alla registrazione, purché non sussista alcun giusto motivo all’uso del marchio richiesto. Pertanto, la censura vertente sulla mancata dimostrazione da parte dell’interveniente dell’esistenza di un pregiudizio di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 è rilevante soltanto in quanto volta a contestare l’esistenza di un rischio di vantaggio indebito tratto dalla notorietà del marchio anteriore. Ne consegue che non sarà necessario esaminare se l’uso del marchio richiesto possa arrecare pregiudizio alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore.

152

Come indicato ai punti 30 e 46 supra, l’esistenza o inesistenza, da un lato, di un nesso tra i marchi in conflitto e, dall’altro, di un rischio di indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio anteriore deve essere valutata complessivamente, tenendo conto di tutti gli elementi pertinenti del caso di specie.

153

Alcuni di questi elementi, e segnatamente quelli menzionati ai punti 30, 31 e 47 supra, implicano un’analisi preliminare da parte degli organi competenti dell’EUIPO, ossia la divisione di opposizione ed, eventualmente, la commissione di ricorso. Si tratta, in particolare, del grado di attenzione del pubblico di riferimento, del grado di prossimità dei prodotti controversi, del grado di somiglianza tra in marchi in conflitto, del livello di notorietà del marchio anteriore e del grado di carattere distintivo di tale ultimo marchio.

154

Inoltre, il titolare del marchio anteriore può produrre, e gli organi competenti dell’EUIPO possono considerare, altri elementi pertinenti al fine di dimostrare, più specificamente, l’esistenza o meno di un rischio di indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio anteriore.

155

Ciò detto, occorre anzitutto, in un primo momento, ricordare ed, eventualmente, verificare, le valutazioni fornite dalla commissione di ricorso a proposito degli elementi rilevanti menzionati al punto 153 supra. Poi, in un secondo e terzo momento, occorrerà verificare, alla luce di tali elementi, degli altri elementi prodotti dall’interveniente dinanzi alla commissione di ricorso o considerati da quest’ultima nella decisione impugnata, nonché dell’eventuale incidenza della coesistenza dei marchi in conflitto asserita dalla ricorrente, se la commissione di ricorso abbia commesso o non abbia commesso un errore di valutazione per aver dedotto, nel caso di specie, l’esistenza, rispettivamente, di un nesso tra i marchi in conflitto e di un rischio di indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio anteriore.

Valutazioni preliminari sugli elementi rilevanti

Livello di attenzione del pubblico di riferimento

156

Dall’esame della prima censura della seconda parte del motivo (v. punti da 93 a 108 supra) risulta che la commissione di ricorso ha correttamente ritenuto, nella decisione impugnata, che il pubblico di riferimento, ossia il consumatore medio di prodotti designati dal marchio richiesto, desse prova di un grado di attenzione medio.

Grado di prossimità dei prodotti in questione

157

Al punto 53 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha rilevato che il marchio anteriore e il marchio richiesto designavano entrambi delle «calzature», e quindi i prodotti controversi erano identici.

158

La ricorrente assolutamente non contesta l’identità, evidente, dei prodotti controversi, riaffermata ai punti 60, da 62 a 64 della decisione impugnata. Occorre, pertanto, confermare la valutazione effettuata, su tale punto, dalla commissione di ricorso.

Grado di somiglianza tra i marchi in conflitto

159

Dall’esame della seconda censura della seconda parte del motivo (v. punti da 109 a 128 supra) risulta che la commissione ha correttamente ritenuto, nella decisione impugnata, che i marchi in conflitto fossero, in una certa misura, simili.

Livello di notorietà del marchio anteriore

160

Occorre, in via preliminare, ricordare che dall’esame della prima parte del motivo (v. punti da 65 a 90 supra) si evince che la commissione di ricorso ha correttamente ritenuto, nella decisione impugnata, che il marchio anteriore godesse di notorietà nell’Unione.

161

Quanto al livello di tale notorietà, dai punti 33, da 36 a 38 della decisione impugnata risulta che la commissione di ricorso ha ritenuto che il marchio anteriore godesse di notorietà elevata. Essa ha anche precisato, ai punti 41 e 62 della decisione impugnata, che tale notorietà era di lunga data, duratura, ragguardevole e mondiale. La commissione di ricorso non ha invece accolto l’argomentazione dell’interveniente la quale sosteneva, alla pagina 11 della sua opposizione, che il suo marchio beneficiava di notorietà eccezionale.

162

La ricorrente, che contesta l’esistenza stessa della notorietà del marchio anteriore, non formula alcuna censura specifica nei confronti della valutazione effettuata dalla commissione di ricorso riguardo al livello di tale notorietà. Orbene, gli elementi di prova esaminati nell’ambito della prima parte del motivo risultano sufficienti al fine di dimostrare, oltre all’esistenza stessa di tale notorietà, il livello elevato di quest’ultima. Per giunta, al punto 47 della sentenza di annullamento, il Tribunale menzionava, senza metterla in discussione, la conclusione tratta dalla commissione di ricorso al punto 66 della decisione del 28 novembre 2013, secondo cui il marchio anteriore godeva di notorietà elevata («considerevole» secondo il Tribunale).

163

Ciò detto, occorre confermare la valutazione della commissione di ricorso riguardante il livello di notorietà del marchio anteriore.

Grado di carattere distintivo del marchio anteriore

164

Dall’analisi della terza censura della seconda parte del motivo (v. punti da 129 a 138 supra) risulta che la commissione di ricorso ha correttamente ritenuto nella decisione impugnata che il marchio anteriore avesse, in conseguenza del suo ampio uso, un carattere distintivo normale.

Valutazione complessiva sull’esistenza di un nesso tra i marchi in conflitto

165

Come rilevato al punto 144 supra, la commissione di ricorso, basandosi segnatamente sulla somiglianza, anche «minima», dei marchi in conflitto, sull’identità dei prodotti controversi e sul livello di notorietà del marchio anteriore, ha concluso, al punto 63 della decisione impugnata, per l’esistenza, nella percezione del pubblico di riferimento, di un nesso tra i marchi in conflitto.

166

La ricorrente contesta tale conclusione per il motivo che la commissione di ricorso non avrebbe correttamente valutato il grado di attenzione del pubblico di riferimento, il grado di somiglianza tra i marchi in conflitto nonché l’importanza della notorietà e, di conseguenza, del carattere distintivo del marchio anteriore.

167

Occorre tuttavia rilevare, da un lato, che l’argomentazione della ricorrente relativa agli asseriti errori della commissione di ricorso nella valutazione di tali elementi è già stata respinta nell’ambito della prima parte del motivo e delle tre prime censure della seconda parte di detto motivo.

168

Dall’altro lato, gli elementi presi in considerazione dalla commissione di ricorso compaiono nel novero di quelli giudicati rilevanti al fine di accertare l’esistenza di un nesso del genere (v. giurisprudenza menzionata ai punti 30 e 31 supra). In particolare la commissione di ricorso ha correttamente rilevato, al punto 63 della decisione impugnata, che nell’ambito dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, un grado di somiglianza «minima» tra i marchi in conflitto poteva essere sufficiente perché il pubblico di riferimento stabilisse un nesso tra questi ultimi (v. giurisprudenza menzionata al precedente punto 29).

169

La ricorrente non presenta nessun’altra argomentazione specificamente diretta avverso la conclusione della commissione di ricorso secondo cui il pubblico di riferimento potrebbe stabilire un nesso tra i marchi in conflitto.

170

Tuttavia, per contestare l’esistenza di un rischio di indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio anteriore, la ricorrente menziona la coesistenza pacifica nel mercato, per molti anni, dei marchi in conflitto nonché l’assenza di confusione, nella percezione del pubblico, quanto all’origine dei suoi prodotti. Inoltre, per sostenere di aver avuto un giusto motivo per utilizzare il marchio richiesto, la stessa precisa che esiste la possibilità che tale coesistenza riduca il rischio che nella percezione dei consumatori sia stabilito un nesso tra i due marchi.

171

Orbene, secondo la giurisprudenza ricordata ai precedenti punti da 32 a 34, la passata coesistenza dei marchi in conflitto nel mercato può contribuire a diminuire il rischio di accostamento, in futuro, tra tali marchi e, pertanto, la probabilità che si instauri, nella percezione del pubblico di riferimento, un nesso tra questi ultimi, a condizione tuttavia, segnatamente, che tale coesistenza sia stata pacifica e, di conseguenza, si sia essa stessa basata sull’assenza di rischio di accostamento.

172

Ciò posto, occorre valutare se tale condizione sia soddisfatta.

173

Nel caso di specie, per giustificare la coesistenza dei marchi in conflitto, la ricorrente fa riferimento all’uso del marchio richiesto e a molti altri marchi o segni simili consistenti in due strisce parallele apposte su una scarpa.

174

Non si ritiene necessario, in questa fase, esaminare tutti gli argomenti presentati dalle parti, essenzialmente nell’ambito della terza parte del motivo, in riferimento a tale coesistenza. In particolare, non è utile, per quanto segue, valutare se e in quale misura la ricorrente fornisca la prova della serietà e dell’ampiezza dell’uso del marchio richiesto, circostanza che è parimenti contestata dall’interveniente.

175

È pacifico, infatti, in primo luogo, che l’interveniente ha contestato dinanzi a un giudice tedesco, il Landgericht München (Tribunale del Land Monaco, Germania), l’uso da parte della società Patrick International SA, presentata come il predecessore della ricorrente, di un marchio consistente in due strisce parallele apposte su una scarpa e che, con sentenza del 12 novembre 1990, detto giudice ha vietato a tale società di commercializzare prodotti con tale marchio perché esisteva un rischio di confusione con alcuni marchi nazionali dell’interveniente. Il marchio allora contestato si presentava come di seguito riprodotto:

Image

176

Certo, il marchio all’epoca utilizzato dalla società Patrick International non era identico al marchio richiesto e, nella controversia che ha dovuto definire, il giudice tedesco summenzionato ha ritenuto che il marchio in questione desse l’impressione di un marchio a tre strisce. Tuttavia, indipendentemente dalla valutazione di tale giudice, il marchio in questione è sufficientemente simile al marchio richiesto perché la contestazione, da parte dell’interveniente, del suo uso possa essere presa in considerazione al fine di valutare il carattere pacifico o conflittuale dell’asserita coesistenza tra, da un lato, i marchi a due strisce della ricorrente, e dall’altro, i marchi a tre strisce dell’interveniente quando tali differenti marchi sono apposti su delle scarpe.

177

In secondo luogo, occorre rilevare che la presente controversia non è la prima controversia tra la ricorrente e l’interveniente relativamente alla registrazione, da parte della ricorrente, di un marchio dell’Unione europea consistente in due strisce parallele apposte su una scarpa.

178

Quando la ricorrente ha chiesto, il 1o luglio 2009, la registrazione del marchio richiesto, infatti, l’interveniente aveva già proposto opposizione alla registrazione di un marchio depositato dalla ricorrente e che presentava le medesime caratteristiche del marchio richiesto, poiché essa si era opposta, il 30 luglio 2004, alla registrazione di un marchio a due strisce simile al marchio richiesto per taluni prodotti rientranti nelle classi 18, 25 e 28.

179

Pertanto, tenuto conto della controversia sorta in Germania nel 1990 e della precedente opposizione proposta nel 2004, l’asserita coesistenza nel mercato tra, da un lato, il marchio richiesto o altri marchi simili della ricorrente e, dall’altro, il marchio anteriore o altri marchi simili dell’interveniente non può essere qualificata come pacifica. Pertanto, tale coesistenza non si basava sull’assenza di rischio di accostamento tra i marchi in conflitto.

180

Date tali circostanze, occorre confermare la valutazione della commissione di ricorso quanto all’esistenza di un nesso tra i marchi in conflitto.

Valutazione complessiva sul rischio di indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio anteriore

181

In primo luogo, dai punti da 60 a 65 della decisione impugnata risulta che, per concludere nel caso di specie per l’esistenza di un rischio di indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio anteriore, la commissione di ricorso si è in particolare basata, da un lato, sul grado elevato di notorietà del marchio anteriore, e, dall’altro, sull’identità dei prodotti controversi.

182

È vero, certamente, come rilevato al punto 161 supra, che la commissione di ricorso non ha qualificato come eccezionale la notorietà del marchio anteriore, cosicché non si può presumere, per ciò solo, l’esistenza di un pregiudizio ai sensi della giurisprudenza menzionata al precedente punto 41. Tuttavia, la commissione di ricorso ha correttamente considerato che il marchio anteriore godeva di notorietà elevata, di lunga data e duratura.

183

Orbene, occorre ricordare che più la notorietà del marchio anteriore è considerevole, più è probabile che l’uso di un marchio simile a tale marchio trarrà vantaggio dalla notorietà del marchio anteriore (v. giurisprudenza citata al punto 48 supra).

184

Del pari, più la somiglianza tra i prodotti o i servizi coperti dai marchi in conflitto è significativa, più aumenterà il rischio che si produca un tale vantaggio (v. punto 49 sopra). La commissione di ricorso ha dunque correttamente rilevato, al punto 64 della decisione impugnata, che, dal momento che, nel caso di specie, i prodotti controversi erano identici, era più logico che potesse prodursi un indebito vantaggio rispetto al caso in cui i prodotti controversi fossero stati diversi.

185

Ne consegue che la duplice circostanza, rilevata dalla commissione di ricorso, attinente, da un lato, al fatto che il marchio anteriore godeva di notorietà elevata, di lunga data e duratura e, dall’altro, che i prodotti designati dal marchio in conflitto sono identici, è tale da rendere molto più probabile il prodursi di un vantaggio indebito

186

In secondo luogo, come già rilevato al punto 143 supra, la commissione di ricorso ha accertato, al punto 61 della decisione impugnata, che il marchio anteriore evocava un «goodwill» reale, un’immagine prestigiosa e una buona reputazione e che tale «goodwill» era stato acquisito grazie a vari decenni di promozione di tale marchio, di pubblicità intensa e di costante massiccia presenza nel mercato. Essa ha menzionato anche, al punto 65 della decisione impugnata, il considerevole investimento messo in atto dall’interveniente al fine di raggiungere la notorietà ci cui godeva il marchio anteriore.

187

A tal proposito, dalle pagine da 12 a 14 dell’opposizione risulta che l’interveniente aveva menzionato dinanzi alla divisione di opposizione non soltanto la notorietà del suo marchio anteriore, la somiglianza tra i marchi in conflitto e la somiglianza dei prodotti controversi, ma anche il fatto che il marchio anteriore beneficiava di un potere attrattivo, legato a un’immagine di qualità e di prestigio, acquisito grazie a molti decenni di investimenti, innovazione e pubblicità. In tale occasione, l’interveniente aveva spiegato che, in caso di uso del marchio richiesto, le qualità positive associate ai prodotti recanti il marchio anteriore si sarebbero trasferite sui prodotti della ricorrente.

188

Non è pertanto corretto affermare, come fa la ricorrente, che l’interveniente non ha fornito alcun elemento rilevante al fine di dimostrare l’esistenza di un indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio anteriore.

189

In più, la ricorrente non contesta la veridicità e la consistenza degli sforzi commerciali compiuti dall’interveniente per molti decenni per creare e mantenere l’immagine del suo marchio, per maturare un «goodwill» e per accrescere in tal modo il valore economico intrinseco di tale marchio.

190

Orbene, l’importanza degli sforzi compiuti dal titolare del marchio anteriore notorio rende a maggior ragione verosimile il rischio che terzi siano tentati, con l’uso di un marchio simile a detto marchio, di porsi nel solco tracciato da quest’ultimo al fine di beneficiare del suo potere attrattivo, della sua notorietà e del suo prestigio e quindi di sfruttare, senza alcun corrispettivo economico e senza dover operare sforzi propri, gli sforzi commerciali compiuti dal titolare del marchio anteriore.

191

In terzo luogo, l’EUIPO e l’interveniente sostengono che la ricorrente, o almeno il suo presunto predecessore, ha chiaramente fatto allusione al marchio anteriore, costituito da tre strisce, utilizzando lo slogan «two stripes are enough» (due strisce sono sufficienti) in una campagna di promozione realizzata nel 2007 in Spagna e in Portogallo e destinato a promuovere i suoi prodotti, venduti con un marchio costituito da due strisce.

192

La ricorrente non contesta il fatto che lo slogan «two stripes are enough» sia stato realmente utilizzato al fine di promuovere alcuni dei suoi prodotti. Orbene, è evidente che l’utilizzo di uno slogan del genere mirava a evocare il marchio anteriore, conosciuto dal consumatore grazie alla sua notorietà, e a suggerire che i prodotti venduti dalla ricorrente con un marchio a due strisce presentassero qualità equivalenti a quelle dei prodotti venduti dall’interveniente con un marchio a tre strisce. Ciò posto, la campagna di promozione realizzata nel 2007 in Spagna e in Portogallo deve essere analizzata come un tentativo di sfruttamento della notorietà del marchio anteriore. Un comportamento del genere, contestato al momento dell’uso effettivo di un marchio simile al marchio richiesto, costituisce un elemento concreto particolarmente rilevante per accertare l’esistenza di un rischio di indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio anteriore (v. giurisprudenza citata al punto 39 supra)

193

In quarto luogo, per contestare il rischio che l’uso del marchio richiesto tragga indebito vantaggio dalla notorietà del marchio anteriore, la ricorrente si limita a sostenere che tale rischio non si è concretizzato in passato, quando i marchi in conflitto coesistevano nel mercato.

194

Orbene, dai precedenti punti 174 a 179 risulta che l’asserita coesistenza dei marchi in conflitto non può essere considerata pacifica. Inoltre, è stato rilevato al precedente punto 192 che l’utilizzo del marchio richiesto ha già dato luogo ad almeno un tentativo di trarre indebito vantaggio dalla notorietà del marchio anteriore.

195

Ne consegue che l’asserita coesistenza, in passato, dei marchi in conflitto nel mercato non permette di escludere che, in futuro, si produca il pregiudizio alla notorietà del marchio anteriore considerato dalla commissione di ricorso.

196

Date tali circostanze, e tenuto conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie, gli elementi forniti dall’interveniente dinanzi alla commissione di ricorso e quelli considerati da quest’ultima sono sufficienti a dimostrare l’esistenza di un rischio grave di parassitismo. La commissione di ricorso non ha, pertanto, commesso alcun errore di valutazione per aver ritenuto probabile che l’uso del marchio anteriore trasse indebito vantaggio dalla notorietà del marchio anteriore.

197

Pertanto, la seconda sotto censura della quarta censura della seconda parte del motivo e, di conseguenza, l’intera censura e l’intera parte devono essere respinte.

Sulla terza parte, vertente sull’esistenza di un giusto motivo per l’uso del marchio richiesto

198

Nell’ambito della terza parte del motivo, la ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla commissione di ricorso, essa ha dimostrato l’esistenza di un giusto motivo producendo, durante il procedimento di opposizione, elementi di prova che dimostrano un uso, per un lungo periodo, del marchio richiesto.

199

Tale parte può essere ripartita in due censure, poiché la ricorrente sembra contestare alla commissione di ricorso, da un lato, di non aver esaminato gli elementi di prova relativi all’uso del marchio richiesto e, dall’altro, di non aver considerato che gli elementi di prova dimostravano l’esistenza di un giusto motivo.

Sulla prima censura, vertente sulla mancanza di un’analisi degli elementi di prova relativi all’uso del marchio richiesto

200

Occorre ricordare che, come rilevato al punto 58 supra, l’uso da parte di un terzo di un marchio richiesto simile a un marchio anteriore notorio può, in determinate condizioni, essere qualificato come giusto motivo ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009.

201

Quindi, la ricorrente può legittimamente avvalersi dell’uso del marchio richiesto e la commissione di ricorso era tenuta a esaminare gli elementi di prova prodotti a tal fine dalla ricorrente dinanzi all’EUIPO.

202

A tal proposito, la ricorrente sembra sostenere, basandosi sui punti 65 della decisione impugnata, che la commissione di ricorso non ha esaminato gli elementi di prova relativi all’esistenza di un giusto motivo.

203

Orbene, nel caso di specie, la commissione non ha soltanto fatto presente, al punto 65 della decisione impugnata, che la ricorrente non aveva fornito motivi che dimostrassero l’esistenza di un giusto motivo, ma ha anche precisato, al punto 66 di tale medesima decisione, che l’asserita coesistenza dei marchi in conflitto non era di natura pacifica. In tal modo, la commissione di ricorso, come rilevato dall’EUIPO nel suo controricorso, ha risposto al principale argomento presentato dalla ricorrente al fine di dimostrare l’esistenza di un giusto motivo. Ciò posto, la ricorrente non può sostenere che la commissione di ricorso non ha preso in considerazione i suoi elementi di prova.

204

Pertanto, la prima censura della terza parte del motivo deve essere respinta.

Sulla seconda censura, vertente sull’errore di valutazione quanto all’esistenza di un giusto motivo

205

La ricorrente insiste sul fatto che i marchi in conflitto abbiano coesistito per diversi decenni, con il consenso dell’interveniente. Essa contesta anche alla commissione di ricorso di non aver tenuto in considerazione gli effetti di un eventuale divieto di utilizzo del marchio richiesto.

206

A tal proposito, occorre osservare che, per costituire un giusto motivo, l’uso del marchio richiesto deve soddisfare varie condizioni, ricordate ai precedenti punti da 59 a 63.

207

In particolare, occorre ricordare, in primo luogo, che, quando il marchio anteriore notorio è un marchio dell’Unione europea, il marchio richiesto deve essere utilizzato su tutto il territorio dell’Unione europea (v. punto 62 supra e giurisprudenza ivi citata).

208

Orbene, nel caso di specie, come rilevato dall’EUIPO e dall’interveniente, la ricorrente non ha dimostrato, e neanche asserito, di aver utilizzato il marchio richiesto in tutto il territorio dell’Unione. Nelle sue osservazioni presentate il 14 giugno 2011 dinanzi alla divisione di opposizione, infatti, la ricorrente menzionava una coesistenza di marchi in conflitto soltanto nel mercato tedesco e non specificava di aver effettivamente utilizzato i suoi marchi consistenti in due strisce parallele apposte su una scarpa registrati in altri Stati membri. Inoltre, gli elementi di prova prodotti dinanzi all’EUIPO dalla ricorrente si riferivano, essenzialmente, a un uso del marchio richiesto o di altri marchi simili in Germania o in Francia.

209

In secondo luogo, occorre ricordare che, per costituire un giusto motivo, l’uso del marchio richiesto non deve, in via di principio, essere stato oggetto di contestazione da parte del titolare del marchio anteriore notorio. Pertanto, l’asserita coesistenza tra i marchi in conflitto deve essere pacifica (v. giurisprudenza menzionata al punto 63 supra).

210

Orbene, è stato già rilevato ai precedenti punti 179 e 194 che, come sostenuto dall’EUIPO e dall’interveniente, l’asserita coesistenza dei marchi in conflitto non era pacifica. Di conseguenza, la ricorrente non può sostenere che l’interveniente avrebbe tollerato ovvero consentito l’uso del marchio richiesto.

211

In terzo luogo, in maniera più generale e come rivelato ai punti 56 e 59 supra, il titolare del marchio richiesto, o il suo predecessore, doveva essere in buona fede all’epoca dell’uso del marchio.

212

Orbene, nel caso di specie, l’ideazione e l’utilizzo dello slogan «two stripes are enough» rivelano, come già rilevato ai punti 192 e 194 supra, che l’uso del marchio richiesto ha già dato luogo ad almeno un tentativo di trarre profitto dalla notorietà del marchio anteriore. Pertanto, come sostenuto dall’interveniente, non si può ritenere che l’uso del marchio richiesto sia sempre avvenuto in buona fede.

213

Date tali circostanze, l’uso del marchio richiesto invocato dalla ricorrente non può essere considerato un motivo tale da giustificare la registrazione di quest’ultimo come marchio dell’Unione europea, con il rischio di trarre profitto dalla notorietà del marchio anteriore.

214

Tale affermazione non può essere invalidata dall’argomento della ricorrente vertente sugli effetti che un eventuale divieto di utilizzo del marchio richiesto avrebbe sulla medesima. Da un lato, infatti, la ricorrente non fornisce alcuna precisazione quanto alla natura e all’importanza di tali effetti. Dall’altro, la decisione impugnata ha, in ogni caso, il solo oggetto e il solo effetto di impedire la registrazione del marchio richiesto come marchio dell’Unione europea e non di vietare alla ricorrente di utilizzare tale marchio sul territorio di uno o più Stati membri nei quali tale marchio sarebbe registrato o anche semplicemente utilizzato per un giusto motivo ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25).

215

Ne consegue che la commissione di ricorso non ha commesso alcun errore di valutazione ritenendo che la ricorrente non avesse dimostrato l’esistenza di un giusto motivo per l’uso del marchio richiesto.

216

Pertanto, la censura della terza parte dell’unico motivo deve essere respinta così come, di conseguenza, l’intera terza parte e l’intero motivo.

217

Tenuto conto di quanto precede, il ricorso deve essere respinto.

Sulle spese

218

Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

219

La ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda dell’EUIPO e dell’interveniente.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

Il ricorso è respinto.

 

2)

La Shoe Branding Europe BVBA è condannata alle spese.

 

Gervasoni

Madise

Kowalik-Bańczyk

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 1o marzo 2018.

Firme

Indice

 

Fatti

 

Conclusioni delle parti

 

In diritto

 

Considerazioni generali sull’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009

 

Nozione di notorietà del marchio anteriore

 

Necessità di un nesso o accostamento tra i marchi in conflitto

 

Tipi di pregiudizi alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore

 

Regime probatorio e articolazione tra l’esistenza di un pregiudizio e l’esistenza di un giusto motivo

 

Nozione di indebito vantaggio tratto dalla notorietà o dal carattere distintivo del marchio anteriore

 

Nozione di giusto motivo

 

Sulla prima parte, vertente sull’assenza di notorietà del marchio anteriore

 

Sulla seconda parte, vertente sull’assenza di pregiudizio arrecato alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore

 

Sul primo motivo, vertente sulla non corretta applicazione del «test del consumatore medio»

 

Sulla seconda censura, vertente su una mancanza di valutazione complessiva del grado di somiglianza tra i marchi in conflitto

 

Sulla terza censura, vertente sulla mancata presa in considerazione del carattere distintivo intrinseco molto debole

 

Sulla quarta censura, vertente sulla mancanza di valutazione autonoma e, comunque, sulla valutazione erronea del rischio di pregiudizio al carattere distintivo o alla notorietà del marchio anteriore

 

Sulla prima sotto censura, vertente sulla mancanza di una verifica autonoma circa l’esistenza di un pregiudizio alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore

 

Sulla seconda sotto censura, vertente sulla mancata dimostrazione dell’esistenza di un pregiudizio alla notorietà o al carattere distintivo del marchio anteriore

 

Valutazioni preliminari sugli elementi rilevanti

 

Livello di attenzione del pubblico di riferimento

 

Grado di prossimità dei prodotti in questione

 

Grado di somiglianza tra i marchi in conflitto

 

Livello di notorietà del marchio anteriore

 

Grado di carattere distintivo del marchio anteriore

 

Valutazione complessiva sull’esistenza di un nesso tra i marchi in conflitto

 

Valutazione complessiva sul rischio di indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio anteriore

 

Sulla terza parte, vertente sull’esistenza di un giusto motivo per l’uso del marchio richiesto

 

Sulla prima censura, vertente sulla mancanza di un’analisi degli elementi di prova relativi all’uso del marchio richiesto

 

Sulla seconda censura, vertente sull’errore di valutazione quanto all’esistenza di un giusto motivo

 

Sulle spese


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

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