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Document 62016TJ0133

    Sentenza del Tribunale (Seconda Sezione ampliata) del 24 aprile 2018.
    Caisse régionale de crédit agricole mutuel Alpes Provence e a. contro Banca centrale europea.
    Politica economica e monetaria – Vigilanza prudenziale degli enti creditizi – Articolo 4, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1024/2013 – Soggetto che dirige di fatto le attività di un ente creditizio – Articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36/UE e articolo L. 511‑13, secondo comma, del codice monetario e finanziario francese – Divieto di cumulo della presidenza dell’organo di gestione di un ente creditizio nella sua funzione di supervisione strategica con la funzione di amministratore delegato in seno allo stesso ente – Articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36 e articolo L. 511‑58 del codice monetario e finanziario francese.
    Cause riunite da T-133/16 a T-136/16.

    Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

    ECLI identifier: ECLI:EU:T:2018:219

    SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

    24 aprile 2018 ( *1 )

    «Politica economica e monetaria – Vigilanza prudenziale degli enti creditizi – Articolo 4, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1024/2013 – Soggetto che dirige di fatto le attività di un ente creditizio – Articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36/UE e articolo L. 511-13, secondo comma, del codice monetario e finanziario francese – Divieto di cumulo della presidenza dell’organo di gestione di un ente creditizio nella sua funzione di supervisione strategica con la funzione di amministratore delegato in seno allo stesso ente – Articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36 e articolo L. 511-58 del codice monetario e finanziario francese»

    Nelle cause riunite da T‑133/16 a T‑136/16,

    Caisse régionale de crédit agricole mutuel Alpes Provence, con sede in Aix-en-Provence (Francia), rappresentata da P. Mele e H. Savoie, avvocati,

    ricorrente nella causa T‑133/16,

    Caisse régionale de crédit agricole mutuel Nord Midi-Pyrénées, con sede in Albi (Francia), rappresentata da P. Mele e H. Savoie,

    ricorrente nella causa T‑134/16,

    Caisse régionale de crédit agricole mutuel Charente-Maritime Deux-Sèvres, con sede in Saintes (Francia), rappresentata da P. Mele e H. Savoie,

    ricorrente nella causa T‑135/16,

    Caisse régionale de crédit agricole mutuel Brie Picardie, con sede in Amiens (Francia), rappresentata da P. Mele e H. Savoie,

    ricorrente nella causa T‑136/16,

    contro

    Banca centrale europea (BCE), rappresentata da A. Karpf e C. Hernández Saseta, in qualità di agenti, assistiti da A. Heinzmann, avvocato,

    convenuta,

    sostenuta da

    Commissione europea, rappresentata da V. Di Bucci, K.-P. Wojcik e A. Steiblyté, in qualità di agenti,

    parte interveniente nelle cause da T‑133/16 a T‑136/16,

    aventi ad oggetto le domande fondate sull’articolo 263 TFUE e dirette all’annullamento delle decisioni della BCE, rispettivamente,
    ECB/SSM/2016-969500TJ5KRTCJQWXH05/98,
    ECB/SSM/2016-969500TJ5KRTCJQWXH05/100,
    ECB/SSM/2016-969500TJ5KRTCJQWXH05/101 e
    ECB/SSM/2016-969500TJ5KRTCJQWXH05/99, del 29 gennaio 2016, adottate a norma dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (GU 2013, L 287, pag. 63), dell’articolo 93 del regolamento (UE) n. 468/2014 della BCE, del 16 aprile 2014, che istituisce il quadro di cooperazione nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico tra la BCE e le autorità nazionali competenti e con le autorità nazionali designate (in prosieguo: il «Regolamento quadro sull’MVU») (GU 2014, L 141, pag. 1), e degli articoli L. 511-13, L. 511-52, L. 511-58, L. 612-23-1 e R. 612-29-3 del codice monetario e finanziario francese,

    IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata),

    composto da M. Prek (relatore), presidente, E. Buttigieg, F. Schalin, B. Berke e J. Costeira, giudici,

    cancelliere: G. Predonzani, amministratore

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 23 ottobre 2017,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Fatti

    1

    Il Crédit agricole è un gruppo bancario decentralizzato disciplinato dagli articoli da L. 512-20 a L. 512-54 del codice monetario e finanziario francese (in prosieguo: il «CMF»). È organizzato su tre livelli: casse locali di mutuo credito agricolo, casse regionali di mutuo credito agricolo e, a livello nazionale, un organismo centrale, il Crédit agricole SA.

    2

    Il Crédit agricole è stato qualificato come gruppo significativo sottoposto a vigilanza prudenziale ai sensi dell’articolo 6 del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (GU 2013, L 287, pag. 63) e rientra, pertanto, per i compiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, di tale regolamento, sotto la vigilanza della Banca centrale europea (BCE).

    3

    In data 8, 10, 14 e 24 aprile 2015 l’organo centrale del Crédit agricole, su richiesta delle ricorrenti, la Caisse régionale de crédit agricole mutuel Alpes Provence (ricorrente nella causa T‑133/16), la Caisse régionale de crédit agricole mutuel Nord Midi-Pyrénées (ricorrente nella causa T‑134/16), la Caisse régionale de crédit agricole mutuel Charente-Maritime Deux-Sèvres (ricorrente nella causa T‑135/16) e la Caisse régionale de crédit agricole mutuel Brie Picardie (ricorrente nella causa T‑136/16), ha chiesto all’Autorité de contrôle prudentiel et de résolution [Autorità di controllo prudenziale e di risoluzione (ACPR)] l’approvazione della nomina dei sigg. B., C., T. e W. come presidenti dei consigli di amministrazione e «dirigenti di fatto» delle ricorrenti.

    4

    In applicazione dell’articolo 93 del regolamento (UE) n. 468/2014 della BCE, del 16 aprile 2014, che istituisce il quadro di cooperazione nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico tra la BCE e le autorità nazionali competenti e con le autorità nazionali designate (in prosieguo: il «Regolamento quadro sull’MVU») (GU 2014, L 141, pag. 1), tali domande sono state notificate dall’ACPR alla BCE. L’insieme dei documenti richiesti è stato ricevuto dalla BCE l’8 giugno 2015.

    5

    Il 31 agosto 2015 la BCE ha informato ciascuna delle ricorrenti e l’organo centrale del Crédit agricole della sua intenzione di non approvare la nomina dei sigg. B., C. T. e W. in qualità di «dirigenti di fatto» delle ricorrenti e ha dato loro la possibilità di presentare osservazioni in conformità all’articolo 31 del regolamento quadro sull’MVU.

    6

    Il 30 settembre 2015 l’organo centrale del Crédit agricole ha chiesto alla BCE la sospensione del procedimento adducendo che l’intenzione della BCE di non approvare la nomina dei sigg. B., C., T. e W. si fonderebbe sulla posizione 2014‑P‑07 dell’ACPR «relativa alla nomina dei “dirigenti di fatto” ai sensi dell’articolo L. 511-13 e del [comma] 4 dell’articolo L. 532-2 del [CMF]» (in prosieguo: la «posizione 2014‑P‑07 dell’ACPR») la cui legittimità era contestata dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia).

    7

    Con quattro decisioni del 7 ottobre 2015, in primo luogo, la BCE ha respinto la domanda di sospensione per ciascuna delle ricorrenti, in quanto le decisioni che essa era chiamata ad adottare non avevano come base giuridica la posizione 2014-P-07 dell’ACPR. In secondo luogo, ha approvato la nomina dei sigg. B. C., T. e W. in qualità di presidenti del consiglio di amministrazione di ciascuna delle ricorrenti. In terzo luogo, si è opposta a che i sigg. B., C., T. e W. svolgessero allo stesso tempo la funzione di «dirigenti di fatto» di ciascuna delle ricorrenti.

    8

    Per giustificare tale rifiuto, la BCE ha rilevato che la direttiva n. 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE (GU 2013, L 176, pag. 338) conteneva disposizioni relative alla buona governance degli enti creditizi, tra le quali figura l’articolo 88, paragrafo 1, lettera e), che vieta, in linea di principio, al presidente dell’organo di gestione nella sua funzione di supervisione strategica dell’ente creditizio di esercitare simultaneamente le funzioni di amministratore delegato in seno allo stesso ente. Essa ha sottolineato che la finalità di tale divieto, descritta al considerando 57 della direttiva 2013/36, mirava a garantire che da parte dei membri non esecutivi dell’organo di gestione provenisse uno stimolo costruttivo alla strategia dell’ente. Essa ha inoltre sottolineato di essere tenuta, in forza dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1024/2013, ad applicare l’articolo L. 511-58 del CMF, che traspone l’articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36. La stessa ha ricordato che tale articolo impediva, in linea di principio, che la presidenza del consiglio di amministrazione o di qualsiasi altro organo con funzioni di vigilanza equivalenti su un ente creditizio o su una società di finanziamento fosse esercitata dall’amministratore delegato o da una persona che esercita funzioni di gestione equivalenti. Essa ha altresì rilevato che il considerando 54 di tale direttiva consentiva agli Stati membri di introdurre ulteriori principi e norme di governance oltre a quelli prescritti dalla predetta direttiva.

    9

    La BCE ha rilevato che derivava dall’articolo L. 511-52-IV del CMF che le funzioni che consentono a un soggetto di ottenere l’approvazione come «dirigente di fatto» ai sensi dell’articolo L. 511-13 del CMF erano quelle di amministratore delegato, di direttore generale delegato, di membro del comitato esecutivo o di amministratore unico. Essa ha inoltre fatto riferimento alla posizione 2014-P-07 dell’ACPR, da cui emerge che sono conferiti al presidente dell’organo di gestione nella sua funzione di supervisione strategica, incaricato di dirigere i lavori di tale organo, funzioni e compiti di vigilanza non esecutivi che sono diversi da quelli delle funzioni esecutive dell’amministratore delegato, in conformità al diritto societario francese.

    10

    La BCE ne ha dedotto che, in linea di principio, doveva esistere una separazione tra l’esercizio delle funzioni esecutive e non esecutive all’interno di un organo di gestione. Essa ha concluso che, a causa della loro nomina come presidenti dei consigli di amministrazione e in assenza di richieste di deroga, i sigg. B., C., T. e W. non potevano essere approvati come «dirigenti di fatto» delle ricorrenti.

    11

    Il 6 novembre 2015 le ricorrenti hanno chiesto il riesame di ciascuna delle decisioni ai sensi dell’articolo 24 del regolamento n. 1024/2013, in combinato disposto con l’articolo 7 della decisione n. 2014/360/UE della BCE, del 14 aprile 2014, relativa all’istituzione di una Commissione amministrativa del riesame e alle relative norme di funzionamento (GU 2014, L 175, pag. 47). Il 10 dicembre 2015 si è svolta un’udienza dinanzi alla commissione amministrativa del riesame (in prosieguo: la «commissione del riesame»).

    12

    Il 17 dicembre 2015 la commissione del riesame ha emesso un parere comune alle cause da T‑133/16 a T‑136/16 concludendo per la legittimità delle decisioni della BCE. Essa ha sottolineato che le ricorrenti, con quattro motivi, contestavano l’assimilazione da parte della BCE della nozione di «dirigente di fatto» a quella di dirigente esecutivo. La BCE ha inoltre osservato che le ricorrenti sostenevano che la nomina del presidente del consiglio di amministrazione in qualità di «dirigente di fatto», lungi dall’essere in contrasto con il divieto di cumulo delle funzioni di vigilanza ed esecutive, permetteva un equilibrio nella governance degli enti creditizi mediante la nomina di un «dirigente effettivo» non subordinato all’amministratore delegato.

    13

    In primo luogo, la commissione del riesame ha ritenuto che derivasse dal combinato disposto degli articoli L. 511-13 e L. 511-52 del CMF che, anche se i compiti di un «dirigente di fatto» non erano definiti, tale funzione fosse intesa come un mandato esecutivo, simile a quello dell’amministratore delegato o del direttore generale delegato, mentre il presidente del consiglio di amministrazione era classificato tra i dirigenti non esecutivi.

    14

    In secondo luogo, la commissione del riesame ha fatto riferimento al divieto di cumulo di funzioni tra il presidente dell’organo di gestione e l’amministratore delegato, di cui all’articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36, e trasposto all’articolo L. 511-58 del CMF. Essa ne ha dedotto che tale norma impediva al presidente del consiglio di amministrazione di esercitare funzioni esecutive equivalenti a quelle di amministratore delegato.

    15

    In terzo luogo, la commissione del riesame ha esaminato le prerogative del presidente del consiglio di amministrazione delle ricorrenti. In risposta all’argomento relativo al fatto che la legge n. 47-1175 del 10 settembre 1947 recante lo statuto della cooperazione (JORF dell’11 settembre 1947, pag. 9088, in prosieguo: la «legge del 10 settembre 1947 recante lo statuto della cooperazione») non prevedeva una ripartizione tra le diverse funzioni in seno al consiglio di amministrazione, essa ha affermato che una differenziazione tra le funzioni di vigilanza e quelle esecutive all’interno del consiglio di amministrazione doveva esistere, al fine di garantire il rispetto della norma enunciata all’articolo L. 511-58 del CMF.

    16

    In quarto luogo, la commissione del riesame ha esaminato l’argomento delle ricorrenti relativo al fatto che la nomina del presidente del consiglio di amministrazione in veste di «dirigente di fatto» consentirebbe un’applicazione del principio del «doppio controllo», previsto all’articolo L. 511-13 del CMF, più conforme alla ricerca di un equilibrio dei poteri rispetto alla nomina di un «dirigente di fatto» collegato gerarchicamente all’amministratore delegato. Essa ha osservato che era necessario prendere in considerazione il principio della separazione delle funzioni di vigilanza ed esecutive introdotto dalla direttiva 2013/36 e sancito all’articolo L. 511-58 del CMF e ha messo in rilievo il ruolo fondamentale della funzione di vigilanza nell’ambito della buona governance di un ente creditizio.

    17

    Essa ne ha dedotto che, dal combinato disposto degli articoli L. 511-13, L. 511-52 e L. 511-58 del CMF risultava che un «dirigente di fatto» esercita funzioni esecutive attribuite all’amministratore delegato o a una persona che eserciti funzioni equivalenti e che, nella misura in cui il presidente del consiglio di amministrazione non può esercitare tali funzioni, non può essere nominato «dirigente di fatto». La commissione del riesame ha, pertanto, concluso per la sostituzione delle decisioni del 7 ottobre 2015 con delle decisioni di identico contenuto.

    18

    È così che, il 29 gennaio 2016, la BCE ha adottato le decisioni
    ECB/SSM/2016-969500TJ5KRTCJQWXH05/98,
    ECB/SSM/2016-969500TJ5KRTCJQWXH05/100,
    ECB/SSM/2016-969500TJ5KRTCJQWXH05/101 e
    ECB/SSM/2016-969500TJ5KRTCJQWXH05/99, in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera e), del regolamento n. 1024/2013, dell’articolo 93 del regolamento n. 468/2014 e degli articoli L. 511-13, L. 511-52, L. 511-58, L. 612-23-1 e R. 612-29-3 del CMF (in prosieguo, congiuntamente: le «decisioni impugnate»), le quali, in applicazione dell’articolo 24, paragrafo 7, del regolamento n. 1024/2013, hanno abrogato e sostituito le decisioni del 7 ottobre 2015, pur mantenendo un identico contenuto.

    19

    Il 30 giugno 2016 il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha emesso una sentenza in cui ha concluso per la legittimità della posizione 2014-P-07 dell’ACPR e ha fornito, in tale occasione, un’interpretazione dell’articolo L. 511-13, secondo comma, e dell’articolo L. 511-58 del CMF.

    Procedimento e conclusioni delle parti

    20

    Con atti introduttivi depositati presso la cancelleria del Tribunale il 29 marzo 2016, le ricorrenti hanno proposto i presenti ricorsi.

    21

    Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale, il 4 luglio 2016, la Commissione europea ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni della BCE.

    22

    Con decisione del 1o agosto 2016, il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha deciso di riunire le cause da T‑133/16 a T‑136/16 ai fini della fase scritta del procedimento, dell’eventuale fase orale e della decisione che conclude il procedimento. Con decisione dello stesso giorno, il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha autorizzato la Commissione ad intervenire a sostegno delle conclusioni della BCE.

    23

    A seguito della modifica delle sezioni del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Seconda Sezione alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

    24

    Su proposta della Seconda Sezione, il Tribunale ha deciso, in applicazione dell’articolo 28 del regolamento di procedura del Tribunale, di rinviare la causa dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.

    25

    Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento.

    26

    Le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti posti dal Tribunale durante l’udienza del 23 ottobre 2017.

    27

    Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia annullare le decisioni impugnate.

    28

    La BCE e la Commissione chiedono che il Tribunale voglia:

    respingere il ricorso;

    condannare le ricorrenti alle spese.

    In diritto

    29

    A sostegno del ricorso, le ricorrenti adducono un’argomentazione che può essere considerata come articolata in quattro motivi vertenti, il primo, sulla violazione dell’articolo 13 della direttiva 2013/36 e dell’articolo L. 511-13 del CMF, il secondo, sulla violazione dell’articolo L. 511-52-IV del CMF, il terzo, sulla violazione dell’articolo L. 511-13 e degli articoli 13 e 88 della direttiva 2013/36, il quarto, in subordine, sulla violazione dell’articolo L. 511-58 del CMF.

    30

    La BCE sostiene che i quattro motivi devono essere respinti in quanto infondati. La Commissione ritiene che i primi tre motivi debbano essere respinti in quanto inconferenti e che il quarto debba essere respinto in quanto infondato. In subordine, essa sostiene che i primi tre motivi devono essere respinti in quanto infondati.

    31

    Occorre rilevare che, nell’ambito del primo motivo, le ricorrenti sostengono che, assimilando la nozione di direzione di fatto a quella di alta dirigenza, la BCE ha modificato il senso dell’articolo L. 511-13 del CMF e dell’articolo 13 della direttiva 2013/36. Con il secondo motivo, le ricorrenti contestano alla BCE di essere incorsa in un errore di diritto nel dedurre dall’articolo L. 511-52-IV del CMF che solo le funzioni di amministratore delegato, di direttore generale delegato, di membro del comitato esecutivo o di amministratore unico consentivano di ottenere l’approvazione in qualità di «dirigente di fatto». Con il terzo motivo, esse sostengono che il divieto di cumulo tra le funzioni di presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato non implica la riduzione della nozione di «direzione di fatto» all’esercizio delle sole funzioni esecutive. Quanto al quarto motivo, esso è dedotto in via subordinata, nell’eventualità in cui il Tribunale ritenesse che solo i membri dell’organo di gestione con funzioni esecutive possano essere qualificati come «dirigenti di fatto». Le ricorrenti sostengono che la BCE ha commesso un errore nell’interpretazione dell’articolo L. 511-58 del CMF, poiché tale disposizione non impedirebbe al presidente del consiglio di amministrazione di esercitare qualsiasi funzione esecutiva, ma solo la funzione di amministratore delegato.

    32

    È opportuno rilevare che i primi tre motivi hanno in comune il fatto di riguardare l’interpretazione della nozione di «dirigente di fatto» privilegiata dalla BCE nelle decisioni impugnate. È opportuno, pertanto, esaminarli congiuntamente.

    Sui primi tre motivi, vertenti sull’erronea interpretazione da parte della BCE della nozione di «dirigente di fatto»

    33

    Come risulta dai precedenti punti 9 e 18, nelle decisioni impugnate, la BCE ha concluso che la nozione di «dirigente di fatto» di un ente creditizio doveva essere intesa nel senso che essa designa i dirigenti con funzioni esecutive, quali l’amministratore delegato, il direttore generale delegato, i membri del comitato esecutivo o l’amministratore unico. Inoltre, occorre rilevare che la BCE, facendo riferimento alla nozione di «dirigente di fatto» di un ente creditizio, intendeva fare riferimento alle «persone [che] dirigono di fatto l’attività dell’ente creditizio» ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 e alle persone che assumono la «direzione di fatto dell’ente creditizio» ai sensi dell’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF.

    34

    Infatti, in applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, «[l]e autorità competenti concedono l’autorizzazione ad iniziare l’attività di ente creditizio solo quando almeno due persone dirigono di fatto l’attività dell’ente creditizio richiedente». Ai sensi dell’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF, «[l]a direzione di fatto dell’attività degli enti creditizi, comprese le filiali di enti creditizi di cui al paragrafo I dell’articolo L. 511-10, o delle società di finanziamento viene svolta da almeno due persone».

    35

    In via preliminare, occorre esaminare l’argomento dedotto dalla Commissione relativo al presunto carattere inconferente di tali tre motivi. Si sostiene che le norme delle quali le ricorrenti invocano una violazione non costituiscono il fondamento giuridico del rifiuto della BCE di approvare la nomina come «dirigenti di fatto» dei presidenti dei consigli di amministrazione delle ricorrenti, il quale sarebbe costituito dal solo articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36 e dall’articolo L. 511-58 del CMF, che costituisce la trasposizione del primo nel diritto francese.

    36

    Nelle decisioni impugnate, la BCE non ha consentito che i presidenti dei consigli di amministrazione delle ricorrenti svolgessero allo stesso tempo la funzione di «dirigente di fatto». Essa ha ritenuto che la nomina dei presidenti del consiglio di amministrazione di ciascuna delle ricorrenti come «dirigenti di fatto» avrebbe violato il divieto di cumulo della presidenza dell’organo di gestione di un ente creditizio nella sua funzione di supervisione strategica con la funzione di amministratore delegato dello stesso ente, di cui all’articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36, e trasposto all’articolo L. 511-58, primo comma, del CMF, il quale precisa che «la presidenza del consiglio di amministrazione o di un qualsiasi altro organo con funzioni di vigilanza equivalenti su un ente creditizio o su una società di finanziamento non può essere esercitata dall’amministratore delegato o da una persona che esercita funzioni di gestione equivalenti».

    37

    È giocoforza constatare che un ragionamento del genere si fonda necessariamente sul postulato della BCE consistente nell’assimilare la direzione effettiva dell’attività di un ente creditizio, prevista dall’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 e dall’articolo L. 511-13 del CMF, all’esercizio di funzioni esecutive in seno all’ente.

    38

    Tale assimilazione figura, inoltre, esplicitamente nelle decisioni impugnate, laddove la BCE sottolinea che «la sezione IV dell’articolo L. 511-52 [del CMF] descrive come segue le funzioni che consentono alla persona incaricata di ottenere l’approvazione in quanto dirigente di fatto: (…) le funzioni di amministratore delegato, direttore generale delegato, di membro del comitato esecutivo, di amministratore unico». Inoltre, ciò deriva dal rinvio effettuato dalla BCE, nelle decisioni impugnate, alla posizione 2014-P-07 dell’ACPR al fine di sottolineare che «sono conferiti al presidente dell’organo di gestione nella sua funzione di supervisione strategica, incaricato di dirigere i lavori di questo organo, funzioni e compiti di vigilanza non esecutivi che sono diversi da quelli delle funzioni esecutive dell’amministratore delegato, in conformità con il diritto societario francese».

    39

    Pertanto, poiché le decisioni impugnate si basano sul postulato della BCE che consiste nell’assimilare la direzione effettiva dell’attività di un ente creditizio all’esercizio delle funzioni esecutive in seno a tale ente e poiché, con i primi tre motivi, le ricorrenti contestano la fondatezza di tale postulato, questi tre motivi non possono avere il carattere inconferente dedotto dalla Commissione. Infatti, nell’ipotesi in cui questi motivi risultassero fondati, non si può escludere che possano incidere sulla legittimità delle decisioni impugnate.

    40

    L’argomentazione della Commissione relativa al carattere inconferente dei primi tre motivi di ricorso deve, pertanto, essere respinta.

    41

    Nell’ambito del primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 13 della direttiva 2013/36 e dell’articolo L. 511-13 del CMF, le ricorrenti sostengono che, assimilando la nozione di «direzione di fatto» a quella di «alta dirigenza», la BCE ha modificato il significato di queste due disposizioni. A tal proposito, esse osservano, in particolare, che l’uso dell’espressione «persone che dirigono di fatto l’attività» all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 non fa riferimento alla definizione di «alta dirigenza» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, punto 9, della stessa direttiva e ne deducono che un «dirigente di fatto» non fa necessariamente parte dell’alta dirigenza. La locuzione «di fatto» dovrebbe essere intesa nel suo senso letterale, vale a dire nel senso di «reale» o che «esiste di fatto, realmente». Inoltre, l’articolo 3, paragrafo 1, punto 9, della direttiva 2013/36 non impedirebbe al diritto nazionale di prevedere che le persone che esercitano una funzione di vigilanza dispongano anche di funzioni esecutive e non comporterebbe che solo i componenti dell’alta dirigenza possano essere qualificati come «dirigenti di fatto» o che debbano essere incaricati della gestione quotidiana dell’ente creditizio. Inoltre, la nozione di «dirigente di fatto» farebbe riferimento alla direzione di un ente creditizio, che avrebbe una duplice dimensione, vale a dire una funzione di vigilanza e una funzione esecutiva. Esse ritengono, altresì, che erroneamente la BCE deduca da altre disposizioni del CMF che solo i dirigenti con poteri esecutivi possono essere qualificati come effettivi. Infine, le ricorrenti sostengono che la sentenza del Conseil d’État (Consiglio di Stato) del 30 giugno 2016 non può essere utilmente invocata per giustificare il rifiuto di nominare i propri presidenti del consiglio di amministrazione come «dirigenti di fatto», dal momento che tale sentenza si fonderebbe su una lettura erronea del loro statuto di banca cooperativa.

    42

    Nell’ambito del secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo L. 511-52-IV del CMF, le ricorrenti contestano alla BCE di aver commesso un errore di diritto nel dedurre da tale disposizione che solo le funzioni di amministratore delegato, di direttore generale delegato, di membro del comitato esecutivo o di amministratore unico consentirebbero di ottenere l’approvazione come «dirigente di fatto». Esse ricordano che lo scopo dell’articolo L. 511-52-IV del CMF non è descrivere le funzioni che permettono di essere nominato «dirigente di fatto», ma soltanto istituire norme che limitino gli incarichi multipli al fine di garantire che i dirigenti dedichino un tempo sufficiente alle loro funzioni. L’assoggettamento dei «dirigenti di fatto» allo stesso regime dei dirigenti esecutivi non implicherebbe la loro assimilazione, poiché una nozione non si definisce tramite il suo regime giuridico. Esse aggiungono che gli specifici compiti affidati dal CMF ai «dirigenti di fatto» giustificano che essi siano soggetti a divieti di cumulo più rigorosi rispetto a quelli applicabili ad altri membri dell’organo di gestione con funzioni non esecutive. Infine, le ricorrenti ritengono che erratamente la BCE abbia fatto riferimento all’articolo L. 511-52-IV del CMF al fine di determinare le funzioni oggetto del divieto di cumulo di cui all’articolo L. 511-58 del CMF, posto che i regimi d’incompatibilità previsti da tali disposizioni perseguono obiettivi diversi.

    43

    Nell’ambito del terzo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo L. 511-13 del CMF e degli articoli 13 e 88 della direttiva 2013/36, le ricorrenti sostengono, in sostanza, che il divieto di cumulo tra le funzioni di presidente del consiglio di amministrazione e di amministratore delegato non implica la riduzione della nozione di direzione effettiva all’esercizio delle sole funzioni esecutive. Pertanto, dal momento che l’organo di gestione è incaricato sia di funzioni di vigilanza sia di funzioni esecutive, sarebbe logico che queste due categorie di funzioni siano rappresentate da due «dirigenti di fatto». Esse sostengono che l’approccio della BCE, in quanto induce a designare come «dirigenti di fatto», oltre all’amministratore delegato, anche un direttore generale aggiunto o delegato, comporta che si rimetta in discussione il «principio del doppio controllo» o la «regola dei quattro occhi» che attua l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, dal momento che il «dirigente di fatto» sarebbe in una posizione di subordinazione rispetto all’amministratore delegato. Esse ribadiscono che la constatazione di un’incompatibilità tra le funzioni di presidente del consiglio di amministrazione e di «dirigente di fatto» si basa sul postulato errato dell’assimilazione del «dirigente di fatto» all’amministratore delegato. Infine, il riferimento della BCE all’articolo L. 511-58, secondo comma, del CMF sarebbe inconferente, dal momento che tale disposizione riguarderebbe esclusivamente le succursali di enti creditizi aventi la sede sociale al di fuori dell’Unione europea e costituirebbe, pertanto, un «regime di incompatibilità specifica».

    44

    La BCE, sostenuta dalla Commissione, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

    45

    In sostanza, con i primi tre motivi, le ricorrenti sostengono che la BCE è incorsa in errori di diritto in occasione dell’interpretazione della nozione di «dirigente di fatto» limitandola ai membri della dirigenza aventi funzioni esecutive. Esse contestano, pertanto, l’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 e dell’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF privilegiata dalla BCE. A tal riguardo, se le ricorrenti, in particolare nel quadro del secondo e del terzo motivo, fanno riferimento ad altre disposizioni della direttiva 2013/36, del CMF e alla legge del 10 settembre 1947 recante lo statuto della cooperazione, è al fine di contestare l’interpretazione adottata dalla BCE dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 o dell’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF.

    46

    Si deve ricordare che la decisione impugnata è stata adottata sulla base, in particolare, dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera e), del regolamento n. 1024/2013, secondo cui «conformemente al paragrafo 3 del presente articolo la BCE ha competenza esclusiva nell’assolvimento dei compiti seguenti, a fini di vigilanza prudenziale, nei confronti di tutti gli enti creditizi stabiliti negli Stati membri partecipanti: (…) assicurare il rispetto degli atti di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, che impongono agli enti creditizi requisiti che assicurino la presenza di solidi dispositivi di governo societario, compresi i requisiti di professionalità e onorabilità per le persone responsabili dell’amministrazione degli enti creditizi, di processi di gestione del rischio, di meccanismi di controllo interno, di politiche e prassi di remunerazione e di processi efficaci di valutazione dell’adeguatezza del capitale interno, compresi i modelli basati sui rating interni».

    47

    In applicazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1024/2013, «ai fini dell’assolvimento dei compiti attribuitile dal presente regolamento e allo scopo di assicurare standard elevati di vigilanza, la BCE applica tutto il pertinente diritto dell’Unione e, se tale diritto dell’Unione è composto da direttive, la legislazione nazionale di recepimento di tali direttive».

    48

    Pertanto, in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1024/2013, la BCE era tenuta ad applicare non solo l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, ma anche la disposizione di diritto nazionale che ne costituisce la trasposizione, vale a dire l’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF.

    49

    Quindi, l’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1024/2013 implica necessariamente che il Tribunale valuti la legittimità delle decisioni impugnate ai sensi sia dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 che dell’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF.

    50

    Pertanto, al fine di verificare se la BCE abbia commesso gli errori di diritto asseriti dalle ricorrenti, si deve stabilire il significato non solo dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, ma anche quello dell’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF.

    Sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36

    51

    È opportuno rilevare che l’espressione «persone [che] dirigono di fatto l’attività dell’ente» è utilizzata all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 e all’articolo 3, paragrafo 1, punto 7, della stessa direttiva, il quale definisce un organo di gestione come «l’organo o gli organi di un ente, che sono designati conformemente al diritto nazionale, cui è conferito il potere di stabilire gli indirizzi strategici, gli obiettivi e la direzione generale dell’ente, che supervisionano e monitorano le decisioni della dirigenza e comprendono le persone che dirigono di fatto l’attività dell’ente».

    52

    Si tratta delle uniche due menzioni di tale espressione nella direttiva 2013/36. Infatti, non si fa menzione delle «persone che dirigono di fatto l’attività dell’ente» né nella definizione di «organo di gestione nella sua funzione di supervisione strategica» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, punto 8, della direttiva 2013/36, né nella definizione di «alta dirigenza» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, punto 9, della stessa direttiva.

    53

    Poiché l’espressione «persone che dirigono di fatto l’attività dell’ente» utilizzata all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 non è definita in tale direttiva, è necessario procedere alla sua interpretazione.

    54

    Secondo una costante giurisprudenza, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2005, VEMW e a., C‑17/03, EU:C:2005:362, punto 41 e giurisprudenza citata).

    55

    Più in particolare, dal momento che le interpretazioni letterale e storica di un regolamento, in particolare di una delle sue disposizioni, non consentono di coglierne la portata esatta, la normativa di cui trattasi va interpretata sulla scorta della sua finalità e del suo impianto sistematico (v., in tal senso, sentenze del 31 marzo 1998, Francia e a./Commissione, C‑68/94 e C‑30/95, EU:C:1998:148, punto 168, e del 25 marzo 1999, Gencor/Commissione, T‑102/96, EU:T:1999:65, punto 148).

    – Sulle interpretazioni letterale e storica dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36

    56

    Per quanto riguarda, in primo luogo, l’interpretazione letterale dell’espressione «due persone [che] dirigono di fatto l’attività dell’ente» di cui all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, occorre rilevare che essa è costituita da tre elementi: innanzitutto, un riferimento al significato di direzione, «almeno due persone dirigono», successivamente, una locuzione che qualifica tale direzione, «di fatto», e, infine, la menzione dell’oggetto di tale direzione, «l’attività dell’ente».

    57

    Per quanto riguarda, in primo luogo, il riferimento alla nozione di direzione, ne consegue solo che le persone interessate devono essere «dirigenti» e quindi membri dell’organo di gestione quale definito all’articolo 2, paragrafo 1, punto 7, della direttiva 2013/36, il che è confermato dal tenore letterale di quest’ultima disposizione, la quale menziona esplicitamente la presenza in seno all’organo di gestione delle persone che dirigono di fatto l’attività dell’ente.

    58

    Nella misura in cui sia dal considerando 56 della direttiva 2013/36, secondo cui «[u]n organo di gestione dovrebbe essere inteso come un organo dotato di funzioni esecutive e di supervisione strategica», sia dal tenore letterale dell’articolo 3, paragrafo 1, punto 7, della stessa direttiva deriva che l’organo di gestione comprende tutti i dirigenti, che dispongano di compiti di supervisione strategica o esecutivi, la partecipazione di persone che dirigono di fatto l’attività dell’ente all’organo di gestione non consente, di per sé, di determinare la portata precisa di tale espressione.

    59

    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la locuzione «di fatto», come si evince dall’argomentazione delle parti essa può essere intesa almeno in due modi. Da un lato, può essere intesa nel senso che implica una stabilità e un’effettività nell’attività dei dirigenti dell’ente creditizio, come sostengono le ricorrenti, nel qual caso può ricomprendere l’attività dei dirigenti amministratori senza incarichi esecutivi, responsabili di una funzione di sorveglianza. Dall’altro lato, essa può essere intesa nel senso che riguarda la direzione esecutiva dell’ente creditizio, come sostiene la BCE, il che sembrerebbe implicare che può riguardare soltanto i membri dell’organo di gestione che partecipano all’alta dirigenza, quale definita all’articolo 3, paragrafo 1, punto 9, della direttiva 2013/36.

    60

    Per quanto riguarda, in terzo luogo, il riferimento all’oggetto di tale direzione di fatto, vale a dire l’«attività dell’ente», è giocoforza constatare che essa sembra piuttosto implicare che solo i membri dell’organo di gestione che sono anche membri dell’alta dirigenza possono essere considerati come dirigenti di fatto di un ente creditizio.

    61

    Infatti, il riferimento alla «[direzione di fatto dell’]attività dell’ente» sembra concettualmente più vicino alle «funzioni esecutive» e alla responsabilità della «gestione quotidiana» dell’ente creditizio di cui all’articolo 3, paragrafo 1, punto 9, della direttiva 2013/36, connesse con l’alta dirigenza, che alla «supervisione e [al] monitoraggio delle decisioni della dirigenza», compiti questi che l’articolo 3, paragrafo 1, punto 8, affida all’organo di gestione nella sua funzione di supervisione strategica.

    62

    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’interpretazione storica dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, è opportuno rilevare che, è vero che un requisito per l’autorizzazione a un ente creditizio che si avvicina a quello previsto all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 è stato introdotto già dall’articolo 3, paragrafo 2, della prima direttiva 77/780/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1977, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio (GU 1977, L 322, pag. 30), tale requisito è stato però modificato nella direttiva 2013/36.

    63

    Infatti, l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 77/780 imponeva «la presenza di almeno due persone che determinino effettivamente l’orientamento dell’attività dell’ente creditizio». Analogamente, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (GU 2000, L 126, pag. 1) e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva n. 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (rifusione) (GU 2006, L 177, pag. 1) imponevano «la presenza di almeno due persone che determinino effettivamente l’orientamento dell’attività dell’ente creditizio».

    64

    È giocoforza constatare che il riferimento alla «[determinazione] effettiva dell’orientamento dell’attività dell’ente» poteva eventualmente essere intesa come riguardante una funzione propria dell’organo di gestione nel suo insieme, il quale è competente a «stabilire gli indirizzi strategici, gli obiettivi e la direzione generale dell’ente», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, punto 7, della direttiva 2013/36.

    65

    Per quanto riguarda l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, per i motivi esposti ai precedenti punti 60 e 61, il riferimento all’«[effettivo orientamento] dell’attività dell’ente» sembra concettualmente più vicino alle «funzioni esecutive» e alla responsabilità della «gestione quotidiana» dell’ente di cui all’articolo 3, paragrafo 1, punto 9, della direttiva 2013/36 in relazione all’alta dirigenza.

    66

    Infatti, l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 si caratterizza per l’evoluzione di un testo, che passa da un riferimento applicabile a tutti i membri dell’organo di gestione a un riferimento tendente a designare i soli membri che partecipano all’alta dirigenza dell’ente.

    67

    Alla luce di quanto precede, si deve concludere che le interpretazioni letterale e storica dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 tendono piuttosto ad implicare che l’espressione «due persone [che] dirigono di fatto l’attività dell’ente» debba essere intesa come riferita ai membri dell’organo di gestione che fanno parte anche dell’alta dirigenza dell’ente creditizio.

    68

    Tuttavia, tali interpretazioni non consentono, di per sé, di determinare con certezza il senso dell’espressione utilizzata all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, in quanto detta direttiva non crea nessun collegamento esplicito tra l’appartenenza all’alta dirigenza dell’ente creditizio e la «[direzione di fatto delle] attività dell’ente». È opportuno, pertanto, in applicazione della giurisprudenza menzionata al precedente punto 55, verificare se tale conclusione sia suffragata dalle interpretazioni teleologica e contestuale dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36.

    – Sulle interpretazioni teleologica e contestuale dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36

    69

    È opportuno sottolineare che la direttiva 2013/36 nulla dice sulla finalità del suo articolo 13, paragrafo 1, dal momento che nessun considerando riguarda tale articolo. Tale finalità non può, inoltre, essere desunta dalla precedente normativa.

    70

    Infatti, né la direttiva 77/780, né la direttiva 2000/12, né la direttiva 2006/48 contenevano considerando che spiegassero la finalità del requisito per l’autorizzazione di un ente creditizio di cui al precedente punto 62.

    71

    A tale riguardo, le ricorrenti sostengono che l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, così come le disposizioni pertinenti delle direttive 77/780, 2000/12 e 2006/48, persegue una finalità attinente alla buona governance degli enti creditizi, che consiste nello stabilire il principio del «doppio controllo» o la regola «dei quattro occhi», evitando la concentrazione di poteri nelle mani di una sola persona, e che la salvaguardia dell’effettività di tale principio o regola implica che, oltre all’amministratore delegato, vi sia un altro «dirigente di fatto» che non è a questi subordinato, quale il presidente del consiglio di amministrazione.

    72

    È ben vero che l’obbligo della presenza di almeno due persone che dirigono di fatto l’attività di un ente creditizio potrebbe essere inteso come volto non solo a consentire una continuità nella direzione di fatto di un ente creditizio evitando che possa essere compromessa in caso di impedimento che colpisca un dirigente unico, ma anche a istituire meccanismi di controllo reciproco tra le persone che dirigono di fatto l’ente creditizio.

    73

    Tuttavia, occorre rilevare che, per quanto riguarda la governance degli enti creditizi, le finalità della direttiva 2013/36 risultano chiaramente dai considerando della direttiva, in particolare, dai considerando 53, 54 e 57.

    74

    Così, al considerando 53 della direttiva 2013/36 si sottolinea che «[l]e carenze del governo societario in una serie di enti hanno contribuito ad un’assunzione di rischio eccessiva e imprudente nel settore bancario che ha portato al fallimento di singoli enti e a problemi sistemici negli Stati membri e a livello mondiale[; le] disposizioni estremamente generali sulla governance degli enti e la natura non vincolante di una parte consistente del quadro sul governo societario, basato essenzialmente su codici di condotta volontari, non hanno facilitato in maniera sufficiente l’attuazione efficace di prassi solide in materia di governo societario da parte degli enti». A tal riguardo, il legislatore ha evidenziato, al medesimo considerando, che «[i]n alcuni casi l’assenza di efficaci controlli sistematici nell’ambito degli enti ha portato alla mancanza di una sorveglianza efficace sulle decisioni della dirigenza, che ha esacerbato strategie di gestione centrate sul breve termine ed eccessivamente rischiose».

    75

    Analogamente, il considerando 54 della direttiva 2013/36 indica che, «[p]er far fronte all’effetto dannoso che dispositivi di governo societario mal concepiti possono avere su una gestione del rischio sana, è opportuno che gli Stati membri introducano principi e norme volti ad assicurare una sorveglianza efficace da parte dell’organo di gestione».

    76

    Infine, al considerando 57 della direttiva 2013/36 si precisa che «[i]l ruolo dei membri non esecutivi dell’organo di gestione in seno a un ente dovrebbe comprendere: un’azione di stimolo costruttivo alla strategia dell’ente e, di conseguenza, un contributo al suo sviluppo, l’esame dei risultati della dirigenza in termini di raggiungimento degli obiettivi concordati, l’accertamento che le informazioni finanziarie siano accurate e che i controlli finanziari e i sistemi di gestione del rischio siano solidi e giustificabili, l’esame dell’elaborazione e dell’attuazione della politica di remunerazione dell’ente e l’emissione di opinioni obiettive su risorse, nomine e norme di condotta».

    77

    Pertanto, risulta dall’esame dei considerando della direttiva 2013/36 che, mentre quest’ultima nulla dice in ordine alle finalità della norma di cui all’articolo 13, paragrafo 1, essa contiene una spiegazione chiara dell’obiettivo perseguito dal legislatore per quanto riguarda le norme relative alla buona governance degli enti creditizi. Tale finalità consiste in una supervisione efficace sull’alta dirigenza da parte dei membri non esecutivi dell’organo di gestione, la quale implica un equilibrio dei poteri in seno all’organo di gestione.

    78

    Ciò si sostanzia nell’articolo 88 della direttiva 2013/36, intitolato «Dispositivi di governance», il quale precisa, in particolare, al suo paragrafo 1, lettere d) ed e), rispettivamente, che «l’organo di gestione deve essere responsabile di assicurare un’efficace sorveglianza sull’alta dirigenza» e che «il presidente dell’organo di gestione nella sua funzione di supervisione strategica dell’ente non deve esercitare simultaneamente le funzioni di amministratore delegato in seno allo stesso ente, a meno che non sia giustificato dall’ente e autorizzato dalle autorità competenti».

    79

    Ne consegue necessariamente che, nell’impianto sistematico della direttiva 2013/36 la finalità relativa alla buona governance degli enti creditizi – sulla quale le ricorrenti tentano di fondare la loro interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, di tale direttiva – passa per la ricerca di un’efficace sorveglianza sull’alta dirigenza da parte dei membri non esecutivi dell’organo di gestione, la quale implica un equilibrio dei poteri in seno all’organo di gestione. Orbene, è giocoforza constatare che l’efficacia di una tale supervisione potrebbe essere compromessa qualora il presidente dell’organo di gestione nella sua funzione di supervisione strategica, pur non rivestendo formalmente la funzione di amministratore delegato, sarebbe congiuntamente incaricato della direzione di fatto dell’attività di un ente creditizio.

    80

    Pertanto, se sia l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 77/780, sia l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/12 e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2006/48 potevano eventualmente essere intesi nel senso di autorizzare la nomina congiunta come «dirigenti di fatto» dell’amministratore delegato e del presidente dell’organo di gestione nella sua funzione di supervisione strategica, al fine di consentire un «doppio controllo» nella dirigenza dell’ente creditizio, una siffatta interpretazione non può essere accolta in relazione alla direttiva 2013/36, in quanto essa dispone di regole precise sulla buona governance degli enti creditizi, le quali escludono, in linea di principio, che il presidente dell’organo di gestione nella sua funzione di supervisione strategica possa essere contemporaneamente incaricato della direzione di fatto dell’attività di un ente creditizio.

    81

    Tale conclusione non è inficiata da quanto previsto al considerando 55 della direttiva 2013/36, secondo il quale:

    «Negli Stati membri sono utilizzate strutture di governance diverse. Nella maggior parte dei casi è utilizzata una struttura monistica o dualistica. Le definizioni utilizzate nella presente direttiva sono intese a comprendere tutte le strutture vigenti senza raccomandarne alcuna in particolare. Esse sono puramente funzionali alla determinazione di norme intese a ottenere un risultato preciso a prescindere dal diritto societario nazionale applicabile a un ente in ciascuno Stato membro. Le definizioni non dovrebbero pertanto interferire con l’assegnazione generale delle competenze secondo il diritto societario nazionale».

    82

    Infatti, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, un’interpretazione siffatta non osta all’esistenza di una struttura unitaria di governance di un ente creditizio nel quale l’organo di gestione dispone sia di funzioni esecutive sia di vigilanza, ma riguarda solo l’organizzazione dei poteri in seno a tale organo di gestione.

    83

    Alla luce di quanto precede, risulta dalle interpretazioni letterale, storica, teleologia e contestuale dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, che l’espressione «due persone [che] dirigono di fatto l’attività dell’ente» riguarda i membri dell’organo di gestione che fanno parte anche dell’alta dirigenza dell’ente creditizio.

    Sull’interpretazione dell’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF

    84

    Dal momento che è in questione l’interpretazione di una disposizione del diritto nazionale, è opportuno ricordare che, in applicazione di una giurisprudenza costante, la portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali va valutata alla luce dell’interpretazione che ne danno i giudici nazionali (v. sentenze del 27 giugno 1996, Schmit, C‑240/95, EU:C:1996:259, punto 14 e giurisprudenza citata, e del 16 settembre 2015, Commissione/Slovenia, C‑433/13, EU:C:2015:602, punto 81 e giurisprudenza citata).

    85

    A tal riguardo, si deve rilevare che la BCE e la Commissione fanno riferimento, in particolare, all’interpretazione dell’articolo L. 511-13 del CMF contenuta nella sentenza del Conseil d’État (Consiglio di Stato) del 30 giugno 2016, menzionata al precedente punto 19. Le ricorrenti hanno avuto la possibilità di presentare le loro osservazioni su tale sentenza nelle loro osservazioni sulla memoria di intervento della Commissione e all’udienza.

    86

    Occorre, inoltre, rilevare che tale sentenza è stata pronunciata a seguito di un ricorso per eccesso di potere avverso la posizione 2014-P-07 dell’ACPR, con cui quest’ultima rende esplicita la propria interpretazione della nozione di «dirigente di fatto» in un senso identico a quello adottato dalla BCE, la quale ha fatto riferimento alla posizione 2014-P-07 dell’ACPR nelle decisioni impugnate. La sentenza del Conseil d’État (Consiglio di Stato) del 30 giugno 2016, pertanto, è particolarmente rilevante nel caso di specie.

    87

    Occorre peraltro rilevare che la circostanza che la sentenza del Conseil d’État (Consiglio di Stato) del 30 giugno 2016, sia successiva alle decisioni impugnate non impedisce di tenerne conto ai fini dell’interpretazione dell’articolo L. 511-13 del CMF, dal momento che le ricorrenti hanno avuto la possibilità dinanzi al Tribunale di presentare le loro osservazioni (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 5 aprile 2017, EUIPO/Szajner, C‑598/14 P, EU:C:2017:265, punti da 44 a 46).

    88

    Al punto 7 della sentenza del Conseil d’État (Consiglio di Stato) del 30 giugno 2016, si precisa quanto segue:

    «[A]i sensi dell’articolo L. 225-51 del codice di commercio [francese,] “[i]l presidente del consiglio di amministrazione organizza e dirige i lavori di quest’ultimo, di cui rende conto all’assemblea generale. Provvede al corretto funzionamento degli organi societari e garantisce, in particolare, che gli amministratori siano in grado di svolgere il proprio compito”. (…) [R]isulta da tali disposizioni che il presidente del consiglio di amministrazione di un ente creditizio sotto forma di società per azioni, ad eccezione del caso in cui assume l’alta dirigenza dell’ente, come previsto dall’articolo L. 225-51-1 dello stesso codice e a condizione di esservi stato autorizzato alle condizioni stabilite dall’articolo L. 511-58 del [CMF], non può essere considerato come garante della direzione di fatto dell’ente creditizio ai sensi dell’articolo L. 511-13 di tale codice[. D]i conseguenza, l’ACPR non ha violato tali disposizioni affermando che, al di là di tale ipotesi, il presidente del consiglio di amministrazione di un ente creditizio, costituito sotto forma di una società per azioni con consiglio di amministrazione, non può essere nominato come “dirigente di fatto” di tale ente[. L]e ricorrenti non possono a tal proposito invocare utilmente le peculiarità degli enti creditizi soggetti alla legge del 10 settembre 1947 recante lo statuto della cooperazione, dal momento che le disposizioni precitate del codice di commercio erano loro applicabili indipendentemente dalla libertà di organizzazione che conferivano loro le disposizioni di tale legge o dell’articolo L. 512-31 del [CMF]».

    89

    Così, con la sua sentenza del 30 giugno 2016, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha ritenuto che è solo nel caso in cui il presidente del consiglio di amministrazione di un ente creditizio fosse stato esplicitamente autorizzato ad assumere l’alta dirigenza che lo stesso avrebbe potuto essere nominato «dirigente di fatto» di detto ente, ai sensi dell’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF.

    90

    Ne consegue che la BCE non ha commesso gli errori di diritto asseriti dalle ricorrenti affermando che la nozione di «dirigente di fatto» di un ente creditizio doveva essere intesa nel senso che designa i dirigenti con funzioni esecutive, quali l’amministratore delegato, il direttore generale delegato, i membri del comitato esecutivo o l’amministratore unico.

    91

    Infatti, sia l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 quanto l’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF implicano che solo i membri dell’organo di gestione che rientrano anche nell’alta dirigenza dell’ente creditizio possono essere designati come «persone che dirigono di fatto l’attività dell’ente» ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 o come persone che assicurano la «direzione di fatto dell’ente creditizio» ai sensi dell’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF.

    92

    Poiché la sentenza del Conseil d’État (Consiglio di Stato) del 30 giugno 2016 è sufficiente a stabilire la portata delle norme di diritto nazionale che la BCE doveva applicare in seguito al rinvio operato dall’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1024/2013, vale a dire l’articolo L. 511-13, secondo comma, del CMF, gli argomenti addotti dalle ricorrenti volti a rimettere in discussione la fondatezza di tale interpretazione, anche in riferimento ad altre norme di diritto nazionale, devono essere senz’altro respinti. Ciò vale, in particolare, per la libertà di organizzazione di cui beneficerebbero le ricorrenti in applicazione della legge del 10 settembre 1947 recante lo statuto della cooperazione, questione sulla quale il Conseil d’État (Consiglio di Stato) si è inoltre espressamente pronunciato al punto 7 della sua sentenza del 30 giugno 2016.

    93

    I primi tre motivi dedotti dalle ricorrenti devono, pertanto, essere respinti.

    Sul quarto motivo, dedotto in via subordinata e attinente ad una violazione dell’articolo L. 511-58 del CMF

    94

    Come è stato chiarito ai precedenti punti 8 e 18, nelle decisioni impugnate, la BCE ha basato il suo rifiuto di approvazione dei presidenti dei consigli di amministrazione delle ricorrenti come loro «dirigenti di fatto» in particolare sui termini dell’articolo L. 511-58 del CMF che recepisce l’articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36. Essa ha altresì rilevato che il considerando 54 di tale direttiva consentiva agli Stati membri di introdurre ulteriori principi e norme di governo societario oltre a quelli prescritti dalla direttiva.

    95

    Nell’ambito del quarto motivo, le ricorrenti sostengono che la BCE ha commesso un errore nell’interpretazione dell’articolo L. 511-58 del CMF, poiché tale disposizione non impedirebbe al presidente del consiglio di amministrazione di esercitare qualsiasi funzione esecutiva, ma solo la funzione di amministratore delegato. Esse sottolineano che, in diritto francese, il presidente del consiglio di amministrazione dispone di funzioni esecutive effettive e diverse da quelle di un amministratore delegato. Esse ricordano che la loro organizzazione è disciplinata dalla legge del 10 settembre 1947, recante lo statuto della cooperazione, la quale è caratterizzata da una grande flessibilità in materia di organizzazione, il che ha consentito loro di definire in modo ampio, nei loro statuti, i poteri conferiti al consiglio di amministrazione e al suo presidente. Inoltre, la portata delle prerogative del presidente del consiglio di amministrazione autonome o delegate dal consiglio di amministrazione sarebbe sufficiente a giustificare la sua qualificazione di «dirigente di fatto» senza però assimilarlo a un amministratore delegato. Inoltre, limitando il ruolo del consiglio di amministrazione e del suo presidente alle sole funzioni di vigilanza, la BCE avrebbe soppresso la peculiarità dei modelli di governance «monistici» in cui il consiglio di amministrazione partecipa sia alle funzioni di vigilanza sia alle funzioni esecutive, contrariamente all’intenzione del legislatore che figura al considerando 55 della direttiva 2013/36. Infine, esse ricordano di non aver chiesto la nomina del loro presidente del consiglio di amministrazione come amministratore delegato, ma come «dirigente di fatto».

    96

    La BCE, sostenuta dalla Commissione, contesta gli argomenti delle ricorrenti.

    97

    Per quanto riguarda, in primo luogo, l’articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36, si deve rilevare che quest’ultimo è chiaramente formulato nel senso di impedire che «il presidente dell’organo di gestione nella sua funzione di supervisione strategica dell’ente [eserciti] simultaneamente le funzioni di amministratore delegato in seno allo stesso ente, a meno che non sia giustificato dall’ente e autorizzato dalle autorità competenti».

    98

    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’articolo L. 511-58 del CMF, che provvede alla trasposizione dell’articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36, precisa che «[l]a presidenza del consiglio di amministrazione o di un altro organo con funzioni equivalenti di un ente creditizio o di una società di finanziamento non può essere esercitata dall’amministratore delegato o da una persona che esercita funzioni di gestione equivalenti».

    99

    A tale riguardo, occorre rilevare che, se l’articolo L. 511-58 del CMF ha una portata più ampia di quella dell’articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36, in quanto osta a che non solo «l’amministratore generale», ma anche «una persona che esercita funzioni di gestione equivalenti», esercitino la presidenza del consiglio di amministrazione, mentre l’articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36 si riferisce soltanto all’amministratore delegato, il campo di applicazione più ampio non mette in discussione la sua compatibilità con il suddetto articolo. Infatti, come ha correttamente sottolineato la BCE nelle decisioni impugnate, il considerando 54 della direttiva 2013/36, il cui contenuto è ricordato al precedente punto 75, consente agli Stati membri di introdurre principi e norme volti ad assicurare una sorveglianza efficace da parte dell’organo di gestione. Inoltre, l’estensione del divieto di principio del cumulo delle funzioni di presidente del consiglio di amministrazione a una «persona che esercita funzioni di gestione equivalenti» a quella di amministratore delegato è conforme alla finalità della direttiva 2013/36, quali esposti ai precedenti punti da 73 a 79, vale a dire la ricerca di una sorveglianza efficace sull’alta dirigenza da parte dei membri non esecutivi dell’organo di gestione, che implica un equilibrio dei poteri in seno all’organo di gestione.

    100

    Per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo L. 511-58 del CMF, si evince dal punto 7 della sentenza del 30 giugno 2016, ricordato al precedente punto 88, che il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha ritenuto che tale disposizione ostasse a che il presidente del consiglio di amministrazione di un ente creditizio fosse designato come «dirigente di fatto» di tale ente, salvo nei casi in cui esso è stato autorizzato ad assumerne l’alta dirigenza.

    101

    Orbene, risulta dall’interpretazione dell’articolo 88, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2013/36 esposta al precedente punto 97 che, applicando l’articolo L. 511-58 del CMF, la BCE ha adottato una decisione conforme al predetto articolo 88, paragrafo 1, lettera e). Non vi è quindi motivo di esaminare gli argomenti addotti dalle ricorrenti volti a rimettere in discussione la fondatezza dell’interpretazione dell’articolo L. 511-58 del CMF.

    102

    Ne consegue che la BCE non ha commesso errore di diritto concludendo che l’articolo L. 511-58 del CMF ostava alla nomina dei presidenti dei consigli di amministrazione delle ricorrenti come loro «dirigenti di fatto».

    103

    Il quarto motivo deve, pertanto, essere respinto e, di conseguenza, il ricorso deve essere respinto nel suo insieme.

    Sulle spese

    104

    A norma dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Nel caso di specie, poiché le ricorrenti sono rimaste soccombenti, occorre condannarle a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla BCE, conformemente alla domanda di quest’ultima.

    105

    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le istituzioni che sono intervenute nella causa sopportano le proprie spese. Pertanto, la Commissione sopporterà le proprie spese.

     

    Per tali motivi,

    IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

    dichiara e statuisce:

     

    1)

    I ricorsi sono respinti.

     

    2)

    La Caisse régionale de crédit agricole mutuel Alpes Provence, la Caisse régionale de crédit agricole mutuel Nord Midi-Pyrénées, la Caisse régionale de crédit agricole mutuel Charente-Maritime Deux-Sèvres e la Caisse régionale de crédit agricole mutuel Brie Picardie sopporteranno le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Banca centrale europea (BCE).

     

    3)

    La Commissione europea sopporterà le proprie spese.

     

    Prek

    Buttigieg

    Schalin

    Berke

    Costeira

    Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 24 aprile 2018.

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: il francese.

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