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Document 62016CC0230

Conclusioni dell’avvocato generale N. Wahl, presentate il 26 luglio 2017.
Coty Germany GmbH contro Parfümerie Akzente GmbH.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Oberlandesgericht Frankfurt am Main.
Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Intese – Articolo 101, paragrafo 1, TFUE – Distribuzione selettiva di prodotti cosmetici di lusso – Clausola che vieta ai distributori di ricorrere a un terzo non autorizzato nell’ambito della vendita a mezzo Internet – Regolamento (UE) n. 330/2010 – Articolo 4, lettera b) e c).
Causa C-230/16.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2017:603

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 26 luglio 2017 ( 1 )

Causa C‑230/16

Coty Germany GmbH

contro

Parfümerie Akzente GmbH

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberlandesgericht Frankfurt am Main (Tribunale superiore del Land, Francoforte sul Meno, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Intese – Articolo 101, paragrafo 1, TFUE – Distribuzione selettiva – Clausola che vieta ai distributori al dettaglio di ricorrere ad un terzo non autorizzato nell’ambito della vendita tramite Internet – Beneficio dell’esenzione per categoria prevista dal regolamento (UE) n. 330/2010 – Articolo 4, lettere b) e c)»

1. 

Il crescente ricorso, da parte di alcuni distributori, a mercati (marketplace) o piattaforme elettroniche indipendenti dai produttori ( 2 ) ha naturalmente portato una serie di autorità e di giudici nazionali ( 3 ) a chiedersi se un fornitore possa vietare ai rivenditori autorizzati di una rete di distribuzione selettiva di ricorrere a imprese terze non autorizzate.

2. 

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale, che ci invita a «ripensare» la legalità, con riferimento alle regole della concorrenza, dei sistemi di distribuzione selettiva alla luce delle recenti evoluzioni nel settore del commercio elettronico, e le cui possibili conseguenze economiche non devono essere sottovalutate ( 4 ), ne costituisce una perfetta illustrazione.

3. 

Con la presente domanda, l’Oberlandesgericht Frankfurt am Main (Tribunale superiore del Land, Francoforte sul Meno, Germania) chiede lumi alla Corte sull’interpretazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, nonché dell’articolo 4, lettere b) e c), del regolamento (UE) n. 330/2010 ( 5 ).

4. 

Detta domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la Coty Germany GmbH, un fornitore di prodotti cosmetici di lusso leader in Germania, e la Parfümerie Akzente GmbH, distributore autorizzato di detti prodotti, riguardo il divieto imposto a quest’ultima di ricorrere in modo riconoscibile a imprese terze non autorizzate per le vendite tramite Internet dei prodotti oggetto del contratto.

5. 

Più in particolare, viene chiesto alla Corte se, e in quale misura, i sistemi di distribuzione selettiva relativi ai prodotti di lusso e di prestigio e volti principalmente a preservare l’«immagine di lusso» di tali prodotti costituiscano elementi di concorrenza conformi all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. In tale contesto, la Corte è chiamata a determinare se sia conforme a detta disposizione il divieto assoluto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva operanti nel commercio al dettaglio di servirsi, in modo riconoscibile, per le vendite tramite Internet, di imprese terze senza che rilevi, nel caso specifico, il mancato soddisfacimento dei legittimi requisiti di qualità posti dal produttore. Inoltre, la Corte è invitata a chiarire se l’articolo 4, lettere b) e c), del regolamento n. 330/2010 debba essere interpretato nel senso che un siffatto divieto costituisce una restrizione cosiddetta «per oggetto» della clientela del dettagliante e/o delle vendite passive agli utenti finali.

6. 

A tale riguardo, la presente causa offre alla Corte l’opportunità di precisare se la sentenza Pierre Fabre Dermo-Cosmétique ( 6 ), che, come ha rilevato il giudice del rinvio, è stata oggetto di interpretazioni divergenti da parte delle autorità preposte alla concorrenza e dei giudici nazionali, abbia o meno fondamentalmente modificato la concezione, alla luce delle regole di concorrenza dell’Unione, delle restrizioni proprie a qualsiasi sistema di distribuzione selettiva che siano fondate su criteri qualitativi.

Contesto normativo

Regolamento n. 330/2010

7.

Ai sensi dei considerando da 3 a 5 del regolamento n. 330/2010:

«(3)

La categoria di accordi per i quali le condizioni di cui all’articolo 101, paragrafo 3, [TFUE] possono essere di norma considerate soddisfatte include accordi verticali riguardanti l’acquisto o la vendita di beni o servizi, qualora tali accordi siano conclusi tra imprese non concorrenti, fra talune imprese concorrenti o da talune associazioni di dettaglianti di beni. Essa include inoltre accordi verticali contenenti disposizioni accessorie relative alla cessione o all’uso di diritti di proprietà intellettuale. È necessario che il termine accordi verticali comprenda le pratiche concordate corrispondenti.

(4)

Ai fini dell’applicazione mediante regolamento dell’articolo 101, paragrafo 3, [TFUE] non è necessario definire gli accordi verticali che possono rientrare nel campo di applicazione del paragrafo 1 di detto articolo. La valutazione individuale di accordi ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, [TFUE] esige che diversi fattori siano presi in considerazione, in particolare la struttura del mercato sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda.

(5)

Il beneficio dell’esenzione per categoria di cui al presente regolamento deve essere limitato agli accordi verticali per i quali si può presupporre con sufficiente certezza la conformità alle condizioni di cui all’articolo 101, paragrafo 3, [TFUE]».

8.

L’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 330/2010 prevede quanto segue:

«Ai fini del presente regolamento si applicano le seguenti definizioni:

a)

per “accordi verticali” si intendono gli accordi o le pratiche concordate conclusi tra due o più imprese, operanti ciascuna, ai fini dell’accordo o della pratica concordata, ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione, e che si riferiscono alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi;

b)

per “restrizioni verticali” si intendono le restrizioni della concorrenza in un accordo verticale rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, [TFUE];

(…)

e)

per “sistema di distribuzione selettiva” si intende un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema;

(…)».

9.

L’articolo 2, paragrafo 1, di detto regolamento così dispone:

«Conformemente all’articolo 101, paragrafo 3, [TFUE], e salvo il disposto del presente regolamento, l’articolo 101, paragrafo 1, [TFUE] è dichiarato inapplicabile agli accordi verticali.

La presente esenzione si applica nella misura in cui tali accordi contengano restrizioni verticali».

10.

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del medesimo regolamento:

«L’esenzione di cui all’articolo 2 si applica a condizione che la quota di mercato detenuta dal fornitore non superi il 30% del mercato rilevante sul quale vende i beni o servizi oggetto del contratto e la quota di mercato detenuta dall’acquirente non superi il 30% del mercato rilevante sul quale acquista i beni o servizi oggetto del contratto».

11.

L’articolo 4 del regolamento n. 330/2010, rubricato «Restrizioni che eliminano il beneficio dell’esenzione per categoria – restrizioni fondamentali», così recita:

«L’esenzione di cui all’articolo 2 non si applica agli accordi verticali che, direttamente o indirettamente, isolatamente o congiuntamente con altri fattori sotto il controllo delle parti, hanno per oggetto quanto segue:

(…)

b)

la restrizione relativa al territorio in cui, o ai clienti ai quali, l’acquirente che è parte contraente dell’accordo, fatta salva una restrizione relativa al suo luogo di stabilimento, può vendere i beni o i servizi oggetto del contratto, eccettuate le seguenti:

(…)

iii)

la restrizione delle vendite da parte dei membri di un sistema di distribuzione selettiva a distributori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema, e

(…)

c)

la restrizione delle vendite attive o passive agli utenti finali da parte dei membri di un sistema di distribuzione selettiva operanti nel commercio al dettaglio, fatta salva la possibilità di proibire ad un membro di tale sistema di svolgere la propria attività in un luogo di stabilimento non autorizzato;

(…)».

Orientamenti sulle restrizioni verticali

12.

Ai sensi del punto 51 degli orientamenti sulle restrizioni verticali ( 7 ) pubblicati dalla Commissione contemporaneamente all’adozione del regolamento n. 330/2010, per «vendite passive» occorre intendere la risposta ad ordini non sollecitati di singoli clienti, incluse la consegna di beni o la prestazione di servizi a tali clienti.

13.

Il punto 52 degli orientamenti indica che Internet rappresenta uno strumento straordinario per raggiungere clienti più numerosi e diversificati rispetto a quanto avverrebbe utilizzando solo metodi di vendita più tradizionali; per questo motivo, determinate restrizioni dell’utilizzo di Internet vengono trattate come restrizioni delle (ri)vendite. Nella terza frase del medesimo punto 52 si afferma che, in generale, l’esistenza di un sito Internet è considerata una forma di vendita passiva in quanto si tratta di un modo ragionevole di consentire ai clienti di raggiungere il distributore.

14.

Il punto 54 degli orientamenti prevede quanto segue:

«Tuttavia, nel quadro [del regolamento n. 330/2010] il fornitore può esigere il rispetto di standard qualitativi in relazione all’uso di siti Internet per la rivendita dei suoi beni, così come può farlo in relazione ad un punto vendita o alla vendita via catalogo o all’attività pubblicitaria e promozionale in generale. Ciò può essere rilevante, in particolare, per la distribuzione selettiva. Ai sensi dell’esenzione per categoria, il fornitore può ad esempio richiedere ai suoi distributori di avere più punti vendita o saloni di esposizione “non virtuali” come condizione per divenire membri del suo sistema di distribuzione. (…) Analogamente, un fornitore può richiedere che i propri distributori utilizzino piattaforme di terzi per distribuire i prodotti oggetto del contratto esclusivamente in conformità delle norme e condizioni concordate tra il fornitore ed i suoi distributori per l’utilizzo di Internet da parte di questi ultimi. Ad esempio, qualora il sito Internet del distributore sia ospitato da una piattaforma di terzi, il fornitore può richiedere che i clienti non entrino nel sito del distributore attraverso un sito recante il nome o il logo della piattaforma di terzi».

15.

Al punto 56 degli orientamenti, si spiega che la restrizione fondamentale di cui all’articolo 4, lettera c), del regolamento n. 330/2010 esclude dal beneficio dell’esenzione le restrizioni delle vendite attive o passive agli utenti finali – siano essi utilizzatori professionali o consumatori finali – da parte dei membri di un sistema di distribuzione selettiva, fatta salva la possibilità di proibire ad un membro di tale sistema di svolgere la propria attività in un luogo di stabilimento non autorizzato. Nella terza frase del medesimo punto 56, si precisa che, all’interno di un sistema di distribuzione selettiva, il rivenditore dovrebbe essere libero di vendere, in modo sia attivo che passivo, a tutti gli utenti finali, anche mediante Internet. La Commissione considera pertanto come una restrizione fondamentale qualsiasi obbligo che impedisce ai rivenditori designati l’utilizzo di Internet per raggiungere clienti più numerosi e differenziati imponendo criteri per le vendite on-line che non sono nel complesso equivalenti a quelli imposti presso un punto vendita «non virtuale».

16.

Infine, il punto 176 degli orientamenti afferma che gli accordi di distribuzione selettiva, sia qualitativa che quantitativa, beneficiano dell’esenzione prevista dal regolamento n. 330/2010 e che tale esenzione si applica «a prescindere dalla natura del prodotto in questione e del criterio di selezione». Tuttavia, se le caratteristiche del prodotto non richiedono una distribuzione selettiva né l’applicazione di criteri, come ad esempio la condizione per i distributori di avere uno o più punti vendita «non virtuali» o di fornire specifici servizi, tale sistema di distribuzione non comporta generalmente vantaggi in termini di efficienza tali da compensare una notevole riduzione della concorrenza all’interno del marchio. Se si verificano effetti anticoncorrenziali sensibili, è probabile che il beneficio dell’esenzione per categoria venga revocato.

Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

17.

La Coty Germany è uno dei principali fornitori di prodotti cosmetici di lusso in Germania. Essa commercializza alcune marche di tale settore attraverso una rete di distribuzione selettiva, sulla base di un contratto di distribuzione utilizzato in modo uniforme in Europa da essa stessa e dalle imprese ad essa affiliate. Tale contratto è completato da diversi contratti speciali aventi lo scopo di organizzare detta rete.

18.

La Parfümerie Akzente distribuisce da molti anni, quale rivenditore al dettaglio autorizzato, i prodotti della Coty Germany sia in punti vendita fisici che a mezzo Internet. Le vendite a mezzo Internet avvengono in parte attraverso un proprio negozio on-line e in parte attraverso la piattaforma «amazon.de».

19.

Dalla decisione di rinvio risulta che, nell’introduzione del contratto di distribuzione selettiva, la Coty Germany giustifica il proprio sistema di distribuzione selettiva nei seguenti termini: «il carattere dei marchi Coty Prestige esige una distribuzione selettiva destinata a preservare la loro immagine di lusso».

20.

A tale riguardo, per quanto concerne il commercio stazionario, il contratto di distribuzione selettiva prevede che ogni specifico punto vendita del distributore debba essere autorizzato dalla ricorrente, il che presuppone il rispetto di una serie di requisiti, elencati all’articolo 2 di detto contratto, sotto il profilo dell’ambiente, delle dotazioni e dell’arredamento.

21.

In particolare, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, punto 3, del contratto di distribuzione, «le dotazioni e l’arredamento del punto vendita, l’offerta di prodotti, la pubblicità e la presentazione dei prodotti in vendita devono far emergere e sottolineare la connotazione lussuosa dei marchi Coty Prestige. Nel valutare detto criterio si tiene conto in particolare della facciata, dell’arredamento interno, dei rivestimenti dei pavimenti, del tipo di muratura, dei soffitti, del mobilio e delle superfici di vendita, nonché dell’illuminazione e di un’immagine complessiva di pulizia e di ordine».

22.

L’articolo 2, paragrafo 1, punto 6, del contratto di distribuzione precisa che «[l]a denominazione dei punti vendita, che si tratti del nome dell’impresa o di denominazioni aggiuntive o slogan della ditta, non può dare l’impressione di una gamma di scelta limitata, di dotazioni di bassa qualità o di una consulenza carente e deve essere inoltre apposta in modo tale da non coprire le decorazioni e gli spazi di esposizione del depositario».

23.

Inoltre, il quadro contrattuale che vincola le parti comprende un accordo aggiuntivo riguardante la vendita tramite Internet, il cui articolo 1, paragrafo 3, prevede che «[i]l depositario non può utilizzare un nome diverso o servirsi di un’impresa terza per cui non sia stata concessa l’autorizzazione».

24.

Nel marzo 2012 la Coty Germany ha modificato i contratti della rete che disciplinano la distribuzione selettiva nonché tale accordo aggiuntivo, prevedendo, alla clausola I, paragrafo 1, primo comma, del medesimo accordo aggiuntivo che «il depositario è autorizzato a proporre e vendere i prodotti tramite Internet, ma unicamente a condizione che tale attività di vendita on-line sia realizzata tramite una “vetrina elettronica” del negozio autorizzato e che venga in tal modo preservata la connotazione lussuosa dei prodotti». Inoltre, la clausola I, paragrafo 1, punto 3, di detto accordo aggiuntivo vieta espressamente l’utilizzo di un’altra denominazione commerciale nonché l’intervento visibile di un’impresa terza che non sia un depositario autorizzato di Coty Prestige. In nota a tale clausola, viene precisato che «[a]nalogamente, al depositario è fatto divieto di avviare una collaborazione con terzi se essa è diretta alla gestione di un sito Internet ed è visibile all’esterno».

25.

Poiché la Parfümerie Akzente ha rifiutato di approvare tali modifiche al contratto di distribuzione, la Coty Germany ha proposto ricorso dinanzi a un giudice nazionale di primo grado affinché quest’ultimo le vietasse di distribuire i prodotti del marchio controverso mediante la piattaforma «amazon.de», ai sensi di detta clausola I, paragrafo 1, punto 3.

26.

Con sentenza del 31 luglio 2014, il giudice nazionale di primo grado competente, vale a dire il Landgericht Frankfurt am Main (Tribunale del Land, Francoforte sul Meno, Germania), ha respinto la domanda con la motivazione che la clausola contrattuale in questione era contraria all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e all’articolo 1 del Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen (legge contro le restrizioni della concorrenza).

27.

Tale giudice ha considerato, in particolare, che l’obiettivo del mantenimento di un’immagine di prestigio del marchio non può giustificare, in base alla sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649), l’introduzione di un sistema di distribuzione selettiva, che è, per definizione, restrittivo della concorrenza. La clausola contrattuale controversa costituirebbe inoltre, secondo il giudice nazionale di primo grado, una restrizione fondamentale, ai sensi dell’articolo 4, lettera c), del regolamento n. 330/2010 e non potrebbe quindi beneficiare di un’esenzione per categoria in base a tale regolamento.

28.

Inoltre, sempre secondo il giudice nazionale di primo grado, non sarebbero soddisfatte neppure le condizioni per un’esenzione individuale in quanto non sarebbe stato provato che l’esclusione generale della distribuzione on-line mediante piattaforme di terzi determini vantaggi, in termini di efficienza, tali da compensare gli svantaggi concorrenziali derivanti dalla clausola controversa. Tale giudice ritiene che il divieto generale previsto da detta clausola non sia necessario, poiché sussistono mezzi altrettanto adatti ma meno restrittivi della concorrenza, come, ad esempio, la previsione di specifici criteri qualitativi per le piattaforme di terzi.

29.

È in tali circostanze e nell’ambito dell’appello interposto dalla Coty Germany avverso la decisione del giudice nazionale di primo grado che l’Oberlandesgericht Frankfurt am Main (Tribunale superiore del Land, Francoforte sul Meno) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se i sistemi di distribuzione selettiva, diretti alla distribuzione di prodotti di lusso e di prestigio e finalizzati primariamente a garantire un’“immagine di lusso” dei suddetti prodotti possano costituire un elemento di concorrenza compatibile con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

2)

In caso di risposta affermativa alla prima questione:

Se costituisca un elemento di concorrenza compatibile con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE il divieto generale imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva operanti nel commercio al dettaglio di servirsi, in maniera riconoscibile, per le vendite a mezzo Internet, di imprese terze senza che rilevi, nel caso specifico, il mancato soddisfacimento dei legittimi requisiti di qualità posti dal produttore.

3)

Se l’articolo 4, lettera b), del regolamento [n. 330/2010] debba essere interpretato nel senso che un divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva operanti nel commercio al dettaglio, di servirsi, in maniera riconoscibile, per le vendite a mezzo Internet, di imprese terze costituisca una restrizione per oggetto della clientela del distributore al dettaglio.

4)

Se l’articolo 4, lettera c), del regolamento [n. 330/2010] debba essere interpretato nel senso che un divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva operanti nel commercio al dettaglio, di servirsi, in maniera riconoscibile, per le vendite a mezzo Internet, di imprese terze costituisca una restrizione per oggetto delle vendite passive agli utenti finali».

30.

La Coty Germany, la Parfümerie Akzente, i governi tedesco, francese, italiano, lussemburghese, dei Paesi Bassi e austriaco, nonché la Commissione, hanno depositato osservazioni dinanzi alla Corte.

31.

Il 30 marzo 2017 si è svolta un’udienza, alla quale hanno partecipato la Coty Germany, la Parfümerie Akzente, i governi tedesco, francese, italiano, lussemburghese, dei Paesi Bassi e svedese, nonché la Commissione.

Analisi

Osservazioni introduttive e considerazioni generali sui principi che devono presiedere all’applicazione dell’articolo 101 TFUE ai sistemi di distribuzione selettiva

32.

In generale, le regole di concorrenza – e l’articolo 101 TFUE in particolare – hanno lo scopo di evitare le distorsioni della «concorrenza», tenendo presente che quest’ultima, la quale tende a promuovere l’efficienza economica e, in definitiva, il benessere dei consumatori, deve non soltanto consentire l’instaurazione di prezzi quanto più bassi possibile, ma anche costituire un vettore di diversità di scelta dei prodotti, di ottimizzazione della qualità di questi ultimi e delle prestazioni fornite, nonché di stimolo dell’innovazione. Il diritto della concorrenza europeo non prevede la concorrenza sul piano dei prezzi come l’unico modello possibile.

33.

A tale riguardo, la Corte ha molto presto dichiarato che la concorrenza sul piano dei prezzi, pur se importante, non costituisce la sola forma efficace di concorrenza né quella cui si debba dare in ogni caso la preminenza assoluta ( 8 ). Esistono infatti esigenze legittime, come la salvaguardia di un commercio specializzato, in grado di fornire prestazioni specifiche per prodotti di alto livello qualitativo e tecnologico, che giustificano la limitazione della concorrenza sui prezzi a vantaggio della concorrenza riguardante fattori diversi dai prezzi ( 9 ).

34.

È partendo da questa premessa che occorre considerare i sistemi di distribuzione selettiva.

35.

Questi ultimi sono definiti come sistemi di distribuzione nei quali, da una parte, il fornitore (spesso qualificato «leader di rete») si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e, dall’altra, questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato ( 10 ).

36.

È assodato, sin dalla sentenza Consten e Grundig/Commissione ( 11 ), che un accordo di natura verticale, concluso tra imprese che non si trovano su un piede di uguaglianza, può restringere la concorrenza che potrebbe aver luogo tra esse o tra una di esse e i terzi. Non può quindi escludersi a priori che talune clausole contrattuali inserite nei contratti di distribuzione selettiva comportino restrizioni della concorrenza, idonee segnatamente a rientrare nel divieto di intese anticoncorrenziali. Per quanto riguarda l’applicabilità propriamente detta del diritto delle intese alla definizione dei criteri di selezione elaborati nel contesto delle reti di distribuzione, è assodato che tale selezione, nella misura in cui deriva dalle clausole contrattuali dei contratti stipulati tra il leader di rete e i suoi distributori autorizzati, è tale da rientrare nel divieto di intese ( 12 ).

37.

Tuttavia, la Corte ha costantemente considerato con precauzione i sistemi di distribuzione selettiva fondati su criteri qualitativi ( 13 ). Essa ha così chiaramente riconosciuto, sin dalla sua celebre sentenza Metro SB‑Großmärkte/Commissione ( 14 ), la legalità, alla luce del diritto delle intese, dei sistemi di distribuzione selettiva basati su criteri qualitativi.

38.

In tale contesto, essa ha sottolineato che il requisito di una concorrenza non falsata ammette che la natura e l’intensità della concorrenza possano variare in funzione dei prodotti o dei servizi in questione e della struttura economica dei mercati settoriali interessati. In particolare, la struttura del mercato non osta all’esistenza di canali di distribuzione differenziati adattati alle caratteristiche specifiche dei vari produttori e alle esigenze delle diverse categorie di consumatori. Con il suo ragionamento, la Corte ha ammesso, implicitamente ma necessariamente, che una riduzione della concorrenza nell’ambito dello stesso marchio (intra-brand competition) poteva essere ammessa qualora fosse indispensabile per stimolare la concorrenza tra marchi (inter-brand competition).

39.

Essa ha quindi più volte statuito che tali sistemi potevano essere dichiarati compatibili con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE qualora la scelta dei rivenditori fosse operata in funzione di criteri oggettivi di carattere qualitativo, stabiliti in maniera uniforme e applicati in modo non discriminatorio.

40.

Inoltre, nel solco di alcuni orientamenti dottrinali ( 15 ), a loro volta alimentati dalle analisi degli economisti ( 16 ), si è progressivamente imposta la concezione, in particolare nell’elaborazione di una nuova generazione di regolamenti di esenzione per categoria, che tali sistemi sono, in generale, portatori di effetti positivi dal punto di vista della concorrenza.

41.

Tale evoluzione, che non è propria del diritto della concorrenza dell’Unione ( 17 ), poggia segnatamente sulle seguenti constatazioni.

42.

In primo luogo, nei limiti in cui tendono ad autorizzare i distributori di determinati prodotti sulla base di criteri qualitativi richiesti dalla natura di tali prodotti, i sistemi di distribuzione selettiva favoriscono e proteggono lo sviluppo dell’immagine di marchio (brand image). Essi costituiscono un fattore di stimolo della concorrenza tra i fornitori di prodotti di marca, vale a dire la concorrenza tra marchi, in quanto consentono ai produttori di organizzare efficacemente la distribuzione dei loro prodotti e di soddisfare i consumatori.

43.

I sistemi di distribuzione selettiva costituiscono, specialmente per i prodotti che presentano caratteristiche eccezionali, un vettore di penetrazione dei mercati. I marchi, e in particolare i marchi di lusso, traggono infatti il proprio valore aggiunto da una percezione stabile, da parte dei consumatori, della loro qualità elevata e della loro esclusività nella loro presentazione e nella loro commercializzazione. Orbene, tale stabilità non può essere garantita quando non è la medesima impresa ad assicurare la distribuzione dei prodotti. La ratio dei sistemi di distribuzione selettiva consiste nel fatto che essi consentono di estendere la distribuzione di determinati prodotti, segnatamente verso zone geograficamente distanti da quelle della loro produzione, mantenendo nel contempo tale stabilità mediante una selezione delle imprese autorizzate a distribuire i prodotti oggetto del contratto.

44.

In secondo luogo, è pur vero che, dal punto di vista della concorrenza nell’ambito dello stesso marchio, a causa della parità tra i distributori autorizzati che risulta dall’applicazione, in linea di principio obiettiva e non discriminatoria, di criteri di selezione di natura qualitativa, la distribuzione selettiva può portare a sottoporre tutte le imprese autorizzate a condizioni concorrenziali simili della rete di distribuzione selettiva e, pertanto, a una potenziale diminuzione sia del numero di distributori dei prodotti contrattuali, sia della concorrenza nell’ambito dello stesso marchio, segnatamente in termini di prezzi. Orbene, paradossalmente, più i più criteri di selezione imposti dal fornitore sono rigorosi, più quest’ultimo si espone, a causa della riduzione della distribuzione dei prodotti che ne deriva, a una perdita di mercato e di clientela. Pertanto, e a meno che disponga di un «potere di mercato» significativo, il fornitore, leader di rete, è, in linea di principio, indotto ad «autoregolare» il proprio comportamento in un senso conforme alle regole di concorrenza.

45.

Di conseguenza, si può ritenere che i sistemi di distribuzione selettiva producano, in generale, effetti neutri, o addirittura benefici, dal punto di vista della concorrenza.

46.

Va ricordato che la conformità all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE dei sistemi di distribuzione selettiva si basa in definitiva sull’idea che può essere legittimo non focalizzarsi sulla concorrenza «dei prezzi» a favore di una concorrenza basata su altri elementi di natura qualitativa. Il riconoscimento di tale conformità non può quindi limitarsi ai prodotti che presentino qualità materiali particolari. Ciò che è determinante per individuare l’esistenza o meno di una restrizione di concorrenza non sono tanto le proprietà intrinseche dei prodotti in questione, bensì la circostanza che ciò risulti necessario per mantenere il buon funzionamento del sistema di distribuzione che è proprio destinato a preservare l’immagine di marca o di qualità dei prodotti contrattuali.

47.

In sintesi, se, a conclusione di un esame al tempo stesso superficiale e formalista, si è potuto agevolmente assimilare determinati obblighi contrattuali imposti ai distributori al dettaglio nell’ambito dei sistemi di distribuzione selettiva, nella misura in cui essi limitavano la libertà commerciale dei distributori interessati, a potenziali limitazioni della concorrenza, si è rapidamente imposto, sia nella giurisprudenza elaborata a partire dalla sentenza Metro SB‑Großmärkte/Commissione ( 18 ), sia nella disciplina applicabile in materia di esenzione per categoria, che un sistema di distribuzione selettiva basato su criteri qualitativi è, a determinate condizioni, idoneo a generare effetti pro-concorrenziali e quindi a non rientrare nell’ambito di applicazione del divieto di intese di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

48.

In tale contesto, va sottolineato che l’articolo 101 TFUE non mira a disciplinare o a vietare taluni obblighi contrattuali liberamente concordati, come quelli che derivano dal contratto che vincola un distributore al suo fornitore, ma riguarda essenzialmente le conseguenze economiche dei comportamenti menzionati dal punto di vista della concorrenza. Pertanto, il fatto che un accordo di distribuzione selettiva dia eventualmente luogo ad uno squilibrio tra le parti, segnatamente a discapito del distributore autorizzato, non costituisce una circostanza pertinente nell’ambito dell’esame degli effetti restrittivi della concorrenza di tale accordo ( 19 ).

49.

Cosa può dirsi inoltre del quadro di analisi preciso delle misure adottate nell’ambito dei sistemi di distribuzione selettiva alla luce del diritto delle intese?

50.

L’esame alla luce dell’articolo 101 TFUE dei comportamenti d’impresa elaborati e imposti nel contesto della distribuzione selettiva deve essere effettuato schematicamente in due tempi. Occorre, anzitutto, esaminare – come ci invita a fare il giudice del rinvio con la sua prima e seconda questione pregiudiziale – se questi ultimi siano, in linea di principio, idonei a rientrare nell’ambito di applicazione del divieto di intese di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. In caso affermativo, vale a dire qualora si debba considerare che le restrizioni controverse rientrino nell’ambito di applicazione di tale disposizione, occorre poi determinare – il che costituisce in definitiva l’oggetto della terza e della quarta questione pregiudiziale – se i comportamenti controversi siano o meno idonei a beneficiare di un’esenzione ai sensi del paragrafo 3 dell’articolo 101 TFUE.

51.

In primo luogo, per quanto riguarda la questione se le condizioni imposte dal leader di rete ai suoi distributori possano o meno essere a priori sottratte al divieto di intese, la Corte ha riconosciuto che, per quanto concerne i beni di consumo di alta qualità, i canali di distribuzione differenziati adatti alle caratteristiche proprie dei diversi produttori e alle esigenze dei consumatori possono essere conformi all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE ( 20 ).

52.

Come la Corte ha ancora rammentato nella sua giurisprudenza più recente, l’organizzazione di un sistema di distribuzione selettiva non ricade nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE a condizione che la scelta dei rivenditori avvenga secondo criteri oggettivi d’indole qualitativa, stabiliti indistintamente per tutti i rivenditori potenziali e applicati in modo non discriminatorio, che le caratteristiche del prodotto di cui trattasi richiedano, onde conservarne la qualità e garantirne l’uso corretto, una simile rete di distribuzione e, infine, che i criteri definiti non vadano oltre il limite del necessario ( 21 ).

53.

In secondo luogo, e nell’ipotesi in cui il giudice concluda che la misura controversa, che si inserisce nell’ambito di una rete di distribuzione selettiva, non può a priori essere sottratta dall’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE, occorrerà ancora chiarire se quest’ultima rientri tra quelle che possono essere esentate, segn33atamente ai sensi del regolamento di esenzione «per categoria» applicabile, nella fattispecie il regolamento n. 330/2010.

54.

A questo proposito, si osserva che tale regolamento di esenzione non intende elencare una serie di comportamenti idonei a ricadere nel divieto di cui all’articolo 101 TFUE o quelli che a priori sono sottratti all’applicazione di tale disposizione. Come sottolinea il considerando 4 di detto regolamento, «[l]a valutazione individuale di accordi ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, [TFUE] esige che diversi fattori siano presi in considerazione, in particolare la struttura del mercato sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda».

55.

Per contro, detto regolamento fornisce, al fine di garantire una determinata certezza del diritto alle imprese interessate (v., in tal senso, considerando 5 del regolamento n. 330/2010), indicazioni sulle misure che non possono a priori beneficiare di un’esenzione ai sensi di tale regolamento, il che non esclude che tali misure possano beneficiare di un’esenzione individuale. Fatto salvo il rispetto di determinate soglie relative alla quota di mercato detenuta sia dal fornitore che dai suoi distributori, si tratta delle misure che comportano «restrizioni fondamentali» menzionate all’articolo 4 del medesimo regolamento.

56.

Benché indipendenti, queste due tappe dell’analisi possono presentare talune sovrapposizioni concettuali. Infatti, sia che avvenga alla luce del paragrafo 1 o a quella del paragrafo 3 dell’articolo 101 TFUE, l’analisi della misura controversa poggia su un esame del grado di nocività presunto o verificato di quest’ultima. Pertanto, una restrizione delle vendite passive dei distributori potrà essere considerata non soltanto come una restrizione per «oggetto» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ma anche come una restrizione fondamentale che non può beneficiare di un’esenzione per categoria. Rimane il fatto che la qualificazione, ai fini dell’applicazione di quest’ultima disposizione, di una restrizione «per oggetto» dev’essere distinta dall’esistenza di una restrizione «fondamentale» ai fini dell’applicabilità di un’eventuale esenzione ai sensi del regolamento n. 330/2010. Tornerò in seguito sull’argomento.

57.

Infine, mi sembra importante sottolineare che gli orientamenti elaborati dalla Commissione, e in particolare quelli sulle restrizioni verticali, che presentano indubbiamente un grande interesse nel caso di specie, non possono da soli guidare l’analisi. Infatti, tali orientamenti non sono destinati a vincolare le autorità della concorrenza e i giudici degli Stati membri, ma si limitano ad esporre il modo in cui la Commissione, operando in veste di autorità garante della concorrenza dell’Unione, procederà essa stessa all’applicazione dell’articolo 101 TFUE ( 22 ). Ciò detto, non si può escludere che la Corte possa, nell’ambito del suo compito di interpretazione del diritto dell’Unione, far proprie le linee guida e le valutazioni giuridiche contenute in tali orientamenti.

58.

Fatte queste precisazioni generali, passo ad esaminare una ad una le questioni sollevate dal giudice del rinvio.

Sulla prima questione: conformità all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE dei sistemi di distribuzione selettiva di prodotti di lusso e di prestigio volti principalmente a preservare l’«immagine di lusso» di detti prodotti

59.

Con la prima questione pregiudiziale, che riecheggia direttamente le interpretazioni divergenti della sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649), il giudice del rinvio chiede in sostanza se le reti di distribuzione selettiva relative alla distribuzione di prodotti di lusso e di prestigio e volte principalmente a preservare l’immagine di lusso di tali prodotti ricadano o meno nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

60.

In sostanza, si contrappongono due orientamenti.

61.

Da una parte, la Parfümerie Akzente e il governo lussemburghese ritengono che i contratti che organizzano un sistema di distribuzione selettiva per la vendita di prodotti di lusso e di prestigio, volto principalmente a preservare l’immagine di lusso di detti prodotti, non possano essere esclusi dall’ambito di applicazione del divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. A loro avviso, tale conclusione troverebbe un sostegno solido nella dichiarazione contenuta al punto 46 di tale sentenza Pierre Fabre Dermo-Cosmétique. Nello stesso senso, il governo tedesco propone di rispondere che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE è applicabile ai requisiti dei sistemi di distribuzione selettiva destinati a preservare un’immagine di lusso o di prestigio, senza che occorra esaminare se le proprietà del prodotto in questione necessitino dell’istituzione di un sistema di distribuzione selettiva, se i requisiti imposti dal sistema siano applicati senza discriminazioni e se essi siano adeguati per quanto riguarda la preservazione dell’immagine di lusso o di prestigio.

62.

Dall’altra parte, la Coty Germany, i governi francese, italiano, dei Paesi Bassi, austriaco e svedese nonché la Commissione considerano, in sostanza, che i contratti che organizzano un sistema di distribuzione selettiva per la vendita di prodotti di lusso e di prestigio, volto principalmente a preservare l’immagine di lusso di detti prodotti, possano essere esclusi dall’ambito di applicazione del divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Secondo tali parti, in particolare, dalla giurisprudenza risulta che i prodotti di alta qualità, la cui immagine di lusso è apprezzata dai consumatori, possono richiedere la creazione di una rete di distribuzione selettiva, segnatamente per «assicurare la loro presentazione valorizzante» e preservare la loro «immagine di lusso». Essi sottolineano che detta sentenza Pierre Fabre Dermo-Cosmétique, che riguardava non già il sistema di distribuzione selettiva propriamente detto, bensì soltanto la clausola contrattuale in questione in tale causa, non può essere interpretata nel senso che la protezione dell’immagine di lusso non è più idonea a giustificare l’esistenza di una rete di distribuzione selettiva.

63.

A mio avviso, e a meno di modificare radicalmente i principi che regolano la concezione dei sistemi di distribuzione selettiva alla luce delle regole in materia di concorrenza, si può solo condividere la seconda posizione e, di conseguenza, rispondere affermativamente alla prima questione pregiudiziale come formulata dal giudice del rinvio.

64.

In linea con ciò che ho affermato sopra, i sistemi di distribuzione selettiva, in ragione degli effetti benefici – o quanto meno neutri – che essi producono dal punto di vista della concorrenza, devono poter essere considerati compatibili con il divieto di intese previsto dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

65.

Conformemente alla giurisprudenza costante della Corte ( 23 ) e del Tribunale ( 24 ), i cui insegnamenti sono stati largamente ripresi al punto 175 degli orientamenti, i sistemi di distribuzione selettiva puramente qualitativa non ricadono nel divieto di cui all’articolo 101 TFUE qualora siano soddisfatte tre condizioni (in prosieguo: i «criteri Metro»).

66.

In primo luogo, deve essere accertato che le caratteristiche dei prodotti in questione richiedono un sistema di distribuzione selettiva, nel senso che un sistema del genere costituisce un’esigenza legittima, in relazione alla natura dei prodotti considerati e, in particolare, al loro elevato livello qualitativo o tecnologico, onde conservarne la qualità e garantirne l’uso corretto. In secondo luogo, è necessario che la scelta dei rivenditori avvenga secondo criteri oggettivi di carattere qualitativo, stabiliti indistintamente per tutti i rivenditori potenziali e applicati in modo non discriminatorio. In terzo luogo, occorre che i criteri definiti non vadano oltre i limiti del necessario.

67.

Sebbene la questione se tali condizioni siano soddisfatte debba essere valutata oggettivamente dal giudice nazionale, la Corte ha nondimeno individuato una serie di parametri che possono essere presi in considerazione nel valutare la conformità dei sistemi di distribuzione selettiva all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

68.

Per quanto riguarda il criterio relativo alla necessità di un sistema di distribuzione selettiva per quanto attiene segnatamente ai prodotti di lusso, criterio che costituisce principalmente l’oggetto del caso di specie, va ricordato che la Corte ha dichiarato in diverse occasioni che sistemi di distribuzione selettiva fondati su criteri qualitativi possono essere accettati nel settore della produzione di beni di consumo di alta qualità senza violare l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, al fine di mantenere, in particolare, un commercio specializzato in grado di fornire prestazioni specifiche per questa categoria di prodotti ( 25 ).

69.

La Corte ha precisato che, anche indipendentemente dalla qualificazione dei prodotti interessati come prodotti «di lusso», la preservazione della «qualità» del prodotto può richiedere un sistema di distribuzione selettiva ( 26 ).

70.

Sono quindi le caratteristiche o proprietà specifiche dei prodotti interessati che possono essere idonee a rendere un sistema di distribuzione selettiva conforme all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Come ho affermato in precedenza, tali proprietà possono risiedere non soltanto nelle qualità materiali dei prodotti interessati (ad esempio, prodotti di elevata qualità tecnologica), ma anche nell’immagine «di lusso» dei prodotti ( 27 ).

71.

Tale conclusione, come è stato rilevato da alcune parti che hanno depositato osservazioni nella presente causa, può essere accostata alle considerazioni che sono state formulate nell’ambito della giurisprudenza sviluppata in materia di diritto dei marchi, diritto che, in ragione della sua funzione concorrenziale specifica, interagisce indubbiamente con il divieto di intese. Infatti, nella misura in cui garantisce che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità, il marchio svolge una funzione essenziale nel sistema di concorrenza non falsato che il Trattato FUE intende introdurre e conservare ( 28 ). In un siffatto sistema, le imprese devono essere in grado di attirare la clientela con la qualità dei loro prodotti o dei loro servizi, il che è possibile solo grazie all’esistenza di contrassegni distintivi che consentano di riconoscere tali prodotti e servizi. Affinché il marchio possa svolgere tale funzione, esso deve garantire che tutti i prodotti che ne sono contrassegnati siano stati fabbricati sotto il controllo di un’unica impresa cui possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità ( 29 ).

72.

Nel contesto del diritto dei marchi, la Corte ha sottolineato che i prodotti di lusso e di prestigio si definiscono non già unicamente alla luce delle loro caratteristiche materiali, bensì anche a partire dalla percezione specifica che ne hanno i consumatori e, più in particolare, dall’«aura di lusso» di cui essi beneficiano presso questi ultimi. Infatti, poiché i prodotti di prestigio costituiscono articoli esclusivi, l’aura di lusso che li circonda è un elemento essenziale affinché i consumatori li distinguano da altri prodotti simili. Pertanto, un danno a tale aura di lusso può compromettere la qualità stessa di tali prodotti. Orbene, a tale riguardo, la Corte ha già dichiarato che le caratteristiche e le modalità intrinseche ad un sistema di distribuzione selettiva sono di per sé idonee a conservare le qualità e a garantire l’uso corretto di tali prodotti ( 30 ).

73.

La Corte ne ha tratto la conclusione che l’organizzazione di un sistema di distribuzione selettiva, che ha lo scopo di assicurare una presentazione che valorizza tali prodotti nel punto vendita, «in particolare per quanto riguarda la posizione, la promozione, la presentazione dei prodotti e la politica commerciale», poteva contribuire alla notorietà dei prodotti in questione e quindi a salvaguardare la loro aura di lusso ( 31 ).

74.

Da tale giurisprudenza risulta che, in considerazione delle loro caratteristiche e della loro natura, i prodotti di lusso possono richiedere l’istituzione di un sistema di distribuzione selettiva, per preservarne la qualità e garantirne l’uso corretto. In altri termini, le reti di distribuzione selettiva relative alla distribuzione di prodotti di lusso e di prestigio e finalizzate primariamente a preservare l’immagine di marca di detti prodotti non ricadono nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

75.

Contrariamente all’interpretazione sostenuta da alcune parti che hanno depositato osservazioni, tale conclusione non è rimessa in discussione dalla sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo‑Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649), e in particolare dal punto 46 di quest’ultima, a termini del quale «[l]’obiettivo di preservare l’immagine di prestigio non può rappresentare un obiettivo legittimo per restringere la concorrenza e non può quindi giustificare che una clausola contrattuale diretta ad un simile obiettivo non ricada nell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE».

76.

Come testimoniano le osservazioni presentate nella presente causa, nonché le prese di posizione adottate da un buon numero di giudici e di autorità nazionali preposte alla concorrenza ( 32 ), quest’ultima enunciazione ha dato luogo a interpretazioni molto divergenti.

77.

Sembra pertanto sicuramente opportuno, come suggerito dalla maggioranza delle parti che hanno depositato osservazioni, che la Corte chiarisca, nella presente causa, la portata di tale sentenza riferendosi sia al contesto che ha dato luogo a quest’ultima, sia alla precisa motivazione che è stata adottata dalla Corte in detta sentenza.

78.

Per quanto riguarda, in primo luogo, il contesto fattuale della sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo‑Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649), rammento che, in tale causa, era in discussione l’obbligo imposto da un fabbricante di prodotti cosmetici e di igiene del corpo ai suoi distributori selezionati di dimostrare, nei loro rispettivi punti vendita, la presenza fisica e permanente di almeno un farmacista laureato. Tale requisito escludeva de facto e in modo assoluto, secondo la Corte, la quale fa propria la valutazione che era stata espressa dall’autorità della concorrenza francese, che i prodotti in questione potessero essere venduti dai distributori autorizzati tramite Internet ( 33 ).

79.

Come risulta chiaramente dalla questione pregiudiziale sottoposta alla Corte in tale causa, era oggetto di controversia unicamente una clausola contrattuale recante un divieto generale e assoluto di vendere su Internet i prodotti oggetto del contratto agli utenti finali, imposta ai distributori autorizzati nell’ambito di una rete di distribuzione selettiva. Non era, invece, in discussione il sistema di distribuzione selettiva considerato nella sua globalità.

80.

In secondo luogo, per quanto riguarda la motivazione esplicitamente adottata dalla Corte in tale sentenza Pierre Fabre Dermo‑Cosmétique, essa verte sulla sola clausola contrattuale prevista dalla società Pierre Fabre che vieta in particolare la vendita tramite Internet. Il mero fatto che l’inserimento di detta clausola sia stato motivato dalla necessità di preservare l’immagine di prestigio dei prodotti in questione non è stato considerato dalla Corte come un obiettivo legittimo per restringere la concorrenza. Ciò non significa, tuttavia, che la Corte abbia inteso sottoporre a priori al divieto delle intese di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE i sistemi di distribuzione che mirano proprio a preservare l’immagine di marca dei prodotti interessati.

81.

Va rilevato che la Corte non ha mutato avviso sul principio secondo il quale il leader di una rete di distribuzione selettiva rimaneva in linea di principio libero di organizzare tale rete e, pertanto, sulla valutazione secondo la quale le condizioni imposte ai distributori autorizzati dovevano essere ritenute conformi all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE quando soddisfacevano le condizioni enucleate dalla Corte.

82.

Più fondamentalmente, si è osservato che nulla, nei termini utilizzati dalla Corte, lascia supporre che quest’ultima abbia inteso modificare o anche ridurre la portata dei principi che erano stati individuati ed elaborati fino a quel momento quanto alla valutazione, alla luce dell’articolo 101 TFUE, delle condizioni imposte ai distributori autorizzati di una rete di distribuzione selettiva.

83.

In altri termini, la sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo‑Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649), non deve essere interpretata come un revirement rispetto alla giurisprudenza precedente, poiché la dichiarazione contenuta nel punto 46 di tale sentenza si inserisce nel contesto di un controllo della proporzionalità della clausola contrattuale concretamente controversa nel procedimento principale (v., in particolare, punto 43 di detta sentenza).

84.

Tutte queste considerazioni mi inducono a concludere che i sistemi di distribuzione selettiva il cui scopo consiste nella preservazione dell’immagine di lusso dei prodotti possono sempre costituire elementi di concorrenza conformi all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Come ha rilevato giustamente la Commissione, da tale sentenza occorre tuttavia dedurre che, a seconda delle proprietà dei prodotti di cui trattasi o per restrizioni particolarmente gravi, quali il divieto totale di vendita tramite Internet che risultava dalla clausola controversa nella medesima sentenza Pierre Fabre Dermo-Cosmétique, è possibile che l’obiettivo di preservare l’immagine di prestigio dei prodotti in questione non sia legittimo, il che avrebbe come conseguenza il fatto che non sia giustificato esentare un sistema di distribuzione selettiva o una clausola che persegua un tale obiettivo.

85.

Una conclusione diversa presenterebbe, a mio avviso, due inconvenienti notevoli.

86.

Innanzitutto, equivarrebbe a modificare i principi consolidati nella giurisprudenza della Corte quanto alla valutazione dei sistemi di distribuzione selettiva alla luce delle regole di concorrenza. Rammento che tali principi tengono conto proprio degli effetti benefici che siffatti sistemi generano nel perseguimento di una concorrenza efficace.

87.

In tale contesto, va ricordato che sono le proprietà dei prodotti interessati, che risiedano nelle loro caratteristiche materiali oppure nella loro immagine lussuosa o di prestigio, a dovere essere preservate. Che i prodotti in questione presentino determinate qualità materiali, come i prodotti di alta qualità o i prodotti tecnologicamente avanzati, o che i prodotti in questione siano associati ad un’immagine di lusso, la distribuzione selettiva può essere considerata legittima alla luce degli effetti a favore della concorrenza che essa genera.

88.

Inoltre, un’interpretazione della sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649), secondo la quale un sistema di distribuzione selettiva avente lo scopo di preservare l’immagine di lusso dei prodotti interessati non può più essere sottratto al divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE entrerebbe in collisione con gli orientamenti adottati in materia di proprietà intellettuale, e segnatamente con la giurisprudenza elaborata nel contesto del diritto dei marchi.

89.

Così, nella sentenza del 23 aprile 2009, Copad (C‑59/08, EU:C:2009:260), la Corte ha assimilato il distributore nel sistema di distribuzione selettiva ad un licenziatario e ha riconosciuto che entrambi si trovavano in una situazione di immissione in circolazione da parte di terzi con il consenso del titolare del marchio. Da ciò consegue che il divieto di intese non dovrebbe applicarsi nei casi in cui misure del produttore/titolare del marchio nei confronti del distributore autorizzato costituiscono soltanto, in definitiva, l’esercizio del diritto di prima immissione in circolazione.

90.

Analogamente, nella sentenza del 3 giugno 2010, Coty Prestige Lancaster Group (C‑127/09, EU:C:2010:313), la Corte ha sottolineato che il carattere esclusivo del diritto dei marchi produce la conseguenza che ciascun utilizzo del marchio senza il consenso del titolare viola il diritto dei marchi.

91.

Pertanto, una rete di distribuzione selettiva, come quella prevista dal contratto di cui trattasi nel procedimento principale, che è relativa alla distribuzione di prodotti di lusso e di prestigio e che mira principalmente a preservarne l’«immagine di lusso» può costituire un elemento di concorrenza conforme all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, a condizione che siano soddisfatti i criteri Metro.

92.

Tale conclusione vale sia per i prodotti cosiddetti di «lusso», sia per i prodotti cosiddetti di «qualità». Ciò che conta è la necessità, per il leader di rete, di preservare l’immagine di prestigio.

93.

Si propone pertanto di rispondere alla prima questione pregiudiziale che i sistemi di distribuzione selettiva relativi alla distribuzione di prodotti di lusso e di prestigio e volti principalmente a preservare l’«immagine di lusso» di detti prodotti costituiscono un elemento di concorrenza conforme all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, a condizione che i rivenditori vengano scelti sulla base di criteri oggettivi di natura qualitativa stabiliti in maniera uniforme per tutti e applicati in modo non discriminatorio per tutti i potenziali rivenditori, che la natura del prodotto in questione, ivi compresa l’immagine di prestigio, richieda una distribuzione selettiva al fine di preservarne la qualità e di assicurarne l’uso corretto, e che i criteri stabiliti non vadano oltre il necessario.

Sulla seconda questione: conformità all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE del divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso, operanti in qualità di distributori al dettaglio autorizzati sul mercato, di ricorrere in maniera riconoscibile a piattaforme di terzi per la vendita on-line

94.

Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede se e in che misura l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che esso osta al divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso, operanti in qualità di distributori al dettaglio autorizzati sul mercato, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme di terzi per la vendita tramite Internet dei prodotti interessati.

95.

Tale questione, che è strettamente connessa alla prima, riguarda la conformità all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE della clausola specifica del sistema di distribuzione selettiva di cui trattasi appunto nel procedimento principale.

96.

Orbene, come ho già affermato in risposta alla prima questione pregiudiziale, è assodato che la distribuzione selettiva basata su parametri di ordine qualitativo non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE a condizione che siano soddisfatti i criteri Metro.

97.

Conformemente allo schema d’analisi derivante dalla giurisprudenza Metro SB-Großmärkte/Commissione, che non è stato affatto rimesso in discussione dalla sentenza Pierre Fabre Dermo‑Cosmétique ( 34 ), occorre esaminare se la scelta dei rivenditori sia operata in funzione di criteri oggettivi di carattere qualitativo, stabiliti in maniera uniforme nei confronti di tutti i potenziali rivenditori e applicati in modo non discriminatorio, se le proprietà del o dei prodotti in questione richiedano, per preservarne la qualità e assicurarne l’uso corretto, una siffatta rete di distribuzione e, infine, se le condizioni definite siano conformi al principio di proporzionalità.

98.

Poiché la prima di tali condizioni non è effettivamente discussa nel caso di specie, la mia analisi si concentrerà sulla questione se il divieto imposto ai distributori autorizzati di servirsi in modo riconoscibile di piattaforme di terzi sia legittimo alla luce degli obiettivi di ordine qualitativo perseguiti e, se del caso, se esso sia proporzionato.

99.

Orbene, per quanto riguarda, in primo luogo, la legittimità del divieto controverso, come ho affermato nella mia proposta di risposta alla prima questione, l’obiettivo di preservare l’immagine dei prodotti di lusso e di prestigio è sempre un obiettivo legittimo al fine di giustificare un sistema di distribuzione selettiva di natura qualitativa come quello di cui trattasi nel procedimento principale.

100.

Occorre pertanto determinare se la clausola controversa, vale a dire quella che vieta ai distributori autorizzati di servirsi in modo riconoscibile di piattaforme di terzi, possa giustificarsi proprio con la necessità di preservare l’immagine di lusso dei prodotti in questione.

101.

A tale riguardo, ritengo che il divieto di servirsi di denominazioni di imprese terze possa essere giustificato dall’obiettivo di preservare e di controllare i criteri di qualità, che esige in particolare la fornitura di determinati servizi in occasione della vendita dei prodotti nonché una presentazione specifica dei prodotti venduti.

102.

Occorre ammettere, infatti, che il leader di una rete di distribuzione selettiva possa, al fine di preservare l’immagine di marca o di prestigio ( 35 ) dei prodotti che vende, vietare ai propri distributori, anche a quelli autorizzati, di servirsi in modo riconoscibile di imprese di terzi. Un siffatto divieto può essere in grado di preservare le garanzie di qualità, di sicurezza e di identificazione di origine del prodotto, obbligando i distributori al dettaglio a fornire prestazioni di servizi di un certo livello nel corso della vendita dei prodotti oggetto del contratto. Tale divieto consente inoltre di mantenere la protezione e il posizionamento dei marchi rispetto ai fenomeni di contraffazione e parassitismo, che sono idonei a produrre effetti restrittivi della concorrenza.

103.

Come ha affermato la Commissione al punto 54 dei propri orientamenti, il fornitore può esigere il rispetto di standard qualitativi in relazione all’uso di siti Internet per la rivendita dei suoi beni, così come può farlo in relazione ad un punto vendita o alla vendita via catalogo o all’attività pubblicitaria e promozionale in generale.

104.

Orbene, ricorrendo a piattaforme di terzi nell’ambito della distribuzione dei prodotti, i distributori autorizzati – e a maggior ragione il leader di rete – non hanno più segnatamente il controllo della presentazione e dell’immagine di tali prodotti, specialmente poiché tali piattaforme mostrano frequentemente in modo molto visibile i propri loghi in tutte le fasi di acquisto dei prodotti oggetto del contratto.

105.

Il divieto assoluto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva di servirsi in modo riconoscibile, per le loro vendite tramite Internet, di imprese terze costituisce pertanto una restrizione del tutto analoga a quella che, secondo la Corte, è giustificata e necessaria per garantire il funzionamento di un sistema di distribuzione selettiva basato unicamente sul commercio fisico, e quindi legittimo ai sensi del diritto della concorrenza, secondo la giurisprudenza ( 36 ).

106.

In conclusione, il divieto imposto ai distributori autorizzati di servirsi di piattaforme on-line di terzi può essere escluso dall’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE laddove esso sia atto a migliorare la concorrenza basata su criteri qualitativi. In linea con le considerazioni in precedenza formulate in materia di distribuzione selettiva, tale divieto è idoneo a preservare l’immagine di lusso dei prodotti interessati sotto vari aspetti: non soltanto esso garantisce che tali prodotti siano venduti in un ambiente che soddisfi i requisiti qualitativi imposti dal leader di distribuzione, ma esso consente anche di premunirsi nei confronti dei fenomeni di parassitismo evitando che gli investimenti e gli sforzi impiegati dal fornitore e da altri distributori autorizzati al fine di migliorare la qualità e l’immagine dei prodotti interessati vadano a beneficio di altre imprese.

107.

Tale divieto si distingue chiaramente dalla clausola controversa nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649).

108.

Rammento che, in tale sentenza Pierre Fabre Dermo-Cosmétique, la Corte ha statuito che la clausola di un contratto che vietava in modo assoluto ai distributori autorizzati di vendere on-line i prodotti oggetto del contratto poteva costituire una restrizione per oggetto e quindi essere contraria all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE se, «a seguito di un esame individuale e concreto del tenore e dell’obiettivo della clausola contrattuale in parola nonché del contesto giuridico ed economico in cui si colloca, risulta che, alla luce delle caratteristiche dei prodotti di cui trattasi, tale clausola non è oggettivamente giustificata».

109.

Nel caso di specie, va constatato che, lungi dal prevedere un divieto assoluto di vendita on-line, la Coty Germany ha soltanto imposto ai propri rivenditori autorizzati di non commercializzare i prodotti oggetto del contratto tramite piattaforme di terzi, dato che, secondo il leader di rete, queste ultime non sono tenute a soddisfare i requisiti qualitativi che esso impone ai propri distributori autorizzati.

110.

Infatti, la clausola controversa nel procedimento principale mantiene la possibilità per i distributori autorizzati di distribuire i prodotti oggetto del contratto tramite i loro siti Internet. Analogamente, essa non vieta a tali distributori di servirsi di piattaforme di terzi per la distribuzione dei medesimi prodotti in maniera non riconoscibile.

111.

Orbene, come ha rilevato la Commissione basandosi segnatamente sui risultati della propria indagine settoriale, sembra che, in questa fase dell’evoluzione del commercio elettronico, i negozi on-line di proprietà dei distributori costituiscano il canale di distribuzione privilegiato della distribuzione su Internet. Pertanto, nonostante la crescente importanza delle piattaforme di terzi nella commercializzazione dei prodotti dei distributori al dettaglio, il divieto imposto ai distributori autorizzati di servirsi in modo visibile di tali piattaforme, nella fase attuale dell’evoluzione del commercio elettronico, non può essere assimilato ad un divieto totale o ad una limitazione sostanziale della vendita tramite Internet.

112.

In secondo luogo, mi sembra che il fascicolo sottoposto alla Corte non consenta di concludere che, per il momento, un tale divieto debba essere in generale considerato sproporzionato rispetto allo scopo perseguito.

113.

Occorre sottolineare che, mentre il fornitore, leader di rete, è in grado di imporre determinati obblighi ai propri distributori autorizzati in forza del rapporto contrattuale che li lega e, in tal modo, di esercitare un certo controllo sui canali di distribuzione dei propri prodotti, esso non è in grado di esercitare un controllo sulla distribuzione dei prodotti effettuata tramite piattaforme di terzi. In tale ottica, l’obbligo controverso può sembrare un mezzo adeguato per raggiungere gli scopi perseguiti dalla Coty Germany.

114.

Certamente, non può negarsi che le piattaforme on-line, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, siano in grado di concepire e di assicurare una rappresentazione valorizzante dei prodotti interessati nello stesso modo in cui lo farebbero i distributori autorizzati. Tuttavia, il rispetto dei requisiti qualitativi che può essere legittimamente imposto nell’ambito di un sistema di distribuzione selettiva può essere efficacemente assicurato soltanto se l’ambiente di vendita tramite Internet sia concepito dai rivenditori autorizzati, i quali sono contrattualmente legati al fornitore/leader della rete di distribuzione, e non da un gestore terzo le cui pratiche sfuggono all’influenza di tale fornitore.

Conclusione intermedia

115.

Pertanto, la clausola controversa, purché si applichi in modo non discriminatorio e sia obiettivamente giustificata dalla natura dei prodotti oggetto del contratto – aspetti che non sembrano affatto essere messi in discussione nel caso di specie, ma che dovranno comunque essere verificati dal giudice del rinvio –, può essere considerata conforme all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

116.

Anche supponendo che, nel caso di specie, si possa trarre la conclusione che la clausola controversa è tale da rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, a causa, segnatamente, dell’inosservanza dei criteri Metro, occorrerà ancora esaminare se quest’ultima produca un effetto restrittivo della concorrenza, e in particolare chiarire se essa integri una restrizione «per oggetto», nell’accezione di tale disposizione.

117.

Su quest’ultimo punto, e a differenza della clausola contrattuale controversa nella causa sfociata nella sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649), non mi sembra che il divieto controverso nella presente causa possa essere in alcun modo qualificato come «restrizione per oggetto» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, fermo restando che tale nozione dev’essere interpretata restrittivamente. Infatti, è assodato che la nozione di restrizione della concorrenza «per oggetto» può essere applicata solo ad alcuni tipi di coordinamento tra imprese che presentano un grado di nocività per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario ( 37 ).

118.

Orbene, contrariamente al divieto assoluto imposto ai distributori autorizzati di ricorrere a Internet per la distribuzione dei prodotti oggetto di contratto, il divieto di servirsi di piattaforme di terzi non presenta – almeno in questa fase nell’evoluzione del commercio elettronico, che può conoscere cambiamenti in tempi più o meno lunghi – un tale grado di nocività per la concorrenza.

119.

Inoltre, e sempre per il caso in cui si dovesse trarre la conclusione che la clausola controversa rientra effettivamente nell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e che essa è, inoltre, restrittiva della concorrenza, rammento che occorrerebbe ancora esaminare se quest’ultima possa ai sensi del paragrafo 3 di tale articolo, e segnatamente di un’esenzione per categoria in applicazione del regolamento n. 330/2010, come suggeriscono la terza e la quarta questione pregiudiziale.

120.

Infatti, nella misura in cui, come risulta dalla decisione di rinvio, le soglie di quota di mercato previste dall’articolo 3 del regolamento n. 330/2010 non siano superate, qualora il giudice nazionale dovesse concludere che la clausola controversa non è conforme all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, quest’ultima potrebbe beneficiare di un’esenzione ai sensi dell’articolo 2 di detto regolamento (v. considerando 8 del regolamento n. 330/2010). Tuttavia, una tale eventualità non sarebbe comunque possibile se il divieto controverso costituisse una restrizione fondamentale ai sensi dell’articolo 4 del medesimo regolamento.

121.

Qualora il giudice nazionale dovesse dunque giungere alla conclusione che il divieto di servirsi di piattaforme di terzi non è sottratto all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e che esso è, a priori, restrittivo della concorrenza, la clausola controversa del sistema di distribuzione selettiva potrebbe ancora essere giustificata ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, o sulla base del regolamento di esenzione per categoria eventualmente applicabile, o a seguito di un’analisi caso per caso, che riguardi precisamente i casi di esenzione previsti dal regolamento n. 330/2010.

Conclusione

122.

Di conseguenza, si propone di rispondere alla seconda questione pregiudiziale che, per chiarire se una clausola contrattuale recante un divieto imposto a distributori autorizzati di una rete di distribuzione di servirsi in modo riconoscibile di piattaforme di terzi per le vendite on-line sia o meno conforme all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, incombe al giudice del rinvio esaminare se tale clausola contrattuale sia condizionata dalla natura del prodotto, se essa sia stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e se essa non vada oltre il necessario.

Sulle questioni terza e quarta: applicabilità dell’esenzione per categoria ai sensi dell’articolo 4, lettere b) e c), del regolamento n. 330/2010

123.

Con la terza e quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte se l’articolo 4 del regolamento n. 330/2010 debba essere interpretato nel senso che il divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva, operanti in qualità di distributori al dettaglio sul mercato, di servirsi in modo riconoscibile di imprese terze per le vendite tramite Internet, costituisce una restrizione della clientela, ai sensi dell’articolo 4, lettera b), di detto regolamento e/o una restrizione delle vendite passive agli utenti finali, nell’accezione dell’articolo 4, lettera c), del medesimo regolamento.

124.

Infatti, sebbene il giudice del rinvio abbia fatto riferimento, nel testo della terza e della quarta questione pregiudiziale, alla problematica dell’individuazione di restrizioni «per oggetto» della clientela e delle vendite passive, i suoi quesiti, come si afferma chiaramente nella decisione di rinvio, sono invero volti a chiarire se, nel caso in cui il sistema di distribuzione in questione fosse considerato restrittivo della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, esso possa nondimeno essere esentato in virtù del regolamento n. 330/2010.

125.

Pertanto, si pone unicamente la questione se la clausola controversa possa essere classificata come una restrizione di territorio e/o di clientela oppure come una restrizione delle vendite passive ai sensi del regolamento n. 330/2010.

Considerazioni preliminari sulla portata e sulla ratio legis del regolamento n. 330/2010

126.

Come afferma il considerando 5 del regolamento n. 330/2010, il beneficio dell’esenzione per categoria previsto da tale regolamento deve essere limitato agli accordi verticali «per i quali si può presupporre con sufficiente certezza la conformità alle condizioni di cui all’articolo 101, paragrafo 3, [TFUE]».

127.

Per determinare se una restrizione sia idonea a beneficiare di un’esenzione «per categoria», le imprese sono anzitutto invitate a procedere a una prima valutazione dell’accordo controverso in funzione segnatamente di talune presunzioni di incompatibilità previste dal regolamento n. 330/2010.

128.

L’articolo 4 del regolamento n. 330/2010 stila quindi un elenco di restrizioni evidenti, qualificate come «restrizioni fondamentali», in presenza delle quali il beneficio dell’esenzione per categoria deve essere escluso.

129.

Come ha dichiarato la Corte, poiché un’impresa mantiene la facoltà di far valere in ogni circostanza, a titolo individuale, l’applicabilità dell’eccezione di legge prevista dall’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, non è necessario fornire un’interpretazione estensiva delle disposizioni che fanno rientrare gli accordi o le pratiche nell’esenzione per categoria ( 38 ).

130.

Peraltro, in linea con la tesi sostenuta dalla Commissione, occorre, al fine di garantire la prevedibilità e la certezza del diritto, che le eccezioni all’esenzione per categoria previste in particolare dall’articolo 4, lettere b) e c), del regolamento n. 330/2010 siano facilmente individuabili e, pertanto, non richiedano un’analisi approfondita delle condizioni di mercato e degli effetti restrittivi della concorrenza osservati su un determinato mercato in un preciso momento.

131.

Non bisogna infatti dimenticare che l’obiettivo perseguito dai regolamenti di esenzione adottati sulla base del regolamento n. 19/65/CEE ( 39 ) consiste nel voler consentire alle imprese interessate di valutare da sé la conformità dei loro comportamenti alle norme in materia di concorrenza.

132.

Il perseguimento di tale obiettivo sarebbe compromesso se, al fine di qualificare le misure adottate delle imprese come accordi verticali aventi «per oggetto» la restrizione di determinati tipi di vendita ai sensi dell’articolo 4, lettere b) e c), del regolamento n. 330/2010, fosse richiesto che tali imprese procedano ad un esame sofisticato e approfondito degli effetti restrittivi della concorrenza prodotti da dette misure tenuto conto della situazione del mercato e della posizione di dette imprese.

133.

Come ho già rilevato, occorre distinguere l’esercizio di individuazione di una «restrizione di concorrenza per oggetto», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, dalla categorizzazione, ai fini dell’applicazione di un regolamento di esenzione per categoria, di taluni comportamenti come restrizioni fondamentali – nella fattispecie, quelle previsti dall’articolo 4, lettere b) e c), del regolamento n. 330/2010.

134.

Rimane il fatto che, in entrambi i casi, si tratta di individuare comportamenti che si presumono particolarmente nocivi per la concorrenza con riferimento alla valutazione del contesto economico e giuridico immediato nel quale si inseriscono le misure delle imprese.

135.

A tale riguardo, va ricordato che la distinzione tra «infrazioni per oggetto» e «infrazioni per l’effetto» attiene alla circostanza che talune forme di collusione tra imprese possono essere considerate, per loro stessa natura e tenuto conto dell’esperienza acquisita, nocive per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza ( 40 ). Quanto al senso dell’articolo 4 del regolamento n. 330/2010, che individua una serie di restrizioni fondamentali, esso si basa sull’idea, enunciata al considerando 10 di tale regolamento, secondo la quale «accordi verticali che contengano determinati tipi di gravi restrizioni della concorrenza, come l’imposizione di un prezzo di rivendita minimo o fisso e talune forme di protezione territoriale, devono essere esclusi dal beneficio dell’esenzione per categoria di cui al presente regolamento indipendentemente dalla quota di mercato delle imprese interessate».

136.

Quindi, in linea con l’approccio adottato nell’individuazione di una restrizione per oggetto ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, per determinare se una clausola contrattuale abbia «per oggetto la restrizione» relativa al territorio in cui, o ai clienti ai quali, il distributore può vendere [articolo 4, lettera b), del regolamento n. 330/2010], o la restrizione delle vendite attive o passive del distributore agli utenti finali [articolo 4, lettera c), di tale regolamento], occorre fare riferimento al contenuto delle disposizioni contrattuali interessate e ai loro scopi, esaminati nel loro contesto economico e giuridico immediato. Rammento infatti che l’obiettivo di facilitazione dell’esercizio di autovalutazione richiesto alle imprese interessate sarebbe compromesso se, per individuare le restrizioni fondamentali ai sensi dell’articolo 4 del regolamento n. 330/2010, esse dovessero procedere ad un esame approfondito, mediante segnatamente un’analisi controfattuale, degli effetti delle misure previste sulla struttura e sulle condizioni di funzionamento del o dei mercati interessati.

137.

Inoltre, come ha rilevato giustamente la Commissione, occorre sottolineare che sia l’articolo 4, lettera b), del regolamento n. 330/2010, sia l’articolo 4, lettera c), di tale regolamento devono essere inquadrati, al pari delle disposizioni del regolamento di esenzione per categoria precedentemente applicabile, nell’ambito dell’obiettivo più globale e fondamentale consistente nel combattere i fenomeni di compartimentazione dei mercati.

138.

Tali disposizioni devono pertanto essere intese come volte ad escludere dal beneficio dell’esenzione per categoria talune clausole contrattuali che mirano ad una restrizione vertente sul territorio in cui, o sui clienti ai quali, il distributore può vendere. Per contro, mi sembra che queste stesse disposizioni non possano essere interpretate nel senso che esse escludono da tale beneficio restrizioni che determinano le modalità di vendita dei prodotti ( 41 ). A mio avviso, va ricordato che il leader di una rete di distribuzione selettiva deve poter beneficiare di una grande libertà nella definizione delle modalità di distribuzione di tali prodotti, che costituiscono altrettanti elementi di stimolo dell’innovazione e della qualità dei servizi resi ai clienti in grado di produrre effetti a favore della concorrenza. Come afferma il punto 54 degli orientamenti, nell’ambito del regolamento di esenzione per categoria, il fornitore può quindi esigere il rispetto di standard qualitativi in relazione all’uso di siti Internet per la rivendita dei suoi beni, così come può farlo in relazione ad un punto vendita fisico.

139.

È alla luce di tali precisazioni preliminari che esaminerò nell’ordine la terza e la quarta questione pregiudiziale.

Sulla terza questione: esistenza di una restrizione della clientela del distributore al dettaglio

140.

Ai sensi dell’articolo 4, lettera b), del regolamento n. 330/2010, l’esenzione per categoria prevista dall’articolo 2 di tale regolamento non si applica agli accordi «che, direttamente o indirettamente, isolatamente o congiuntamente con altri fattori sotto il controllo delle parti, hanno per oggetto (…) la restrizione relativa al territorio in cui, o ai clienti ai quali, l’acquirente che è parte contraente dell’accordo, fatta salva una restrizione relativa al suo luogo di stabilimento, può vendere i beni o i servizi oggetto del contratto».

141.

Come indica il punto 50 degli orientamenti, tale disposizione si riferisce alle misure di ripartizione di mercato o di clientela che tendono a compartimentare i mercati.

142.

Nel caso di specie, nel testo della clausola controversa, la quale vieta semplicemente ai distributori autorizzati di servirsi di piattaforme di terzi identificabili, non vi è nulla che indichi che essa debba essere qualificata in tal modo.

143.

Come ha affermato il giudice del rinvio, non è possibile a priori individuare un gruppo di clienti o un mercato particolare al quale corrispondano gli utenti delle piattaforme di terzi.

144.

Orbene, a mio avviso, una restrizione di clientela o di mercato può essere individuata soltanto nel caso in cui risulti che il distributore autorizzato si trova, a causa del divieto controverso e malgrado il mantenimento della possibilità di accedere ai propri prodotti tramite il proprio sito Internet, esposto ad una perdita di mercato o di clientela.

145.

Per quanto riguarda, anzitutto, il contenuto della clausola, essa impone che l’attività di vendita tramite Internet sia realizzata mediante una vetrina elettronica propria del negozio del distributore al dettaglio o su un sito terzo a condizione che ciò non sia visibile. Tale clausola esclude pertanto non già qualsiasi vendita on-line, ma solo una modalità tra le altre di raggiungere la clientela mediante Internet. Il contenuto della clausola non produce, di per sé, un effetto di compartimentazione del mercato.

146.

Contrariamente alla clausola di cui si trattava nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo‑Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649), la clausola controversa autorizza l’utilizzo di Internet come canale di distribuzione, purché il distributore al dettaglio eserciti la propria attività di vendita on-line mediante una «vetrina elettronica» del negozio autorizzato o in maniera non visibile attraverso un sito terzo e rispetti una serie di disposizioni al fine di preservare la connotazione lussuosa dei prodotti.

147.

Come ha rilevato il giudice del rinvio, nei fatti, tale divieto non ha impedito ai distributori autorizzati di collaborare con terzi a fini pubblicitari su Internet. Poiché tale divieto non ha impedito a detti distributori on-line di essere repertoriati su Internet, i potenziali clienti di questi ultimi sarebbero stati sempre in grado di accedere, tramite Internet, all’offerta dei distributori al dettaglio autorizzati, utilizzando ad esempio motori di ricerca.

148.

Per quanto riguarda, inoltre, lo scopo dichiarato di tale clausola, esso consiste nella preservazione della connotazione lussuosa dei beni oggetto del contratto imponendo che l’attività di vendita tramite Internet sia realizzata attraverso una «vetrina elettronica» del negozio del distributore al dettaglio. Anche in questo caso, il divieto imposto ai distributori autorizzati di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme di terzi non ha, a priori, lo scopo di compartimentare il mercato limitando il territorio in cui, o i clienti ai quali, il o i distributori autorizzati sono autorizzati a vendere.

149.

Infine, per quanto riguarda il contesto economico e giuridico, dalle informazioni fornite alla Corte, e in particolare dai risultati dell’indagine settoriale sul commercio elettronico, risulta che, a differenza dei negozi on-line di proprietà dei distributori al dettaglio autorizzati, il ricorso ai mercati o alle piattaforme di terzi, benché molto variabile da un paese all’altro e da un prodotto all’altro, non costituisce necessariamente un canale di distribuzione importante. Il divieto imposto ai distributori al dettaglio di ricorrere a tali piattaforme non è assimilabile al divieto totale di vendita on-line di cui si trattava nella causa Pierre Fabre Dermo-Cosmétique.

150.

Peraltro, nel caso di specie, nulla consente di concludere che la clausola controversa abbia l’effetto di compartimentare i territori o di limitare l’accesso ad una determinata clientela. In tale contesto, non è stato dimostrato, nell’attuale fase dell’«esperienza acquisita», che gli utenti delle piattaforme di terzi di cui trattasi costituiscano, in generale e indipendentemente dalle specificità di un determinato mercato, una clientela delimitabile, cosicché possa concludersi che la clausola controversa dà luogo ad una ripartizione di clientela ai sensi dell’articolo 4, lettera b), del regolamento n. 330/2010.

151.

Tenuto conto del complesso di queste considerazioni, si propone di rispondere alla terza questione dichiarando che il divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva, operanti in qualità di distributori al dettaglio sul mercato, di servirsi in modo riconoscibile di imprese terze per le vendite tramite Internet non costituisce una restrizione della clientela del distributore al dettaglio ai sensi dell’articolo 4, lettera b), del regolamento n. 330/2010.

Sulla quarta questione: esistenza di una restrizione delle vendite passive agli utenti finali

152.

Con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 4, lettera c), del regolamento n. 330/2010 debba essere interpretato nel senso che un divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva, operanti nel commercio al dettaglio, di servirsi in modo riconoscibile di imprese terze per le vendite tramite Internet costituisca una restrizione delle vendite passive agli utenti finali

153.

Nel solco delle considerazioni che ho espresso qui sopra, per determinare se la clausola contrattuale controversa possa essere considerata una clausola avente lo scopo di restringere le vendite passive agli utenti finali occorre verificare se tale clausola possa essere ritenuta, alla luce della sua formulazione, del suo scopo e del contesto economico e giuridico nel quale essa si inserisce, intrinsecamente idonea a pregiudicare la realizzazione delle vendite passive, vale a dire le vendite che fanno seguito a richieste non sollecitate provenienti da clienti individuali.

154.

Ritengo che nulla consenta di dedurre dal fascicolo sottoposto alla Corte che detta clausola debba essere così considerata.

155.

Come ho già affermato in precedenza, la clausola contrattuale controversa non vieta qualsiasi vendita on-line, contrariamente a quella in questione nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649). Essa autorizza effettivamente tale canale di distribuzione, purché il distributore venda i prodotti in questione attraverso una vetrina elettronica di proprietà dell’impresa autorizzata oppure, in maniera non visibile, su un sito di terzi e rispetti una serie di disposizioni destinate a preservare l’immagine di marca del produttore.

156.

Alla luce di tali considerazioni, si suggerisce di rispondere alla quarta questione pregiudiziale dichiarando che il divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva, operanti in qualità di distributori al dettaglio sul mercato, di servirsi in modo riconoscibile di imprese terze per le vendite tramite Internet non costituisce una restrizione delle vendite passive agli utenti finali ai sensi dell’articolo 4, lettera c), del regolamento n. 330/2010.

Conclusione

157.

Tenuto conto delle considerazioni fin qui svolte, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dall’Oberlandesgericht Frankfurt am Main (Tribunale superiore del Land, Francoforte sul Meno, Germania) nel modo seguente:

1)

I sistemi di distribuzione selettiva relativi alla distribuzione di prodotti di lusso e di prestigio e volti principalmente a preservare l’«immagine di lusso» di detti prodotti costituiscono un elemento di concorrenza conforme all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, a condizione che i rivenditori vengano scelti sulla base di criteri oggettivi di natura qualitativa stabiliti in maniera uniforme per tutti e applicati in modo non discriminatorio per tutti i potenziali rivenditori, che la natura del prodotto in questione, ivi compresa l’immagine di prestigio, richieda una distribuzione selettiva al fine di preservarne la qualità e di assicurarne l’uso corretto, e che i criteri stabiliti non vadano oltre il necessario.

2)

Per chiarire se una clausola contrattuale recante un divieto imposto a distributori autorizzati di una rete di distribuzione di servirsi in modo riconoscibile di piattaforme di terzi per le vendite on-line sia o meno conforme all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, incombe al giudice del rinvio esaminare se tale clausola contrattuale sia condizionata dalla natura del prodotto, se essa sia stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e se essa non vada oltre il necessario.

3)

Il divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva, operanti in qualità di distributori al dettaglio sul mercato, di servirsi in modo riconoscibile di imprese terze per le vendite tramite Internet non costituisce una restrizione della clientela del distributore al dettaglio ai sensi dell’articolo 4, lettera b), del regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate.

4)

Il divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva, operanti in qualità di distributori al dettaglio sul mercato, di servirsi in modo riconoscibile di imprese terze per le vendite tramite Internet non costituisce una restrizione delle vendite passive agli utenti finali ai sensi dell’articolo 4, lettera c), del regolamento n. 330/2010.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Tra le entità più note, possono citarsi ad esempio Amazon, eBay o PriceMinister. Nella sua relazione finale sull’indagine settoriale sul commercio elettronico, pubblicata il 10 maggio 2017 [COM(2017) 229 final], la Commissione europea ha tuttavia osservato che tale ricorso ai mercati/piattaforme di terzi svolge un ruolo più importante in alcuni paesi quali la Germania (il 62% dei distributori al dettaglio che hanno partecipato all’indagine utilizza mercati), il Regno Unito (43%) e la Polonia (36%), rispetto ad altri paesi quali l’Italia e l’Austria (13%) nonché il Belgio (4%). La relazione evidenzia altresì il fatto che le piattaforme di terzi costituiscono un canale di vendita più importante per i piccoli e medi distributori al dettaglio che per la grande distribuzione.

( 3 ) Oltre alle decisioni all’origine del presente rinvio pregiudiziale, si possono citare, ad esempio, le decisioni adottate in precedenza dai giudici e dalle autorità della concorrenza tedeschi [v., in particolare, sentenze del Kammergericht Berlin (Tribunale del Land, Berlino, Germania), del 19 settembre 2013, nella causa Scout (U 8/09 Kart.), e dell’Oberlandesgericht Frankfurt am Main (Tribunale superiore del Land, Francoforte sul Meno) del 22 dicembre 2015, nella causa Deuter (U 84/14), nonché le decisioni del Bundeskartellamt (autorità federale della concorrenza, Germania) del 27 giugno 2014, nel caso Adidas (B3-137/12) e del 26 agosto 2015, nel caso ASICS (B2-98/11)] e francesi [v., in particolare, decisione dell’autorità della concorrenza n. 14-D-07, del 23 luglio 2014, relativa a pratiche attuate nel settore della distribuzione degli elettrodomestici bruni, in particolare dei televisori, e sentenza della cour d’appel de Paris (corte d’appello di Parigi) del 2 febbraio 2016, Caudalie (n. 15/01542)].

( 4 ) Secondo la citata relazione della Commissione, i sistemi di distribuzione selettiva sono molto diffusi nell’Unione europea e sono utilizzati da molti produttori. Essi non sono limitati a una determinata categoria di prodotti, ma sono molto utilizzati per la distribuzione dei prodotti di marca «di lusso», quali gli indumenti e le calzature nonché i cosmetici. In tale contesto, sembra che molti distributori menzionino accordi con i fornitori finalizzati a limitare l’accesso a mercati on-line o a piattaforme di terzi.

( 5 ) Regolamento della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate (GU 2010, L 102, pag. 1).

( 6 ) Sentenza del 13 ottobre 2011 (C‑439/09, EU:C:2011:649).

( 7 ) GU 2010, C 130, pag. 1; in prosieguo: gli «orientamenti».

( 8 ) V. sentenza del 25 ottobre 1977, Metro SB-Großmärkte/Commissione (26/76, EU:C:1977:167, punto 21).

( 9 ) V., in particolare, sentenze del 25 ottobre 1983, AEG-Telefunken/Commissione (107/82, EU:C:1983:293, punto 33), e del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649, punto 40).

( 10 ) V., in particolare, articolo 1, lettera e), del regolamento n. 330/2010.

( 11 ) Sentenza del 13 luglio 1966 (56/64 e 58/64, EU:C:1966:41, pag. 493).

( 12 ) V., in particolare, sentenza del 25 ottobre 1983, AEG-Telefunken/Commissione (107/82, EU:C:1983:293). Il punto 38 di tale sentenza precisa così che «[u]n siffatto comportamento da parte del produttore non costituisce un’azione unilaterale dell’impresa, che (…) sarebbe sottratta al divieto (di intese). Esso rientra (…) nei rapporti contrattuali esistenti fra l’impresa ed i rivenditori».

( 13 ) Si rinviene già traccia di tale atteggiamento relativamente morbido nei confronti degli accordi di distribuzione esclusiva nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 giugno 1966, LTM (56/65, EU:C:1966:38).

( 14 ) V. sentenza del 25 ottobre 1977 (26/76, EU:C:1977:167, punto 20).

( 15 ) È stato sottolineato che i diritti normativo e giurisprudenziale relativi agli accordi verticali sono stati oggetto di una vera e propria «fronda dottrinale» (v., a tale riguardo, Petit, N., Droit européen de la concurrence, Montchrestien, 2013).

( 16 ) Tra i numerosi studi, si può citare Tirole, J., The Theory of Industrial Organization, The MIT Press, Cambridge, 1988, specialmente pag. 186. L’autore conclude segnatamente come segue: «It seems important for economic theorists to develop a careful classification and operative criteria to determine in which environments certain vertical restraints are likely to lower social welfare».

( 17 ) Infatti, nella sua decisione Leegin Creative Leather Products, Inc. contro PSKS, Inc. [551 US 877 (2007)], la Corte suprema degli Stati Uniti d’America ha abbandonato la giurisprudenza «Dr. Miles» che fino a quel momento vietava di per sé alcune restrizioni verticali sancendo espressamente una «regola di ragione». A termini di tale decisione, «[t]he Court has abandoned the rule of per se illegality for other vertical restraints a manufacturer imposes on its distributors. Respected economic analysts, furthermore, conclude that vertical price restraints can have procompetitive effects. We now hold that Dr. Miles should be overruled and that vertical price restraints are to be judged by the rule of reason».

( 18 ) Sentenza del 25 ottobre 1977 (26/76, EU:C:1977:167).

( 19 ) V., in tal senso, Waelbroeck, M., e Frignani, A., Le droit de la CE – Concurrence, Éditions de l’Université de Bruxelles, collezione «Commentaire J. Mégret», Bruxelles, 1997, pag. 171.

( 20 ) V., in particolare, sentenze del 25 ottobre 1977, Metro SB-Großmärkte/Commissione (26/76, EU:C:1977:167, punto 20), nonché dell’11 dicembre 1980, L’Oréal (31/80, EU:C:1980:289, punti 1516). V., inoltre, sentenza del 27 febbraio 1992, Vichy/Commissione (T‑19/91, EU:T:1992:28, punti 32 e segg.).

( 21 ) Sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

( 22 ) V., in particolare, in tal senso, sentenze del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 211); del 14 giugno 2011, Pfleiderer (C‑360/09, EU:C:2011:389, punto 21), nonché del 13 dicembre 2012, Expedia (C‑226/11, EU:C:2012:795, punti da 24 a 31).

( 23 ) V., in particolare, sentenze del 25 ottobre 1977, Metro SB-Großmärkte/Commissione (26/76, EU:C:1977:167, punti 2021); dell’11 dicembre 1980, L’Oréal (31/80, EU:C:1980:289, punti 1516); del 25 ottobre 1983, AEG-Telefunken/Commissione (107/82, EU:C:1983:293, punto 35), nonché del 22 ottobre 1986, Metro/Commissione (75/84, EU:C:1986:399, punti 3740).

( 24 ) V., in particolare, sentenze del 12 dicembre 1996, Leclerc/Commissione (T‑19/92, EU:T:1996:190, punti da 111 a 120), e del 12 dicembre 1996, Leclerc/Commissione (T‑88/92, EU:T:1996:192, punti da 106 a 117).

( 25 ) V., in particolare, sentenze del 25 ottobre 1977, Metro SB‑Großmärkte/Commissione (26/76, EU:C:1977:167, punto 20), e del 25 ottobre 1983, AEG-Telefunken/Commissione (107/82, EU:C:1983:293, punto 33).

( 26 ) V., in particolare, sentenza dell’11 dicembre 1980, L’Oréal (31/80, EU:C:1980:289).

( 27 ) V., in particolare, sentenza del 12 dicembre 1996, Leclerc/Commissione (T‑88/92, EU:T:1996:192, punto 109).

( 28 ) V., in tal senso, in particolare, sentenze del 23 maggio 1978, Hoffmann-La Roche (102/77, EU:C:1978:108, punto 7), nonché del 23 aprile 2009, Copad (C‑59/08, EU:C:2009:260, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

( 29 ) V., in particolare, sentenza del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359, punto 13).

( 30 ) V., in particolare, sentenza del 23 aprile 2009, Copad (C‑59/08, EU:C:2009:260, punti da 24 a 28).

( 31 ) V. sentenza del 23 aprile 2009, Copad (C‑59/08, EU:C:2009:260, punto 29).

( 32 ) Si rinvia in particolare agli esempi citati nella nota 3 delle presenti conclusioni.

( 33 ) L’autorità della concorrenza francese aveva segnatamente rilevato, nel procedimento principale, che tale divieto di vendita tramite Internet equivaleva ad una limitazione della libertà commerciale dei distributori della Pierre Fabre Dermo‑Cosmétique attraverso l’esclusione di un mezzo di commercializzazione dei suoi prodotti. Inoltre, detto divieto restringeva la scelta dei consumatori intenzionati ad acquistare via Internet e, infine, impediva la vendita agli acquirenti finali non ubicati nella zona commerciale di riferimento «fisica» del distributore autorizzato.

( 34 ) Sentenza del 13 ottobre 2011 (C‑439/09, EU:C:2011:649, punti 4143).

( 35 ) Nel procedimento principale, dal punto 1.1 del contratto di distribuzione selettiva stipulato tra la Coty Germany e la Parfümerie Akzente risulta che lo scopo del divieto di servirsi di piattaforme di terzi identificabili consisteva proprio nella preservazione della «connotazione lussuosa» dei prodotti contrattuali.

( 36 ) V., in particolare, sentenze del 25 ottobre 1977, Metro SB-Großmärkte/Commissione (26/76, EU:C:1977:167); dell’11 dicembre 1980, L’Oréal (31/80, EU:C:1980:289); del 25 ottobre 1983, AEG-Telefunken/Commissione (107/82, EU:C:1983:293), e del 23 aprile 2009, Copad (C‑59/08, EU:C:2009:260).

( 37 ) V., in particolare, sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 58).

( 38 ) Sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649, punto 57).

( 39 ) Regolamento del Consiglio, del 2 marzo 1965, relativo all’applicazione dell’articolo 85, paragrafo 3, del Trattato a determinate categorie di accordi e pratiche concordate (GU 1965, n. 36, pag. 533).

( 40 ) V., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punti da 49 a 52 e giurisprudenza ivi citata nonché punto 57). La Corte ha in particolare precisato che il criterio giuridico essenziale per determinare se un coordinamento tra imprese comporti una restrizione di concorrenza «per oggetto» consiste nella constatazione che un tale coordinamento presenti, di per sé, un grado sufficiente di nocività per la concorrenza.

( 41 ) Analogamente all’approccio adottato nell’ambito dell’applicazione delle norme in materia di libera circolazione delle merci, non è in particolare dimostrato che le misure controverse pregiudichino maggiormente la commercializzazione dei prodotti provenienti da altri Stati membri (v. sentenze dell’11 dicembre 2003, Deutscher Apothekerverband, C‑322/01, EU:C:2003:664, punto 74, nonché del 2 dicembre 2010, Ker-Optika, C‑108/09, EU:C:2010:725, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

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