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Document 62015TJ0619

    Sentenza del Tribunale (Nona Sezione) del 20 luglio 2017.
    Bureau d'achat de diamant Centrafrique (Badica) e Kardiam contro Consiglio dell'Unione europea.
    Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione nella Repubblica centrafricana – Congelamento dei capitali – Decisione di iscrizione iniziale – Elenco delle persone e delle entità alle quali si applica il congelamento dei capitali e delle risorse economiche – Inclusione dei nomi dei ricorrenti – Attuazione di una risoluzione dell’ONU – Obbligo di motivazione – Diritti della difesa – Presunzione d’innocenza – Errore manifesto di valutazione.
    Causa T-619/15.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:T:2017:532

    SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione)

    20 luglio 2017 ( *1 )

    «Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione nella Repubblica centrafricana – Congelamento dei capitali – Decisione di iscrizione iniziale – Elenco delle persone e delle entità alle quali si applica il congelamento dei capitali e delle risorse economiche – Inclusione dei nomi dei ricorrenti – Attuazione di una risoluzione dell’ONU – Obbligo di motivazione – Diritti della difesa – Presunzione d’innocenza – Errore manifesto di valutazione»

    Nella causa T‑619/15,

    Bureau d’achat de diamant Centrafrique (Badica), con sede in Bangui (Repubblica centrafricana),

    Kardiam, con sede in Anversa (Belgio),

    rappresentati da D. Luff e L. Defalque, avvocati,

    ricorrenti,

    contro

    Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da B. Driessen e P. Mahnič Bruni, in qualità di agenti,

    convenuto,

    avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) n. 2015/1485 del Consiglio, del 2 settembre 2015, che attua l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 224/2014 concernente misure restrittive in considerazione della situazione nella Repubblica centrafricana (GU 2015, L 229, pag. 1),

    IL TRIBUNALE (Nona Sezione),

    composto da S. Gervasoni, presidente, L. Madise (relatore) e K. Kowalik-Bańczyk, giudici,

    cancelliere: L. Grzegorczyk, amministratore

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 aprile 2017,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Fatti

    1

    I ricorrenti, ossia il Bureau d’achat de diamant Centrafrique (Badica), una società di diritto centrafricano, e la Kardiam, la sua società consorella, che è una società di diritto belga, esercitano un’attività di acquisto e vendita di diamanti.

    2

    La Repubblica centrafricana è un paese in via di sviluppo che trae una parte delle sue risorse dall’esportazione di diamanti e oro. Più precisamente, i diamanti costituiscono il 40% del valore delle esportazioni della Repubblica centrafricana.

    3

    Nel marzo 2013, il sig. Francis Bozizé, presidente della Repubblica centrafricana, è stato destituito da una coalizione a maggioranza musulmana, la Seleka. Il sig. Michel Djotodia, suo oppositore politico, è diventato presidente della Repubblica centrafricana. Tale evento ha innescato violenze tra la Seleka e gruppi formati prevalentemente da cristiani e animisti, denominati «anti-balaka».

    4

    Per evitare che i «diamanti di guerra» alimentino i conflitti armati fornendo ai gruppi rivali una fonte di reddito, è stato introdotto il processo di Kimberley, un regime internazionale di certificazione dei diamanti grezzi. In particolare, ai sensi della sezione 4, lettera a), del processo di Kimberley, ciascun partecipante deve «istituire un sistema di controlli interni inteso ad eliminare i [diamanti di guerra] dalle spedizioni di diamanti grezzi importati nel e esportati dal proprio territorio». I «diamanti di guerra» sono definiti dal processo di Kimberley come i «diamanti grezzi utilizzati dai movimenti ribelli o dai loro alleati per finanziare conflitti volti a indebolire governi legittimi ai sensi delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite». Ai diamanti che rispondono alle condizioni poste dal processo di Kimberley viene rilasciata una certificazione.

    5

    Nel maggio 2013, la Repubblica centrafricana è stata temporaneamente sospesa dal sistema di certificazione del processo di Kimberley. A motivo di tale sospensione, l’esportazione di diamanti centrafricani è stata vietata. Nel luglio 2014, il processo di Kimberley ha pubblicato una decisione amministrativa volta ad escludere i diamanti centrafricani dal commercio legittimo.

    Misure introdotte dall’ONU

    6

    Il 5 dicembre 2013, in risposta alla situazione di guerra civile nella Repubblica centrafricana, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo: il «Consiglio di sicurezza») ha adottato la risoluzione 2127 (2013) nella quale si è dichiarato «seriamente preoccupato per lo stato della sicurezza che continua a deteriorarsi nella Repubblica centrafricana ed è caratterizzato dal crollo totale dell’ordine pubblico, dall’assenza dello Stato di diritto e dalle tensioni interconfessionali». Al paragrafo 16 della suddetta risoluzione, esso ha «[c]ondanna[to] lo sfruttamento illegale delle risorse naturali nella Repubblica centrafricana, che contribuisce al perpetrarsi del conflitto, e sottolinea[to] la necessità di porre fine a tali attività illegali, anche esercitando le pressioni necessarie sui gruppi armati, sui trafficanti e su tutti gli altri protagonisti».

    7

    In tale contesto, al paragrafo 54 della risoluzione 2127 (2013) il Consiglio di sicurezza ha imposto un embargo sulle armi. Parimenti, al paragrafo 56 della suddetta risoluzione, esso ha espresso «la sua ferma intenzione di prevedere rapidamente l’imposizione di misure mirate, tra cui un divieto di viaggio e un congelamento dei beni nei confronti dei soggetti che, con le loro azioni, compromettano la pace, la stabilità e la sicurezza, in particolare (…) sostenendo gruppi armati illegali o reti criminali attraverso lo sfruttamento illecito delle risorse naturali della Repubblica centrafricana, tra cui i diamanti».

    8

    Nell’ambito delle misure indicate supra al punto 7, al paragrafo 57 della risoluzione 2127 (2013), il Consiglio di sicurezza ha previsto un comitato per le sanzioni riguardanti la Repubblica centrafricana (in prosieguo: il «comitato per le sanzioni»), con il compito di supervisionarne l’attuazione. Inoltre, al paragrafo 59 di tale risoluzione, il Consiglio di sicurezza ha richiesto al Segretario generale delle Nazioni unite (ONU), agendo in consultazione con il comitato per le sanzioni, di istituire, per un periodo iniziale di tredici mesi, un gruppo composto al massimo da cinque esperti (in prosieguo: il «gruppo di esperti») sotto la direzione del comitato per le sanzioni e con il compito, in particolare, di aiutare quest’ultimo nell’assolvimento del suo mandato fornendogli informazioni. Il paragrafo 59, lettera c), della risoluzione 2127 (2013) ha previsto, in particolare, che il gruppo di esperti «previa consultazione del [c]omitato [per le sanzioni], comunic[hi] al Consiglio [di sicurezza] il punto della situazione entro il 5 marzo 2014, e trasmett[a] al Consiglio una relazione di attività entro il 5 luglio 2014 e una relazione finale entro il 5 novembre 2014».

    9

    Il 28 gennaio 2014, il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 2134 (2014), ai sensi della quale «tutti gli Stati [m]embri sono tenuti, per un periodo iniziale di un anno a decorrere dall’adozione della presente risoluzione, a congelare immediatamente capitali, altri beni finanziari e risorse economiche presenti sul loro territorio che siano in possesso o sotto il controllo diretto o indiretto degli individui o delle entità designate dal [c]omitato [per le sanzioni] istituito al paragrafo 57 della risoluzione 2127 (2013)». Esso ha precisato che le misure previste erano applicabili anche agli individui e alle entità indicati dal comitato per le sanzioni come soggetti che fornivano «un sostegno ai gruppi armati o alle reti criminali, attraverso lo sfruttamento illecito delle risorse naturali (diamanti, fauna e prodotti provenienti dalle specie selvagge) della Repubblica centrafricana».

    10

    Il 26 giugno 2014, conformemente al paragrafo 59, lettera c), della risoluzione 2127 (2013), il gruppo di esperti ha presentato la propria relazione di attività sulla Repubblica centrafricana. Esso ha riassunto nel modo seguente la situazione con riguardo al commercio delle risorse naturali:

    «Dei gruppi armati partecipano al traffico e allo sfruttamento illecito delle risorse naturali, in particolare dell’oro e dei diamanti (…). Nella parte orientale, le forze della Seleka continuano ad esercitare il controllo su miniere d’oro artigianali, come a Ndassima (provincia di Ouaka). L’amministrazione delle miniere riprende poco a poco il controllo delle zone di produzione di diamanti intorno a Bria e a Sam-Ouandja (provincia di Haute-Kotto), mentre il commercio ufficiale con Bangui ricomincia parzialmente (…). A causa della temporanea sospensione della Repubblica centrafricana dal [s]istema di certificazione del [p]rocesso di Kimberley, le esportazioni ufficiali di diamanti sono state vietate in maggio. È tuttavia proseguito l’acquisto di case a Bangui al fine di comperare e immagazzinare ufficialmente diamanti provenienti da tutte le aree di produzione, mentre si assiste ad un incremento del traffico dei diamanti che transitano attraverso Bangui o gli Stati vicini (…)».

    11

    Il 28 ottobre 2014, conformemente al paragrafo 59, lettera c), della risoluzione 2127 (2013), il gruppo di esperti ha presentato la sua relazione finale sulla Repubblica centrafricana (in prosieguo: la «relazione finale delle Nazioni unite»). Esso ha sintetizzato nel seguente modo la situazione con riferimento al commercio delle risorse naturali:

    «Dopo la sospensione della Repubblica centrafricana dal [p]rocesso di Kimberley nel maggio 2013, si stima che 140000 carati di diamanti, per un valore di 24 milioni di dollari degli Stati Uniti, siano stati esportati clandestinamente. Nel maggio 2014, le autorità belghe hanno sequestrato 6634 carati che erano stati spediti via Kinshasa e successivamente Dubai alla Kardiam, società sita in Anversa (Belgio), che è la succursale belga della società centrafricana di commercializzazione dei diamanti, il Badica.

    Il [g]ruppo di esperti ritiene che alcuni diamanti sequestrati in Belgio provenissero da Sam-Ouandja e da Bria (provincia di Haute-Kotto) nell’est del paese, in cui le forze dell’ex-Seleka impongono tasse agli aeromobili che trasportano diamanti e si fanno pagare dai raccoglitori di diamanti in cambio di protezione (…).

    Il traffico di oro centrafricano, stimato in circa 2 tonnellate all’anno, passa principalmente attraverso il Camerun. A questo traffico partecipano alcuni collezionisti di Yaloké (provincia di Ombella-Mpoko) e di Boda (provincia di Lobaye) che si sono rifugiati in Camerun per sfuggire agli attacchi ispirati da motivi religiosi condotti da gruppi anti-balaka a partire dal gennaio 2014 e che hanno portato alla loro presa di controllo sulle miniere di oro artigianali nei dintorni di Yaloké (…)».

    12

    Il 22 gennaio 2015, il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 2196 (2015) nella quale, in particolare, ha prorogato le misure di congelamento dei capitali istituite dalla risoluzione 2134 (2014). Al paragrafo 7 di tale risoluzione, esso ha indicato che «fino al 29 gennaio 2016, tutti gli Stati [m]embri sono tenuti a proseguire il congelamento (…) dei capitali e degli altri beni finanziari e delle risorse economiche presenti sul loro territorio che siano in possesso o sotto il controllo diretto o indiretto delle persone o delle entità designate dal [c]omitato [per le sanzioni] o di qualsiasi altro soggetto o entità che agisca per conto o su ordine di questi ultimi ovvero di ogni entità da essi posseduta o sotto il loro controllo». Al paragrafo 12, lettera d), della suddetta risoluzione, esso ha precisato che «le misure previste [al paragrafo 7] si applicano altresì alle persone e alle entità che il [c]omitato [per le sanzioni] avrà indicato come soggetti che forniscono un sostegno ai gruppi armati o alle reti criminali mediante l’illecito sfruttamento o commercio di risorse naturali (diamanti, oro e fauna selvatica o suoi prodotti) della Repubblica centrafricana».

    13

    L’11 marzo 2015, i ricorrenti hanno inviato al presidente e ai membri del Consiglio di sicurezza una «controrelazione» (in prosieguo: la «controrelazione») diretta a fornire «un punto di vista diverso sulle accuse a carico del Badica e della Kardiam [e a] correggere le insufficienze e le inesattezze [della relazione finale delle Nazioni unite]» nonché ad ottenere una rettifica, da parte del gruppo di esperti, dei fatti esposti nella relazione finale delle Nazioni unite.

    14

    L’8 e il 27 aprile e il 2 giugno 2015, i ricorrenti hanno scritto al comitato per le sanzioni per denunciare talune irregolarità nell’indagine condotta dal gruppo di esperti. Inoltre, in una lettera del 27 aprile 2015 essi hanno chiesto di accedere al fascicolo.

    15

    Il 28 aprile 2015, il coordinatore del gruppo di esperti (in prosieguo: il «coordinatore») ha comunicato per iscritto al comitato per le sanzioni che l’indagine era stata condotta in maniera regolare, in conformità con le regole dell’ONU e che i diritti della difesa dei ricorrenti erano stati rispettati. A questo riguardo, egli ha osservato che il gruppo di esperti aveva ascoltato i ricorrenti, nonostante le loro reticenze.

    16

    Il 20 agosto 2015, conformemente al paragrafo 59, lettera d), della risoluzione 2127 (2013), il comitato per le sanzioni ha pubblicato sul sito Internet dell’ONU una «Sintesi dei motivi dell’iscrizione sul proprio elenco delle sanzioni dei nominativi di individui e di entità» (in prosieguo: la «sintesi dei motivi del comitato per le sanzioni»), tra cui quelli dei ricorrenti. La sintesi dei motivi del comitato per le sanzioni così recita:

    «Motivi dell’iscrizione nell’elenco:

    Il 20 agosto 2015, in attuazione [del paragrafo 12, lettera d)] della risoluzione 2196 (2015) [il Badica e la Kardiam sono] stati iscritt[i] nell’elenco delle persone ed entità che “forniscono sostegno a gruppi armati o a reti criminali mediante l’illecito sfruttamento o commercio di risorse naturali, ivi compresi diamanti, oro, fauna selvatica e suoi prodotti, nella [Repubblica centrafricana]”.

    Altre informazioni:

    [Il Badica e la Kardiam hanno] fornito sostegno a gruppi armati della Repubblica centrafricana, segnatamente ex Seleka e anti-balaka, mediante l’illecito sfruttamento e commercio di risorse naturali, ivi compresi diamanti e oro.

    Nel 2014 il [Badica] ha continuato ad acquistare diamanti di Bria e Sam-Ouandja (provincia di Haute Kotto) nella parte orientale della Repubblica centrafricana, dove forze dell’ex Seleka impongono tasse agli aeromobili che trasportano diamanti e si fanno pagare dai cercatori di diamanti per garantirne la sicurezza. Numerosi fornitori di diamanti [del Badica] a Bria e Sam-Ouandja hanno stretti legami con i comandanti dell’ex Seleka.

    Nel maggio 2014, le autorità belghe hanno sequestrato due pacchi di diamanti inviati all’ufficio [del Badica] ad Anversa, ufficialmente registrato in Belgio sotto il nome di K[ardiam]. Secondo gli esperti, è molto probabile che i diamanti sequestrati provengano dalla Repubblica centrafricana, visto che presentano le caratteristiche dei diamanti di Sam-Ouandja e Bria, nonché di Nola (provincia di Sangha Mbaéré), nel sud-est del paese.

    I commercianti che acquistavano diamanti usciti illegalmente dalla Repubblica centrafricana, in particolare dalla parte occidentale del paese, destinati ai mercati stranieri, operavano in Camerun per conto [del Badica].

    Nel maggio 2014, B[adica] ha inoltre esportato oro proveniente da Yaloké (Ombella-Mpoko), dove le miniere d’oro artigianali erano sotto il controllo della Seleka fino all’inizio di febbraio 2014, prima di cadere nelle mani dei gruppi anti-balaka».

    17

    Il 24 agosto 2015, con lettera inviata al comitato per le sanzioni, i ricorrenti hanno dato atto della loro inclusione nell’elenco delle sanzioni previste dalla risoluzione 2196 (2015). In particolare, ricordando le loro «vive preoccupazioni» riguardo alla regolarità dell’indagine condotta dal gruppo di esperti, essi hanno reiterato la richiesta di accesso al fascicolo.

    18

    Il 23 settembre 2015 i ricorrenti hanno osservato che, dopo la riunione svoltasi lo stesso giorno con il segretario del comitato per le sanzioni, la loro domanda di accesso al fascicolo veniva respinta, a causa della natura «diplomatica» del processo che aveva portato all’imposizione delle sanzioni.

    19

    Il 16 ottobre 2015 il coordinatore ha chiesto ai ricorrenti informazioni sulle loro attività nella Repubblica centrafricana a partire dall’adozione della risoluzione del Consiglio di sicurezza 2196 (2015) e, in particolare, con riguardo ai pagamenti fatti dal Badica alle forze dell’ex Seleka a Bria (Repubblica centrafricana) e a Sam‑Ouandja (Repubblica centrafricana) per garantire la sicurezza dei suoi raccoglitori e con riguardo alla conoscenza che la direzione del Badica aveva dei suddetti pagamenti e delle tasse pagate alle forze dell’ex Seleka da parte dei raccoglitori e dei minatori artigianali che fornivano diamanti al Badica.

    20

    Il 23 ottobre 2015 i ricorrenti hanno risposto alle domande del coordinatore. Essi hanno inoltre sollevato un certo numero di censure nei confronti dell’indagine svolta dal gruppo di esperti. In particolare, hanno sostenuto che il gruppo di esperti avrebbe dovuto dare loro accesso ai documenti sui quali fondava le proprie conclusioni, che esso non aveva ascoltato i responsabili del Badica e che si era basato su voci provenienti da testimoni anonimi. I ricorrenti hanno altresì sottolineato che il gruppo di esperti aveva effettuato l’indagine assieme a soggetti terzi di identità sconosciuta e che si era trattato di un’indagine unicamente a carico.

    21

    Il 7 dicembre 2015 il coordinatore ha risposto alla lettera dei ricorrenti del 23 ottobre 2015. Dopo aver preso atto che i ricorrenti volevano ottenere dal gruppo di esperti documenti aggiuntivi oltre a quelli presentati nella relazione finale delle Nazioni unite, egli ha in particolare indicato che alcuni elementi specifici relativi alla controrelazione sarebbero stati inclusi nella successiva relazione del gruppo di esperti la cui pubblicazione era prevista entro il 31 dicembre 2015.

    22

    Con lettera del 21 dicembre 2015 il gruppo di esperti ha presentato una nuova relazione sulla Repubblica centrafricana (in prosieguo: la «relazione del 21 dicembre 2015 delle Nazioni unite») in cui confermava le conclusioni della relazione finale delle Nazioni unite (v. supra, punto 11).

    23

    Con lettera del 2 marzo 2016 al comitato per le sanzioni, i ricorrenti hanno formulato osservazioni riguardo alla relazione del 21 dicembre 2015 delle Nazioni unite.

    Misure imposte dall’Unione

    24

    Al fine di attuare le risoluzioni 2134 (2014) e 2196 (2015) del Consiglio di sicurezza, il Consiglio dell’Unione europea ha istituito misure restrittive nei confronti della Repubblica centrafricana adottando, in particolare, il regolamento (UE) n. 224/2014, del 10 marzo 2014, concernente misure restrittive in considerazione della situazione nella Repubblica centrafricana (GU 2014, L 70, pag. 1), come modificato dal regolamento (UE) 2015/734 del Consiglio, del 7 maggio 2015 (GU 2015, L 117, pag. 11) (in prosieguo: il «regolamento di base).

    25

    L’articolo 5 del regolamento di base dispone quanto segue:

    «1.   Sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, posseduti, detenuti o controllati, direttamente o indirettamente, da una qualsiasi delle persone fisiche o giuridiche, delle entità o degli organismi elencati nell’allegato I del presente regolamento.

    2.   È vietato mettere, direttamente o indirettamente, fondi o risorse economiche a disposizione di una qualsiasi delle persone fisiche o giuridiche, delle entità o degli organismi elencati nell’allegato I, o destinarli a loro vantaggio.

    3.   Nell’allegato I figurano le persone fisiche o giuridiche, le entità e gli organismi identificati dal comitato per le sanzioni che commettono o sostengono atti tali da minacciare la pace, la stabilità o la sicurezza nella Repubblica centrafricana, compresi gli atti che minacciano o violano gli accordi transitori, o che pregiudicano o impediscono il processo di transizione politica, inclusa la transizione verso elezioni democratiche libere ed eque, o che alimentano la violenza:

    (…)

    d)

    che forniscono sostegno a gruppi armati o a reti criminali mediante lo sfruttamento illecito o il commercio delle risorse naturali, compresi diamanti, oro, fauna selvatica e i suoi prodotti, nella o dalla Repubblica centrafricana;

    (…)».

    26

    Ai sensi dell’articolo 17 del regolamento di base:

    «1.   Qualora il Consiglio di sicurezza (…) o il comitato per le sanzioni inserisca nell’elenco una persona fisica o giuridica, un’entità o un organismo e abbia fornito la motivazione della designazione, il Consiglio inserisce nell’allegato I tale persona fisica o giuridica, entità o organismo. Il Consiglio trasmette la sua decisione e la motivazione alla persona fisica o giuridica, all’entità o all’organismo interessati direttamente, se l’indirizzo è noto, o mediante la pubblicazione di un avviso, dando alla persona fisica o giuridica, all’entità o all’organismo la possibilità di formulare osservazioni.

    2.   Qualora siano avanzate osservazioni o siano presentate nuove prove sostanziali, il Consiglio riesamina la decisione e ne informa opportunamente la persona, l’entità o l’organismo.

    3.   Qualora le Nazioni Unite decidano di espungere dall’elenco una persona, un’entità o un organismo o di modificare i dati identificativi di una persona, di un’entità o di un organismo ivi elencati, il Consiglio modifica di conseguenza l’allegato I».

    27

    Il 2 settembre 2015, il Consiglio ha adottato, da un lato, la decisione di esecuzione (PESC) 2015/1488 che attua la decisione 2013/798/PESC concernente misure restrittive nei confronti della Repubblica centrafricana (GU 2015, L 229, pag. 12) e, dall’altro lato, il regolamento di esecuzione (UE) 2015/1485 che attua l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base (GU 2015, L 229, pag. 1; in prosieguo: l’«atto impugnato»).

    28

    L’articolo 1 dell’atto impugnato dispone che le «persone e l’entità elencate nell’allegato del presente regolamento sono aggiunte all’elenco che figura nell’allegato I del regolamento [di base]».

    29

    Il punto B.1 dell’elenco figurante in allegato all’atto impugnato aggiunge i ricorrenti all’elenco allegato al regolamento di base. La motivazione del suddetto punto, nelle note intitolate «Informazioni tratte dalla sintesi dei motivi dell’inserimento nell’elenco forniti dal comitato per le sanzioni» e «Informazioni supplementari», ricalca i motivi dell’iscrizione in tale elenco accolti dal comitato per le sanzioni (v. punto 16 supra). A questo proposito, viene precisato nella prima nota sopra menzionata, che «[il Badica e la Kardiam sono] stat[i] inclus[i] nell’elenco il 20 agosto 2015, ai sensi del punto 12, lettera d), della risoluzione 2196 (2015), in quanto entità tra quelle che “forniscono sostegno a gruppi armati o a reti criminali mediante l’illecito sfruttamento o commercio di risorse naturali, ivi compresi diamanti, oro, fauna selvatica e suoi prodotti, nella [Repubblica centrafricana]».

    30

    Il 2 ottobre 2015 i ricorrenti hanno comunicato al Consiglio, per lettera, di non aver ricevuto alcuna notifica dell’atto impugnato, mentre i loro indirizzi erano noti. Inoltre, essi hanno contestato la relazione finale delle Nazioni unite e le sanzioni da essa derivanti e hanno sollecitato dal Consiglio la comunicazione dei documenti a suffragio della suddetta relazione.

    31

    Il 16 dicembre 2015, il Consiglio ha risposto alla lettera dei ricorrenti del 2 ottobre 2015. Esso ha spiegato che la domanda di accesso ai documenti del fascicolo era stata comunicata al presidente del comitato per le sanzioni ed ha allegato la risposta di quest’ultimo, datata 8 ottobre 2015. Nella sua risposta, il presidente del comitato per le sanzioni spiegava che la controrelazione era stata trasmessa ai membri del comitato per le sanzioni. Inoltre, con riguardo alle informazioni chieste dai ricorrenti in merito alla loro designazione, egli faceva riferimento alla relazione finale delle Nazioni unite e alla sintesi della motivazione del comitato per le sanzioni.

    Procedimento e conclusioni delle parti

    32

    Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 6 novembre 2015, i ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

    33

    I ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

    annullare l’atto impugnato nella parte che li riguarda;

    condannare il Consiglio alle spese.

    34

    Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

    respingere il ricorso;

    condannare i ricorrenti alle spese.

    In diritto

    35

    Nell’atto introduttivo i ricorrenti invocano tre motivi attinenti, in primo luogo, ad una violazione dei diritti della difesa, del diritto ad un equo processo e ad una tutela giurisdizionale effettiva, in secondo luogo, ad un errore di valutazione dei fatti e, in terzo luogo, ad un mancato esame delle circostanze del caso di specie da parte del Consiglio. In sede di replica, i ricorrenti deducono un nuovo motivo, relativo ad una violazione dell’obbligo di motivazione.

    36

    Occorre anzitutto esaminare il motivo nuovo vertente su una violazione dell’obbligo di motivazione, poi il motivo attinente ad una violazione dei diritti della difesa, del diritto ad un equo processo e ad una tutela giurisdizionale effettiva, quindi il motivo vertente su un errore di valutazione dei fatti e, infine, il motivo attinente ad un omesso esame delle circostanze del caso di specie da parte del Consiglio.

    Sul motivo vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

    37

    Secondo i ricorrenti il Consiglio giustifica la legittimità dell’atto impugnato producendo, in allegato al controricorso, elementi di fatto e di diritto successivi alla data dell’atto impugnato, vale a dire la relazione redatta da Amnesty International il 30 settembre 2015, la risposta del gruppo di esperti ai ricorrenti del 7 dicembre 2015 e la relazione del 21 dicembre 2015 delle Nazioni unite.

    38

    Orbene, secondo i ricorrenti la legittimità di un atto adottato da un’istituzione dell’Unione dev’essere valutata sulla base degli elementi di fatto e di diritto esistenti nel momento in cui l’atto è stato adottato. Tale affermazione sarebbe consolidata nella giurisprudenza della Corte. I ricorrenti affermano, al riguardo, che la motivazione deve comparire nell’atto stesso e che non è sufficiente, a tal fine, che la stessa possa essere elaborata sulla base dei documenti del fascicolo, tanto meno quando questi ultimi sono successivi alla data di adozione dell’atto.

    39

    Di conseguenza, giustificando l’atto impugnato con elementi di diritto e di fatto successivi alla data di adozione dello stesso ed emersi durante il procedimento, il Consiglio avrebbe violato l’obbligo di motivazione formale che ad esso incombe.

    40

    I ricorrenti precisano che questo motivo, benché nuovo, può essere sollevato in quanto, conformemente all’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la deduzione di motivi nuovi è permessa allorché gli stessi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento, come nel caso di specie.

    41

    Il Consiglio contesta tali argomenti.

    42

    In via preliminare, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, il difetto o l’insufficienza di motivazione rientra nell’inosservanza delle forme sostanziali ai sensi dell’articolo 263 TFUE e costituisce un motivo di ordine pubblico che può, e anzi deve, essere sollevato d’ufficio dal giudice dell’Unione (v. sentenza del 2 dicembre 2009, Commissione/Irlanda e a., C‑89/08 P, EU:C:2009:742, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

    43

    Pertanto, il Tribunale può conoscere del motivo dei ricorrenti attinente ad una violazione dell’obbligo di motivazione, senza che occorra esaminare, ai sensi dell’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura, se tale motivo si fondi su «elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento».

    44

    Nel caso di specie, i ricorrenti affermano, in sostanza, che, giustificando nel controricorso l’atto impugnato con elementi di fatto e di diritto successivi alla data di elaborazione del suddetto atto, il Consiglio ha violato l’obbligo di motivazione.

    45

    Tuttavia, da un lato, i ricorrenti non contestano affatto il carattere sufficiente della motivazione così come essa figura nell’atto impugnato.

    46

    Dall’altro lato, come ricordano i ricorrenti stessi (v. supra, punto 38), nell’ambito di un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, la legittimità di un atto dell’Unione dev’essere valutata in base agli elementi di fatto e di diritto esistenti al momento in cui l’atto è stato adottato (v. sentenza del 15 giugno 2005, Corsica Ferries France/Commissione, T‑349/03, EU:T:2005:221, punto 142 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, anche supponendo che il Consiglio abbia tentato, nel corso del presente procedimento giurisdizionale, di fornire motivi supplementari all’atto impugnato, ciò di per sé non basterebbe a inficiare la legittimità del detto atto, poiché non può dimostrare che i motivi figuranti nell’atto impugnato al momento della sua adozione sarebbero stati insufficienti (v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2005, Corsica Ferries France/Commissione, T‑349/03, EU:T:2005:221, punto 287 e giurisprudenza ivi citata).

    47

    Di conseguenza, l’argomento relativo alla produzione da parte del Consiglio, nella fase del controricorso, di elementi di fatto e di diritto successivi alla data dell’atto impugnato dev’essere respinto come inoperante, nei limiti in cui mira a dimostrare una violazione dell’obbligo di motivazione, senza pregiudicare la ricevibilità dei suddetti elementi in sede di esame della fondatezza dell’atto impugnato.

    48

    Il motivo che deduce una violazione dell’obbligo di motivazione va pertanto respinto.

    Sul primo motivo, vertente su una violazione dei diritti della difesa, del diritto ad un equo processo e ad una tutela giurisdizionale effettiva

    49

    Il primo motivo è suddiviso in due parti attinenti sostanzialmente, il primo, alla mancanza di comunicazione individuale ai ricorrenti dell’atto impugnato e, il secondo, alla «mancanza di comunicazione degli elementi di prova, all’accesso al fascicolo e ad una violazione del principio del contraddittorio e di trasparenza».

    Sulla prima parte del primo motivo, attinente alla mancanza di comunicazione individuale ai ricorrenti dell’atto impugnato

    50

    Nella prima parte del primo motivo, i ricorrenti lamentano una violazione dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base, in quanto l’atto impugnato non sarebbe stato ad essi notificato da parte del Consiglio, mentre quest’ultimo era a conoscenza dei loro recapiti.

    51

    Tuttavia, è giocoforza constatare che l’argomento dei ricorrenti è infondato.

    52

    Da un lato, sebbene un atto che adotti o mantenga misure restrittive nei confronti di una persona o entità debba essere comunicato a quest’ultima e sia tale comunicazione a far decorrere il termine per la proposizione, da parte della persona o entità interessata, di un ricorso di annullamento contro l’atto in parola in forza dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, tale circostanza non implica che una siffatta mancata comunicazione giustifichi, di per sé, l’annullamento dell’atto di cui trattasi (sentenza del 6 settembre 2013, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑35/10 e T‑7/11, EU:T:2013:397, punto 112).

    53

    A questo riguardo, come fatto valere dal Consiglio, i ricorrenti non adducono argomenti volti a dimostrare che, nel caso di specie, dalla mancata comunicazione individuale dell’atto impugnato sia derivato un pregiudizio ai loro diritti che giustificherebbe l’annullamento di quest’ultimo nella parte in cui li riguarda (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 122 e giurisprudenza ivi citata).

    54

    Dall’altro lato, l’esistenza di un siffatto pregiudizio non risulta, peraltro, dagli elementi del fascicolo, posto che, anzitutto, i motivi addotti a carico dei ricorrenti nell’atto impugnato sono identici ai motivi che figurano nella sintesi dei motivi del comitato per le sanzioni, che essi conoscevano; in seguito, che essi hanno potuto proporre un ricorso di annullamento contro l’atto impugnato e, infine, che hanno potuto avere conoscenza di quest’ultimo da un’altra fonte e allegarne una copia al loro ricorso (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2013, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑35/10 e T‑7/11, EU:T:2013:397, punto 113).

    55

    In considerazione di tali circostanze, la prima parte del primo motivo dev’essere respinta.

    Sulla seconda parte del primo motivo, attinente alla «mancanza di comunicazione degli elementi di prova, all’accesso al fascicolo e ad una violazione del principio del contraddittorio e della trasparenza»

    56

    In primo luogo, i ricorrenti sostengono di essere stati oggetto di sanzioni internazionali ed europee senza aver avuto accesso al fascicolo, senza che la loro controrelazione sia stata presa in considerazione dall’ONU e senza che la stessa abbia ottenuto alcuna risposta da parte dell’ONU.

    57

    Anzitutto, i ricorrenti osservano, in sostanza, di non aver potuto avere accesso al fascicolo né dinanzi all’ONU né dinanzi al Consiglio, in violazione della sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punti da 281 a 285). A questo riguardo, i ricorrenti ricordano che l’accesso al fascicolo è una esigenza fondamentale del diritto dell’Unione che permette di garantire il rispetto dei diritti della difesa.

    58

    I ricorrenti sostengono poi che il gruppo di esperti non ha prodotto alcuna nuova relazione a seguito della controrelazione e non ha proceduto ad un’indagine complementare, malgrado le proposte di cooperazione da essi fatte per iscritto. Orbene, nella controrelazione i ricorrenti avevano sottolineato che la relazione finale delle Nazioni unite non era fondata su un’istruttoria rigorosa dei fatti e non era stata elaborata nel rispetto dei principi generali del diritto internazionale, delle regole proposte dall’ONU nella «sua relazione del 2006» e dei grandi principi sanciti dagli esperti stessi nell’introduzione della relazione finale delle Nazioni unite.

    59

    Inoltre, i ricorrenti affermano che la relazione finale delle Nazioni unite, nella parte che li riguarda, è stata fatta unicamente a carico, in violazione dell’articolo 14, paragrafo 3, lettera e), del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato dall’assemblea generale delle Nazioni unite il 16 dicembre 1966, e dei principi essenziali dei diritti della difesa. I ricorrenti aggiungono che il Badica non ha usufruito di alcun diritto di replica nella fase del progetto di relazione e che alcune dichiarazioni favorevoli al Badica non sono state menzionate nella relazione finale delle Nazioni unite. Infine, essi indicano che, dopo l’adozione delle sanzioni, il coordinatore del gruppo di esperti ha chiesto al Badica di fornirgli prove negative, in una lingua che non era la sua, senza copia ai suoi legali ed entro un termine di cinque giorni lavorativi.

    60

    In secondo luogo, i ricorrenti sostengono che l’indagine del gruppo di esperti ha origine in un procedimento penale promosso ad Anversa (Belgio) contro la Kardiam, a seguito del sequestro di due lotti di diamanti di cui si sospettava la provenienza dalla Repubblica centrafricana. Orbene, poiché tale indagine è tuttora in corso, la Kardiam non avrebbe potuto venire a conoscenza dei documenti del fascicolo e beneficerebbe della presunzione di innocenza. I ricorrenti precisano, al riguardo, in sede di replica che, nella sentenza del 2 settembre 2009, El Morabit/Consiglio (T‑37/07 e T‑323/07, non pubblicata, EU:T:2009:296, punto 48), la decisione di congelare i capitali era stata adottata dal Consiglio sulla base di una condanna pronunciata da un giudice nazionale. Orbene, nel caso di specie nessuna condanna è stata ancora pronunciata in Belgio, e di conseguenza la misura violerebbe il principio della presunzione di innocenza.

    61

    In terzo luogo, i ricorrenti sostengono che, poiché il Consiglio ha ammesso di non possedere alcun documento del fascicolo del comitato per le sanzioni, non potrebbe considerare di trovarsi in una situazione di competenza vincolata e di dover mettere automaticamente in atto «le risoluzioni ONU», in violazione della sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), senza aver verificato previamente l’esattezza dei fatti e delle circostanze che giustificano le suddette risoluzioni e il rispetto da parte di queste ultime dei diritti fondamentali – in particolare, il diritto di accesso al fascicolo e il diritto di essere ascoltati. A questo proposito, i ricorrenti accusano il Consiglio di non produrre alcun elemento informativo o di prova al di là della motivazione che il comitato per le sanzioni ha pubblicato il 20 agosto 2015, nella sua sintesi dei motivi, e di aver proceduto all’applicazione delle sanzioni in modo automatico.

    62

    Il Consiglio contesta tali argomenti.

    63

    In primo luogo, occorre rispondere agli argomenti dei ricorrenti attinenti ad una violazione del diritto di accesso al fascicolo e ad una violazione del principio del contraddittorio da parte dell’ONU, nonché ad un’indagine a carico da parte del gruppo di esperti in sede di elaborazione della relazione finale delle Nazioni unite.

    64

    A questo proposito, riguardo al fatto che i ricorrenti lamentano una violazione di questi diritti fondamentali da parte dell’ONU, dalla sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 326), deriva che i giudici dell’Unione devono, in conformità alle competenze di cui sono investiti in forza del Trattato, garantire un controllo, in linea di principio completo, della legittimità di tutti gli atti dell’Unione con riferimento ai diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione, anche quando tali atti mirano ad attuare risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

    65

    Non ne deriva però che i giudici dell’Unione abbiano competenza per controllare gli atti adottati dal Consiglio di sicurezza in quanto tali ovvero la conformità ai diritti fondamentali delle indagini condotte dagli organi dell’ONU.

    66

    Infatti, dall’articolo 263, paragrafo 1, TFUE e dall’articolo 275, paragrafo 2, TFUE emerge che il giudice dell’Unione è competente a controllare la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione, e in particolare la legittimità delle decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio, ma non a controllare l’accordo internazionale sul quale si fondano tali atti dell’Unione.

    67

    In proposito è necessario sottolineare come, in un contesto quale quello della fattispecie, il controllo di legittimità che deve essere in tal modo garantito dal giudice dell’Unione abbia ad oggetto l’atto dell’Unione volto ad attuare l’accordo internazionale in questione, e non quest’ultimo in quanto tale. Per quanto riguarda, in particolare, un atto dell’Unione che, come l’atto impugnato, mira ad attuare una risoluzione del Consiglio di sicurezza, non spetta quindi al giudice dell’Unione controllare la legittimità di una tale risoluzione adottata dal citato organo internazionale (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punti 286287), o dell’indagine che ne è all’origine.

    68

    Di conseguenza, gli argomenti dei ricorrenti, nei limiti in cui sono diretti a contestare la legittimità di atti dell’ONU alla luce dei diritti fondamentali elencati al punto 63 supra, debbono essere respinti in quanto proposti dinanzi ad un giudice incompetente a conoscere degli stessi.

    69

    In secondo luogo, occorre rispondere agli argomenti dei ricorrenti attinenti ad una violazione del diritto di accesso al fascicolo e ad una violazione del principio della presunzione di innocenza, nei limiti in cui i suddetti argomenti sono diretti nei confronti del Consiglio in quanto autore dell’atto impugnato.

    70

    Per quanto riguarda, da un lato, l’argomento dei ricorrenti attinente al fatto che il Consiglio, malgrado le loro richieste, non ha concesso loro accesso al fascicolo dell’ONU, occorre ricordare che, come nel caso di specie, la circostanza che l’autorità competente dell’Unione non renda accessibili all’interessato informazioni o elementi probatori – di cui solo il comitato per le sanzioni o il membro dell’ONU coinvolto sono in possesso – afferenti all’esposizione dei motivi alla base della decisione in oggetto, non consente, di per sé, di dichiarare che sono stati violati i diritti della difesa o il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 137139).

    71

    Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’asserita violazione del principio di presunzione d’innocenza da parte del Consiglio, occorre ricordare che tale principio, sancito dall’articolo 6, paragrafo 2, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e dall’articolo 48, paragrafo 1, della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ai sensi del quale ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata, non osta all’adozione di misure cautelari di congelamento dei capitali, quando queste ultime non abbiano ad oggetto l’avvio di un procedimento penale nei confronti della persona interessata (sentenze del 13 settembre 2013, Anbouba/Consiglio, T‑592/11, non pubblicata, EU:T:2013:427, punto 40, e del 20 settembre 2016, Alsharghawi/Consiglio, T‑485/15, non pubblicata, EU:T:2016:520, punto 69).

    72

    Tuttavia, considerata la loro gravità, tali misure devono essere previste dalla legge, essere adottate da un’autorità competente e presentare un carattere limitato nel tempo (sentenze del 2 settembre 2009, El Morabit/Consiglio, T‑37/07 e T‑323/07, non pubblicata, EU:T:2009:296, punto 40; del 13 settembre 2013, Anbouba/Consiglio, T‑592/11, non pubblicata, EU:T:2013:427, punto 40, e del 20 settembre 2016, Alsharghawi/Consiglio, T‑485/15, non pubblicata, EU:T:2016:520, punto 69).

    73

    Orbene, in primo luogo, le misure restrittive di cui trattasi, anche se fossero vincolanti, non hanno ad oggetto l’avvio di un procedimento penale diretto ad accertare la colpevolezza dei ricorrenti. Pertanto, l’argomento relativo al fatto che le misure in questione hanno origine in un procedimento penale tutt’ora in corso, aperto ad Anversa contro la Kardiam, non può essere accolto.

    74

    In secondo luogo, è giocoforza constatare che le misure di cui trattasi sono previste dalla legislazione dell’Unione e che il Consiglio era competente ad adottarle cosa che, peraltro, i ricorrenti non contestano.

    75

    In terzo luogo, occorre infine constatare che, sebbene, come confermato dal Consiglio a seguito di una misura di organizzazione del procedimento, l’atto impugnato non contenga un termine di scadenza dell’iscrizione per quanto riguarda l’Unione, nel caso di specie la misura non ha carattere definitivo. Infatti, il Consiglio è tenuto a riesaminarla in qualsiasi momento a livello di Unione, tanto in forza dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento di base, qualora «siano avanzate osservazioni o siano presentate nuove prove sostanziali», quanto in forza dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base, qualora «le Nazioni Unite decidano di espungere dall’elenco [la persona] (…) o di modificar[n]e i dati identificativi (…)». A questo proposito, al paragrafo 61 della risoluzione 2127 (2013), il Consiglio di sicurezza ha affermato che «effettuerà un monitoraggio costante degli sviluppi nella Repubblica centrafricana e sarà pronto ad esaminare l’opportunità delle misure di cui alla presente risoluzione, comprese (…) la loro sospensione o eliminazione, a seconda dei progressi compiuti per quanto riguarda la stabilizzazione del paese e il rispetto della presente risoluzione».

    76

    Pertanto, nel caso di specie, tenuto conto di quanto precede, la violazione del principio di innocenza non può essere dimostrata.

    77

    In terzo luogo, si deve rispondere all’argomento dei ricorrenti secondo il quale, in sostanza, il Consiglio avrebbe applicato in modo «quasi meccanico» la risoluzione dell’ONU all’origine della loro iscrizione, senza verificare l’esattezza dei fatti e delle circostanze all’origine del provvedimento di iscrizione e il rispetto, da parte di detto provvedimento, dei diritti fondamentali, nell’ambito dell’indagine del gruppo di esperti.

    78

    Per rispondere all’argomento dei ricorrenti occorre ricordare, in via preliminare, che la natura giuridica delle misure restrittive è un elemento importante che condiziona la portata della rivalutazione cui il Consiglio può procedere riguardo agli elementi di prova raccolti nel caso di specie da parte del comitato per le sanzioni dell’ONU. In linea di principio, è pacifico nella giurisprudenza che il congelamento di capitali disposto dal Consiglio sulla base delle competenze ad esso conferite dagli articoli 21 e 29 TUE non ha carattere penale. Pertanto, contrariamente a quanto suggerito dai ricorrenti, esso non può essere assimilato ad una decisione di congelamento dei capitali da parte di un’autorità giurisdizionale nazionale di uno Stato membro adottata nell’ambito del procedimento penale applicabile e nel rispetto delle garanzie offerte da tale procedimento (v. sentenza del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

    79

    In proposito, occorre rilevare che, nell’ambito di una procedura volta ad adottare la decisione di inserire o mantenere il nominativo di una persona nell’elenco quando, in via preliminare, nell’ambito delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza, il comitato per le sanzioni ha deciso di iscrivere il nome di tale persona nel proprio elenco, il rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva postula che l’autorità competente dell’Unione comunichi alla persona interessata gli elementi a suo carico di cui tale autorità dispone per fondare la sua decisione, ossia, per lo meno, l’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni, affinché tale persona possa difendere i suoi diritti nelle migliori condizioni possibili e decidere con piena cognizione di causa se sia opportuno adire il giudice dell’Unione (v. sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 111 e giurisprudenza ivi citata).

    80

    In occasione di questa comunicazione, l’autorità competente dell’Unione deve permettere a questa persona di esprimere in maniera proficua la sua opinione sui motivi posti a suo carico (v. sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 112 e giurisprudenza ivi citata).

    81

    Tuttavia, nell’ambito di un’iscrizione iniziale, contrariamente a quanto accade per la procedura di mantenimento del nominativo di una persona nell’elenco, l’adempimento di questo duplice obbligo procedurale non deve precedere l’adozione della decisione (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 113 e giurisprudenza ivi citata).

    82

    Nel caso di specie, occorre rilevare, a questo proposito, che l’articolo 17 del regolamento di base distingue la procedura di adozione dell’atto di iscrizione iniziale dalla procedura di riesame del suddetto atto.

    83

    Nel primo caso è previsto che «[q]ualora il Consiglio di sicurezza (…) o il comitato per le sanzioni inserisca nell’elenco una persona fisica o giuridica, un’entità o un organismo e abbia fornito la motivazione della designazione, il Consiglio inserisce nell’allegato I tale persona fisica o giuridica, entità o organismo» e che «[i]l Consiglio trasmette la sua decisione e la motivazione alla persona fisica o giuridica, all’entità o all’organismo interessati (…) dando alla persona fisica o giuridica, all’entità o all’organismo la possibilità di formulare osservazioni» (articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base).

    84

    A questo riguardo, dall’articolo 5, paragrafo 3, del regolamento di base, deriva che l’iscrizione nell’elenco riguarda i soggetti «identificati dal comitato per le sanzioni».

    85

    Nel secondo caso, è previsto che «[q]ualora siano avanzate osservazioni o siano presentate nuove prove sostanziali, il Consiglio riesamina la decisione e ne informa opportunamente la persona, l’entità o l’organismo».

    86

    Occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il Consiglio è tenuto a prendere la sua decisione «sulla base dell’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni». Infatti, non è previsto che tale comitato metta spontaneamente a disposizione dell’autorità competente dell’Unione, affinché questa adotti la sua decisione, altri elementi oltre a tale esposizione dei motivi (sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 107, e del 13 dicembre 2016, Al-Ghabra/Commissione, T‑248/13, EU:T:2016:721, punto 73).

    87

    Ne consegue che nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, come emerge dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base, il Consiglio non era tenuto, in sede di attuazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza, a verificare «l’esattezza dei fatti e delle circostanze» all’origine della misura di iscrizione adottata nei confronti dei ricorrenti.

    88

    Infatti, quando la persona coinvolta formula osservazioni in merito alla motivazione, l’autorità competente dell’Unione è tenuta ad esaminare, con cura ed imparzialità, la fondatezza dei motivi sollevati, alla luce di queste osservazioni e degli eventuali elementi a discarico di cui sono corredate (v. sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 114 e giurisprudenza ivi citata), ossia, nel caso di specie, in forza dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento di base, ai sensi del quale «[q]ualora siano avanzate osservazioni (…), il Consiglio riesamina la decisione (…)».

    89

    Di conseguenza, il Consiglio non può essere censurato, nel caso di specie, per non aver ottenuto dal comitato per le sanzioni gli elementi informativi o di prova a sostegno delle affermazioni dedotte contro i ricorrenti e per avere quindi, secondo i ricorrenti, «attuato in modo quasi meccanico» il suddetto provvedimento di iscrizione, senza esaminare i fatti e le circostanze all’origine dello stesso (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2016, Al-Ghabra/Commissione, T‑248/13, EU:T:2016:721, punto 76).

    90

    Né si può accusare il Consiglio di aver «recepito» la decisione del Consiglio di sicurezza senza verificare che tale risoluzione tenesse conto del rispetto dei diritti fondamentali, Infatti, come emerge, da un lato, dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base, in combinato disposto con l’articolo 5, paragrafo 3, dello stesso regolamento e, dall’altro lato, dalla giurisprudenza menzionata al punto 86 supra, il Consiglio prende la decisione di iscrizione nei confronti dei soggetti «identificati dal comitato per le sanzioni».

    91

    Alla luce di quanto precede, il primo motivo deve essere respinto.

    Sul secondo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione

    92

    I ricorrenti affermano, in sostanza, che gli accertamenti del Consiglio figuranti nei motivi ad essi comunicati sono inesatti o, in ogni caso, non sufficientemente comprovati per dimostrare un sostegno ai gruppi armati tramite lo sfruttamento illecito o il commercio di risorse naturali nella Repubblica centrafricana.

    93

    Occorre ricordare che tra le circostanze riferite al punto B.1 dell’allegato all’atto impugnato, nella sezione «Informazioni complementari», a giustificazione della misura di iscrizione adottata dal Consiglio, compaiono i cinque motivi seguenti:

    «[Il Badica e la Kardiam hanno] fornito sostegno a gruppi armati della Repubblica centrafricana, segnatamente ex Seleka e anti-balaka, mediante l’illecito sfruttamento e commercio di risorse naturali, ivi compresi diamanti e oro.

    Nel 2014 [il Badica] ha continuato ad acquistare diamanti di Bria e Sam-Ouandja (provincia di Haute Kotto) nella parte orientale della Repubblica centrafricana, dove forze dell’ex Seleka impongono tasse agli aeromobili che trasportano diamanti e si fanno pagare dai cercatori di diamanti per garantirne la sicurezza. Numerosi fornitori [del Badica] a Bria e Sam-Ouandja hanno stretti legami con i comandanti dell’ex Seleka.

    Nel maggio 2014, le autorità belghe hanno sequestrato due pacchi di diamanti inviati all’ufficio [del Badica] ad Anversa, ufficialmente registrato in Belgio sotto il nome di [Kardiam]. Secondo gli esperti, è molto probabile che i diamanti confiscati provengano dalla Repubblica centrafricana, visto che presentano le caratteristiche dei diamanti di Sam-Ouandja e Bria, nonché di Nola (provincia di Sangha Mbaéré), nel sud-est del paese.

    I commercianti che acquistavano diamanti usciti illegalmente dalla Repubblica centrafricana, in particolare dalla parte occidentale del paese, destinati ai mercati stranieri, operavano in Camerun per conto [del Badica].

    Nel maggio 2014, [il Badica] ha inoltre esportato oro proveniente da Yaloké (Ombella-Mpoko), dove le miniere d’oro artigianali erano sotto il controllo della Seleka fino all’inizio di febbraio 2014, prima di cadere nelle mani dei gruppi anti-balaka».

    94

    In via preliminare, va anzitutto osservato che giustamente il Consiglio si basa sulla relazione finale delle Nazioni unite per suffragare i motivi comunicati ai ricorrenti. Il fatto che questi ultimi abbiano contestato le affermazioni contenute in tale relazione non è di per sé sufficiente per considerare che il Consiglio non potesse farvi riferimento (sentenza del 14 gennaio 2015, Gossio/Consiglio, T‑406/13, non pubblicata, EU:T:2015:7, punto 72). Inoltre, le affermazioni dei ricorrenti non ostano a che il Tribunale si basi sulla relazione finale delle Nazioni unite.

    95

    Infatti, conformemente all’impegno del gruppo di esperti formulato al punto 7 della relazione finale delle Nazioni unite, i ricorrenti hanno avuto accesso ai principali elementi di prova su cui si basa l’atto impugnato e, in particolare, alla relazione e ai suoi allegati, essendo tra l’altro la suddetta relazione pubblica. Inoltre, dalla relazione finale delle Nazioni unite e dalla lettera del coordinatore del 28 aprile 2015 emerge che i ricorrenti sono stati ascoltati almeno due volte da parte del gruppo di esperti, ossia nell’aprile 2014 e nel gennaio 2015, e che non hanno dato seguito alla richiesta di colloquio formulata dal suddetto gruppo nel giugno 2014. Infine, dai punti da 5 a 8 della suddetta relazione emerge che il gruppo di esperti si è fondato su una metodologia rigorosa, predefinita dall’organo competente dell’ONU e rispettosa dei diritti della difesa.

    96

    Il controllo giurisdizionale sulla legittimità della decisione di cui trattasi si estende alla valutazione dei fatti e delle circostanze addotti per giustificare la decisione di congelamento dei capitali, nonché alla verifica degli elementi di prova e di informazione su cui è fondata tale valutazione (sentenza del 14 ottobre 2009, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑390/08, EU:T:2009:401, punto 37).

    97

    Di conseguenza, il potere discrezionale di cui il Consiglio dispone in materia non osta a che il giudice dell’Unione verifichi, nello svolgere il suo controllo di legittimità, l’esattezza materiale dei fatti sui quali il Consiglio si è basato. Infatti, l’effettività del controllo giurisdizionale garantito dall’articolo 47 della carta dei diritti fondamentali postula, in particolare che il giudice dell’Unione si assicuri che una decisione, la quale riveste una portata individuale per la persona o l’entità di cui trattasi, si fondi su una base di fatto sufficientemente solida. Ciò comporta una verifica dei fatti addotti nell’esposizione dei motivi sottesa a tale decisione, cosicché il controllo giurisdizionale non si limiti alla valutazione dell’astratta verosimiglianza dei motivi dedotti, ma consista invece nell’accertare se questi motivi, o per lo meno uno di essi considerato di per sé sufficiente a suffragare la medesima decisione, siano fondati (sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 119; v. altresì sentenza del 21 aprile 2015, Anbouba/Consiglio, C‑605/13 P, EU:C:2015:248, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

    98

    Pertanto, considerata la natura preventiva delle misure restrittive in oggetto, qualora, nel contesto del suo controllo sulla legittimità della decisione impugnata, il giudice dell’Unione concluda che almeno uno dei motivi menzionati nell’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni è sufficientemente preciso e concreto, che è dimostrato e che di per sé costituisce un fondamento adeguato di tale decisione, la circostanza che altri di questi motivi non lo siano non basterà per giustificare l’annullamento di detta decisione (sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 130).

    99

    Tale valutazione deve essere effettuata esaminando gli elementi di prova e di informazione non in maniera isolata, bensì nel contesto nel quale essi si inseriscono. Infatti, il Consiglio adempie all’onere della prova che gli incombe qualora evochi dinanzi al giudice dell’Unione un complesso di indizi sufficientemente concreti, precisi e concordanti che consentano di dimostrare l’esistenza di un collegamento sufficiente tra la persona sottoposta ad una misura di congelamento dei suoi fondi e il regime o, in generale, le situazioni combattute (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2015, Anbouba/Consiglio, C‑605/13 P, EU:C:2015:248, punti 5153 e giurisprudenza ivi citata).

    100

    È alla luce della giurisprudenza menzionata al punto 99 supra che occorre esaminare gli argomenti invocati dai ricorrenti in riferimento ai motivi ricordati supra, al punto 93.

    101

    In primo luogo, i ricorrenti contestano il carattere illecito degli acquisti indicati nel secondo motivo, in particolare perché manca un’esportazione dei diamanti di cui trattasi.

    102

    Tuttavia, come deriva dal punto 99 supra, la valutazione degli elementi di informazione dev’essere effettuata non in maniera isolata, bensì nel contesto nel quale essi si inseriscono.

    103

    Orbene, il secondo motivo, che attesta, quanto meno, un «sostegno» ai gruppi armati, dev’essere letto, in particolare, assieme al terzo e al quarto motivo, i quali fanno riferimento ad un illecito sfruttamento di diamanti. Ciò a maggior ragione in quanto la relazione finale delle Nazioni unite collega espressamente, da un lato, l’acquisto di diamanti a Bria e a Sam‑Ouandja da parte dei ricorrenti (secondo motivo) e, dall’altro lato, il sequestro di diamanti destinati ai ricorrenti ad Anversa, provenienti probabilmente dalle suddette zone (terzo motivo).

    104

    Infatti, la relazione finale delle Nazioni unite indica, al punto 127, che «[s]econdo il [g]ruppo di esperti i diamanti provenienti da Bria e da Sam-Ouandja, zone poste sotto il controllo dell’ex Seleka, acquistati illegalmente dal Badica o per suo conto, sono atterrati nel lotto sequestrato ad Anversa».

    105

    Tale collegamento è inoltre enunciato chiaramente nella sintesi della relazione finale delle Nazioni unite, in cui viene indicato che «[s]econdo il [g]ruppo di esperti alcuni dei diamanti sequestrati in Belgio provenivano da Sam-Ouandja e da Bria (provincia dell’Haute-Kotto) nella parte orientale del paese, dove forze dell’ex Seleka impongono tasse agli aeromobili che trasportano diamanti e si fanno pagare dai raccoglitori di diamanti per garantirne la sicurezza (…)». Del resto, i ricorrenti non contestano tale collegamento nei loro atti.

    106

    Di conseguenza, l’argomento dei ricorrenti attinente alla mancanza di carattere illecito degli acquisti dev’essere respinto. Infatti, da quanto precede deriva che i diamanti di cui al secondo motivo sono effettivamente stati esportati e, pertanto, sono stati oggetto di un illecito sfruttamento in quanto, conformemente al processo di Kimberley, tutte le esportazioni di diamanti erano vietate all’epoca in questione.

    107

    A questo riguardo, l’asserita limitata quantità degli acquisti e la presunta necessità di raccogliere gli anticipi pagati a raccoglitori di fiducia e di mantenerne la rete sono privi di incidenza, da un lato, sull’esistenza di un sostegno ai gruppi armati e, dall’altro, sul carattere illecito del commercio de quo.

    108

    Peraltro, si deve constatare che la circostanza, riportata nel secondo motivo, secondo la quale «[n]el 2014 [il Badica] ha continuato ad acquistare diamanti» nelle zone di Bria e Sam-Ouandja, anche supponendo che sia interpretata isolatamente, è anch’essa atta a riflettere un commercio illecito, anche se il processo di Kimberley copre soltanto, in linea di principio, le esportazioni di diamanti. Infatti, come sottolinea il Consiglio, i ricorrenti non deducono alcun argomento in merito all’osservazione fatta al punto 60 della relazione di attività del gruppo di esperti del 1o luglio 2014, ai sensi della quale:

    «In marzo, [il Badica] aveva 760 carati di diamanti in magazzino. Il suo amministratore delegato ha dichiarato al [g]ruppo di esperti che la società non effettuava più acquisti di diamanti a causa della sospensione della Repubblica centrafricana dal sistema di certificazione del [p]rocesso di Kimberley (…). Tuttavia, un secondo inventario dei magazzini del Badica, effettuato nell’aprile 2014, ha rivelato che la società aveva acquistato 1698 carati ulteriori, per un valore di 292917 dollari, a Bria e a Sam‑Ouandja. I lotti di diamanti che il Badica conservava nei propri magazzini non erano ancora stati sigillati o datati dai servizi minerari, come avrebbe dovuto essere in base alla tabella presentata dalle autorità centrafricane nel giugno 2013 al fine di poter reintegrare il [p]rocesso di Kimberley».

    109

    Peraltro, nell’ambito del secondo motivo, in base al quale le autorità dell’ex Seleka si fanno pagare dai cercatori di diamanti per garantire la loro sicurezza, i ricorrenti affermano, in sostanza, che il sostegno fornito all’ex Seleka tramite il versamento delle suddette indennità non è loro imputabile. Al riguardo, essi osservano che i raccoglitori e i minatori artigianali all’origine del pagamento di indennità di sicurezza all’ex Seleka sono indipendenti, in forza del codice minerario centrafricano. Pertanto, il Badica non può essere considerato responsabile del comportamento dei raccoglitori, comportamento che peraltro esso ignorava. Il secondo motivo sarebbe quindi insufficiente, in quanto tale, a dimostrare un sostegno alle forze armate.

    110

    Tuttavia, è giocoforza rilevare che i ricorrenti non contestano né l’acquisto di diamanti da alcuni raccoglitori, i quali a loro volta si riforniscono da minatori artigianali, né il pagamento, da parte di questi intermediari del commercio dei diamanti, di tasse agli elementi dell’ex Seleka. Pertanto, si deve rilevare che, tenuto conto di quanto precede, continuando ad acquistare diamanti dai raccoglitori nel corso del periodo di cui trattasi, fatto da essi non contestato, i ricorrenti hanno necessariamente fornito un sostegno ai gruppi armati.

    111

    A questo riguardo, il fatto che i ricorrenti non abbiano effettuato pagamenti diretti di indennità di sicurezza alle forze dell’ex Seleka, anche qualora fosse verificato, è privo di incidenza sull’esistenza di un sostegno alle suddette forze. Infatti, la sintesi dei motivi si limita a far riferimento, in modo generico, a un sostegno e non ad un sostegno diretto.

    112

    Inoltre, non può escludersi che almeno una parte delle tasse pagate alle forze dell’ex Seleka da parte degli intermediari del commercio di diamanti sia stata fatta ricadere sul prezzo finale pagato dai ricorrenti nell’ambito della loro attività di acquisto di diamanti.

    113

    Infine, si deve constatare che, tenuto conto del contesto de quo, caratterizzato, per un verso, dallo scoppio di una guerra civile nella Repubblica centrafricana e, per altro verso, dalla sospensione correlativa della Repubblica centrafricana dal [p]rocesso di Kimberley, i ricorrenti non potevano ignorare la riscossione di tasse da parte delle forze armate in conflitto nelle miniere poste sotto il loro controllo.

    114

    Pertanto, l’argomento attinente al fatto che i ricorrenti avrebbero ignorato il versamento di tali tasse da parte degli intermediari del commercio di diamanti dev’essere respinto in quanto infondato.

    115

    Inoltre, quanto al fatto che i ricorrenti considerano che gli elementi riportati nel secondo motivo per dimostrare un sostegno ai gruppi armati, tramite il versamento di indennità di sicurezza, da un lato, e di diritti di atterraggio, dall’altro lato, non sono sufficientemente suffragati, è giocoforza constatare che tale affermazione è infondata.

    116

    Anzitutto, i ricorrenti a torto eccepiscono il carattere modesto dei diritti di atterraggio pagati da Minair, una società sorella del Badica, nonché il fatto che tali diritti sono stati pagati da tutte le imprese che noleggiavano voli nelle regioni in questione. Infatti, da un lato, dal punto 123 della relazione finale delle Nazioni unite emerge che l’ammontare di tali diritti era compreso, per ciascun atterraggio, tra 75 dollari statunitensi (USD) a Bria e 100 USD a Sam‑Ouandja. Orbene, a prescindere dal fatto che il pagamento di tali diritti individua, in ogni caso, un sostegno alle forze armate, siffatti diritti non possono essere considerati trascurabili nel drammatico contesto economico che caratterizzava la Repubblica centrafricana all’epoca della guerra civile. Dall’altro lato, anche il fatto che tali diritti siano stati pagati da tutti gli operatori è privo di incidenza sulla circostanza che il pagamento degli stessi abbia costituito un sostegno alle forze armate.

    117

    Inoltre, si deve rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, il gruppo di esperti non ha effettuato indagini due mesi dopo l’iscrizione del loro nominativo nell’elenco da parte del comitato per le sanzioni riguardo all’accusa relativa al pagamento di diritti di atterraggio e di indennità di sicurezza agli elementi dell’ex Seleka. Infatti, dalle note n. 90 e 91 della relazione finale delle Nazioni unite, emerge che tale accusa si basa su colloqui svoltisi nel luglio e nel settembre 2014, ossia quasi un anno prima dell’iscrizione dei ricorrenti nell’elenco.

    118

    Infine, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, le accuse di sostegno alle forze dell’ex Seleka tramite il pagamento di indennità di sicurezza e di diritti di atterraggio sono suffragate da elementi di prova.

    119

    Da un lato, quanto al versamento di indennità di sicurezza, dal punto 124 della relazione finale delle Nazioni unite, il quale si basa su due dichiarazioni concordanti di un cercatore a Sam‑Ouandja del 4 settembre 2014 e di un comandante dell’Unità speciale antifrode a Bangui (Repubblica centrafricana) del 21 luglio 2014, emerge che «[i] raccoglitori (intermediari del commercio di diamanti) di Sam‑Ouandja versano (…) un’indennità giornaliera ai soldati dell’ex Seleka che custodiscono i loro locali», che «[a] Bria, il [g]ruppo di esperti ha rilevato, nel maggio 2014, che alcuni soldati dell’ex Seleka custodivano i locali dei principali raccoglitori e uomini d’affari» e che «[u]n comandante dell’Unità speciale antifrode ha confermato che taluni elementi dell’ex Seleka a Sam‑Ouandja traevano profitto dal commercio di diamanti grazie agli accordi di sicurezza conclusi con i raccoglitori». Le osservazioni del Consiglio riguardo al pagamento di indennità di sicurezza sono dunque sufficientemente comprovate.

    120

    Dall’altro lato, per quanto riguarda il pagamento di diritti di atterraggio, il Badica sostiene che non avrebbe pagato tali diritti alle forze dell’ex Seleka, ma alle «autorità» aeroportuali, e che la Minair è «distinta dal Badica», per cui il comportamento della prima non può essere addebitato alla seconda.

    121

    Tuttavia, innanzitutto, dalla relazione finale delle Nazioni unite emerge che i diritti di atterraggio venivano imposti dalle forze dell’ex Seleka e non dalle «autorità» aeroportuali. A questo proposito, il punto 123 della relazione finale delle Nazioni unite, che si basa su un colloquio con un raccoglitore a Sam‑Ouandja del 4 settembre 2014 e su un colloquio con il responsabile dell’aeroporto di Bangui del 21 luglio 2014, indica quanto segue:

    «[P]rima dell’arrivo delle forze internazionali a Bria, nell’aprile 2014, le forze dell’ex Seleka imponevano un diritto all’atterraggio di 75 dollari a Bria (…) A Sam‑Ouandja dove, secondo le immagini satellitari, la produzione di diamanti grezzi è rapidamente aumentata in questi ultimi mesi (…) non è presente alcuna forza internazionale. Le forze dell’ex Seleka, agli ordini del comandante di zona Beya Djouma prelevano 100 dollari a titolo di diritti di atterraggio. Alcuni voli commerciali servono Bria e Sam‑Ouandja quasi tutte le settimane. I diritti sono generalmente pagati dall’impresa che noleggia l’apparecchio».

    122

    Inoltre, come deriva dal punto 122 della relazione finale delle Nazioni unite, la Minair e il Badica fanno parte dello stesso gruppo, ossia il gruppo Abdoulkarim, diretto dal sig. Abdoul-Karim Dan Azoumi. Orbene, si deve constatare che i diritti in parola sono stati pagati nell’ambito del trasporto dei diamanti del Badica. A questo riguardo, come emerge dal punto 111 supra, la sintesi dei motivi si limita a far riferimento, in modo generico, a un sostegno e non ad un sostegno diretto.

    123

    In secondo luogo, per quanto riguarda il terzo motivo, i ricorrenti sostengono che l’affermazione secondo la quale «è molto probabile che i diamanti sequestrati provengano dalla Repubblica centrafricana, visto che presentano le caratteristiche dei diamanti di Sam-Ouandja e Bria, nonché di Nola (provincia di Sangha Mbaéré), nel sud-est del paese» è contraddetta dalla dichiarazione del presidente della Dubai Diamond Exchange, riportata tramite stampa, in base alla quale «[i diamanti] potrebbero provenire dalla Guinea, dal Sudafrica o da molti altri luoghi» (allegato 23 della relazione finale delle Nazioni unite).

    124

    Tuttavia, è giocoforza constatare che, da un lato, la dichiarazione del presidente della Dubai Diamond Exchange è stata resa sulla base di immagini diverse da quelle all’origine del sequestro da parte delle autorità belghe e, dall’altro lato, l’affermazione secondo cui «è molto probabile che i diamanti sequestrati provengano dalla Repubblica centrafricana» è suffragata da alcune dichiarazioni del gruppo di lavoro degli esperti di diamanti del processo di Kimberley, riportate al punto 115 della relazione finale delle Nazioni unite.

    125

    Inoltre, come deriva dal punto 121 della relazione finale delle Nazioni unite, la valutazione riguardo alla probabile provenienza dei diamanti dalla Repubblica centrafricana è stata confermata, via posta elettronica, dal presidente del gruppo di lavoro degli esperti di diamanti del processo di Kimberley, nell’ambito del procedimento avviato in Belgio contro i ricorrenti dalle autorità federali belghe.

    126

    Al riguardo, occorre rilevare che, ai sensi del punto 121 della relazione finale delle Nazioni unite, nell’ambito di scambi di messaggi di posta elettronica con le autorità federali belghe, «era indicato che alcuni diamanti grezzi che apparivano sulle foto dei pacchi sequestrati presentavano caratteristiche tipiche dei diamanti provenienti da Nola (provincia di Sangha Mbaéré), nella parte occidentale della Repubblica centrafricana, mentre altri sono caratteristici di Sam‑Ouandja e di Bria (provincia di Haute-Kotto), nella parte orientale del paese».

    127

    Peraltro, quanto al fatto che i ricorrenti lamentano la mancanza di presa di contatto da parte del gruppo di esperti con i due fornitori di Dubai all’origine della spedizione dei diamanti sequestrati in Belgio o con il giudice istruttore incaricato dell’indagine in Belgio, è giocoforza constatare che essi non dimostrano perché tale mancata presa di contatto vizierebbe il procedimento né che vi fosse un simile obbligo nell’ambito dell’indagine condotta dal gruppo di esperti.

    128

    Infine, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, il fatto che le 18 spedizioni che precedevano quelle contestate non abbiano dato luogo a sospetti da parte delle autorità belghe è privo di rilevanza sulla valutazione delle due spedizioni controverse individuate dalle suddette autorità.

    129

    In terzo luogo, riguardo al quarto motivo, i ricorrenti negano che sia dimostrata l’affermazione secondo cui «[i] commercianti che acquistavano diamanti usciti illegalmente dalla Repubblica centrafricana, in particolare dalla parte occidentale del paese, destinati ai mercati stranieri, operavano in Camerun per conto [di Badica]». Occorre tuttavia rilevare che tale affermazione viene effettuata in modo circostanziato nella relazione finale delle Nazioni unite. Quest’ultima indica, in particolare al punto 125, facendo riferimento a numerose dichiarazioni, che «[i]l [g]ruppo di esperti ha raccolto testimonianze dettagliate di origine governativa e di venditori di diamanti secondo cui anche Badica commerciava diamanti della Repubblica centrafricana che uscivano clandestinamente dal paese». Essa precisa che «[s]econdo le suddette fonti, un certo Al Hadj Idriss Goudache sarebbe dedito al traffico di diamanti per conto di Badica» e che, «[d]opo le dimissioni di Djotodia, il Presidente dell’ex Seleka, nel gennaio 2014, Goudache ha lasciato la Repubblica centrafricana per il Camerun ed ha soggiornato a Garoua-Boulaï, Bertoua e Douala prima di stabilirsi a Kousseri, nell’estremo nord del Camerun vicino a N’Djamena».

    130

    A questo proposito, quanto al fatto che secondo i ricorrenti le suddette dichiarazioni non contengono il nome dei loro autori e non sono basate su verbali redatti nella debita forma, occorre ricordare che gli obblighi del Consiglio nell’ambito dell’atto impugnato non possono essere assimilati a quelli di un’autorità giurisdizionale nazionale di uno Stato membro nell’ambito di un procedimento penale (v. supra, punto 78), tanto più quando, come nel caso di specie, l’indagine si svolge in uno Stato in situazione di guerra civile (v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2016, Akhras/Consiglio, C‑193/15 P, EU:C:2016:219, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

    131

    In quarto luogo, relativamente al quinto motivo, i ricorrenti sostengono che l’esportazione di oro di cui tratta il suddetto motivo è stata effettuata in piena legittimità, come attesterebbe l’autorizzazione ufficiale contenuta nell’allegato 33 alla relazione finale delle Nazioni unite. In proposito, come giustamente rilevano i ricorrenti, il quinto motivo si basa, nel caso di specie, come emerge dal punto 136 della relazione finale delle Nazioni unite, su un lasciapassare ufficiale del 5 maggio 2014, incluso nell’allegato 33 della suddetta relazione, che autorizzava l’esportazione di 827 grammi d’oro. Ciò premesso, nulla permette di riscontrare il carattere illecito delle esportazioni del maggio 2014 indicate nel quinto motivo. Pertanto, si deve considerare che l’esportazione di oro di cui al quinto motivo non permette di dimostrare un sostegno ai gruppi armati tramite l’illecito sfruttamento o il commercio di oro.

    132

    Tuttavia, il fatto che il quinto motivo non permetta di giungere alla conclusione relativa un sostegno ai gruppi armati attraverso l’illecito sfruttamento o il commercio di oro è privo di rilievo sulla fondatezza dell’atto impugnato. Infatti, come ricordato al punto 98 supra, considerata la natura preventiva delle misure restrittive in oggetto, qualora, nel contesto del suo controllo sulla legittimità della decisione impugnata, il giudice dell’Unione concluda che almeno uno dei motivi menzionati nell’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni è sufficientemente preciso e concreto, che è dimostrato e che di per sé costituisce un fondamento adeguato di tale decisione, la circostanza che altri di questi motivi non lo siano non basterà per giustificare l’annullamento di detta decisione (sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 130).

    133

    Orbene, si deve constatare che, unitamente considerati, gli altri motivi menzionati nel rapporto fornito dal comitato per le sanzioni sono, nel contesto del caso di specie, sufficientemente precisi, concreti e supportati da prove per costituire, di per se stessi, un fondamento sufficiente a supporto dell’atto impugnato, dimostrando un sostegno ai gruppi armati attraverso l’illecito sfruttamento o il commercio di risorse naturali nella Repubblica centrafricana.

    134

    Tenuto conto di quanto precede, occorre respingere il secondo motivo, senza che occorra pronunciarsi sulla ricevibilità della relazione del 21 dicembre 2015 delle Nazioni unite, in quanto successiva all’atto impugnato, per dimostrare l’accusa attinente al versamento di indennità di sicurezza. Infatti, poiché, come deriva dal punto 119 supra, la censura attinente al versamento di indennità di sicurezza è sufficientemente suffragata da prove, l’argomento relativo alla giustificazione di tale censura tramite elementi di prova successivi dev’essere respinto in quanto inoperante. Lo stesso vale, inoltre, per l’argomento riguardante la produzione, nel controricorso, della relazione redatta da Amnesty International il 30 settembre 2015 e la risposta del gruppo di esperti ai ricorrenti del 7 dicembre 2015, poiché i motivi dell’iscrizione sono sufficientemente comprovati nella relazione finale delle Nazioni unite, la cui ricevibilità non viene contestata.

    Sul terzo motivo, attinente ad un mancato esame delle circostanze del caso di specie da parte del Consiglio

    135

    I ricorrenti sostengono che il Consiglio, limitandosi a recepire la decisione del Consiglio di sicurezza del 20 agosto 2015, non ha effettuato un vero e proprio esame delle circostanze del caso di specie. A questo proposito, il fascicolo non conterrebbe indizi che suggeriscano che il Consiglio abbia verificato la rilevanza e la fondatezza degli elementi riguardanti i ricorrenti, viziando in tal modo la legittimità dell’atto impugnato. Il Consiglio infatti avrebbe recepito le sanzioni dell’ONU in modo automatico, in violazione della sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518). Al riguardo, i ricorrenti osservano che, quando il Consiglio ha chiesto elementi di prova al comitato per le sanzioni, quest’ultimo non glieli ha forniti.

    136

    Il Consiglio contesta tali argomenti.

    137

    Come indicato ai punti da 86 a 89 supra, il Consiglio non era tenuto a verificare l’esattezza dei fatti e delle circostanze che giustificavano la misura di iscrizione dell’ONU. Conformemente alla sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 114 e giurisprudenza ivi citata), è quando la persona coinvolta formula osservazioni in merito all’esposizione dei motivi che l’autorità competente dell’Unione è tenuta ad esaminare, con cura ed imparzialità, la fondatezza dei motivi dedotti, alla luce di tali osservazioni e degli eventuali elementi a discarico di cui sono corredate. Pertanto, il Consiglio non può essere censurato per non avere ottenuto dal comitato per le sanzioni, in sede di attuazione della risoluzione all’origine dell’atto impugnato, gli elementi di informazione o di prova a sostegno delle affermazioni formulate contro i ricorrenti e per avere quindi, secondo i ricorrenti, «recepito le sanzioni dell’ONU in modo automatico».

    138

    Date tutte le precedenti considerazioni, il terzo motivo va disatteso e, pertanto, il ricorso dev’essere respinto nella sua integralità.

    Sulle spese

    139

    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio ne ha fatto domanda, i ricorrenti, rimasti soccombenti, devono essere condannati alle spese.

     

    Per questi motivi,

    IL TRIBUNALE (Nona Sezione)

    dichiara e statuisce:

     

    1)

    Il ricorso è respinto.

     

    2)

    Il Bureau d’achat de diamant Centrafrique (Badica) e la Kardiam sono condannati alle spese.

     

    Gervasoni

    Madise

    Kowalik-Bańczyk

    Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 20 luglio 2017.

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: il francese.

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