Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62015CJ0472

    Sentenza della Corte (Nona Sezione) del 23 novembre 2017.
    Servizi assicurativi del commercio estero SpA (SACE) e Sace BT SpA contro Commissione europea.
    Impugnazione – Aiuti di Stato – Assicurazione del credito all’esportazione – Copertura riassicurativa accordata da un’impresa pubblica a una sua controllata – Conferimenti di capitale volti a coprire le perdite della controllata – Nozione di aiuti di Stato – Imputabilità allo Stato – Criterio dell’investitore privato.
    Causa C-472/15 P.

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2017:885

    SENTENZA DELLA CORTE (Nona Sezione)

    23 novembre 2017(*)

    «Impugnazione – Aiuti di Stato – Assicurazione del credito all’esportazione – Copertura riassicurativa accordata da un’impresa pubblica a una sua controllata – Conferimenti di capitale volti a coprire le perdite della controllata – Nozione di aiuti di Stato – Imputabilità allo Stato – Criterio dell’investitore privato»

    Nella causa C‑472/15 P,

    avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 4 settembre 2015,

    Servizi assicurativi del commercio estero SpA (SACE), con sede in Roma (Italia),

    Sace BT SpA, con sede in Roma,

    rappresentate da M. Siragusa e G. Rizza, avvocati,

    ricorrenti,

    procedimento in cui le altre parti sono:

    Commissione europea, rappresentata da L. Flynn, G. Conte e D. Grespan, in qualità di agenti,

    convenuta in primo grado,

    Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Fiorentino, avvocato dello Stato,

    interveniente in primo grado,

    LA CORTE (Nona Sezione),

    composta da C. Vajda (relatore), presidente di sezione, E. Juhász, e C. Lycourgos, giudici,

    avvocato generale: N. Wahl

    cancelliere: A. Calot Escobar

    vista la fase scritta del procedimento,

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1        Con la loro impugnazione, la Servizi assicurativi del commercio estero SpA (SACE) e la Sace BT SpA chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione (T‑305/13; in prosieguo la «sentenza impugnata», EU:T:2015:435), con la quale quest’ultimo ha annullato l’articolo 2, secondo comma, della decisione 2014/525/UE della Commissione, del 20 marzo 2013, sulle misure SA.23425 (11/C) (ex NN 41/10) attuate dall’Italia nel 2004 e nel 2009 in favore di Sace BT SpA (GU 2014, L 239, pag. 24; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

     Contesto normativo

    2        Il 19 settembre 1997, la Commissione delle Comunità europee ha indirizzato agli Stati membri una comunicazione, a norma dell’articolo [108, paragrafo 1, TFUE], sull’applicazione degli articoli [107 TFUE] e [108 TFUE] all’assicurazione del credito all’esportazione a breve termine (GU 1997, C 281, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sull’assicurazione del credito all’esportazione»). Detta comunicazione è stata modificata dalle comunicazioni agli Stati membri del 2001 (GU 2001, C 217, pag. 2) e del 2005 (GU 2005, C 325, pag. 22), e il suo periodo di validità è stato prorogato, da ultimo, con la comunicazione del 2010 (GU 2010, C 329, pag. 6), fino al 31 dicembre 2012.

    3        Al punto 4.2 della comunicazione sull’assicurazione del credito all’esportazione, la Commissione aveva invitato gli Stati membri, in forza dell’articolo [108, paragrafo 1, TFUE], a modificare i loro regimi di assicurazione del credito all’esportazione per quanto riguarda i rischi assicurabili sul mercato, in modo tale da porre termine alla concessione, per tali rischi, di aiuti di Stato agli organismi privati o pubblici assicuratori del credito all’esportazione, in particolare nella forma di garanzie di Stato per finanziamenti o perdite, di conferimenti di capitale in casi in cui un investitore privato che operi alle normali condizioni di mercato non investirebbe oppure di riassicurazione operata dallo Stato, direttamente o indirettamente, tramite un altro assicuratore del credito all’esportazione pubblico o operante con il sostegno pubblico, a condizioni più favorevoli di quelle offerte dal mercato riassicurativo privato.

    4        I rischi assicurabili sul mercato erano definiti al punto 2.5, primo comma, della comunicazione sull’assicurazione del credito all’esportazione come «i rischi commerciali [e politici] inerenti a debitori pubblici e non pubblici stabiliti nei paesi elencati in allegato. Per questi rischi la durata massima (comprendente il periodo di fabbricazione più la durata del credito con la normale decorrenza Unione di Berna e le normali condizioni di credito) è inferiore a due anni». Il punto 2.5, secondo comma, di detta comunicazione specificava, inoltre, che «[t]utti gli altri [rischi di catastrofe e rischi commerciali e politici inerenti ai paesi non elencati in allegato] sono considerati non ancora assicurabili sul mercato». L’elenco dei paesi con rischi assicurabili sul mercato includeva tutti gli Stati membri dell’Unione nonché taluni paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

     Fatti e decisione controversa

    5        I fatti all’origine della presente controversia sono esposti ai punti 1 e da 4 a 21 della sentenza impugnata nei seguenti termini:

    «1      Le ricorrenti, la [SACE] e la sua controllata al 100% [Sace BT], operano nel settore dell’assicurazione del credito all’esportazione, vale a dire dell’assicurazione dei rischi connessi ai crediti all’esportazione, finanziando transazioni all’interno dell’Unione europea nonché con numerosi paesi terzi.

    (...)

    La SACE

    4      Prima di essere trasformata in società per azioni nel 2004, la SACE era un ente di diritto pubblico italiano: l’Istituto SACE. Nel 1998, al fine di conformarsi al punto 4.2 della comunicazione sull’assicurazione del credito all’esportazione (...), l’Istituto SACE aveva posto fine alla propria attività di assicurazione dei rischi assicurabili relativa ai contratti di assicurazione diretta.

    5      Nel 2004, la SACE è stata trasformata in società per azioni di cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano [(in prosieguo: il “Ministero”)] era l’azionista unico. Successivamente, nel novembre 2012, la SACE è stata acquisita dalla Cassa depositi e prestiti, un ente pubblico italiano controllato al 70% dal [Ministero].

    6      Secondo l’articolo 4, paragrafo 1, del suo Statuto, la SACE ha per oggetto l’assicurazione, la riassicurazione, la coassicurazione e la garanzia dei rischi di carattere politico, catastrofico, economico, commerciale e di cambio, nonché dei rischi a questi complementari, ai quali sono esposti gli operatori nazionali e le società a questi collegate o da questi controllate nella loro attività con l’estero e di internazionalizzazione dell’economia italiana. Secondo l’articolo 4, paragrafo 2, di detto Statuto, la SACE ha inoltre per oggetto il rilascio, a condizioni di mercato e nel rispetto della disciplina dell’Unione, di garanzie e di coperture assicurative per imprese estere in relazione ad operazioni di rilievo strategico per l’economia italiana sotto i profili dell’internazionalizzazione, della sicurezza economica e dell’attivazione dei processi produttivi e occupazionali in Italia.

    7      Il decreto legge del 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge del 24 novembre 2003, n. 326, il cui articolo 6 reca le disposizioni relative alla trasformazione, con decorrenza dal 1° gennaio 2004, dell’Istituto SACE in società per azioni (...), ha delimitato l’ambito delle operazioni della SACE, tenendo conto dell’evoluzione del mercato interessato.

    8      A tale proposito, l’articolo 6, paragrafo 12, del decreto-legge n. 269 consente alla SACE di operare, a talune condizioni, nel settore dei rischi assicurabili. Infatti, detto articolo enuncia segnatamente quanto segue:

    “La [SACE] può svolgere l’attività assicurativa e di garanzia dei rischi di mercato come definiti dalla disciplina dell’Unione Europea. L’attività di cui al presente comma è svolta con contabilità separata rispetto alle attività che beneficiano della garanzia dello Stato o costituendo allo scopo una società per azioni. In quest’ultimo caso la partecipazione detenuta dalla [SACE] non può essere inferiore al 30% e non può essere sottoscritta mediante conferimento [di taluni fondi in precedenza conferiti]. L’attività di [garanzia dei rischi di mercato] non beneficia della garanzia dello Stato”.

    9      L’articolo 5, paragrafo 1, dello Statuto della SACE prevede che gli impegni assunti da detta società nello svolgimento della sua attività assicurativa, coassicurativa e di garanzia dei rischi definiti non assicurabili sul mercato dalla normativa dell’Unione beneficino della garanzia dello Stato in base alla normativa vigente. La medesima disposizione specifica che le attività che beneficiano della garanzia dello Stato sono soggette alle delibere del Comitato interministeriale per la Programmazione Economica (in prosieguo: il “CIPE”), ai sensi delle disposizioni del decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 143, che ha ridefinito le garanzie applicabili alla SACE in forza della legge italiana del 24 maggio 1977, n. 227. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del decreto legislativo n. 143, le operazioni e le categorie di rischi assicurabili dalla SACE devono essere definite con delibera del CIPE. Inoltre, l’articolo 8, paragrafo 1, di detto decreto legislativo prevede che, entro il 30 giugno di ciascun anno, il CIPE deliberi sul piano previsionale degli impegni assicurativi della SACE. La legge di approvazione del bilancio dello Stato definisce i limiti globali degli impegni assumibili in garanzia, stabilendo una distinzione tra le garanzie a seconda se di durata inferiore o di durata superiore a ventiquattro mesi.

    10      L’articolo 5, paragrafo 2, dello Statuto della SACE esclude dalla garanzia dello Stato le attività di quest’ultima nel settore dell’assicurazione e della garanzia dei rischi assicurabili sul mercato. Esso prevede che dette attività siano esercitate da tale società mediante contabilità separata o con la costituzione di un’apposita società per azioni.

    La Sace BT

    11      Nel 2004, nel contesto normativo ricordato ai precedenti punti da 8 a 10, la SACE ha deciso di costituire la controllata Sace BT, quale entità distinta, in modo da isolare la gestione dei “rischi assicurabili sul mercato” ai sensi della comunicazione sull’assicurazione del credito all’esportazione. La Sace BT è stata dotata di un capitale azionario di EUR 100 milioni, interamente versato dalla SACE. Inoltre, la SACE ha provveduto a un conferimento di capitale pari a EUR 5,8 milioni per il fondo riserve della Sace BT.

    12      Secondo l’articolo 2, paragrafo 1, del suo Statuto, la Sace BT ha per oggetto sociale l’esercizio, sia in Italia sia all’estero, dell’attività di assicurazione e di riassicurazione in tutti i rami del danno, nei limiti stabiliti dalle autorizzazioni specifiche. Ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, di tale Statuto, i membri del Consiglio di amministrazione sono nominati e revocati dall’Assemblea generale. Secondo l’articolo 17 del medesimo Statuto, la gestione della Sace BT spetta esclusivamente ai membri del Consiglio di amministrazione.

    13      Dalla decisione [controversa] risulta che, durante il periodo di riferimento, le attività della Sace BT si articolavano intorno a tre assi: il ramo “assicurazione del credito” (54% dei premi nel 2011), il ramo “cauzioni” (30%) e il ramo relativo ad altri settori concernenti i rischi della costruzione (13%).

    14      Nell’ambito del ramo “assicurazione del credito”, la Sace BT era attiva nel segmento dell’assicurazione del credito all’esportazione a breve termine per quanto riguarda i rischi assicurabili sul mercato, ai sensi della comunicazione sull’assicurazione del credito all’esportazione. Essa erogava, inoltre, una copertura del credito per le transazioni effettuate in Italia (assicurazione delle transazioni commerciali nazionali). Oltre a ciò, per una piccola quota del proprio portafoglio, la Sace BT era rimasta attiva nel segmento dei rischi non assicurabili sul mercato a breve termine (v. punto 22, tabella 1, della decisione [controversa]). La decisione [controversa] indica che, secondo le informazioni comunicate dalle autorità italiane, tale attività, al pari delle altre, veniva svolta alle condizioni di mercato e senza la garanzia dello Stato.

    Procedimento amministrativo e decisione [controversa]

    15      A seguito di una denuncia ricevuta nel giugno 2007, la Commissione ha avviato un’indagine preliminare riguardante eventuali aiuti di Stato che potessero derivare da varie misure attuate dalla SACE in favore della Sace BT. Nel febbraio 2011, la Commissione ha avviato un procedimento d’indagine formale, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, nei confronti delle quattro misure seguenti, adottate in favore della Sace BT:

    –        la dotazione di capitale iniziale di EUR 100 milioni in forma di capitale sociale e il conferimento di capitale nel fondo riserve per EUR 5,8 milioni, effettuati il 27 maggio 2004 (in prosieguo: la “prima misura”);

    –        una copertura riassicurativa del tipo in eccesso di sinistro per i rischi assicurabili sul mercato dell’anno 2009, accordata il 5 giugno 2009 e riguardante la quota dei rischi (stimata nel 74,15%) non coperta da soggetti terzi operanti sul mercato (in prosieguo: la “seconda misura”);

    –        una ricapitalizzazione di EUR 29 milioni, effettuata il 18 giugno 2009 (in prosieguo: la “terza misura”);

    –        una ricapitalizzazione di EUR 41 milioni, effettuata il 4 agosto 2009 (in prosieguo: la “quarta misura”).

    16      Nessuna di tali quattro misure era stata notificata alla Commissione, dato che le autorità italiane le avevano reputate, da un lato, non imputabili allo Stato e, dall’altro, conformi al criterio dell’investitore privato operante in economia di mercato.

    17      All’esito del procedimento d’indagine formale, la Commissione ha adottato, il 20 marzo 2013, la decisione [controversa].

    18      Al fine di dimostrare l’imputabilità allo Stato italiano delle misure in discussione, la Commissione si basa, al punto 177 della decisione [controversa], su criteri generali, relativi ai collegamenti organici tra i membri del Consiglio di amministrazione della SACE e lo Stato italiano, al fatto che la SACE non esercita le proprie attività alle condizioni di mercato e al fatto che la legge prevede che la SACE debba detenere non meno del 30% del capitale della Sace BT. Inoltre, al punto 178 della decisione [controversa], la Commissione evoca taluni indizi specifici consistenti in dichiarazioni effettuate da membri del Consiglio di amministrazione della SACE in sede di adozione delle suddette misure.

    19      Per quanto riguarda l’esistenza di un vantaggio, la Commissione rileva innanzitutto, ai punti da 127 a 130 della decisione [controversa], che la seconda misura conferisce un vantaggio alla Sace BT, dato che un riassicuratore privato non avrebbe mai sottoscritto in suo favore una copertura riassicurativa così elevata alle condizioni accordate dalla SACE. Per quanto riguarda poi la terza e la quarta misura, la Commissione osserva, ai punti da 132 a 168 della decisione [controversa], che la SACE non ha agito come un investitore privato prudente. Essa deduce principalmente che tale società non ha proceduto a una stima preventiva della redditività delle ricapitalizzazioni in esame. Per scrupolo di completezza, la Commissione effettua in via complementare un’analisi ex post della redditività di tali due misure e conclude che un investitore privato prudente avrebbe reputato più vantaggioso lasciar fallire la controllata anziché investirvi ulteriori EUR 70 milioni.

    20      All’articolo 1 della decisione [controversa], la Commissione ha dichiarato che la prima misura, segnatamente la dotazione iniziale di capitale ed il contributo destinato al fondo riserve, per un totale di EUR 105,8 milioni, non costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Di contro, sono state qualificate come aiuti di Stato illegittimi e incompatibili con il mercato interno le altre tre misure (in prosieguo: le “misure controverse”), ossia la riassicurazione in eccesso di sinistro del 74,15%, che conterrebbe un elemento di aiuto pari a EUR 156 000 (articolo 2 della decisione [controversa]), nonché le due ricapitalizzazioni di, rispettivamente, EUR 29 milioni ed EUR 41 milioni (articoli 3 e 4 della decisione [controversa]).

    21      In forza degli articoli 5 e 6 della decisione [controversa], le autorità italiane sono tenute a recuperare immediatamente nei confronti della Sace BT gli aiuti summenzionati, maggiorati di interessi di mora composti, a garantire che la decisione [controversa] sia eseguita entro quattro mesi dalla sua notifica e a comunicare alla Commissione, entro due mesi da detta notifica, in particolare, l’importo complessivo da recuperare, gli importi già recuperati e le misure adottate o previste al fine di conformarsi alla decisione [controversa]».

     Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

    6        Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 giugno 2013, le ricorrenti hanno proposto un ricorso diretto all’annullamento della decisione controversa.

    7        A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti hanno dedotto tre motivi. Il primo motivo verteva sulla non imputabilità allo Stato italiano delle misure controverse. Con il secondo motivo le ricorrenti sostenevano che la Commissione aveva violato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, era incorsa in errori di valutazione e di diritto nell’applicazione del criterio dell’investitore privato in economia di mercato e aveva motivato insufficientemente la decisione controversa per quanto riguarda la seconda misura. Il terzo motivo verteva sulla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, nonché su errori di valutazione e su errori di diritto nell’applicazione del criterio dell’investitore privato in economia di mercato per quanto riguarda la terza e la quarta misura.

    8        Il Tribunale ha accolto il secondo motivo, nella parte in cui verteva sull’insufficienza di motivazione della stima, da parte della Commissione, dell’importo dell’aiuto nella misura del 10% dell’ammontare della commissione versata dalla Sace BT alla SACE. Pertanto, esso ha annullato l’articolo 2, secondo comma, della decisione controversa e ha respinto il ricorso quanto al resto.

     Conclusioni delle parti dinanzi alla Corte

    9        Con la loro impugnazione, le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

    –        annullare la sentenza impugnata;

    –        annullare integralmente la decisione controversa o, in subordine, annullarla parzialmente, e

    –        condannare la Commissione alle spese dei due gradi di giudizio, nonché a quelle relative al procedimento sommario che ha dato luogo all’ordinanza del 13 giugno 2014, SACE e Sace BT/Commissione (T‑305/13 R, non pubblicata, EU:T:2014:595).

    10      La Commissione chiede che la Corte voglia:

    –        respingere l’impugnazione, e

    –        condannare le ricorrenti alle spese dei due gradi di giudizio, nonché a quelle relative al procedimento sommario che ha dato luogo alla suddetta ordinanza.

    11      La Repubblica italiana chiede alla Corte di:

    –        annullare la sentenza impugnata, e

    –        annullare integralmente la decisione controversa.

     Sull’impugnazione

    12      A sostegno della loro impugnazione, le ricorrenti deducono tre motivi.

     Sul primo motivo

    13      Con il loro primo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale, avendo dichiarato le misure controverse imputabili allo Stato italiano, ha erroneamente applicato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

    14      Il primo motivo di impugnazione, come redatto, può essere considerato suddiviso in quattro parti.

     Sulla prima parte del primo motivo

    –       Argomenti delle parti

    15      Con la prima parte del loro motivo, le ricorrenti sostenute dalla Repubblica italiana, fanno sostanzialmente valere che la motivazione enunciata ai punti 48 e 49 della sentenza impugnata, in materia di imputabilità allo Stato di una misura di aiuto concessa da un’impresa pubblica quando l’interesse di detta impresa pubblica coincide con obiettivi d’interesse generale, è contraria all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE e alla giurisprudenza della Corte relativa a tale disposizione, in particolare alla sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294). Da tale sentenza emergerebbe che l’esistenza di collegamenti organici tra l’impresa pubblica e le autorità pubbliche non è sufficiente per imputare alle autorità pubbliche le misure da essa adottate.

    16      Le ricorrenti contestano i punti 48 e 49 della sentenza impugnata, con cui il Tribunale avrebbe dichiarato che quando l’operazione in questione consente all’impresa pubblica di perseguire, al di là dei propri interessi, anche obiettivi di interesse generale, occorrerebbe verificare, ai fini dell’applicazione del criterio dell’investitore privato in economia di mercato, se tale operazione sia stata decisa in piena autonomia dall’impresa.

    17      Le ricorrenti ritengono che il Tribunale abbia introdotto, al punto 49 della sentenza impugnata, una presunzione di imputabilità allo Stato di qualsiasi misura adottata da un’impresa pubblica, anche quando, con detta misura, tale impresa persegue contemporaneamente i propri interessi e obiettivi di interesse generale, presunzione che può essere superata solo nel caso in cui la misura di cui trattasi non consenta all’investitore pubblico di perseguire contemporaneamente l’interesse dell’impresa e obiettivi di interesse generale.

    18      La Repubblica italiana aggiunge che la motivazione di cui al punto 48 della sentenza impugnata deriva da un’interpretazione erronea della giurisprudenza della Corte relativa ai criteri di imputabilità allo Stato di misure adottate da imprese pubbliche, che costituiscono possibili aiuti di Stato. Essa fa valere che la misura in questione, quando persegue simultaneamente un interesse dell’impresa e obiettivi d’interesse generale può essere imputabile allo Stato solo nel caso in cui consti che sia stato fatto prevalere l’interesse pubblico sull’interesse dell’impresa. Essa precisa, a tal riguardo, che l’espressione utilizzata nella giurisprudenza della Corte, secondo cui un’impresa non poteva adottare la decisione contestata senza tener conto delle esigenze dei pubblici poteri, che figura segnatamente al punto 37 della sentenza del 2 febbraio 1988, Kwekerij van der Kooy e a./Commissione (67/85, 68/85 e 70/85, EU:C:1988:38) nonché al punto 55 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), presuppone che l’interesse pubblico divergesse dall’interesse dell’impresa. Se, invece, l’interesse dell’impresa coincide con l’interesse generale, si dovrebbe presumere che l’impresa abbia agito autonomamente, in quanto la partecipazione dell’azionista pubblico alla decisione presa integra acta iure gestionis che rientrano nella logica di mercato e non acta iure imperii, gli unici pertinenti ai fini dell’imputabilità allo Stato della misura in questione.

    19      Inoltre, secondo la Repubblica italiana, il Tribunale ha erroneamente dichiarato, al punto 49 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva osservato a giusto titolo che nulla ostava «a che i poteri pubblici po[tessero] imporre a un’impresa pubblica di compiere un’operazione di natura imprenditoriale, la quale, pur potendo eventualmente essere conforme al criterio dell’investitore privato, resterà in ogni caso imputabile allo Stato». La Repubblica italiana considera, al contrario, che se la proprietà pubblica ha imposto all’impresa pubblica di perseguire, nell’adottare una decisione, l’interesse imprenditoriale, essa non ha agito in veste di pubblico potere, ma si è comportata alla stregua di un qualsiasi azionista.

    20      Per la Repubblica italiana, tenuto conto della natura dell’interesse perseguito dall’impresa al momento dell’adozione delle misure controverse, queste ultime non potevano essere imputabili allo Stato. Se dovesse essere seguita la tesi del Tribunale, quale che sia la natura di una decisione d’impresa che dovesse adottare la SACE, essa sarà sempre considerata imputabile allo Stato italiano, con l’eccezione del caso in cui si dimostri che essa contrasti con obiettivi di interesse generale.

    21      La Commissione contesta la fondatezza della prima parte del primo motivo, ritenendo che con la medesima le ricorrenti tentino di «manipolare» la sentenza del Tribunale.

    –       Giudizio della Corte

    22      Occorre rilevare che, ai punti 48 e 49 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto gli argomenti della Repubblica italiana secondo cui, per valutare l’imputabilità di una misura allo Stato è necessario, principalmente, che la Commissione verifichi il grado di autonomia di gestione di cui gode il Consiglio di amministrazione dell’impresa pubblica, e all’intensità della tutela esercitata dai poteri pubblici. Detto Stato membro aveva sostenuto dinanzi al Tribunale che una misura è imputabile allo Stato solo qualora questa sia stata l’effetto di un atto giuridico vincolante di un’autorità pubblica, il quale abbia indotto l’impresa a far prevalere un obiettivo di interesse generale sul proprio interesse e a adottare una misura diversa da quelle che avrebbe adottato in assenza di un atto del genere.

    23      Il Tribunale ha considerato, al punto 48 di tale sentenza, che la nozione di coinvolgimento concreto dello Stato deve essere intesa nel senso che la misura di cui trattasi sia stata adottata sotto l’influenza o il controllo delle autorità pubbliche. Esso ha precisato che non era necessario, a tal proposito, esaminare l’incidenza di tale coinvolgimento sul contenuto della misura, né fornire la dimostrazione del fatto che il comportamento dell’impresa pubblica sarebbe stato diverso se essa avesse agito in modo autonomo. Quanto agli obiettivi perseguiti dalla misura in questione, il Tribunale ha ritenuto che, benché questi potessero essere presi in considerazione ai fini della valutazione dell’imputabilità, non si trattava di elementi decisivi.

    24      Al punto 49 di tale sentenza, il Tribunale ha considerato che «la circostanza che, in certi casi, gli obiettivi di interesse pubblico concordino con l’interesse dell’impresa pubblica non forni[va], di per sé sola, alcuna indicazione circa l’eventuale coinvolgimento o assenza di coinvolgimento dei poteri pubblici (...) nell’adozione della misura di cui trattasi». Esso ne ha dedotto che «il fatto che l’interesse dell’impresa pubblica coincid[esse] con l’interesse pubblico non significa[va] necessariamente che tale impresa avrebbe potuto adottare la sua decisione senza tenere conto delle esigenze dei poteri pubblici». Il Tribunale ha ritenuto altresì che la Commissione aveva potuto rilevare, a giusto titolo, che «nulla osta[va] a che i poteri pubblici po[tessero] imporre a un’impresa pubblica di compiere un’operazione di natura imprenditoriale, la quale, pur potendo eventualmente essere conforme al criterio dell’investitore privato, [sarebbe rimasta] in ogni caso imputabile allo Stato».

    25      Ne consegue che, contrariamente a quanto fanno valere le ricorrenti, il Tribunale non ha richiesto che venga verificato, alla luce dei criteri dell’investitore privato in economia di mercato, se l’intervento di cui trattasi sia stato deciso in tutta autonomia. Da un lato, i punti 48 e 49 della sentenza impugnata vertono non sulla valutazione di tali criteri, ma su quella dell’imputabilità allo Stato della misura di aiuto. Dall’altro lato, ai detti punti viene precisato che non è necessario che sia dimostrato, ai fini della valutazione dell’imputabilità, che il comportamento dell’impresa pubblica sarebbe stato diverso se avesse agito in maniera autonoma.

    26      Inoltre, dai punti 48 e 49 della sentenza impugnata non si può dedurre che, quando gli interessi dell’impresa pubblica concordano con gli obiettivi di interesse pubblico, occorre presumere il coinvolgimento dello Stato nell’adozione della misura in questione, senza che sia consentito o possibile fornire la prova contraria. Al contrario, il Tribunale ha sottolineato, al punto 48 di tale sentenza, che, se gli obiettivi perseguiti dalla misura in questione potevano essere presi in considerazione ai fini della valutazione dell’imputabilità, non si trattava tuttavia di elementi decisivi. Una conclusione diversa non potrebbe essere tratta nemmeno dal punto 49 della stessa sentenza, da cui emerge che, la circostanza che, in certi casi, gli obiettivi di interesse pubblico concordino con l’interesse dell’impresa pubblica non fornisce, di per sé sola, alcuna indicazione circa l’eventuale coinvolgimento o assenza di coinvolgimento dei poteri pubblici, in un modo oppure in un altro, nell’adozione della misura di cui trattasi.

    27      Pertanto, gli argomenti delle ricorrenti a tal riguardo si basano su una lettura erronea dei punti 48 e 49 della sentenza impugnata.

    28      Occorre inoltre respingere gli argomenti della Repubblica italiana relativi ai detti punti 48 e 49.

    29      A tal proposito, occorre constatare che non emerge dalle sentenze del 2 febbraio 1988, Kwekerij van der Kooy e a./Commissione (67/85, 68/85 e 70/85, EU:C:1988:38), e del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294) che l’imputabilità allo Stato di una misura adottata da un’impresa pubblica presuppone che l’interesse pubblico diverga da quello di tale impresa. Infatti, in dette sentenze, la Corte ha constatato che l’imputabilità allo Stato di una misura d’aiuto adottata da un’impresa pubblica può essere dedotta da un insieme di indizi risultanti dalle circostanze del caso di specie e dal contesto nel quale detta misura è stata adottata, senza escludere l’imputabilità allo Stato nel caso in cui l’impresa persegua, del tutto o in parte, interessi commerciali. Il fatto che l’organismo di cui trattasi non potesse adottare una decisione senza tener conto delle esigenze dei pubblici poteri è, certo, un indizio pertinente, ma è solo uno dei diversi indizi cui la Corte ha fatto riferimento ai punti 55 e 56 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294). Peraltro, poiché l’imputabilità allo Stato e il criterio dell’investitore privato rappresentano due criteri diversi, il Tribunale ha correttamente dichiarato, al punto 49 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva osservato a giusto titolo che nulla ostava a che i poteri pubblici potessero imporre a un’impresa pubblica di compiere un’operazione di natura imprenditoriale, la quale, pur potendo eventualmente essere conforme al criterio dell’investitore privato, sarebbe rimasta in ogni caso imputabile allo Stato.

    30      Di conseguenza, la prima parte del primo motivo dev’essere respinta in quanto infondata.

     Sulla seconda parte del primo motivo

    –       Argomenti delle parti

    31      Con la seconda parte del primo motivo, vertente sui punti da 57 a 88 della sentenza impugnata, le ricorrenti, sostenute dalla Repubblica italiana, fanno valere che il Tribunale ha erroneamente considerato che gli indizi utilizzati dalla Commissione nella decisione controversa consentivano di dimostrare che lo Stato italiano era coinvolto nell’adozione delle misure controverse. Le ricorrenti ritengono che tali indizi, che si riferiscono al contesto generale nel quale la SACE opera, travisano i criteri che si ricavano dal punto 55 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), in cui la Corte ha considerato che l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica può essere dedotta da un insieme di indizi, risultanti dalle circostanze del caso di specie e dal contesto nel quale la misura è stata adottata.

    32      Nella fattispecie, il Tribunale avrebbe considerato, infatti, che occorreva effettuare un esame dell’imputabilità delle misure controverse allo Stato alla luce di indizi relativi al modello organizzativo dell’impresa pubblica e ai rapporti tra la medesima e i poteri pubblici, considerati in maniera astratta e teorica, e non alla luce di indizi relativi alle circostanze specifiche dell’adozione di tali misure. Esse sostengono che il Tribunale, nel considerare che la Commissione potesse utilizzare siffatti indizi, fondati sul collegamento organico tra lo Stato e l’impresa, per determinare l’imputabilità allo Stato delle misure controverse, ha travisato la giurisprudenza della Corte, in particolare il punto 56 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), in cui la Corte indica che l’imputabilità può essere dedotta anche da indizi risultanti, segnatamente, dall’oggetto, dalla natura e dal contenuto specifici nonché dall’ampiezza della misura stessa, così come dalla sua motivazione. Di conseguenza, il Tribunale avrebbe violato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

    33      La Commissione contesta la fondatezza di tale argomentazione.

    –       Giudizio della Corte

    34      Occorre ricordare che, ai punti 50, 52 e 58 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), la Corte ha considerato che l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica non poteva essere dedotta esclusivamente dal criterio organico. Essa ha dichiarato che, anche nel caso in cui lo Stato sia in grado di controllare un’impresa pubblica e di esercitare un’influenza determinante sulle sue operazioni, l’esercizio effettivo di tale controllo nel caso concreto non può essere automaticamente presunto. La Corte ha considerato che è altresì necessario verificare se si debba ritenere che le autorità pubbliche abbiano avuto un qualche ruolo nell’adozione di tali misure (sentenze del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punti da 50 a 52, e del 17 settembre 2014, Commerz Nederland, C‑242/13, EU:C:2014:2224, punto 31).

    35      Dai punti 53 e 55 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294) emerge che l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica può essere dedotta da un insieme di indizi risultanti dalle circostanze del caso di specie e dal contesto nel quale la misura in questione è stata adottata. A questo proposito non si può pretendere che venga dimostrato, sulla base di un’indagine precisa, che le autorità pubbliche hanno concretamente incitato l’impresa pubblica ad adottare le misure di aiuto in questione.

    36      Nel novero di tali indizi figura la circostanza che l’impresa pubblica in questione non poteva adottare la decisione contestata senza tener conto delle esigenze dei pubblici poteri o delle direttive impartite dal CIPE. Sono parimenti pertinenti altri indizi che consentono di concludere per una siffatta imputabilità allo Stato, quali l’integrazione di detta impresa pubblica nelle strutture dell’amministrazione pubblica, la natura delle sue attività e l’esercizio di queste sul mercato in normali condizioni di concorrenza con gli operatori privati, lo status giuridico dell’impresa, l’intensità della tutela esercitata dalle autorità pubbliche sulla gestione dell’impresa, o qualsiasi altro indizio che indichi, nel caso concreto, un coinvolgimento delle autorità pubbliche oppure l’improbabilità di una mancanza di coinvolgimento nell’adozione di un provvedimento, tenuto conto anche dell’ampiezza di tale provvedimento, del suo contenuto ovvero delle condizioni che esso comporta (sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punti 55 e 56).

    37      Nella fattispecie, il Tribunale, nel verificare se gli indizi generali invocati dalla Commissione al punto 177 della decisione controversa, considerati complessivamente, consentissero di presumere che le autorità italiane erano state concretamente coinvolte nell’adozione delle misure controverse, non ha travisato i principi enunciati dalla Corte nella sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294).

    38      Infatti, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, il Tribunale non ha esaminato la valutazione effettuata dalla Commissione quanto all’imputabilità allo Stato delle misure controverse adottate dalla SACE fondandosi unicamente sul criterio organico, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 34 della presente sentenza. Esso ha esaminato la fondatezza dei tre indizi generali invocati dalla Commissione al punto 177 della decisione controversa. Tali indizi si riferivano alla circostanza che tutti i membri del Consiglio di amministrazione della SACE erano stati nominati su proposta dello Stato italiano, che la SACE non esercitava le proprie attività «sul mercato in normali condizioni di concorrenza con gli operatori privati» e che, per legge, la SACE doveva detenere non meno del 30% del capitale della Sace BT.

    39      Occorre constatare che gli indizi utilizzati dalla Commissione si riferivano al contesto in cui le misure controverse sono intervenute, ai sensi della giurisprudenza citata ai punti 35 e 36 della presente sentenza, e sono, in quanto tali, pertinenti ai fini della valutazione dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica.

    40      Quanto al primo indizio, il Tribunale ha rilevato, ai punti 61 e 62 della sentenza impugnata che il fatto che, da un lato, la nomina iniziale dei membri del Consiglio di amministrazione della SACE dovesse essere effettuata d’intesa con vari Ministeri importanti, ai sensi di una specifica disposizione di legge, e, dall’altro, che due membri del Consiglio di amministrazione della SACE occupavano contemporaneamente posizioni dirigenziali presso Ministeri, poteva costituire un indizio del coinvolgimento dei pubblici poteri nell’attività della suddetta impresa pubblica. Se è vero, certamente, che si tratta di un indizio di natura organica riguardante il rapporto tra detta impresa pubblica e lo Stato, dalla giurisprudenza della Corte risulta che l’imputabilità allo Stato di un provvedimento di aiuto adottato da un’impresa pubblica può essere ricavata da siffatti elementi di natura organica, considerati insieme ad altri indizi (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 55 e la giurisprudenza ivi citata).

    41      Il secondo indizio utilizzato dalla Commissione, relativo alla circostanza che la SACE non esercitava le sue attività sul mercato in condizioni normali di concorrenza con gli operatori privati, è, conformemente alla giurisprudenza della Corte, pertinente per concludere per l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica (sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 56).

    42      Per quanto riguarda il terzo indizio utilizzato dalla Commissione, relativo al fatto che la partecipazione della SACE al capitale della Sace BT non poteva essere inferiore al 30%, esso si riferisce al contesto dell’adozione delle misure controverse e può, pertanto, essere preso in considerazione, come emerge segnatamente dal punto 55 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294).

    43      Occorre aggiungere che il Tribunale ha anche tenuto conto, ai punti da 85 a 88 della sentenza impugnata, di due indizi specifici, invocati dalla Commissione ai punti 178 e 179 della decisione controversa, che, come ha correttamente ritenuto il Tribunale, costituivano indizi supplementari attestanti che l’adozione delle misure controverse si collocava nell’ambito del perseguimento degli obiettivi di sostegno all’economia italiana assegnati alla SACE.

    44      Pertanto, l’argomento delle ricorrenti, secondo cui il Tribunale ha considerato che la Commissione aveva correttamente basato la propria valutazione quanto al coinvolgimento dello Stato italiano nell’adozione delle misure controverse da parte della SACE unicamente sull’esistenza dei collegamenti organici tra le imprese pubbliche e lo Stato, deriva da una lettura erronea della sentenza impugnata.

    45      Pertanto, la seconda parte del primo motivo deve essere respinta in quanto infondata.

     Sulla terza parte del primo motivo

    –       Argomenti delle parti

    46      Con la terza parte del primo motivo, le ricorrenti fanno valere, in primo luogo, che il Tribunale ha violato un principio fondamentale in materia di valutazione della prova, vale a dire che l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che non siano gravi, precisi e concordanti. Infatti, secondo le ricorrenti, il Tribunale ha ritenuto erroneamente che i diversi indizi, utilizzati dalla Commissione nella decisione controversa, siano sufficienti nella fattispecie. Inoltre, anche quando sono esaminati congiuntamente, essi non forniscono alcun elemento sul grado di autonomia di gestione di cui godeva il Consiglio di amministrazione della SACE nel 2009. Tutti gli indizi in questione, tranne uno, sarebbero relativi alle attività della SACE nel settore dell’assicurazione dei rischi non assicurabili sul mercato, i quali permetterebbero al massimo di dimostrare che, durante il periodo pertinente, lo Stato italiano controllava la SACE in qualità di azionista unico. Tali indizi non fornirebbero invece alcuna informazione quanto all’autonomia di gestione del Consiglio di amministrazione della SACE.

    47      In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che, ai punti 65, 69, 72, 76 e 77 della sentenza impugnata, il Tribunale, nel suo esame dei diversi indizi addotti dalla Commissione al fine di dimostrare l’imputabilità allo Stato delle misure controverse, ha snaturato i fatti e gli elementi di prova prodotti dinanzi ad esso oppure accertato fatti la cui inesattezza materiale risultava tuttavia dai documenti versati al fascicolo. Inoltre, al punto 69 di tale sentenza, il Tribunale avrebbe integrato la motivazione della decisione controversa, sostituendo la propria motivazione a quella della Commissione, snaturando così il contenuto di tale decisione.

    48      In terzo luogo, le ricorrenti censurano il Tribunale per aver travisato, al punto 88 di detta sentenza, la nozione obiettiva di aiuto di Stato, convalidando indizi specifici utilizzati dalla Commissione nella decisione controversa.

    49      In quarto luogo, le ricorrenti fanno valere che il Tribunale ha erroneamente accettato la valutazione, effettuata dalla Commissione nella decisione controversa, secondo cui i diversi indizi ivi invocati consentivano, nel loro complesso, di presumere il coinvolgimento concreto delle autorità pubbliche nell’adozione delle misure controverse.

    50      La Repubblica italiana, da parte sua, contesta la valutazione del Tribunale relativa ai diversi indizi addotti dalla Commissione nella decisione controversa.

    51      La Commissione conclude che la terza parte del primo motivo deve essere respinta in quanto irricevibile o infondata.

    –       Giudizio della Corte

    52      In primo luogo, quanto alla censura vertente sulla violazione da parte del Tribunale di un principio fondamentale in materia di valutazione della prova, occorre constatare che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, dalla sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), non emerge che l’imputabilità allo Stato di una misura adottata da un’impresa pubblica deve essere dimostrata sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti. Al punto 55 di tale sentenza, la Corte ha precisato che l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto può essere dedotta da un insieme di indizi risultanti dalle circostanze del caso di specie e dal contesto nel quale la misura in questione è stata adottata. La Corte ha ripreso quei medesimi criteri anche al punto 32 della sua sentenza del 17 settembre 2014, Commerz Nederland (C‑242/13, EU:C:2014:2224).

    53      Orbene, occorre rilevare che il Tribunale, dopo aver ricordato i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte, in particolare nella sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, (C‑482/99, EU:C:2002:294), per valutare l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica, ha esaminato gli indizi invocati nella fattispecie dalla Commissione, circostanza che l’ha indotto a ritenere corretta, ai punti da 53 a 88 della sentenza impugnata, la motivazione della decisione controversa per quanto riguarda l’imputabilità delle misure controverse allo Stato italiano.

    54      Occorre constatare che, procedendo in tal modo, il Tribunale ha applicato correttamente detta giurisprudenza e non ha commesso alcun errore di diritto.

    55      Alla luce delle suesposte considerazioni, tali censure devono essere respinte in quanto infondate.

    56      In secondo luogo, occorre esaminare le censure delle ricorrenti relative all’esame da parte del Tribunale dei diversi indizi addotti dalla Commissione per dimostrare l’imputabilità allo Stato delle misure controverse, con cui esse contestano al Tribunale di aver snaturato i fatti e gli elementi di prova prodotti dinanzi ad esso oppure accertato fatti la cui inesattezza materiale risultava tuttavia dai documenti versati al fascicolo. A tal riguardo, si deve ricordare che dagli articoli 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE e 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea risulta che il Tribunale è il solo competente, da un lato, ad accertare i fatti, salvo il caso in cui l’inesattezza materiale dei suoi accertamenti risulti dagli atti di causa ad esso sottoposti e, dall’altro, a valutare tali fatti. Pertanto, la valutazione dei fatti non costituisce, salvo il caso dello snaturamento degli elementi di prova addotti dinanzi al Tribunale, una questione di diritto, come tale soggetta al sindacato della Corte (v. sentenza del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punti 97 e 98 e giurisprudenza ivi citata).

    57      Occorre pertanto esaminare, in tale contesto, unicamente gli argomenti delle ricorrenti vertenti sull’inesattezza materiale di elementi di fatto e su uno snaturamento degli elementi di fatto e di prova, poiché gli altri argomenti dedotti dalle ricorrenti e dalla Repubblica italiana, che sono diretti contro le valutazioni insindacabili effettuate dal Tribunale sui diversi indizi utilizzati dalla Commissione nella decisione controversa, devono essere respinti in quanto irricevibili.

    58      A tal proposito, occorre ricordare che il ricorrente che alleghi uno snaturamento di elementi di prova da parte del Tribunale deve, a norma dell’articolo 256 TFUE, dell’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 168, paragrafo 1, lettera d), del regolamento di procedura di quest’ultima, indicare con precisione gli elementi che sarebbero stati snaturati dal Tribunale e dimostrare gli errori di valutazione che, a suo avviso, avrebbero portato il Tribunale a tale snaturamento. Inoltre, uno snaturamento deve risultare in modo manifesto dagli atti di causa, senza che sia necessario procedere a una nuova valutazione dei fatti e delle prove (sentenza del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punto 99 e giurisprudenza citata).

    59      In primo luogo, occorre respingere l’argomento delle ricorrenti, sostenute dalla Repubblica italiana, secondo cui il Tribunale ha snaturato il punto 177, lettera b), sub i), della decisione controversa nel constatare, ai punti 65 e 69 della sentenza impugnata, relativamente ai quattro indizi utilizzati dalla Commissione per dimostrare che la SACE non esercitava le sue attività sul mercato in condizioni normali di concorrenza con operatori privati e, più in particolare, al primo indizio utilizzato dalla medesima, che tali indizi vertevano sulle attività della SACE non soltanto nel settore dell’assicurazione dei rischi non assicurabili sul mercato, ma anche in quello dei rischi assicurabili sul mercato.

    60      Infatti, da un lato, al punto 65 di tale sentenza, il Tribunale ha indicato che esso procedeva alla valutazione della portata dei quattro indizi invocati dalla Commissione. Esso ha ricordato che, secondo la Commissione, tali indizi erano diretti in realtà a dimostrare che le autorità pubbliche utilizzavano il gruppo SACE non soltanto nel settore dei rischi non assicurabili, ma altresì in quello dei rischi assicurabili, per sostenere il sistema delle imprese in Italia e favorire in tal modo lo sviluppo economico del paese. Il Tribunale non ha dunque effettuato alcuna constatazione di fatto idonea ad essere viziata da inesattezza materiale.

    61      Dall’altro lato, non si può dedurre dal tenore letterale del punto 177, lettera b), sub i), della decisione controversa che la SACE non ha esercitato le sue attività nel settore dei rischi assicurabili sul mercato. Detto punto enuncia che, «nel 2004, la missione di SACE era – e continua a essere a tutt’oggi – quella di mantenere e promuovere la competitività dell’economia italiana, essenzialmente attraverso i rischi non assicurabili sul mercato». Pertanto non risulta dal tenore letterale di detto punto che la missione della SACE così definita sia limitata ai rischi non assicurabili sul mercato.

    62      Occorre osservare che vi è una divergenza tra le versioni in lingua italiana e francese del punto 177, lettera b), sub i, della decisione controversa. Infatti, mentre la versione in lingua italiana di tale punto si riferisce alla missione della SACE diretta a mantenere e promuovere la competitività dell’economia italiana, essenzialmente attraverso i «rischi non assicurabili sul mercato», la versione in lingua francese di tale punto si riferisce a detta missione, essenzialmente per quanto riguarda i «rischi assicurabili sul mercato». Ciò premesso, occorre rilevare, da un lato, che la versione in lingua italiana della decisione controversa è la sola che fa fede e, dall’altro, che le parti non hanno suggerito alla Corte di prendere in considerazione un’altra versione linguistica di tale decisione.

    63      In secondo luogo, occorre parimenti respingere l’argomento delle ricorrenti, sostenute dalla Repubblica italiana, secondo cui il Tribunale ha snaturato i fatti, al punto 69 della sentenza impugnata, nel fondarsi sull’articolo 6, paragrafo 12, del decreto legge n. 269, poiché tale disposizione è entrata in vigore il 2 ottobre 2003, vale a dire anteriormente alla costituzione della Sace BT, e nell’integrare in maniera inammissibile la motivazione della decisione controversa con l’affermazione secondo cui, anche dopo il 2004, la missione della SACE era di mantenere e promuovere la competitività dell’economia italiana anche nel settore dei rischi assicurabili sul mercato.

    64      Infatti, le ricorrenti non spiegano in che modo la circostanza che il Tribunale si sia fondato sull’articolo 6, paragrafo 12, del decreto legge n. 269, che è entrato in vigore prima della costituzione della Sace BT, costituisca uno snaturamento di fatti.

    65      Quanto all’affermazione secondo cui il Tribunale ha integrato in maniera inammissibile la motivazione della decisione controversa, è sufficiente rilevare che dall’articolo 6, paragrafo 12, del decreto legge n. 269, citato al punto 8 della sentenza impugnata, quale ripreso al punto 5 della presente sentenza, nonché al punto 17 della decisione controversa, risulta che la SACE è autorizzata a operare, a certe condizioni, nel settore dei rischi assicurabili sul mercato.

    66      In terzo luogo, occorre parimenti respingere l’argomento delle ricorrenti secondo cui gli accertamenti effettuati dal Tribunale, al punto 72 della sentenza impugnata, vertenti sulla valutazione dell’indizio, utilizzato dalla Commissione, che concerne il controllo annuale dei conti della SACE da parte della Corte dei Conti e l’obbligo del Ministero di presentare ogni anno la relazione sulle attività della SACE al Parlamento italiano, sono viziati da inesattezza materiale. Le ricorrenti, infatti, non indicano in modo manifesto alcuna inesattezza materiale risultante dai documenti del fascicolo.

    67      In quarto luogo, quanto alla censura delle ricorrenti vertente sul punto 77 della sentenza impugnata, secondo cui il Tribunale ha snaturato i fatti affermando che il piano previsionale della SACE avrebbe dovuto essere approvato dal CIPE, occorre constatare che, con tale argomento, le ricorrenti mirano a contestare la valutazione da parte del Tribunale dell’indizio relativo all’approvazione da parte del CIPE di un piano previsionale degli impegni assicurativi della SACE, senza indicare in modo manifesto uno snaturamento degli elementi del fascicolo, il che esula dalla competenza della Corte.

    68      In terzo luogo, occorre respingere l’argomento delle ricorrenti secondo cui il Tribunale ha travisato la nozione obiettiva di aiuto di Stato approvando, al punto 88 della sentenza impugnata, gli indizi specifici che la Commissione ha utilizzato nella decisione controversa. Infatti, la circostanza che la nozione di aiuto di Stato è una nozione obiettiva non esclude che una dichiarazione resa da una persona interessata possa essere presa in considerazione in quanto indizio pertinente dell’imputabilità della misura interessata allo Stato.

    69      In quarto ed ultimo luogo, alla luce delle valutazioni effettuate riguardo ai diversi indizi addotti dalla Commissione nella decisione controversa, valutazioni che sono esenti dagli errori di diritto invocati dalle ricorrenti, il Tribunale ha potuto correttamente ritenere, ai punti da 81 a 88 della sentenza impugnata, che i diversi indizi, considerati complessivamente, consentissero di dimostrare a sufficienza l’imputabilità allo Stato delle misure controverse.

    70      Ne consegue che la terza parte del primo motivo deve essere respinta in parte come irricevibile e in parte come infondata.

     Sulla quarta parte del primo motivo

    –       Argomenti delle parti

    71      Con la quarta parte del loro primo motivo, le ricorrenti, sostenute dalla Repubblica italiana, censurano il Tribunale per essersi rifiutato, come emerge dal punto 83 della sentenza impugnata, di prendere in considerazione due note presentate dalla Repubblica italiana per la prima volta dinanzi al Tribunale, dalle quali risulterebbe che, in due ipotesi, l’azionista pubblico si asteneva dall’interferire nella gestione della SACE, giacché tali note non erano state presentate alla Commissione durante il procedimento amministrativo.

    72      Le ricorrenti ritengono che il Tribunale si sia erroneamente fondato sulla giurisprudenza risultante dalle sentenze del 25 giugno 2008, Olympiaki Aeroporia Ypiresies/Commissione (T‑268/06, EU:T:2008:222, punto 56), e del 15 aprile 2008, Nuova Agricast (C‑390/06, EU:C:2008:224, punto 54 e giurisprudenza citata), in quanto essa non sarebbe pertinente nel caso di specie. Infatti, nella presente controversia, la trasmissione di informazioni alla Commissione, dopo la chiusura del procedimento amministrativo, verterebbe non solo su informazioni essenziali relative al contesto fattuale o giuridico delle misure oggetto d’istruttoria, ma anche su informazioni destinate a confermare gli argomenti già presentati dalle ricorrenti durante il procedimento amministrativo. Esse sostengono, in particolare, che né i diritti della difesa né il principio del contraddittorio giustificano, nella specie, il trattamento riservato a tali note dal Tribunale nel procedimento dinanzi ad esso.

    73      Inoltre, la Repubblica italiana sostiene che il principio secondo cui nessuno può valersi dinanzi al giudice dell’Unione di elementi di fatto che non sono stati dedotti durante il procedimento precontenzioso previsto dall’articolo 108 TFUE (sentenza del 25 giugno 2008, Olympiaki Aeroporia Ypiresies/Commissione, T‑268/06, EU:T:2008:222, punto 55) attiene ai fatti principali – ossia ai fatti costituitivi del diritto fatto valere in giudizio o fatti impeditivi di tali diritto – non ai fatti secondari, cioè ai fatti che servono alla prova dei fatti principali. Orbene, le note di cui trattasi mirerebbero a dimostrare fatti secondari. Secondo la Repubblica italiana, nessuna norma e nessun principio stabiliscono che, durante il procedimento amministrativo, si debbano produrre tutte le prove utilizzabili successivamente.

    74      Inoltre, le ricorrenti, sostenute dalla Repubblica italiana, censurano il Tribunale per aver respinto al punto 83 della sentenza impugnata, dette note in quanto irrilevanti.

    75      La Commissione conclude che la quarta parte del primo motivo deve essere respinta in quanto irricevibile o infondata.

    –       Giudizio della Corte

    76      Secondo costante giurisprudenza la legittimità di una decisione in materia di aiuti di Stato deve essere valutata alla luce delle informazioni di cui poteva disporre la Commissione quando l’ha adottata (sentenze del 15 aprile 2008, Nuova Agricast, C‑390/06, EU:C:2008:224, punto 54, e del 22 dicembre 2008, Régie Networks, C‑333/07, EU:C:2008:764, punto 81). Non si può pertanto censurare la Commissione per non aver preso in considerazione, nel contesto del procedimento di controllo degli aiuti di Stato, elementi di fatto che non sono stati portati a sua conoscenza tempestivamente durante tale procedimento.

    77      A tal proposito, la questione se elementi di fatto oggetto di una trasmissione tardiva alla Commissione vertano su fatti «essenziali» o «principali», o, al contrario, su fatti «non essenziali» o «secondari» è irrilevante. Infatti, tali elementi di fatto, poiché la Commissione non ne era a conoscenza, non potevano influenzarla nella qualificazione come aiuto di Stato della misura di cui trattasi, a prescindere dalla questione se detti elementi di fatto debbano essere o meno considerati «essenziali» o «principali».

    78      Per di più, dal fascicolo sottoposto al Tribunale non risulta che dinanzi al medesimo la Repubblica italiana abbia giustificato la presentazione delle due note dopo la chiusura del procedimento dinanzi alla Commissione.

    79      Pertanto, il Tribunale ha correttamente considerato che dette note non possono essere invocate in un procedimento dinanzi ad esso.

    80      Quanto agli argomenti delle ricorrenti, sostenute dalla Repubblica italiana, con cui esse censurano il Tribunale per aver respinto le due note di cui trattasi in quanto prive di fondamento, occorre respingerli in quanto irricevibili, conformemente alla giurisprudenza di cui al punto 56 della presente sentenza, poiché sono diretti avverso valutazioni di natura fattuale effettuate dal Tribunale e non rivelano un qualsivoglia snaturamento, da parte del Tribunale, degli elementi di fatto o di prova.

    81      La quarta parte del primo motivo dev’essere quindi dichiarata in parte irricevibile e in parte infondata.

    82      Di conseguenza, il primo motivo deve essere integralmente respinto in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

     Sul secondo motivo

     Argomenti delle parti

    83      Con il loro secondo motivo, le ricorrenti ritengono che il Tribunale, avendo dichiarato che la seconda misura controversa costituiva un aiuto di Stato, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, abbia violato tale disposizione. Esse sostengono parimenti che, esponendo che la SACE ha beneficiato, di fatto, di un’implicita maggiorazione di 5/12 del tasso della commissione incassata rispetto a quella versata dalla Sace BT ai riassicuratori privati, il Tribunale ha qualificato in maniera erronea tale argomento come motivo nuovo e, pertanto a torto l’ha considerato irricevibile.

    84      Le ricorrenti fanno valere che, pur se il Tribunale ha accolto il secondo motivo dell’atto introduttivo di ricorso, vertente sull’insufficienza di motivazione della valutazione da parte della Commissione dell’importo dell’aiuto al 10% della commissione versata dalla Sace BT alla SACE, e ha annullato l’articolo 2, secondo comma, della decisione controversa, esso ha tuttavia confermato che la seconda misura comportava un aiuto illegittimo e incompatibile con il mercato interno. Procedendo in tal modo, il Tribunale avrebbe snaturato gli elementi di fatto pertinenti e valutato erroneamente questi ultimi, al pari della Commissione nella decisione controversa.

    85      In primo luogo, le ricorrenti censurano la constatazione figurante ai punti 137 e 142 della sentenza impugnata, secondo cui, nella fornitura di una quota di riassicurazione così elevata come nella fattispecie, l’ipotetico investitore privato prudente e avveduto avrebbe preteso l’applicazione non delle medesime condizioni convenute con i riassicuratori privati per quote di riassicurazioni ben inferiori, bensì di una commissione che rispecchiasse il maggior livello di rischio assunto. Le ricorrenti sostengono che ogni trattato di riassicurazione del tipo eccesso di sinistro prevede una commissione totale unica per il 100% della copertura del portafoglio riassicurato, che viene poi ripartita pro quota tra tutti i riassicuratori. Il tasso di commissione di un tale trattato sarebbe determinato sulla base della stima della probabilità del verificarsi dell’evento catastrofale, e non dipenderebbe dall’entità della quota di partecipazione al trattato.

    86      In secondo luogo, le ricorrenti contestano al Tribunale di essere incorso, al punto 131 della sentenza impugnata, in un errore di diritto ritenendo corretta la constatazione della Commissione secondo la quale l’esposizione ai rischi del riassicuratore in eccedenza di sinistro aumenterebbe qualora il cedente versi in gravi difficoltà finanziarie. In effetti, per il riassicuratore non sussisterebbe aggravamento del rischio nel caso in cui il cedente versi in difficoltà finanziarie poiché il rischio di perdita principale per il riassicuratore sarebbe legato al rischio di insolvenza degli acquirenti degli assicurati. Inoltre, la SACE, nel caso di specie, non si sarebbe esposta ad alcun rischio della cedente Sace BT, atteso che il pagamento alla controllante della commissione per la sottoscrizione del trattato riassicurativo sarebbe avvenuta in una rata unica e anticipata.

    87      In terzo luogo, l’affermazione del Tribunale al punto 137 della sentenza, secondo la quale la Commissione aveva indicato, durante l’udienza, in risposta a un quesito del Tribunale, che il trattato di riassicurazione della Sace BT riguardava soltanto il 25% dei rischi riassicurati da tale società e che pertanto, un altro trattato di riassicurazione, con previsione di una diversa remunerazione, avrebbe potuto essere negoziato per quanto riguarda il saldo della copertura riassicurativa della Sace BT per il 2009, sarebbe priva di fondamento ed erronea, dato che nella decisione controversa non sarebbe stata rilevata nessuna informazione di tale natura.

    88      In quarto luogo, le ricorrenti censurano il Tribunale per aver snaturato, ai punti 132 e 133 della sentenza impugnata, l’argomento sviluppato dalla SACE in udienza, secondo cui, data l’assenza di sinistri nel periodo tra il 1° gennaio e la data in cui essa ha sottoscritto la copertura riassicurativa della Sace BT, ossia il 5 giugno 2009, la SACE ha beneficiato, di fatto, di un’implicita maggiorazione di 5/12 del tasso della commissione incassata. In effetti, la SACE non avrebbe sostenuto dinanzi al Tribunale che l’assenza di sinistri nel periodo tra il 1° gennaio e il 5 giugno 2009 era stata presa in considerazione dal Consiglio di amministrazione della SACE in sede di approvazione della seconda misura o all’atto della sottoscrizione del trattato riassicurativo. Le ricorrenti avrebbero sostenuto il contrario dinanzi al Tribunale, ovvero che il tasso della commissione ricevuta dalla SACE, benché nominalmente identico a quello ricevuto dai riassicuratori privati, era in sostanza ben più elevato, in quanto relativo ai rischi di sinistri che potevano verificarsi in un periodo di sette, anziché dodici, mesi.

    89      L’affermazione del Tribunale di cui al punto 137 della sentenza impugnata, secondo cui l’assenza di sinistri prima della sottoscrizione della copertura riassicurativa controversa non era stata portata a conoscenza della Commissione sarebbe del pari erronea, come emergerebbe da una lettura congiunta dei punti 68 e 127 della decisione controversa.

    90      Secondo la Commissione, occorre respingere il secondo motivo in quanto irricevibile o comunque in quanto infondato.

     Giudizio della Corte

    91      Con gran parte della loro argomentazione nell’ambito del presente motivo, le ricorrenti si limitano a contestare valutazioni di fatto effettuate dal Tribunale nella sentenza impugnata, senza far valere un’inesattezza materiale dei fatti o uno snaturamento degli elementi di prova da parte del Tribunale. Di conseguenza, tale argomentazione esula, per la maggior parte, dalla competenza della Corte, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 56 della presente sentenza, e deve quindi essere respinta in quanto irricevibile. Occorre limitare l’esame del presente motivo ai soli argomenti delle ricorrenti con cui esse lamentano uno snaturamento dei fatti o un’altra questione di diritto che vizia i punti interessati della motivazione della sentenza impugnata.

    92      In primo luogo, per quanto riguarda le censure vertenti su uno snaturamento dei fatti commesso dal Tribunale ai punti 131, 137 e 142 della sentenza impugnata, è sufficiente rilevare che, contrariamente a quanto richiesto dalla giurisprudenza ricordata al punto 56 della presente sentenza, le ricorrenti non indicano alcun documento del fascicolo da cui risulterebbe uno snaturamento siffatto. Dette censure devono essere pertanto respinte in quanto irricevibili.

    93      In secondo luogo, quanto all’argomento delle ricorrenti attinente al travisamento da parte del Tribunale, ai punti 132 e 133 della sentenza impugnata, dell’argomento sviluppato dalla SACE in udienza, secondo cui quest’ultima, considerata l’assenza di sinistri nel periodo tra il 1° gennaio e il 5 giugno 2009, data della sottoscrizione da parte della SACE della copertura riassicurativa della Sace BT, ha beneficiato, di fatto, di un’implicita maggiorazione di 5/12 del tasso della commissione incassata, occorre rilevare che le ricorrenti non dimostrano in che modo le constatazioni del Tribunale, contenute ai detti punti 132 e 133, costituivano uno snaturamento dei documenti del fascicolo. Pertanto, tali argomenti sono irricevibili.

    94      Inoltre, l’argomento delle ricorrenti, consistente nel criticare il Tribunale per aver riformulato arbitrariamente l’argomento sviluppato dalla SACE in udienza, si basa su una lettura erronea del punto 132 della sentenza impugnata. Infatti, il Tribunale, al suddetto punto, ha rilevato non già che la SACE aveva sostenuto che l’assenza di sinistri durante il periodo menzionato era stata presa in considerazione dal Consiglio di amministrazione della SACE, bensì che non risultava, né dal fascicolo, né dagli elementi prodotti dalle ricorrenti, che l’assenza di sinistri durante detto periodo fosse stata presa in considerazione da tale Consiglio di amministrazione in sede di approvazione della seconda misura o all’atto della sottoscrizione del contratto. Inoltre, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, il fatto che non si fosse verificato alcun sinistro durante tale periodo non emerge in alcun modo dal punto 68 della decisione controversa. Tali argomenti devono pertanto essere respinti in quanto infondati.

    95      In terzo luogo, le ricorrenti contestano al Tribunale, da un lato, di aver erroneamente invocato l’articolo 48, paragrafo 2, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, e non la disposizione corrispondente del regolamento di procedura del Tribunale, nella sua versione applicabile alla controversia, per dichiarare irricevibile l’argomento delle ricorrenti fondato sull’assenza di sinistri durante i cinque primi mesi del 2009, e, dall’altro, di aver confuso, al punto 133 della sentenza impugnata, un argomento che costituisce l’ampliamento di un motivo invocato tempestivamente con un nuovo motivo.

    96      Tale argomento, che è diretto contro un punto ad abundantiam della motivazione della sentenza impugnata, come emerge dall’uso dell’espressione «[i]noltre, ed in ogni caso» che compare alla terza e alla quarta frase del punto 133 di tale sentenza, deve essere respinto in quanto inoperante.

    97      Pertanto, il secondo motivo di impugnazione nel suo complesso dev’essere respinto in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

     Sul terzo motivo

     Argomenti delle parti

    98      Con il loro terzo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale, avendo confermato che la terza e la quarta misura controversa attribuivano un vantaggio alla Sace BT, ha violato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, e ha applicato in modo erroneo il criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato. Esse fanno anche valere che il Tribunale ha integrato, a torto, la motivazione della decisione controversa.

    99      Le ricorrenti censurano il Tribunale per aver statuito, al punto 183 della sentenza impugnata, che la SACE avrebbe dovuto valutare ex ante la redditività futura della Sace BT e trasmettere alla Commissione gli elementi di valutazione preliminare appropriati. Orbene, da una parte, esso avrebbe già ammesso, al punto 179 di tale sentenza, che, in una situazione di crisi economica, era praticamente impossibile prevedere in maniera attendibile e dettagliata, per la SACE, come per i suoi concorrenti privati, l’evoluzione della situazione economica e i risultati dei diversi operatori. D’altra parte, dalla situazione del mercato emergeva che gli investitori privati non avevano alcun incentivo a procedere a siffatte valutazioni ex ante. Secondo le ricorrenti, l’impostazione del Tribunale è illogica e confusa.

    100    Inoltre l’affermazione del Tribunale, figurante al punto 183 di detta sentenza, secondo cui la Commissione non era tenuta a comparare la situazione della Sace BT con quella degli altri assicuratori, in quanto non poteva escludersi che le ricapitalizzazioni di un gran numero di compagnie di assicurazione private costituissero parimenti aiuti di Stato, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, sarebbe priva di fondamento. Oltre al fatto che non vi sarebbe traccia di un argomento in tal senso nella decisione controversa e che al Tribunale non sarebbe consentito di integrare la motivazione della decisione controversa, non spetterebbe in alcun modo alla SACE o alle autorità italiane dimostrare che le misure decise dagli operatori privati non costituivano un aiuto di Stato, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

    101    Fondandosi sulla sentenza del 3 aprile 2014, Commissione/Paesi Bassi e ING Groep (C‑224/12 P, EU:C:2014:213, punto 36), le ricorrenti fanno valere che la ricapitalizzazione della Sace BT avrebbe dovuto essere comparata a quella di altri operatori privati, per verificare se tali ricapitalizzazioni erano state effettuate sulla base di proiezioni finanziarie, ed eventualmente quali. Una siffatta analisi avrebbe condotto la Commissione a concludere nel senso della conformità della terza e della quarta misura alle condizioni di applicabilità del criterio dell’investitore privato in economia di mercato.

    102    Peraltro, il Tribunale avrebbe anche ignorato la censura sollevata dalla SACE, secondo la quale la Commissione si è discostata dall’obbligo di applicare il principio dell’investitore privato in economia di mercato in modo non dogmatico e dottrinale, obbligo che essa stessa si sarebbe imposta nella propria comunicazione sull’applicazione degli articoli [107 TFUE] e [108 TFUE] e dell’articolo 5 della direttiva della Commissione 80/723/CEE alle imprese pubbliche dell’industria manifatturiera (GU 1993, C 307, pag. 3, punti 27 e 29).

    103    La Commissione ritiene che il terzo motivo debba essere respinto in parte in quanto irricevibile e in parte in quanto infondato.

     Giudizio della Corte

    104    Il presente motivo è rivolto contro il punto 183 della sentenza impugnata. Da tale punto emerge che, da un lato, la circostanza, dedotta dalle ricorrenti, secondo cui, nel corso del periodo considerato, un gran numero di compagnie di assicurazione private sarebbe stato ricapitalizzato al fine di coprire perdite importanti subite a seguito della crisi economica non poteva esonerare un investitore pubblico quale la SACE dai suoi obblighi di valutare ex ante la redditività futura della sua controllata e di trasmettere alla Commissione elementi di valutazione preliminare appropriati. Dall’altro, da detto punto emerge altresì che non si poteva escludere che tali ricapitalizzazioni dessero luogo ad aiuti, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, e, pertanto, che la Commissione non era tenuta comparare la situazione della Sace BT a quella degli altri assicuratori.

    105    Innanzitutto, occorre respingere in quanto infondato l’argomento delle ricorrenti vertente su un’asserita contraddizione della motivazione contenuta ai punti 179 e 183 della sentenza impugnata.

    106    Il Tribunale ha rilevato, infatti, al punto 179 di tale sentenza, che «[i]n un contesto di crisi economica, l’analisi degli elementi di valutazione preliminare richiesti deve (...) essere effettuata tenendo conto, all’occorrenza, dell’impossibilità di prevedere in modo affidabile e circostanziato l’evoluzione della situazione economica e i risultati dei vari operatori». Il Tribunale ha tuttavia ritenuto, al punto 182 della stessa sentenza, con rinvio alle considerazioni, che compaiono al punto 180 della medesima, relative all’applicazione del criterio dell’investitore privato in un contesto di crisi economica, che «l’impossibilità di procedere a previsioni dettagliate e complete non può dispensare un investitore pubblico dal procedere a una valutazione preliminare appropriata della redditività del suo investimento, comparabile a quella che avrebbe svolto un investitore privato in una situazione simile, in funzione degli elementi disponibili e prevedibili». Nel loro atto di impugnazione, le ricorrenti non contestano la motivazione di cui ai punti 180 e 182 della sentenza impugnata.

    107    Nei limiti in cui, poi, le ricorrenti contestano al Tribunale di aver preteso, alla prima frase del punto 183 della sentenza impugnata, dalla SACE che essa valutasse ex ante la redditività futura della sua controllata e trasmettesse alla Commissione elementi di valutazione preliminare appropriati, tale censura deve essere respinta in quanto infondata. Infatti, alla prima frase del punto 183 di tale sentenza, il Tribunale ha applicato al caso di specie i principi risultanti dai punti 180 e 182 di detta sentenza, quali riassunti al punto 106 della presente sentenza. Così facendo, il Tribunale ha correttamente applicato la giurisprudenza risultante dalla sentenza del 5 giugno 2012, Commissione/EDF (C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punti da 82 a 84 e 86), da esso peraltro riassunta al punto 97 della sentenza impugnata, e da cui risulta che incombe allo Stato membro, che, nel corso del procedimento amministrativo, invoca il criterio dell’investitore privato in economia di mercato, provare sulla base di elementi oggettivi e verificabili che la sua decisione è fondata sulle valutazioni economiche preliminari richieste. Tale constatazione è confermata dal punto 104 della sentenza del 5 giugno 2012, Commissione/EDF (C‑124/10 P, EU:C:2012:318), da cui risulta che la Commissione non ha l’obbligo di esaminare un’informazione nel caso in cui gli elementi di prova prodotti siano stati forniti successivamente all’adozione della decisione di effettuare l’investimento in questione. Occorre aggiungere che nella sentenza del 3 aprile 2014, Commissione/Paesi Bassi e ING Groep (C‑224/12 P, EU:C:2014:213), non vi è alcun elemento idoneo ad essere interpretato nel senso che lo Stato membro interessato può essere dispensato dal procedere ad una valutazione preliminare appropriata della redditività del suo investimento prima di effettuare quest’ultimo.

    108    Nella fattispecie, come emerge dal punto 193 della sentenza impugnata, è pacifico che la SACE, in quanto investitore di capitale, non ha effettuato alcuna valutazione ex ante per quanto riguarda la terza misura. Quanto alla quarta misura, relativamente alla quale il solo elemento invocato dalle ricorrenti è il piano d’impresa 2010-2011 della Sace BT, le ricorrenti non contestano né la conclusione cui è giunto il Tribunale, al punto 197 di tale sentenza, secondo la quale gli elementi di valutazione preliminare contenuti nel suddetto piano e nel verbale della riunione del Consiglio di amministrazione della Sace BT del 4 agosto 2009, prodotto dalle ricorrenti su richiesta del Tribunale, non rispondevano ai requisiti del criterio dell’investitore privato, e neppure la motivazione contenuta ai punti da 194 a 196 della sentenza impugnata che conduceva a tale conclusione.

    109    Poiché è quindi pacifico che la SACE non ha fornito i richiesti elementi di valutazione ex ante della redditività del suo conferimento di capitale, le ricorrenti non possono contestare al Tribunale di non aver tenuto conto, al punto 183 della sentenza impugnata, delle circostanze menzionate al punto 179 di detta sentenza.

    110    Di conseguenza, le censure delle ricorrenti relative alla seconda e alla terza frase del punto 183 della suddetta sentenza devono essere del pari respinte in quanto inoperanti.

    111    Inoltre, nei limiti in cui le ricorrenti sostengono che non era richiesta una valutazione ex ante appropriata e che non era nemmeno necessario trasmettere alla Commissione elementi di valutazione preliminare appropriati, poiché dalla situazione del mercato emergeva che gli investitori privati non avevano alcun incentivo a procedere in tal modo, occorre constatare che, con tale censura, le ricorrenti introducono una nuova questione di fatto che non è stata sottoposta al Tribunale nell’ambito del procedimento in primo grado e che non costituisce una questione di diritto sottoponibile al sindacato della Corte in sede di impugnazione, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 56 della presente sentenza. Tale censura deve pertanto essere respinta in quanto irricevibile.

    112    Peraltro, quanto alla censura vertente su un’applicazione dogmatica e rigida del criterio dell’investitore privato da parte della Commissione, è sufficiente rilevare che le ricorrenti non dimostrano che la Commissione si sia discostata dai principi enunciati nella propria comunicazione sull’applicazione degli articoli [107 TFUE] e [108 TFUE] e dell’articolo 5 della direttiva 80/723. Detta censura dev’essere pertanto respinta in quanto infondata.

    113    Di conseguenza, il terzo motivo deve essere disatteso in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

    114    Da tutte le precedenti considerazioni risulta che l’impugnazione deve essere integralmente respinta, in quanto in parte irricevibile e in parte infondata.

      Sulle spese

    115    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la SACE e la Sace BT sono risultate soccombenti, esse devono essere condannate a farsi carico, oltre delle proprie spese, di quelle della Commissione relative al presente procedimento di impugnazione, conformemente alla domanda della Commissione.

    116    Ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 1, del suddetto regolamento, anch’esso applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, le spese sostenute dagli Stati membri intervenuti nella causa restano a loro carico.

    117    La Repubblica italiana, in quanto interveniente dinanzi al Tribunale, sopporterà le proprie spese.

    Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) dichiara e statuisce:

    1)      L’impugnazione è respinta.

    2)      La Servizi assicurativi del commercio estero SpA (SACE) e la Sace BT SpA sono condannate a farsi carico, oltre delle proprie spese, di quelle della Commissione europea relative al procedimento di impugnazione.


    3)      La Repubblica italiana sopporta le proprie spese.

    Vajda

    Juhász

    Lycourgos

    Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 23 novembre 2017.

    Il cancelliere

     

    Il presidente della Nona Sezione

    A. Calot Escobar

     

    C. Vajda


    *      Lingua processuale: l’italiano.

    Top