Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62015CC0277

    Conclusioni dell’avvocato generale E. Sharpston, presentate il 16 giugno 2016.
    Servoprax GmbH contro Roche Diagnostics Deutschland GmbH.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof.
    Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Dispositivi medico‑diagnostici in vitro – Direttiva 98/79/CE – Importazione parallela – Traduzione, da parte dell’importatore, delle indicazioni e delle istruzioni per l’uso fornite dal fabbricante – Procedura di valutazione integrativa della conformità.
    Causa C-277/15.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2016:457

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    ELEANOR SHARPSTON

    presentate il 16 giugno 2016 ( 1 )

    Causa C‑277/15

    Servoprax GmbH

    contro

    Roche Diagnostics Deutschland GmbH

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione, Germania)]

    «Direttiva 98/79/CE relativa ai dispositivi medico‑diagnostici in vitro — Distribuzione parallela nel mercato interno — Apposizione sull’imballaggio esterno di dispositivi medici per test autodiagnostici di misurazione dei livelli di glucosio nel sangue di una diversa versione linguistica delle indicazioni fornite dal fabbricante sull’etichetta e nelle istruzioni per l’uso — Procedura nuova o integrativa di valutazione della conformità»

    1. 

    Un fabbricante sottopone le strisce reattive da usare con un dispositivo medico-diagnostico in vitro ad una procedura di valutazione della conformità in uno Stato membro. L’etichetta e le istruzioni per l’uso sono nella lingua di tale Stato membro. Le strisce reattive sono approvate e ottengono la marcatura CE. La sua società di distribuzione in un altro Stato membro commercializza le stesse strisce reattive in tale Stato membro, con un’etichetta e le istruzioni per l’uso nella lingua del secondo Stato membro. Un distributore parallelo acquista le strisce reattive nel primo Stato membro, con l’etichetta e le istruzioni nella lingua di tale Stato membro, ma appone le informazioni relative al prodotto sull’imballaggio esterno e acclude istruzioni per l’uso che corrispondono letteralmente alle istruzioni allegate alle strisce reattive commercializzate dalla società di distribuzione del fabbricante nel secondo Stato membro. Successivamente, detto distributore parallelo immette in commercio le strisce reattive sul mercato di tale secondo Stato membro. La società di distribuzione mette in questione la legalità dell’attività svolta dal suo concorrente, sostenendo che il distributore parallelo agisce come un «fabbricante» ai sensi dell’articolo 9 della direttiva relativa ai dispositivi medico‑diagnostici in vitro (in prosieguo: la «direttiva») ( 2 ), e che, di conseguenza, l’attività di distribuzione svolta dal distributore parallelo deve essere oggetto di una nuova procedura di valutazione della conformità o di una procedura integrativa. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione tedesca) offre per la prima volta alla Corte l’opportunità di interpretare la direttiva, che persegue il duplice obiettivo di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione nel mercato interno dei dispositivi recanti la marcatura CE, e di garantire un elevato livello di protezione della salute.

    Contesto normativo

    Diritto dell’Unione

    2.

    La direttiva armonizza le disposizioni nazionali in materia di sicurezza, di tutela della salute, di prestazioni, di caratteristiche e di procedure di autorizzazione applicabili ai dispositivi medico‑diagnostici in vitro e fissa i requisiti necessari e sufficienti per garantire, nelle migliori condizioni di sicurezza, la libera circolazione dei dispositivi medico‑diagnostici in vitro ai quali essa si applica ( 3 ). Uno dei principali obiettivi della direttiva è quello di assicurare che i dispositivi medico‑diagnostici in vitro garantiscano ai pazienti, agli utilizzatori e ai terzi un livello elevato di protezione sanitaria e che forniscano le prestazioni previste inizialmente dal fabbricante ( 4 ).

    3.

    L’articolo 1 della direttiva prevede quanto segue:

    «1.   La presente direttiva si applica ai dispositivi medico‑diagnostici in vitro (...)

    2.   Ai fini della presente direttiva s’intende per:

    (...)

    b)

    “dispositivo medico-diagnostico in vitro”: qualsiasi dispositivo medico composto da un reagente, da un prodotto reattivo, da un calibratore, da un materiale di controllo, da un kit, da uno strumento, da un apparecchio, un’attrezzatura o un sistema, utilizzato da solo o in combinazione, destinato dal fabbricante ad essere impiegato in vitro per l’esame di campioni provenienti dal corpo umano, inclusi sangue e tessuti donati, unicamente o principalmente allo scopo di fornire informazioni:

    su uno stato fisiologico o patologico,

    (...)

    d)

    “dispositivo per test autodiagnostico”: qualsiasi dispositivo predisposto dal fabbricante per poter essere usato a domicilio da parte di profani;

    (...)

    f)

    “fabbricante”: la persona fisica o giuridica responsabile della progettazione, della fabbricazione, dell’imballaggio e dell’etichettatura di un dispositivo in vista dell’immissione in commercio a proprio nome, indipendentemente dal fatto che queste operazioni siano eseguite da questa stessa persona o da un terzo per suo conto.

    Gli obblighi della presente direttiva che si impongono al fabbricante valgono anche per la persona fisica o giuridica che compone, provvede all’imballaggio, tratta, rimette a nuovo e/o etichetta uno o più prodotti prefabbricati e/o assegna loro la destinazione d’uso come dispositivo in vista dell’immissione in commercio a proprio nome [ ( 5 )]. Il presente comma non si applica alla persona la quale, senza essere il fabbricante ai sensi del primo comma, compone o adatta per un singolo paziente dispositivi già immessi in commercio in funzione della loro destinazione d’uso;

    (...)

    i)

    “immissione in commercio”: la prima messa a disposizione a titolo oneroso o gratuito di dispositivi, diversi dai dispositivi destinati alla valutazione delle prestazioni, in vista della distribuzione e/o utilizzazione sul mercato comunitario, indipendentemente dal fatto che si tratti di dispositivi nuovi o rimessi a nuovo;

    j)

    “messa in servizio”: fase in cui il dispositivo è stato reso disponibile all’utilizzatore finale in quanto pronto per la prima utilizzazione sul mercato comunitario secondo la sua destinazione d’uso.

    (...)».

    4.

    Ai sensi dell’articolo 2, gli Stati membri devono adottare le disposizioni necessarie affinché i dispositivi possano essere immessi in commercio e/o messi in servizio unicamente qualora rispondano ai requisiti prescritti nella direttiva, siano correttamente forniti e installati, siano oggetto di un’adeguata manutenzione e siano utilizzati in conformità della loro destinazione. A tal fine, gli Stati membri hanno l’obbligo di controllare la sicurezza e la qualità dei dispositivi.

    5.

    In forza dell’articolo 3, i dispositivi medico‑diagnostici in vitro devono soddisfare i pertinenti requisiti essenziali prescritti nell’allegato I in considerazione della loro destinazione d’uso.

    6.

    Ai sensi della parte A, sezione 1, dell’allegato I («Requisiti essenziali»), i dispositivi medico‑diagnostici in vitro devono essere progettati e fabbricati in modo che, se usati alle condizioni e per le destinazioni previste, la loro utilizzazione non comprometta, direttamente o indirettamente, lo stato clinico o la sicurezza dei pazienti, la sicurezza o la salute degli utilizzatori ed eventualmente di terzi, né la sicurezza dei beni. Gli eventuali rischi legati al loro uso debbono essere di livello accettabile, tenuto conto del beneficio apportato al paziente, e compatibili con un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza.

    7.

    Ai sensi della parte B, sezione 8.1, dell’allegato I, ogni dispositivo deve essere corredato delle necessarie informazioni per garantire un’utilizzazione appropriata e del tutto sicura, tenendo conto della formazione e delle conoscenze dei potenziali utilizzatori e per consentire di identificare il fabbricante ( 6 ). Le informazioni sono costituite dalle indicazioni riportate sull’etichetta e da quelle contenute nelle istruzioni per l’uso ( 7 ). Nel caso dei dispositivi per test autodiagnostici, l’etichetta e le istruzioni per l’uso devono contenere una traduzione nella/e lingua/e ufficiale/i dello Stato membro in cui il dispositivo per test autodiagnostici perviene all’utente finale ( 8 ).

    8.

    L’articolo 4 della direttiva prevede quanto segue:

    «1.   Gli Stati membri non impediscono nel proprio territorio l’immissione in commercio o la messa in servizio dei dispositivi recanti la marcatura CE (...), se tali dispositivi sono stati oggetto della procedura di valutazione della conformità ai sensi dell’articolo 9.

    (...)

    4.   Gli Stati membri possono prescrivere che le indicazioni che devono essere fornite all’utilizzatore finale ai sensi dell’allegato I, parte B, punto 8, siano formulate nella o nelle loro lingue ufficiali.

    (...)».

    9.

    Dall’articolo 9, paragrafo 3, in combinato disposto con l’allegato II, elenco B, nono trattino, risulta che il fabbricante di dispositivi per test autodiagnostici per la misurazione del glucosio nel sangue deve seguire, ai fini dell’apposizione della marcatura CE, la procedura relativa alla dichiarazione CE di conformità di cui all’allegato IV (sistema di garanzia di qualità totale), oppure la procedura relativa all’esame CE del tipo di cui all’allegato V unitamente alla procedura relativa alla verifica CE di cui all’allegato VI, oppure alla procedura relativa alla dichiarazione CE di conformità di cui all’allegato VII (garanzia di qualità della produzione).

    10.

    L’articolo 9, paragrafo 11, prescrive che i fascicoli di documentazione e la corrispondenza relativa alle procedure di valutazione della conformità siano redatti in una delle lingue ufficiali dello Stato membro nel quale vengono espletate tali procedure, e/o in un’altra lingua comunitaria accettata dall’organismo notificato.

    11.

    L’articolo 11 («Procedura di vigilanza»), dispone, in particolare:

    «1.   Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché i dati loro comunicati secondo le disposizioni della (...) direttiva e riguardanti gli incidenti menzionati qui di seguito, che abbiano coinvolto dispositivi muniti di marcatura CE, siano registrati e valutati a livello centrale:

    a)

    qualsiasi disfunzione, guasto o alterazione delle caratteristiche e/o delle prestazioni di un dispositivo, nonché ogni eventuale lacuna nell’etichetta o nelle istruzioni per l’uso che, direttamente o indirettamente, possa causare o avere causato il decesso o un peggioramento grave dello stato di salute di un paziente, di un utilizzatore o di altre persone;

    (...)

    3.   Gli Stati membri, dopo aver valutato il caso, se possibile congiuntamente con il fabbricante, informano immediatamente (...) la Commissione e gli altri Stati membri circa gli incidenti di cui al paragrafo 1 per i quali hanno già adottato o intendono adottare le misure del caso, che possono giungere sino al ritiro del dispositivo».

    12.

    L’articolo 15, paragrafo 1, impone agli Stati membri di notificare alla Commissione e agli altri Stati membri gli organismi ai quali hanno affidato le competenze contemplate dalle procedure di cui all’articolo 9 e i compiti specifici per i quali gli organismi sono stati designati.

    13.

    L’articolo 16, paragrafo 1, stabilisce che i dispositivi, diversi da quelli destinati alla valutazione delle prestazioni, considerati conformi ai requisiti essenziali previsti all’allegato I, devono recare al momento dell’immissione in commercio la marcatura di conformità CE.

    Normativa tedesca

    14.

    La legge tedesca relativa ai dispositivi medici (Medizinproduktegesetz) e il regolamento tedesco sui dispositivi medici (Medizinprodukte-Verordnung) hanno dato attuazione, in particolare, agli articoli 2, 3 e 16 della direttiva. Ai sensi all’articolo 6, paragrafo 2, prima frase, della legge tedesca relativa ai dispositivi medici, i dispositivi diagnostici in vitro possono essere immessi in commercio in Germania solo se provvisti della marcatura CE. A norma dell’articolo 6, paragrafo 2, i dispositivi medici possono ottenere la marcatura CE soltanto se soddisfano i requisiti essenziali ad essi applicabili. L’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento tedesco sui dispositivi medici prevede che i prodotti utilizzati per la misurazione del glucosio nel sangue siano sottoposti ad una delle procedure di valutazione della conformità di cui all’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva.

    Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

    15.

    La Roche Diagnostics GmbH (in prosieguo: la «Roche»), società controllata della Hoffmann-La Roche AG, produce strisce reattive per diabetici da usarsi con i suoi apparecchi elettronici per la misurazione del glucosio nel sangue, che permettono ai pazienti di effettuare l’autocontrollo dei loro livelli di glicemia. Prima di immettere in commercio le strisce reattive, con la denominazione «Accu-Chek Aviva» e «Accu-Chek Compact», la Roche ha sottoposto entrambi i prodotti ad una valutazione della conformità, a cura di un organismo notificato nel Regno Unito, in conformità dell’articolo 9 della direttiva. L’etichetta e le istruzioni per l’uso erano perciò in inglese. Le strisce reattive hanno ottenuto la marcatura CE e potevano quindi, in linea di principio, circolare liberamente nell’Unione europea. Nessun elemento delle informazioni presentate alla Corte suggerisce che la marcatura CE sia stata (per qualche ragione) apposta indebitamente o che la valutazione della conformità sia stata carente o difettosa.

    16.

    La Roche Diagnostics Deutschland GmbH (in prosieguo: la «Roche Deutschland»), società di distribuzione della Roche, commercializza i prodotti Accu-Chek Aviva e Accu-Chek Compact in Germania, con l’etichetta e le istruzioni per l’uso in lingua tedesca sulla confezione. Pertanto, quando vengono commercializzate in Germania, le strisce reattive recano indicazioni in tedesco apposte sull’imballaggio esterno e istruzioni per l’uso in tedesco inserite nella confezione di vendita. I contenitori di strisce reattive contengono inoltre una soluzione di controllo con cui può essere verificata la precisione del dispositivo per la misurazione del glucosio nel sangue. Prima di misurare il proprio livello di glicemia, il paziente versa una goccia di soluzione di controllo su una striscia reattiva, che viene poi inserita nell’apparecchio di misurazione. Il valore misurato è confrontato con i valori indicati sul contenitore delle strisce reattive. Se il valore misurato eccede i valori limite, ciò indica che l’apparecchio di misurazione non è abbastanza preciso. I dispositivi di misurazione della glicemia distribuiti dalla Roche Deutschland in Germania impiegano come unità di misura «mmol/l» (millimoli/litro) o «mg/dl» (milligrammi/decilitro) ( 9 ). I valori limite indicati sul contenitore delle strisce reattive vendute in tale Stato membro sono quindi indicati in entrambe le unità di misura. Per contro, gli stessi dispositivi per la misurazione del glucosio nel sangue e le strisce reattive commercializzate sul mercato del Regno Unito dalla Roche Deutschland impiegano «mmol/l» come unica unità di misura.

    17.

    La Servoprax GmbH (in prosieguo: la «Servoprax») distribuiva in Germania i dispositivi Accu-Chek Aviva e Accu-Chek Compact che erano stati fabbricati per il mercato del Regno Unito. Sulle nuove etichette in lingua tedesca apposte sull’imballaggio esterno di tali prodotti, la Servoprax si identificava come «importatore e distributore» in Germania. Le etichette apposte sull’imballaggio esterno del dispositivo Accu-Chek Aviva contenevano inoltre informazioni in lingua tedesca riguardanti la descrizione del prodotto, la sua finalità e le modalità di uso. La Servoprax allegava a tutti i prodotti un documento in tedesco che corrispondeva letteralmente alle istruzioni per l’uso fornite con le strisce reattive distribuite dalla Roche Deutschland in Germania. Tra il giugno 2010 e l’autunno dello stesso anno, le strisce Accu-Chek Aviva distribuite dalla Servoprax in Germania menzionavano unicamente «mmol/l» come unità di misura.

    18.

    La Roche Deutschland ha contestato l’attività di distribuzione della Servoprax. Essa ha sostenuto che la Servoprax non poteva vendere sul mercato tedesco le strisce reattive Accu-Chek Aviva e Accu-Chek Compact che aveva acquistato nel Regno Unito, senza sottoporle ad una nuova procedura o ad una procedura integrativa di valutazione della conformità ai sensi dell’articolo 9 della direttiva. La società ricorrente ha quindi ammonito la Servoprax con riguardo all’attività di distribuzione parallela. Lasciando impregiudicata la propria posizione giuridica, la Servoprax ha sottoposto tali prodotti ad una nuova procedura di valutazione della conformità, che è stata effettuata da un organismo notificato nei Paesi Bassi, e ha ottenuto la certificazione in data 13 dicembre 2010.

    19.

    La Roche Deutschland ha avviato un procedimento giurisdizionale in Germania contro la Servoprax, chiedendo la fornitura di informazioni, un risarcimento e il rimborso delle spese legali. La sentenza di rigetto del ricorso in primo grado è stata riformata in sede di appello relativamente all’attività di distribuzione realizzata prima del 13 dicembre 2010. La Servoprax ha proposto ricorso dinanzi al Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione).

    20.

    Il Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione) ritiene che la soluzione del ricorso dipenda dall’interpretazione degli articoli 1, paragrafo 2, lettera f), 2, 3, 4, paragrafo 1, 9, paragrafo 3, e 16, nonché degli allegati I e da IV a VII della direttiva. Detto giudice ha pertanto sospeso il procedimento e ha chiesto una pronuncia pregiudiziale sulle seguenti questioni:

    «Se, nel caso di un dispositivo medico-diagnostico in vitro per test autodiagnostici di misurazione del glucosio nel sangue, il quale sia stato sottoposto dal fabbricante in uno Stato membro A (in concreto: nel Regno Unito) ad una valutazione della conformità ai sensi dell’articolo 9 [della direttiva], che rechi la marcatura CE di cui all’articolo 16 della direttiva e che soddisfi i requisiti essenziali di cui all’articolo 3 e all’allegato I della direttiva, un terzo sia tenuto a sottoporre tale dispositivo ad una nuova valutazione o ad una valutazione integrativa della conformità ai sensi del citato articolo 9 della direttiva prima di immetterlo in commercio in uno Stato membro B (in concreto: nella Repubblica federale di Germania) all’interno di imballaggi sui quali sono apposte avvertenze nella lingua ufficiale dello Stato membro B, diversa da quella dello Stato membro A (nel caso specifico: in tedesco invece che in inglese), e nei quali sono accluse istruzioni per l’uso nella lingua ufficiale dello Stato membro B invece che dello Stato membro A.

    Se in tale contesto rilevi il fatto che le istruzioni per l’uso accluse dal terzo corrispondono letteralmente alle informazioni utilizzate dal fabbricante del dispositivo in sede di commercializzazione nello Stato membro B».

    21.

    Hanno presentato osservazioni scritte la Servoprax, la Roche Deutschland, i governi tedesco e lituano nonché la Commissione europea. Salvo il governo lituano, le stesse parti hanno presentato osservazioni orali all’udienza del 6 aprile 2016.

    Valutazione

    Osservazioni preliminari

    22.

    È pacifico che le strisce reattive autodiagnostiche per la misurazione dei livelli di glucosio nel sangue sono dispositivi per test autodiagnostico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera d), della direttiva e devono quindi essere sottoposte ad una valutazione della conformità a norma dell’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva medesima ( 10 ).

    23.

    La direttiva persegue un duplice obiettivo, giacché mira a garantire la libera circolazione dei dispositivi medico‑diagnostici in vitro nel mercato interno e al contempo ad assicurare che tali dispositivi garantiscano ai pazienti, agli utilizzatori e ai terzi un livello elevato di protezione sanitaria ( 11 ).

    24.

    Il sistema di marcatura di conformità CE stabilito dall’articolo 16 della direttiva riflette entrambi i suddetti obiettivi. Da un lato, i dispositivi considerati conformi ai requisiti essenziali di cui all’allegato I devono recare la marcatura di conformità CE al momento della loro immissione in commercio. Entrambe le procedure di valutazione della conformità cui si riferisce tale disposizione implicano l’intervento di un organismo notificato. Esse comprendono inoltre un esame dell’etichetta e delle istruzioni per l’uso ( 12 ).

    25.

    D’altro lato, l’espletamento di tali formalità dà luogo ad una ricompensa. Una volta che i dispositivi abbiano superato la valutazione della conformità e rechino quindi la marcatura CE ( 13 ), gli Stati membri non possono impedirne l’immissione sul mercato o la messa in servizio nel proprio territorio ( 14 ), con la sola riserva della clausola di salvaguardia di cui all’articolo 8 e della procedura di vigilanza stabilita dall’articolo 11 della direttiva ( 15 ).

    26.

    Nelle questioni sottoposte alla Corte si chiede sostanzialmente un chiarimento sul seguente aspetto: nel caso in cui un distributore parallelo abbia acquistato prodotti contemplati dalla direttiva, che siano stati già sottoposti ad una procedura di valutazione della conformità e siano provvisti della marcatura di conformità CE e, al fine di commercializzarli in un altro Stato membro, vi apponga una nuova etichetta e accluda istruzioni per l’uso nella lingua ufficiale di tale Stato membro, che sono letteralmente identiche a quelle fornite dal fabbricante quando distribuisce i suoi prodotti attraverso il proprio distributore, si chiede se il distributore parallelo sia tenuto a sottoporre i prodotti recanti la marcatura CE che intende vendere ad una nuova procedura o ad una procedura integrativa di valutazione della conformità, prima di poterli immettere legalmente in commercio.

    27.

    Il requisito stabilito dall’articolo 9 della direttiva, che impone di sottoporre qualsiasi dispositivo contemplato dalla direttiva ad una procedura di valutazione della conformità, si applica solamente al «fabbricante» del dispositivo. Il significato di tale nozione è quindi cruciale al fine di fornire una risposta a tale questione.

    Movimenti interstatali di dispositivi medico‑diagnostici in vitro recanti la marcatura CE nell’Unione europea

    28.

    L’articolo 9, paragrafo 11, della direttiva esige che i fascicoli di documentazione e la corrispondenza relativa alle procedure siano redatti «in una delle lingue ufficiali dello Stato membro nel quale vengono espletate tali procedure, e/o in un’altra lingua [dell’UE] accettata dall’organismo notificato» (il corsivo è mio). Pertanto, come dimostra indubbiamente il procedimento principale, una procedura di valutazione della conformità non riguarda le diverse versioni linguistiche dell’etichetta e delle istruzioni per l’uso di un dispositivo, in vista della sua immissione in commercio in vari Stati membri. Richiedere ad ogni organismo notificato di svolgere procedure di valutazione della conformità nelle varie lingue ufficiali di tutti gli Stati membri in cui il fabbricante abbia inteso commercializzare un nuovo dispositivo sarebbe contrario al tenore letterale dell’articolo 9, paragrafo 11. Si tratterebbe inoltre di una richiesta praticamente impossibile da soddisfare.

    29.

    Per di più, la direttiva non richiede ad un fabbricante il cui dispositivo sia già stato oggetto di una valutazione della conformità a cura di un organismo notificato in uno Stato membro di sottoporre tale dispositivo ad una valutazione di conformità nuova o integrativa in un altro Stato membro, in cui il fabbricante intenda commercializzarlo, nemmeno qualora tale Stato membro usi una lingua ufficiale diversa. Come risulta dall’articolo 4, paragrafo 1, una volta che un dispositivo sia stato oggetto di una valutazione della conformità e rechi la marcatura CE, gli Stati membri non possono impedire l’immissione in commercio o la messa in servizio di tale dispositivo nel proprio territorio, con l’unica riserva della clausola di salvaguardia di cui all’articolo 8 e della procedura di vigilanza prevista all’articolo 11. Sarebbe chiaramente incompatibile con detto obiettivo della libera circolazione un’interpretazione dell’articolo 9 della direttiva che obbligasse il fabbricante a sottoporre un dispositivo recante la marcatura CE ad una nuova procedura o ad una procedura integrativa di valutazione della conformità, ogniqualvolta intenda commercializzare il dispositivo in questione in uno Stato membro con una lingua ufficiale diversa da quella in cui è stata eseguita la valutazione della conformità originale.

    30.

    Tuttavia, la direttiva instaura un attento equilibrio tra gli obiettivi, rispettivamente, della libera circolazione e della protezione della salute. Così, dall’articolo 4, paragrafo 4, deriva che la regola della libera circolazione di cui all’articolo 4, paragrafo 1, non pregiudica la facoltà degli Stati membri di prescrivere, inter alia, che le indicazioni necessarie per garantire un’utilizzazione sicura e corretta di un dispositivo o le informazioni obbligatorie contenute nell’etichetta ( 16 ) siano formulate nella/e loro lingua/e ufficiale/i quando il dispositivo perviene all’utente finale. La stessa direttiva converte tale opzione in un obbligo nel caso dei dispositivi per test autodiagnostici. Ai sensi dell’articolo 3, in combinato disposto con la parte B, sezione 8.1, sesto comma, dell’allegato I, il fabbricante che intenda commercializzare un dispositivo per test autodiagnostici deve tradurre l’etichetta e il manuale nella/e lingua/e ufficiali/i degli Stati membri in cui tale dispositivo perviene all’utente finale ( 17 ). Anche in questo caso, non si richiede una nuova procedura o una procedura integrativa di valutazione della conformità.

    31.

    Si può sostenere che gli stessi principi si applicano qualora un distributore indipendente commercializzi dispositivi che abbiano ricevuto la marcatura CE in esito ad una procedura di valutazione della conformità in uno Stato membro, in uno Stato membro diverso, e fornisca una traduzione dell’etichetta e delle istruzioni per l’uso nella lingua ufficiale del secondo Stato membro?

    32.

    Ritengo che si debba rispondere in senso affermativo. Tale conclusione discende anzitutto da una lettura congiunta di varie disposizioni della direttiva.

    33.

    Dalla definizione dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera f), primo comma, della direttiva, emerge che l’atto di immettere in commercio un prodotto a proprio nome serve per identificare la figura del «fabbricante» ( 18 ). Lo stesso vale nel caso dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera f), secondo comma, che impone gli stessi obblighi del «fabbricante» a una persona fisica o giuridica che compone, provvede all’imballaggio, tratta, rimette a nuovo e /o etichetta uno o più prodotti prefabbricati e/o assegna loro una destinazione d’uso, solo nella misura in cui immetta in commercio i prodotti a proprio nome.

    34.

    Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera i), un dispositivo è immesso in commercio al momento della prima messa a disposizione in vista della distribuzione e/o utilizzazione sul mercato interno. Allorché un fabbricante, utilizzando il proprio nome, vende dispositivi ad un operatore economico indipendente che intende distribuirli in un altro Stato membro, i dispositivi in questione sono immessi in commercio per la prima volta dal fabbricante e non dall’operatore economico indipendente.

    35.

    Pertanto respingo l’argomento della Roche Deutschland secondo cui, quando la Servoprax ha apposto un’etichetta e istruzioni per l’uso in tedesco ai dispositivi per test auto-diagnostici distribuiti in Germania, la stessa avrebbe agito nelle vesti di «fabbricante», immettendo in commercio i detti dispositivi sul mercato tedesco. Dai documenti resi disponibili alla Corte risulta chiaramente che la Servoprax non ha immesso in commercio tali dispositivi a nome proprio, ma, piuttosto, li ha venduti in Germania, dopo che gli stessi erano stati «immessi in commercio» in un altro Stato membro. È vero che la Servoprax si è chiaramente identificata come l’importatore e il distributore dei suddetti dispositivi in Germania, ma ciò non implica che li abbia commercializzati in Germania «a nome proprio», nel qual caso la Servoprax avrebbe dovuto presentarsi agli acquirenti come il «fabbricante» dei dispositivi ( 19 ).

    36.

    Di conseguenza, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, il distributore non può essere considerato un «fabbricante» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera f), primo comma, della direttiva né una persona soggetta agli stessi obblighi dei fabbricanti in conformità dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera f), secondo comma, della medesima direttiva ( 20 ). Pertanto, detto distributore non è tenuto a sottoporre i dispositivi che vende nell’Unione europea ad una nuova procedura o ad una procedura integrativa di valutazione della conformità, a norma dell’articolo 9 della direttiva.

    37.

    Tale ragionamento coincide essenzialmente con la raccomandazione formulata dalla Commissione nella proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai dispositivi medico‑diagnostici in vitro (in prosieguo: la «proposta di nuovo regolamento») ( 21 ). In tale documento la Commissione suggerisce che un distributore dovrebbe essere soggetto agli obblighi dei fabbricanti (anche in relazione alla valutazione della conformità) ( 22 ), se modifica un dispositivo già immesso sul mercato o messo in servizio in modo tale che la sua conformità alle prescrizioni applicabili possa risultare compromessa ( 23 ). Tuttavia, tale disposizione non si applica nel caso in cui il distributore fornisca unicamente una traduzione dell’etichetta e delle istruzioni per l’uso predisposte dal fabbricante in merito a un dispositivo già immesso sul mercato e di ulteriori informazioni necessarie per commercializzare il prodotto nello Stato membro interessato ( 24 ).

    38.

    A mio avviso è indifferente la questione se le istruzioni per l’uso allegate dal distributore ai dispositivi commercializzati nello Stato membro di distribuzione corrispondano o meno esattamente a quelle accluse dal fabbricante ai dispositivi distribuiti in tale Stato membro. Tale aspetto non ha un nesso diretto con la circostanza che il distributore immetta il dispositivo in commercio a proprio nome ed è quindi irrilevante al fine di stabilire se il distributore sia tenuto a sottoporre tale dispositivo ad una nuova valutazione della conformità ai sensi dell’articolo 9 della direttiva.

    39.

    Inoltre, la conclusione cui sono pervenuta non compromette l’obiettivo della direttiva di garantire un livello elevato di protezione della salute.

    40.

    In forza dell’articolo 3 della direttiva, i dispositivi devono soddisfare i pertinenti requisiti essenziali prescritti nell’allegato I ad essi applicabili in considerazione della loro destinazione d’uso ( 25 ). Di conseguenza, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, il distributore deve assicurare che le istruzioni per l’uso e l’etichetta del dispositivo per test autodiagnostici che mette in servizio in uno Stato membro contengano tutte le informazioni necessarie per garantire un’utilizzazione sicura e corretta e altresì che includano una traduzione nella/e lingua/e ufficiale/i di tale Stato membro ( 26 ). Ciò riecheggia le prescrizioni applicabili agli stessi fabbricanti quando estendono la commercializzazione di un dispositivo per test autodiagnostici ad altri Stati membri nell’Unione europea ( 27 ).

    41.

    I vari meccanismi di applicazione sono tali da incoraggiare il rispetto di tali prescrizioni.

    42.

    Così, un distributore inadempiente potrebbe essere ritenuto responsabile di qualsiasi danno causato dalla sua condotta negligente e, di conseguenza, potrebbe incorrere nell’obbligo di risarcire le vittime (applicazione da parte del soggetto privato).

    43.

    Inoltre, l’articolo 2 della direttiva obbliga gli Stati membri ad assicurare che i dispositivi rispondano ai requisiti di sicurezza e di qualità ivi prescritti quando gli stessi sono immessi in commercio. A mio avviso, alla luce dell’obiettivo della direttiva di garantire un elevato livello di tutela della salute, ciò implica il controllo della sicurezza e della qualità dei dispositivi che i distributori indipendenti (come la Servoprax) vendono sul loro territorio, compresa la qualità e la disponibilità delle informazioni necessarie per garantire un’utilizzazione sicura e corretta dei dispositivi stessi (applicazione da parte delle autorità pubbliche) ( 28 ).

    44.

    Tale dovere di controllo è completato dalla procedura di vigilanza di cui all’articolo 11 della direttiva, che richiede agli Stati membri di registrare e valutare a livello centrale qualsiasi informazione che sia stata loro comunicata con riguardo, tra l’altro, ad «ogni eventuale lacuna nell’etichetta o nelle istruzioni per l’uso» di un dispositivo recante la marcatura CE, che possa mettere in pericolo la vita di un paziente, di un utilizzatore o di altre persone, o portare ad un peggioramento grave del loro stato di salute, e di informare immediatamente la Commissione (e gli altri Stati membri) qualora abbiano adottato o intendano adottare le misure del caso (compresa la possibilità di ritirare il dispositivo dal mercato). A mio avviso, tale procedura di vigilanza dovrebbe essere attivata qualora uno Stato membro si accorga che un distributore ha venduto un dispositivo medico-diagnostico in vitro nel suo territorio corredato di un’etichetta o di istruzioni per l’uso che possono comportare un grave rischio per la salute umana e la sicurezza.

    45.

    Ciò detto, non posso condividere l’argomento della Commissione secondo cui, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, il distributore deve dare un preavviso al fabbricante relativamente al dispositivo medico-diagnostico in vitro prima di riconfezionarlo e metterlo in vendita, cosicché il fabbricante possa verificare se l’etichetta e le informazioni accluse al dispositivo soddisfino tutti i requisiti applicabili ( 29 ). Su questo punto la Commissione ha cercato di tracciare un’analogia tra la marcatura di conformità CE e la tutela accordata ai titolari di marchi quando i loro prodotti farmaceutici contrassegnati dal marchio sono oggetto di distribuzione parallela nel mercato interno ( 30 ). La Commissione sostiene inoltre che tale posizione corrisponde essenzialmente all’orientamento della proposta di nuovo regolamento.

    46.

    Allo stato attuale della normativa dell’Unione non vedo le basi per giustificare una procedura di preavviso come quella descritta nel precedente paragrafo.

    47.

    La giurisprudenza in materia di marchi cui si riferisce la Commissione non può portare, per analogia, ad un siffatto risultato. La procedura di preavviso e di autorizzazione previa sviluppata attraverso tale giurisprudenza mira a riconciliare la libera circolazione dei prodotti farmaceutici con la tutela dell’interesse legittimo dei titolari di un marchio contro, in particolare, il riconfezionamento da parte di un distributore parallelo che rischi di alterare lo stato originario del prodotto o di danneggiare la reputazione del marchio ( 31 ). Siffatto interesse legittimo deriva dall’oggetto specifico di un marchio d’impresa, che consiste, in particolare, nel garantire al titolare il diritto di godere del diritto esclusivo di utilizzare tale marchio per immettere un prodotto in commercio per la prima volta e quindi di proteggerlo da concorrenti propensi a trarre vantaggio dallo status e dalla reputazione del marchio vendendo prodotti che recano tale marchio illegalmente ( 32 ). Anche se la Corte ha concluso nel senso che il titolare non può far valere il diritto di marchio per opporsi allo smercio, con il suo marchio, dei prodotti riconfezionati da un importatore, essa ha nondimeno ritenuto necessario tutelare il proprietario contro qualsiasi abuso del proprio marchio ( 33 ).

    48.

    La marcatura CE apposta su un prodotto non conferisce al fabbricante di quest’ultimo un diritto esclusivo come quello appena descritto. Lo scopo della marcatura CE è diverso. Come emerge chiaramente dall’articolo 30, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 765/2008 ( 34 ), l’apposizione della marcatura CE ad un prodotto indica semplicemente che il fabbricante «accetta di assumersi la responsabilità della conformità del prodotto a tutte le prescrizioni applicabili stabilite nella normativa comunitaria di armonizzazione pertinente che ne dispone l’apposizione», incluse quindi le prescrizioni della direttiva relativa ai dispositivi medico‑diagnostici in vitro ( 35 ). Tale impegno non conferisce al fabbricante un diritto esclusivo, che potrebbe giustificare l’obbligo, per un distributore indipendente nella situazione come quella di cui al procedimento principale, di ottenere l’autorizzazione del fabbricante prima di commercializzare il dispositivo in questione nello Stato membro di distribuzione. Naturalmente tale conclusione non pregiudica gli obblighi che ho identificato nel paragrafo 40 delle presenti conclusioni e che (in base alla normativa già in vigore) gravano sul distributore in siffatte circostanze.

    49.

    Infine, le parti si sono soffermate sulla differenza tra le unità di misura relative ai valori di soglia della soluzione di controllo figuranti sulla Accu-Chek Aviva commercializzata dalla Roche Deutschland sul mercato tedesco (espressi sia in mmol/l che in mg/dl) e i valori indicati sullo stesso prodotto venduto dalla Servoprax in tale Stato membro tra il mese di giugno 2010 e l’autunno dello stesso anno (espressi unicamente in mmol/l). All’udienza, la Roche Deutschland ha confermato, in sostanza, che l’unità di misura «mg/dl» è stata aggiunta alle strisce reattive vendute in Germania in considerazione delle usanze e dei requisiti legali vigenti in tale Stato membro. Detta società ha altresì indicato che tale unità di misura era stata utilizzata nell’ambito della valutazione di conformità svolta dall’organismo notificato nel Regno Unito, oltre all’unità di misura «mmol/l». Su tale base, la Roche Deutschland ha sostenuto che la sicurezza del paziente potrebbe risultare compromessa dalle attività della Servoprax e che, per tale ragione, si rendeva necessaria una valutazione integrativa della conformità.

    50.

    Non condivido questa tesi.

    51.

    Anzitutto osservo che l’argomento della Roche Deutschland secondo cui sarebbe illegale commercializzare i prodotti Accu-Chek Aviva e Accu-Chek Compact in Germania utilizzando unicamente l’unità di misura «mmol/l» è stato palesemente confutato dal governo tedesco all’udienza. Inoltre, nessuno tra i documenti presentati alla Corte depone a favore della sussistenza di un tale divieto in Germania.

    52.

    In secondo luogo, i dispositivi distribuiti dalla Servoprax sul mercato tedesco recavano la marcatura CE ed erano stati oggetto di una valutazione della conformità ai sensi dell’articolo 9. Il fabbricante di tali dispositivi aveva quindi assunto la propria responsabilità della conformità di detti dispositivi con tutti i requisiti applicabili della direttiva ( 36 ). Di conseguenza, detti dispositivi potevano essere commercializzati in tutto il territorio dell’Unione europea senza una nuova valutazione o una valutazione integrativa della conformità, fatto salvo il rispetto (in particolare) degli obblighi di cui all’allegato I, sezione 8.1, parte B, primo, secondo e sesto comma, della direttiva. Come ho spiegato in precedenza, un distributore che agisca in violazione di detti obblighi corre il rischio di essere oggetto di un’azione civile nonché di essere destinatario di misure esecutive da parte delle competenti autorità nazionali ( 37 ).

    53.

    All’udienza, la Roche Deutschland ha cercato di avvalersi della giurisprudenza Laboratoires Lyocentre ( 38 ). In tale causa la Corte ha esaminato se la classificazione di un prodotto, in uno Stato membro, come dispositivo medico provvisto di marcatura CE, ai sensi della direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, concernente i dispositivi medici ( 39 ), precludesse alle autorità competenti di un altro Stato membro di classificare lo stesso prodotto come medicinale ai sensi dell’articolo 1, punto 2, lettera b), della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano ( 40 ). Pur rispondendo a tale questione in senso negativo, la Corte ha sottolineato che, prima di riclassificare il prodotto, le autorità nazionali competenti dovevano applicare il procedimento previsto dall’articolo 18 della direttiva 93/42 per l’apposizione indebita della marcatura CE. Per contro, nel caso presente non risulta che le autorità di uno Stato membro considerino che la marcatura CE sia stata apposta indebitamente su un dispositivo commercializzato nel territorio di tale Stato membro, o che sia stata apposta conformemente alla direttiva relativa ai dispositivi medico‑diagnostici in vitro su un prodotto di fatto non contemplato dalla direttiva stessa ( 41 ). Al contrario, nulla sta ad indicare che la marcatura CE sia stata apposta indebitamente o erroneamente sulle strisce reattive di cui trattasi nel procedimento principale ( 42 ).

    Conclusione

    54.

    Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di pronunciarsi, in risposta alle questioni pregiudiziali sollevate dal Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione, Germania), nel seguente modo:

    1)

    La direttiva 98/79/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 1998, relativa ai dispositivi medico‑diagnostici in vitro, come modificata, da ultimo, dalla direttiva del Consiglio 2011/100/UE del 20 dicembre 2011, deve essere interpretata nel senso che non impone ad un distributore parallelo di sottoporre i dispositivi medico‑diagnostici in vitro ad una nuova procedura o ad una procedura integrativa di valutazione della conformità nella/e lingua/e ufficiale/i dello Stato membro in cui il distributore parallelo intenda commercializzarli, qualora i dispositivi in questione siano già stati oggetto di una procedura di valutazione della conformità ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 98/79 in un altro Stato membro e in un’altra lingua, e quindi siano provvisti della marcatura di conformità CE, e qualora il distributore parallelo apponga su tali dispositivi una nuova etichetta e nuove istruzioni per l’uso in tale/i lingua/e ufficiale/i.

    2)

    È irrilevante la circostanza che le istruzioni per l’uso apposte dal distributore parallelo sui dispositivi commercializzati nello Stato membro di distribuzione corrispondano o meno letteralmente alle istruzioni per l’uso che il fabbricante fornisce assieme ai dispositivi in questione quando li commercializza in tale Stato membro.


    ( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

    ( 2 ) Direttiva 98/79/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 1998 (GU 1998, L 331, pag. 1). La versione di tale direttiva rilevante per i fatti oggetto del procedimento principale è quella da ultimo modificata dalla direttiva 2011/100/UE della Commissione, del 20 dicembre 2011 (GU 2011, L 341, pag. 50).

    ( 3 ) Considerando 2 e 3.

    ( 4 ) Considerando 5.

    ( 5 ) V., inoltre, il considerando 19, a tenore del quale l’attività di «fabbricazione (...) comprende anche l’imballaggio dei dispositivi medici in quanto sia connesso agli aspetti relativi alla sicurezza e alle prestazioni del dispositivo».

    ( 6 ) Primo comma.

    ( 7 ) Secondo comma.

    ( 8 ) Sesto comma.

    ( 9 ) 1 mmol/l corrisponde approssimativamente a 18 mg/dl.

    ( 10 ) Allegato II, elenco B, nono trattino.

    ( 11 ) Considerando 2, 3 e 5.

    ( 12 ) V. allegato IV, sezione 3.2.c, e allegato V, sezione 3, in combinato disposto con l’allegato III, sezione 3, dodicesimo trattino.

    ( 13 ) Dai documenti a disposizione della Corte emerge che le strisce Accu-Chek Aviva e Accu-Chek Compact acquistate dalla Servoprax ai fini dell’attività di distribuzione parallela soddisfacevano tali condizioni.

    ( 14 ) Articolo 14, paragrafo 1, della direttiva.

    ( 15 ) A proposito di quest’ultima procedura, v. paragrafo 44 delle presenti conclusioni.

    ( 16 ) Allegato I, parte B, sezioni 8.1. e 8.4.

    ( 17 ) Il controllo dell’adempimento di tale requisito fa parte degli obblighi incombenti agli Stati membri in forza dell’articolo 2 della direttiva. V. paragrafo 43 delle presenti conclusioni.

    ( 18 ) Quest’ultimo elemento è anche sostanzialmente parte della definizione di «fabbricante» ai sensi dell’articolo R1, paragrafo 3, della decisione n. 768/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008, relativa a un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti e che abroga la decisione 93/465/CEE (GU 2008, L 218, pag. 82), che si riferisce alla persona fisica o giuridica che commercializza un prodotto «apponendovi il proprio nome o marchio».

    ( 19 ) In tale caso, la Servoprax avrebbe dovuto necessariamente adempiere gli stessi obblighi incombenti al fabbricante, alle condizioni stabilite dall’articolo 1, paragrafo 2, lettera f), della direttiva.

    ( 20 ) È quindi superfluo esaminare la deroga contenuta nell’articolo 1, paragrafo 2, lettera f), secondo comma, seconda frase, della direttiva, riguardante la persona che, senza essere il fabbricante, compone o adatta per un singolo paziente dispositivi già immessi in commercio in funzione della loro destinazione d’uso.

    ( 21 ) COM(2012) 541 final. Il 24 maggio 2016, la presidenza olandese del Consiglio e taluni rappresentanti del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico su un nuovo regolamento riguardante i dispositivi medici in vitro (v. il comunicato stampa del Consiglio, «Dispositivi medici: raggiunto l’accordo su nuove norme dell’UE», 25 maggio 2016, http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2016/05/25-medical-devices//). Al momento della redazione, tuttavia, l’accordo doveva ancora essere approvato dal comitato dei rappresentanti permanenti presso il Consiglio e dalla commissione del Parlamento europeo per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare.

    ( 22 ) Articolo 40 della proposta di regolamento.

    ( 23 ) V. articolo 14, paragrafo 1, lettera c), primo comma, della proposta di regolamento.

    ( 24 ) Articolo 14, paragrafo 2, lettera a), della proposta di regolamento. Tuttavia, ai sensi della proposta di regolamento, il distributore deve indicare l’attività svolta, insieme al proprio nome, denominazione commerciale o marchio registrato e all’indirizzo presso cui può essere contattato e localizzato, sul dispositivo o, ove ciò non sia possibile, sul suo imballaggio o in un documento che accompagna il dispositivo (articolo 14, paragrafo 3, primo comma). Inoltre, il distributore deve disporre di un sistema di gestione della qualità comprendente procedure destinate a garantire, tra l’altro, che la traduzione delle informazioni sia esatta e aggiornata (articolo 14, paragrafo 3, secondo comma).

    ( 25 ) Tale regola si applica a prescindere dal fatto che i dispositivi siano «immessi in commercio» o «messi in servizio».

    ( 26 ) Parte B, sezione 8.1, primo e sesto comma, dell’allegato I.V., per analogia, sentenza dell’8 settembre 2005, Yonemoto, C‑40/04, EU:C:2005:519, punti 4748. È possibile che – contrariamente a quanto avviene nel procedimento principale – il fabbricante non commercializzi il dispositivo nello Stato membro in cui lo distribuisce un distributore indipendente. Le informazioni del fabbricante sull’etichetta e sulle istruzioni per l’uso potrebbero quindi non essere disponibili nella/e lingua/e ufficiale/i di tale Stato membro. Il distributore dovrà allora fornire tali informazioni traducendo le informazioni accluse al dispositivo in un’altra lingua.

    ( 27 ) V. supra, paragrafo 30. Riprende altresì la decisione n. 768/2008, che richiede ai distributori, in particolare, di «agire con la dovuta attenzione in relazione alle prescrizioni applicabili» e, prima di mettere un prodotto a disposizione sul mercato, di «verific[are] che il prodotto rechi la marcatura o le marcature di conformità prescritte» e che sia accompagnato dai documenti prescritti e da istruzioni e informazioni sulla sicurezza in una lingua che può essere facilmente compresa dai consumatori e dagli altri utenti finali nello Stato membro in cui il prodotto deve essere messo a disposizione sul mercato» (articolo R5, paragrafi 1 e 2, dell’allegato I della decisione n. 768/2008). Tuttavia, la decisione n. 768/2008 stabilisce semplicemente il quadro comune dei principi generali e delle disposizioni di riferimento per l’elaborazione della futura normativa dell’Unione europea di armonizzazione delle condizioni per la commercializzazione dei prodotti, senza tuttavia porre direttamente obblighi a carico dei distributori in una situazione come quella di cui al procedimento principale.

    ( 28 ) Allegato I, parte B, sezione 8.1.

    ( 29 ) Dalle osservazioni svolte dalla Commissione all’udienza non si deduce chiaramente se tale istituzione abbia addotto siffatto argomento sulla base della normativa vigente o della proposta di nuovo regolamento.

    ( 30 ) V., tra le altre, sentenze del 23 maggio 1978, Hoffmann-La Roche, 102/77, EU:C:1978:108; dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, e del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a., C‑143/00, EU:C:2002:246.

    ( 31 ) Sentenze del 23 maggio 1978, Hoffmann-La Roche, 102/77, EU:C:1978:108, punti da 7 a 12, e del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a., C‑143/00, EU:C:2002:246, punti 6162.

    ( 32 ) Sentenza dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punto 44.

    ( 33 ) Sentenze del 23 maggio 1978, Hoffmann-La Roche, 102/77, EU:C:1978:108, punti 1112, e dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punti 6869.

    ( 34 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008, che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n. 339/93 (GU 2008, L 218, pag. 30). Il regolamento n. 765/2008 stabilisce i principi generali della marcatura CE (articolo 1, paragrafo 4).

    ( 35 ) Tale ragionamento è coerente con la definizione di «marcatura CE» come una «marcatura mediante cui il fabbricante indica che il prodotto è conforme ai requisiti applicabili stabiliti nella normativa comunitaria di armonizzazione che ne prevede l’apposizione» (articolo 2, punto 20, del regolamento n. 765/2008).

    ( 36 ) V. paragrafo 48 delle presenti conclusioni.

    ( 37 ) V. paragrafi 42 e 43 delle presenti conclusioni.

    ( 38 ) Sentenza del 3 ottobre 2013, Laboratoires Lyocentre, C‑109/12, EU:C:2013:626.

    ( 39 ) GU 1993, L 169, pag. 1.

    ( 40 ) GU 2001, L 311, pag. 67.

    ( 41 ) L’articolo 17 della direttiva relativa ai dispositivi medico‑diagnostici in vitro si occupa specificamente dell’indebita marcatura CE.

    ( 42 ) V. paragrafo 15 delle presenti conclusioni.

    Top