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Document 62015CC0247

Conclusioni dell’avvocato generale P. Mengozzi, presentate il 22 settembre 2016.
Maxcom Ltd e a. contro Chin Haur Indonesia, PT.
Impugnazione – Dumping – Regolamento di esecuzione (UE) n. 501/2013 – Importazioni di biciclette spedite dall’Indonesia, dalla Malaysia, dallo Sri Lanka e dalla Tunisia – Estensione a tali importazioni del dazio antidumping definitivo istituito sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese – Regolamento (CE) n. 1225/2009 – Articolo 13 – Elusione – Articolo 18 – Omessa collaborazione – Prova – Insieme di indizi concordanti.
Cause riunite C-247/15 P, C-253/15 P e C-259/15 P.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2016:712

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 22 settembre 2016 ( 1 )

Cause riunite C‑247/15 P, C‑253/15 P e C‑259/15 P

Maxcom Ltd (C‑247/15 P),

Commissione europea (C‑253/15 P),

Consiglio dell’Unione europea (C‑259/15 P)

contro

Chin Haur Indonesia, PT

«Impugnazione — Politica commerciale — Dumping — Regolamento di esecuzione (UE) n. 501/2013 — Importazioni di biciclette spedite, in particolare, dall’Indonesia — Estensione a tali importazioni del dazio antidumpung definitivo istituito sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese — Regolamento (CE) n. 1225/2009 — Articoli 13 e 18 — Elusione — Omessa collaborazione di una parte dei produttori/esportatori interessati dall’inchiesta — Prova dell’elusione — Complesso di indizi concordanti — Difetto di motivazione — Violazione dei diritti procedurali»

1. 

Le presenti conclusioni riguardano tre impugnazioni con cui la Maxcom Ltd, la Commissione europea ed il Consiglio dell’Unione europea chiedono alla Corte di annullare la sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 19 marzo 2015, Chin Haur Indonesia/Consiglio ( 2 ) (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), mediante la quale quest’ultimo ha annullato l’articolo 1, paragrafi 1 e 3, del regolamento di esecuzione (UE) n. 501/2013 del Consiglio ( 3 ) (in prosieguo: il «regolamento controverso») nella parte che riguarda la società Chin Haur Indonesia, PT (in prosieguo: la «Chin Haur»), ricorrente dinanzi al Tribunale.

2. 

Le presenti tre cause riunite offrono per la prima volta ( 4 ) alla Corte l’occasione di pronunciarsi, nell’ambito di un’impugnazione, sulla normativa dell’Unione in materia di elusione dei dazi antidumping. Tale normativa, contenuta nell’articolo 13 del regolamento (CE) n. 1225/2009 (in prosieguo: il «regolamento di base») ( 5 ), consente alle istituzioni, in presenza di determinate condizioni, di estendere i dazi antidumping da esse istituiti sulle importazioni di un prodotto proveniente da un paese terzo alle importazioni di prodotti simili provenienti anche da un altro paese, per impedire l’elusione delle misure antidumping.

3. 

Più in particolare, la Corte avrà l’occasione di chiarire ulteriormente i requisiti relativi alla prova che la Commissione ed il Consiglio (in prosieguo, considerati congiuntamente: le «istituzioni») devono fornire per dimostrare l’esistenza di un’elusione. La giurisprudenza fornisce già talune indicazioni per quanto riguarda l’onere e al livello della prova richiesto. La Corte ha tuttavia fornito tali indicazioni in cause caratterizzate da un contesto fattuale particolare, nel quale le istituzioni si erano scontrate con il rifiuto di collaborazione da parte di tutte le parti interessate nel corso dell’inchiesta diretta a stabilire l’esistenza di un’elusione, inchiesta il cui fondamento è la collaborazione volontaria dei produttori/esportatori coinvolti.

4. 

Nelle presenti cause la Corte è chiamata a precisare, alla luce di detta giurisprudenza, i requisiti relativi alla prova che le istituzioni devono soddisfare per dimostrare l’esistenza di un’elusione in un diverso contesto di fatto, ovvero in una situazione caratterizzata dall’omessa collaborazione non di tutte le parti interessate, ma di una parte soltanto dei produttori/esportatori interessati dall’inchiesta.

I – Il contesto normativo

5.

Nonostante la questione dell’elusione sia stata discussa nell’ambito dei negoziati OMC-GATT, non è stato possibile raggiungere alcun accordo. Di conseguenza, il codice antidumping del 1994 ( 6 ) non contiene da ultimo alcuna disposizione in materia ( 7 ). In tali circostanze, l’Unione europea ha adottato unilateralmente la propria normativa antielusione ( 8 ).

6.

L’articolo 13, paragrafo 1, primo comma, terza frase, del regolamento di base definisce l’elusione come «una modificazione della configurazione degli scambi tra i paesi terzi e [l’Unione] o tra società del paese oggetto delle misure e [l’Unione] che derivi da pratiche, processi o lavorazioni per i quali non vi sia una sufficiente motivazione o giustificazione economica oltre all’istituzione del dazio, essendo provato che sussiste un pregiudizio o che risultano indeboliti gli effetti riparatori del dazio in termini di prezzi e/o di quantitativi dei prodotti simili, ed essendo provato altresì, se necessario conformemente alle disposizioni dell’articolo 2, che esiste un dumping in relazione ai valori normali precedentemente accertati per i prodotti simili».

7.

L’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento di base contiene un elenco non esaustivo delle pratiche, dei processi o delle lavorazioni di cui al comma precedente che includono, fra l’altro «la spedizione del prodotto oggetto delle misure attraverso paesi terzi» e, «nelle circostanze indicate al paragrafo 2, l’assemblaggio di parti per mezzo di operazioni di assemblaggio [nell’Unione] o in un paese terzo». L’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base definisce le tre condizioni cumulative ricorrendo le quali si ritiene che un’operazione di assemblaggio nell’Unione o in un paese terzo eluda le misure antidumping in vigore ( 9 ).

8.

A termini dell’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento di base, la Commissione avvia un’inchiesta, con regolamento, su propria iniziativa o su richiesta di uno Stato membro o di una parte interessata in base ad elementi di prova sufficienti relativi ai fattori enunciati nel paragrafo 1 dello stesso articolo. Se l’estensione delle misure antidumping è giustificata dai fatti definitivamente accertati, la relativa decisione è presa dal Consiglio che delibera su proposta della Commissione previa consultazione del comitato consultivo.

9.

L’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base prevede la possibilità di concedere esenzioni dalle misure antielusione a determinate società. Esso dispone che «non sono soggette (…) ad alcuna misura le importazioni effettuate da società che beneficiano di esenzioni. Le richieste di esenzione, sostenute da sufficienti elementi di prova, devono essere presentate entro i termini stabiliti dal regolamento della Commissione con il quale è avviata l’inchiesta. Se le pratiche, i processi o le lavorazioni intesi all’elusione delle misure hanno luogo al di fuori [dell’Unione], possono essere concesse esenzioni ai produttori del prodotto in esame che dimostrino di non essere collegati ad alcun produttore interessato dalle misure e per i quali si sia accertato che non sono coinvolti in pratiche di elusione ai sensi dei paragrafi 1 e 2 del presente articolo. (…) Dette esenzioni sono concesse con decisione della Commissione (…) o decisione del Consiglio che impone misure, e sono valide per il periodo e alle condizioni fissati nella decisione. (…) [L]e esenzioni possono essere concesse anche dopo la conclusione dell’inchiesta che ha portato all’estensione delle misure».

10.

L’articolo 18 del regolamento di base, intitolato «Omessa collaborazione», è così formulato:

«1.   Qualora una parte interessata rifiuti l’accesso alle informazioni necessarie oppure non le comunichi entro i termini fissati dal presente regolamento oppure ostacoli gravemente l’inchiesta, possono essere elaborate conclusioni provvisorie o definitive, affermative o negative, in base ai dati disponibili.

(…)

3.   Le informazioni presentate da una parte interessata che non sono perfettamente conformi alle condizioni richieste non devono essere disattese, a condizione che le eventuali carenze non siano tali da provocare eccessive difficoltà per l’elaborazione di conclusioni sufficientemente precise, che le informazioni siano state presentate correttamente entro i termini, che siano verificabili e che la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza.

(…)

6.   L’esito dell’inchiesta per una parte interessata che non collabora oppure collabora solo in parte, impedendo in tal modo l’accesso ad informazioni pertinenti, può essere meno favorevole rispetto alle conclusioni che eventualmente sarebbero state raggiunte se la parte avesse collaborato».

II – I fatti della controversia e il regolamento controverso

11.

I fatti della controversia sono illustrati in modo dettagliato ai punti da 1 a 28 della sentenza impugnata, ai quali rinvio. Ai fini del presente procedimento mi limito a ricordare che già nel 1993 l’Unione aveva imposto un dazio antidumping sulle importazioni all’interno della Comunità di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese. Successivamente, il dazio in parola è stato riesaminato in più occasioni ed è stato infine mantenuto in ragione del 48,5%, con regolamento di esecuzione (UE) n. 990/2011 ( 10 ).

12.

Nel 2012, a seguito di una denuncia, la Commissione ha avviato un’inchiesta riguardante l’eventuale elusione delle misure antidumping istituite dal regolamento n. 990/2011, mediante importazioni di biciclette spedite, tra l’altro, dall’Indonesia ( 11 ). Nell’ambito di tale inchiesta la Chin Haur ha presentato richiesta di esenzione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base. La Commissione ha effettuato una visita di verifica nei locali della Chin Haur in Indonesia ed ha infine rifiutato la richiesta di esenzione della Chin Haur per mancanza di affidabilità delle informazioni da quest’ultima fornite ( 12 ).

13.

Il 29 maggio 2013 il Consiglio ha adottato il regolamento controverso.

14.

In tale regolamento il Consiglio ha anzitutto affermato che, delle quattro società indonesiane che hanno presentato richiesta di esenzione, che rappresentavano il 91% del totale delle importazioni verso l’Unione dall’Indonesia, si è considerato che tre società abbiano collaborato, mentre i dati comunicati dalla quarta, ovvero la Chin Haur, si erano rivelati non verificabili e poco attendibili,, di modo che non è stato possibile prenderli in considerazione ( 13 ). Di conseguenza, al considerando 33 di detto regolamento il Consiglio ha affermato che le conclusioni riguardanti la Chin Haur erano state basate sui dati disponibili, conformemente all’articolo 18 del regolamento di base.

15.

Poi, il Consiglio ha rilevato che tutte le condizioni per constatare l’esistenza di un’elusione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base erano soddisfatte ( 14 ).

16.

Per quanto riguarda, nello specifico, le pratiche di elusione in Indonesia, il Consiglio ha esaminato, anzitutto, l’esistenza di operazioni di trasbordo. A tale proposito, i considerando da 61 a 64 del regolamento controverso così recitano:

«(61)

Per tre di esse che hanno inizialmente cooperato, non sono emerse pratiche di trasbordo dall’inchiesta.

(62)

Per quanto riguarda la quarta società [ossia la Chin Haur], è giustificata l’applicazione dell’articolo 18 del regolamento di base, come già illustrato nei considerando da 29 a 33. Dall’inchiesta è emerso che i macchinari posseduti dalla società non giustificavano il volume delle sue esportazioni nell’Unione nel periodo di riferimento e in assenza di altre giustificazioni si può concludere che la società fosse coinvolta in pratiche di elusione attraverso il trasbordo.

(63)

Per quanto riguarda le restanti esportazioni verso l’Unione, è mancata qualsiasi collaborazione (…).

(64)

Di conseguenza, alla luce della modificazione della configurazione degli scambi tra l’Indonesia e l’Unione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base, richiamata, a titolo di conclusione, nel considerando 58, e tenuto conto delle conclusioni relative a una società indonesiana contenute nel considerando [62], nonché del fatto che non tutti i produttori esportatori indonesiani si sono manifestati e hanno collaborato, si conferma l’esistenza del trasbordo di prodotti originari della [Repubblica popolare cinese] attraverso l’Indonesia».

17.

Il Consiglio ha quindi rilevato che in Indonesia non era stata dimostrata l’esistenza di operazioni di assemblaggio, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, ( 15 ).

18.

Ciò premesso, da un lato, il Consiglio ha concluso per l’esistenza di un’elusione mediante operazioni di trasbordo attraverso l’Indonesia ed ha esteso il dazio antidumping definitivo previsto dal regolamento di esecuzione n. 990/2011 alle importazioni di biciclette spedite dall’Indonesia ( 16 ) e, dall’altro, a motivo della rilevata mancanza di effettiva collaborazione, ha negato l’esenzione alla Chin Haur conformemente all’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base ( 17 ).

III – Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

19.

Il 9 agosto 2013 la Chin Haur ha presentato un ricorso dinanzi al Tribunale diretto all’annullamento dell’articolo 1, paragrafi 1 e 3, del regolamento controverso.

20.

L’8 ottobre 2013 il Tribunale ha accolto l’istanza presentata dalla Chin Haur diretta a far statuire mediante un procedimento accelerato ( 18 ).

21.

Con ordinanza dell’11 novembre 2013, il presidente della Settima Sezione del Tribunale ha ammesso la Commissione ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Tuttavia, la Commissione non è stata autorizzata a presentare una memoria d’intervento ( 19 ). Il 25 giugno 2014, poiché la causa è stata sottoposta a procedimento accelerato, la Commissione ha presentato domanda di essere autorizzata a depositare una memoria di intervento quale misura di organizzazione del procedimento ( 20 ). Tale domanda è stata respinta dal Tribunale.

22.

La Maxcom è stata ammessa ad intervenire con ordinanza del 16 luglio 2014.

23.

A sostegno del proprio ricorso, la Chin Haur ha invocato tre motivi. Il primo motivo verteva sulla violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, e dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento di base. Con la prima parte di tale motivo, la Chin Haur contestava la conclusione del Consiglio relativa all’esistenza di una modificazione della configurazione degli scambi. Con la seconda parte di detto motivo, la Chin Haur metteva in discussione la conclusione del Consiglio, figurante al considerando 62 del regolamento controverso, secondo cui la stessa era coinvolta in operazioni di trasbordo. Il secondo motivo verteva sulla violazione dell’articolo 18 del regolamento di base, sul principio di proporzionalità e sull’obbligo di motivazione. Esso riguardava l’accertamento operato dal Consiglio dell’omessa collaborazione della Chin Haur. Il terzo motivo verteva su una violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base e del principio di parità di trattamento e concerneva l’accertamento operato dal Consiglio dell’esistenza di un dumping.

24.

Con la sentenza impugnata il Tribunale ha respinto la prima parte del primo motivo nonché il secondo e il terzo motivo in quanto infondati. Esso ha accolto, invece, la seconda parte del primo motivo, segnatamente la prima censura con cui la Chin Haur contestava la conclusione enunciata al considerando 62 del regolamento controverso, secondo cui essa non disponeva di capacità produttive sufficienti a giustificare i suoi volumi di esportazione verso l’Unione.

25.

A tale riguardo il Tribunale ha analizzato, in primo luogo, ai punti da 81 a 94 della sentenza impugnata, gli elementi comunicati dalla Chin Haur nel corso dell’inchiesta ed ha dichiarato che tali elementi non consentivano di dimostrare che tale società fosse realmente un esportatore d’origine indonesiana o che rispondesse ai criteri previsti dall’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base.

26.

In secondo luogo, ai punti da 95 a 103 di detta sentenza, il Tribunale ha esaminato gli elementi di cui disponeva il Consiglio per concludere per l’esistenza di operazioni di trasbordo effettuate dalla Chin Haur. A seguito di tale analisi, al punto 104 di detta sentenza il Tribunale ha dichiarato che, sulla base dei suddetti elementi, il Consiglio non disponeva di sufficienti indizi per sostenere la sua conclusione formulata al considerando 62 del regolamento controverso. Al punto 105 di detta sentenza il Tribunale ha altresì considerato che il fatto che la Chin Haur non fosse stata in grado di dimostrare che era un produttore indonesiano o che soddisfaceva quanto prescritto dall’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base non consentiva al Consiglio di concludere, in modo automatico, per l’esistenza di operazioni di trasbordo effettuate dalla Chin Haur, posto che una siffatta eventualità non emergeva in alcun modo dal regolamento di base o dalla giurisprudenza. Il Tribunale ha pertanto accolto la seconda parte del primo motivo, senza occuparsi delle altre due censure sollevate dalla Chin Haur. Di conseguenza, ha annullato l’articolo 1, paragrafi 1 e 3, del regolamento controverso «nella parte in cui concerne» la Chin Haur.

IV – Conclusioni delle parti

27.

Con le loro impugnazioni la Maxcom, la Commissione e il Consiglio chiedono alla Corte di annullare la sentenza impugnata, di respingere il ricorso in prima istanza e di condannare la Chin Haur alle spese. In via subordinata, la Commissione e il Consiglio chiedono di rinviare la causa al Tribunale ai fini del riesame e di riservare le spese dei due gradi di giudizio.

28.

La Chin Haur chiede alla Corte di respingere integralmente le impugnazioni contro la sentenza impugnata e di condannare la Maxcom, la Commissione e il Consiglio alle spese. In via subordinata, nel caso in cui la Corte dovesse annullare la sentenza impugnata, la Chin Haur chiede alla Corte di pronunciarsi sul suo ricorso in prima istanza, di accogliere le due rimanenti censure della seconda parte del primo motivo da essa dedotto dinanzi al Tribunale e di annullare parzialmente l’articolo 1, paragrafi 1 e 3, del regolamento controverso nella parte in cui queste disposizioni estendono il dazio antidumping istituito sulle importazioni di biciclette originarie della Cina alla Chin Haur e respingono la richiesta di esenzione presentata dalla Chin Haur.

V – Analisi

29.

La Maxcom deduce due motivi avverso la sentenza impugnata, il primo in via principale e il secondo in via subordinata, la Commissione ne deduce tre ed il Consiglio, a sua volta, ne deduce due. I motivi invocati nelle tre impugnazioni coincidono ampiamente e, in sostanza, possono essere riuniti in tre gruppi.

30.

In primo luogo, la Maxcom, la Commissione e il Consiglio affermano che il Tribunale ha commesso diversi errori di diritto nell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base ( 21 ). In secondo luogo, la Commissione e il Consiglio asseriscono che la sentenza impugnata è viziata da un difetto di motivazione e da una motivazione contradditoria; nello stesso contesto, il Consiglio fa altresì valere che il Tribunale avrebbe snaturato i fatti ( 22 ). In terzo luogo, la Commissione sostiene che il Tribunale ha violato i suoi diritti procedurali ( 23 ).

A – Sui motivi vertenti su un’errata applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base

1. Argomentazioni delle parti

31.

In un primo gruppo di motivi la Maxcom, la Commissione e il Consiglio sostengono, sostanzialmente, che il ragionamento svolto ai punti da 95 a 105 della sentenza impugnata, sulla base del quale il Tribunale ha annullato il regolamento controverso, è inficiato da diversi errori di diritto nell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base.

32.

In primo luogo, la Maxcom rimprovera al Tribunale di aver manifestatamente applicato in maniera errata detta disposizione, affermando che il Consiglio non poteva concludere, sulla base degli elementi a sua disposizione, che la Chin Haur fosse stata coinvolta in operazioni di trasbordo.

33.

Secondo la Maxcom, anzitutto, il ragionamento del Tribunale non terrebbe conto del fatto che è pacifico che la Chin Haur abbia importato parti di biciclette da un produttore cinese collegato alla stessa Chin Haur e che la medesima abbia esportato biciclette verso l’Unione. Ciò posto il Tribunale, dopo aver constatato che la Chin Haur non era stata in grado di dimostrare di essere un reale produttore indonesiano di biciclette o di effettuare operazioni di assemblaggio che non superassero i limiti stabiliti dall’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, avrebbe dovuto qualificare come trasbordo le attività d’import-export della Chin Haur.

34.

Inoltre, secondo la Maxcom, gli elementi sui quali si è basato il Tribunale, ai punti da 95 a 102 della sentenza impugnata, per concludere che il Consiglio non disponeva di indizi sufficienti per affermare che la Chin Haur non fosse coinvolta in operazioni di trasbordo, sarebbero privi di pertinenza. Nella fattispecie, la questione essenziale sarebbe l’omessa collaborazione della Chin Haur, che avrebbe impedito alla Commissione di crearsi un quadro completo delle attività di tale società, cosicché gli accertamenti ad essa relativi hanno dovuto fondarsi sull’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento di base. La sentenza impugnata ricompenserebbe la Chin Haur per la sua omessa collaborazione e sarebbe contraria sia alla finalità del regolamento di base che alla giurisprudenza. Del resto, le istituzioni non sarebbero tenute a provare in maniera precisa l’esistenza di precise pratiche di elusione. Esse dovrebbero soltanto provare che la modificazione degli scambi deriva da operazioni di elusione. Ne conseguirebbe che l’annullamento del regolamento controverso per il fatto che le istituzioni non disponessero di prove sufficienti per affermare l’esistenza di pratiche di trasbordo configurerebbe un errore manifesto di diritto.

35.

In secondo luogo, la Commissione e il Consiglio sostengono che, nella sentenza impugnata, il Tribunale muoverebbe dalla premessa implicita che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base imponga l’obbligo alle istituzioni di dimostrare che tutti i produttori/esportatori nel paese oggetto dell’inchiesta siano coinvolti in pratiche di trasbordo. Siffatta interpretazione sarebbe errata. Innanzi tutto, essa sarebbe in contrasto con l’obbligo di valutare le condizioni contemplate dall’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base a livello del paese, e non a livello dei singoli esportatori. Poi, renderebbe l’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base del tutto privo di oggetto. Inoltre, confonderebbe la nozione di «pratica di elusione» con una delle sue manifestazioni, ovvero il trasbordo. Orbene, le istituzioni non sarebbero tenute a provare specificamente l’esistenza di precise pratiche di elusione. Infine, nel valutare i diversi motivi il Tribunale avrebbe adottato interpretazioni contradditorie della nozione di pratica di elusione.

36.

In terzo luogo, la Maxcom, la Commissione e il Consiglio sostengono che, anche se il Consiglio avesse commesso un errore affermando che la Chin Haur era coinvolta in operazioni di trasbordo, ciò non sarebbe stato sufficiente, di per sé, per annullare il regolamento controverso. Infatti, la dichiarazione dell’esistenza di pratiche di trasbordo attraverso l’Indonesia, riportata al considerando 64 del regolamento controverso, non si baserebbe solamente sull’affermazione riguardante la Chin Haur, ma anche sul fatto, da un lato, che taluni produttori che rappresentavano il 9% delle esportazioni dall’Indonesia verso l’Unione non avessero in alcun modo collaborato all’inchiesta e che, dall’altro, da ultimo non fosse stata ottenuta alcuna collaborazione da parte della Chin Haur, la quale rappresentava il 42% di dette esportazioni. Pertanto, anche in caso di errore per quanto attiene ai trasbordi della Chin Haur, il Consiglio avrebbe potuto legittimamente concludere che avessero avuto luogo trasbordi attraverso l’Indonesia, e ciò, come richiesto dalla giurisprudenza, sulla base di un complesso di indizi concordanti, relativi agli altri produttori/esportatori indonesiani, e basati sui dati disponibili.

37.

La Chin Haur contesta tutte le argomentazioni dei ricorrenti. In via preliminare essa sostiene che gli argomenti relativi alla conclusione del Tribunale secondo cui non vi erano prove sufficienti dell’esistenza di operazioni di trasbordo da parte della Chin Haur vertono sulla valutazione dei fatti e, dunque, sono irricevibili. Poi, secondo la Chin Haur, in primo luogo, la questione in esame attiene fondamentalmente all’onere della prova dell’esistenza di un’elusione e, in particolare, di trasbordi. Il Tribunale si sarebbe limitato ad affermare che tale onere è a carico delle istituzioni e che, nella fattispecie, queste ultime non l’hanno soddisfatto. La distinzione fra la valutazione dell’elusione a livello del paese e quella a livello del singolo esportatore non sarebbe supportata dalla lettera del regolamento di base e sarebbe priva di pertinenza nel caso di specie, giacché lo stesso Consiglio avrebbe fuso i due criteri nel regolamento controverso. Inoltre, il Tribunale non avrebbe in alcun momento affermato che le istituzioni dovessero dimostrare positivamente che ogni singolo produttore/esportatore svolgesse operazioni di trasbordo. I ricorrenti confonderebbero l’onere della prova, che grava sulle istituzioni, con il livello della prova richiesto, che può essere ridotto in caso di omessa collaborazione, conformemente all’articolo 18 del regolamento di base. Tuttavia, contrariamente alla situazione all’origine della causa Simon, Evers & Co. ( 24 ), nel caso di specie, da un lato, le istituzioni non disponevano di alcun complesso di indizi concordanti e riguardanti l’esistenza di trasbordi e, dall’altro, talune imprese avevano collaborato all’inchiesta.

38.

In secondo luogo, relativamente alla censura vertente sul fatto che i rilievi del Tribunale non sarebbero stati sufficienti per annullare il regolamento controverso, la Chin Haur sostiene che, in tale regolamento, il Consiglio non avrebbe affatto constatato che produttori indonesiani diversi dalla stessa avessero svolto operazioni di trasbordo. L’unica constatazione che figurava nel regolamento controverso sarebbe che taluni produttori, che rappresentavano una piccola parte della produzione totale, non avevano collaborato. Orbene, alla luce della giurisprudenza della Corte, nulla autorizzerebbe le istituzioni a desumere l’esistenza di pratiche di trasbordo semplicemente dalla mera mancanza di collaborazione di singoli produttori-esportatori.

2. Valutazione

a) Sulla ricevibilità

39.

Per quanto riguarda la censura attinente all’irricevibilità sollevata in via preliminare dalla Chin Haur (v. paragrafo 37 delle presenti conclusioni), si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza, il Tribunale è il solo competente ad accertare ed a valutare i fatti e, in linea di principio, ad esaminare le prove sulle quali ha basato il proprio accertamento dei fatti stessi. Invero, una volta che tali prove siano state acquisite regolarmente, che i principi generali del diritto nonché le norme di procedura applicabili in materia di onere e di produzione della prova siano stati rispettati, spetta esclusivamente al Tribunale valutare il valore da attribuire agli elementi dinanzi ad esso prodotti. Salvo il caso dello snaturamento di detti elementi, la valutazione in discorso non costituisce pertanto una questione di diritto soggetta, in quanto tale, al sindacato della Corte. Tuttavia, una volta che il Tribunale abbia accertato o valutato i fatti, la Corte, ai sensi dell’articolo 256 TFUE, è competente ad effettuare un controllo sulla qualificazione giuridica di tali fatti e sulle conseguenze di diritto che il Tribunale ne ha tratto ( 25 ).

40.

Pertanto, nei limiti in cui i ricorrenti contestano le valutazioni degli elementi di fatto effettuate dal Tribunale, incluse quelle figuranti ai punti da 96 a 102 della sentenza impugnata, le loro censure devono essere considerate irricevibili.

41.

Si deve tuttavia constatare che, come rilevato dalla stessa Chin Haur, nell’ambito delle censure relative ad errori nell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base, le presenti impugnazioni sollevano sostanzialmente delle questioni collegate all’onere ed al livello della prova richiesto per dimostrare l’esistenza di un’elusione. Pertanto, dal momento che le succitate censure non riguardano l’accertamento dei fatti e l’esame delle prove effettuati dal Tribunale, ma vertono sulla violazione delle norme applicabili in materia di prova, la quale, secondo la giurisprudenza, configura una questione di diritto ( 26 ), tali censure devono ritenersi ricevibili.

b) La normativa dell’Unione in materia di elusione alla luce della giurisprudenza

42.

Prima di esaminare le censure vertenti sulla violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base, occorre analizzare la normativa dell’Unione in materia di elusione alla luce della giurisprudenza pertinente. Tale normativa si propone di assicurare l’efficacia delle misure antidumping istituite e di evitare che queste vengano eluse ( 27 ).

43.

Dalla definizione di cui all’articolo 13, paragrafo 1, terza frase, del regolamento di base, richiamata al paragrafo 6 delle presenti conclusioni, emerge che, per dimostrare l’esistenza di un’elusione, devono ricorrere quattro condizioni: i) deve esservi una modificazione della configurazione degli scambi fra il paese terzo di cui trattasi e l’Unione; ii) tale modificazione deve derivare da pratiche, processi o lavorazioni per i quali non vi sia una sufficiente motivazione o giustificazione economica oltre all’istituzione del dazio; iii) deve esservi la prova dell’esistenza di un pregiudizio, e iv) deve esservi la prova dell’esistenza di un dumping. Nelle presenti impugnazioni, solo il secondo dei suddetti elementi costitutivi di un’elusione è oggetto di contestazione, dato che l’esistenza degli altri tre elementi è stata definitivamente accertata.

44.

Nella propria sentenza Simon, Evers & Co. ( 28 ), la Corte ha rilevato che la summenzionata definizione di elusione è formulata in termini oltremodo generici che lasciano un ampio margine di manovra alle istituzioni ( 29 ). Il riconoscimento di tale margine di manovra è peraltro coerente con l’ampio potere discrezionale di cui, secondo la giurisprudenza, dispongono in generale le istituzioni in materia di politica commerciale comune, e specialmente nell’ambito delle misure di difesa commerciale, in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che esse devono esaminare ( 30 ). Esso implica, inoltre, che il controllo giurisdizionale sia circoscritto alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’assenza di errori manifesti nella valutazione di tali fatti o della mancanza di sviamento di potere ( 31 ).

45.

Sempre nella sentenza Simon, Evers & Co. ( 32 ), la Corte ha del pari affermato che dal regolamento di base, e in particolare dall’articolo 13, paragrafo 3, dello stesso, risulta che l’onere della prova dell’esistenza di un’elusione grava sulle istituzioni ( 33 ). Quando le istituzioni decidono di estendere a un altro paese i dazi antidumping da esse istituiti sulle importazioni provenienti da un determinato paese, le stesse hanno l’onere di dimostrare che tutti gli elementi costitutivi di un’elusione di tali dazi, indicati dall’articolo 13, paragrafo 1, terza frase, del regolamento di base, sono presenti ( 34 ).

46.

Una volta che le istituzioni abbiano provato che i quattro requisiti sono soddisfatti e che, di conseguenza, si sia dimostrata l’esistenza di un’elusione in relazione al paese oggetto dell’inchiesta, i dazi antidumping precedentemente istituiti vengono estesi a tutte le importazioni provenienti dal paese in questione.

47.

Un produttore/esportatore del prodotto in esame originario di detto paese, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base, può ottenere un’esenzione individuale dai dazi antielusione in tal modo istituiti qualora lo stesso abbia presentato, entro i termini stabiliti, una richiesta di esenzione sostenuta da sufficienti elementi di prova e, nel caso in cui le pratiche di elusione abbiano luogo al di fuori dell’Unione, quando sussistano due requisiti: in primo luogo, se questi è in grado di dimostrare di non essere collegato ad alcun produttore interessato dalle misure e, in secondo luogo, se si è accertato che tale produttore non è coinvolto in pratiche di elusione ( 35 ).

48.

Dalla logica e dall’economia della normativa dell’Unione in materia di elusione risulta quindi che l’analisi volta a verificare che le quattro condizioni previste all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base sono soddisfatte è volta a provare l’esistenza di un’elusione dei dazi antidumping a livello del paese oggetto dell’inchiesta antielusione. Invece, la situazione specifica dei singoli produttori/esportatori assume rilevanza nell’ambito dell’analisi di cui all’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base. Nondimeno, siffatta struttura della normativa antielusione non impedisce che, come nel caso di specie, accertamenti relativi ad uno o più singoli produttori/esportatori possano essere utilizzati per supportare conclusioni relative all’esistenza degli elementi costitutivi di un’elusione, segnatamente l’esistenza di pratiche di elusione, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base ( 36 ).

49.

Nella sua giurisprudenza, in particolare nelle sentenze Simon, Evers & Co. ( 37 ) e APEX ( 38 ), la Corte ha fornito indicazioni anche per quanto riguarda il livello della prova necessario per dimostrare l’esistenza degli elementi costitutivi di un’elusione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base. Al riguardo, la Corte ha sottolineato che, nell’ambito di un’inchiesta sull’esistenza di un’elusione, le istituzioni non dispongono del potere di obbligare i produttori/esportatori interessati a partecipare all’inchiesta o a produrre informazioni. Le istituzioni sono pertanto tributarie della collaborazione volontaria delle parti interessate a fornir loro le informazioni necessarie. Per questo motivo, il regolamento di base ha previsto, all’articolo 18, paragrafi 1 e 6, che, in caso di omessa collaborazione, la Commissione possa, da un lato, elaborare conclusioni «in base ai dati disponibili» e, dall’altro, per la parte che non collabora oppure collabora solo in parte, far risultare un «esito dell’inchiesta (…) meno favorevole rispetto alle conclusioni che eventualmente sarebbero state raggiunte se la parte avesse collaborato» ( 39 ).

50.

Da ciò la Corte ha esplicitamente desunto che, nell’ipotesi dell’omessa collaborazione, i paragrafi 1 e 6 dell’articolo 18 del regolamento di base mirano nettamente ad attenuare l’onere della prova di un’elusione che grava sulle istituzioni ( 40 ).

51.

La Corte ha precisato che il legislatore dell’Unione non ha inteso stabilire una presunzione legale che consenta di desumere automaticamente dall’omessa collaborazione delle parti interessate o coinvolte l’esistenza di un’elusione e che, quindi, dispensi le istituzioni da qualsiasi esigenza di prova ( 41 ).

52.

Tuttavia, tenuto conto della possibilità di elaborare conclusioni, anche definitive, in base ai dati disponibili e di trattare la parte che non coopera o che coopera solo parzialmente in modo meno favorevole rispetto al caso in cui avesse cooperato, la Corte ha affermato che, nell’ipotesi di totale mancanza di collaborazione, le istituzioni sono autorizzate a basarsi su un complesso di indizi concordanti che consentano di concludere per l’esistenza di un’elusione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base ( 42 ).

53.

Tale attenuazione dell’onere della prova trova la propria ratio nella necessità di evitare di compromettere l’efficacia delle misure di difesa commerciale dell’Unione ogni qual volta le istituzioni si scontrino con un rifiuto di collaborazione nell’ambito di un’inchiesta diretta ad accertare un’elusione ( 43 ).

54.

Al riguardo è tuttavia opportuno rilevare che le sentenze Simon, Evers & Co. e APEX riguardavano inchieste antielusione caratterizzate da un’omessa collaborazione da parte di tutte le parti interessate ( 44 ). Al contrario, l’inchiesta di cui trattasi nelle cause qui in esame si differenzia per il fatto che, come risulta dal paragrafo 14 delle presenti conclusioni, alcune imprese interessate hanno collaborato e che, nei loro confronti, è stato accertato che non erano coinvolte in pratiche di elusione. Ciò premesso, si pone la questione della misura in cui i principi giurisprudenziali, esposti nelle due sentenze succitate relativamente al livello della prova necessario per dimostrare l’esistenza di un’elusione, siano trasferibili a un caso che si caratterizza per un diverso contesto fattuale.

c) Sulle censure vertenti sulla violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base

i) Osservazioni preliminari

55.

Come si è già osservato, le censure vertenti sulla violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base rimettono in causa l’analisi concernente soltanto il secondo elemento costitutivo di un’elusione, di cui ai paragrafi 6 e 43 delle presenti conclusioni, ovvero la necessità che la modificazione della configurazione degli scambi derivi da pratiche di elusione per le quali non vi sia una sufficiente motivazione o giustificazione economica oltre all’istituzione del dazio antidumping. Tuttavia, prima di esaminare tali censure, si impongono tre considerazioni di natura preliminare.

56.

In primo luogo, rilevo che, come emerge dal paragrafo 16 delle presenti conclusioni, la conclusione del Consiglio relativa all’esistenza di pratiche di trasbordo di biciclette cinesi attraverso l’Indonesia (considerando 64 del regolamento controverso) poggia su tre elementi, tra cui figura l’affermazione del coinvolgimento della Chin Haur in operazioni di trasbordo (affermazione effettuata al considerando 62 del regolamento controverso).

57.

In tali circostanze, si deve necessariamente rilevare che, nel regolamento di cui trattasi, l’accertamento relativo ad un produttore singolo (la Chin Haur) è uno degli elementi su cui poggia la conclusione dell’esistenza di pratiche di elusione a livello del paese (l’Indonesia). In altri termini, come correttamente evidenziato dalla Chin Haur, nel regolamento in questione il Consiglio, nell’intento di provare l’esistenza del secondo elemento costitutivo di un’elusione, ha operato una sorta di «fusione» tra l’analisi a livello del paese e quella a livello individuale, menzionate al paragrafo 48 delle presenti conclusioni.

58.

In secondo luogo, come risulta dai paragrafi da 24 a 26 delle presenti conclusioni, nella sentenza impugnata il Tribunale ha annullato parzialmente il regolamento controverso «nella parte in cui concerne» la Chin Haur, accogliendo il suo primo motivo e considerando insufficientemente provato l’accertamento che riguardava detta società, figurante al considerando 62 del regolamento controverso ( 45 ).

59.

Ai punti pertinenti della sentenza impugnata il Tribunale non indica esplicitamente le disposizioni del regolamento di base che, a suo avviso, sono state violate dal Consiglio. Ciononostante, poiché il primo motivo del ricorso presentato dinanzi a detto giudice riguardava la violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, e dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento di base, è evidente che il Tribunale ha annullato il regolamento controverso a motivo della violazione di tali disposizioni.

60.

Orbene, un annullamento fondato sulla violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base presuppone che l’accertamento dell’esistenza di uno degli elementi costitutivi di un’elusione, previsti dalla medesima disposizione, sia errato. Ne consegue che, nella sentenza impugnata il Tribunale ha ritenuto, anche se non lo ha esplicitamente affermato, che la conclusione adottata nel regolamento controverso relativa al secondo elemento costitutivo dell’elusione fosse errata.

61.

Nel regolamento controverso, la conclusione riguardante la sussistenza di detto secondo elemento costitutivo, specificamente la conclusione relativa all’esistenza di pratiche di elusione a livello dell’Indonesia, figura al considerando 64 del regolamento controverso. Il Tribunale ha tuttavia rilevato un errore relativo all’accertamento del fatto che la Chin Haur fosse coinvolta in operazioni di trasbordo (accertamento figurante al considerando 62 del regolamento controverso).

62.

In tali circostanze, il Tribunale, avendo fondato l’annullamento del regolamento controverso sulla violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base, ha necessariamente ritenuto, in modo implicito, che l’errore rilevato per quanto attiene all’accertamento riguardante la Chin Haur abbia irrimediabilmente invalidato la conclusione relativa al secondo elemento costitutivo dell’elusione, nello specifico la conclusione relativa all’esistenza di pratiche di elusione attraverso l’Indonesia. In altri termini, il Tribunale ha ritenuto che l’errore rilevato per quanto riguarda il considerando 62 del regolamento controverso abbia «fatto cadere» la conclusione generale figurante al considerando 64 dello stesso regolamento.

63.

In terzo luogo, è pacifico che la Chin Haur abbia fornito informazioni non verificabili e inattendibili e che, di conseguenza, a ragione si sia affermato che la stessa non aveva effettivamente collaborato all’inchiesta. Pertanto, nel regolamento controverso le conclusioni che la riguardano si sono correttamente fondate sui dati disponibili, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento di base ( 46 ).

ii) Sulle censure relative alle conclusioni del Tribunale riguardanti il coinvolgimento della Chin Haur in operazioni di trasbordo

64.

Occorre anzitutto esaminare l’argomentazione dei ricorrenti secondo cui il Tribunale, ai punti da 95 a 105 della sentenza impugnata, ha applicato in maniera erronea l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base.

65.

In detti punti della sentenza impugnata il Tribunale ha ritenuto che, in base agli elementi presenti nel fascicolo, il Consiglio non disponesse di indizi sufficienti per concludere, al considerando 62 del regolamento controverso, che la Chin Haur non possedeva sufficienti capacità di produzione, in considerazione dei volumi esportati verso l’Unione, né, pertanto, che era coinvolta in operazioni di trasbordo. Per giungere a tale conclusione il Tribunale, in primo luogo, ai punti da 96 a 101 di detta sentenza, ha analizzato gli accertamenti operati dagli agenti della Commissione in occasione della visita di verifica nei locali della Chin Haur, ed ha concluso che nessuno di detti accertamenti, singolarmente o congiuntamente considerati, indicasse in modo convincente l’esistenza dei trasbordi. In secondo luogo, al punto 102 di detta sentenza, il Tribunale ha rilevato, da un lato, che la Chin Haur contestava la maggior parte delle constatazioni desunte dalla relazione della missione degli agenti della Commissione su cui si era fondato il Consiglio e, d’altro, che altre foto a cui aveva fatto riferimento il Consiglio non fornivano alcuna indicazione in merito all’esistenza di operazioni di trasbordo. In terzo luogo, al punto 103 della stessa sentenza, dopo aver rilevato che il Consiglio aveva fondato il proprio ragionamento anche sul fatto che la Chin Haur non avesse dimostrato di essere effettivamente un produttore indonesiano di biciclette o di soddisfare i criteri previsti all’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, il Tribunale ha affermato che da una simile constatazione, di per sé, non è possibile evincere che la Chin Haur partecipasse ad operazioni di trasbordo.

– Sull’oggetto e sul livello della prova necessario nel caso dell’omessa collaborazione all’inchiesta antielusione di una parte dei produttori/esportatori in oggetto

66.

L’argomentazione dei ricorrenti pone, innanzi tutto, la questione di stabilire l’oggetto della prova che le istituzioni devono fornire e quale livello della prova esse debbano soddisfare per poter concludere per l’esistenza del secondo elemento costitutivo di un’elusione, individuato ai paragrafi 43 e 55 delle presenti conclusioni, in un’inchiesta caratterizzata da un’omessa collaborazione da parte non di tutti i produttori-esportatori interessati, ma soltanto di alcuni di essi.

67.

Più precisamente, ci si chiede se le istituzioni siano tenute a fornire la prova di specifiche pratiche di elusione – come quelle menzionate, a titolo non esaustivo, all’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento di base – oppure possano limitarsi a provare, sulla base di un complesso d’indizi concordanti, che la modificazione della configurazione degli scambi deriva da pratiche di elusione, senza dover tuttavia dimostrare l’esistenza di precise pratiche.

68.

Al riguardo, in primo luogo, si è già rilevato ( 47 ) che, qualora decidano di imporre dazi antielusione, le istituzioni sono tenute a provare l’esistenza di ciascuno dei quattro elementi costitutivi di un’elusione. Non possono, pertanto, limitarsi a provare la semplice esistenza di una modificazione della configurazione degli scambi, ma devono dimostrare in modo giuridicamente adeguato che, secondo i termini impiegati all’articolo, 13, paragrafo 1, terza frase, del regolamento di base, tale modifica deriva da pratiche (processi o lavorazioni) di elusione per le quali non vi sia giustificazione oltre all’istituzione del dazio.

69.

In secondo luogo, per quanto riguarda il livello della prova, ritengo che la ratio dell’interpretazione fornita dalla Corte nelle sentenze Simon, Evers & Co. e APEX per l’ipotesi di totale difetto di collaborazione, ovvero l’esigenza di non compromettere l’efficacia delle misure di difesa commerciale dell’Unione ( 48 ), sia pienamente valida anche in un caso in cui, come nella fattispecie, le imprese che non hanno collaborato all’inchiesta rappresentino una parte maggioritaria delle importazioni del prodotto in esame nell’Unione ( 49 ). Pertanto, in un’ipotesi in cui il livello di mancanza di collaborazione sia così elevato, sono del parere che le istituzioni siano autorizzate a basarsi su un complesso d’indizi concordanti per provare in modo giuridicamente adeguato l’esistenza degli elementi costitutivi di un’elusione e, più precisamente, per dimostrare che la modificazione della configurazione degli scambi deriva da pratiche di elusione. Certamente, in una simile ipotesi, per pervenire alle loro conclusioni esse non possono ignorare che sia stato accertato che una parte, più o meno importante, dei produttori/esportatori non è stata coinvolta in tali pratiche.

70.

In terzo luogo, relativamente alla questione se le istituzioni debbano dimostrare l’esistenza di specifiche pratiche di elusione, ritengo che la sentenza Simon, Evers & Co. possa fornire talune indicazioni pertinenti. Infatti, nella sentenza in parola che, come si è rilevato, concerneva un caso di totale mancanza di collaborazione, la Corte, nell’ambito dell’analisi del secondo elemento costitutivo dell’elusione, ha confermato la validità della conclusione positiva contenuta nel regolamento di cui trattasi, basandosi, tra l’altro, sul rilievo che, tra gli indizi concordanti che avevano convalidato tale conclusione, il Consiglio disponeva di indizi che sembravano indicare l’esistenza di determinate pratiche di elusione ( 50 ).

71.

Ne consegue che, in un caso di totale mancanza di collaborazione, in presenza di un complesso d’indizi concordanti del fatto che la modificazione della configurazione degli scambi derivi da pratiche di elusione, se non è necessario che le istituzioni provino l’esistenza di specifiche pratiche di elusione, esse devono tuttavia disporre, quanto meno, di alcuni elementi che sembrino indicare l’esistenza di tali pratiche. Per le ragioni illustrate al paragrafo 69 delle presenti conclusioni, ritengo che un simile approccio possa applicarsi ad un caso come quello di specie, caratterizzato da un’omessa collaborazione all’inchiesta da parte di produttori/esportatori che rappresentano una parte maggioritaria delle importazioni del prodotto in esame.

72.

Orbene, nel caso di specie, né dal regolamento controverso né dal fascicolo risulta che, eccezion fatta per l’accertamento del coinvolgimento della Chin Haur in operazioni di trasbordo, dette istituzioni fossero in possesso di altri elementi che sembrassero indicare l’esistenza di pratiche di elusione.

73.

Inoltre, e in ogni caso, ritengo che, nell’ipotesi in cui, come nella fattispecie in esame, le istituzioni decidano di basare le proprie conclusioni riguardanti il secondo elemento costitutivo di elusione sull’esistenza di pratiche specifiche, ad esse spetti suffragare in modo giuridicamente adeguato le loro conclusioni.

74.

In tali circostanze la questione afferente alla fondatezza dell’accertamento operato dal Consiglio del coinvolgimento della Chin Haur in pratiche di trasbordo è decisiva, nel caso di specie, per verificare la legittimità della conclusione che tale istituzione ha tratto in merito al secondo elemento costitutivo di un’elusione ( 51 ).

– Sulla prova del coinvolgimento della Chin Haur in operazioni di trasbordo

75.

Allorché le istituzioni, come nel caso di specie, intendano basare le proprie conclusioni relative al secondo elemento costitutivo di un’elusione – che, come si è rilevato, deve essere provato a livello del paese – su constatazioni riguardanti il coinvolgimento di un singolo esportatore/produttore in pratiche di elusione, secondo la giurisprudenza menzionata al paragrafo 45 delle presenti conclusioni l’onere di provare tali constatazioni incombe sulle stesse istituzioni ( 52 ).

76.

Tuttavia, a termini dell’articolo 18, paragrafi 1 e 6, del regolamento di base, in caso di omessa collaborazione, le istituzioni possono fondare le loro conclusioni sui dati disponibili. In un simile caso, ai sensi della giurisprudenza menzionata ai paragrafi da 49 a 52 delle presenti conclusioni, l’onere della prova ad esse incombenti viene nettamente attenuato e le stesse sono autorizzate a fondare le proprie conclusioni su un complesso di indizi concordanti.

77.

Al riguardo rilevo che nelle sentenze Simon, Evers & Co. e APEX la Corte ha adottato la suddetta interpretazione dell’articolo 18, paragrafo 1 e 6, con riferimento all’esistenza di un’elusione in generale ( 53 ). Inoltre, nella sentenza Simon, Evers & Co., essa l’ha applicata in concreto agli elementi costitutivi di un’elusione e, segnatamente, al secondo di tali elementi ( 54 ). Non l’ha mai applicata, invece, alle constatazioni relative ad un’impresa singolarmente considerata.

78.

Ciò nonostante, alla luce dello stesso tenore delle disposizioni dei paragrafi 1 e 6 dell’articolo 18 del regolamento di base, che si riferiscono a una «parte interessata» considerata al singolare, ritengo che detta interpretazione sia applicabile alle constatazioni che le istituzioni sono tenute a fare nell’ambito di un’inchiesta antielusione per quanto riguarda un’impresa individuale che non abbia collaborato a tale inchiesta.

79.

Ne consegue che, nel caso di specie, a causa dell’omessa collaborazione della Chin Haur le istituzioni erano soggette ad un onere della prova attenuato e potevano basarsi su un complesso di indizi concordanti per suffragare in modo giuridicamente adeguato le proprie conclusioni circa il coinvolgimento di tale impresa in pratiche di elusione.

80.

Si deve tuttavia rilevare che, nell’analisi dettagliata che il Tribunale ha effettuato, ai punti da 95 a 105 della sentenza impugnata, degli elementi di cui disponeva il Consiglio per affermare, al considerando 62 del regolamento controverso, il coinvolgimento della Chin Haur in operazioni di trasbordo, detto giudice non ha realmente tenuto conto delle conseguenze giuridiche riconducibili al fatto che, durante l’inchiesta, fosse stata constatata la mancata collaborazione della Chin Haur. Si trattava però, come sostenuto dalla Maxcom, di un elemento essenziale dell’analisi, oltretutto confermato di fatto dal Tribunale stesso. Tale mancanza di collaborazione aveva, infatti, un’incidenza decisiva sul livello della prova che il Consiglio doveva soddisfare per supportare in modo giuridicamente adeguato le proprie conclusioni relativamente alla Chin Haur, conclusioni che, a loro volta, convalidavano la conclusione generale relativa all’esistenza di pratiche di elusione in Indonesia.

81.

Alla lettura dei punti pertinenti della sentenza impugnata si intuisce al contrario che, nonostante l’utilizzo del termine «indizio», il Tribunale ha in realtà richiesto da parte del Consiglio l’applicazione di un criterio di prova piuttosto severo. Ciò si evince con tutta evidenza dall’affermazione del Tribunale secondo cui il Consiglio avrebbe dovuto «dimostrare l’esistenza di trasbordi» da parte della Chin Haur sulla base di elementi che segnalassero «in modo convincente» tale esistenza ( 55 ).

82.

Nei punti pertinenti della sentenza impugnata, le conseguenze dell’omessa collaborazione della Chin Haur sono menzionate esclusivamente al punto 103, in cui il Tribunale conclude che il fatto che la Chin Haur non avesse fornito le prove atte a dimostrare di essere effettivamente un produttore indonesiano o di soddisfare i criteri previsti all’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base non provava, di per sé, che la stessa fosse coinvolta in operazioni di trasbordo. Sebbene l’omessa collaborazione non possa da sola giustificare una presunzione di elusione ( 56 ), è tuttavia proprio in ragione dell’omessa collaborazione della Chin Haur durante l’inchiesta che alle istituzioni non è stato possibile stabilire con certezza che essa svolgesse reali attività di produzione di biciclette.

83.

Orbene, la constatazione del fatto che un’impresa costituisca un effettivo produttore del prodotto che esporta è, evidentemente, condizione necessaria e preliminare rispetto ad un’eventuale conclusione che le sue esportazioni non sono il risultato di pratiche di elusione. Al contrario, il fatto che non sia possibile stabilire se tale impresa non sia un produttore reale costituisce un indizio del fatto che i prodotti dalla stessa esportati non sono il risultato di un’autentica attività di produzione.

84.

Alla luce di tutto ciò, ritengo che il Tribunale sia incorso in errore applicando l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base senza effettivamente considerare le conseguenze giuridiche derivanti dall’omessa collaborazione della Chin Haur all’inchiesta nell’analisi che l’ha portato a concludere che il Consiglio non disponesse di sufficienti indizi per dimostrare che la Chin Haur era coinvolta in pratiche di trasbordo. L’errore in questione si è ripercosso sulla constatazione implicita ( 57 ), effettuata dal Tribunale, che ha giustificato l’annullamento del regolamento controverso, secondo la quale, a causa di tale carenza d’indizi, la conclusione, formulata al considerando 64 del regolamento controverso, circa l’esistenza di pratiche di trasbordo di prodotti di origine cinese verso l’Indonesia, era errata. Ne consegue che, a mio avviso, la sentenza impugnata deve essere annullata.

iii) Sulle altre censure sollevate nell’ambito dei motivi vertenti sull’erronea applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base

85.

A fini di completezza, formulo le poche considerazioni che seguono anche per quanto riguarda le altre censure presentate nell’ambito dei motivi vertenti sull’erronea applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base.

86.

Per quanto concerne le censure sollevate dalle istituzioni secondo cui l’approccio adottato Tribunale comporterebbe l’obbligo per le stesse di dimostrare che ciascun produttore/esportatore nel paese oggetto dell’inchiesta partecipi a pratiche di trasbordo, ritengo che esse si fondino su una lettura erronea della sentenza impugnata e del regolamento controverso. La Chin Haur ha ragione, a mio parere, quando afferma che in nessun punto di tale sentenza il Tribunale ha dichiarato che le istituzioni debbano dimostrare positivamente che ciascun singolo produttore/esportatore sia coinvolto in operazioni di trasbordo. Come ho rilevato ai paragrafi 56 e 57 delle presenti conclusioni ( 58 ), nel caso di specie è lo stesso Consiglio che ha operato una fusione tra l’analisi a livello del paese e quella a livello individuale, avvalendosi delle constatazioni relative ad un singolo produttore/esportatore per supportare le proprie conclusioni a livello del paese. Ne consegue che tutte le censure delle istituzioni fondate su tale premessa devono essere respinte ( 59 ).

87.

Quanto alle censure con cui viene messo in dubbio che le conclusioni del Tribunale fossero sufficienti per annullare il regolamento controverso, a mio parere anch’esse devono essere respinte. Infatti, se, come affermato dal Tribunale nella sentenza impugnata, la constatazione del coinvolgimento della Chin Haur in pratiche di trasbordo fosse errata o non sufficientemente suffragata, allora la constatazione dell’esistenza di operazioni di elusione a livello dell’Indonesia si baserebbe esclusivamente sui due restanti elementi menzionati al considerando 64 del regolamento controverso. Orbene, il primo di tali due restanti elementi, ovvero l’esistenza della modificazione della configurazione degli scambi, è il primo degli elementi costitutivi di un’elusione. In quanto tale, quindi, non può essere considerato come un indizio dell’esistenza del secondo di detti elementi costitutivi, dato che le istituzioni devono provarli tutti ( 60 ). Per quanto riguarda il secondo dei due elementi restanti, ovvero l’omessa collaborazione dei produttori/esportatori che rappresentavano il 9% delle esportazioni verso l’Unione, dalla giurisprudenza menzionata al paragrafo 51 delle presenti conclusioni emerge che l’omessa collaborazione in quanto tale non può far presumere l’esistenza di un’elusione. Essa non può pertanto configurare, in quanto tale, un indizio del secondo elemento costitutivo di un’elusione.

88.

Ne consegue che, nel caso di specie, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, se il Tribunale avesse avuto ragione a considerare errata la constatazione riguardante la Chin Haur, ciò avrebbe potuto giustificare l’annullamento del regolamento controverso.

B – Sui motivi vertenti su un difetto di motivazione, su una motivazione contradditoria e su uno snaturamento dei fatti

1. Argomentazioni delle parti

89.

In un secondo gruppo di motivi, le istituzioni contestano la motivazione della sentenza impugnata. Il Consiglio fa altresì valere uno snaturamento dei fatti.

90.

In primo luogo, le istituzioni affermano che la sentenza impugnata non spiega il motivo per cui il Consiglio avrebbe violato l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base. Innanzi tutto, la sentenza impugnata non indicherebbe se l’errore commesso dal Consiglio sia un mero errore di valutazione o un errore manifesto di valutazione. Poi, il Tribunale non chiarirebbe il motivo per cui si fonda sul fatto che la Chin Haur non disponesse di sufficienti capacità di produzione, mentre al considerando 62 del regolamento controverso si rileva che la società non disponeva di macchinari sufficienti. Infine, il Tribunale avrebbe fondato la propria conclusione relativa alla mancanza di prove sufficienti circa le pratiche di trasbordo sulla propria analisi della visita di verifica, omettendo tuttavia di specificare la ragione per cui il Consiglio non avrebbe avuto a disposizione prove sufficienti a dimostrare la presenza di pratiche di trasbordo sulla base delle informazioni scritte presentate dalla Chin Haur prima di tale visita.

91.

In secondo luogo, la Commissione ritiene che la motivazione della sentenza impugnata sia contradditoria. Al riguardo, sotto un primo profilo, la Commissione si chiede, alla luce del punto 94 della sentenza impugnata, perché gli elementi di prova presentati dalla Chin Haur non possano dimostrare il suo coinvolgimento anche in operazioni di trasbordo, se gli stessi rivelano che quest’ultima partecipava ad un’elusione attraverso pratiche di assemblaggio. Sotto un secondo profilo, la Commissione lamenta che il Tribunale si contraddice affermando, da un lato, che l’unico elemento di prova di cui disponesse il Consiglio era la relazione relativa alla visita di verifica e, dall’altro, al punto 138 della sentenza impugnata, che un ampio corpus di dati disponibili consentiva di concludere nel senso dell’esistenza di un’elusione da parte della Chin Haur.

92.

Il Consiglio afferma, in subordine, che il Tribunale avrebbe snaturato i fatti accertati. Dato che il trasbordo è stato debitamente dimostrato a livello del paese e che la richiesta di esenzione della Chin Haur non era fondata, l’unica conclusione che il Tribunale avrebbe dovuto trarre dai fatti disponibili era che la Chin Haur fosse coinvolta in operazioni di trasbordo.

93.

La Chin Haur contesta gli argomenti della Commissione.

2. Valutazione

94.

Per quanto concerne, in primo luogo, le censure vertenti sul difetto di motivazione, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la motivazione di una sentenza deve far apparire in modo chiaro e non equivocabile il ragionamento del Tribunale, così da consentire agli interessati di conoscere le ragioni della decisione adottata e alla Corte di esercitare il proprio controllo giurisdizionale. L’obbligo di motivazione che incombe al Tribunale conformemente agli articoli 36 e 53, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea viene soddisfatto quando, anche se implicita, la motivazione addotta consente agli interessati di conoscere le ragioni per cui il Tribunale non ha accolto le loro tesi e alla Corte di avere a disposizione elementi sufficienti ad esercitare il proprio controllo ( 61 ).

95.

Orbene, dai paragrafi da 58 a 62 delle presenti conclusioni risulta che, nonostante il fatto che nella sentenza impugnata il Tribunale non abbia sviluppato in modo dettagliato il ragionamento che l’ha portato a concludere per il parziale annullamento del regolamento controverso «nella parte in cui concerne» la Chin Haur, tale ragionamento è deducibile in modo inequivocabile da detta sentenza, il che consente alla Corte di esercitare il proprio controllo giurisdizionale. Da questo punto di vista, a mio avviso, non si può affermare che la sentenza impugnata sia viziata da un difetto di motivazione.

96.

Quanto alle altre censure, in primo luogo, quella secondo cui la sentenza impugnata sarebbe viziata da un difetto di motivazione in quanto non spiega se l’errore commesso dal Consiglio sia un mero errore di valutazione o un errore manifesto di valutazione, a mio avviso non può essere accolta. Infatti, sebbene sia senz’altro auspicabile che il Tribunale indichi nelle proprie sentenze il criterio di controllo giurisdizionale da esso applicato, una sentenza non può essere ritenuta viziata da un difetto di motivazione per il solo fatto che il Tribunale non vi riveli esplicitamente il criterio di controllo giurisdizionale da esso applicato. Orbene, atteso che le istituzioni non hanno contestato nel merito l’applicazione di un criterio di controllo giurisdizionale erroneo, ma hanno limitato le loro censure al difetto di motivazione ( 62 ), la questione se il criterio in concreto applicato nella sentenza impugnata fosse erroneo o meno non rientra nell’oggetto delle presenti impugnazioni.

97.

In secondo luogo, la censura relativa alla mancanza di una spiegazione della differenza tra la nozione di sufficiente capacità produttiva e quella di macchinari sufficienti non può parimenti essere accolta. Infatti, le due nozioni sono state impiegate in riferimento alla stessa idea, ovvero alle attività produttive della Chin Haur al cui riguardo, a detta del Tribunale, il Consiglio non aveva provato in modo giuridicamente adeguato la propria conclusione secondo cui tali attività non potevano giustificare i volumi delle importazioni della Chin Haur.

98.

In terzo luogo, quanto alla censura vertente sul fatto che il Tribunale avrebbe omesso di spiegare il motivo per cui il Consiglio non disponesse di prove sufficienti a dimostrare la presenza di pratiche di trasbordo sulla base delle informazioni scritte presentate dalla Chin Haur, a mio parere essa deve essere del pari respinta. Infatti, dalla giurisprudenza risulta che non spetta alla Corte esigere dal Tribunale che motivi ciascuna delle sue scelte quando lo stesso fonda la propria decisione su un elemento di prova piuttosto che un altro. Decidere diversamente significherebbe, per la Corte, sostituire la propria valutazione di tali elementi a quella effettuata dal Tribunale, il che non rientra nelle prerogative della stessa ( 63 ).

99.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, le censure vertenti sulla motivazione contradditoria, ritengo che la prima allegazione della Commissione si fondi su una lettura errata della sentenza impugnata. Infatti, al punto 94 della sentenza impugnata, il Tribunale non ha affatto asserito che le prove prodotte dalla Chin Haur avessero rilevato che quest’ultima era coinvolta in un’elusione per mezzo di pratiche di assemblaggio. Neppure la seconda presunta contraddizione, posta in evidenza dalla Commissione, può fondare la censura relativa ad una motivazione contradditoria. Infatti, al punto 138 della sentenza impugnata, il Tribunale si è limitato ad elencare i dati di cui si è avvalso il Consiglio per concludere nel senso dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi di un’elusione, appunto, in risposta ad un argomento relativo al fatto che il Consiglio non aveva chiarito la natura delle informazioni disponibili ( 64 ). Non ravviso alcuna contraddizione con l’affermazione contenuta ai punti 96 e 102 della stessa sentenza, secondo cui il Consiglio si è basato ampiamente sulla relazione della missione, per quanto concerne gli accertamenti di fatto sulla base dei quali esso ha concluso per un coinvolgimento della Chin Haur in operazioni di trasbordo.

100.

Per quanto riguarda, in terzo luogo, la censura del Consiglio vertente su uno snaturamento dei fatti, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, un siffatto snaturamento deve risultare in modo manifesto dai documenti del fascicolo, senza che sia necessario procedere ad una nuova valutazione dei fatti e delle prove ( 65 ). Orbene, l’argomentazione del Consiglio si fonda sulla premessa che l’esistenza di operazioni di trasbordo a livello del paese sarebbe stata dimostrata pur in assenza di errore quanto alla constatazione relativa al coinvolgimento della Chin Haur in operazioni di trasbordo. Come ho rilevato al paragrafo 85 delle presenti conclusioni, ritengo che ciò non sia vero. Nella sentenza impugnata il Tribunale si è limitato a dichiarare che, alla luce degli elementi presenti nel fascicolo, il Consiglio non poteva concludere nel senso del coinvolgimento della Chin Haur in operazioni di trasbordo. Così facendo il Tribunale non ha snaturato i fatti, ma, a mio avviso, è incorso in un errore in diritto trascurando di considerare l’elemento essenziale della mancata collaborazione della Chin Haur all’inchiesta, elemento che incide in modo decisivo sul livello della prova che le istituzioni dovevano fornire per provare detto coinvolgimento.

101.

Da quanto precede risulta che, a mio avviso, sia il secondo motivo dell’impugnazione della Commissione nella causa C‑253/15 P che il secondo motivo dell’impugnazione del Consiglio nella causa C‑259/15 P devono essere respinti.

C – Sul terzo motivo dell’impugnazione della Commissione nella causa C‑53/15 P vertente su una violazione dei suoi diritti procedurali

1. Argomentazioni delle parti

102.

Con il suo terzo motivo la Commissione adduce che il Tribunale ha violato i suoi diritti procedurali, in quanto le ha negato la possibilità di presentare una memoria di intervento. Innanzitutto, la decisione del Tribunale di accordare il procedimento accelerato che, ai sensi dell’articolo 76 bis, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento di procedura del Tribunale in vigore al momento del procedimento dinanzi a tale giudice, esclude qualsiasi intervento scritto della Commissione sarebbe priva di motivazione. Poi, il rigetto della sua successiva richiesta del 25 giugno 2014 ad essere ammessa a presentare una memoria di intervento nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento sarebbe parimenti immotivato. Inoltre, il persistente rifiuto del Tribunale di ammettere la Commissione a presentare osservazioni scritte non sarebbe stato motivato dalla necessità di accelerare la trattazione della causa, come attesterebbe la circostanza che il Tribunale avrebbe impiegato 19,3 mesi per pronunciare la propria sentenza, laddove la durata media di un procedimento dinanzi a tale giudice sarebbe stata di 23,4 mesi nel 2014. Infine, le constatazioni del Tribunale che, secondo la Commissione, integrano errori di diritto sono collegate alle sue attività d’inchiesta e, in particolare, alla rilevanza delle relazioni delle missioni stilate in occasione delle visite di verifica. Tali constatazioni sarebbero state diverse se essa fosse stata autorizzata a esprimere la propria posizione prima dell’udienza.

103.

La Chin Haur contesta gli argomenti della Commissione.

2. Valutazione

104.

Sebbene sia vero che le istituzioni sono intervenienti privilegiati e che non devono dimostrare di avere interesse alla soluzione della controversia ( 66 ), esse rimangono nondimeno assoggettate alle norme contenute nei regolamenti di procedura dei giudici dell’Unione.

105.

Nel caso di specie occorre anzitutto rilevare che dal fascicolo risulta che la Commissione ha presentato la sua istanza d’intervento il 17 ottobre 2013, ovvero dopo che il Tribunale aveva deciso, accogliendo la richiesta della Chin Haur, di sottoporre la causa di cui trattasi a procedimento accelerato.

106.

Orbene, ai sensi dell’articolo 116, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale in vigore al momento del procedimento dinanzi ad a tale giudice, l’interveniente accetta il procedimento nello stato in cui questo si trova all’atto del suo intervento. Ne consegue che, in ogni caso, la Commissione non può contestare una decisione, come quella di pronunciarsi sulla causa secondo il procedimento accelerato, adottata prima dell’accoglimento della sua istanza d’intervento.

107.

Dall’articolo 76 bis, paragrafo 2, secondo comma, dello stesso regolamento, poi, risulta che, in sede di procedimento accelerato, l’interveniente può presentare una memoria d’intervento soltanto se il Tribunale lo autorizza nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento adottate ai sensi dell’articolo 64 di detto regolamento.

108.

Per quanto riguarda il rifiuto opposto dal Tribunale a una domanda di misure di organizzazione del procedimento presentata da una parte, secondo costante giurisprudenza il Tribunale è il solo giudice, in linea di principio, dell’eventuale necessità di integrare gli elementi di informazione di cui dispone nelle cause di cui è investito ( 67 ).

109.

Ciò posto, spetta al Tribunale decidere sulla necessità di avvalersi del potere di ordinare misure di organizzazione del procedimento al fine di integrare gli elementi informativi a sua disposizione, fermo restando che il carattere probante o meno degli atti di causa rientra nella sua insindacabile valutazione dei fatti, la quale pertanto sfugge al controllo della Corte in sede d’impugnazione, salvo in caso di snaturamento degli elementi di prova presentati al Tribunale, o quando l’inesattezza materiale delle constatazioni effettuate da quest’ultimo risulti dai documenti allegati al fascicolo ( 68 ).

110.

Nel caso di specie, in primo luogo, la Commissione non invoca né uno snaturamento degli elementi di prova né un’inesattezza materiale delle constatazioni effettuate dal Tribunale. In secondo luogo, la sua istanza del 25 giugno 2014 con cui la stessa chiedeva di essere ammessa a presentare una memoria d’intervento quale misura di organizzazione del procedimento non indicava documenti o precisi elementi obbiettivi che avrebbero dovuto essere necessariamente prodotti in forma scritta, in modo tale che una presentazione orale non sarebbe stata sufficiente a consentire alla Commissione di esporre i propri argomenti. In terzo luogo, la Commissione ha avuto la possibilità di esprimersi pienamente all’udienza dinanzi al Tribunale. La sua impugnazione non indica in che modo la circostanza di aver potuto esporre la propria posizione soltanto all’udienza abbia avuto un impatto sulle considerazioni svolte dal Tribunale, che in tal modo sarebbero state diverse ove la sua domanda di essere ammessa a presentare una memoria d’intervento fosse stata accolta.

111.

Alla luce di quanto sopraesposto, ritengo che il terzo motivo della Commissione debba essere respinto.

112.

Dall’analisi che precede, e segnatamente dalla conclusione a cui sono pervenuto al paragrafo 84 delle presenti conclusioni, risulta che, a mio avviso, le impugnazioni presentate dalla Maxcom, dalla Commissione e dal Consiglio devono essere accolte e che, di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata.

VI – Sul ricorso dinanzi al Tribunale

113.

A termini dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quest’ultima, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta. Ritengo che ciò avvenga nel caso di specie, come la stessa Chin Haur ha rilevato.

114.

In tali circostanze, occorre analizzare le tre censure addotte dalla Chin Haur nel suo ricorso dinanzi al Tribunale nell’ambito della seconda parte del primo motivo. Al riguardo si deve ricordare che, come rilevato al paragrafo 44 delle presenti conclusioni, secondo la giurisprudenza il controllo del giudice dell’Unione è limitato nel senso descritto in detto paragrafo.

115.

Quanto alla prima delle suddette tre censure, si tratta della censura che è stata accolta dal Tribunale nella sentenza impugnata sulla base di un’analisi che personalmente ritengo inficiata da errore. Con la censura in esame la Chin Haur lamenta che il Consiglio, al considerando 62 del regolamento controverso, ha concluso in modo erroneo che la stessa non aveva capacità produttive sufficienti a giustificare i suoi volumi di esportazione verso l’Unione.

116.

Al riguardo, dalla giurisprudenza ricordata ai paragrafi da 49 a 52 delle presenti conclusioni, così come dalle considerazioni svolte ai paragrafi da 75 a 79 delle stesse conclusioni, emerge che, in una situazione come quella della presente fattispecie, a causa dell’omessa collaborazione da parte della Chin Haur, le istituzioni erano soggette ad un onere della prova attenuato e potevano basarsi su un complesso di indizi concordanti per supportare in modo giuridicamente adeguato le proprie conclusioni circa il coinvolgimento di tale impresa in pratiche di elusione.

117.

Ciò posto, ritengo che la presenza, da un lato, di rilevanti volumi di esportazioni di biciclette verso l’Unione da parte della Chin Haur di cui non si è potuta stabilire l’origine ( 69 ) e la concomitante mancanza, dall’altro, di elementi attestanti che la Chin Haur era realmente un produttore di biciclette costituivano indizi sulla scorta dei quali le istituzioni, in difetto di altri elementi, potevano concludere, in base a un nesso logico e ragionevole, che la Chin Haur fosse coinvolta in operazioni di trasbordo ( 70 ). Siffatti indizi erano del resto ulteriormente corroborati dalla presenza di diversi elementi che facevano sorgere dubbi in merito alle reali attività della Chin Haur ( 71 ). Se fosse esistito un motivo ragionevole che giustificasse le sue attività, oltre a quello di eludere il dazio antidumping, sarebbe spettato alla Chin Haur produrre la prova dello stesso ( 72 ).

118.

Ne consegue che il Consiglio non ha commesso alcun errore manifesto di valutazione allorché ha concluso, al considerando 62 del regolamento controverso, che la Chin Haur era coinvolta in operazioni di trasbordo. Di conseguenza, la prima censura della seconda parte del primo motivo dedotto in prima istanza dalla Chin Haur deve, a mio parere, essere respinta.

119.

Relativamente alla seconda censura sollevata nell’ambito della seconda parte del primo motivo in prima istanza dinanzi al Tribunale, la Chin Haur ha fatto valere che il Consiglio avrebbe commesso un errore in diritto desumendo l’esistenza di trasbordi dalla sola modificazione della configurazione degli scambi. Il Consiglio non avrebbe né prodotto alcuna prova dell’esistenza di tali operazioni di trasbordo né dimostrato un nesso causale tra dette operazioni e la presunta modificazione della configurazione degli scambi.

120.

Al riguardo è vero che, come risulta dal considerando 64 del regolamento controverso, il Consiglio ha fatto riferimento all’esistenza della modificazione della configurazione degli scambi come a uno degli elementi da cui era possibile desumere l’esistenza di pratiche di trasbordi in Indonesia. Orbene, come ho rilevato al paragrafo 87 delle presenti conclusioni, l’esistenza della modificazione della configurazione degli scambi è il primo elemento costitutivo di un’elusione. In quanto tale, non può essere considerata come un indizio dell’esistenza di pratiche di elusione.

121.

Si deve nondimeno rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Chin Haur dinanzi al Tribunale, al considerando 64 del regolamento controverso il Consiglio non si è basato su quest’unico elemento. Si è fondato, infatti, su altri due elementi: da un lato, l’accertamento del coinvolgimento della Chin Haur – le cui importazioni rappresentavano una quota notevole (42%) delle importazioni di biciclette nell’Unione – in pratiche di trasbordo e, dall’altro, il fatto che parti interessate che rappresentavano il 9% di dette importazioni non avessero collaborato all’inchiesta. È vero che, come sopra rilevato ( 73 ), siffatta omessa collaborazione, da sola, non consentiva di presumere l’esistenza di operazioni di trasbordo. Tuttavia, in presenza di un considerevole aumento delle importazioni di biciclette dall’Indonesia verso l’Unione appena dopo l’inasprimento dei dazi antidumping sulle importazioni provenienti dalla Cina ( 74 ) e in presenza di indicazioni, derivanti dall’accertamento relativo alla Chin Haur, dell’esistenza di operazioni di trasbordo attraverso l’Indonesia, detta omessa collaborazione poteva costituire un indizio aggiuntivo atto a rafforzare la conclusione dell’esistenza di simili operazioni ( 75 ). Di conseguenza, il Consiglio disponeva di sufficienti indizi concordanti, ai sensi della giurisprudenza, per giustificare, nel caso di specie, la propria conclusione dell’esistenza di pratiche di elusione attraverso l’Indonesia.

122.

Per quanto riguarda l’argomento secondo il quale il Consiglio avrebbe commesso un errore trascurando di dimostrare un nesso causale fra le operazioni di trasbordo e la modificazione della configurazione degli scambi, occorre rilevare quanto segue. In primo luogo, è stato definitivamente acclarato che il Consiglio ha dimostrato senza errore che, per tali operazioni, non esisteva alcuna motivazione o giustificazione economica oltre all’intenzione di evitare le misure antidumping ( 76 ). In secondo luogo, il Consiglio ha affermato che l’inchiesta non aveva rilevato alcun aumento del consumo di biciclette in Indonesia, che avrebbe potuto indurre i produttori ad aumentare le proprie capacità produttive. Inoltre, l’inchiesta ha rilevato che le tre società indonesiane esenti erano maggiormente interessate al mercato interno piuttosto che ai mercati di esportazione. In terzo luogo, si deve constatare che le affermazioni della Chin Haur, secondo cui la modificazione della configurazione degli scambi potrebbe essere stata dovuta ad un aumento delle capacità produttive in Indonesia, ad una delocalizzazione dei produttori cinesi in Indonesia a seguito dell’aumento dei dazi antidumping, o al fatto che i produttori indonesiani abbiano colto l’occasione della contrazione delle esportazioni cinesi verso l’Unione per accrescere la propria quota di mercato nell’Unione, non sono suffragate da alcun elemento probatorio.

123.

Ne consegue che, a mio avviso, anche la seconda censura della seconda parte del primo motivo dedotto dalla Chin Haur in prima istanza deve essere respinta.

124.

Quanto alla terza censura di detta seconda parte del primo motivo dedotto dinanzi al Tribunale, la Chin Haur fa valere che, in mancanza di ulteriori prove, gli elementi da essa prodotti avrebbero dovuto configurare i dati disponibili, a termini dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento di base, in base ai quali il Consiglio avrebbe dovuto constatare l’inesistenza di operazioni di trasbordo.

125.

Anche tale censura deve essere respinta. Infatti, da un lato, nella sentenza impugnata il Tribunale ha affermato che le informazioni fornite dalla Chin Haur erano contradditorie, incomplete e non verificabili e, dall’altro, dall’analisi della prima e della seconda censura sopra svolta emerge che, nel caso di specie, il Consiglio disponeva di indizi sufficienti per concludere, sulla base della giurisprudenza pertinente, per l’esistenza di operazioni di trasbordo.

126.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che il ricorso di annullamento presentato dalla Chin Haur debba essere respinto.

VII – Sulle spese

127.

A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta, o quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda.

128.

Qualora la Corte condivida le mie valutazioni riguardo alle tre impugnazioni riunite, la Chin Haur sarà la parte soccombente. Pertanto, suggerisco alla Corte di condannare la Chin Haur alle spese sostenute sia in prima istanza che nelle presenti impugnazioni dalla Maxcom, dalla Commissione e dal Consiglio, conformemente alle conclusioni di questi ultimi.

VIII – Conclusione

129.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

1)

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea, del 19 marzo 2015, Chin Haur Indonesia/Consiglio (T‑412/13, EU:T:2015:163) è annullata.

2)

Il ricorso di annullamento presentato dalla Chin Haur Indonesia PT è respinto.

3)

La Chin Haur Indonesia PT è condannata alle spese sostenute in prima istanza nonché nelle impugnazioni dalla Maxcom Ltd, dalla Commissione europea e dal Consiglio dell’Unione europea.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) T‑412/13, EU:T:2015:163.

( 3 ) Regolamento del 29 maggio 2013, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento di esecuzione (UE) n. 990/2011 sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese alle importazioni di biciclette spedite dall’Indonesia, dalla Malesia, dallo Sri Lanka e dalla Tunisia, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarate originarie di questi paesi (GU 2011, L 153, pag. 1).

( 4 ) _ Queste conclusioni sono presentate parallelamente alle conclusioni nelle cause C‑248/15 P, Maxcom/Maxcom/City Cycle Industries, C‑254/15 P, Commissione/City Cycle Industries e C‑260/15 P, Consiglio/City Cycle Industries, riguardanti tre impugnazioni proposte dagli stessi ricorrenti contro una sentenza del Tribunale pronunciata lo stesso giorno della sentenza impugnata e vertente sul medesimo regolamento controverso. Le questioni sollevate in queste altre tre impugnazioni sono analoghe a quelle sollevate nelle presenti cause.

( 5 ) Regolamento del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, p. 51, e rettifica in GU 2010, L 7, p. 22), come modificato dal regolamento (UE) n. 1168/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2012 (GU 2012, L 237, p. 1).

( 6 ) Accordo sull’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio del 1994 (GU 1994, L 336, p. 103) figurante nell’allegato 1A dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio, approvato con la decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU 1994, L 336, p. 1).

( 7 ) V. considerando 22 del regolamento di base, nonché paragrafo 10 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:261).

( 8 ) Per riferimenti alla normativa antielusione dell’Unione in vigore prima dell’adozione del regolamento di base, v. paragrafo 9 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:261).

( 9 ) Più precisamente, ai sensi di detta disposizione, un’operazione di assemblaggio è considerata elusiva delle misure vigenti, nelle seguenti circostanze: a) le operazioni sono iniziate o sostanzialmente aumentate dopo l’apertura dell’inchiesta antidumping oppure nel periodo immediatamente precedente e i pezzi utilizzati sono originari del paese soggetto alle misure; b) il valore dei pezzi suddetti è uguale o superiore al 60% del valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato; l’elusione è tuttavia esclusa se il valore aggiunto ai pezzi originato nell’operazione di assemblaggio o di completamento è superiore al 25% del costo di produzione, e c) gli effetti riparatori del dazio sono indeboliti in termini di prezzi e/o di quantitativi del prodotto simile assemblato, e vi siano elementi di prova dell’esistenza del dumping in relazione ai valori normali precedentemente determinati per i prodotti simili o similari.

( 10 ) Regolamento del Consiglio, del 3 ottobre 2011, sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese a seguito di un riesame in previsione della scadenza delle misure a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1225/2009 (GU 2009, L 261, p. 2). V. punti da 2 a 6 della sentenza impugnata per i riferimenti ai regolamenti precedenti.

( 11 ) Regolamento (UE) n. 875/2012 della Commissione del 25 settembre 2012, che apre un’inchiesta relativa alla possibile elusione delle misure antidumping, istituite dal regolamento di esecuzione (UE) n. 990/2011 sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese, con importazioni di biciclette provenienti dall’Indonesia, dalla Malesia, dallo Sri Lanka e dalla Tunisia, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarate originarie dell’Indonesia, della Malesia, dello Sri Lanka e della Tunisia, e che dispone la registrazione di tali importazioni (GU 2012, L 258, p. 21). Tale inchiesta è stata aperta in seguito a una richiesta depositata dalla Federazione europea dei fabbricanti di biciclette (EBMA), anche a nome della Maxcom. V. punti da 10 a 13 del regolamento controverso nonché 8 e 9 della sentenza impugnata.

( 12 ) A tale proposito, v., più in dettaglio, punti da 8 a 18 della sentenza impugnata.

( 13 ) V. considerando da 28 a 32 del regolamento controverso.

( 14 ) V. rispettivamente considerando da 45 a 58 e da 59 a 67 del regolamento controverso, nonché considerando 92 (riguardante l’insufficiente motivazione o giustificazione economica oltre all’intenzione di evitare le vigenti misure antidumping); da 93 a 96 (riguardanti l’indebolimento dell’effetto riparatore delle misure in vigore), e da 99 a 102 (riguardanti l’esistenza di pratiche di dumping in relazione ai valori normali precedentemente accertati) del regolamento controverso.

( 15 ) V. considerando da 65 a 67 del regolamento controverso.

( 16 ) V. considerando 115 e 117 e articoli 1, paragrafi 1 e 3, del regolamento controverso.

( 17 ) V. considerando 120 e articolo 1, paragrafo 1, del regolamento controverso.

( 18 ) V. articolo 76 bis del regolamento di procedura del Tribunale in vigore al momento dello svolgimento del procedimento dinanzi a tale giudice.

( 19 ) La citata decisione è stata adottata ai sensi dell’articolo 76 bis, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento di procedura del Tribunale che era in vigore al momento dello svolgimento del procedimento dinanzi a tale giudice.

( 20 ) Ai sensi dell’articolo 76 bis, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento di procedura del Tribunale in vigore al momento dello svolgimento del procedimento dinanzi a tale giudice, in sede di procedimento accelerato l’interveniente poteva depositare una memoria d’intervento soltanto se il Tribunale lo autorizzava nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento adottate in conformità dell’articolo 64 di detto regolamento. La domanda della Commissione poggiava su quest’ultima disposizione.

( 21 ) Primo e secondo motivo dell’impugnazione della Maxcom nella causa C‑247/15 P, nonché primo motivo delle impugnazioni della Commissione e del Consiglio, rispettivamente nelle cause C‑253/15 P e C‑259/15 P.

( 22 ) Secondo motivo delle impugnazioni della Commissione e del Consiglio, rispettivamente nelle cause C‑253/15 P e C‑259/15 P.

( 23 ) Terzo motivo dell’impugnazione della Commissione nella causa C‑253/15 P.

( 24 ) Sentenza del 4 settembre 2014 (C‑21/13, EU:C:2014:2154).

( 25 ) V., segnatamente, sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP (C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punti da 64 a 65 e giurisprudenza citata).

( 26 ) V., segnatamente, sentenza del 10 luglio 2008, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala (C‑413/06 P, EU:C:2008:392, punto 44 e giurisprudenza citata). V. altresì sentenza del 30 maggio 2013, Quinn Barlo e a./Commissione (C‑70/12 P, EU:C:2013:351, punto 36 e giurisprudenza citata). La Corte ha più volte analizzato in sede di impugnazione questioni riguardanti la violazione delle norme relative al livello della prova (v., in particolare, sentenze del 3 aprile 2014, Francia/CommissioneC‑559/12 P, EU:C:2014:217, punti 54 e segg., nonché del 6 ottobre 2009, GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a., C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punti 77 e segg.).

( 27 ) In merito alla la ratio della legislazione dell’Unione in materia di elusione, v. considerando 19 del regolamento di base, nonché sentenza del 6 giugno 2013, Paltrade (C‑667/11, EU:C:2013:368, punto 28) e sentenza del Tribunale del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio (T‑80/97, EU:T:2000:216, punti 85113).

( 28 ) Sentenza del 4 settembre 2014 (C‑21/13, EU:C:2014:2154).

( 29 ) Sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154punto 48). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:261, punto 87).

( 30 ) Sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 29 e giurisprudenza citata).

( 31 ) Sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 29 e giurisprudenza citata).

( 32 ) Sentenza del 4 settembre 2014 (C‑21/13, EU:C:2014:2154).

( 33 ) Sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 35 e giurisprudenza citata).

( 34 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:261, punto 4). La necessità che le istituzioni provino tutte le condizioni elencate all’articolo 13, paragrafo 1, terza frase, del regolamento di base trova conferma non solo nel testo della disposizione stessa, ma anche nell’approccio adottato dalla Corte nella sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154). Infatti, in questa sentenza, la Corte ha vagliato in modo distinto la validità del regolamento in causa in relazione ad ognuna delle condizioni su cui il giudice del rinvio aveva espresso dubbi (segnatamente, la prima e la seconda condizione menzionate al paragrafo 43 delle presenti conclusioni; v. rispettivamente, punti 39 e segg. e punti 50 e segg. di detta sentenza).

( 35 ) Le parti non concordano sulla questione relativa al soggetto su cui debba gravare l’onere di provare che il produttore/esportatore non è convolto in pratiche di elusione ai fini del riconoscimento dell’esenzione di cui all’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base. Da un lato, la Commissione e il Consiglio sostengono che l’onere della prova è a carico del produttore/esportatore il quale, ai sensi di questa disposizione, deve presentare una richiesta di esenzione «sostenuta da sufficienti elementi di prova». Dall’altro, la Chin Haur afferma, invece, che tale interpretazione dell’onere della prova sarebbe contraria al testo della disposizione che, utilizzando l’espressione «si sia accertato», supporrebbe che l’onere della prova sia a carico delle istituzioni. A questo proposito, ritengo che sia compito della parte che collabora in modo reale e che desideri beneficiare dell’esenzione, fornire tutti gli elementi che consentano alle istituzioni di valutare pienamente che la stessa parte non fosse implicata in pratiche di elusione. Tale approccio è tanto più giustificato alla luce del fatto che, come indicato al paragrafo 49 delle presenti conclusioni, nelle inchieste sull’esistenza di un’elusione, le istituzioni sono tributarie della collaborazione volontaria delle parti interessate. A questo proposito, rilevo tuttavia che, nonostante la questione in esame sia legata, nel caso di specie, a quella dell’accertamento dell’elusione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base (v. ultima frase del paragrafo 48 delle presenti conclusioni ed riferimenti alla nota successiva), essa non è in realtà decisiva per risolvere le presenti cause. Infatti, si è definitivamente accertato che la Chin Haur non poteva beneficiare di un’esenzione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base (v. paragrafo 63 e nota 46 delle presenti conclusioni).

( 36 ) Per quanto riguarda l’onere della prova in un caso simile, v. paragrafi 57 e 75 delle presenti conclusioni.

( 37 ) Sentenza del 4 settembre 2014 (C‑21/13, EU:C:2014:2154).

( 38 ) Sentenza del 17 dicembre 2015 (C‑371/14, EU:C:2015:828).

( 39 ) Sentenze del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punti da 32 a 34), e del 17 dicembre 2015, APEX (C‑371/14, EU:C:2015:828, punti da 64 a 66).

( 40 ) Sentenze del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 35), e del 17 dicembre 2015, APEX (C‑371/14, EU:C:2015:828, punto 67).

( 41 ) Sentenze del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 36), e del 17 dicembre 2015, APEX (C‑371/14, EU:C:2015:828, punto 68).

( 42 ) Sentenze del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 36), e del 17 dicembre 2015, APEX (C‑371/14, EU:C:2015:828, punto 68).

( 43 ) Sentenze del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 37), e del 17 dicembre 2015, APEX (C‑371/14, EU:C:2015:828, punto 69).

( 44 ) V. sentenze del 4 settembre 2014Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punti 3956) e del 17 dicembre 2015, APEX (C‑371/14, EU:C:2015:828, punto 71).

( 45 ) V. punti 95 e 104 della sentenza impugnata.

( 46 ) Infatti, nella sentenza impugnata il Tribunale, da un lato, ha confermato che le informazioni fornite erano contradditorie, incomplete e non verificabili (v. punti da 81 a 94 e da 110 a 120 della sentenza impugnata) e, dall’altro, ha respinto la parte del secondo motivo attinente ad errori nell’accertamento dell’omessa collaborazione da parte della Chin Haur (v. punti da 110 a 120). Questi punti della sentenza impugnata non sono stati contestati dalla Chin Haur.

( 47 ) V. paragrafo 45 delle presenti conclusioni.

( 48 ) V. paragrafo 53 delle presenti conclusioni.

( 49 ) Risulta dal fascicolo che le importazioni della Chin Haur rappresentavano il 42% delle importazioni di biciclette verso l’Unione di provenienza dall’Indonesia e che la quota di tali importazioni attribuibili agli importatori che non avevano collaborato, citati al considerando 63 del regolamento controverso, era pari al 9%.

( 50 ) Segnatamente, l’esistenza di importanti operazioni di assemblaggio (v. sentenza, del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co., C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 53).

( 51 ) Ciò è ancor più vero a motivo del fatto che, come evidenzierò al paragrafo 87 delle presenti conclusioni, gli altri due elementi sui quali è stata basata tale conclusione non erano sufficienti, in quanto tali, a supportare una siffatta conclusione.

( 52 ) Nel caso in cui il produttore/esportatore interessato abbia fatto richiesta di esenzione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base, le istituzioni possono basarsi sui dati forniti dallo stesso. Ciò non toglie nulla al fatto che la prova dell’esistenza degli elementi costitutivi di un’elusione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base sia sempre a carico delle istituzioni (sull’onere della prova nell’ambito dell’analisi ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base, v., invece, nota 36 delle presenti conclusioni).

( 53 ) V. supra, paragrafi da 49 a 53.

( 54 ) Sentenza del 4 settembre 2014 (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punti da 50 a 56).

( 55 ) V. punti 97 e 100 della sentenza impugnata.

( 56 ) V. paragrafo 51 delle presenti conclusioni.

( 57 ) V. paragrafi da 60 a 62 delle presenti conclusioni.

( 58 ) A tal proposito, v. altresì paragrafi 48 e 75 delle presenti conclusioni.

( 59 ) In particolare, le censure riportate al paragrafo 35 delle presenti conclusioni relative all’effetto utile dell’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base e la confusione fra la nozione di «pratica di elusione» e una delle sue manifestazioni, sono assorbite nel ragionamento che precede.

( 60 ) V. paragrafo 45 delle presenti conclusioni.

( 61 ) V. segnatamente, in tal senso, sentenza del 10 aprile 2014, Areva e a./Commissione (C‑247/11 P e C‑253/11 P, EU:C:2014:257, punti 5455).

( 62 ) È opportuno rilevare che, nell’ambito del suo primo motivo attinente ad errori nell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base, la Commissione, dopo aver affermato che la sentenza impugnata non era sufficientemente motivata per quanto riguarda le ragioni per cui il regolamento impugnato avrebbe violato la succitata disposizione, qualifica come errore in diritto la circostanza che «la sentenza impugnata non menziona alcuna norma di controllo giurisdizionale e, in particolare, non precisa se il Consiglio abbia commesso un semplice errore di valutazione o un errore manifesto di valutazione». In tale contesto, tuttavia, la Commissione non sviluppa alcuna argomentazione in relazione a tale censura, ma si limita a rinviare esplicitamente, «per un’analisi più dettagliata», al suo secondo motivo, che verte sul difetto di motivazione. Orbene, si deve necessariamente rilevare che la mera qualificazione quale errore in diritto per l’omessa menzione del criterio di controllo giurisdizionale applicato dal Tribunale, senza che tale qualificazione sia suffragata da alcun argomento o ragionamento, salvo un generico rinvio al motivo vertente sul difetto di motivazione, non può essere interpretato come censura autonoma vertente sul fatto che il Tribunale ha ecceduto il livello di controllo giurisdizionale richiesto, violando così il potere discrezionale riconosciuto alle istituzioni dalla giurisprudenza menzionata al paragrafo 44 delle presenti conclusioni. In tale contesto, tale censura della Commissione coincide, sostanzialmente, con la censura relativa al difetto di motivazione. A questo proposito, rilevo che dall’articolo 168, paragrafo 1, lettera d), del regolamento di procedura della Corte risulta che spetta ai ricorrenti in sede d’impugnazione sviluppare in modo sufficiente gli argomenti che invocano a sostegno delle loro impugnazioni.

( 63 ) V. sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP (C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punto 161).

( 64 ) V. punto 129 della sentenza impugnata.

( 65 ) V. sentenza del 2 giugno 2016, Photo USA Electronic Graphic/Consiglio (C‑31/15 P, EU:C:2016:390, punto 52 e giurisprudenza citata).

( 66 ) Sentenza del 29 ottobre 1980, Roquette Frères/Consiglio (138/79, EU:C:1980:249, punto 21).

( 67 ) V., segnatamente, sentenza del 9 giugno 2016, PROAS/Commissione (C‑616/13 P, EU:C:2016:415, punto 66 e giurisprudenza citata).

( 68 ) V., in tale senso, sentenza del 28 gennaio 2016, Heli-Flight/AESA (C‑61/15 P, EU:C:2016:59, punto 94 e giurisprudenza citata).

( 69 ) V. punto 118 della sentenza impugnata.

( 70 ) La Corte ha applicato i termini «nesso e logico e ragionevole» al punto 52 della sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154).

( 71 ) Lo stesso Tribunale ha posto l’accento su tali elementi. V. punto 100 della sentenza impugnata nonché le considerazioni della prima frase del punto 105 della stessa sentenza.

( 72 ) V. sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 56, in fine).

( 73 ) V. paragrafi 51, 82 e 87 delle presenti conclusioni.

( 74 ) V. punto 46 del regolamento controverso e punto 52 della sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154).

( 75 ) V., in tale senso, punto 54 della sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154) applicabile per analogia in ragione delle considerazioni svolte al paragrafo 69 delle presenti conclusioni.

( 76 ) V. punto 92 del regolamento controverso.

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