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Document 62014TJ0752

Sentenza del Tribunale (Seconda Sezione) del 19 luglio 2017.
Combaro SA contro Commissione europea.
Unione doganale – Accordo di associazione tra la Comunità europea e la Repubblica di Lettonia – Articolo 239 del regolamento (CEE) n. 2913/92 – Rimborso e sgravio di dazi all’importazione – Importazione di tessuto in lino dalla Lettonia – Clausola d’equità – Situazione particolare – Frode o manifesta negligenza – Decisione della Commissione che dichiara non giustificato lo sgravio dei dazi all’importazione.
Causa T-752/14.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:T:2017:529

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

19 luglio 2017 ( *1 )

«Unione doganale – Accordo di associazione tra la Comunità europea e la Repubblica di Lettonia – Articolo 239 del regolamento (CEE) n. 2913/92 – Rimborso e sgravio di dazi all’importazione – Importazione di tessuto in lino dalla Lettonia – Clausola d’equità – Situazione particolare – Frode o manifesta negligenza – Decisione della Commissione che dichiara non giustificato lo sgravio dei dazi all’importazione»

Nella causa T‑752/14,

Combaro SA, con sede in Losanna (Svizzera), rappresentata da D. Ehle, avvocato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da A. Caeiros e B.-R. Killmann, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione C(2014) 4908 final della Commissione, del 16 luglio 2014, che respinge una domanda della ricorrente diretta allo sgravio di dazi all’importazione per un importo pari a EUR 461415,12,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto da M. Prek, presidente, F. Schalin (relatore) e J. Costeira, giudici,

cancelliere: S. Bukšek Tomac, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 dicembre 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti

Regime applicabile alle importazioni dei tessuti e accordo di associazione: importazioni della ricorrente

1

La decisione C(2014) 4908 final della Commissione, del 16 luglio 2014, che dichiara che lo sgravio di dazi all’importazione non è giustificato in un caso particolare (REM 05/2013) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), riguarda dazi all’importazione su tessuto in lino importato nell’Unione europea attraverso la Germania tra il 10 dicembre 1999 e il 10 giugno 2002 (in prosieguo: il «periodo rilevante») e di cui l’origine preferenziale lettone non è stata dimostrata.

2

In quanto prodotto tessile, il tessuto in lino era assoggettato a restrizioni all’importazione. Nel periodo rilevante vigevano quindi misure restrittive applicabili, in particolare, alle importazioni dalla Cina e dalla Russia, a norma del regolamento (CEE) n. 3030/93 del Consiglio, del 12 ottobre 1993, relativo al regime comune da applicare alle importazioni di alcuni prodotti tessili originari dei paesi terzi (GU 1993, L 275, pag. 1).

3

I prodotti tessili aventi origine preferenziale lettone erano esenti dalle restrizioni all’importazione menzionate al punto 2 supra. Tale esenzione risultava dall’accordo europeo che stabilisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri da una parte, e la Repubblica di Lettonia dall’altra (GU 1998, L 26, pag. 3; in prosieguo: l’«accordo di associazione»).

4

Alla stessa stregua di altri prodotti di origine preferenziale lettone, i tessuti usufruivano dell’esenzione doganale unicamente se l’importatore dimostrava il loro carattere originario alle autorità doganali dello Stato membro di importazione mediante un certificato di circolazione delle merci EUR.1 rilasciato dalle autorità doganali lettoni all’atto dell’esportazione.

5

La ricorrente, Combaro SA, è un’impresa che commercia tessuti e altri beni stabilita in Svizzera dal 1978.

6

La ricorrente acquistava tessuto in lino da due imprese lettoni. Le forniture di tali due imprese alla ricorrente erano corredate da certificati di circolazione delle merci attestanti che il tessuto in lino fornito era di origine preferenziale lettone.

7

I certificati di circolazione delle merci indicavano, quale esportatore, rispettivamente, una delle due imprese lettoni e, quale importatore, la ricorrente, ma, come paese di destinazione, l’Austria. I luoghi di consegna menzionati nei certificati di circolazione delle merci erano, rispettivamente, Jelgava (Lettonia) e Bauska (Lettonia).

8

Nel corso del periodo rilevante, la ricorrente ha poi importato tale tessuto in lino nell’Unione. Essa ha fatto procedere alla sua immissione in libera pratica in Germania e ha richiesto, producendo certificati di circolazione delle merci, tra cui i 51 certificati di circolazione delle merci oggetto della causa in esame (in prosieguo: i «certificati controversi»), un’esenzione dai dazi all’importazione in forza dell’accordo di associazione. Le autorità doganali tedesche hanno proceduto allo sdoganamento dei prodotti conformemente alla domanda della ricorrente.

Controllo e procedimento di recupero a posteriori

9

Il 18 luglio 2002, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha redatto un rapporto in merito ad una missione di indagine che aveva svolto in Lettonia (in prosieguo: il «rapporto dell’OLAF»). Secondo il rapporto dell’OLAF, nel febbraio 2002 l’amministrazione doganale danese aveva reso partecipe l’OLAF dei suoi dubbi circa l’origine preferenziale lettone di tessuto in lino importato dalla Lettonia, nonostante la produzione di certificati di circolazione delle merci che attestavano la sua provenienza. Il rapporto dell’OLAF precisava che, alla fine della missione di indagine, l’OLAF e le autorità doganali lettoni avevano constatato come i certificati di circolazione delle merci prodotti per l’importazione in Danimarca non fossero iscritti nei registri delle autorità doganali lettoni. Veniva altresì accertato che il funzionario la cui firma figurava sui citati certificati aveva fornito una dichiarazione scritta secondo la quale la firma che appariva su tali certificati non era la sua. Infine, il rapporto dell’OLAF spiegava che le indagini relative alle impronte dei timbri figuranti sui certificati in questione non erano ancora concluse.

10

Sulla base del rapporto dell’OLAF, l’11 settembre 2002 la Commissione europea ha inviato agli Stati membri una comunicazione a titolo di mutua assistenza, richiedendo un controllo di tutte le importazioni di tessuto in lino proveniente dalla Lettonia.

11

Le autorità doganali tedesche hanno quindi domandato alle autorità doganali lettoni di eseguire un controllo a posteriori sui certificati controversi (in prosieguo: il «controllo a posteriori»). Le autorità doganali lettoni hanno risposto alle domande delle autorità doganali tedesche il 7 aprile, il 2 maggio e il 7 maggio 2003 nei seguenti termini:

«[I] certificati [controversi] non sono stati iscritti nel registro doganale. Essi non sono stati rilasciati dalle dogane lettoni, quindi devono essere considerati invalidi».

12

Tali risposte erano firmate dal direttore aggiunto delle autorità doganali lettoni, sig. R., il quale, successivamente, ha subìto una condanna penale, nonché procedimenti disciplinari, per aver omesso di recuperare debiti di carattere tributario presso un’impresa lettone.

13

Dato che le autorità doganali lettoni avevano dichiarato invalidi i certificati controversi, le autorità doganali tedesche hanno considerato che le importazioni di tessuto in lino della ricorrente provenienti dalla Lettonia non potessero più godere di un trattamento preferenziale e, con decisione del 3 luglio 2003, hanno deciso di avviare un procedimento di recupero a posteriori dei corrispondenti dazi all’importazione (in prosieguo: il «procedimento di recupero a posteriori»). Inoltre, le autorità doganali tedesche hanno avviato un procedimento penale a carico di due direttori esecutivi della ricorrente, sulla base del sospetto di frode ai dazi all’importazione. Il procedimento penale è stato archiviato limitatamente ad uno di essi e, quanto all’altro, è proseguito dinanzi al Landgericht München (Tribunale regionale di Monaco di Baviera, Germania).

14

Nel frattempo, su impulso dell’OLAF, sono state realizzate talune perizie relative alla comparazione delle impronte dei timbri e delle firme quanto ai certificati di circolazione delle merci prodotti per le importazioni in Danimarca. Per procedere a tali perizie l’OLAF ha dovuto procurarsi materiale per la comparazione che si trovava in Lettonia. Nei rapporti sulla perizia si è constatato che talune impronte dei timbri erano le medesime dei timbri autentici delle autorità doganali, mentre altre impronte dei timbri, a causa della mancanza di materiale di riferimento, avevano potuto essere unicamente oggetto di una valutazione generica dell’immagine, da cui emergeva che esse erano probabilmente autentiche.

15

Quanto alla perizia sulle firme, nel corrispondente rapporto si è constatato che la valutazione dell’autenticità della firma figurante sui certificati di circolazione delle merci esaminati presentava talune difficoltà, posto che la comparazione doveva essere effettuata in base a copie di tale firma, che non esistevano firme autentiche del funzionario interessato, ossia il sig. O., risalenti al periodo in cui le firme erano state apposte, e che il metodo consistente nel domandare firme a posteriori ai fini di una perizia poneva un problema di affidabilità. Di conseguenza, il rapporto sulla perizia è giunto alla conclusione che la firma figurante sui certificati esaminati era, con una probabilità leggermente predominante, quella del sig. O.

16

La ricorrente, per tutelare i propri interessi nei procedimenti pendenti dinanzi alle autorità penali e doganali tedesche, si è rivolta alle autorità doganali lettoni e all’OLAF. In risposta alle domande della ricorrente, le autorità doganali lettoni hanno confermato, in una lettera del 26 giugno 2007, la loro risposta del 7 maggio 2003 indirizzata alle autorità doganali tedesche, secondo la quale i certificati controversi «d[ovevano] essere considerati invalidi», e l’OLAF ha informato la ricorrente dello Stato nelle sue indagini.

17

Infine, la ricorrente ha anche rivolto alla Commissione una domanda di accesso alla corrispondenza intercorsa tra quest’ultima e le autorità doganali lettoni. Tale domanda è stata parzialmente respinta. La ricorrente non ha introdotto alcun ricorso avverso il rigetto parziale di accesso alla citata corrispondenza.

18

Il 30 aprile 2009 un’ordinanza del Landgericht München (Tribunale regionale di Monaco di Baviera) ha posto fine al procedimento penale a carico del direttore esecutivo della ricorrente. A tenore di tale ordinanza non era possibile addebitare inequivocabilmente a detto direttore di avere scientemente eluso dazi all’importazione. Più precisamente, dall’ordinanza in parola emergeva che forse l’amministrazione doganale lettone aveva commesso talune irregolarità. Il Landgericht München (Tribunale regionale di Monaco di Baviera) ha altresì espresso dubbi in merito alla volontà del citato direttore di sottrarsi fraudolentemente ai dazi all’importazione a beneficio della società che rappresentava, ossia la ricorrente, a prescindere dalla circostanza che i criteri oggettivi relativi all’obbligo di pagamento di tali dazi potessero essere accertati o meno.

19

Il procedimento di recupero a posteriori è stato deferito al Finanzgericht München (Sezione tributaria del Tribunale di Monaco di Baviera, Germania). In tale contesto, la ricorrente ha affermato, in particolare, che si doveva procedere allo sgravio del suo debito, a norma dell’articolo 239 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1; in prosieguo: il «CDC»).

20

Con decisione del 28 novembre 2012 il Finanzgericht München (Sezione tributaria del Tribunale di Monaco di Baviera) ha dichiarato che, in sostanza, occorreva «seriamente» considerare la possibilità di uno sgravio dei dazi all’importazione dovuti dalla ricorrente, in quanto, da un lato, sussistevano elementi che permettevano di ritenere che i certificati controversi fossero stati scientemente rilasciati, a torto, dai funzionari delle autorità doganali lettoni e, dall’altro, la Commissione non aveva adeguatamente verificato che la Lettonia avesse osservato il vigente regime preferenziale. Il Finanzgericht München (Sezione tributaria del Tribunale di Monaco di Baviera) ha altresì statuito che la ricorrente non perseguiva un’intenzione fraudolenta e che in capo ad essa non si ravvisava una manifesta negligenza. Di conseguenza, il Finanzgericht München (Sezione tributaria del Tribunale di Monaco di Baviera) ha sospeso il procedimento di recupero a posteriori e ha ingiunto alle autorità doganali tedesche di presentare alla Commissione una richiesta di sgravio dei citati dazi.

Procedura REM 05/2013

21

A seguito della decisione del Finanzgericht München (Sezione tributaria del Tribunale di Monaco di Baviera), il Bundesministerium der Finanzen (Ministero federale delle Finanze, Germania) ha pregato la ricorrente di fornire il suo parere e, in data 3 settembre 2013, ha presentato alla Commissione una richiesta di sgravio dei dazi all’importazione ai sensi dell’articolo 239 CDC. La Commissione ha quindi avviato la procedura REM 05/2013.

22

Nel contesto della procedura REM 05/2013 la Commissione, sulla base dell’articolo 906 bis del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del CDC (GU 1993, L 253, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento d’applicazione»), e del diritto di essere ascoltato, con lettera del 14 marzo 2014 ha informato la ricorrente delle sue obiezioni e della sua intenzione di adottare una decisione sfavorevole a suo carico, offrendole la possibilità di presentare le proprie osservazioni. La ricorrente ha prodotto osservazioni sulla decisione che la Commissione intendeva emanare nei suoi confronti.

23

Il 16 luglio 2014 la Commissione ha adottato la decisione impugnata.

24

Al considerando 32 della decisione impugnata, la Commissione ha spiegato che non sussisteva alcuna situazione particolare, nell’accezione dell’articolo 239 CDC, che fosse dovuta ad un’inosservanza ad opera delle autorità doganali lettoni, posto che essa non poteva trarre la conclusione che tali autorità avessero partecipato al rilascio dei certificati controversi.

25

La Commissione ha inoltre esaminato se fosse incorsa essa stessa in un’inosservanza nel sorvegliare la corretta applicazione dell’accordo di associazione. Ai considerando da 36 a 41 della decisione impugnata essa ha tratto la conclusione che il suo comportamento non dava origine ad una situazione particolare.

26

Ai considerando da 42 a 44 della decisione impugnata, la Commissione ha reputato che un’inosservanza nel contesto del procedimento di recupero a posteriori non potesse essere contestata neppure alle autorità doganali tedesche.

27

Poiché, al considerando 45 della decisione impugnata, la Commissione è giunta alla conclusione che uno sgravio dei dazi all’importazione, in assenza di una situazione particolare nell’accezione dell’articolo 239 CDC, non era giustificato, essa ha aggiunto, ai considerando da 48 a 52 della decisione impugnata, che la ricorrente non aveva dato prova della diligenza richiesta.

28

La decisione impugnata è stata notificata alla ricorrente il 4 settembre 2014.

Procedimento e conclusioni delle parti

29

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 novembre 2014, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

30

Il 17 febbraio 2015 la Commissione ha fatto pervenire alla cancelleria del Tribunale il suo controricorso.

31

Il 2 aprile e il 18 maggio 2015, sono state depositate presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, la replica e la controreplica.

32

Il 12 ottobre 2016, su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di passare alla fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 89 del regolamento di procedura del Tribunale, con lettera del 19 ottobre successivo ha sottoposto taluni quesiti scritti alla Commissione, invitandola a rispondervi prima del 3 novembre 2016. La Commissione ha risposto ai quesiti scritti del Tribunale entro il termine impartito. Il Tribunale ha segnatamente chiesto alla Commissione di fornire precisazioni in merito ai rapporti che contengono le risultanze di controlli annuali ad essa incombenti in forza dell’accordo di associazione e di indicare in quali allegati depositati dinanzi al Tribunale essi figurassero o, all’occorrenza, di fornirne copia. Il Tribunale, peraltro, ha richiesto alla Commissione di trasmettergli la comunicazione COM(97) 402 del 23 luglio 1997, addotta dalla ricorrente al punto 106 del ricorso. Infine, il Tribunale ha domandato alla Commissione se fosse stata realizzata una perizia relativa alle impronte di timbri e alle firme figuranti sui certificati controversi e di produrne i risultati o, se del caso, di spiegare come mai siffatta perizia non fosse stata realizzata.

33

Le parti hanno svolto le loro difese orali ed hanno risposto ai quesiti del Tribunale nel corso dell’udienza del 6 dicembre 2016.

34

La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

annullare la decisione impugnata;

condannare la Commissione alle spese.

35

La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso in quanto infondato;

condannare la ricorrente alle spese.

In diritto

36

A sostegno del suo ricorso la ricorrente adduce un motivo unico, vertente sulla violazione dell’articolo 239 CDC.

Sull’attuazione dell’articolo 239, paragrafo 1, secondo trattino, CDC

37

La ricorrente afferma che la Commissione è incorsa in errore nel valutare le condizioni relative all’esistenza di una situazione particolare e alle circostanze che non implicano né frode né manifesta negligenza ai sensi dell’articolo 905 del regolamento d’applicazione, in combinato disposto con l’articolo 239 del CDC.

38

La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

39

In via preliminare va rammentato che l’articolo 905 del regolamento d’applicazione – disposizione che precisa e sviluppa la regola prevista all’articolo 239 CDC, secondo cui si può procedere al rimborso o allo sgravio dei dazi all’importazione in situazioni dovute a circostanze che non implicano frode o manifesta negligenza da parte dell’interessato – costituisce una clausola generale di equità intesa ad abbracciare situazioni eccezionali che, per loro stessa natura, non sono riconducibili ad alcuna delle ipotesi previste agli articoli da 900 a 904 del regolamento d’applicazione (sentenza del 25 febbraio 1999, Trans-Ex-Import, C‑86/97, EU:C:1999:95, punto 18). Dalla formulazione dell’articolo 905 del regolamento d’applicazione risulta che il rimborso dei dazi all’importazione è subordinato a due condizioni cumulative, vale a dire, anzitutto, l’esistenza di una situazione particolare e, poi, l’assenza di negligenza manifesta e di frode da parte dell’interessato (sentenza del 12 febbraio 2004, Aslantrans/Commissione, T‑282/01, EU:T:2004:42, punto 53). Pertanto, basta che manchi una delle due condizioni perché debba rifiutarsi il rimborso dei dazi all’importazione (sentenze del 5 giugno 1996, Günzler Aluminium/Commissione, T‑75/95, EU:T:1996:74, punto 54, e del 12 febbraio 2004, Aslantrans/Commissione, T‑282/01, EU:T:2004:42, punto 53).

40

Onde chiarire se le circostanze del caso di specie siano costitutive di una situazione particolare che non implica né frode né manifesta negligenza da parte dell’interessato a norma dell’articolo 239 CDC, la Commissione deve vagliare il complesso dei dati di fatto rilevanti (v., in tal senso, sentenza del 15 maggio 1986, Oryzomyli Kavallas e Oryzomyli Agiou Konstantinou/Commissione, 160/84, EU:C:1986:205, punto 16).

41

Tale obbligo comporta, in un caso come quello di specie, ove il debitore ha dedotto, a sostegno della sua domanda di rimborso o di sgravio dei dazi all’importazione, l’esistenza di taluni inadempimenti delle autorità doganali lettone e tedesche e della Commissione nel contesto dell’applicazione dell’accordo di associazione, che la Commissione valuti, nell’esame di tale domanda, il complesso dei fatti relativi ai certificati controversi di cui ha avuto notizia nell’ambito della propria funzione di vigilanza e di controllo in merito alla corretta applicazione di tale accordo (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 90).

42

Detta conclusione trova del resto riscontro nell’articolo 904, lettera c), del regolamento d’applicazione, il quale prevede che non si procede al rimborso o allo sgravio dei dazi all’importazione quando l’«unico motivo» a sostegno della domanda di rimborso o di sgravio è costituito dalla presentazione, anche in buona fede, per la concessione di un trattamento tariffario preferenziale, di documenti rivelatisi in un secondo tempo falsi, falsificati o non validi per la concessione del trattamento in parola. In altri termini, la presentazione di certificati falsi, falsificati o non validi non costituisce, di per sé, una situazione particolare ai sensi dell’articolo 239 CDC (sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 91).

43

Per contro, altre circostanze fatte valere a sostegno di una domanda di rimborso o di sgravio dei dazi all’importazione, quali il controllo insufficiente da parte della Commissione della corretta applicazione dell’accordo di associazione, possono costituire una siffatta situazione particolare (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 92).

44

Orbene, se la Commissione dispone di un margine discrezionale nell’applicazione dell’articolo 239 CDC, non può prescindere dal suo dovere di contemperare realmente, da un lato, l’interesse dell’Unione alla piena osservanza delle disposizioni doganali, che siano di diritto dell’Unione o che impegnino quest’ultima, e, dall’altro, l’interesse dell’importatore in buona fede a non subire i danni che vadano oltre l’ordinario rischio commerciale (sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 93).

45

Tale ponderazione è sottesa all’impianto sistematico del menzionato articolo 239, il quale costituisce una clausola generale di equità. Di conseguenza, in sede di esame di una domanda di rimborso o di sgravio dei dazi all’importazione, la Commissione non può validamente limitarsi a tener conto della condotta e dell’agire dell’importatore e dell’esportatore. Essa deve del pari tenere conto, segnatamente, dell’incidenza del proprio comportamento sulla situazione concreta della fattispecie, nell’ambito del suo dovere di vigilanza e di controllo (sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 94).

46

Posto che le condizioni sancite dall’articolo 239 CDC sono cumulative, è d’uopo esaminare innanzitutto la prima condizione, attinente all’esistenza di una situazione particolare, e successivamente, qualora ciò si riveli necessario, la seconda condizione, riguardante l’assenza di frode o di manifesta negligenza.

Sulla condizione relativa all’esistenza di una situazione particolare

47

La ricorrente ha articolato in diverse censure la prima parte del motivo unico, vertente sulla violazione della condizione relativa all’esistenza di una situazione particolare. Il Tribunale, tuttavia, ritiene opportuno trattare tali censure in modo congiunto.

48

A titolo di osservazione preliminare, occorre ricordare che è stato statuito come, al fine di valutare l’esistenza di inadempimenti da parte delle autorità di paesi terzi e della Commissione, idonei ad integrare situazioni particolari ai sensi dell’articolo 239 CDC, occorre esaminare, caso per caso, la natura effettiva degli obblighi incombenti, rispettivamente, sulle autorità medesime e sulla Commissione in base alla normativa pertinente (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2002, Hyper/Commissione, T‑205/99, EU:T:2002:189, punto 117).

49

A questo riguardo, occorre osservare che l’argomento proposto dalla ricorrente per corroborare la prima parte del motivo unico poggia sostanzialmente sulla tesi secondo cui le autorità doganali lettoni avrebbero effettivamente rilasciato i certificati controversi. Le svariate carenze contestate dalla ricorrente alle autorità doganali lettoni costituirebbero indizi della fondatezza della sua tesi. La ricorrente afferma quindi che la situazione particolare in cui essa si trova è la conseguenza del complesso delle circostanze del caso di specie, segnatamente di quelle attinenti alle mancanze che essa imputa alle autorità doganali lettoni.

50

La ricorrente imputa altresì all’amministrazione doganale tedesca di avere leso gli obblighi che discendono dai protocolli addizionali all’accordo di associazione e dal regolamento (CE) n. 515/97 del Consiglio, del 13 marzo 1997, relativo alla mutua assistenza tra le autorità amministrative degli Stati membri e alla collaborazione tra queste e la Commissione per assicurare la corretta applicazione delle normative doganale e agricola (GU 1997, L 82, pag. 1). Più in particolare, alla luce del contenuto delle lettere del 7 aprile e del 7 maggio 2003 e delle relazioni redatte dall’ufficio delle indagini doganali tedesche, essa accusa le autorità doganali tedesche di aver qualificato in maniera superficiale i certificati controversi come «falsi». Essa ritiene che le autorità doganali tedesche si siano astenute dal chiarire i fatti, sia direttamente presso l’amministrazione doganale lettone, sia tramite l’OLAF.

51

In considerazione di tali circostanze, la ricorrente sostiene che la Commissione è incorsa in un manifesto errore di valutazione laddove ha ritenuto che nel caso di specie non sussista una situazione particolare. La ricorrente asserisce altresì, sostanzialmente, che la Commissione ha violato il suo obbligo di vigilanza ai sensi dell’accordo di associazione e che essa, in forza di talune disposizioni di tale accordo, avrebbe dovuto attivarsi onde chiarire i fatti del caso di specie.

52

Gli indirizzi e gli argomenti dedotti in giudizio dalla ricorrente sono, segnatamente, i seguenti.

53

In primo luogo, la ricorrente afferma che le impronte dei timbri figuranti sui certificati controversi presentano una «evidente concordanza» con quelle utilizzate dalle autorità doganali lettoni. Per di più, le perizie svolte sui certificati di circolazione di merci presentate per le importazioni in Danimarca comproverebbero che era perlomeno probabile che le impronte dei timbri e le firme ivi figuranti fossero autentiche.

54

In secondo luogo, la ricorrente sostiene, in sostanza, che le risposte trasmesse dalle autorità doganali lettoni, nel contesto del controllo a posteriori, erano irregolari e ambigue. A questo proposito, la ricorrente adduce che la circostanza che le autorità doganali lettoni abbiano spiegato come i certificati controversi fossero «non validi» dimostra che tali autorità hanno partecipato al rilascio di detti certificati. A detta della ricorrente, non appare coerente che le autorità doganali lettoni si siano pronunciate in merito alla validità dei certificati controversi laddove esse affermavano, nel contempo, che siffatti certificati non esistevano nei loro registri. Peraltro, anche se i certificati controversi non figuravano nei registri delle autorità doganali lettoni, tale circostanza non proverebbe che essi fossero falsi. A detta della ricorrente, infatti, le autorità doganali lettoni non erano obbligate a tenere registri. Inoltre, a giudizio della ricorrente, tali registri non sono stati definiti nelle risposte fornite dalle autorità doganali lettoni.

55

In terzo luogo, il fatto che le risposte apportate dalle autorità doganali lettoni siano state firmate dal direttore aggiunto delle autorità doganali lettoni, il sig. R., il quale, in seguito, è stato condannato in sede penale per azioni illecite commesse nell’espletamento delle proprie funzioni, rimetterebbe in discussione la valenza probatoria di tali risposte. Sul punto la ricorrente fa riferimento a taluni articoli apparsi nella stampa secondo cui il sig. R. e un’altra persona di rango elevato all’interno dell’autorità doganale lettone sono stati condannati in sede penale per illeciti nell’esercizio delle loro funzioni.

56

La ricorrente rimarca altresì che all’interno dell’amministrazione doganale lettone, nel periodo rilevante, regnava un clima di corruzione. Al riguardo, essa adduce svariati rapporti della Commissione che richiamano lo stato di corruzione vigente in Lettonia (in prosieguo: i «rapporti della Commissione»).

57

In quarto luogo, la ricorrente afferma che non è più possibile chiarire i fatti. Essa deduce in giudizio che le autorità doganali lettoni non hanno risposto alle domande rivolte dall’OLAF di fornirle taluni documenti, oppure vi hanno ottemperato tardivamente, circostanza che si inferirebbe dal loro scambio epistolare. A detta della ricorrente, le autorità doganali lettoni hanno consapevolmente distrutto le impronte dei timbri, onde sopprimere prove che le coinvolgevano nel rilascio dei certificati controversi.

58

Inoltre, secondo la ricorrente, la circostanza che le autorità doganali lettoni o il Pubblico Ministero lettone non abbiano svolto indagini dimostra che le autorità doganali lettoni erano coinvolte nel rilascio dei certificati controversi.

59

La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente. Essa reputa che gli indizi dedotti in giudizio dalla ricorrente non provino che le autorità doganali lettoni hanno partecipato al rilascio dei certificati controversi. Peraltro, essa reputa di aver adempiuto ai propri obblighi di vigilanza e di controllo quanto alla corretta applicazione dell’accordo di associazione. Afferma che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, l’accordo di associazione non le consentiva di intraprendere una serie di azioni presso l’amministrazione doganale lettone che implicassero una vigilanza da parte di agenti doganali affidabili o la predisposizione di un sistema centralizzato di rilascio di certificati d’origine e l’organizzazione di visite speciali finalizzate a garantire una corretta applicazione dell’accordo di associazione.

60

La Commissione non contesta la sussistenza di una «concordanza» tra le impronte dei timbri figuranti sui certificati controversi e quelle impiegate dalle autorità doganali lettoni. La Commissione rimarca tuttavia che le perizie condotte sulle impronte dei timbri e sulle firme apposte sui certificati presentati per le importazioni in Danimarca non sono state effettuate sui certificati controversi e non sono sfociate in conclusioni definitive, bensì hanno solo indicato che probabilmente si trattava di impronte di timbri e firme autentiche. Le somiglianze tra le impronte dei timbri e le risultanze delle perizie non consentono, a suo avviso, di trarre una conclusione definitiva in merito all’autenticità o falsità dei certificati controversi.

61

Quanto alle risposte fornite dalle autorità doganali lettoni nell’ambito del controllo a posteriori, la Commissione considera che esse fossero chiare e prive di ambiguità.

62

Per quanto attiene alla condanna penale a carico del direttore aggiunto delle autorità doganali lettoni, sig. R., la Commissione evidenzia che essa non presenta alcun nesso con il rilascio dei certificati controversi. Tale circostanza, dunque, non permetterebbe di approdare alla conclusione che le autorità doganali lettoni abbiano rilasciato o partecipato al rilascio dei certificati controversi. Per di più, la Commissione sottolinea che le risposte inviate dalle autorità doganali lettoni in data successiva e firmate da un diverso agente doganale (v. punto 16 supra) hanno confermato le lettere del sig. R.

63

Per quanto riguarda i rapporti della Commissione in cui si menziona un clima di corruzione all’interno delle autorità doganali lettoni, la Commissione ritiene che una situazione del genere non consenta di presumere che i certificati controversi siano stati rilasciati dalle autorità doganali lettoni. Peraltro, a suo avviso, la corruzione di cui si parla nei citati rapporti non presenta alcun collegamento con il trattamento tariffario preferenziale.

64

La Commissione adduce infine che, diversamente da quanto afferma la ricorrente, le autorità doganali lettoni hanno dato prova di una buona collaborazione con l’OLAF e con le autorità doganali tedesche. Infatti, nel contesto del controllo a posteriori e dell’indagine dell’OLAF in Lettonia, esse avrebbero risposto alle domande delle autorità doganali tedesche e a quelle della Commissione. Le lettere fatte valere dalla ricorrente evidenzierebbero che le autorità doganali lettoni hanno risposto alle questioni poste entro un termine ragionevole. La Commissione afferma che, sebbene le autorità doganali lettoni abbiano spiegato che erano impossibilitate ad inviare impronte di timbri autenticate, nulla fa presumere che ciò sia stato dovuto ad una loro volontà di dissimulare un comportamento illecito.

65

Alla luce di tali considerazioni, la Commissione sostiene sostanzialmente che le autorità doganali lettoni hanno rispettato l’accordo di associazione e che esse hanno inviato all’OLAF e alle autorità doganali tedesche risposte soddisfacenti e tempestive. Pertanto, la Commissione non avrebbe avuto motivo di condurre indagini più approfondite afferenti ai certificati controversi. Essa afferma inoltre di aver ottemperato al proprio obbligo di vigilanza sulla buona applicazione dell’accordo di associazione e ricorda che le regole relative all’origine dei prodotti si fondano sulla fiducia reciproca tra le autorità degli Stati membri d’importazione e quelle dello Stato d’esportazione.

66

Parimenti, la Commissione sostiene che neppure le autorità doganali tedesche hanno violato gli obblighi ad esse incombenti. Infatti, a suo avviso esse sono vincolate dalle risposte fornite dalle autorità doganali lettoni nel contesto del controllo a posteriori. Da una lettera che le autorità doganali tedesche hanno inviato rispondendo a una domanda della ricorrente emergerebbe inoltre che esse hanno chiarito i fatti.

67

Occorre ricordare che la Commissione, in quanto guardiana del Trattato e degli accordi stipulati in forza di quest’ultimo, è tenuta ad assicurarsi della corretta applicazione, da parte di un paese terzo, degli obblighi che questo ha contratto in forza di un accordo concluso con l’Unione, utilizzando i mezzi previsti dall’accordo o dalle decisioni adottate in virtù di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 95).

68

Tale obbligo risulta anche dall’accordo di associazione e dai protocolli ivi collegati. L’articolo 110 dell’accordo di associazione dispone che il consiglio di associazione, composto da membri della Commissione, del Consiglio dell’Unione europea e da membri designati dal governo lettone, è incaricato di sorvegliare l’attuazione di tale accordo. Dall’articolo 113 dell’accordo di associazione emerge che ciascuna parte può deferire al consiglio di associazione qualsiasi controversia relativa all’applicazione o all’interpretazione di detto accordo. Inoltre, dall’articolo 14, rubricato «Applicazione», del protocollo n. 5 dell’accordo di associazione, relativo all’assistenza reciproca tra le autorità amministrative in materia doganale, risulta quanto segue:

«La gestione del presente protocollo è affidata alle autorità doganali centrali della Lettonia, da una parte, e ai competenti servizi della Commissione (…) e, se del caso, alle autorità doganali degli Stati membri dell’Unione europea, dall’altra. Essi decidono in merito a tutte le misure pratiche e alle disposizioni necessarie per la sua applicazione, tenendo in considerazione le norme in materia di protezione dei dati. Essi possono raccomandare al consiglio di associazione le modifiche del presente protocollo che ritengano necessarie».

69

Occorre inoltre rilevare che, nel contesto del suo obbligo di vigilanza e di controllo sulla corretta applicazione dell’accordo di associazione, la Commissione dispone di talune prerogative.

70

Ad esempio la Commissione, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, del protocollo n. 5 dell’accordo di associazione, può chiedere alle autorità doganali lettoni tutte le informazioni necessarie per garantire la corretta applicazione della legislazione doganale (v., per analogia, sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 100).

71

La Commissione, a norma dell’articolo 3, paragrafo 3, lettera a), del protocollo n. 5 dell’accordo di associazione, può richiedere alle autorità doganali lettoni di prendere le misure necessarie affinché siano sottoposte a rigorosa sorveglianza le persone fisiche o giuridiche per le quali vi siano fondati motivi di ritenere che violino o abbiano violato la normativa doganale (v., per analogia, sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 101).

72

Inoltre, ai sensi dell’articolo 7, paragrafi 3 e 4, del protocollo n. 5 dell’accordo di associazione, i funzionari della Commissione debitamente autorizzati possono ottenere, dai rispettivi uffici delle autorità doganali lettoni, informazioni sulle violazioni della normativa doganale e presenziare, d’intesa con dette autorità e alle condizioni da loro stabilite, alle indagini svolte nel territorio lettone (v., per analogia, sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 102).

73

Peraltro, lo stesso vale per quanto afferisce all’articolo 31, paragrafo 2, del protocollo n. 3 dell’accordo di associazione, come modificato dalla decisione n. 4/98 del Consiglio di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Lettonia, dall’altra, del 2 dicembre 1998, che adotta le modifiche del protocollo n. 3 dell’accordo di associazione, contenute nella decisione n. 1/97 del comitato misto nel quadro dell’accordo sul libero scambio e sulle questioni commerciali tra la Comunità europea, la Comunità europea dell’energia atomica e la Comunità europea del carbone e dell’acciaio e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Lettonia, dall’altra (GU 1999, L 6, pag. 10; in prosieguo: la «decisione n. 4/98»), a tenore del quale «[a]l fine di garantire la corretta applicazione del presente protocollo, [l’Unione] e la Lettonia si prestano reciproca assistenza, mediante le amministrazioni doganali competenti, nel controllo dell’autenticità dei certificati di circolazione EUR.1 o delle dichiarazioni su fattura e della correttezza delle informazioni riportate in tali documenti» (v., per analogia, sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 103).

74

Ne consegue che incombe alla Commissione l’onere di utilizzare appieno le prerogative di cui gode in base alle disposizioni dell’accordo di associazione e delle decisioni e dei protocolli adottati per la sua applicazione al fine di non disattendere i suoi obblighi di vigilanza e di controllo in merito alla corretta applicazione dell’accordo in parola (v., per analogia, sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 104).

75

Tale uso delle proprie prerogative da parte della Commissione appare a maggior ragione importante nel caso di specie, dato che si è in presenza di indizi di un possibile coinvolgimento delle autorità doganali lettoni nel rilascio dei certificati controversi, ossia:

il controllo a posteriori dei certificati controversi è stato disposto a seguito dell’indagine dell’OLAF sulle importazioni di tessuti in lino in Danimarca;

il rapporto dell’OLAF menziona un breve transito dei tessuti in lino in un deposito doganale lettone per nascondere l’origine delle merci in oggetto;

le perizie effettuate sulle impronte dei timbri e sulle firme apposte sui certificati utilizzati per le importazioni in Danimarca, secondo il rapporto dell’OLAF, dimostrano che probabilmente si trattava di impronte dei timbri e firme autentiche;

le impronte dei timbri apposte sui certificati controversi presentano una forte somiglianza con le impronte dei timbri autentiche delle autorità doganali lettoni;

il direttore aggiunto delle autorità doganali lettoni, sig. R., firmatario dei certificati controversi e delle lettere nell’ambito del controllo a posteriori, è stato condannato per atti illeciti compiuti nell’espletamento delle proprie funzioni;

le autorità doganali lettoni non sono state in grado di fornire le impronte dei timbri originali utilizzate dagli uffici doganali coinvolti, ossia gli uffici doganali di Jelgava e di Bauska;

i rapporti della Commissione riportano un clima di corruzione, in particolare nell’ambito delle autorità doganali lettoni;

le importazioni di tessuto in lino proveniente dalla Lettonia sono aumentate e hanno superato le capacità di produzione di tale paese.

76

In effetti, alla luce di tali indizi, le risposte fornite dalle autorità doganali lettoni appaiono insufficienti per chiarire se i certificati controversi presentassero un carattere autentico oppure falso. Vero è che, come rimarca la Commissione, gli indizi prodotti dalla ricorrente non permettevano di approdare alla conclusione che le autorità doganali lettoni avessero partecipato al rilascio dei certificati controversi. Orbene, in considerazione del complesso degli indizi menzionati al punto 75 supra, occorre tuttavia considerare che la Commissione avrebbe dovuto avvalersi delle sue prerogative ai fini dell’applicazione corretta dell’accordo di associazione e procedere ad una verifica più approfondita rispetto a quella effettuata nel caso di specie.

77

Di conseguenza, la Commissione era tenuta a chiedere precisazioni in merito alle indagini che erano state svolte dalle autorità doganali lettoni per chiarire i fatti di causa.

78

In primo luogo, la Commissione avrebbe dovuto chiedere a quali documenti corrispondevano i numeri figuranti sui certificati controversi, se le firme apposte sui certificati controversi corrispondessero alle persone che lavoravano per le autorità doganali lettoni e, in caso di risposta affermativa, se tali persone avessero effettivamente firmato i certificati controversi.

79

In secondo luogo, dagli scambi epistolari intercorsi tra l’OLAF e le autorità doganali lettoni si evince che queste ultime non sono state in grado di fornire impronte dei timbri autentiche, relative ai certificati controversi, in quanto le avevano distrutte.

80

Ciò nonostante, per quanto le autorità doganali lettoni non fossero tenute a conservarli, è opportuno osservare che è proprio la trasmissione dei facsimile delle impronte dei timbri e delle firme utilizzati in tali uffici che consente di vigilare efficacemente sul rispetto delle prescrizioni doganali relative alle preferenze tariffarie (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 117).

81

L’obbligo che incombe alla Commissione di vigilare affinché l’accordo di associazione sia applicato correttamente richiede che quest’ultima e, per il suo tramite, le autorità doganali degli Stati membri, dispongano in ogni momento di tutti gli elementi tali da consentirle di procedere ad un controllo efficace, e i facsimile delle impronte dei timbri e delle firme fanno incontestabilmente parte di tali elementi (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2008, C.A.S./Commissione, C‑204/07 P, EU:C:2008:446, punto 118).

82

Orbene, nel caso di specie la Commissione non ha ricevuto le impronte dei timbri richieste nel contesto del controllo a posteriori e non ha né domandato né esaminato le firme apposte sui certificati controversi.

83

In terzo luogo occorre rilevare che dal fascicolo non emerge che le autorità doganali lettoni abbiano proceduto o meno a ispezioni presso degli esportatori. In proposito occorre ricordare che dall’articolo 32, paragrafo 3, del protocollo n. 3 dell’accordo di associazione, come modificato dalla decisione n. 4/98, risulta che le autorità doganali del paese di esportazione «(…) hanno la facoltà di richiedere qualsiasi prova e di procedere a qualsiasi controllo dei conti dell’esportatore nonché a tutte le altre verifiche che ritengano opportune». Di conseguenza la Commissione avrebbe dovuto, soprattutto se un esame delle impronte dei timbri e delle firme non era possibile, richiedere alle autorità doganali lettoni se siffatti controlli fossero stati effettuati e, qualora non lo fossero stati, per quale motivo.

84

Sebbene l’articolo 32, paragrafo 3, del protocollo n. 3, relativo alla definizione della nozione di «prodotti originari» e ai metodi di cooperazione amministrativa, dell’accordo di associazione non prescriva dettagliatamente allo Stato di esportazione il modo in cui effettuare un controllo a posteriori dei certificati di circolazione, tale disposizione presuppone che, alla luce delle conseguenze finanziarie in capo all’importatore e delle circostanze del caso di specie, la Commissione avrebbe dovuto assicurarsi che detto controllo venisse effettuato in modo affidabile e coscienzioso, e ciò a maggior ragione alla luce del fatto che al punto 4 del rapporto dell’OLAF, intitolato «Conclusioni», si afferma quanto segue:

«Il caso in esame ha per l’ennesima volta rivelato che, nell’ambito delle frodi complesse, è più utile e più efficace non tanto fare esclusivo affidamento sulle procedure amministrative applicabili (come, nel caso di specie, la procedura di controllo a posteriori) bensì piuttosto tentare di chiarire in loco tutti gli aspetti del caso, in stretta collaborazione con le competenti autorità del paese terzo coinvolto. Questo modus operandi comporta, in particolare, che i diversi paesi apprendano la maniera in cui è idoneo procedere nel quadro di siffatte indagini e vengano a conoscenza delle informazioni e dei documenti necessari per chiarire e perseguire le infrazioni nella Comunità, allo scopo di essere meglio in grado di valutare le esigenze degli Stati membri in caso di eventi simili e di poter condurre la loro propria indagine di conseguenza».

85

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che la Commissione è venuta meno agli obblighi di vigilanza e di controllo sulla corretta applicazione dell’accordo di associazione. Infatti, se la Commissione si fosse pienamente avvalsa delle prerogative di cui disponeva nell’ambito dell’accordo di associazione ai fini della corretta applicazione del citato accordo, l’autenticità o la falsità dei certificati controversi avrebbe potuto essere dimostrata con maggiore certezza.

86

Certo, la Corte ha già statuito che il sistema di cooperazione amministrativa attuato da un protocollo che enuncia, nell’allegato di un accordo concluso tra l’Unione e uno Stato terzo, disposizioni riguardanti l’origine di prodotti, si basa su una reciproca fiducia tra le autorità degli Stati membri d’importazione e quelle dello Stato di esportazione (v. sentenza del 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C‑409/10, EU:C:2011:843, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

87

Tuttavia, alla luce delle circostanze del caso di specie (v. punto 75 supra), la Commissione avrebbe dovuto avvalersi delle proprie prerogative ai fini della corretta applicazione dell’accordo di associazione, e ciò nonostante le risposte fornite dalle autorità doganali lettoni nell’ambito del controllo a posteriori. La Commissione, infatti, disponeva di informazioni che suscitavano rilevanti questioni in merito all’origine dei certificati controversi.

88

In mancanza di risposte a tali quesiti, la Commissione non poteva validamente pronunciarsi sulla situazione del caso di specie. Pertanto, le risposte fornite dalle autorità doganali lettoni nel contesto del controllo a posteriori consistevano semplicemente in brevi affermazioni che non permettevano alla Commissione di trarre conclusioni in merito al coinvolgimento o meno degli agenti facenti capo alle autorità doganali lettoni nel rilascio dei certificati controversi. Ciò vale anche per la conferma della risposta inviata alla ricorrente dalle autorità doganali lettoni (v. punto 16 supra), rispetto alla quale dal fascicolo si evince che essa non era il risultato di un vero e proprio riesame del fascicolo aperto dalle autorità doganali lettoni sui certificati controversi. Risulta infatti da tale risposta che detto fascicolo era stato già inviato all’OLAF.

89

A tale titolo occorre segnatamente rammentare che la Commissione avrebbe potuto effettuare perizie sulle impronte dei timbri e le firme apposte sui certificati controversi e, ove necessario, richiedere precisazioni in merito al modo in cui era stato realizzato il controllo a posteriori, allo scopo di determinare se disponesse di sufficienti informazioni per pronunciarsi in ordine alla situazione esistente nel caso di specie o se occorresse approfondire le sue indagini.

90

La Commissione ha dunque errato quando, al punto 37 della decisione impugnata, è giunta alla conclusione che era in possesso di informazioni sufficienti a consentire una valutazione della situazione.

91

La Commissione è incorsa in errore anche quando, al punto 38 della decisione impugnata, ha dichiarato di «aver ottemperato a tutti gli obblighi generali di vigilanza cui era tenuta in forza dell’accordo di associazione, conducendo controlli annuali, le cui risultanze [erano] state pubblicate nei rapporti [della Commissione]». In realtà, nel caso di specie, essa avrebbe dovuto adottare provvedimenti concreti.

92

A questo proposito, occorre rigettare gli argomenti della Commissione secondo cui l’indagine vertente sui certificati controversi era svolta sotto la responsabilità delle autorità doganali tedesche e l’OLAF non era stato adito da queste ultime. Dal fascicolo emerge infatti che la Commissione era al corrente dell’indagine condotta dalla autorità doganali tedesche e che pertanto essa avrebbe potuto chiedere loro di procedere a investigazioni aggiuntive o di condurre tali investigazioni essa stessa, per essere certa di disporre di un fascicolo che contenesse informazioni in misura sufficiente per valutare la situazione particolare della ricorrente ai sensi dell’articolo 239 CDC.

93

Ad ogni modo, la circostanza che le autorità doganali nazionali che hanno svolto le indagini non abbiano adottato talune misure istruttorie non implica che la Commissione potesse, in mancanza di siffatte misure, trarre la conclusione che la ricorrente non si trovava in una situazione particolare nell’accezione dell’articolo 239 CDC.

94

Da quanto precede si evince che la prima parte del motivo unico, relativa ad una violazione della condizione relativa all’esistenza di una situazione particolare, deve essere accolta.

95

Tenuto conto della natura cumulativa delle condizioni enunciate all’articolo 239 CDC, occorre ora esaminare la seconda condizione, concernente l’assenza di frode e di manifesta negligenza da parte della ricorrente.

Sulla condizione concernente l’assenza di frode e di manifesta negligenza da parte dell’importatore

96

La ricorrente afferma di aver stipulato i suoi contratti con gli esportatori lettoni secondo le prassi commerciali correnti e di aver proceduto, in conseguenza di ciò, alle importazioni controverse. Essa fa osservare che l’onere di provare la manifesta negligenza grava sulla Commissione.

97

La ricorrente sostiene poi che non possedeva alcuna esperienza in materia di importazioni provenienti da paesi che usufruivano di un regime preferenziale. Essa rileva tuttavia di non aver mai affermato che le disposizioni dell’accordo di associazione, ivi inclusi i suoi protocolli e allegati, fossero complesse e le risultassero incomprensibili. Essa osserva come non disponesse di alcun diritto di supervisione sul modo in cui le competenti autorità doganali lettoni applicavano concretamente l’accordo di associazione nella loro prassi quotidiana. Essa afferma che, peraltro, ignorava se, e in quale misura, la Commissione controllasse, in conformità ai suoi obblighi, la corretta applicazione dell’accordo di associazione in Lettonia. La ricorrente asserisce di non essere stata al corrente dei gravi inadempimenti e omissioni delle autorità competenti, emersi solo in seguito, e che non poteva esercitare alcuna influenza su di essi. L’avviso di fissazione di dazi doganali l’avrebbe stupita.

98

La ricorrente considera di aver dato prova della diligenza richiesta. Essa sostiene che non nutriva alcun dubbio quanto alla regolarità delle esportazioni dalla Lettonia realizzate in regime preferenziale e che questo è il motivo per cui le indagini penali avviate a carico dei suoi due dirigenti per falso in scrittura e frode fiscale si sono rivelate ingiustificate. In particolare, nella replica la ricorrente asserisce che la dicitura «origine Russia» («origin Russia») contenuta in una lettera relativa al tessuto in lino importato a titolo dei certificati controversi non dimostra una manifesta negligenza da parte sua. A suo avviso la Commissione ha menzionato tale dicitura fuori dal contesto. I buoni di consegna delle merci in oggetto non lascerebbero dubbi in merito alla loro origine lettone. Per quanto attiene alla dicitura «origine Russia» che appare in tale lettera, si tratterebbe di un errore commesso da un dipendente della ricorrente. Per di più, secondo la ricorrente, tale dicitura rappresentava un modo abituale nel commercio per designare una particolare qualità di tessuto in lino.

99

La Commissione afferma che la ricorrente era al corrente del fatto che il tessuto in lino che importava era di origine russa e non lettone. Ciò emergerebbe dall’ordinanza del Landgericht München (Tribunale regionale di Monaco di Baviera) del 30 aprile 2009 pronunciata nel procedimento penale a carico del direttore esecutivo della ricorrente. Alla ricorrente potrebbe pertanto essere imputata una manifesta negligenza. La Commissione non potrebbe pronunciarsi sulla veridicità della spiegazione relativa alla menzione «origine Russia» fornita dalla ricorrente. Ad ogni modo, la Commissione ritiene che la ricorrente non abbia dato prova della diligenza richiesta, posto che sussistevano indizi che le consentivano di sospettare che le merci in oggetto non fossero di origine lettone e che, malgrado ciò, essa non aveva verificato l’origine delle merci ma aveva invece continuato a importarle rivendicando la franchigia doganale del regime preferenziale.

100

Occorre, per il Tribunale, ricordare che, qualora le autorità doganali abbiano affermato che non poteva dimostrarsi che all’operatore economico fosse attribuibile alcuna frode o negligenza manifesta, la Commissione, quando intende non conformarsi alla presa di posizione delle autorità nazionali, è tenuta a dimostrare, sulla base di elementi fattuali rilevanti, l’esistenza di un comportamento manifestamente negligente di detto operatore (v. sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione, T‑324/10, EU:T:2013:136, punto 86 e giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie, le autorità doganali tedesche hanno rigettato la richiesta di sgravio dei dazi all’importazione della ricorrente basandosi esclusivamente sulla condizione relativa alla situazione particolare. Tale decisione di rigetto, successivamente, è stata impugnata dinanzi al Finanzgericht München (Sezione tributaria del Tribunale di Monaco di Baviera), il quale ha tratto la conclusione che la ricorrente non avesse violato il suo obbligo di diligenza (v. punto 20 supra). Di conseguenza, l’onere della prova grava sulla Commissione in applicazione della suddetta giurisprudenza.

101

Ai fini dell’esame delle condizioni sancite dall’articolo 239 CDC, in combinato disposto con l’articolo 905, paragrafo 3, del regolamento d’applicazione, e come ricordato al punto 40 supra, la Commissione deve analizzare tutti gli elementi pertinenti, ivi inclusi quelli connessi al comportamento dell’operatore interessato, in particolare la sua esperienza professionale, la sua buona fede, e la diligenza che ha dimostrato.

102

Al riguardo, occorre richiamare la giurisprudenza costante secondo cui, per valutare se vi sia manifesta negligenza ai sensi dell’articolo 239 del codice doganale, occorre tener conto, in particolare, della complessità delle norme il cui inadempimento ha fatto sorgere l’obbligazione doganale, nonché dell’esperienza professionale e della diligenza dell’operatore in questione (v. sentenza del 27 settembre 2005, Common Market Fertilizers/Commissione, T‑134/03 e T‑135/03, EU:T:2005:339, punto 135 e giurisprudenza ivi citata).

103

Alla luce di tali principi, occorre esaminare gli elementi considerati dalla Commissione per la sua analisi relativa alla seconda condizione dell’articolo 239 CDC.

104

Dalla decisione impugnata risulta che, secondo la Commissione, la ricorrente non aveva ottemperato all’obbligo di diligenza ad essa incombente, dal momento che aveva importato le merci in parola anche se avrebbe dovuto sapere che queste ultime avevano un’origine diversa da quella lettone. Nella decisione impugnata si menziona inoltre una riunione del gruppo di periti tenutasi l’8 maggio 2014 nell’ambito del comitato CDC, sezione «Obbligazione doganale e garanzie», a norma dell’articolo 907 del regolamento d’applicazione, nel corso della quale era stato discusso il caso della ricorrente (in prosieguo: la «riunione del gruppo di periti»). A tenore della decisione impugnata, la Lettonia avrebbe dichiarato di non avere rilasciato i certificati controversi e che sussistevano elementi «solidi» che dimostravano che le merci in questione non erano d’origine lettone. Al riguardo, le autorità doganali lettoni, nel corso della riunione del gruppo di periti, avrebbero affermato che il trasporto dei tessuti in lino si era svolto in più fasi esclusivamente allo scopo di mascherare l’origine reale delle merci e per utilizzare documenti di trasporto rilasciati in Lettonia onde certificare fraudolentemente che le merci fossero di origine lettone.

105

Alla luce di quanto precede, è d’uopo dichiarare che la Commissione non ha compiuto alcuna analisi del comportamento della ricorrente. Infatti, dalla decisione impugnata non si evince la dimostrazione che la ricorrente avrebbe dovuto sapere che le merci che importava non erano di origine lettone. Tale questione, peraltro, è il problema principale sottoposto nella causa in esame, dato che la ricorrente afferma che non sapeva che le merci in parola fossero di un’origine diversa dall’origine lettone. La circostanza che quest’ultima abbia cercato di beneficiare del regime preferenziale non prova che essa abbia agito con manifesta negligenza.

106

Parimenti, neppure la dichiarazione rilasciata dalle autorità doganali lettoni in occasione della riunione del gruppo di periti dimostra che la ricorrente abbia agito con manifesta negligenza. Occorre infatti rilevare che la citata riunione si è svolta l’8 maggio 2014, ossia più di 12 anni dopo la fine del periodo rilevante, il che consente di dubitare che le condizioni di importazione nel corso del periodo rilevante, in particolare quelle relative alle importazioni della ricorrente, siano state concretamente esaminate nella presente causa.

107

Peraltro, il fatto che le merci in causa transitassero per depositi doganali in Lettonia, come avrebbero asserito le autorità doganali lettoni nel corso della riunione del gruppo di periti, non rappresenta un fatto pertinente, in quanto è stato riferito solo nel rapporto dell’OLAF, ossia dopo il periodo pertinente. Inoltre, tale fatto, anche a considerarlo dimostrato, prova unicamente irregolarità che possono essere imputate tanto alle autorità doganali lettoni quanto alla ricorrente o ad altri operatori coinvolti.

108

Inoltre, la Commissione non ha fornito alcun elemento che consenta di avvalorare o verificare la dichiarazione rilasciata dalle autorità doganali lettoni in occasione della riunione del gruppo di periti. Occorre peraltro rilevare che una dichiarazione identica figura nella lettera del 14 marzo 2014, in cui la Commissione informava la ricorrente della sua intenzione di adottare una decisione sfavorevole a suo carico (v. punto 22 supra). Tuttavia, in tale lettera la Commissione cita quali fonti non già le autorità doganali lettoni, bensì l’ordinanza del Finanzgericht München (Sezione tributaria del Tribunale di Monaco di Baviera) del 30 aprile 2009, la quale, a sua volta, rinvia al rapporto dell’OLAF.

109

Pertanto, nella decisione impugnata, la Commissione non dimostra che il comportamento della ricorrente abbia integrato una sua mancanza di diligenza.

110

Quanto all’argomento che la Commissione ha opposto in sua difesa, secondo cui la ricorrente sarebbe stata manifestamente negligente in quanto uno dei suoi dipendenti avrebbe menzionato «origine Russia» in una lettera, è giocoforza constatare che tale considerazione costituisce un tentativo di motivazione tardiva della decisione impugnata e, pertanto, è irricevibile dinanzi al Tribunale. Per costante giurisprudenza, infatti, la motivazione, in linea di principio, deve essere comunicata all’interessato contemporaneamente all’atto che gli arreca pregiudizio. La mancanza di motivazione non può essere sanata dal fatto che l’interessato venga a conoscenza dei motivi dell’atto nel corso del procedimento dinanzi al giudice dell’Unione (sentenze del 26 novembre 1981, Michel/Parlamento, 195/80, EU:C:1981:284, punto 22; del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 463, e del 12 dicembre 2006, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, T‑228/02, EU:T:2006:384, punto 139).

111

D’altronde, tale circostanza, di per sé sola, non consente di provare una manifesta negligenza da parte della ricorrente.

112

Dato che la Commissione non ha fornito la prova, come richiede invece la giurisprudenza ricordata ai punti 100 e 102 supra, dell’assenza di diligenza da parte della ricorrente e, dunque, della sua manifesta negligenza, la seconda parte del motivo unico, vertente sulla violazione della condizione relativa all’assenza di manifesta negligenza da parte dell’importatore, deve essere anch’essa accolta.

113

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il ricorso della ricorrente deve essere accolto e che la decisione impugnata, di riflesso, deve essere annullata.

Sulle spese

114

Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente deve essere condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

115

La Commissione, essendo rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della ricorrente.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

La decisione C(2014) 4908 final della Commissione, del 16 luglio 2014, che respinge la domanda della Combaro SA diretta allo sgravio di dazi all’importazione per un importo pari a EUR 461415,12 è annullata.

 

2)

La Commissione europea sopporta le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Combaro.

 

Prek

Schalin

Costeira

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 19 luglio 2017.

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.

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