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Document 62014TJ0138

    Sentenza del Tribunale (Sesta Sezione) del 16 dicembre 2015.
    Randa Chart contro Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE).
    Responsabilità extracontrattuale – Agente locale assegnato alla delegazione dell’Unione in Egitto – Termine del contratto – Omessa trasmissione da parte della delegazione all’ente egiziano per la sicurezza sociale del certificato di fine rapporto dell’agente e omessa successiva regolarizzazione della situazione di quest’ultimo al riguardo – Prescrizione – Danno continuato – Irricevibilità parziale – Principio di buona amministrazione – Termine ragionevole – Articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali – Violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli – Danno certo – Nesso di causalità.
    Causa T-138/14.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:T:2015:981

    SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

    16 dicembre 2015 ( *1 )

    «Responsabilità extracontrattuale — Agente locale assegnato alla delegazione dell’Unione in Egitto — Termine del contratto — Omessa trasmissione da parte della delegazione all’ente egiziano per la sicurezza sociale del certificato di fine rapporto dell’agente e omessa successiva regolarizzazione della situazione di quest’ultimo al riguardo — Prescrizione — Danno continuato — Irricevibilità parziale — Principio di buona amministrazione — Termine ragionevole — Articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali — Violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli — Danno certo — Nesso di causalità»

    Nella causa T‑138/14,

    Randa Chart, residente a Woluwe‑Saint‑Lambert (Belgio), rappresentata da T. Bontinck e A. Guillerme, avvocati,

    ricorrente,

    contro

    Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), rappresentato da S. Marquardt e M. Silva, in qualità di agenti,

    convenuto,

    avente ad oggetto il ricorso per il risarcimento del danno che la ricorrente asserisce di aver subito a causa dell’omessa trasmissione, da parte della delegazione dell’Unione europea al Cairo (Egitto) all’ente egiziano per la sicurezza sociale, a seguito delle sue dimissioni, del suo certificato di fine rapporto, e dell’omessa successiva regolarizzazione della sua situazione al riguardo,

    IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

    composto da S. Frimodt Nielsen, presidente, F. Dehousse e A. M. Collins (relatore), giudici,

    cancelliere: S. Bukšek Tomac, amministratore

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 luglio 2015,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Fatti

    1

    Nel mese di maggio del 1990 la ricorrente, la sig.ra Randa Chart, all’epoca cittadina egiziana, veniva assunta dalla delegazione della Commissione europea al Cairo (Egitto) (in prosieguo: la «delegazione») in qualità di agente locale per svolgere le funzioni di assistente. La ricorrente era assoggettata al regime egiziano di sicurezza sociale.

    2

    Successivamente, la delegazione diveniva una delle componenti del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE).

    3

    L’8 ottobre 2001, dopo aver usufruito di un’aspettativa per motivi personali a decorrere dal 20 ottobre 2000, la ricorrente presentava le proprie dimissioni e si stabiliva in Belgio al fine di ricoprirvi un nuovo impiego.

    4

    In una data imprecisata nel corso dell’anno 2004 la ricorrente prendeva possesso di un appartamento al Cairo, da lei acquistato su progetto nel 1998.

    5

    Il 3 febbraio 2005 la ricorrente inviava a una delle sue ex colleghe della delegazione un messaggio di posta elettronica del seguente tenore:

    «[D]opo la mia eccitante esperienza in Europa, ho pensato di fare rientro nel mio paese di origine! Quindi, recentemente ho sostenuto vari colloqui presso società estere/istituzioni in Egitto e ho ricevuto l’offerta di un impiego da parte dell’UNDP. Sono sorpresa di non trovare il mio modulo di fine rapporto redatto dalla delegazione (ultimo datore di lavoro).

    Il documento dovrebbe trovarsi nel mio fascicolo presso la delegazione. Potrebbe cortesemente inviarmi mediante messaggio di posta elettronica una scansione “rapida” [di detto documento] e successivamente inviare l’originale al mio indirizzo a Bruxelles (...)».

    6

    Secondo le spiegazioni fornite dalla ricorrente nelle sue memorie, non contestate dal SEAE, il modulo menzionato nel messaggio di posta elettronica citato supra al punto 5 è un certificato, denominato «estemara 6», che, entro i sette giorni successivi al termine del contratto di lavoro del suo dipendente, il datore di lavoro è obbligato a redigere in tre esemplari – ossia, un originale destinato all’ente egiziano per la sicurezza sociale, una copia destinata al dipendente e una copia destinata al datore di lavoro – e a rilasciare all’ente egiziano per la sicurezza sociale. Il rilascio di tale modulo è necessario affinché il fascicolo previdenziale che lega il dipendente al datore di lavoro possa essere chiuso, affinché possa essere aperto un nuovo fascicolo previdenziale con un nuovo datore di lavoro e il dipendente possa beneficiare dei propri diritti pensionistici al termine della carriera.

    7

    Il 1o aprile 2005 la ricorrente riceveva un messaggio di posta elettronica da una società egiziana presso la quale si era candidata ad un impiego, messaggio in cui si affermava che «era sempre necessario un documento amministrativo da parte sua al fine di concludere la procedura di assunzione». L’autore del messaggio di posta elettronica sottolineava che sperava che la ricorrente, il prima possibile, potesse trasmettergli tale documento e firmare il contratto di lavoro.

    8

    Con messaggio di posta elettronica dell’11 agosto 2005, la ricorrente rinnovava presso la delegazione la propria richiesta di ottenere un modulo «estemara 6» a suo nome, atteso che il suo messaggio di posta elettronica del 3 febbraio 2005 era rimasto senza risposta. La ricorrente affermava in particolare di aver superato un colloquio di assunzione al Cairo e di non voler rischiare di «perdere» l’offerta fattale, come accaduto con l’UNDP non avendo potuto presentare detto modulo.

    9

    Con lettera datata 13 settembre 2005, inviatale da un potenziale datore di lavoro in Egitto, la ricorrente veniva a conoscenza della circostanza che la delegazione, in realtà, aveva omesso di rilasciare il modulo «estemara 6» all’ente egiziano per la sicurezza sociale, cosicché era ancora considerata da quest’ultimo una dipendente della delegazione. Tale datore di lavoro precisava che, qualora detto modulo non gli fosse stato consegnato entro il termine di una settimana, sarebbe stato costretto ad annullare l’assunzione della ricorrente.

    10

    Il 10 gennaio 2006 un’altra società egiziana offriva un impiego alla ricorrente, precisando che avrebbe potuto cominciare a lavorare non appena fosse terminata la procedura di assunzione.

    11

    La ricorrente rinnovava presso la delegazione la sua richiesta di ottenere un modulo «estemara 6» a proprio nome il 14 marzo e il 12 settembre 2006.

    12

    Il 6 marzo 2007 un’altra società con sede in Egitto inviava alla ricorrente una lettera nella quale la informava che avrebbe voluto offrirle un impiego in qualità di assistente personale del direttore generale, ma che non poteva farlo poiché mancava il modulo «estemara 6» a suo nome.

    13

    In data 7 marzo e 3 dicembre 2007 nonché il 20 febbraio 2008 la ricorrente invitava nuovamente la delegazione a farle pervenire un modulo «estemara 6» a suo nome.

    14

    Nel mese di agosto del 2008 la ricorrente otteneva la cittadinanza belga.

    15

    Il 5 febbraio 2009 la ricorrente inviava un messaggio di posta elettronica alla delegazione, nel quale affermava che, nel 2007, aveva deciso di «liquidare la propria assicurazione sociale in Egitto» e che, in tale occasione, aveva appreso dall’ente egiziano per la sicurezza sociale che il suo fascicolo previdenziale era ancora aperto, poiché la delegazione non gli aveva fatto pervenire il modulo «estemara 6». La ricorrente dichiarava altresì che, nel novembre del 2007, aveva contattato la delegazione, la quale le aveva confermato che il menzionato modulo non compariva nel suo fascicolo personale. Infine, la ricorrente invitava nuovamente la delegazione ad adottare i provvedimenti necessari affinché il suo fascicolo previdenziale potesse essere chiuso.

    16

    In pari data la delegazione rispondeva alla ricorrente che avrebbe fatto del proprio meglio al fine di risolvere il problema, ma che le occorreva un po’ di tempo.

    17

    Con messaggio di posta elettronica del 21 marzo 2009, la ricorrente chiedeva alla delegazione di fornirle informazioni riguardo all’evoluzione della situazione. Non avendo ottenuto alcuna risposta al citato messaggio di posta elettronica, ricontattava la delegazione con messaggio di posta elettronica del 20 aprile 2009.

    18

    Con messaggio di posta elettronica del 23 aprile 2009, la delegazione dichiarava alla ricorrente che si stava ancora adoperando per trovare una soluzione al suo problema e che l’avrebbe ricontattata quando avesse avuto maggiori informazioni.

    19

    Il 30 settembre 2009, non avendo ricevuto notizie dalla delegazione, la ricorrente chiedeva nuovamente a quest’ultima di informarla riguardo all’evoluzione della situazione. La ricorrente rinnovava tale richiesta con messaggio di posta elettronica del 27 ottobre 2009, anch’esso rimasto senza risposta.

    20

    Il 15 febbraio 2010 la ricorrente inviava una lettera al capo dell’unità K5 «Agenti locali» della direzione generale «Relazioni esterne» della Commissione (in prosieguo: la «DG Relex»), nella quale richiamava i fatti illustrati nel suo messaggio di posta elettronica del 5 febbraio 2009 (v. punto 15 supra) e menzionava i vari scambi successivi di messaggi di posta elettronica con la delegazione, lamentandosi per l’inerzia nonché la mancanza di trasparenza e di comunicazione da parte di quest’ultima.

    21

    Con lettera del 4 marzo 2010, il capo dell’unità K5 dichiarava alla ricorrente che era desolato che la delegazione non avesse risposto alle sue richieste e che gli sarebbe occorso un po’ di tempo per ottenere le informazioni pertinenti da parte di quest’ultima.

    22

    Con lettera del 18 marzo 2010, la delegazione chiedeva alle autorità egiziane responsabili per l’immigrazione e i passaporti di rilasciare un «movement certificate» (certificato di circolazione) a nome della ricorrente, attestante che quest’ultima aveva lasciato il territorio egiziano nel 2001 e destinato all’ente egiziano per la sicurezza sociale.

    23

    Con lettera del 25 marzo 2010, dette autorità rispondevano alla delegazione che il menzionato documento poteva essere fornito soltanto alle autorità giudiziarie o alla persona interessata e, nella seconda ipotesi, unicamente su richiesta di quest’ultima.

    24

    Con messaggio di posta elettronica del 26 marzo 2010, una funzionaria dell’unità K5 «Agenti locali» della DG Relex dichiarava alla ricorrente in particolare che, a seguito di contatto con la delegazione, era risultato che le autorità egiziane responsabili per l’immigrazione e i passaporti dovevano rilasciare un «movement certificate» attestante che la ricorrente aveva lasciato il territorio egiziano nel 2001 e che la delegazione aveva già avviato tutti gli adempimenti necessari in tal senso.

    25

    Nel mese di maggio del 2010 il marito della ricorrente incontrava, al Cairo, il capo della delegazione, il quale gli spiegava che, per poter chiudere il fascicolo previdenziale di sua moglie, occorreva che fosse quest’ultima a chiedere un «movement certificate» alle autorità egiziane responsabili per l’immigrazione e i passaporti.

    26

    Con messaggio di posta elettronica del 14 giugno 2010, la ricorrente faceva sapere alla delegazione che le era stato consigliato da un giurista nonché da un «consulente amministrativo» di non chiedere un «movement certificate». La ricorrente dichiarava di condividere la loro opinione secondo la quale spettava alla delegazione trovare una soluzione al problema e secondo cui una simile richiesta avrebbe potuto arrecarle un grave danno, atteso che tale tipo di documento era chiesto anche da persone sospettate della commissione di delitti allo scopo, in particolare, di provare il loro alibi.

    27

    Il 13 ottobre 2010 la ricorrente inviava un messaggio di posta elettronica alla delegazione per informarsi riguardo ai provvedimenti adottati da quest’ultima al fine di chiudere il suo fascicolo previdenziale. In tale messaggio di posta elettronica ripeteva che considerava la soluzione proposta dalla delegazione – ossia ottenere un «movement certificate» – inappropriata e inaccettabile. La ricorrente invitava la delegazione a fornirle una «risposta chiara e concreta» entro la metà del mese di novembre del 2010.

    28

    Il 17 ottobre 2010, a seguito di un incontro tra un rappresentante della delegazione e un responsabile dell’ente egiziano per la sicurezza sociale, l’ente stesso chiedeva alle autorità egiziane responsabili per l’immigrazione e i passaporti di fargli pervenire un «movement certificate» riguardante la ricorrente. Tale domanda non aveva alcun seguito.

    29

    L’8 marzo 2011 il consulente egiziano della ricorrente inviava al capo della delegazione una lettera in cui, in particolare, gli chiedeva di proporre un’offerta finanziaria entro il termine di un mese al fine di risolvere in via amichevole la controversia concernente il fascicolo previdenziale della sua cliente.

    30

    Con lettera del 7 aprile 2011, il capo della delegazione dichiarava al consulente egiziano della ricorrente che l’esame del caso era ancora in corso e che sarebbe stata fornita una risposta alla sua richiesta prima del 18 aprile 2011.

    31

    Il 17 maggio 2011 il consulente egiziano della ricorrente scriveva nuovamente al capo della delegazione, lamentandosi di non aver ricevuto una risposta alla sua richiesta e intimandogli di fornire un riscontro prima del 3 giugno 2011.

    32

    Con lettera del 19 maggio 2011, il capo della delegazione dichiarava al consulente egiziano della ricorrente che la delegazione non poteva accettare l’imposizione di un termine per la risposta alla sua richiesta e che l’esame del caso era ancora in corso.

    33

    Il 13 giugno 2011 la ricorrente presentava una denuncia al Mediatore europeo contro il SEAE, nella quale poneva in discussione le modalità con cui la delegazione aveva trattato il problema del suo fascicolo previdenziale in Egitto.

    34

    Nel mese di novembre del 2011 la ricorrente trasmetteva all’ente egiziano per la sicurezza sociale il modulo «estemara 6», che la delegazione aveva infine accettato di inviarle nel mese di ottobre del 2011. L’ente tuttavia respingeva detto modulo, sulla base del rilievo che era retrodatato, con una data del mese di ottobre del 2001.

    35

    L’8 marzo 2013 il Mediatore pronunciava la sua decisione in merito alla denuncia depositata dalla ricorrente. Esso dichiarava che la delegazione era responsabile della mancata presentazione, entro i termini previsti, del modulo «estemara 6» e che ogni danno subito dalla ricorrente prima del mese di maggio del 2010 e connesso alla sua situazione irregolare in materia di sicurezza sociale era conseguenza di detta mancata presentazione nonché della persistente omessa regolarizzazione da parte della delegazione, dopo il 2001, di tale situazione. Esso riteneva invece che ogni danno subito dalla ricorrente dopo il mese di maggio del 2010 dovesse essere imputato esclusivamente a quest’ultima in considerazione del suo rifiuto di chiedere un «movement certificate» alle autorità egiziane competenti.

    36

    Dalla citata decisione risulta altresì che il Mediatore aveva presentato al SEAE una proposta di soluzione in via amichevole consistente, in particolare, nell’intraprendere gli adempimenti necessari al fine di chiudere il fascicolo previdenziale della ricorrente una volta che quest’ultima gli avesse fornito il «movement certificate», nel versare alla sicurezza sociale ogni importo residuo dovuto per la ricorrente, inclusa ogni ammenda eventualmente impostale, e nell’esaminare accuratamente ogni domanda giustificata di risarcimento del danno asseritamente subito dalla ricorrente prima del mese di maggio del 2010.

    37

    Avendo rilevato che il SEAE si era impegnato a conformarsi ai primi due punti della proposta di soluzione in via amichevole, il Mediatore archiviava il caso riguardo a tali aspetti della denuncia. Per quanto concerneva il danno asseritamente subito dalla ricorrente prima del mese di maggio del 2010, il Mediatore rilevava che quest’ultima non aveva fornito alcuna prova della sua esistenza e, pertanto, archiviava tale aspetto della denuncia considerando che non era necessaria alcuna indagine supplementare in proposito.

    38

    Con messaggio di posta elettronica del 10 luglio 2013, il marito della ricorrente, rilevando che quest’ultima aveva recentemente ottenuto il «movement certificate», chiedeva al SEAE di organizzare una riunione al fine di poter «chiudere definitivamente [il] fascicolo». Il 16 luglio 2013, in risposta al citato messaggio di posta elettronica, il SEAE invitava la ricorrente a far pervenire il certificato di cui trattasi alla delegazione. Con messaggio di posta elettronica in pari data, il marito della ricorrente faceva sapere al SEAE che quest’ultima subordinava la consegna del «movement certificate» allo svolgimento di una riunione durante la quale fosse risolta anche la problematica del risarcimento dei danni da lei subiti. Con messaggio di posta elettronica del 17 settembre 2013, il SEAE dichiarava alla ricorrente in particolare che, nella decisione dell’8 marzo 2013, il Mediatore aveva rilevato che quest’ultima non aveva fornito la prova dei danni allegati e aveva archiviato tale aspetto della denuncia. Il SEAE aggiungeva che, se lo desiderava, la ricorrente era legittimata a fornirgli simili elementi di prova.

    39

    Con lettera del 30 ottobre 2013 la ricorrente inviava al SEAE una domanda di risarcimento dei danni materiali e morali che avrebbe subito a causa dei presunti comportamenti illeciti della delegazione dal mese di ottobre del 2001, stimati in un totale di EUR 452339,18. In detta lettera, la ricorrente precisava in particolare di essere disposta a consegnare il «movement certificate» al SEAE «allorché quest’ultimo [avesse] ammesso gli illeciti commessi tra il 2001 e la data attuale, che determinavano la responsabilità extracontrattuale dell’Unione (...), e [avesse] riparato il danno che ne deriva[va]».

    40

    Con lettera dell’8 gennaio 2014, il SEAE respingeva tale domanda sostenendo che era colpita da prescrizione, atteso che la ricorrente era venuta a conoscenza del fatto generatore della responsabilità fin dal 13 settembre 2005 (v. punto 9 supra).

    41

    Interrogato in proposito all’udienza, il SEAE dichiarava che, alla data di quest’ultima, il fascicolo previdenziale della ricorrente in Egitto probabilmente era ancora aperto.

    Procedimento e conclusioni delle parti

    42

    Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 febbraio 2014, la ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

    43

    Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Sesta Sezione) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento. Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 64 del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, esso ha invitato le parti a rispondere per iscritto a taluni quesiti, cosa che hanno fatto nel termine impartito.

    44

    Le parti hanno svolto le proprie difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza del 2 luglio 2015.

    45

    La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

    riconoscere la responsabilità extracontrattuale del SEAE;

    in via principale, condannare il SEAE al risarcimento dei danni subiti, stimati nella somma di EUR 509283,88, con riserva di aumento nel corso del procedimento;

    in via subordinata, condannare il SEAE al risarcimento dei danni subiti a decorrere dal 30 ottobre 2008, stimati in EUR 380063,81, con riserva di aumento nel corso del procedimento;

    condannare il SEAE alle spese.

    46

    Il SEAE chiede che il Tribunale voglia:

    in via principale, respingere il ricorso in quanto irricevibile;

    in via subordinata, respingere il ricorso in quanto infondato;

    condannare la ricorrente alle spese.

    47

    La ricorrente chiede inoltre al Tribunale di ingiungere al SEAE, a titolo di misure di organizzazione del procedimento, di produrre i documenti che provano le iniziative realizzate dalla delegazione e dal SEAE ai fini della risoluzione della controversia in esame.

    In diritto

    Osservazioni preliminari

    48

    Ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, in materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni.

    49

    Secondo una costante giurisprudenza, in forza della citata disposizione, il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione per comportamento illecito delle sue istituzioni o dei suoi organi presuppone che siano soddisfatte varie condizioni, vale a dire l’illiceità del comportamento di cui si fa carico all’istituzione o all’organo dell’Unione, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità fra il comportamento fatto valere e il danno lamentato (sentenza del 29 settembre 1982, Oleifici Mediterranei/CEE, 26/81, Racc., EU:C:1982:318, punto 16, nonché sentenza del 14 dicembre 2005, Beamglow/Parlamento e a., T‑383/00, Racc., EU:T:2005:453, punto 95).

    50

    Le tre menzionate condizioni sono cumulative. L’assenza di una di esse, quindi, è sufficiente a respingere un ricorso per risarcimento (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 1994, KYDEP/Consiglio e Commissione, C‑146/91, Racc., EU:C:1994:329, punto 81, nonché sentenza del 20 febbraio 2002, Förde‑Reederei/Consiglio e Commissione, T‑170/00, Racc., EU:T:2002:34, punto 37).

    51

    Per quanto attiene alla condizione relativa al comportamento illecito contestato all’istituzione o all’organo dell’Unione interessato, la giurisprudenza esige che sia dimostrata una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica avente ad oggetto l’attribuzione di diritti ai singoli (sentenza del 4 luglio 2000, Bergaderm e Goupil/Commissione, C‑352/98 P, Racc., EU:C:2000:361, punto 42). Il criterio decisivo che consente di considerare sufficientemente qualificata una violazione consiste nella violazione manifesta e grave, commessa dall’istituzione o dall’organo dell’Unione in questione, dei limiti posti al suo potere discrezionale. Quando tale istituzione o tale organo dispone solo di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto dell’Unione può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata (sentenza del 10 dicembre 2002, Commissione/Camar e Tico, C‑312/00 P, Racc., EU:C:2002:736, punto 54, nonché sentenza del 12 luglio 2001, Comafrica e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, T‑198/95, T‑171/96, T‑230/97, T‑174/98 e T‑225/99, Racc., EU:T:2001:184, punto 134).

    52

    Per quanto riguarda la condizione che attiene all’effettività del danno, la responsabilità dell’Unione può sussistere soltanto se la ricorrente ha effettivamente subito un danno reale e certo (sentenza del 16 gennaio 1996, Candiotte/Consiglio, T‑108/94, Racc., EU:T:1996:5, punto 54). Spetta alla ricorrente fornire prove concludenti in ordine sia all’esistenza che alla portata di tale danno (v. sentenza del 16 settembre 1997, Blackspur DIY e a./Consiglio e Commissione, C‑362/95 P, Racc., EU:C:1997:401, punto 31 e giurisprudenza ivi citata). La condizione relativa all’esistenza di un danno certo è soddisfatta qualora il danno sia imminente e prevedibile con sufficiente sicurezza, anche se la sua entità non è ancora esattamente determinabile (sentenza del 14 gennaio 1987, Zuckerfabrik Bedburg e a./Consiglio e Commissione, 281/84, Racc., EU:C:1987:3, punto 14, e ordinanza del 14 dicembre 2005, Arizona Chemical e a./Commissione, T‑369/03, Racc., EU:T:2005:458, punto 106).

    53

    Per quanto attiene alla condizione relativa all’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento dedotto e il danno invocato, detto danno deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato, quest’ultimo dovendo costituire la causa determinante del danno, atteso che non vi è l’obbligo di risarcire qualsiasi conseguenza dannosa, anche lontana, di una situazione illecita (sentenza del 4 ottobre 1979, Dumortier e a./Consiglio, 64/76, 113/76, 167/78, 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, Racc., EU:C:1979:223, punto 21; v., altresì, sentenza del 10 maggio 2006, Galileo International Technology e a./Commissione, T‑279/03, Racc., EU:T:2006:121, punto 130 e giurisprudenza ivi citata). Spetta alla ricorrente fornire la prova dell’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento contestato e il danno lamentato (v. sentenza del 30 settembre 1998, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, T‑149/96, Racc., EU:T:1998:228, punto 101 e giurisprudenza ivi citata).

    54

    Peraltro, l’articolo 46, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, applicabile alla procedura dinanzi al Tribunale, conformemente all’articolo 53, primo comma, di detto Statuto, così recita:

    «Le azioni contro l’Unione in materia di responsabilità extracontrattuale si prescrivono in cinque anni a decorrere dal momento in cui avviene il fatto che dà loro origine. La prescrizione è interrotta sia dall’istanza presentata alla Corte di giustizia, sia dalla preventiva richiesta che il danneggiato può rivolgere all’istituzione competente dell’Unione. In quest’ultimo caso l’istanza deve essere proposta nel termine di due mesi previsto dall’articolo 263 [TFUE]; sono applicabili, quando ne sia il caso, le disposizioni di cui all’articolo 265, secondo comma, [TFUE]».

    55

    La prescrizione ha la funzione di conciliare la tutela dei diritti individuali e il principio della certezza del diritto. Il termine di prescrizione è stato quindi determinato tenendo conto in particolare del periodo necessario alla parte che si asserisce sia stata lesa per raccogliere informazioni adeguate in vista di un eventuale ricorso e per verificare i fatti che possano essere invocati a sostegno di detto ricorso (v. ordinanza del 14 settembre 2005, Ehcon/Commissione, T‑140/04, Racc., EU:T:2005:321, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

    56

    Il termine di prescrizione inizia a decorrere quando sono integrate tutte le condizioni cui è subordinato l’obbligo di risarcimento del danno e, in particolare, quando il danno da risarcire si è verificato (sentenza del 17 luglio 2008, Commissione/Cantina sociale di Dolianova e a., C‑51/05 P, Racc., EU:C:2008:409, punto 54). Per quanto riguarda, più specificamente, il contenzioso sorto da atti individuali, il termine di prescrizione inizia a decorrere quando tali atti hanno prodotto i loro effetti pregiudizievoli nei riguardi delle persone a cui si dirigono [sentenza del 19 aprile 2007, Holcim (Deutschland)/Commissione, C‑282/05 P, Racc., EU:C:2007:226, punti 2930, e ordinanza del 1o aprile 2009, Perry/Commissione, T‑280/08, EU:T:2009:98, punto 36].

    57

    Qualora la vittima del danno abbia potuto avere conoscenza del fatto che lo ha causato solo con ritardo, il termine può iniziare a decorrere nei suoi confronti solo dall’avvenuta conoscenza (v. sentenza del 13 dicembre 2006, É.R. e a./Consiglio e Commissione, T‑138/03, Racc., EU:T:2006:390, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

    58

    Nel caso di un danno a carattere continuato, la prescrizione prevista dall’articolo 46 dello Statuto della Corte si applica, in base alla data dell’atto interruttivo, al periodo che precede di oltre cinque anni tale data, senza pregiudizio per eventuali diritti sorti nel corso dei periodi successivi (ordinanza del 14 dicembre 2005, Arizona Chemical e a./Commissione, T‑369/03, Racc., EU:T:2005:458, punto 116, nonché ordinanza del 10 aprile 2008, 2K‑Teint e a./Commissione e BEI, T‑336/06, EU:T:2008:104, punto 106).

    Sulla ricevibilità

    59

    Senza sollevare formalmente un’eccezione di irricevibilità ai sensi dell’articolo 114 del regolamento di procedura del 2 maggio 1991, il SEAE afferma che il ricorso in esame è irricevibile sulla base del rilievo che sarebbe colpito da prescrizione ai sensi dell’articolo 46 dello Statuto della Corte. Il SEAE sostiene che la ricorrente ha potuto prendere conoscenza del fatto generatore dei danni dedotti «almeno dal 1o aprile 2005 e non oltre il 6 marzo 2007», ossia oltre cinque anni prima della presentazione della preventiva richiesta di risarcimento del 30 ottobre 2013. All’udienza, in risposta a un quesito del Tribunale, il SEAE ha dichiarato che, a suo avviso, le tre condizioni cumulative che consentivano, in ogni caso, alla ricorrente di chiedere il risarcimento dei danni dedotti si erano realizzate entro il mese di febbraio del 2008.

    60

    Il SEAE ritiene che la ricorrente non possa trarre un argomento dalla circostanza che il presunto comportamento illecito sia persistito fino alla data odierna, comportando nei suoi confronti un danno continuato e rinnovato quotidianamente. Esso sottolinea che, secondo la giurisprudenza, le condizioni alle quali è subordinato l’obbligo di risarcimento dei danni di cui all’articolo 340, secondo comma, TFUE – e, pertanto, le norme sulla prescrizione che disciplinano le azioni volte al risarcimento dei danni medesimi – non possono non fondarsi su criteri rigorosamente oggettivi. Orbene, l’argomentazione della ricorrente si fonderebbe sulla sua «percezione soggettiva» secondo la quale tutti gli eventi connessi alla sua vita professionale e personale, verificatisi dopo il 2001, sarebbero conseguenza dell’iniziale omesso rilascio da parte della delegazione di un modulo «estemara 6» a suo nome. Il SEAE conclude che il termine di prescrizione ha cominciato a decorrere dal momento in cui «la mancata chiusura del fascicolo della ricorrente presso l’ente di sicurezza sociale ha effettivamente e oggettivamente causato un danno impedendo[le] di accettare le offerte dei potenziali datori di lavoro».

    61

    La ricorrente respinge il motivo di irricevibilità sollevato dal SEAE.

    62

    In via principale, la ricorrente sostiene che il presunto comportamento illecito della delegazione non è cessato dal mese di ottobre del 2001, causandole un danno continuato e crescente a partire da tale data. Orbene, corrisponderebbe a una giurisprudenza consolidata che, se il danno presenta un simile carattere continuato, il termine di prescrizione comincia a decorrere soltanto dalla data della «completa concretizzazione» di detto danno. Pertanto, non può esserle opposto alcun termine di prescrizione.

    63

    In subordine, la ricorrente, ripetendo che il danno dedotto ha carattere continuato e rilevando di aver inviato al SEAE una preventiva richiesta di risarcimento il 30 ottobre 2013 – richiesta che costituirebbe un atto interruttivo della prescrizione –, sostiene che il ricorso in esame non può essere colpito da prescrizione per quanto attiene ai danni verificatisi dopo il 30 ottobre 2008.

    64

    La ricorrente contesta principalmente alla delegazione e al SEAE, da un lato, di non aver rilasciato il modulo «estemara 6» entro i sette giorni successivi alle sue dimissioni, nel mese di ottobre del 2001, e, dall’altro lato, di essersi successivamente astenuti dal regolarizzare la sua situazione nei confronti dell’ente egiziano per la sicurezza sociale nonché di rispondere alle sue domande. Ciò premesso, la ricorrente deduce una violazione, in primo luogo, del principio di buona amministrazione, in secondo luogo, del principio del termine ragionevole e, in terzo luogo, del diritto egiziano applicabile.

    65

    La ricorrente addebita altresì alla delegazione e al SEAE di aver tentato di ottenere, senza il suo consenso e senza neppure averla previamente informata, un «movement certificate» che la riguardava. In proposito, deduce una violazione del diritto al rispetto della vita privata.

    66

    La ricorrente sostiene di aver subito danni tanto materiali quanto morali a causa dei presunti comportamenti illeciti della delegazione e del SEAE.

    67

    Il primo danno materiale fatto valere dalla ricorrente è costituito dalle spese amministrative e di assistenza legale che ha sostenuto per vari adempimenti, in particolare amministrativi, da lei avviati in Belgio e in Egitto, valutati nell’importo complessivo di EUR 5200. La ricorrente afferma in sostanza che, considerato che era per lei impossibile tornare a vivere e lavorare in Egitto a causa del presunto comportamento illecito della delegazione e del SEAE, ogni anno, in Belgio, ha dovuto affrontare una «lunga maratona amministrativa» presso le autorità allo scopo di ottenere permessi di lavoro e di soggiorno nonché, infine, la cittadinanza belga.

    68

    Il secondo danno materiale dedotto dalla ricorrente è costituito dalle spese di alloggio che ha sostenuto in Belgio dal 1o gennaio 2004. La ricorrente chiede il rimborso dei canoni corrisposti per la locazione dei due appartamenti che ha ivi occupato, in ordine successivo, tra tale data e il 31 gennaio 2008, di spese connesse all’acquisto di mobili per il secondo di detti appartamenti nonché degli interessi dovuti in relazione al mutuo contratto per l’acquisto di un appartamento in Belgio nel mese di luglio del 2007, appartamento nel quale si era stabilita il 1o febbraio 2008.

    69

    Il terzo danno materiale dedotto dalla ricorrente riguarda la perdita, da lei subita, dell’opportunità di tornare a lavorare in Egitto dal 1o gennaio 2004 e di realizzarvi una carriera professionale più prestigiosa, più dinamica, più interessante sul piano finanziario e che offrisse prospettive migliori rispetto a quella che ha in Belgio.

    70

    Il quarto danno materiale fatto valere dalla ricorrente è costituito dal ridotto importo della pensione di anzianità che potrà ottenere in Belgio. La ricorrente afferma che, a causa del presunto comportamento illecito della delegazione e del SEAE, non potrà raggiungere il numero minimo di anni necessario per poter beneficiare di una pensione di anzianità in Egitto e che i periodi contributivi che potrà cumulare in Belgio sono troppo brevi per dare ivi luogo al versamento di una pensione di anzianità massima.

    71

    Il quinto danno materiale dedotto dalla ricorrente è costituito dalle spese di viaggio sostenute per recarsi in Egitto al fine di incontrarvi potenziali datori di lavoro in occasione delle sue ricerche di un impiego e di fare ivi visita alla propria famiglia e ai propri amici. La ricorrente valuta tali spese in EUR 8000, stimati in ragione di due viaggi all’anno e di un prezzo medio di EUR 400 per un biglietto aereo di andata e ritorno.

    72

    Per quanto concerne i danni morali dedotti, in primo luogo, la ricorrente afferma che i presunti comportamenti illeciti della delegazione e del SEAE l’hanno posta in uno stato di stress e di angoscia, che le ha causato disturbi digestivi, reazioni cutanee e una profonda depressione. In secondo luogo, adduce di soffrire per l’allontanamento dalla sua famiglia e dai suoi amici.

    73

    La ricorrente sostiene che i vari danni materiali e morali menzionati ai precedenti punti da 67 a 72 sono diretta conseguenza del mancato rilascio da parte della delegazione e del SEAE di un modulo «estemara 6» a suo nome e dell’omessa successiva regolarizzazione della sua situazione in proposito. Per quanto concerne il presunto comportamento illecito derivante dai tentativi della delegazione di ottenere, senza il suo previo consenso, un «movement certificate» che la riguardasse, la ricorrente ha dichiarato, in risposta a un quesito scritto del Tribunale, che esso le aveva causato «stress e un particolare stato di tensione, che [aveva] contribuito all’accrescimento del danno morale subito (...) dal 2004».

    74

    Lasciando impregiudicata la questione di stabilire se i comportamenti contestati alla delegazione e al SEAE siano tali da far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione e se la condizione che attiene all’esistenza di un nesso di causalità diretto sia, in ogni caso, soddisfatta, occorre individuare l’esatto momento in cui gli effetti pregiudizievoli dedotti si sono effettivamente verificati nei confronti della ricorrente. Per fare ciò, occorre esaminare in ordine successivo i differenti danni materiali e morali di cui quest’ultima chiede il risarcimento.

    75

    Occorre rilevare in limine che è pacifico tra le parti che la delegazione aveva l’obbligo, ai sensi del diritto egiziano applicabile, di compilare e rilasciare il modulo «estemara 6» relativo alla ricorrente fin dal mese di ottobre del 2001, ma che ha omesso di farlo. Dagli atti di causa risulta che la ricorrente, la quale, all’epoca, si trovava in Belgio, tuttavia è venuta a conoscenza di tale omissione soltanto il 13 settembre 2005, in modo puramente casuale (v. punto 9 supra). Certo, con messaggi di posta elettronica del 3 febbraio (v. punto 5 supra) e dell’11 agosto 2005 (v. punto 8 supra), aveva già chiesto alla delegazione di farle pervenire in Belgio il suo esemplare del modulo di cui trattasi. Tuttavia, in tali date la ricorrente credeva, in assoluta buona fede, che detto esemplare comparisse nel suo fascicolo personale presso la delegazione; ignorava che, in realtà, quest’ultima non aveva neppure redatto il citato modulo. Si deve pertanto ritenere, ai sensi della giurisprudenza citata supra al punto 57, che il termine di prescrizione non possa, in ogni caso, aver iniziato a decorrere prima del 13 settembre 2005, in particolare dal mese di ottobre del 2001.

    76

    Va rilevato che i danni materiali e morali dedotti dalla ricorrente traggono tutti origine dalla medesima circostanza, ossia dal fatto che, in considerazione del mancato rilascio di un modulo «estemara 6» a suo nome da parte della delegazione, non ha potuto trovare un nuovo impiego in Egitto e, di conseguenza, ristabilirsi in tale paese.

    77

    Ad avviso della ricorrente, infatti, ne è derivato quanto segue:

    ha dovuto rinnovare i propri permessi di lavoro e titoli di soggiorno in Belgio, prima di chiedere la cittadinanza belga, e ricorrere ai servizi di un avvocato belga e di un avvocato egiziano (primo danno materiale dedotto);

    ha dovuto continuare a farsi carico di spese di alloggio in Belgio (secondo danno materiale dedotto);

    non ha potuto realizzare una carriera professionale in Egitto (terzo danno materiale dedotto);

    non potrà rivendicare diritti pensionistici in Egitto né percepire una pensione di anzianità massima in Belgio (quarto danno materiale dedotto);

    deve farsi carico di spese di viaggio due volte all’anno, in particolare per fare visita alla propria famiglia e ai propri amici in Egitto (quinto danno materiale dedotto);

    versa in uno stato di stress e di angoscia e soffre per l’allontanamento dalla sua famiglia e dai suoi amici.

    78

    In vari passaggi delle sue memorie, la ricorrente sostiene che i danni dedotti hanno carattere continuato dal mese di ottobre del 2001, atteso che il mancato rilascio di un modulo «estemara 6» a suo nome da parte della delegazione persiste da tale data. Tuttavia, allorché descrive più dettagliatamente i danni menzionati, li fa sorgere il 1o gennaio 2004.

    79

    In proposito, innanzitutto, si deve osservare che gli atti di causa dimostrano che è solo all’inizio dell’anno 2005 che la ricorrente ha iniziato a sostenere colloqui allo scopo di trovare un impiego in Egitto e, per la prima volta, ha perso un’opportunità di lavoro in tale paese a causa dell’assenza del modulo «estemara 6» a suo nome nel suo fascicolo previdenziale (v. punti 5 e 8 supra). La ricorrente, dunque, in ogni caso non può chiedere di essere risarcita a decorrere dal 1o gennaio 2004.

    80

    Inoltre, lasciando impregiudicata, per il momento, la questione della risarcibilità dei danni dedotti dalla ricorrente, occorre osservare che soltanto taluni di essi possono avere carattere continuato.

    81

    In proposito, si deve rilevare che risulta dalla giurisprudenza che devono essere considerati come aventi un siffatto carattere i danni che si riproducono nel corso di periodi successivi e che aumentano in proporzione al tempo trascorso (v., in tal senso, ordinanza del 4 settembre 2009, Inalca e Cremonini/Commissione, T‑174/06, EU:T:2009:306, punto 57).

    82

    Non può rientrare in tale definizione il danno materiale costituito dalle spese amministrative e dalle spese di assistenza legale sostenute dalla ricorrente in Belgio ai fini del rinnovo dei suoi titoli di soggiorno e dei permessi di lavoro nonché per l’acquisizione della cittadinanza belga. Dette spese, infatti, pur essendosi ripetute alcune volte tra il 2005 e il mese di agosto del 2008, hanno carattere istantaneo, nella misura in cui si sono effettivamente realizzate alla data dell’avvio di ciascuno dei procedimenti amministrativi di cui trattasi e i loro importi non sono aumentati in proporzione al tempo trascorso.

    83

    La menzionata componente del primo danno materiale dedotto si è quindi concretizzata nei confronti della ricorrente per l’ultima volta ad agosto del 2008, ossia oltre cinque anni prima della sua preventiva richiesta di risarcimento del 30 ottobre 2013 e della presentazione del ricorso per risarcimento in esame. Si deve pertanto concludere che il ricorso è colpito da prescrizione per quanto riguarda detta componente.

    84

    Per quanto attiene alle spese di assistenza legale asseritamente sostenute dalla ricorrente in Egitto, anch’esse rientranti nell’ambito del primo danno materiale invocato e aventi parimenti, per natura, carattere istantaneo, è sufficiente rilevare che la ricorrente non precisa la data in cui si sono concretizzate. Per di più, non produce alcun elemento di prova idoneo a dimostrarne l’effettività e la portata.

    85

    Ne consegue che la domanda di risarcimento del primo danno materiale dedotto dev’essere respinta in toto.

    86

    Non può essere qualificato come continuato neppure il danno costituito dalle spese di viaggio asseritamente sostenute dalla ricorrente per recarsi in Egitto. Infatti, per loro natura, simili spese si realizzano effettivamente alla data di ciascuno dei viaggi di cui trattasi e non aumentano in proporzione al tempo trascorso.

    87

    Nel caso di specie, la ricorrente non precisa la data in cui le citate spese di viaggio si sono concretizzate rispetto a lei. Si potrebbe presumere, tutt’al più, che si riferiscano agli anni dal 2004 al 2013, il che porterebbe a concludere che il ricorso in esame è colpito da prescrizione per quanto riguarda quelle sostenute dalla ricorrente prima dell’anno 2009. Inoltre, in ogni caso, quest’ultima non fornisce alcuna prova dell’effettività e della portata delle spese di viaggio dedotte.

    88

    Pertanto, la domanda di risarcimento del quinto danno materiale dedotto dev’essere respinta in toto.

    89

    Gli altri tre danni materiali dedotti, invece, possono avere carattere continuato.

    90

    In proposito, occorre rilevare che dagli atti di causa emerge con sufficiente chiarezza che la ricorrente intendeva ritornare a vivere e lavorare in Egitto dall’inizio dell’anno 2005, ma che non ha mai potuto trovare un impiego in tale paese a causa del persistente mancato rilascio di un modulo «estemara 6» a suo nome da parte della delegazione e che, di conseguenza, è stata costretta a rimanere a vivere e lavorare in Belgio. Per quanto attiene a quest’ultimo punto, va evidenziato in limine che, contrariamente a quanto sostenuto dal SEAE in vari passaggi delle sue memorie, la decisione della ricorrente di rimanere in Belgio a decorrere dall’anno 2005 non dipende da una sua libera scelta personale, ma è originata – per riprendere le sue parole – dallo «stallo della sua situazione amministrativa in Egitto». La circostanza che, alcuni anni dopo, abbia deciso di stabilirsi definitivamente in Belgio e di acquisire la cittadinanza belga si spiega prima di tutto con la sua rassegnazione di fronte alla mancanza di un riscontro da parte della delegazione alle molteplici richieste di rilascio di un modulo «estemara 6» a suo nome e con la volontà di limitare per quanto possibile la portata dei danni che riteneva di subire.

    91

    Possono pertanto, in ogni caso, essere considerate a carattere continuato le spese di alloggio sostenute in Belgio dall’inizio del 2005 da parte della ricorrente che, se avesse potuto ritornare a vivere e lavorare in Egitto a partire da tale data, avrebbe potuto occupare l’appartamento da lei acquistato al Cairo (v. punto 4 supra).

    92

    Quanto all’opportunità perduta dalla ricorrente di realizzare, in Egitto, una carriera professionale più interessante e lucrativa rispetto a quella che ha in Belgio e alle presunte conseguenze di tale perdita in materia di diritti pensionistici, si tratta parimenti di danni che, se accertati, hanno carattere continuato e progressivo, poiché sono connessi all’impossibilità, per la ricorrente, di tornare a lavorare in Egitto a decorrere dal 2005.

    93

    Per quanto riguarda infine i danni morali invocati dalla ricorrente, supponendo che siano adeguatamente dimostrati, si deve ritenere che, per loro natura, non si siano realizzati istantaneamente, ma si siano rinnovati quotidianamente per tutto il periodo durante il quale la ricorrente è stata impossibilitata a tornare a lavorare e vivere in Egitto.

    94

    Il SEAE non può sostenere che l’argomento della ricorrente relativo al carattere continuato dei danni dedotti si basa sulla «percezione soggettiva» di quest’ultima secondo la quale tutti gli eventi connessi alla sua vita professionale e personale, verificatisi dopo il 2001, sono conseguenza dell’iniziale omesso rilascio da parte della delegazione del modulo «estemara 6». Il menzionato argomento, infatti, si fonda non già su una mera valutazione soggettiva da parte della ricorrente, ma su numerosi e concreti elementi oggettivi che compaiono negli atti di causa, da cui si evince in particolare che quest’ultima, dall’inizio dell’anno 2005, aveva la ferma intenzione di tornare ad abitare e lavorare nel proprio paese natio, ove possiede un appartamento e ove vivono la sua famiglia e i suoi amici, e che ha perduto concrete opportunità di lavoro in Egitto nel 2005, nel 2006 e nel 2007 a causa dell’assenza di un modulo «estemara 6» a suo nome nel suo fascicolo previdenziale. Dagli atti di causa risulta altresì che, nonostante le molteplici richieste di regolarizzazione formulate dalla ricorrente a decorrere dal mese di febbraio del 2005, è solo cinque anni più tardi che la delegazione, innanzitutto nel proprio interesse (v. punto 119 infra), si è degnata di adottare un primo provvedimento concreto nel caso di specie, tentando di ottenere un «movement certificate» che la riguardasse, e che a causa di tale situazione inestricabile la ricorrente si è trovata in uno stato di stress e di ansia che le ha causato problemi sia fisici che psicologici, alcuni dei quali persistevano ancora alla data di presentazione del ricorso in esame.

    95

    Il SEAE, inoltre, omette di tener conto del preciso addebito formulato dalla ricorrente. Quest’ultima contesta alla delegazione non tanto l’omesso rilascio di un modulo «estemara 6» a suo nome nel mese di ottobre del 2001, quanto piuttosto di aver deliberatamente omesso di regolarizzare successivamente la sua situazione, malgrado la costante reiterazione delle sue richieste in tal senso dal mese di febbraio del 2005. La ricorrente afferma che, stante il mantenimento del menzionato comportamento asseritamente illecito, i dedotti effetti pregiudizievoli hanno continuato a prodursi ad intervalli regolari e ad accrescersi.

    96

    Per quanto concerne le conseguenze che devono essere tratte dalla constatazione secondo la quale i dedotti danni materiali secondo, terzo e quarto nonché i dedotti danni morali hanno carattere continuato, occorre rilevare che la tesi principale della ricorrente – secondo cui nel caso di specie non può esserle opposto alcun termine di prescrizione atteso che il presunto comportamento illecito della delegazione e del SEAE nonché gli effetti pregiudizievoli che ne derivano persistono ancora alla data odierna – non è conforme alla giurisprudenza citata al precedente punto 58. Del resto, in risposta a un quesito scritto rivoltole dal Tribunale, così come all’udienza, la ricorrente ha esplicitamente ammesso che la sua tesi principale si basava su un’erronea interpretazione della citata giurisprudenza e ha dichiarato di rinunciare a detta tesi, confermando soltanto quella formulata in via subordinata.

    97

    Conformemente a quest’ultima tesi e in considerazione della circostanza che la ricorrente ha inviato una preventiva richiesta di risarcimento al SEAE in data 30 ottobre 2013, il ricorso in esame dev’essere dichiarato ricevibile nella parte in cui è volto al risarcimento dei dedotti danni materiali secondo, terzo e quarto nonché dei dedotti danni morali, nei limiti in cui tali differenti danni sono stati patiti dopo il 30 ottobre 2008. Esso dev’essere dichiarato irricevibile quanto al resto.

    Nel merito

    Sui presunti comportamenti illeciti

    98

    In primo luogo, la ricorrente contesta, in sostanza, al SEAE e alla delegazione di non aver rilasciato un modulo «estemara 6» a suo nome entro i sette giorni successivi alle sue dimissioni, nel mese di ottobre del 2001, e di essersi astenuti dal regolarizzare successivamente la sua situazione nei confronti dell’ente egiziano per la sicurezza sociale, nonostante le sue molteplici richieste in tal senso. In secondo luogo, addebita loro di aver tentato di ottenere, senza il suo consenso e senza neppure averla previamente informata, un «movement certificate» che la riguardasse.

    – Sul mancato rilascio del modulo «estemara 6» a nome della ricorrente e sull’omessa successiva regolarizzazione della situazione di quest’ultima

    99

    Per quanto attiene al primo presunto comportamento illecito, la ricorrente deduce una violazione, in primo luogo, del principio di buona amministrazione, in secondo luogo, del principio del termine ragionevole e, in terzo luogo, del diritto egiziano applicabile.

    100

    In primo luogo, per quanto concerne la presunta violazione del principio di buona amministrazione, la ricorrente sostiene che la sua situazione non è mai stata trattata in modo imparziale ed equo dalla delegazione e dal SEAE, in violazione dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La ricorrente afferma che, per vari anni, non ha ottenuto alcuna risposta concreta alle sue numerose richieste da parte della delegazione, la quale avrebbe così ignorato il suo caso deliberatamente ed ingiustamente. Sostiene inoltre che il SEAE non ha attuato diligentemente la decisione del Mediatore dell’8 marzo 2013.

    101

    Il SEAE nega di essere rimasto completamente inerte e di aver dato prova di una mancanza di rispetto e di equità nei confronti della ricorrente, affermando di aver risposto numerose volte alle richieste di quest’ultima e di aver intrapreso iniziative al fine di risolvere il problema di cui trattasi. Esso nega altresì di non aver agito a seguito della decisione del Mediatore dell’8 marzo 2013 e rileva in particolare, in proposito, di aver chiesto più volte alla ricorrente di fargli pervenire un «movement certificate», cosa che quest’ultima si sarebbe rifiutata di fare.

    102

    In secondo luogo, la ricorrente ritiene che la delegazione e il SEAE abbiano violato il principio del termine ragionevole, in quanto, alla data attuale, non hanno ancora regolarizzato la sua situazione nei confronti della sicurezza sociale egiziana, mentre dall’inizio dell’anno 2005 la ricorrente aveva chiesto alla prima di trasmetterle al più presto il modulo «estemara 6», aveva successivamente rinnovato tale richiesta a più riprese a mezzo telefono, lettera e messaggio di posta elettronica, aveva contattato la DG Relex nel 2010 e il Mediatore aveva pronunciato una decisione che constatava il comportamento illecito del SEAE e i conseguenti danni.

    103

    Il SEAE afferma che la ricorrente ha contattato la delegazione, per la prima volta, soltanto a febbraio del 2005 e che gli scambi di corrispondenza tra le due sono divenuti più frequenti soltanto a partire dal 2007. Esso sostiene che, se la situazione della ricorrente non è ancora regolarizzata, lo si deve al fatto che dal 2010 quest’ultima rifiuta di consegnargli un «movement certificate». Il protrarsi della situazione all’origine del ricorso in esame dunque sarebbe imputabile, perlomeno parzialmente, alla ricorrente. In particolare, come risulterebbe dalla decisione del Mediatore dell’8 marzo 2013, i danni subiti dalla ricorrente dopo il mese di maggio del 2010 sarebbero imputabili unicamente a quest’ultima, che avrebbe rifiutato di collaborare con la delegazione.

    104

    In terzo luogo, la ricorrente afferma che la delegazione ha violato il diritto egiziano applicabile, avendo omesso di rilasciare un modulo «estemara 6» a suo nome entro i sette giorni successivi al termine del suo contratto di lavoro. La ricorrente sostiene che soltanto la delegazione è in grado di porre rimedio a tale violazione. Orbene, dal 2005 quest’ultima si rifiuterebbe di regolarizzare la sua situazione unicamente per ragioni finanziarie, atteso che una simile regolarizzazione non può avvenire a titolo retroattivo, bensì soltanto a decorrere dalla data di deposito del modulo di cui trattasi, il che implicherebbe il pagamento dei contributi previdenziali fino a quest’ultima data.

    105

    Il SEAE ammette di non aver rilasciato il modulo «estemara 6» entro il termine previsto, ma ripete che, quando ha tentato di risolvere il problema, non ha potuto ottenere la collaborazione della ricorrente, che rifiutava di chiedere un «movement certificate». Esso dichiara che non sarebbe corretto chiudere il fascicolo previdenziale di quest’ultima come se avesse lavorato per la delegazione fino alla data odierna. Il SEAE aggiunge che la delegazione si è infine avvalsa dei servizi di un avvocato, che avrebbe inviato detto modulo all’ultimo indirizzo della ricorrente in Egitto nonché una lettera all’ente egiziano per la sicurezza sociale, il quale tuttavia non avrebbe mai risposto.

    106

    In primo luogo, occorre esaminare la presunta violazione del diritto egiziano applicabile.

    107

    In proposito, si deve rilevare che è pacifico tra le parti che, in forza di detta normativa, la delegazione era tenuta a redigere, entro i sette giorni successivi al termine del contratto di lavoro che la legava alla ricorrente, il modulo «estemara 6» a nome di quest’ultima e a rilasciarlo all’ente egiziano per la sicurezza sociale, ma che ha omesso di farlo. Come affermato dal SEAE all’udienza, parrebbe inoltre che, alla data di quest’ultima, la situazione della ricorrente in proposito non fosse ancora regolarizzata (v. punto 41 supra).

    108

    Si deve tuttavia rilevare che, come del resto ammesso dalla ricorrente all’udienza, una simile violazione di una normativa nazionale di un paese terzo, in quanto tale e di per sé, non può costituire una violazione del diritto dell’Unione atta a far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione stessa. In tal senso, la Corte ha già dichiarato che le omissioni delle istituzioni dell’Unione potevano far sorgere la responsabilità di quest’ultima solo qualora dette istituzioni avessero violato un obbligo di agire stabilito per legge risultante da una disposizione del diritto dell’Unione (sentenza KYDEP/Consiglio e Commissione, punto 50 supra, EU:C:1994:329, punto 58, nonché sentenza del 13 novembre 2008, SPM/Consiglio e Commissione, T‑128/05, EU:T:2008:494, punto 128).

    109

    Qualora invece la violazione di una normativa nazionale di un paese terzo costituisca contemporaneamente una violazione di una norma del diritto dell’Unione, in particolare di un principio generale del diritto dell’Unione, può sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione. Così, nel caso di specie, la violazione, ammessa dal SEAE, del diritto egiziano applicabile non dev’essere valutata autonomamente, bensì nel contesto dei motivi vertenti sulla violazione dei principi, da un lato, di buona amministrazione e, dall’altro, del termine ragionevole.

    110

    In secondo luogo, occorre trattare congiuntamente i motivi che vertono sulla violazione dei principi, da un lato, di buona amministrazione e, dall’altro, del termine ragionevole.

    111

    In proposito, si deve ricordare che l’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, rubricato «Diritto ad una buona amministrazione», al paragrafo 1 prevede che ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione. L’articolo 41, paragrafo 3, della citata Carta richiama il principio sancito all’articolo 340, secondo comma, TFUE, secondo il quale ogni persona ha diritto al risarcimento da parte dell’Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni, conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri.

    112

    Le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali precisano che il suo articolo 41 è basato sull’esistenza dell’Unione in quanto comunità di diritto, le cui caratteristiche sono state sviluppate dalla giurisprudenza che ha consacrato segnatamente la buona amministrazione come principio generale di diritto.

    113

    Il principio di buona amministrazione, quando costituisce espressione di un diritto specifico come il diritto di vedere le proprie questioni trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole, ai sensi dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, dev’essere considerato come una norma del diritto dell’Unione avente lo scopo di attribuire diritti ai singoli [v., trattandosi dell’obbligo di diligenza, che si ricollega al principio di buona amministrazione e impone all’istituzione competente di esaminare, con cura e imparzialità, tutti gli elementi pertinenti del caso di specie, sentenza del 16 dicembre 2008, Masdar (UK)/Commissione, C‑47/07 P, Racc., EU:C:2008:726, punto 91 e giurisprudenza ivi citata; v. altresì, in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2006, Tillack/Commissione, T‑193/04, Racc., EU:T:2006:292, punto 127, nonché sentenza SPM/Consiglio e Commissione, punto 108 supra, EU:T:2008:494, punto127].

    114

    Si deve peraltro ritenere che le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione non dispongano di un margine di discrezionalità in ordine al rispetto, in un caso concreto, del principio di buona amministrazione, come invocato nella specie. Di conseguenza, la constatazione di una semplice violazione del principio in parola da parte della delegazione e del SEAE basterebbe a dimostrare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata ai sensi della giurisprudenza di cui al punto 51 supra.

    115

    Orbene, si deve osservare che, all’udienza, il SEAE ha ammesso che, nella specie, vi era stata una violazione del principio di buona amministrazione, ai sensi dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali e, in particolare, del principio del termine ragionevole.

    116

    Gli elementi del fascicolo e la successione degli eventi, come descritta ai precedenti punti da 1 a 41, dimostrano, in ogni caso, l’esistenza di una simile violazione. In sostanza, dando prova di una totale mancanza di considerazione nei confronti della ricorrente, che pure era stata sua dipendente per oltre dieci anni, la delegazione, alla quale è subentrato il SEAE, oltre ad aver omesso di redigere e rilasciare all’ente egiziano per la sicurezza sociale il modulo «estemara 6» a nome della ricorrente nel mese di ottobre del 2001, ha preso, per la prima volta, un provvedimento concreto in risposta alla richiesta del 3 febbraio 2005 (v. punto 5 supra), richiesta successivamente rinnovata più volte (v. punti 8, 11, 13, 15, 17, 19 e 20 supra), soltanto il 18 marzo 2010. Essa ha allora tentato di ottenere un «movement certificate» a nome della ricorrente (v. punto 22 supra). Fino a quest’ultima data, la delegazione è rimasta inerte e silente di fronte alle richieste della ricorrente o ha fornito soltanto risposte evasive, affermando che aveva bisogno di un po’ più di tempo per trovare una soluzione al problema. Interrogato in proposito all’udienza, il SEAE non è stato in grado di fornire la benché minima spiegazione riguardo alla mancanza di riscontro da parte della delegazione alle richieste, del tutto legittime, della ricorrente.

    117

    Il SEAE non può giustificare l’omessa successiva regolarizzazione della situazione della ricorrente con la circostanza che quest’ultima ha rifiutato di chiedere e di consegnargli un «movement certificate», come chiestole più volte dalla delegazione dalla metà dell’anno 2010.

    118

    Come posto in evidenza dalla ricorrente nelle sue memorie e all’udienza, infatti, non è in alcun modo dimostrato che la presentazione di un «movement certificate», attestante che aveva lasciato il territorio egiziano nel mese di ottobre del 2001, fosse indispensabile al fine di regolarizzare la sua situazione in materia di sicurezza sociale. Pertanto, alla luce delle ragioni di ordine personale addotte dalla ricorrente nonché del rifiuto del SEAE di prendere seriamente in considerazione la possibilità di concederle un risarcimento, è comprensibile che la ricorrente si sia mostrata restia a chiedere un simile certificato. In proposito, va rilevato che il «movement certificate» non è un documento qualsiasi, sebbene non sia dimostrato che venga utilizzato soltanto – e neppure principalmente – nel contesto di procedimenti penali.

    119

    In realtà, come è emerso chiaramente all’udienza, la delegazione e il SEAE intendevano ottenere il menzionato «movement certificate» innanzitutto nel proprio interesse, affinché il fascicolo previdenziale della ricorrente potesse essere chiuso retroattivamente, ad ottobre del 2001. Come pacifico tra le parti, la delegazione avrebbe potuto redigere in qualsiasi momento un modulo «estemara 6» recante la data di effettivo rilascio all’ente egiziano per la sicurezza sociale, ma, in tal caso, sarebbe incorsa nell’obbligo di pagare contributi previdenziali arretrati fino a detta data. Occorre ricordare, in proposito, che il modulo «estemara 6» che la delegazione aveva infine accettato di trasmettere alla ricorrente ad ottobre del 2011 è stato rigettato da detto ente, sulla base del rilievo che era stato retrodatato, con una data del mese di ottobre del 2001 (v. punto 34 supra).

    120

    Dalle suesposte considerazioni risulta che, omettendo di rilasciare il modulo «estemara 6» a nome della ricorrente entro i termini previsti dal diritto egiziano applicabile e di regolarizzare successivamente la situazione di quest’ultima, la delegazione e il SEAE si sono resi colpevoli di un comportamento illecito di natura tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

    – Sul tentativo della delegazione di ottenere il «movement certificate»

    121

    La ricorrente sostiene che la delegazione ha violato il diritto al rispetto della sua vita privata in quanto, nel 2010, senza informarla e a fortiori senza il suo consenso, ha contattato le autorità egiziane responsabili per l’immigrazione e i passaporti al fine di ottenere un «movement certificate».

    122

    Il SEAE nega di aver violato il diritto al rispetto della vita privata della ricorrente. Esso sostiene in particolare che, sulla base di informazioni ricevute dall’ente egiziano per la sicurezza sociale, la delegazione ha tentato di ottenere direttamente il «movement certificate» in assoluta buona fede e allo scopo di regolarizzare la situazione della ricorrente stessa.

    123

    In proposito, è sufficiente rilevare che la ricorrente non dimostra in alcun modo come i tentativi della delegazione di ottenere un «movement certificate» che la riguardasse e attestante unicamente la sua uscita dal territorio egiziano nel mese di ottobre del 2001 abbiano potuto arrecare pregiudizio alla sua vita privata. Come dichiarato dal SEAE, non contraddetto in proposito dalla ricorrente, l’informazione riguardo alla quale la delegazione intendeva così ottenere una dichiarazione ufficiale a fini meramente amministrativi era stata comunicata alla delegazione dalla ricorrente fin dal momento delle sue dimissioni e, dunque, non aveva nessun carattere privato.

    124

    Pertanto, non è possibile ritenere che i tentativi della delegazione di ottenere un «movement certificate» che riguardasse la ricorrente costituiscano un comportamento illecito di natura tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

    Sui danni dedotti e il nesso di causalità

    125

    Dai precedenti punti da 106 a 120 risulta che la delegazione e, successivamente, il SEAE hanno commesso un illecito idoneo a determinare la responsabilità extracontrattuale dell’Unione omettendo, in violazione dei principi di buona amministrazione e del termine ragionevole, di rilasciare il modulo «estemara 6» a nome della ricorrente entro i termini previsti dal diritto egiziano applicabile e di regolarizzare successivamente la situazione di quest’ultima in proposito. Dai precedenti punti da 89 a 97 risulta, inoltre, che il ricorso in esame è ricevibile nella parte in cui è volto al risarcimento dei dedotti danni materiali secondo, terzo e quarto nonché dei dedotti danni morali, nei limiti in cui tali differenti danni sono stati patiti dopo il 30 ottobre 2008.

    126

    Occorre dunque esaminare se i menzionati danni siano reali e certi e, ove necessario, se sussista un nesso di causalità diretto tra l’illecito rilevato e i danni suddetti.

    – Sul secondo danno materiale dedotto

    127

    In via principale, la ricorrente chiede di essere rimborsata delle spese di alloggio che ha sostenuto in Belgio dal 2004, stimate nell’importo complessivo di EUR 133493,88. La ricorrente sostiene che, se la delegazione avesse rilasciato il modulo «estemara 6», avrebbe potuto tornare a vivere e lavorare in Egitto dalla fine dell’anno 2003 ed essere ospitata gratuitamente dalla propria famiglia fino alla consegna, nel 2004, dell’appartamento che aveva acquistato al Cairo. Avendo dovuto rimanere a vivere in Belgio a causa del comportamento illecito della delegazione e del SEAE, chiede il rimborso dei canoni corrisposti per la locazione dei due appartamenti che ha ivi occupato, in ordine successivo, tra il 1o gennaio 2004 e il 31 gennaio 2008, ossia di un importo di EUR 40950, precisando che, a luglio del 2007, aveva ivi acquistato un appartamento, nel quale aveva potuto stabilirsi il 1o febbraio 2008. La ricorrente chiede inoltre la corresponsione della somma di EUR 4438, corrispondente alle spese relative all’acquisto di mobili per il secondo appartamento preso in locazione a Bruxelles (Belgio). Infine, ritiene che detti importi debbano essere aumentati della somma degli interessi dovuti, a decorrere dal 1o luglio 2007, in relazione al mutuo contratto per l’acquisto del suo appartamento in Belgio, ossia EUR 88105,88.

    128

    In subordine, la ricorrente chiede il rimborso degli interessi dovuti, a decorrere dal 30 ottobre 2008, in relazione al mutuo di cui al precedente punto 127, ossia di un importo di EUR 78623,81.

    129

    Il SEAE contesta la sussistenza di un nesso di causalità diretto tra il comportamento illecito in esame e il danno di cui trattasi, affermando, in sostanza, che la ricorrente ha deciso volontariamente di andare a vivere in Belgio e che le spese di cui viene chiesto il rimborso, dunque, sono soltanto la normale conseguenza della sua scelta di vita. Inoltre, ogni eventuale nesso di causalità sarebbe stato interrotto dal comportamento della ricorrente, che aveva rifiutato di chiedere un «movement certificate».

    130

    Occorre rilevare innanzitutto che, atteso che la domanda di risarcimento del secondo danno materiale dedotto è colpita da prescrizione per quanto concerne il periodo anteriore al 30 ottobre 2008, soltanto le pretese formulate in via subordinata dalla ricorrente riguardo alle sue spese di alloggio possono essere prese in considerazione dal Tribunale.

    131

    Si deve poi rilevare che non sussiste un nesso di causalità sufficientemente diretto tra il comportamento illecito in esame e il danno costituito dagli interessi che la ricorrente ha dovuto pagare in relazione al mutuo contratto per l’acquisto di un appartamento a Bruxelles.

    132

    In proposito, si deve ricordare che dalla giurisprudenza risulta che, qualora il comportamento che si asserisce abbia generato il danno lamentato consista in un’omissione, è particolarmente necessario avere la certezza che tale danno sia stato effettivamente causato dalle omissioni contestate e non possa essere stato provocato da comportamenti diversi da quelli addebitati all’istituzione convenuta (v. ordinanza del 17 dicembre 2008, Portela/Commissione, T‑137/07, EU:T:2008:589, punto 80 e giurisprudenza ivi citata).

    133

    Certo, come si è già precedentemente rilevato, a causa del comportamento illecito in esame, la ricorrente non ha potuto tornare a lavorare e abitare in Egitto a decorrere dall’inizio dell’anno 2005. Tuttavia, si deve necessariamente osservare che la sua decisione, nel mese di luglio del 2007, di acquistare un appartamento a Bruxelles e di sottoscrivere un mutuo ipotecario a tal fine discende, essenzialmente, dalla sua scelta personale e non dal citato comportamento. Tutt’al più esiste soltanto un nesso indiretto di causa ed effetto tra tale comportamento e le menzionate decisioni relative all’acquisto e al mutuo. In proposito, è possibile rilevare, segnatamente, che nell’atto introduttivo del ricorso la ricorrente afferma che «[a]l fine di assicurarsi un capitale immobiliare per compensare una futura pensione di anzianità irrisoria ha infine deciso di contrarre un mutuo in Belgio allo scopo di acquistare un appartamento nel mese di luglio del 2007».

    134

    Ne consegue che la domanda di risarcimento del secondo danno materiale dedotto dev’essere respinta.

    – Sul terzo danno materiale dedotto

    135

    La ricorrente sostiene che, a causa dell’illecito comportamento in esame, ha perduto l’opportunità di tornare a lavorare in Egitto a partire dal 1o gennaio 2004 e di realizzarvi una carriera professionale più prestigiosa, più dinamica e più interessante sul piano finanziario rispetto a quella che ha in Belgio. In via principale, la ricorrente stima tale danno nel 50% del salario netto da lei percepito in Belgio dal 1o gennaio 2004 fino alla data del ricorso in esame, ossia un importo complessivo di EUR 131150. In subordine, in considerazione del salario netto percepito dal 30 ottobre 2008, chiede il pagamento di EUR 68800.

    136

    Il SEAE afferma che la ricorrente, rifiutando di chiedere e di consegnargli un «movement certificate», non soltanto non ha dato prova di «ragionevole diligenza» allo scopo di limitare la portata del terzo danno dedotto, ma per di più ha interrotto ogni nesso di causalità tra il comportamento illecito in esame e detto danno. Peraltro, esso pone in dubbio la circostanza che l’impiego occupato dalla ricorrente in Belgio sia meno prestigioso e interessante di quelli che avrebbe potuto avere in Egitto e sostiene che ella non fornisce la prova delle proprie affermazioni relative alle retribuzioni che avrebbe potuto percepire in quest’ultimo paese. Infine, il SEAE afferma che l’importo chiesto per il danno in parola non ha alcun fondamento.

    137

    La domanda di risarcimento della ricorrente per la perdita dell’opportunità di realizzare una carriera professionale più interessante e più lucrativa in Egitto dev’essere respinta, dal momento che l’effettività di tale presunto danno non è adeguatamente dimostrata.

    138

    Certo, dagli atti di causa risulta con sufficiente chiarezza ed è pacifico tra le parti che, a causa dell’illecito omesso rilascio da parte della delegazione del modulo «estemara 6» a nome della ricorrente e dell’omessa successiva regolarizzazione della sua situazione, quest’ultima ha perduto opportunità di lavoro in Egitto a febbraio del 2005, ad aprile del 2005, a settembre del 2005, a gennaio del 2006 e a marzo del 2007 e ha dovuto continuare a lavorare e abitare in Belgio.

    139

    La tesi della ricorrente secondo la quale la carriera che avrebbe potuto avere in Egitto sarebbe stata più prestigiosa e più interessante sui piani intellettuale e finanziario rispetto a quella che ha in Belgio, tuttavia, si fonda su mere congetture.

    140

    In primo luogo, infatti, mentre la ricorrente sostiene, nelle proprie memorie, di aver potuto trovare in Belgio «soltanto un posto da segretaria in una piccola [associazione non profit] che si occupa della commercializzazione di zinco», dal suo contratto di lavoro che compare nell’allegato A 18 dell’atto introduttivo del ricorso e da una lettera che compare nell’allegato C 3 della replica risulta che, a settembre del 2001, è stata assunta in qualità di «Assistant to Market Development Coordinator and Environment and Public Affairs Manager» (Assistente del coordinatore dello sviluppo dei mercati e del direttore ambiente e affari pubblici). Inoltre, i suoi permessi di lavoro indicano che è «capo progetto» e un memorandum del 13 febbraio 2013 che compare nell’allegato A 18 dell’atto introduttivo del ricorso la identifica come «Executive and Personal Assistant» (Assistente esecutiva e personale).

    141

    In secondo luogo, nell’atto introduttivo del ricorso, la ricorrente confronta la propria situazione professionale in Belgio con le funzioni che esercitava all’interno della delegazione, «struttura di una sessantina di persone, a risonanza diplomatica, che rappresenta un ente prestigioso». Orbene, tale confronto è del tutto inconferente, poiché la ricorrente stessa, nel mese di ottobre del 2001, ha deciso di porre fine a dette funzioni e di andare a lavorare in Belgio.

    142

    In terzo luogo, si deve necessariamente rilevare che la ricorrente non fornisce alcun elemento di prova a supporto delle proprie affermazioni relative all’importo delle retribuzioni che avrebbe percepito in Egitto. Per quanto attiene al metodo che enuncia ai fini della quantificazione del dedotto danno in esame, ossia l’applicazione di un coefficiente del 50% sul salario netto da lei percepito in Belgio, esso è del tutto arbitrario.

    143

    In quarto luogo, l’affermazione della ricorrente secondo cui non possiede «un profilo particolarmente di successo e ricercato dai datori di lavoro» in Belgio non è molto convincente. Certo, la ricorrente possiede soltanto conoscenze di base del neerlandese, ma parla il francese, l’inglese e l’arabo, oltre ad avere buone nozioni di spagnolo e di italiano. Inoltre, la sua esperienza decennale presso la delegazione, in particolare alla luce della descrizione che ne fa nell’atto introduttivo del ricorso, costituisce evidentemente un vantaggio sul piano professionale.

    144

    Dalle precedenti considerazioni risulta che la domanda di risarcimento del terzo danno materiale dedotto dev’essere respinta.

    – Sul quarto danno materiale dedotto

    145

    Il quarto danno materiale fatto valere dalla ricorrente è costituito dal ridotto importo della pensione di anzianità che potrà ottenere in Belgio. La ricorrente afferma che, a causa dell’illecito comportamento della delegazione e del SEAE, non potrà raggiungere il numero minimo di anni necessario per poter beneficiare di una pensione di anzianità in Egitto e che i periodi contributivi che potrà cumulare in Belgio saranno troppo brevi per dare luogo al versamento di una pensione di anzianità massima. Pertanto, la ricorrente chiede, sia in via principale che in subordine, la corresponsione di un importo di EUR 181440, corrispondente alla «differenza tra la pensione di anzianità che percepirà e l’importo percepito in caso di carriera completa con retribuzione equivalente tra i suoi 65 e 83 anni».

    146

    Il SEAE ribatte, in sostanza, che il quarto danno dedotto non è né attuale, né certo, né determinato.

    147

    È giocoforza rilevare che il quarto danno materiale dedotto è privo di ogni carattere di certezza. La ricorrente, infatti, fonda le sue pretese sull’assunto meramente ipotetico secondo cui, se avesse potuto tornare a lavorare in Egitto, vi avrebbe maturato un numero di annualità contributive, ossia almeno 20 anni, sufficiente per poter ivi beneficiare di una pensione anzianità, prima di valutare l’importo del danno in esame basandosi sull’assunto, altrettanto ipotetico, di una carriera completa e, di conseguenza, di una pensione di anzianità massima, in Belgio.

    148

    Conseguentemente, la domanda di risarcimento del quarto danno materiale dedotto non può trovare accoglimento.

    – Sui danni morali dedotti

    149

    In primo luogo, la ricorrente afferma, rinviando ai certificati medici allegati all’atto introduttivo del ricorso, che il comportamento illecito della delegazione e del SEAE l’ha posta in uno stato di stress e di angoscia, causandole disturbi digestivi e cutanei nonché una profonda depressione. In secondo luogo, afferma di soffrire per l’allontanamento dalla sua famiglia e dai suoi amici. La ricorrente valuta tale duplice danno morale ex aequo et bono in EUR 50000.

    150

    Il SEAE afferma che non sussiste alcun nesso di causalità tra il comportamento illecito e detto duplice danno morale e che, in ogni caso, qualsiasi eventuale nesso di causalità sarebbe stato interrotto dal comportamento della ricorrente stessa.

    151

    Occorre rilevare che i vari certificati medici e attestati allegati al ricorso dimostrano che, durante un periodo coincidente con quello della controversia in esame, la ricorrente ha avuto problemi di salute, tanto sul piano fisico quanto su quello psicologico, e ha sofferto per l’allontanamento dal suo paese natio, dalla sua famiglia e dai suoi amici.

    152

    Peraltro, dagli atti di causa emerge con sufficiente chiarezza che tali problemi e sofferenze derivano dal comportamento illecito e del tutto irrispettoso della delegazione e del SEAE. Detto comportamento ha posto la ricorrente in una situazione particolarmente difficile, causandole segnatamente un comprensibile stato di stress e di depressione.

    153

    Per le ragioni già illustrate supra al punto 90, non si può seriamente sostenere, come fa il SEAE, che la decisione della ricorrente di rimanere in Belgio a decorrere dall’anno 2005 dipende da una sua libera scelta personale. Inoltre, per le ragioni già enunciate ai punti 118 e 119 supra, non è possibile addebitare alla ricorrente il rifiuto di consegnare alla delegazione e al SEAE un «movement certificate».

    154

    L’importo del duplice danno morale patito dalla ricorrente a causa del comportamento illecito della delegazione e del SEAE, considerate le circostanze del caso di specie, dev’essere valutato ex aequo et bono, alla data della presente sentenza, in EUR 25000.

    155

    Alla luce del complesso delle precedenti considerazioni, il ricorso in esame deve dunque essere parzialmente accolto, nella parte in cui è volto al risarcimento del duplice danno morale subito dalla ricorrente e per il citato importo di EUR 25000. Esso dev’essere respinto quanto al resto.

    Sull’istanza di misure di organizzazione del procedimento

    156

    Come illustrato supra al punto 47, la ricorrente ha chiesto che il Tribunale ingiunga al SEAE, a titolo di misure di organizzazione del procedimento, di produrre i documenti che provano le iniziative realizzate dalla delegazione e dal SEAE ai fini della risoluzione della controversia in esame.

    157

    Il SEAE, pur evidenziando che spetta soltanto al Tribunale decidere sull’eventuale necessità di integrare gli elementi informativi di cui dispone nell’ambito dei procedimenti di cui è investito, ha allegato alla controreplica una copia di varie lettere, scambiate in particolare con un avvocato egiziano, concernenti dette iniziative.

    158

    Ciò premesso, considerati gli altri documenti depositati nell’ambito del presente procedimento, che consentono al Tribunale di essere sufficientemente edotto, non occorre ordinare le misure di organizzazione del procedimento chieste dalla ricorrente.

    Sulle spese

    159

    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, se ciò appare giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese dell’altra parte.

    160

    Poiché il ricorso è stato parzialmente accolto, si deve procedere ad una giusta valutazione delle circostanze della causa, decidendo che la ricorrente sopporterà due decimi delle sue spese e due decimi delle spese sostenute dal SEAE, mentre quest’ultimo sopporterà otto decimi delle sue spese e otto decimi delle spese sostenute dalla ricorrente.

     

    Per questi motivi,

    IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

    dichiara e statuisce:

     

    1)

    Il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) è condannato a pagare alla sig.ra Randa Chart un importo risarcitorio di EUR 25000.

     

    2)

    Il ricorso è respinto per il resto.

     

    3)

    La sig.ra Chart sopporterà due decimi delle sue spese e due decimi delle spese sostenute dal SEAE.

     

    4)

    Il SEAE sopporterà otto decimi delle sue spese e otto decimi delle spese sostenute dalla sig.ra Chart.

     

    Frimodt Nielsen

    Dehousse

    Collins

    Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 dicembre 2015.

    Firme

    Indice

     

    Fatti

     

    Procedimento e conclusioni delle parti

     

    In diritto

     

    Osservazioni preliminari

     

    Sulla ricevibilità

     

    Nel merito

     

    Sui presunti comportamenti illeciti

     

    – Sul mancato rilascio del modulo «estemara 6» a nome della ricorrente e sull’omessa successiva regolarizzazione della situazione di quest’ultima

     

    – Sul tentativo della delegazione di ottenere il «movement certificate»

     

    Sui danni dedotti e il nesso di causalità

     

    – Sul secondo danno materiale dedotto

     

    – Sul terzo danno materiale dedotto

     

    – Sul quarto danno materiale dedotto

     

    – Sui danni morali dedotti

     

    Sull’istanza di misure di organizzazione del procedimento

     

    Sulle spese


    ( *1 ) Lingua processuale: il francese.

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