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Document 62013CJ0612

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 16 luglio 2015.
ClientEarth contro Commissione europea.
Impugnazione – Accesso ai documenti delle istituzioni dell’Unione europea – Regolamento (CE) n. 1049/2001 – Articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino – Informazioni ambientali – Convenzione di Aarhus – Articolo 4, paragrafi 1 e 4 – Eccezione al diritto di accesso – Tutela degli obiettivi delle attività di indagine – Studi realizzati da una società, incaricata dalla Commissione europea, riguardanti la trasposizione di direttive in materia ambientale – Diniego parziale di accesso.
Causa C-612/13 P.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2015:486

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

16 luglio 2015 ( *1 )

«Impugnazione — Accesso ai documenti delle istituzioni dell’Unione europea — Regolamento (CE) n. 1049/2001 — Articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino — Informazioni ambientali — Convenzione di Aarhus — Articolo 4, paragrafi 1 e 4 — Eccezione al diritto di accesso — Tutela degli obiettivi delle attività di indagine — Studi realizzati da una società, incaricata dalla Commissione europea, riguardanti la trasposizione di direttive in materia ambientale — Diniego parziale di accesso»

Nella causa C‑612/13 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 25 novembre 2013,

ClientEarth, con sede in Londra (Regno Unito), rappresentata da P. Kirch, avocat,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

Commissione europea, rappresentata da L. Pignataro‑Nolin, P. Costa de Oliveira e M. Konstantinidis, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

sostenuta da:

Parlamento europeo, rappresentato da J. Rodrigues e L. Visaggio, in qualità di agenti,

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da M. Moore, M. Simm e A. Jensen, in qualità di agenti,

intervenienti in sede d’impugnazione,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, K. Lenaerts (relatore), vicepresidente della Corte, J.-C. Bonichot, A. Arabadjiev e J. L. da Cruz Vilaça, giudici,

avvocato generale: P. Cruz Villalón

cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 gennaio 2015,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 aprile 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, la ClientEarth chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea ClientEarth/Commissione (T‑111/11, EU:T:2013:482; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui il Tribunale ha respinto il suo ricorso avente ad oggetto, inizialmente, una domanda di annullamento della decisione implicita con cui la Commissione avrebbe negato alla ricorrente l’accesso a taluni documenti relativi alla conformità della normativa di diversi Stati membri con il diritto ambientale dell’Unione europea, e successivamente una domanda di annullamento della decisione esplicita successiva, del 30 maggio 2011, con cui la Commissione nega parzialmente alla ricorrente l’accesso a tali documenti.

Contesto normativo

Il diritto internazionale

2

L’articolo 2 della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU L 124, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione di Aarhus»), prevede quanto segue:

«Ai fini della presente convenzione:

(...)

2.

(...) si intende per “autorità pubblica”:

(...)

d)

le istituzioni di qualsiasi organizzazione regionale di integrazione economica di cui all’articolo 17 che sia Parte della presente convenzione.

(...)».

3

Ai sensi dell’articolo 4, paragrafi 1 e 4, di tale Convenzione:

«1.   Fatti salvi i paragrafi che seguono, ciascuna Parte provvede affinché, nel quadro della legislazione nazionale, le autorità pubbliche mettano a disposizione del pubblico le informazioni ambientali loro richieste, ivi compreso il rilascio, ove richiesto e ferma restando la lettera b), di copie dei documenti contenenti tali informazioni

a)

senza che il pubblico debba far valere un interesse al riguardo;

b)

nella forma richiesta, salvo qualora:

i)

l’autorità abbia validi motivi per renderle accessibili in altra forma, nel qual caso tali motivi devono essere specificati; o

ii)

le informazioni siano già pubblicamente disponibili in altra forma.

(...)

4.   Una richiesta di informazioni ambientali può essere respinta, qualora la divulgazione di tali informazioni possa pregiudicare:

(...)

c)

il corso della giustizia, il diritto di ogni persona ad un processo equo o il potere delle pubbliche autorità di svolgere indagini di carattere penale o disciplinare;

(...)

I motivi di diniego di cui sopra devono essere interpretati in modo restrittivo, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni nonché dell’eventuale attinenza delle informazioni con le emissioni nell’ambiente».

Il diritto dell’Unione

4

Il regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43) definisce i principi, le condizioni e le limitazioni del diritto di accesso ai documenti di tali istituzioni.

5

L’articolo 4 di detto regolamento, intitolato «Eccezioni», al suo paragrafo 2 dispone quanto segue:

«Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

(...)

(...)

gli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile,

a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione».

6

L’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento (CE) 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU L 264, pag. 13), così dispone:

«Per quanto concerne l’articolo 4, paragrafo 2, primo e terzo trattino, del regolamento (CE) n. 1049/2001, eccezion fatta per le indagini, in particolare quelle relative ad una possibile violazione della normativa comunitaria, si ritiene che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione qualora le informazioni richieste riguardino emissioni nell’ambiente. Circa le altre eccezioni di cui all’articolo 4 del regolamento (CE) n. 1049/2001, i motivi del rifiuto di accesso vanno interpretati in modo restrittivo, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione e del fatto che le informazioni richieste riguardino emissioni nell’ambiente».

Fatti

7

La ClientEarth, associazione di diritto inglese che si occupa in particolare della protezione dell’ambiente, l’8 settembre 2010 presentava alla direzione generale (DG) «Ambiente» della Commissione una domanda di accesso a documenti ai sensi dei regolamenti nn. 1049/2001 e 1367/2006. Tale domanda aveva a oggetto una serie di documenti menzionati nel «Piano di gestione 2010» della citata DG.

8

Con lettera del 29 ottobre 2010 la Commissione accoglieva solo parzialmente tale domanda. Essa trasmetteva alla ClientEarth uno dei documenti richiesti, ma comunicava che gli altri documenti erano coperti, in particolare, dall’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

9

Il 10 novembre 2010 la ClientEarth inviava alla Commissione una domanda con cui chiedeva a quest’ultima di rivedere la propria posizione circa il diniego di accesso a diversi documenti.

10

Il 30 maggio 2011 la Commissione adottava e comunicava alla ClientEarth una decisione esplicita in risposta a quest ’ultima domanda, alla luce dei regolamenti nn. 1049/2001 e 1367/2006 (in prosieguo: la «decisione esplicita»).

11

Con tale decisione la Commissione concedeva alla ClientEarth un accesso parziale a 41 studi relativi alla conformità della normativa di diversi Stati membri con il diritto ambientale dell’Unione, realizzati da una società, a richiesta e per conto della Commissione, e pervenuti a quest’ultima nel corso del 2009 (in prosieguo: gli «studi controversi»). In particolare, la Commissione, per ogni studio, trasmetteva alla ClientEarth la pagina di copertina, l’indice, la lista delle abbreviazioni usate, un allegato contenente la normativa esaminata, nonché le sezioni intitolate «Introduzione», «Panoramica della normativa dello Stato membro» e «Quadro per la trasposizione e l’attuazione». La Commissione rifiutava invece di comunicare alla ricorrente, per ciascuno di tali studi, le parti intitolate «Scheda di sintesi», «Analisi giuridica dei provvedimenti di trasposizione» e «Conclusioni», nonché l’allegato contenente una tavola sinottica della normativa dello Stato membro interessato e del diritto dell’Unione pertinente.

12

La Commissione suddivideva gli studi controversi in due categorie. La prima categoria comprendeva uno studio, condotto di concerto con lo Stato membro interessato, avviato poco prima dell’adozione della decisione esplicita. La seconda categoria comprendeva gli altri 40 studi che avevano dato luogo a un dialogo più approfondito con gli Stati membri interessati.

13

A sostegno della propria decisione, la Commissione asseriva che le parti non divulgate degli studi controversi rientravano, in particolare, nell’eccezione relativa alla tutela degli obiettivi delle attività di indagine di cui all’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

14

La Commissione osservava in proposito che tali studi erano stati elaborati per permetterle di controllare la trasposizione di numerose direttive da parte degli Stati membri e, eventualmente, di avviare contro questi ultimi il procedimento per inadempimento previsto all’articolo 258 TFUE.

15

Per quanto riguarda lo studio compreso nella prima categoria menzionata al punto 12 della presente sentenza, la Commissione rilevava di non essere ancora giunta a una conclusione quanto alla trasposizione, da parte dello Stato membro interessato, della direttiva oggetto dello studio, e che la divulgazione dei dati e delle conclusioni contenute in tale studio, che non erano ancora stati verificati e rispetto ai quali lo Stato membro coinvolto non aveva avuto la possibilità di esprimersi, avrebbe comportato per quest’ultimo il rischio di essere, forse ingiustamente, criticato, e avrebbe danneggiato il clima di reciproca fiducia necessario per valutare l’attuazione della direttiva di cui trattasi.

16

Per quanto riguarda gli studi controversi rientranti nella seconda categoria menzionata al punto 12 della presente sentenza, la Commissione faceva osservare che, in taluni casi, essa aveva deciso di avviare la fase precontenziosa del procedimento per inadempimento nei confronti degli Stati membri interessati, ma che, in altri casi, non aveva ancora adottato la sua posizione. Essa aveva sostenuto che la divulgazione degli studi controversi, se autorizzata, avrebbe danneggiato il clima di fiducia reciproca necessario per risolvere le controversie tra la Commissione e gli Stati membri interessati, senza dover ricorrere alla fase contenziosa del procedimento per inadempimento.

17

La Commissione ha poi sottolineato che l’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006 non era idoneo a revocare in dubbio l’analisi compiuta alla luce del regolamento n. 1049/2001.

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

18

Il 21 febbraio 2011 la ClientEarth proponeva un ricorso per l’annullamento della decisione implicita di rigetto della sua domanda del 10 novembre 2010. In seguito all’adozione, da parte della Commissione, della decisione esplicita che negava alla ClientEarth l’accesso integrale agli studi controversi, si è considerato che da quel momento in poi il ricorso fosse diretto all’annullamento di quest’ultima decisione.

19

A sostegno del suo ricorso, la ClientEarth deduceva sette motivi.

20

Avendo respinto questi sette motivi, il Tribunale ha respinto il ricorso.

Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

21

La ClientEarth chiede che la Corte voglia annullare la sentenza impugnata e condannare la Commissione alle spese.

22

La Commissione chiede che la Corte voglia respingere l’impugnazione e condannare la ClientEarth alle spese.

23

Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea sono stati autorizzati a intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.

Sull’impugnazione

24

A sostegno della sua impugnazione, la ClientEarth deduce tre motivi.

Sul secondo motivo

25

Occorre partire dall’esame del secondo motivo, che intende denunciare l’errore di diritto che avrebbe commesso il Tribunale nel ritenere l’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001 compatibile con l’articolo 4, paragrafi 1 e 4, della Convenzione di Aarhus.

Argomenti delle parti

26

Nell’ambito di tale motivo, la ClientEarth contesta il ragionamento del Tribunale esposto ai punti da 91 a 99 della sentenza impugnata.

27

In primo luogo, la ClientEarth, invocando le sentenze Fediol/Commissione (70/87, EU:C:1989:254) e Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186), contesta al Tribunale di aver verificato l’applicabilità diretta dell’articolo 4 della Convenzione di Aarhus, sebbene una tale verifica non fosse necessaria per esaminare la compatibilità dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001 con detta Convenzione.

28

In secondo luogo, la ClientEarth sostiene che, in ogni caso, il Tribunale ha erroneamente ritenuto che l’articolo 4, paragrafi 1 e 4, primo comma, lettera c), della Convenzione di Aarhus non sia direttamente applicabile alle istituzioni dell’Unione. In particolare, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nell’ammettere che le specificità dell’Unione possano giustificare una deroga all’applicazione diretta di tale Convenzione.

29

In terzo luogo, la ClientEarth sostiene che il Tribunale abbia violato l’obbligo d’interpretare restrittivamente l’articolo 4, paragrafo 4, primo comma, lettera c), della Convenzione di Aarhus, in conformità all’articolo 4, paragrafo 4, secondo comma, di tale Convenzione.

30

In quarto luogo, la ClientEarth afferma che il Tribunale non ha interpretato la Convenzione di Aarhus in ossequio ai principi sanciti dagli articoli 26 e 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 1155, pag. 331; in prosieguo: la «Convenzione di Vienna»). Ampliando la portata dell’eccezione relativa alla tutela degli obiettivi delle attività di indagine fino a ricomprendere gli studi controversi, il Tribunale si sarebbe in effetti spinto, in violazione degli articoli della Convenzione di Vienna già citati, a un’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 4, della Convenzione di Aarhus contraria alla lettera, all’obiettivo e alla finalità della stessa.

31

La Commissione, sostenuta dal Parlamento e dal Consiglio, afferma, in termini generali, che il ragionamento del Tribunale esposto ai punti da 91 a 99 della sentenza impugnata non è viziato da alcun errore di diritto. Tale ragionamento sarebbe, sotto ogni aspetto, conforme alla giurisprudenza della Corte.

Giudizio della Corte

32

Preliminarmente, occorre precisare che il presente motivo è relativo alla compatibilità dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, ma non dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 1376/2006, con l’articolo 4, paragrafi 1 e 4, della Convenzione di Aarhus.

33

Fatta questa precisazione preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, gli accordi internazionali conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni della stessa e, conseguentemente, prevalgono sugli atti da esse emanati (sentenze Consiglio e a./Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht, da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punto 52 e giurisprudenza citata, nonché Consiglio e Commissione/Stichting Natuur en Milieu e Pesticide Action Network Europe, C‑404/12 P e C‑405/12 P, EU:C:2015:5, punto 44 e giurisprudenza citata).

34

Ne consegue che la validità di un atto dell’Unione può essere inficiata dalla sua incompatibilità con tali norme di diritto internazionale (sentenza Air Transport Association of America e a., C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 51).

35

Come ricordato dal Tribunale al punto 91 della sentenza impugnata, emerge tuttavia da una giurisprudenza costante della Corte che il giudice dell’Unione può procedere all’esame dell’asserita incompatibilità di un atto dell’Unione con le norme di un accordo internazionale di cui l’Unione è parte solo ove, da un lato, ciò non sia escluso né dalla natura né dalla struttura di esso e, dall’altro, le sue disposizioni appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise (v. sentenze IATA e ELFAA, C‑344/04, EU:C:2006:10, punto 39; Intertanko e a., C‑308/06, EU:C:2008:312, punto 45, e Air Transport Association of America e a., C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 54).

36

Vero è che la Corte ha anche dichiarato che nell’ipotesi in cui l’Unione abbia inteso dare esecuzione a un obbligo particolare assunto in virtù degli accordi conclusi nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) o nel caso in cui l’atto giuridico dell’Unione in parola rinvii espressamente a precise disposizioni di tali accordi, spetta alla Corte, se del caso, controllare la legittimità dell’atto dell’Unione controverso alla luce delle norme dell’OMC (v., in tal senso, sentenze Fediol/Commissione, 70/87, EU:C:1989:254, punti da 19 a 22, e Nakajima/Consiglio, C‑69/89, EU:C:1991:186, punti da 29 a 32; v. anche sentenza LVP, C‑306/13, EU:C:2014:2465, punto 47 e giurisprudenza citata).

37

Tuttavia, senza che vi sia necessità di pronunciarsi sulla questione se la giurisprudenza menzionata al punto che precede sia applicabile al caso di specie, basta osservare che il regolamento n. 1049/2001, e in particolare il suo articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, non rinvia espressamente alla Convenzione di Aarhus né dà esecuzione a un obbligo particolare che deriva dalla stessa. Conseguentemente, la citata giurisprudenza non è comunque pertinente per la presente causa.

38

Ne consegue che è corretto, da parte del Tribunale, da un lato non aver preso in considerazione la giurisprudenza derivante dalle sentenze Fediol/Commissione (70/87, EU:C:1989:254) e Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186), e, dall’altro, aver verificato se le disposizioni dell’articolo 4, paragrafi 1 e 4, primo comma, lettera c), della Convenzione di Aarhus fossero, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise.

39

Occorre, in tali circostanze, esaminare l’argomento avanzato dalla ClientEarth vertente sull’erroneità dell’analisi del Tribunale secondo cui dette disposizioni sono sprovviste di tali qualità e non possono, conseguentemente, essere invocate per valutare la legittimità dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

40

A tal proposito, come giustamente rilevato dal Tribunale al punto 96 della sentenza impugnata, il riferimento alle legislazioni nazionali, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della Convenzione di Aarhus, attesta che detta Convenzione è stata evidentemente concepita prendendo in considerazione gli ordinamenti giuridici nazionali, e non le specificità giuridiche delle organizzazioni regionali d’integrazione economica, quali l’Unione, anche se esse possono sottoscrivere la Convenzione e aderirvi, ai sensi degli articoli 17 e 19 di quest’ultima.

41

È la ragione per cui, come sottolineato dalla Commissione e dal Parlamento, la Comunità, al momento dell’approvazione della Convenzione di Aarhus, in una dichiarazione depositata in applicazione dell’articolo 19 della Convenzione, ha ripetuto la dichiarazione resa in occasione della firma di detta Convenzione e che ha allegato alla decisione 2005/370, ossia che «le istituzioni comunitarie applicheranno la convenzione nel quadro delle loro norme presenti e future sull’accesso ai documenti e delle altre norme comunitarie emanate nel settore disciplinato dalla convenzione stessa».

42

In tali circostanze, né il riferimento dell’articolo 4, paragrafo 4, primo comma, lettera c), della Convenzione di Aarhus alle indagini «di carattere penale o disciplinare», né l’obbligo, enunciato all’articolo 4, paragrafo 4, secondo comma, di detta Convenzione, di interpretare restrittivamente i motivi di diniego di accesso menzionati nella prima di tale disposizioni, possono essere interpretati come fonti di un obbligo preciso incombente sul legislatore dell’Unione. A fortiori, non può essere ricavato da dette disposizioni un divieto di intendere la nozione di «indagine» in un senso che tenga conto delle specificità dell’Unione, e in particolare della missione spettante alla Commissione di indagare su possibili violazioni di Stati membri che pregiudichino la corretta applicazione dei Trattati e delle norme dell’Unione adottate in applicazione di questi.

43

Dalle considerazioni che precedono emerge che il Tribunale ha correttamente escluso la possibilità di invocare l’articolo 4, paragrafi 1 e 4, della Convenzione di Aarhus ai fini della valutazione della legittimità dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001. Pertanto, il Tribunale, senza commettere alcun errore di diritto, ha potuto respingere l’argomento della ClientEarth vertente sull’incompatibilità di tale ultima disposizione con la Convenzione di Aarhus.

44

Le stesse considerazioni conducono parimenti a respingere l’argomento della ClientEarth vertente sulla violazione, da parte del Tribunale, dei principi di esecuzione in buona fede e di interpretazione dei Trattati, di cui agli articoli 26 e 31 della Convenzione di Vienna.

45

Conseguentemente, il secondo motivo dev’essere respinto.

Sul primo motivo

Argomenti delle parti

46

Il primo motivo, vertente sul fatto che il Tribunale avrebbe commesso errori di diritto nell’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, è suddiviso in due parti.

47

La prima parte verte sull’interpretazione erronea della nozione di «attività di indagine», ai sensi di tale disposizione, e riguarda, in particolare, i punti 49, 50, da 58 a 61 e 70 della sentenza impugnata.

48

Nell’ambito di tale parte, la ClientEarth sostiene che detta nozione implica l’esistenza di una decisione formale della Commissione, riunita in collegio. La ClientEarth, a tal proposito, richiama le sentenze Commissione/Technische Glaswerke Ilmenau (C‑139/07 P, EU:C:2010:376), Commissione/Éditions Odile Jacob (C‑404/10 P, EU:C:2012:393), LPN e Finlandia/Commissione (C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738), WWF UK/Commissione (T‑105/95, EU:T:1997:26), Bavarian Lager/Commissione (T‑309/97, EU:T:1999:257), Petrie e a./Commissione (T‑191/99, EU:T:2001:284) e API/Commissione (T‑36/04, EU:T:2007:258).

49

Orbene, nel caso di specie, gli studi controversi dipenderebbero da una decisione amministrava adottata dai servizi della Commissione, e non da una decisione formale del collegio dei commissari, di avviare un procedimento per inadempimento avverso Stati membri.

50

Basandosi sulla sentenza Mecklenburg (C‑321/96, EU:C:1998:300, punti 27 e 30), la ClientEarth aggiunge che, anche a voler ammettere che gli studi controversi rientrino nella fase preliminare di un procedimento formale per inadempimento, l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001 può giustificare un diniego di divulgazione solo nell’ipotesi in cui l’esistenza del documento richiesto preceda immediatamente l’avvio di un procedimento contenzioso o quasi contenzioso e nasca dall’esigenza di acquisire prove o di istruire un procedimento prima che si apra la fase processuale vera e propria. Orbene, nel caso di specie gli studi controversi non avrebbero immediatamente preceduto una decisione di avviare, a seguito di un’indagine, un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE.

51

La seconda parte del primo motivo verte sull’interpretazione erronea della nozione di «pregiudizio alla tutela delle attività di indagine», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, e riguarda, in particolare, i punti 53 e da 68 a 80 della sentenza impugnata.

52

Nell’ambito di detta seconda parte, la ClientEarth afferma, innanzitutto, di aver richiesto l’accesso a documenti specifici, e non a un fascicolo amministrativo completo relativo a un procedimento per inadempimento o a un insieme di documenti complessivamente indicati. Inoltre, la sua domanda sarebbe stata relativa non a una categoria di documenti rispondenti a considerazioni generali analoghe, ma a due categorie distinte di studi, ossia da un lato quelli afferenti al procedimento per inadempimento che era stato avviato, e dall’altro quelli slegati da qualsivoglia procedimento di tal genere.

53

La ClientEarth afferma, ancora, che la divulgazione degli studi controversi non avrebbe in alcun modo compromesso la realizzazione dell’obiettivo dei procedimenti per inadempimento, che è quello di incoraggiare gli Stati membri interessati a conformare il proprio diritto nazionale al diritto dell’Unione.

54

La ClientEarth sostiene inoltre che la divulgazione degli studi controversi in un momento tanto precedente rispetto all’avvio da parte della Commissione di un procedimento formale contro lo Stato membro interessato non poteva essere ritenuta idonea a danneggiare il clima di reciproca fiducia. Infatti, la sola esistenza di tali studi non sarebbe bastata a far sorgere tra ciascuno Stato membro interessato e la Commissione una relazione bilaterale da proteggere a scapito della trasparenza.

55

La Commissione ritiene che l’argomento sviluppato dalla ClientEarth nell’ambito della prima parte del primo motivo sia giuridicamente infondato. Essa, in sostanza, sostiene che qualsiasi documento, quale uno studio di conformità, destinato a consentirle di verificare, ai sensi dell’articolo 17 TUE, il rispetto del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri, debba ritenersi collegato a un’indagine ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

56

Per quanto concerne la seconda parte del primo motivo, la Commissione sostiene che, in considerazione di quanto constatato al punto 53 della sentenza impugnata, il ragionamento del Tribunale, esposto ai punti da 68 a 80 di detta sentenza, non è viziato da alcun errore di diritto. Tale ragionamento sarebbe, sotto ogni aspetto, conforme alla giurisprudenza della Corte.

Giudizio della Corte

57

Il regolamento n. 1049/2001 mira a conferire al pubblico un diritto di accesso ai documenti delle istituzioni che sia il più ampio possibile. Risulta anche da tale regolamento, segnatamente dall’articolo 4 di quest’ultimo, il quale prevede un regime di eccezioni al riguardo, che, tuttavia, tale diritto è comunque sottoposto a determinate limitazioni fondate su ragioni di interesse pubblico o privato (v. sentenze LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 40 e giurisprudenza citata, nonché Commissione/EnBW, C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punto 61 e giurisprudenza citata).

58

In forza dell’eccezione invocata dalla Commissione nel caso di specie, ovvero quella di cui all’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, le istituzioni dell’Unione rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrecherebbe pregiudizio alla tutela degli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile, a meno che non vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione del documento di cui trattasi.

59

In questo caso, innanzitutto, occorre esaminare se, come sostiene la ClientEarth nella prima parte del primo motivo, il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nel ritenere che gli studi controversi rientrassero in un’attività d’indagine, ai sensi di tale disposizione.

60

A tal proposito, occorre subito evidenziare che dalla giurisprudenza invocata dalla ClientEarth e richiamata al punto 48 della presente sentenza non si ricava affatto che una «attività di indagine», ai sensi di detta disposizione, dipenderebbe dall’esistenza di una decisione formale adottata dalla Commissione riunita in collegio.

61

Chiarito ciò, si deve osservare che gli studi controversi sono stati realizzati su richiesta e per conto della Commissione, una volta scaduti i termini per la trasposizione di una serie di direttive dell’Unione relative alla protezione dell’ambiente, al preciso scopo di verificare lo stadio del processo di trasposizione, in un certo numero di Stati membri, delle diverse direttive di cui trattasi. Come emerge dalle indicazioni contenute ai punti 13 e 49 della sentenza impugnata, ogni studio controverso, che riguarda un solo Stato membro e una sola direttiva, contiene, infatti, un confronto tra il diritto nazionale esaminato e il diritto dell’Unione pertinente, accompagnato da un’analisi giuridica e conclusioni sui provvedimenti di trasposizione adottati dallo Stato membro interessato.

62

Come giustamente dichiarato dal Tribunale al punto 49 della sentenza impugnata, tali studi fanno parte degli strumenti di cui dispone la Commissione, nell’ambito dell’obbligo, posto a suo carico dall’articolo 17, paragrafo 1, TUE, di vigilare, sotto il controllo della Corte, sull’applicazione del diritto dell’Unione, per individuare eventuali violazioni degli Stati membri del loro obbligo di trasposizione delle direttive interessate e per decidere, se del caso, di avviare un procedimento per inadempimento avverso Stati membri che secondo la Commissione avrebbero violato il diritto dell’Unione. Conseguentemente, tali studi rientrano nella nozione di «attività di indagine», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

63

La circostanza, evidenziata dalla ClientEarth, che la realizzazione degli studi controversi sia stata affidata dalla Commissione a un contraente esterno piuttosto che essere fornita dai propri servizi, e che detti studi non riflettano la posizione di tale istituzione né ne impegnino la responsabilità, non significa che la Commissione, nel chiedere la realizzazione di detti studi, avrebbe perseguito un obiettivo diverso da quello di ottenere, grazie ai propri mezzi di investigazione, informazioni approfondite circa la conformità della normativa di diversi Stati membri con il diritto ambientale dell’Unione, tali da permetterle di rilevare l’esistenza di possibili infrazioni al diritto dell’Unione e di avviare, se del caso, un procedimento per inadempimento avverso lo Stato membro inadempiente.

64

Quanto all’argomento della ClientEarth basato sulla sentenza Mecklenburg (C‑321/96, EU:C:1998:300), l’insegnamento contenuto ai punti 27 e 30 di tale sentenza non rileva per la presente causa. Infatti, detto insegnamento è relativo alla nozione di «azione investigativa preliminare», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, terzo trattino, della direttiva 90/313/CEE del Consiglio, del 7 giugno 1990, concernente la libertà di accesso all’informazione in materia di ambiente (GU L 158, pag. 56), e non a quella, diversa, di «indagine», a cui fa ugualmente riferimento questa stessa disposizione.

65

Dalle considerazioni che precedono emerge che il Tribunale ha correttamente dichiarato, al punto 50 della sentenza impugnata, che gli studi controversi non rientravano in un’attività d’indagine della Commissione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

66

Ne discende che la prima parte del primo motivo dev’essere respinta.

67

Occorre ancora esaminare se, come sostiene la ClientEarth nella seconda parte del primo motivo, il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nel giudicare che la Commissione avesse fondati motivi di ritenere, sulla base di considerazioni di carattere generale, che la divulgazione integrale degli studi in parola avrebbe arrecato pregiudizio alla tutela degli obiettivi delle attività d’indagine, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

68

A tal proposito, da una giurisprudenza consolidata della Corte risulta che, per giustificare il rifiuto di accesso a un documento di cui è stata chiesta la divulgazione, non basta, in linea di principio, che tale documento rientri in un’attività fra quelle menzionate all’articolo 4, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 1049/2001. L’istituzione interessata deve anche spiegare come l’accesso a tale documento potrebbe arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio all’interesse tutelato da un’eccezione prevista in tale articolo (sentenza Commissione/EnBW, C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punto 64 e giurisprudenza citata).

69

L’istituzione dell’Unione interessata può tuttavia fondarsi al riguardo su presunzioni di carattere generale che si applicano a determinate categorie di documenti, poiché considerazioni di ordine generale analoghe possono applicarsi a domande di divulgazione riguardanti documenti della stessa natura (sentenza Commissione/EnBW, C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punto 65 e giurisprudenza citata).

70

Nel caso di specie, il punto 66 della sentenza impugnata pone in evidenza che la Commissione si è fondata su tali considerazioni di carattere generale per negare alla ClientEarth l’accesso integrale agli studi controversi. Come emerge, in particolare, dai punti 60 e 70 di detta sentenza, il Tribunale ha giudicato che la Commissione avesse ragione a ritenere che detti studi rientrassero tutti nella stessa categoria di documenti e a basarsi su considerazioni di carattere generale secondo cui la divulgazione integrale avrebbe arrecato pregiudizio alla tutela degli obiettivi perseguiti con le proprie attività d’indagine, dato che tale divulgazione, ove autorizzata, avrebbe danneggiato il clima di fiducia che deve sussistere tra la Commissione e ciascuno Stato membro interessato e avrebbe ostacolato, in caso di constatazione di violazioni del diritto dell’Unione, il raggiungimento di una soluzione consensuale senza pressioni esterne.

71

A tal proposito, da quanto indicato al punto 17 della sentenza impugnata emerge che, alla data in cui la Commissione ha adottato la decisione esplicita, taluni dei citati studi controversi avevano già portato all’avvio della fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE.

72

Per ragioni analoghe a quelle illustrate dalla Corte nella sentenza LPN e Finlandia/Commissione (C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punti da 52 a 65), la Commissione aveva ragione a ritenere che la divulgazione integrale degli studi controversi, che alla data dell’adozione della decisione esplicita l’avevano già portata ad inviare una lettera di diffida ad uno Stato membro, ai sensi dell’articolo 258, primo comma, TFUE, e che conseguentemente erano stati acquisiti al fascicolo relativo alla fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento, avrebbe rischiato di alterare la natura e lo svolgimento di tale fase del procedimento complicando il processo di negoziazione tra di essa e detto Stato membro nonché la ricerca di un accordo amichevole che consentisse di porre fine all’inadempimento contestato senza necessità di ricorrere alla fase contenziosa di detto procedimento. Pertanto, la Commissione aveva fondati motivi per ritenere che una siffatta divulgazione integrale avrebbe arrecato pregiudizio alla tutela degli obiettivi delle attività d’indagine, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

73

La circostanza, invocata dalla ClientEarth, che gli studi controversi siano stati realizzati da una società esterna e non riflettano la posizione della Commissione non è tale da inficiare l’analisi che precede.

74

Infatti, da un lato, i documenti relativi alla fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento costituiscono, ai fini della tutela degli obiettivi delle attività di indagine, una categoria unica di documenti, senza che occorra operare alcuna distinzione in funzione del tipo di documento facente parte del fascicolo o dell’autore dei documenti in questione (v., in tal senso, sentenza LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 64).

75

Dall’altro lato, la Commissione ha avviato la fase precontenziosa del procedimento per inadempimento avverso taluni Stati membri alla luce dell’analisi giuridica e delle conclusioni contenute negli studi controversi. Detta analisi e dette conclusioni hanno pertanto costituito la base delle negoziazioni avviate tra la Commissione e ciascuno degli Stati membri interessati al fine di giungere a una soluzione amichevole alle asserite violazioni del diritto dell’Unione. In tali circostanze, la divulgazione integrale di tali studi avrebbe dato luogo, in particolare, a pressioni esterne tali da compromettere lo svolgimento di dette negoziazioni in un clima di reciproca fiducia e, pertanto, da arrecare pregiudizio alla tutela degli obiettivi perseguiti dalle attività d’indagine della Commissione.

76

Ne consegue che il Tribunale ha correttamente ritenuto che la Commissione fosse autorizzata a considerare, in termini generali, che la divulgazione integrale degli studi controversi, che alla data dell’adozione della decisione esplicita erano già stati acquisiti al fascicolo relativo alla fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento avviato con l’invio di una lettera di diffida allo Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 258, primo comma, TFUE, avrebbe arrecato pregiudizio alla tutela di tali obiettivi.

77

Per quanto concerne, al contrario, studi controversi diversi da quelli di cui ai punti da 71 a 76 della presente sentenza, da un lato occorre rilevare che, ad oggi, la Corte ha riconosciuto l’esistenza di una presunzione generale di riservatezza a favore di cinque tipi di documenti, ossia i documenti di un fascicolo amministrativo relativo alla procedura di controllo degli aiuti di Stato (sentenza Commissione/Technische Glaswerke Ilmenau, C‑139/07 P, EU:C:2010:376, punto 61), le memorie depositate da un’istituzione nell’ambito di un procedimento giurisdizionale (sentenza Svezia e a./API e Commissione, C‑514/07 P, C‑528/07 P e C‑532/07 P, EU:C:2010:541, punto 94), i documenti scambiati tra la Commissione e le parti notificanti o terzi nell’ambito di un procedimento di controllo di operazioni di concentrazioni tra imprese (sentenza Commissione/Éditions Odile Jacob, C‑404/10 P, EU:C:2012:393, punto 123), i documenti relativi a un procedimento precontenzioso per inadempimento (sentenza LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 65) e i documenti afferenti a un procedimento di applicazione dell’articolo 101 TFUE (sentenza Commissione/EnBW, C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punto 93).

78

In tutte le cause che hanno dato origine alle decisioni menzionate al punto che precede, il diniego di accesso di cui trattasi era relativo a una serie di documenti chiaramente circoscritti dalla loro comune appartenenza a un fascicolo afferente a un procedimento amministrativo o giurisdizionale in corso (v., in tal senso, sentenze Commissione/Technische Glaswerke Ilmenau, C‑139/07 P, EU:C:2010:376, punti da 12 a 22; Svezia e a./API e Commissione, C‑514/07 P, C‑528/07 P e C‑532/07 P, EU:C:2010:541, punto 75; Commissione/Éditions Odile Jacob, C‑404/10 P, EU:C:2012:393, punto 128; LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punti 49 e 50, nonché Commissione/EnBW, C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punti 69 e 70). Al contrario, non è questo il caso degli studi controversi diversi da quelli di cui ai punti da 71 a 76 della presente sentenza.

79

Dall’altro lato, se è vero che, come ricordato al punto 72 della presente sentenza, la Commissione poteva correttamente considerare, in termini generali, che la divulgazione di documenti afferenti alla fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento avrebbe compromesso il corretto svolgimento di questa fase e la ricerca, in un clima di reciproca fiducia, di una composizione amichevole della controversia tra la Commissione e lo Stato membro coinvolto, una siffatta presunzione generale non poteva al contrario valere per gli studi controversi che, alla data dell’adozione della decisione esplicita, non avevano condotto all’invio da parte della Commissione di una lettera di diffida allo Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 258, primo comma, TFUE, e per i quali non era certo, a tale data, che avrebbero portato all’apertura della fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento. Occorre, a tal proposito, ricordare che la Commissione, qualora consideri che uno Stato membro è venuto meno ai propri obblighi, resta libera di valutare l’opportunità di agire per inadempimento contro tale Stato e di scegliere il momento in cui inizierà il procedimento per inadempimento nei confronti di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 61).

80

In tale contesto, il Tribunale ha commesso un errore di diritto nell’ammettere, nella sentenza impugnata, che la Commissione potesse legittimamente allargare il perimetro della presunzione di riservatezza agli studi controversi menzionati al punto precedente della presente sentenza.

81

Un ragionamento siffatto è incompatibile con l’esigenza di stretta interpretazione e applicazione di tale presunzione, che costituisce, infatti, un’eccezione all’obbligo di esame concreto e specifico, da parte dell’istituzione interessata, di ciascun documento oggetto di una domanda di accesso (v., in tal senso, sentenza LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 44 e giurisprudenza citata) nonché, più in generale, al principio del più ampio accesso possibile del pubblico ai documenti detenuti dalle istituzioni dell’Unione (v., in tal senso, sentenze Svezia/MyTravel e Commissione, C‑506/08 P, EU:C:2011:496, punto 48, nonché Consiglio/in ’t Veld, C‑350/12 P, EU:C:2014:2039, punto 48).

82

Ne consegue che, non potendo la presunzione applicarsi con riguardo agli studi controversi di cui al punto 79 della presente sentenza, spettava alla Commissione esaminare caso per caso se detti studi potessero essere oggetto di divulgazione integrale alla ClientEarth.

83

Di conseguenza, occorre accogliere parzialmente la seconda parte del primo motivo, nei limiti in cui essa riguarda gli studi controversi che, alla data in cui la Commissione ha adottato la decisione esplicita, non avevano portato all’invio di una lettera di diffida allo Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 258, primo comma, TFUE, e non erano quindi stati acquisiti al fascicolo relativo alla fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento.

84

Questa parte del primo motivo dev’essere respinta quanto al resto.

Sul terzo motivo

Argomenti delle parti

85

Nell’ambito del suo terzo motivo, vertente sull’erroneità dell’interpretazione data dal Tribunale alla nozione di «interesse pubblico prevalente», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, ultimo periodo, del regolamento n. 1049/2001, la ClientEarth sostiene che il giudizio del Tribunale esposto ai punti da 107 a 109 della sentenza impugnata equivale a far gravare l’onere della prova su lei stessa piuttosto che sulla Commissione, in violazione tanto di detta disposizione quanto della giurisprudenza della Corte che impone all’istituzione interessata di procedere, sotto il controllo del giudice dell’Unione, al bilanciamento degli interessi in gioco partendo dalla presunzione dell’esistenza di un interesse pubblico prevalente (v., in tal senso, sentenza Svezia e Turco/Consiglio, C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punti 44 e 45).

86

Sottolineando l’importanza fondamentale che riveste, per i cittadini dell’Unione, la corretta attuazione da parte degli Stati membri del diritto ambientale dell’Unione, la ClientEarth sostiene che la messa a disposizione del pubblico di informazioni relative alla conformità della legislazione nazionale a detto diritto costituisce un interesse pubblico prevalente di particolare rilevanza.

87

La Commissione sostiene che l’analisi contenuta ai punti da 107 a 109 della sentenza impugnata è del tutto conforme alla giurisprudenza della Corte.

Giudizio della Corte

88

Alla luce della conclusione esposta ai punti 83 e 84 della presente sentenza, l’esame di questo terzo motivo concerne unicamente le parti non divulgate dei soli studi controversi coperti dalla presunzione generale di riservatezza, in base alla considerazione che, alla data dell’adozione della decisione esplicita, detti studi erano già stati acquisiti al fascicolo relativo alla fase precontenziosa del procedimento per inadempimento, in virtù dell’invio da parte della Commissione di una lettera di diffida allo Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 258, primo comma, TFUE.

89

A tal proposito, occorre ricordare che la presunzione di carattere generale summenzionata non esclude la possibilità di dimostrare che sussiste un interesse pubblico prevalente alla divulgazione del documento di cui trattasi ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, ultimo periodo, del regolamento n. 1049/2001 (v., in tal senso, sentenza Commissione/EnBW, C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punto 100 e giurisprudenza citata).

90

Spetta tuttavia al richiedente dedurre concretamente le circostanze su cui si fonda l’interesse pubblico prevalente che giustifica la divulgazione dei documenti in questione (sentenza Strack/Commissione, C‑127/13 P, EU:C:2014:2250, punto 128 e giurisprudenza citata).

91

Nel caso di specie, nel procedimento dinanzi al Tribunale così come nell’ambito della presente impugnazione, la ClientEarth ha sostenuto che i principi di trasparenza e democrazia implicano il diritto dei cittadini a essere informati sullo stato di conformità delle normative nazionali con il diritto ambientale dell’Unione e a partecipare al processo decisionale.

92

A tal proposito, vero è che l’interesse pubblico prevalente che può giustificare la divulgazione di un documento non deve necessariamente essere distinto dai principi soggiacenti al regolamento n. 1049/2001 (v., in tal senso, sentenze Svezia e Turco/Consiglio, C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punto 74, nonché Strack/Commissione, C‑127/13 P, EU:C:2014:2250, punto 130).

93

Tuttavia, come correttamente dichiarato dal Tribunale al punto 109 della sentenza impugnata, considerazioni tanto generiche come quelle invocate dalla ClientEarth non possono essere idonee a dimostrare che, nella fattispecie, i principi di trasparenza e democrazia presentavano una rilevanza particolare, che avrebbe potuto prevalere sulle ragioni che giustificano il diniego di divulgazione integrale degli studi controversi acquisiti al fascicolo afferente alla fase precontenziosa del procedimento per inadempimento (v., in tal senso, sentenze LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punti 93 e 95, nonché Strack/Commissione, C‑127/13 P, EU:C:2014:2250, punto 131).

94

Ne consegue che il terzo motivo dev’essere respinto.

95

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, l’impugnazione della ClientEarth dev’essere accolta nella seconda parte del primo motivo. Occorre, conseguentemente, annullare la sentenza impugnata nella parte in cui, con essa, il Tribunale ha ammesso che la Commissione poteva, con la decisione esplicita, negare alla ClientEarth, sulla base di una presunzione generale, l’accesso integrale agli studi controversi che, alla data dell’adozione di detta decisione, non avevano portato all’invio di una lettera di diffida allo Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 258, primo comma, TFUE, e non erano quindi stati acquisiti al fascicolo relativo alla fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento.

96

L’impugnazione dev’essere respinta quanto al resto.

Sul ricorso dinanzi al Tribunale

97

Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, secondo periodo, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quest’ultima, in caso di annullamento della sentenza impugnata, può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta.

98

Nella fattispecie, la Corte considera che lo stato degli atti consente di decidere sul ricorso della ClientEarth per l’annullamento della decisione esplicita e che occorre, pertanto, statuire definitivamente sullo stesso.

99

Nell’ambito di detto ricorso, il quarto motivo dedotto dalla ClientEarth verte sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, in quanto la Commissione avrebbe violato le limitazioni all’eccezione prevista da tale disposizione.

100

Alla luce della conclusione esposta ai punti 95 e 96 della presente sentenza, tale motivo dev’essere esaminato solo nella parte in cui riguarda il diniego della Commissione, di cui alla decisione esplicita, di consentire alla ClientEarth l’accesso integrale agli studi controversi che, alla data dell’adozione di detta decisione, non avevano portato all’invio di una lettera di diffida allo Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 258, primo comma, TFUE, e non erano quindi stati acquisiti al fascicolo relativo alla fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento.

101

A tal proposito, dalle considerazioni esposte ai punti da 77 a 83 della presente sentenza emerge che la Commissione non poteva legittimamente fondarsi, così come ha fatto nel caso di specie, sulla presunzione generale per cui la divulgazione integrale dei citati studi avrebbe arrecato pregiudizio alla tutela degli obiettivi oggetto delle sue attività d’indagine. Per ciascuno di detti studi, la Commissione avrebbe dovuto, al contrario, esaminare e spiegare in che modo una tale divulgazione integrale avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio all’interesse tutelato dall’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001 (v., in tal senso, sentenza LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 44 e giurisprudenza citata).

102

Conseguentemente, si deve accogliere il quarto motivo e, pertanto, il ricorso nei limiti precisati al punto 100 della presente sentenza, e annullare la decisione esplicita nella parte in cui, con essa, la Commissione ha negato alla ClientEarth l’accesso integrale agli studi controversi che, alla data dell’adozione di detta decisione, non avevano indotto la Commissione a inviare una lettera di diffida allo Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 258, primo comma, TFUE, e non erano quindi stati acquisiti al fascicolo relativo alla fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento.

Sulle spese

103

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese. A norma dell’articolo 138, paragrafo 3, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, di quest’ultimo, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. L’articolo 140, paragrafo 1, del medesimo regolamento dispone che le spese delle istituzioni intervenute nella causa restano a loro carico.

104

Poiché l’impugnazione della ClientEarth nonché il suo ricorso dinanzi al Tribunale sono stati accolti solo parzialmente, occorre statuire che la ClientEarth e la Commissione sopporteranno le proprie spese afferenti al procedimento di impugnazione e al procedimento di primo grado. Il Parlamento e il Consiglio sopporteranno le proprie spese afferenti al procedimento di impugnazione.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea ClientEarth/Commissione (T‑111/11, EU:T:2013:482) è annullata nella parte in cui, con essa, il Tribunale dell’Unione europea ha ammesso che la Commissione europea poteva, con la sua decisione del 30 maggio 2011, negare alla ClientEarth, sulla base di una presunzione generale, l’accesso integrale agli studi relativi alla conformità delle normative di diversi Stati membri con il diritto ambientale dell’Unione che, alla data dell’adozione di detta decisione, non avevano indotto la Commissione europea a inviare una lettera di diffida allo Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 258, primo comma, TFUE, e non erano quindi stati acquisiti al fascicolo relativo alla fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento.

 

2)

L’impugnazione è respinta quanto al resto.

 

3)

La decisione della Commissione del 30 maggio 2011 è annullata per la parte in cui, con essa, la Commissione europea ha negato alla ClientEarth l’accesso integrale agli studi di cui al punto 1 del dispositivo della presente sentenza.

 

4)

La ClientEarth e la Commissione europea sopporteranno le proprie spese afferenti al procedimento di impugnazione e al procedimento di primo grado.

 

5)

Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea sopporteranno le proprie spese afferenti al procedimento di impugnazione.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

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