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Document 62013CC0373

Conclusioni dell’avvocato generale E. Sharpston, presentate l'11 settembre 2014.
H. T. contro Land Baden-Württemberg.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg.
Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Direttiva 2004/83/CE – Articolo 24, paragrafo 1 – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Revoca del permesso di soggiorno – Presupposti – Nozione di “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” – Partecipazione di una persona avente lo status di rifugiato alle attività di un’organizzazione figurante nell’elenco delle organizzazioni terroristiche predisposto dall’Unione europea.
Causa C-373/13.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2014:2218

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate l’11 settembre 2014 ( 1 )

Causa C‑373/13

H. T.

contro

Land Baden‑Württemberg

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg (Germania)]

«Spazio di libertà, sicurezza e giustizia — Asilo e immigrazione — Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato e sul contenuto della protezione riconosciuta — Revoca del permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83/CE — Presupposti — Nozione di imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico — Partecipazione di un rifugiato riconosciuto alle attività di un’organizzazione terroristica»

1. 

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg [Tribunale amministrativo, Baden‑Württemberg (Germania)], solleva diverse questioni delicate e complesse. Il giudice del rinvio chiede chiarimenti riguardo all’interpretazione degli articoli 21 e 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche ( 2 ). Esso chiede se, e in caso di risposta affermativa come, sia possibile applicare tali disposizioni quando le autorità competenti di uno Stato membro provvedono all’espulsione di una persona cui sia stato riconosciuto lo status di rifugiato, ai sensi della direttiva qualifiche, e alla revoca del suo permesso di soggiorno. Qualora il rifugiato in questione sia tuttavia autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato membro interessato, è compatibile con il diritto dell’Unione la circostanza che egli non sia più in possesso del permesso di soggiorno e quindi, ai sensi del diritto nazionale, non sia legittimato (in maggiore o minore misura) a fruire di taluni benefici, come l’accesso all’occupazione? Quando tale persona è stata espulsa, in quanto ha violato il diritto nazionale sostenendo un’organizzazione terroristica, quali fattori dovrebbero essere presi in considerazione per dimostrare che sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico atti a giustificare la decisione di revocare il permesso di soggiorno di tale persona?

Diritto internazionale

La Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati

2.

La Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati ( 3 ) si fonda sulla Dichiarazione universale dei diritti umani, che riconosce il diritto dei singoli a chiedere asilo in altri paesi per sfuggire alle persecuzioni. La prima frase dell’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra prevede che il termine «rifugiato» sia applicabile a chiunque «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese (…)».

3.

Oltre a prevedere disposizioni che dichiarano lo status di rifugiato, la Convenzione di Ginevra prevede altresì il conferimento di diritti e l’imposizione di obblighi. Pertanto, l’articolo 2 stabilisce che ogni rifugiato ha, verso il paese in cui risiede, doveri che includono separatamente l’obbligo di conformarsi alle leggi e ai regolamenti, come pure alle misure prese per il mantenimento dell’ordine pubblico.

4.

La Convenzione di Ginevra prevede un certo numero di diritti minimi applicabili alla persona avente la qualifica di rifugiato. Gli Stati contraenti devono accordare ai rifugiati residenti regolarmente sul loro territorio diritti quali: (i) l’esercizio di un’attività professionale dipendente ( 4 ); (ii) lo stesso trattamento concesso ai cittadini, per ciò che concerne la retribuzione (compresi gli assegni familiari) e la sicurezza sociale ( 5 ); (iii) la possibilità di scegliere il luogo di residenza e di circolare liberamente su tale territorio, con le riserve previste dall’ordinamento applicabile agli stranieri in generale nelle stesse circostanze ( 6 ).

5.

L’articolo 32 (intitolato «Espulsione») vieta agli Stati contraenti di espellere un rifugiato che risiede regolarmente sul loro territorio salvo che per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Qualsiasi decisione di espulsione deve essere presa conformemente alla procedura prevista dalla legge. Al rifugiato deve essere riconosciuta l’opportunità di contestare una decisione di espulsione fornendo prove, e/o presentando un ricorso contro siffatta decisione, salvo che motivi impellenti di sicurezza nazionale non vi si oppongano. In attesa che la decisione di espulsione venga eseguita gli Stati contraenti devono concedere al rifugiato un termine adeguato, che gli permetta di farsi ammettere regolarmente in un altro paese. Gli Stati contraenti possono prendere, durante tale termine, tutte le misure interne che reputano necessarie.

6.

La Convenzione di Ginevra non contiene alcuna disposizione espressa sulla revoca dello status di rifugiato ( 7 ).

7.

Il principio di «non refoulement» costituisce uno dei principi fondamentali sui quali si fonda la Convenzione di Ginevra. Gli Stati contraenti non devono espellere o respingere (refouler) un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche ( 8 ). Tuttavia, se per motivi seri debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese interessato, oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese, il rifugiato non può far valere il beneficio del principio di «non refoulement» ( 9 ).

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

8.

Ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ( 10 ) sono vietati la tortura, le pene e i trattamenti inumani o degradanti. L’articolo 8 garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. L’articolo 1 del protocollo 7 della CEDU prevede alcune garanzie procedurali in caso di espulsione di stranieri tra cui il diritto della persona di far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione, il diritto di far esaminare il suo caso e il diritto di farsi rappresentare a tali fini ( 11 ).

Diritto dell’Unione europea

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

9.

La proibizione della tortura e delle pene o di trattamenti inumani o degradanti di cui all’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ( 12 ) corrisponde all’articolo 3 della CEDU. L’articolo 7 della Carta prevede che: «[o]gni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni». Il diritto di asilo nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra e a norma del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea è garantito dall’articolo 18 della Carta. L’articolo 19 prevede la protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione. Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti ( 13 ). L’articolo 52, paragrafo 1, stabilisce che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta devono essere previste dalla legge e sono soggette al principio di proporzionalità. Sono ammesse limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. L’articolo 52, paragrafo 3, stabilisce che i diritti riconosciuti dalla Carta dovrebbero essere interpretati in conformità ai corrispondenti diritti garantiti dalla CEDU.

L’acquis di Schengen

10.

Lo spazio Schengen è fondato sull’accordo di Schengen del 1985 ( 14 ), con il quale gli Stati firmatari hanno accettato di eliminare tutte le frontiere interne e di stabilire un’unica frontiera esterna. Nello spazio Schengen sono applicabili norme e procedure comuni per quanto riguarda i visti per brevi soggiorni, le domande di asilo e i controlli alle frontiere. L’articolo 1 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen ( 15 ) definisce «straniero» chi non è cittadino di uno Stato membro. L’articolo 5, paragrafo 1, prevede che, qualora siano soddisfatte determinate condizioni, allo straniero può essere concesso l’ingresso nel territorio delle Parti contraenti per un periodo non superiore a tre mesi. In forza dell’articolo 21, gli stranieri in possesso di un titolo di soggiorno valido, rilasciato da una delle Parti contraenti, possono circolare liberamente per un periodo non superiore a tre mesi nel territorio delle altre Parti contraenti, qualora siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c) ed e) ( 16 ).

Misure restrittive contro persone ed entità coinvolte in atti terroristici

11.

L’Unione europea ha adottato, per la prima volta, misure restrittive contro persone ed entità coinvolte in atti terroristici nel dicembre 2001, a seguito degli attacchi terroristici avvenuti negli Stati Uniti d’America, in particolare al World Trade Centre di New York l’11 settembre di quell’anno. L’elenco dell’Unione è stato stilato al fine di dare attuazione all’UNSCR 1373 (2001), adottata ai sensi del capo VII della Carta delle Nazioni Unite. A tal fine, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la posizione comune 2001/931/PESC ( 17 ) e il regolamento n. 2580/2001 ( 18 ). La prima stabilisce i criteri per la redazione di elenchi relativi a persone, gruppi o entità coinvolti in atti terroristici e individua le azioni costituenti atti terroristici. Il secondo introduce misure restrittive specifiche, relative a determinate persone ed entità, al fine di combattere il terrorismo.

Il sistema europeo comune di asilo e la direttiva qualifiche

12.

Il sistema europeo comune di asilo (in prosieguo: il «CEAS») è finalizzato a dare attuazione alla Convenzione di Ginevra ( 19 ). Gli atti adottati ai fini del CEAS rispettano i diritti fondamentali e osservano i principi riconosciuti nella Carta ( 20 ). Nel trattamento delle persone che rientrano nel campo di applicazione di tali atti, gli Stati membri sono vincolati dagli obblighi previsti dagli strumenti di diritto internazionale di cui sono parti ( 21 ). Lo scopo del CEAS è di armonizzare il contesto normativo applicato negli Stati membri sulla base di norme minime comuni. Discende dalla natura stessa delle misure che prevedono norme minime che gli Stati membri abbiano la facoltà di stabilire o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli ( 22 ). L’istituzione del CEAS ha comportato l’adozione di vari atti ( 23 ). Nel 2013, in seguito alla riforma del CEAS, sono state adottate nuove norme ( 24 ).

13.

La direttiva qualifiche tende a stabilire norme minime e criteri comuni per tutti gli Stati membri ai fini del riconoscimento dei rifugiati e di altre persone realmente bisognose di protezione internazionale, il contenuto o i benefici dello status di rifugiato e una procedura di asilo equa ed efficace ( 25 ). Una volta stabilito, il riconoscimento dello status di rifugiato è un atto declaratorio ( 26 ).

14.

Sono rilevanti i seguenti considerando:

«(22)

Gli atti contrari ai fini e ai principi delle Nazioni unite sono enunciati nel preambolo e agli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni unite e si rispecchiano, tra l’altro, nelle risoluzioni delle Nazioni unite relative alle misure di lotta al terrorismo, nelle quali è dichiarato che “atti, metodi e pratiche di terrorismo sono contrari ai fini e ai principi delle Nazioni unite” e che “chiunque inciti, pianifichi, finanzi deliberatamente atti di terrorismo compie attività contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni unite”.

(…)

(28)

Nella nozione di sicurezza nazionale e di ordine pubblico rientrano pure i casi in cui un cittadino di un paese terzo faccia parte di un’organizzazione che sostiene il terrorismo internazionale o sostenga una siffatta organizzazione.

(…)

(30)

Entro i limiti derivanti dagli obblighi internazionali, gli Stati membri possono stabilire che la concessione di prestazioni in materia di accesso all’occupazione, assistenza sociale, assistenza sanitaria e accesso agli strumenti d’integrazione sia subordinata al rilascio di un permesso di soggiorno.

(…)».

15.

Corrispondentemente all’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, il rifugiato viene definito come «cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12» ( 27 ). Per status di rifugiato si intende il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato ( 28 ). Il permesso di soggiorno è «qualsiasi titolo o autorizzazione rilasciati dalle autorità di uno Stato membro nella forma prevista dalla legislazione nazionale, che permetta ad un cittadino di un paese terzo o ad un apolide di soggiornare nel territorio dello Stato membro stesso» ( 29 ).

16.

Una persona che soddisfa le condizioni di cui al capo II della direttiva qualifiche, relativo alla valutazione delle domande di protezione internazionale, può ottenere la qualifica di rifugiato qualora sia in grado di dimostrare di essere stata sottoposta ad atti di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, o abbia motivo di temere che vi sarà sottoposta.

17.

Tali atti devono essere sufficientemente gravi, per loro natura, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti inderogabili (previsti all’articolo 15, paragrafo 2, della CEDU), oppure comportare la somma di diverse misure il cui impatto sia sufficientemente grave da corrispondere a siffatta violazione dei diritti umani fondamentali ( 30 ). Gli atti di violenza fisica o psichica possono rientrare nella definizione di atti di persecuzione ( 31 ). I motivi di cui all’articolo 10 devono essere collegati agli atti di persecuzione definiti all’articolo 9 della direttiva qualifiche ( 32 ).

18.

I motivi di persecuzione elencati all’articolo 10 includono le nozioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale e opinione politica.

19.

L’articolo 11 stabilisce i presupposti per la cessazione dello status di rifugiato. Tali presupposti comportano, in un modo o nell’altro, la possibilità per il rifugiato di riottenere la protezione del paese di cui ha la cittadinanza o in cui aveva precedentemente la residenza o di ricevere la protezione del paese dal quale ha ottenuto una nuova cittadinanza. Pertanto, si tratta nei casi in cui, ad esempio, un rifugiato volontariamente: (i) si avvalga nuovamente della protezione del paese di cui ha la cittadinanza; o (ii) riacquisti la sua cittadinanza; o (iii) abbia acquistato una nuova cittadinanza e goda della protezione del paese di cui ha acquistato la cittadinanza; o (iv) si ristabilisca nel paese che ha lasciato; o (v) non possa più rinunciare alla protezione del paese di cui ha la cittadinanza, perché sono venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato; o (vi) se trattasi di un apolide, sia in grado di tornare nel paese nel quale aveva la dimora abituale, perché sono venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato.

20.

Il cittadino di un paese terzo è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva qualifiche qualora il suo caso rientri fra le ipotesi di cui all’articolo 12. Ai presenti fini, l’ipotesi di esclusione rilevante è quella prevista dall’articolo 12, paragrafo 2, ossia ove sussistano fondati motivi per ritenere che la persona interessata abbia commesso: un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini ( 33 ); un reato grave di diritto comune, al di fuori del paese di accoglienza, prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato; in tale contesto, abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comune ( 34 ); o atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della Carta delle Nazioni Unite ( 35 ).

21.

Gli Stati membri possono revocare, cessare o rifiutare il rinnovo dello status di rifugiato quando sono soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 14. In particolare, possono agire in tal senso ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, quando vi sono fondati motivi per ritenere che il rifugiato costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova ( 36 ) o quando, essendo stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, il rifugiato costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro ( 37 ).

22.

Il contenuto della protezione internazionale è stabilito al capo VII della direttiva qualifiche. Le disposizioni di tale capo non pregiudicano i diritti garantiti dalla Convenzione di Ginevra ( 38 ). Esse si applicano sia ai rifugiati sia alle persone ammissibili a beneficiare della protezione sussidiaria, ove non diversamente stabilito ( 39 ). L’articolo 20, paragrafo 6, stabilisce che: «Entro i limiti stabiliti dalla Convenzione di Ginevra, gli Stati membri hanno la facoltà di ridurre i benefici del presente capo, riconosciuti a un rifugiato, il cui status di rifugiato sia stato ottenuto per attività svolte al fine esclusivo o principale di creare le condizioni necessarie al riconoscimento di tale status» ( 40 ). Nessun’altra norma generale autorizza gli Stati membri a ridurre i benefici conferiti ai sensi del capo VII.

23.

L’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva qualifiche impone agli Stati membri di rispettare il principio di «non refoulement» in conformità ai loro obblighi internazionali. L’articolo 21, paragrafo 2, stabilisce che qualora i loro obblighi internazionali non pongano divieti al riguardo, «gli Stati membri possono respingere un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno, quando: a) vi siano ragionevoli motivi per considerare che detta persona rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova; o b) (…) essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, detta persona costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro». Ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3, «[g]li Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare il rinnovo o il rilascio di un permesso di soggiorno di un (o a un) rifugiato al quale si applichi [l’articolo 21, paragrafo 2]».

24.

L’articolo 24, paragrafo 1, stabilisce che: «[g]li Stati membri rilasciano ai beneficiari dello status di rifugiato, il più presto possibile dopo aver riconosciuto loro lo status, un permesso di soggiorno valido per un periodo di almeno tre anni rinnovabile, purché non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico e fatto salvo l’articolo 21, paragrafo 3 (…)».

25.

Per quanto riguarda i beneficiari dello status di rifugiato, gli Stati membri devono inoltre: (i) rilasciare documenti di viaggio purché non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ( 41 ); (ii) autorizzare l’esercizio di attività dipendenti o autonome ( 42 ); (iii) provvedere a che siano offerte opportunità di formazione occupazionale per adulti secondo modalità equivalenti a quelle previste per i loro cittadini ( 43 ); (iv) provvedere affinché ricevano adeguata assistenza sociale, alla stregua dei cittadini dello Stato membro in questione ( 44 ); (v) garantire l’accesso all’assistenza sanitaria secondo le stesse modalità previste per i cittadini dello Stato membro in questione ( 45 ); (vi) garantire l’accesso ad un alloggio secondo modalità equivalenti a quelle previste per altri cittadini di paesi terzi in soggiorno regolare nei loro territori ( 46 ); (vii) concedere la libertà di circolazione all’interno del territorio nazionale secondo le stesse modalità e restrizioni previste per altri cittadini di paesi terzi in soggiorno regolare nei loro territori ( 47 ); (viii) stabilire programmi d’integrazione o creare i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi ( 48 ).

La direttiva 2003/109/CE

26.

La direttiva 2003/109/CE del Consiglio ( 49 ) si fonda sull’articolo 63, paragrafi 3 e 4, CE (ora articolo 79 TFUE) in materia di politica comune dell’immigrazione. Essa stabilisce le norme per il conferimento dello status di soggiornante di lungo periodo, e per la revoca di tale status, ai cittadini di paesi terzi legalmente soggiornanti nel territorio degli Stati membri ( 50 ). Gli Stati membri possono rilasciare permessi di soggiorno permanenti o di validità illimitata a condizioni più favorevoli rispetto a quelle previste dalla direttiva soggiornanti di lungo periodo ( 51 ). Si definisce cittadino di paese terzo chiunque non sia cittadino dell’Unione ai sensi dell’attuale articolo 20, paragrafo 1, TFUE ( 52 ) e il permesso di soggiorno CE (ora UE) per soggiornanti di lungo periodo è un titolo di soggiorno rilasciato dallo Stato membro interessato al momento dell’acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo ( 53 ). La direttiva soggiornanti di lungo periodo si applica a persone rifugiate o altrimenti bisognose di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva qualifiche ( 54 ). Gli Stati membri devono conferire lo status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di paesi terzi che hanno soggiornato legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel loro territorio ( 55 ). Lo status di soggiornante di lungo periodo è permanente, fatte salve la revoca o la perdita di tale status alle condizioni di cui all’articolo 9 ( 56 ). Permessi di soggiorno di lungo periodo rilasciati ai sensi della direttiva 2003/109 devono essere validi per almeno cinque anni e sono automaticamente rinnovabili alla scadenza ( 57 ).

27.

Lo status di soggiornante di lungo periodo può essere revocato o perso nelle ipotesi di cui all’articolo 9, compresi i casi in cui viene adottato un provvedimento di allontanamento ( 58 ) o la persona interessata costituisce una minaccia per l’ordine pubblico a causa della gravità dei reati dalla stessa perpetrati, ma tale minaccia non è motivo di allontanamento ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2003/109 ( 59 ). Qualunque provvedimento di rifiuto o revoca dello status di soggiornante di lungo periodo deve essere debitamente motivato e deve essere possibile esperire mezzi di impugnazione ( 60 ). Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda un certo numero di benefici sociali ( 61 ), quale l’accesso all’occupazione. Le disposizioni che disciplinano l’allontanamento dei soggiornanti di lungo periodo sono rinvenibili nell’articolo 12. In sostanza, gli Stati membri possono adottare siffatta decisione esclusivamente se la persona interessata «costituisce una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza» ( 62 ).

La direttiva sulla cittadinanza

28.

La direttiva 2004/38/CE ( 63 ) prevede, tra l’altro, le modalità di esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari ( 64 ). Limitazioni del diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica sono stabilite nel capo VI. L’articolo 28, intitolato «Protezione contro l’allontanamento», prevede quanto segue:

«(...)

2.   Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

3.   Il cittadino dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:

(a)

abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni;

(…)».

Diritto nazionale

29.

L’articolo 16a del Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland (Costituzione della Repubblica federale di Germania) prevede il diritto di asilo. Il procedimento di ammissione dei richiedenti asilo è disciplinato dall’Asylverfahrensgesetz (legge relativa al procedimento in materia di asilo). Quando le autorità competenti riconoscono lo status di rifugiato il richiedente ottiene un permesso di soggiorno temporaneo. Egli è quindi ammesso a godere degli stessi benefici di un cittadino tedesco per quanto riguarda l’assistenza sociale e gli assegni familiari, nonché l’assistenza all’integrazione, comprendente talune prestazioni come l’accesso a corsi di lingue.

30.

In forza del Gesetz zur Regelung des öffentlichen Vereinsrechts (in prosieguo: il «Vereinsgesetz») (legge sul regime pubblico delle associazioni), le attività del PKK ( 65 ) erano vietate. Ai sensi dell’articolo 20 del Vereinsgesetz, chiunque violi tale divieto commette un reato.

31.

Ai sensi del Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet (in prosieguo: l’«Aufenthaltsgesetz») (legge in materia di soggiorno, occupazione e integrazione dei cittadini stranieri nel territorio federale), i cittadini di paesi terzi che entrano e soggiornano in Germania devono essere in possesso di un titolo di soggiorno che può assumere la forma, tra l’altro, di un permesso di soggiorno o di un permesso di stabilimento ( 66 ). I permessi di soggiorno sono rilasciati in via temporanea ( 67 ). Il permesso di stabilimento è un titolo di soggiorno permanente che consente al titolare di esercitare un’attività economica ( 68 ).

32.

Quando riconoscono il diritto di asilo o lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo, le autorità competenti devono anche rilasciare un permesso di soggiorno ( 69 ). Il permesso di soggiorno concesso in tali circostanze può essere rilasciato e rinnovato per una durata massima di tre anni ( 70 ). La persona in possesso di siffatto permesso di soggiorno ha diritto a un permesso di stabilimento conformemente all’articolo 26, paragrafo 3, dell’Aufenthaltsgesetz ( 71 ).

33.

I cittadini di paesi terzi che non sono in possesso di un permesso di soggiorno né sono titolari di un diritto di soggiorno hanno l’obbligo di lasciare la Germania ( 72 ). Il permesso di soggiorno scade, tra l’altro, quando cessa il periodo di validità, quando è ritirato o revocato, o quando il cittadino del paese terzo viene espulso ( 73 ).

34.

Le autorità competenti possono espellere il cittadino di un paese terzo quando vi è motivo di ritenere che egli appartenga (o sia appartenuto) a un’organizzazione che sostiene il terrorismo, o abbia sostenuto siffatta organizzazione; l’appartenenza o il sostegno precedenti possono altresì giustificare l’espulsione qualora siano causa di un’attuale minaccia ( 74 ). Quando viene emesso l’ordine di espulsione ai sensi dell’articolo 54, paragrafo 5, dell’Aufenthaltsgesetz, la persona interessata deve presentarsi alla stazione di polizia locale almeno una volta alla settimana; e la zona in cui essa può risiedere è limitata al territorio amministrativo dell’autorità competente, responsabile della pratica ( 75 ). Ai rifugiati è concessa una tutela speciale contro l’espulsione, salvo che sussistano gravi motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico. Tali motivi sono considerati, in genere, applicabili quando viene emesso un ordine di espulsione, in particolare, ai sensi dell’articolo 54, paragrafo 5, dell’Aufenthaltsgesetz.

35.

L’espulsione comporta la revoca automatica del permesso di soggiorno. Non si provvede al rilascio di un nuovo permesso di soggiorno, anche qualora le condizioni per tale rilascio siano altrimenti soddisfatte ( 76 ). Il giudice del rinvio dichiara che ciò ha implicazioni per l’accesso, da parte del rifugiato, all’occupazione e ad altri diritti sociali previsti dalla normativa nazionale.

36.

Tuttavia, in talune circostanze, il cittadino di un paese terzo non può essere espulso. Tali circostanze includono: (i) il caso in cui, come previsto nella Convenzione di Ginevra, la sua vita o la sua libertà sia minacciata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o opinioni politiche; (ii) il caso in cui egli subisca un grave danno; o (iii) il caso in cui la sua espulsione sarebbe incompatibile con la CEDU ( 77 ). L’espulsione può essere sospesa, tra l’altro, per ragioni di diritto internazionale o per motivi umanitari, fintantoché sia impossibile espellere la persona interessata (ossia, allontanarla dal territorio) in fatto o in diritto; tuttavia, durante tale periodo, non viene rilasciato alcun permesso di soggiorno ( 78 ). Il fatto che l’espulsione sia sospesa non incide sull’obbligo del cittadino di un paese terzo di lasciare la Germania ( 79 ). Le autorità competenti rilasciano un certificato che conferma la sospensione dell’espulsione ( 80 ).

Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

37.

Il sig. H.T. è nato nel 1956. È un cittadino turco di origine curda e vive in Germania con la moglie, anch’essa cittadina turca, dal 1989. Essi convivono con i loro otto figli, cinque dei quali sono cittadini tedeschi.

38.

Il 24 giugno 1993 le autorità competenti hanno accolto la domanda di asilo del sig. H.T. In tale decisione si è tenuto conto delle sue attività politiche, svolte in esilio, per il PKK o a sostegno di quest’ultimo e del rischio di persecuzione, in cui sarebbe incorso per le sue opinioni politiche, qualora fosse dovuto rientrare in Turchia. Dal 7 ottobre 1993, il sig. H.T. è in possesso di un permesso di soggiorno permanente in Germania. Gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra. Il 21 agosto 2006 le autorità competenti hanno revocato lo status di rifugiato del sig. H.T. con la motivazione che la situazione politica in Turchia era mutata e che, pertanto, non era più considerato a rischio di persecuzione. Tale decisione è stata oggetto di impugnazione e annullata, con ordinanza del Verwaltungsgericht Karlsruhe (tribunale amministrativo di Karlsruhe), il 30 novembre 2007. Di conseguenza, il sig. H.T. ha mantenuto lo status di rifugiato.

39.

Le autorità competenti hanno successivamente perseguito il sig. H.T. ai sensi dell’articolo 20 della Vereinsgesetz per attività di sostegno a favore del PKK, dopo aver acquisito prove a suo carico a seguito di una perquisizione effettuata presso la sua abitazione. In tale procedimento è stato dimostrato che egli aveva raccolto offerte per conto del PKK e le aveva trasferite a tale organizzazione e che, con l’occasione, aveva distribuito il periodico Serxwebûn, una pubblicazione del PKK. È stato quindi condannato al pagamento di un’ammenda con sentenza del Landgericht Karlsruhe (tribunale regionale Karlsruhe) del 3 dicembre 2008. Dopo il rigetto del suo ricorso da parte del Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia), tale sentenza è divenuta definitiva l’8 aprile 2009.

40.

Il 27 marzo 2012 il Regierungspräsidium Karlsruhe (governo regionale di Karlsruhe) ha emesso una decisione in nome del Land Baden‑Württemberg che disponeva l’espulsione del sig. H.T. dalla Germania per i motivi di cui all’articolo 54, paragrafo 5, dell’Aufenthaltsgesetz (sostegno a un’organizzazione che supporta il terrorismo) (in prosieguo: la «decisione del 27 marzo 2012»). In forza di tale decisione, al sig. H.T. sono state imposte alcune condizioni [come previsto all’articolo 54, lettera a), dell’Aufenthaltsgesetz], ossia che dovesse presentarsi regolarmente alla stazione di polizia locale e che il suo luogo di residenza fosse limitato alla città di Mannheim. Tuttavia, le autorità competenti hanno deciso che l’esecuzione dell’ordine di espulsione dovesse essere sospesa ( 81 ), tenuto conto dello status di rifugiato, con diritto permanente di soggiorno, del sig. H.T., dei suoi vincoli familiari e del diritto a una vita familiare sancito all’articolo 8 della CEDU (l’equivalente garanzia è contenuta nell’articolo 7 della Carta). Il ricorso del sig. H.T. avverso la decisione del 27 marzo 2012 è stato respinto dal Verwaltungsgericht Karlsruhe il 7 agosto 2012.

41.

Il 28 novembre 2012 avverso tale sentenza è stato proposto ricorso dinanzi al Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg. In tale procedimento il sig. H.T. sostiene che: (i) il PKK non è un’organizzazione terroristica; (ii) se è vero che, in quanto curdo, egli festeggia ricorrenze quali il Newroz (il Capodanno curdo) e ha partecipato a riunioni autorizzate riguardanti il PKK in Germania, è altrettanto vero che non ha sostenuto tale organizzazione; (iii) i requisiti di cui agli articoli 21 e 24 della direttiva qualifiche non sono stati presi in considerazione nella decisione del 27 marzo 2012; e (iv) la sua espulsione non è ammissibile, salvo che vi siano gravi motivi, nel suo caso inesistenti, per ritenere che sussista una minaccia per la sicurezza nazionale. Il convenuto nel procedimento principale ritiene che né l’articolo 21 né l’articolo 24 della direttiva qualifiche ostino all’espulsione del sig. H.T. dalla Germania.

42.

Il giudice del rinvio chiede chiarimenti riguardo all’interpretazione degli articoli 21 e 24 della direttiva qualifiche e intende sapere come debba essere interpretata l’espressione «gravi motivi» di cui all’articolo 56 dell’Aufenthaltsgesetz alla luce di tali disposizioni. Di conseguenza, esso ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

a)

Se la norma di cui all’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della [direttiva qualifiche], sull’obbligo degli Stati membri di rilasciare un permesso di soggiorno alle persone cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato, debba essere osservata anche in caso di revoca di un permesso di soggiorno precedentemente rilasciato.

b)

Se tale norma debba essere quindi interpretata nel senso che osta alla revoca o alla cessazione del permesso di soggiorno (ad esempio attraverso un’espulsione disposta ai sensi del diritto nazionale) di un rifugiato riconosciuto qualora non siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 21, paragrafo 3, in combinato disposto con il paragrafo 2, della [direttiva qualifiche], e non sussistano “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della [direttiva qualifiche].

2)

In caso di risposta affermativa ai punti a) e b) della prima questione:

a)

Come debba essere interpretata la causa di esclusione costituita dagli “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” di cui all’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della [direttiva qualifiche] in relazione ai rischi derivanti dall’attività di sostegno a un’associazione terroristica.

b)

Se si possano ravvisare “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della [direttiva qualifiche] nel caso in cui un rifugiato riconosciuto abbia sostenuto il PKK in particolare mediante la raccolta di offerte e la costante partecipazione a manifestazioni vicine al PKK, anche se non sono soddisfatte le condizioni per disattendere il principio di “non refoulement” a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra e quindi neppure le condizioni dell’articolo 21, paragrafo 2, della [direttiva qualifiche].

3)

In caso di risposta negativa al punto a) della prima questione:

Se la revoca o la cessazione del permesso di soggiorno concesso a un rifugiato riconosciuto (ad esempio attraverso un’espulsione disposta ai sensi del diritto nazionale) sia ammissibile, sotto il profilo del diritto dell’Unione, solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 21, paragrafo 3, in combinato disposto con il paragrafo 2, della [direttiva qualifiche] (o della successiva, identica, disciplina della direttiva 2011/95/UE)».

43.

Sono state presentate osservazioni scritte dal sig. H.T., dalla Germania, dalla Grecia, dall’Italia e dalla Commissione europea. Fatta eccezione per l’Italia, tutte le parti sono comparse e hanno presentato osservazioni orali all’udienza del 4 giugno 2014.

Valutazione

Osservazioni preliminari

44.

Da una costante giurisprudenza risulta che la Convenzione di Ginevra costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati ( 82 ). La direttiva qualifiche è stata adottata per orientare le autorità competenti degli Stati membri nell’applicazione di tale convenzione in base a nozioni e criteri comuni ( 83 ). L’interpretazione delle disposizioni della direttiva deve pertanto essere effettuata alla luce dell’impianto sistematico e della finalità di quest’ultima, nel rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE; tale interpretazione deve essere inoltre effettuata nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta ( 84 ).

45.

Prima che a una persona sia riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della direttiva qualifiche la sua posizione è disciplinata, in particolare, dalla direttiva sulle condizioni di accoglienza e dalla direttiva procedure. Tale persona non ha diritto a un titolo di soggiorno in attesa della decisione sulla sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato ( 85 ). Al sig. H.T. è stato tuttavia riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della direttiva qualifiche e gli è stato rilasciato un permesso di soggiorno. Le autorità competenti di uno Stato membro, quando intendono procedere a un’espulsione, devono tener conto dei loro obblighi ai sensi della Convenzione di Ginevra per garantire che nessuno sia rinviato in un luogo in cui rischia di essere perseguitato, in ottemperanza al principio di «non refoulement» ( 86 ). Il giudice del rinvio osserva che, in effetti, le autorità competenti hanno tenuto conto di tali obblighi e che ciò di cui si discute nella fattispecie è l’espulsione del sig. H.T. dalla Germania e la questione se il suo permesso di soggiorno possa essere quindi revocato, non il suo respingimento.

46.

Le tre questioni sollevate dal giudice del rinvio presentano un certo grado di sovrapposizione. Ritengo che i punti essenziali siano, in primo luogo, se un permesso di soggiorno, una volta rilasciato, possa essere revocato (i) quando sussistono o imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche o motivi di applicazione della deroga al principio di «non refoulement» ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, oppure (ii) solo quando sussistono motivi di applicazione della deroga al principio di «non refoulement» ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2 (prima e terza questione). In secondo luogo, se la risposta al primo quesito è quella prevista al punto (i), come si dovrebbe interpretare l’espressione «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico», contenuta nell’articolo 24, paragrafo 1 (seconda questione)?

Posizione del sig. H.T.

47.

Gli articoli 21, paragrafi 2 e 3, o 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche ( 87 ) disciplinano le circostanze del caso di specie del sig. H.T.? È difficile risolvere tale questione in astratto, pertanto inizierò sintetizzando la situazione del sig. H.T. come esposta dal giudice del rinvio.

48.

Il sig. H.T. è un rifugiato riconosciuto ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva qualifiche. Le autorità competenti hanno avviato le pratiche di espulsione in seguito a una condanna, inflittagli ai sensi dell’articolo 20 del Vereinsgesetz, per attività di sostegno a favore del PKK. Il giudice del rinvio afferma che, a suo parere, il PKK è un’organizzazione che supporta il terrorismo e che il sig. H.T. ha sostenuto le attività del PKK per i fini di cui all’articolo 54, paragrafo 5, dell’Aufenthaltsgesetz, in particolare raccogliendo e trasferendo offerte a tale organizzazione. Tuttavia, tali circostanze non soddisfano le condizioni previste all’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva qualifiche. Il sig. H.T. continua quindi ad essere protetto dal respingimento.

49.

Il permesso di soggiorno che consente al sig. H.T. di soggiornare in Germania [v. articolo 2, lettera j), della direttiva qualifiche] è stato revocato in quanto il sig. H.T. è stato oggetto di un ordine di espulsione. L’esecuzione di tale ordine è stata sospesa. Pertanto, la posizione del sig. H.T. potrebbe essere descritta come un’espulsione de jure, mentre, de facto, egli rimane legittimamente in Germania, in quanto a ciò autorizzato dalle autorità nazionali competenti ( 88 ).

50.

Secondo il giudice del rinvio l’esecuzione della decisione di espulsione è rimessa alla discrezionalità delle autorità nazionali competenti. Tale giudice ritiene che la scelta di sospendere l’esecuzione dell’espulsione del sig. H.T. sia proporzionata ai sensi del diritto nazionale per motivi umanitari, in particolare per il diritto dell’interessato a una vita familiare ( 89 ), dato che cinque dei suoi otto figli sono cittadini tedeschi che convivono con lui e la moglie ( 90 ).

51.

Il giudice del rinvio spiega che una decisione di espulsione non comporta necessariamente che il rifugiato debba essere allontanato dalla Germania. Tuttavia, ai sensi del diritto nazionale, siffatta decisione implica che il permesso di soggiorno del rifugiato è ritirato («revocato») ( 91 ). Il sig. H.T. è tuttora un rifugiato ai fini della direttiva qualifiche. Tuttavia, la decisione di espulsione ha l’effetto di privarlo dell’accesso all’occupazione, alla formazione professionale e/o ai diritti sociali. Ai sensi della normativa tedesca, l’accesso a tali diritti dipende dal possesso di un permesso di soggiorno valido anziché dallo status di rifugiato della persona. Un’ulteriore questione sollevata nel procedimento principale è se sia conforme alla direttiva che la presenza del sig. H.T. in Germania debba essere meramente «tollerata» («Duldungen») ora che il suo permesso di soggiorno è stato revocato.

Si applica l’articolo 21, paragrafi 2 e 3, oppure l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche?

52.

Le questioni prima e terza riguardano il problema se gli Stati membri possano revocare un permesso di soggiorno o ai sensi dell’articolo 21, paragrafi 2 e 3, o ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, oppure se un permesso di soggiorno possa essere revocato soltanto ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3, qualora il rifugiato non sia più protetto dal respingimento (in quanto trova applicazione la deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2).

Le osservazioni delle parti

53.

Il sig. H.T. sostiene che gli articoli 21 e 24 istituiscono regimi distinti ed esaustivi. Quando uno Stato membro rilascia un permesso di soggiorno a un rifugiato, l’articolo 21, paragrafo 3, stabilisce i presupposti in base ai quali tale permesso può essere successivamente revocato, facendo dipendere la revoca dalla perdita di protezione dal respingimento (articolo 21, paragrafo 2). Per contro, l’articolo 24, paragrafo 1, stabilisce gli obblighi e le condizioni applicabili al rilascio (o al diniego di rilascio) di un permesso di soggiorno dopo il riconoscimento dello status di rifugiato. Un permesso di soggiorno non può essere revocato ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1. Non vi è motivo di applicare l’articolo 24, paragrafo 1, per analogia con l’articolo 21, paragrafo 3, o in alternativa a quest’ultimo. Se ricorresse tale ipotesi, il legislatore avrebbe introdotto un rinvio all’articolo 24 nell’articolo 21, paragrafo 3. Pertanto la risposta alla prima questione dovrebbe essere negativa.

54.

Tutti gli Stati membri che hanno presentato osservazioni nella presente causa ritengono, al pari della Commissione, che il permesso di soggiorno di un rifugiato possa essere revocato ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1.

55.

In sostanza, essi affermano, in primo luogo, che è implicito nel testo dell’articolo 24, paragrafo 1, che gli Stati membri abbiano il potere discrezionale di negare (i) il rilascio o (ii) il rinnovo di un permesso di soggiorno quando sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. È quindi logico e coerente che gli Stati membri siano anche legittimati a disporre la revoca di un permesso di soggiorno quando sussistono tali motivi. In secondo luogo, è conforme all’impianto sistematico della normativa che gli Stati membri abbiano la facoltà di revocare un permesso di soggiorno prima della data del rinnovo. Considerato che l’articolo 21, paragrafo 3, contiene una siffatta disposizione, non vi è motivo per cui non debba esistere un’analoga possibilità ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1. In terzo luogo, un’interpretazione restrittiva dell’articolo 24, paragrafo 1, comporterebbe che gli Stati membri non potrebbero mai revocare un permesso di soggiorno salvo che non fossero anche legittimati a respingere il rifugiato. In quarto luogo, interpretare l’articolo 24, paragrafo 1, nel senso che non prevede alcun potere di revoca porta a risultati arbitrari. L’eventualità che uno Stato membro possa negare un permesso di soggiorno in un caso particolare dipenderebbe dalla disponibilità delle informazioni su cui si fondano imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico al momento del rilascio o del rinnovo (diniego possibile) o in un altro momento (diniego impossibile). Infine, il cittadino di un paese terzo titolare di un permesso di soggiorno valido può circolare liberamente nello spazio Schengen ( 92 ). È quindi importante per gli Stati membri poter revocare i permessi di soggiorno anche in situazioni in cui il respingimento non è in discussione: sussistono implicazioni non solo per lo Stato interessato, ma per tutti gli Stati che appartengono allo spazio Schengen e per la lotta comune al terrorismo internazionale.

56.

La Commissione sostiene che tutti i provvedimenti aventi l’effetto di far cessare la validità di un permesso di soggiorno devono essere adottati nel rispetto del principio di «non refoulement» previsto dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra e dall’articolo 21 della direttiva qualifiche.

L’articolo 21, paragrafi 2 e 3, della direttiva qualifiche

57.

L’articolo 21, paragrafo 1, prevede che gli Stati membri siano tenuti a rispettare il principio di «non refoulement» in conformità dei propri obblighi internazionali. Tale principio non è definito nella stessa direttiva qualifiche, sebbene il considerando 2 sancisca il principio di «non refoulement» previsto dalla Convenzione di Ginevra e chiarisca che nessuno deve essere rimpatriato a rischio di subire persecuzioni. Ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra, il principio di «non refoulement» comporta che è vietato espellere o respingere (refouler) un rifugiato verso i confini o i territori in cui subirebbe persecuzioni e in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate ( 93 ). Pertanto, il respingimento include solo circostanze in cui il rifugiato interessato è soggetto a espulsione dallo Stato membro nel quale chiede protezione ed è respinto da tale Stato verso il territorio (o le sue frontiere) da cui era fuggito per evitare persecuzioni. Esso non ricomprende il caso di espulsione verso un altro paese terzo sicuro.

58.

La formulazione espressa dell’articolo 21, paragrafo 2, prevede che, fatti salvi i loro obblighi internazionali, gli Stati membri abbiano il potere discrezionale di respingere o meno un rifugiato quando: a) vi siano ragionevoli motivi per considerare che detta persona rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova; o b) essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, detta persona costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro (in prosieguo: la «deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2»). Tale formulazione corrisponde all’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra. L’articolo 21 della direttiva non contiene alcuna indicazione espressa riguardante l’espulsione di rifugiati quando il respingimento non sia in discussione.

59.

Inoltre, per quanto riguarda gli obblighi internazionali degli Stati membri, l’articolo 32, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra prevede che gli Stati contraenti mantengano il diritto di espellere i rifugiati per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ( 94 ). Tale formulazione non si riflette nell’articolo 21 della direttiva (e differisce dal testo dell’articolo 24, paragrafo 1) ( 95 ).

60.

La CEDU non prevede il diritto allo status di rifugiato ( 96 ). La Corte europea dei diritti umani ha costantemente riconosciuto il diritto degli Stati contraenti di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione degli stranieri ( 97 ). Essa ha dichiarato, tuttavia, che gli ordini di espulsione possono dar luogo ai problemi di cui all’articolo 3 della CEDU e quindi far sorgere la responsabilità dello Stato interessato quando vi sono fondati motivi per ritenere che il rifugiato, se espulso, incorra nel rischio concreto di essere sottoposto a trattamenti contrari a tale disposizione. In tali circostanze l’articolo 3 della CEDU implica l’obbligo di non espellere il rifugiato rinviandolo in tale paese ( 98 ).

61.

A mio parere, l’espulsione di un rifugiato dal territorio dello Stato membro interessato è un concetto più ampio del respingimento, che comporta non solo l’allontanamento da tale Stato, ma anche il ritorno verso un paese in cui la persona in questione potrebbe essere a rischio. Osservo inoltre che, quando la situazione di un rifugiato soddisfa i presupposti di cui all’articolo 21, paragrafo 2, gli Stati membri non sono obbligati a respingerlo. Al contrario, essi possono scegliere fra le tre seguenti opzioni: (i) respingimento, (ii) espulsione verso un paese terzo sicuro o (iii) autorizzazione a favore del rifugiato a rimanere nel loro territorio.

62.

Nei casi in cui trovi applicazione la deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2, gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare il rinnovo o il rilascio di un permesso di soggiorno di un (o a un) rifugiato ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3. Una volta che il rifugiato sia soggetto a respingimento non è necessario che gli venga rilasciato un permesso di soggiorno (o, a seconda dei casi, che continui ad esserne in possesso o che ne ottenga il rinnovo). Ne consegue che, se la deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2, non può essere fatta valere, l’articolo 21, paragrafo 3, non può essere applicato. Pertanto, quando uno Stato membro avvia un procedimento nei confronti di un rifugiato, in circostanze analoghe a quelle in cui si trova il sig. H.T., ma non mira al suo respingimento, in quanto i presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2, non sono soddisfatti, il permesso di soggiorno di detta persona non può essere revocato ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3 ( 99 ). Se sia conforme alla direttiva qualifiche il fatto che gli Stati membri, in tali circostanze, revochino comunque il permesso di soggiorno di un rifugiato rappresenta la questione centrale della causa in esame.

L’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche

63.

La norma generale di cui all’articolo 24, paragrafo 1, prevede che gli Stati membri debbano rilasciare, nel più breve tempo possibile, un permesso di soggiorno (rinnovabile), che sia valido per almeno tre anni, alla persona cui sia stato riconosciuto lo status di rifugiato, purché non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico (in prosieguo: la «deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1»). Il rilascio di un permesso di soggiorno è espressamente collegato al riconoscimento iniziale dello status di rifugiato o al rinnovo di un permesso di soggiorno.

64.

La finalità dell’articolo 24, paragrafo 1, è (quantomeno) duplice. In primo luogo, esso garantisce, di norma, che la persona interessata abbia i documenti amministrativi necessari per ottenere, ad esempio, l’accesso all’occupazione e all’assistenza sociale, nonché per avviare il processo di integrazione nello Stato membro in cui vive. In secondo luogo, esso riconosce agli Stati membri un margine di discrezionalità, in quanto prevede una deroga limitata alla norma generale secondo la quale essi sono tenuti a rilasciare o rinnovare un permesso di soggiorno.

65.

L’articolo 24, paragrafo 1, si applica «fatto salvo l’articolo 21, paragrafo 3». L’evidente implicazione consiste nel fatto che esiste un nesso tra le due disposizioni e che sull’applicazione dell’articolo 24, paragrafo 1, non incidono i diritti (separati) degli Stati membri di revocare, di cessare o di rifiutare il rinnovo o il rilascio di un permesso di soggiorno di un (o a un) rifugiato ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3.

66.

In mancanza di una formulazione espressa, gli Stati membri possono anche revocare un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, dopo il suo rilascio ma prima della data del rinnovo?

67.

Mi sembra che la tesi preferibile sia che gli Stati membri sono legittimati ad agire in tal senso.

68.

In primo luogo, il testo dell’articolo 24, paragrafo 1, non esclude espressamente la possibilità (aggiuntiva) della revoca. In secondo luogo, la revoca è conforme alla finalità di tale disposizione, che consente espressamente agli Stati membri di negare un permesso di soggiorno o al momento del rilascio o all’atto del rinnovo quando sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. In terzo luogo, ciò è coerente con l’impianto sistematico della direttiva, in quanto l’articolo 21, paragrafo 3, già prevede espressamente la revoca di un permesso di soggiorno quando i presupposti di cui all’articolo 21, paragrafo 2, sono soddisfatti. In quarto luogo, l’iter legislativo dimostra che la deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, è stata inserita dagli Stati membri riuniti in Consiglio in seguito a una proposta presentata dalla Germania ( 100 ). Tali modifiche sono state introdotte dopo gli attacchi terroristici, avvenuti negli Stati Uniti d’America, l’11 settembre 2001, per combattere il terrorismo limitando la circolazione di cittadini di paesi terzi all’interno dello spazio Schengen, al fine di contenere le minacce alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico ( 101 ). Un potere implicito che consenta anche la revoca di un permesso di soggiorno in dette circostanze è del tutto conforme a tale obiettivo. Infine, siffatta interpretazione ha il vantaggio di evitare possibili anomalie: (i) in caso contrario, diviene decisivo il momento in cui sono disponibili le informazioni sull’eventuale sussistenza di imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico; (ii) essa agevola una lettura combinata della direttiva qualifiche e della direttiva soggiornanti di lungo periodo, in quanto quest’ultima consente la revoca dello status di soggiornante di lungo periodo in seguito all’adozione di un provvedimento di allontanamento ( 102 ).

69.

Concludo pertanto che, quando espelle un rifugiato, in quanto sono soddisfatti i presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, lo Stato membro può anche revocare il suo permesso di soggiorno. Tale posizione è coerente con l’impianto sistematico della direttiva. Quando un rifugiato è obbligato a lasciare il territorio in seguito a un ordine di espulsione, non è necessario che sia in possesso di un permesso di soggiorno.

70.

È vero che il caso del sig. H.T. non rientra in tale fattispecie. Egli è stato espulso con una decisione secondo diritto ma, di fatto, è autorizzato a rimanere in Germania. Ritengo tuttavia che l’articolo 24, paragrafo 1, consenta alle autorità dello Stato membro di tener conto dell’espulsione prevista dalla legge e di revocare il suo permesso di soggiorno. Esaminerò le conseguenze di tale posizione nel prosieguo ( 103 ).

71.

Accenno qui, incidentalmente, al fatto che la direttiva qualifiche è stata rifusa nella direttiva 2011/95 ( 104 ). Lo scopo della rifusione è, di norma, quello di chiarire e di semplificare l’atto legislativo da sottoporre a revisione, sebbene, in questo caso, la direttiva successiva abbia anche introdotto talune modifiche sostanziali. Purtroppo il legislatore non ha colto l’occasione per chiarire l’ambito di applicazione dell’articolo 24, paragrafo 1 (il testo rifuso è quasi identico all’originale). È particolarmente importante che le disposizioni legislative riguardanti i diritti fondamentali degli individui debbano essere chiare e accessibili al fine di consentire agli individui di conoscere i loro diritti e ai governi degli Stati membri di adempiere le loro funzioni.

72.

Per sintetizzare quanto detto finora: ritengo che il permesso di soggiorno, una volta rilasciato al rifugiato, possa essere revocato o quando sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, o (ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3) quando vi siano motivi per applicare la deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2.

Che cosa si intende per deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche?

73.

La seconda questione posta dal giudice del rinvio è suddivisa in due parti. Tratterò in questa sede la prima parte sollevata, che consta di due sottoparti. Che cosa si intende con l’espressione «(…) imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico (…)» contenuta nell’articolo 24, paragrafo 1? Sussiste inoltre una sovrapposizione tra tale disposizione e l’articolo 21, paragrafo 2?

Gli imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico

74.

Il sig. H.T. sostiene che i motivi per negare il rilascio (o il rinnovo) di un permesso di soggiorno di cui all’articolo 24, paragrafo 1, sono più rigidi di quelli di cui all’articolo 21, paragrafi 2 e 3. Egli indica l’utilità di fare riferimento, per analogia, all’articolo 28 della direttiva sulla cittadinanza in cui l’espressione «(…) motivi imperativi di pubblica sicurezza (…)» viene impiegata per descrivere il fondamento sul quale uno Stato membro può emettere una decisione di espulsione nei confronti di un cittadino dell’Unione che soggiorna nel suo territorio. Se il legislatore avesse voluto che tale espressione e i termini «imperiosi motivi» di cui all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche fossero interpretati in modo diverso, ciò sarebbe stato reso esplicito nel testo della normativa.

75.

È pacifico, tra gli Stati membri che hanno presentato osservazioni, che sussiste una certa sovrapposizione tra l’articolo 21, paragrafi 2 e 3, e l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche. La Germania ritiene che i motivi per applicare la deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2, siano più rigidi di quelli della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, in quanto le conseguenze del respingimento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, sono più gravi, per il rifugiato, delle conseguenze della mera revoca del suo permesso di soggiorno (nel secondo caso, il rifugiato non deve lasciare necessariamente il territorio). La Germania considera quindi le due disposizioni complementari. La Grecia sostiene che il requisito della dimostrazione degli «imperiosi motivi» dovrebbe essere interpretato in modo da garantire che la sua applicazione sia limitata a casi eccezionali, analogamente alla posizione adottata nella giurisprudenza relativa alla direttiva sulla cittadinanza. L’Italia sostiene che l’espressione «imperiosi motivi», contenuta nell’articolo 24, paragrafo 1, dovrebbe essere interpretata in senso meno restrittivo dei termini «ragionevoli motivi», contenuti nell’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva qualifiche.

76.

La Commissione rileva che il testo tedesco dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra utilizza i termini «schwerwiegende Gründe» (gravi motivi), diversamente dalle versioni inglese e francese che utilizzano, rispettivamente, le espressioni «reasonable grounds» e «des raisons sérieuses». Il testo tedesco dell’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva qualifiche differisce a sua volta sia dalle versioni inglese e francese sia dalla Convenzione di Ginevra, in quanto fa riferimento a «stichhaltige Gründe» (validi motivi), mentre i testi inglese e francese riflettono le rispettive versioni linguistiche della Convenzione di Ginevra. Secondo la Commissione, un’interpretazione letterale del testo tedesco fisserebbe un criterio meno rigido per i motivi della deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva qualifiche rispetto al criterio previsto nei testi inglese e francese. La Commissione ritiene che siffatta posizione non corrisponda all’intento del legislatore e che, pertanto, debba essere applicato il criterio fissato nelle versioni inglese e francese.

77.

Mi sembra che, sebbene gli articoli 21 e 24 diano origine a regimi diversi, sussista, in effetti, una sovrapposizione, in quanto entrambe le disposizioni riguardano il diniego di rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno di un rifugiato o la revoca di detto permesso; ciò ha implicazioni per il suo status nello Stato membro in cui chiede protezione.

78.

Mentre la Commissione sostiene a ragione che vi sono differenze tra le versioni linguistiche inglese, francese e tedesca dei testi sia dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra che dell’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva qualifiche, ritengo impossibile trarre indicazioni da tale circostanza riguardo alla questione se l’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva contempli la revoca di un permesso di soggiorno in circostanze analoghe a quelle in cui si trova il sig. H.T.

79.

Aggiungo, per il buon ordine delle cose, che, secondo una giurisprudenza consolidata, quando sussiste una differenza tra le versioni linguistiche di un testo, la disposizione in questione deve essere interpretata e applicata alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue dell’Unione ( 105 ) e deve essere intesa in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui fa parte ( 106 ). L’articolo 21 della direttiva qualifiche si fonda sull’articolo 33 della Convenzione di Ginevra. I testi inglese e francese sono i testi autentici della Convenzione. Le espressioni «reasonable grounds» e «des raisons sérieuses», impiegate in questi due testi della Convenzione di Ginevra, sono altresì utilizzate nelle due versioni linguistiche della direttiva qualifiche. Ritengo quindi che esse riproducano più fedelmente l’intento del legislatore.

80.

Nella direttiva qualifiche, sia l’articolo 21 che l’articolo 24 rientrano nel capo VII («Contenuto della protezione internazionale») e dalla lettura dell’articolo 20, paragrafo 2, risulta che: «[l]e disposizioni del presente capo si applicano sia ai rifugiati sia alle persone ammissibili a beneficiare della protezione sussidiaria, ove non diversamente indicato». Nell’ordine, tale capo è successivo ai capi «Disposizioni generali», «Valutazione delle domande di protezione internazionale», «Requisiti per essere considerato rifugiato», «Status di rifugiato» e «Protezione sussidiaria». Il capo VII riguarda quindi la definizione dei benefici ai quali possono aspirare i richiedenti lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, dopo l’accoglimento della loro domanda.

81.

L’elemento da cui intendo partire è il principio (contenuto nell’articolo 21, paragrafo 1) secondo il quale i rifugiati sono protetti, di regola, dal respingimento. Le due parti dell’articolo 21, paragrafo 2, costituiscono, congiuntamente, la deroga a tale principio. Queste due parti consentono il respingimento di «un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno», quando «vi siano ragionevoli motivi per considerare che detta persona rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova» [articolo 21, paragrafo 2, lettera a)] o «che, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, detta persona costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro» [articolo 21, paragrafo 2, lettera b)]. Le conseguenze, per la persona interessata, dell’applicazione della deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2, sono potenzialmente molto drastiche. È possibile che detta persona sia rinviata in uno Stato in cui può essere a rischio. (Secondo la mia interpretazione, ciò spiega anche il motivo per cui l’articolo 21, paragrafo 2, prevede una mera possibilità: «gli Stati membri possono respingere», lasciando aperte altre soluzioni) ( 107 ). Proprio per tale motivo, la formulazione delle due parti della deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2, è più specifica rispetto alla formulazione alquanto astratta dell’articolo 24, paragrafo 1 («purché non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico»). Questo è logico. Le conseguenze potenziali, per un rifugiato, di ritrovarsi (dopo l’applicazione dell’articolo 24, paragrafo 1) senza un permesso di soggiorno sono certamente non auspicabili; tuttavia, sono assai meno gravi delle conseguenze della perdita di protezione dal respingimento (dopo l’applicazione dell’articolo 21, paragrafo 2). Pertanto, la circostanza che si possa anche perdere il permesso di soggiorno (articolo 21, paragrafo 3) è semplicemente un ulteriore inconveniente.

82.

Si fa maggiore chiarezza (e non si creano invece più confusione e più dubbi) esaminando altre disposizioni della direttiva qualifiche, ad esempio, includendo in tale schema l’articolo 14 («Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status»), rientrante nel capo IV («Status di rifugiato»)?

83.

L’articolo 14, paragrafo 4, fissa i due possibili presupposti in base ai quali «[g]li Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario». Tali presupposti, che risultano senza la congiunzione «o» (omessa, presumibilmente, per disattenzione), rispecchiano esattamente le due parti della deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2. E fin qui tutto bene; ma tale parallelismo non è utile per decidere come interpretare l’articolo 24, paragrafo 1, che riguarda i permessi di soggiorno di persone che mantengono il loro status di rifugiato (e non quelle che ne siano state private). (Non posso astenermi dal rammentare – con una certa amarezza – che il punto 6 dell’accordo interistituzionale del 22 dicembre 1998 sugli orientamenti comuni relativi alla qualità redazionale della legislazione comunitaria ( 108 ) stabilisce che la coerenza della terminologia è assicurata sia all’interno di un atto che tra questo e gli atti vigenti, segnatamente quelli che disciplinano la stessa materia).

84.

In tale contesto, non ritengo particolarmente proficuo concentrarsi sulle espressioni «fondati motivi per» e «ragionevoli motivi per» (articoli 14, paragrafo 4, e 21, paragrafo 2) contrapposte all’espressione «imperiosi motivi di» (articolo 24, paragrafo 1). Ciascuna espressione dovrebbe essere letta nel contesto della disposizione cui appartiene. È necessario esaminare la formulazione di ciascuna deroga nella sua interezza e, in quanto deroga a diritti garantiti dal diritto dell’Unione, ciascuna dovrebbe essere quindi interpretata in senso restrittivo.

85.

Nell’intento di procedere nel modo migliore all’analisi del testo, mi sembra che l’articolo 24, paragrafo 1, abbia una portata più ampia rispetto all’articolo 21, paragrafo 2, e che alcune circostanze possano determinare l’applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1 (lasciando che il rifugiato mantenga il suo status pur privo di permesso di soggiorno) senza invece che siano soddisfatti i presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2, e che sia aperta la strada alla perdita, da parte del rifugiato, della protezione dal respingimento.

86.

Secondo la mia interpretazione del testo, l’espressione «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» deve sempre includere un elemento oggettivo. Deve sussistere una prova plausibile che dimostri che il motivo invocato può essere correttamente considerato «imperioso». Al contempo, l’uso del termine «imperioso» indica un certo grado di soggettività, in quanto tali motivi sono ritenuti imperiosi dallo Stato membro interessato nel momento in cui agisce. Ne deriva che gli stessi motivi non saranno necessariamente «imperiosi» in tutti i casi ( 109 ).

87.

Infine, non ritengo necessario né utile tentare una sorta di interpretazione in via analogica con la direttiva sulla cittadinanza o con la direttiva soggiornanti di lungo periodo.

88.

Per quanto riguarda la prima, è vero che la direttiva qualifiche e la direttiva sulla cittadinanza sono state adottate lo stesso giorno. È altresì vero che, sebbene il metodo d’interpretazione legittimamente impiegato dalla Corte, all’occorrenza, ceda il posto a un’interpretazione specifica in funzione dello scopo inerente a ciascuna direttiva per garantirne l’effetto utile, i diritti e i principi fondamentali non dovrebbero essere applicati in maniera diversa a seconda dell’ambito in cui essi si collocano, salvo perdere, in tal caso, il loro carattere fondamentale ( 110 ). Ciò detto, sussistono rilevanti differenze tra le due direttive. La direttiva qualifiche è stata adottata ai sensi dell’articolo 63 CE (ora articoli 78 TFUE e 79 TFUE); la stessa fa parte del CEAS, che rientra nell’ambito del titolo V del TFUE (lo «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia»); e (forse circostanza ancor più importante) essa va interpretata mediante rinvio alla Convenzione di Ginevra. La direttiva sulla cittadinanza è stata adottata in base all’attuale parte seconda del TFUE, relativa alla non discriminazione e cittadinanza dell’Unione. I due atti sono quindi assai diversi nell’ambito di applicazione e nell’oggetto.

89.

Per quanto riguarda la seconda, vale a dire la direttiva 2003/109, sebbene non rientri nel CEAS, la sua origine è identica a quella della direttiva qualifiche, in quanto anch’essa può rinvenire le sue origini nella riunione di Tampere, del Consiglio europeo, del 15 e 16 ottobre 1999. Tuttavia, gli articoli 9 e 12 della direttiva 2003/109 (intitolati, rispettivamente, «Revoca o perdita dello status» e «Tutela contro l’allontanamento») sono formulati in termini ancora una volta diversi da quelli impiegati nella direttiva qualifiche. Esaminare la direttiva soggiornanti di lungo periodo non aiuta a stabilire un approccio coerente e sistematico alla sua redazione. Essa non è quindi di aiuto nell’opera di interpretazione ( 111 ).

Il sostegno fornito a un’organizzazione terroristica determina l’applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1?

90.

Con la seconda parte della seconda questione, il giudice del rinvio chiede chiarimenti riguardo alla questione se (e, in caso di risposta affermativa, riguardo alle circostanze in cui) il sostegno fornito a un’organizzazione terroristica rientri negli «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» ai fini dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche.

91.

Gli Stati membri e la Commissione sono concordi, nelle loro osservazioni, sul fatto che il sostegno fornito a un’organizzazione terroristica potrebbe soddisfare i presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, e giustificare pertanto la revoca del permesso di soggiorno di un rifugiato (oppure il diniego di rilascio o di rinnovo). Il sig. H.T. è di parere contrario, in quanto sostiene che, anche se si ritiene che egli abbia violato il diritto nazionale (in particolare l’articolo 20 della Vereinsgesetz), i presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, non sono soddisfatti.

92.

L’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 definisce ciò che si configura come atto terroristico ( 112 ). Il PKK è incluso nell’elenco allegato a tale atto e al regolamento n. 2580/2001. Il considerando 28 della direttiva qualifiche stabilisce che: «[n]ella nozione di sicurezza nazionale e di ordine pubblico rientrano pure i casi in cui un cittadino di un paese terzo faccia parte di un’organizzazione che sostiene il terrorismo internazionale o sostenga una siffatta organizzazione» ( 113 ).

93.

Il sostegno fornito a un’organizzazione inserita in un elenco, che commette atti rientranti nell’ambito di applicazione della posizione comune 2001/931 e/o del regolamento n. 2580/2001, potrebbe quindi soddisfare i presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, ma ciò non avviene necessariamente in tutti i casi. Tutto dipende dall’esatto significato del termine «sostegno».

94.

Nel valutare i fatti inerenti a ogni singolo caso in questione (esercizio rientrante nella sfera di competenza delle autorità nazionali), occorre iniziare chiedendosi se gli atti dell’organizzazione di cui trattasi diano origine a imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai fini dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche. In primo luogo, è necessario considerare che gli atti di natura terroristica, che sono caratterizzati, ad esempio, dalla violenza nei confronti delle popolazioni civili, anche se sono commessi con un dichiarato obiettivo politico, devono essere considerati reati gravi di diritto comune e si potrebbe quindi ritenere che diano luogo a imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ( 114 ). In secondo luogo, gli atti di terrorismo internazionale sono, in linea generale e indipendentemente dalla partecipazione di uno Stato, atti contrari alle finalità ed ai principi delle Nazioni Unite ( 115 ).

95.

La Corte non dispone di informazioni che indichino se gli atti commessi dal PKK rientrino in una delle due categorie che ho appena evidenziato. L’inserimento di un’organizzazione in un elenco allegato alla posizione comune 2001/931 costituisce, prima facie, una chiara indicazione del fatto che si tratta di un’organizzazione terroristica o si sospetta che si tratti (in base a prove che possono essere oggetto, di per sé, di legittima impugnazione) di un’organizzazione di tal genere ( 116 ). Siffatto inserimento costituisce quindi un elemento che le autorità nazionali competenti sono legittimate a prendere in considerazione nel verificare, in un primo tempo, se tale organizzazione abbia commesso atti terroristici ( 117 ).

96.

Ciò detto, è necessario rammentare che gli obiettivi perseguiti, rispettivamente, dalla posizione comune 2001/931 e dalla direttiva qualifiche, sono molto diversi. Pertanto, non è giustificato, a mio parere, che l’autorità competente, qualora intenda escludere una persona dai benefici derivanti dallo status di rifugiato, garantiti nel capo VII della direttiva qualifiche, si fondi unicamente sul fatto che detta persona ha manifestato una sorta di sostegno a favore di un’organizzazione che è presente in un elenco adottato al di fuori dell’ambito istituito dalla direttiva qualifiche e dalla Convenzione di Ginevra ( 118 ).

97.

Qual è il ruolo della persona interessata nel «sostenere» tale organizzazione inserita in un elenco? Qual è la condizione sufficiente per determinare l’applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche?

98.

Mi sembra, in primo luogo, che quando il sostegno di una persona ha comportato attività che potrebbero determinare, plausibilmente, l’applicazione di una delle due parti della deroga di cui all’articolo 21, paragrafo 2, i presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, sono necessariamente soddisfatti. Non è così semplice stabilire una regola chiara per classificare altre attività. Dato che la deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, è basata su «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico», non è chiaramente necessario che le autorità competenti dimostrino (ad esempio) che vi sono ragionevoli motivi per considerare che la persona in questione rappresenta un pericolo per la sicurezza dello Stato membro interessato. Ciò che è necessario, a mio parere, è una valutazione equa e ponderata della misura in cui le attività della persona interessata forniscono un sostegno significativo all’organizzazione in questione. Pertanto, le autorità competenti dello Stato membro dovrebbero accertare, ad esempio, se la persona in questione: (i) abbia commesso, essa stessa, atti terroristici; (ii) sia stata coinvolta nella pianificazione, decisione o istigazione di altri a commettere atti di tal genere; o (iii) abbia finanziato o procurato i mezzi per consentire ad altri di commettere atti terroristici. (Occorre chiarire che, sebbene ogni offerta a un’organizzazione inserita in un elenco, per quanto esigua, costituisca tecnicamente «un finanziamento» a tale organizzazione – tante gocce formano un oceano – ritengo, personalmente, che rappresenti un uso sproporzionato della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, il fatto di privare un rifugiato del suo permesso di soggiorno sulla base di piccole donazioni occasionali. Spetta alle autorità competenti dello Stato membro, sotto il controllo giurisdizionale dei giudici nazionali, valutare esattamente i fatti specifici di ogni singolo caso).

99.

E se tali elementi non sussistono? È necessario, quindi, accertare se vi siano altri imperiosi motivi per ritenere esistente una minaccia alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico. In tale contesto, considero «imperiosi motivi» più o meno sinonimo di «gravi motivi» (certamente meno di «pressanti motivi», ma altrettanto indubbiamente più di «possibili motivi»). I fatti devono essere esaminati e valutati attentamente, in quanto una decisione sfavorevole potrebbe comportare l’espulsione della persona in questione e, probabilmente, interferire con i suoi diritti fondamentali.

100.

Osservo, per inciso, che un rifugiato ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva qualifiche potrebbe aver «soggiornato legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel [territorio dello Stato membro]» (articolo 4, paragrafo 1, della direttiva soggiornanti di lungo periodo) e potrebbe quindi richiedere lo status di soggiornante di lungo periodo ai sensi di tale direttiva ( 119 ). L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva soggiornanti di lungo periodo consente a uno Stato membro di «negare lo status di soggiornante di lungo periodo per ragioni di ordine pubblico o pubblica sicurezza», chiarendo che, «[n]ell’adottare la pertinente decisione gli Stati membri tengono conto della gravità o del tipo di reato contro l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica o del pericolo rappresentato dalla persona in questione, prendendo altresì nella dovuta considerazione la durata del soggiorno e l’esistenza di legami con il paese di soggiorno». Una volta ottenuto tale status, l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva soggiornanti di lungo periodo prevede una deroga alla tutela contro l’allontanamento di cui beneficia, altrimenti, un soggiornante di lungo periodo quando tale persona «costituisce una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza».

101.

Pur potendo risultare un’affermazione ovvia, si rileva che nessuno di questi due criteri (stabiliti nella direttiva soggiornanti di lungo periodo) corrisponde, ancorché in modo approssimativo, alla formulazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche.

102.

Tornando all’articolo 24, paragrafo 1, concludo che, ai fini della valutazione dei fatti in ogni caso di specie, rilevano i seguenti elementi: (i) le specifiche azioni compiute direttamente dal rifugiato; (ii) le azioni dell’organizzazione che si ritiene che egli abbia sostenuto; e (iii) se sussistano ulteriori elementi o circostanze che creano una maggiore probabilità di minacce alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico. Spetta alle autorità competenti dello Stato membro, sotto il controllo giurisdizionale dei giudici nazionali, valutare i fatti precisi di ogni singola fattispecie.

103.

Il materiale a disposizione della Corte indica che tra le manifestazioni di sostegno al PKK, da parte del sig. H.T., rientrano la partecipazione a regolari riunioni e ad atti (come festeggiare il Newroz), che confermano la sua identità culturale di curdo ( 120 ). Da tali attività non deriva automaticamente che egli sostiene direttamente attività terroristiche; e atti di tale natura non costituiscono automaticamente atti terroristici. Occorre di più, a mio parere, perché si possa legittimamente concludere che una persona, in tale situazione, fosse un terrorista e/o fosse attivamente affiliato a un’organizzazione vietata e che i presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, fossero, di conseguenza, soddisfatti. Tuttavia, sono tutte questioni che spetta al giudice del rinvio verificare e valutare.

Quali sono le conseguenze in caso di applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1?

104.

Quando si applica la deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, ed è lo Stato membro di accoglienza che la fa valere, sussistono per il rifugiato conseguenze sia formali che sostanziali. La conseguenza formale è, naturalmente, che il rifugiato non è più in possesso di un permesso di soggiorno in cui sia indicato che egli ha un titolo o un’autorizzazione, rilasciati da tale Stato membro, che gli permetta di soggiornare nel suo territorio ( 121 ) (sebbene possa essergli consentito – come accade, nella fattispecie, al sig. H.T. – di rimanere legittimamente nel territorio per altri motivi). Il rifugiato mantiene, tuttavia, il suo status di rifugiato ( 122 ), salvo e fintanto che quest’ultimo non venga fatto cessare ( 123 ). Nella fattispecie, è evidente che il sig. H.T. continua ad essere un rifugiato. In quanto tale, egli rimane legittimato a godere dei benefici sostanziali concessi a tutti i rifugiati ai sensi del capo VII della direttiva qualifiche. Fra questi vanno citati i seguenti benefici: protezione dal respingimento ( 124 ); mantenimento dell’unità del nucleo familiare ( 125 ); diritto a un documento di viaggio ( 126 ); accesso all’occupazione, all’istruzione, all’assistenza sociale, all’assistenza sanitaria e all’alloggio ( 127 ); libera circolazione nel territorio dello Stato membro in questione ( 128 ) e accesso agli strumenti di integrazione ( 129 ).

105.

Il giudice del rinvio chiarisce che la revoca di un permesso di soggiorno incide sui diritti del rifugiato ai sensi della normativa nazionale, in quanto ha un impatto sul suo accesso all’occupazione, alla formazione professionale e ad altri diritti sociali per i quali è necessario un permesso di soggiorno ( 130 ). Sussistono quindi evidenti implicazioni quanto al godimento, da parte del sig. H.T., dei suoi diritti sostanziali ai sensi del capo VII della direttiva qualifiche.

106.

Ritengo che, mentre è possibile revocare il permesso di soggiorno di un rifugiato in caso di applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, non è altresì ammissibile la revoca o la riduzione del livello minimo di garanzie previsto dal capo VII della direttiva qualifiche, salvo che non siano anche soddisfatte specifiche condizioni espresse per la revoca di tali benefici ( 131 ). Il giudice del rinvio non ha indicato che, nella fattispecie, si siano verificate tali circostanze. Ne deriva che lo Stato membro interessato non ha alcun potere discrezionale per quanto riguarda la decisione se continuare o meno a concedere tali benefici sostanziali.

107.

È vero che il considerando 30 della direttiva qualifiche stabilisce che: «[e]ntro i limiti derivanti dagli obblighi internazionali, gli Stati membri possono stabilire che la concessione di prestazioni in materia di accesso all’occupazione, assistenza sociale, assistenza sanitaria e accesso agli strumenti d’integrazione sia subordinata al rilascio di un permesso di soggiorno». Tuttavia, questo semplice considerando non fornisce una base giuridica agli Stati membri per ridurre i benefici garantiti al capo VII della direttiva, nel caso in cui il permesso di soggiorno di un rifugiato sia revocato. Sostenere il contrario sarebbe in contrasto con lo scopo di un considerando contenuto in un atto giuridico ( 132 ). Il considerando è la motivazione di una norma o di norme sostanziali. Non può stabilire, di per sé, il diritto sostanziale: in mancanza (come nella fattispecie) di disposizioni sostanziali corrispondenti, non può produrre effetti.

108.

Spetta al giudice del rinvio riesaminare e verificare le circostanze del caso di specie, valutare se le conseguenze, per il sig. H.T., della perdita del suo permesso di soggiorno siano compatibili con i diritti di rifugiato ai sensi della direttiva qualifiche, che continuano a essergli riconosciuti, e agire come necessario per garantire tali diritti. Presento le seguenti osservazioni solo nell’eventualità che possano essere di un qualche ausilio.

109.

Mi sembra che le limitazioni alla libera circolazione del sig. H.T. in Germania, come conseguenza della sua condanna per violazione dell’articolo 20 della Vereinsgesetz ( 133 ) non siano necessariamente in contrasto con la direttiva qualifiche, interpretata alla luce della Convenzione di Ginevra: quest’ultimo strumento conferma che i rifugiati hanno l’obbligo di conformarsi alle leggi e ai regolamenti dello Stato nel quale essi chiedono protezione ( 134 ). Una conseguenza diretta della revoca del permesso di soggiorno del sig. H.T. consiste nel fatto che egli non gode più dei diritti di libera circolazione nello spazio Schengen ( 135 ). È possibile che tra le circostanze che determinano l’applicazione della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, debba intendersi ricompresa anche la circostanza che egli non è più in possesso di un documento di viaggio in quanto rientra nella deroga prevista all’articolo 25, paragrafo 1 (il giudice del rinvio non ha preso posizione su tale punto). Tuttavia, non esiste alcuna deroga espressa ai diritti di accesso all’occupazione, all’istruzione, all’assistenza sociale, all’assistenza sanitaria e all’alloggio garantiti nel capo VII ( 136 ).

110.

Se – come sembra essersi verificato nel presente caso – il sig. H.T. conserva il diritto di accedere a tali benefici sostanziali, in quanto conserva lo status di rifugiato, ne consegue necessariamente che lo Stato membro è tenuto a prevedere quanto necessario per consentire a una persona in tale posizione di godere di tali benefici. Spetta allo Stato membro stabilire come procedere a tal fine.

111.

Mi sembra che, nei singoli casi, lo Stato membro possa (ad esempio) adottare una delle seguenti soluzioni. Potrebbe decidere, pur applicandosi la deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 1, di non revocare il permesso di soggiorno del rifugiato (gli Stati membri hanno sempre facoltà, ai sensi della direttiva qualifiche, di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli) ( 137 ).

112.

In alternativa, lo Stato membro può scegliere – come avvenuto nella fattispecie – di revocare il permesso di soggiorno ma, per altri motivi, di autorizzare il rifugiato a rimanere legittimamente nel suo territorio. Sebbene non disponga di informazioni dettagliate riguardo alla questione se (un certo numero di) altri Stati membri abbia istituti analoghi allo «status di tollerato», rappresentato in Germania dal «Duldungen», sembra ragionevole supporre che sussista tale possibilità ( 138 ). Qualora lo Stato membro scelga tale soluzione, dovrà prevedere un meccanismo adeguato per garantire che sia mantenuto l’accesso ai benefici di cui al capo VII della direttiva qualifiche, ai quali il rifugiato ha ancora diritto. Ciò che esso non può fare, a mio parere, è collocare il rifugiato in una sorta di limbo giuridico che tollera la sua presenza nel territorio, ma lo priva di (almeno alcuni dei) benefici sostanziali che derivano dal suo status di rifugiato. Ciò sarebbe contrario al tenore, agli obiettivi e all’impianto sistematico della direttiva qualifiche. La proporzionalità di siffatta azione mi sembra anch’essa discutibile; e qualsiasi provvedimento adottato da uno Stato membro nel dare applicazione all’articolo 24, paragrafo 1, deve essere proporzionato.

113.

Il principio di proporzionalità (uno dei principi generali del diritto dell’Unione) rileva ai fini dell’interpretazione del diritto dell’Unione ( 139 ). Quando viene applicato nell’ambito del diritto dell’Unione, tale principio richiede che i provvedimenti adottati dagli Stati membri debbano essere adeguati allo scopo di raggiungere l’obiettivo perseguito ( 140 ). Nella fattispecie, la revoca del permesso di soggiorno di un rifugiato rientra indubbiamente nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (e in particolare della direttiva qualifiche) al pari delle conseguenze di siffatta revoca, nei limiti in cui esse possono mettere a repentaglio l’accesso ai benefici sostanziali garantiti da tale direttiva a persone in possesso dello status di rifugiato. Sebbene lo scopo perseguito nella fattispecie sia legittimo (è confermato, infatti, espressamente dall’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche), la conseguente perdita dei benefici garantiti da detta direttiva, mentre il rifugiato rimane, cionondimeno, nel territorio dello Stato membro, non è adeguata o necessaria al conseguimento di tale obiettivo.

114.

Se il risultato dell’applicazione di norme nazionali è quello di negare alla persona, che non è più in possesso di un permesso di soggiorno ma che mantiene ancora lo status di rifugiato, i benefici sostanziali ai quali tale status dà diritto, dette norme nazionali sono incompatibili con la direttiva. Da una giurisprudenza consolidata deriva che, quando il diritto nazionale è incompatibile con una direttiva, il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme del diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale ( 141 ).

Conclusione

115.

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, ritengo che la Corte di giustizia debba rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale nel seguente modo:

Il permesso di soggiorno, una volta rilasciato a un rifugiato, può essere revocato qualora sussistano imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, o qualora vi siano motivi per applicare la deroga al principio di «non refoulement» di cui all’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva.

I termini «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico», contenuti nell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, significano che sussistono fondati motivi per ritenere che la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico siano minacciati. Tale espressione ha una portata più ampia del presupposto di cui all’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva, ossia ragionevoli motivi per considerare che il rifugiato interessato rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in questione [ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, lettera a)] o che lo stesso, essendo stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato [ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, lettera b)].

Prima che un permesso di soggiorno rilasciato a un rifugiato possa essere revocato ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 con la motivazione che tale rifugiato offre il suo sostegno a un’organizzazione vietata, deve esistere, innanzi tutto, una valutazione individuale dei fatti specifici. Ai fini di tale valutazione rilevano i seguenti elementi: (i) le azioni specifiche compiute direttamente dal rifugiato; (ii) le azioni dell’organizzazione che si ritiene egli abbia sostenuto; e (iii) se sussistano ulteriori elementi o circostanze che creano una maggiore probabilità di minacce alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico. Spetta alle autorità competenti dello Stato membro, sotto il controllo giurisdizionale dei giudici nazionali, valutare i fatti precisi di ogni singolo caso.

Nei casi in cui uno Stato membro disponga l’allontanamento di un rifugiato, ma sospenda l’esecuzione di tale decisione, è incompatibile con la direttiva 2004/83 negare a detta persona l’accesso ai benefici garantiti dal capo VII della stessa, salvo che si applichi una deroga espressa; inoltre, qualsiasi provvedimento adottato da uno Stato membro nel perseguire gli obiettivi di tale disposizione deve essere proporzionato.

Lo status di rifugiato di una persona può essere revocato soltanto in conformità delle espresse disposizioni della direttiva 2004/83. Pertanto, quando un rifugiato mantiene il suo status ai sensi di tale direttiva, ma l’effetto delle norme nazionali è quello di negargli i benefici cui ha diritto quale rifugiato ai sensi di tale atto, siffatte norme nazionali sono incompatibili con la direttiva 2004/83. Quando il diritto nazionale è incompatibile con una direttiva, il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme del diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale.


( 1 )   Lingua originale: l’inglese.

( 2 )   Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12) (in prosieguo: la «direttiva qualifiche»). Tale direttiva è stata abrogata e sostituita, a seguito di rifusione, dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 337, pag. 9). Quest’ultimo atto è divenuto efficace a decorrere dal 21 dicembre 2013; v. infra, nota a piè di pagina 104. L’essenza degli articoli 21 e 24, paragrafo 1, della direttiva qualifiche è esposta infra ai paragrafi 23 e 24.

( 3 )   La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [United Nations Treaty Series, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata integrata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967. Utilizzerò l’espressione «Convenzione di Ginevra» per indicare congiuntamente la convenzione e il protocollo.

( 4 )   Articolo 17.

( 5 )   Articolo 24.

( 6 )   Articolo 26.

( 7 )   Si può ritenere che tale eventualità discenda tuttavia dalla giustapposizione (ad esempio) delle definizioni contenute negli articoli 1, sezione A, e 1, sezione C (condizioni alle quali la Convenzione cessa di essere applicabile), oppure negli articoli 1, sezione A, e 1, sezione F (esclusione dei criminali di guerra, ecc.), se lo status di rifugiato era stato riconosciuto prima che fossero venuti alla luce gli eventi che giustificano l’esclusione di cui all’articolo 1, sezione F.

( 8 )   Articolo 33, paragrafo 1.

( 9 )   Articolo 33, paragrafo 2.

( 10 )   Firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).

( 11 )   I diritti inderogabili di cui all’articolo 15, paragrafo 2, della CEDU sono il diritto alla vita (articolo 2), le proibizioni della tortura, della schiavitù e del lavoro forzato (rispettivamente articoli 3 e 4) e un diritto individuale a non essere puniti senza un previo regolare processo (articolo 7); v. infra, paragrafo 17.

( 12 )   GU 2010, C 83, pag. 389 (in prosieguo: la «Carta»).

( 13 )   Articolo 19, paragrafo 2.

( 14 )   Acquis di Schengen – Accordo fra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 13).

( 15 )   Del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19).

( 16 )   V. inoltre articolo 5 del regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU L 105, pag. 1), recentemente modificato dal regolamento (UE) n. 1051/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013 (GU L 295, pag. 1).

( 17 )   Posizione comune del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 344, pag. 93). L’allegato alla posizione comune 2001/931 è stato recentemente modificato dalla decisione 2014/72/PESC del Consiglio (GU L 40, pag. 56), e il Partiya Karkerên Kurdistan (partito dei lavoratori curdi; in prosieguo: il «PKK») compare al punto 16 dell’elenco modificato.

( 18 )   Regolamento (CE) n. 2580/2001 del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU L 344, pag. 70). Tale elenco è stato dichiarato illegittimo in procedimenti riguardanti il PKK, soprattutto perché il Consiglio non ha fornito motivazioni sufficienti; v. sentenza PKK/Consiglio (T‑229/02, EU:T:2008:87); v. inoltre sentenza E e F (C‑550/09, EU:C:2010:382, punto 38). Tuttavia, il Consiglio ha emesso successivamente nuovi regolamenti al fine di porre rimedio a tale carenza: v. regolamento (CE) n. 501/2009 del Consiglio, del 15 giugno 2009, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo e abroga la decisione 2009/62/CE (GU L 151, pag. 14), che include il PKK nell’elenco modificato (al punto 17).

( 19 )   V. secondo e terzo considerando.

( 20 )   V. decimo considerando.

( 21 )   V. undicesimo considerando.

( 22 )   V. ottavo considerando.

( 23 )   Tra gli atti originari del CEAS è compresa la direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU L 31, pag. 18; in prosieguo: la «direttiva sulle condizioni di accoglienza»). Tale atto si applica a tutti i cittadini di paesi terzi e agli apolidi che presentano domanda di asilo alla frontiera o nel territorio di uno Stato membro, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio in qualità di richiedenti asilo. V., successivamente, direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326, pag. 13; in prosieguo: la «direttiva procedure»), che si applica a tutte le domande di asilo presentate nel territorio dell’Unione.

( 24 )   Non ho elencato tutti gli atti ricompresi nel CEAS in quanto non rilevanti ai fini della presente fattispecie. Per le stesse ragioni, non elencherò, pertanto, le misure corrispondenti modificate.

( 25 )   V. considerando da 1 a 4, 6, 7, 8, 10, 11 e 17.

( 26 )   Considerando 14; v. infra, paragrafo 15.

( 27 )   Articolo 2, lettera c). Quanto all’ambito di applicazione dell’esclusione di cui all’articolo 12, v. infra, paragrafo 19.

( 28 )   Articolo 2, lettera d).

( 29 )   Articolo 2, lettera j).

( 30 )   Articolo 9, paragrafo 1.

( 31 )   Articolo 9, paragrafo 2.

( 32 )   Articolo 9, paragrafo 3.

( 33 )   Articolo 12, paragrafo 2, lettera a).

( 34 )   Articolo 12, paragrafo 2, lettera b).

( 35 )   Articolo 12, paragrafo 2, lettera c).

( 36 )   Articolo 14, paragrafo 4, lettera a).

( 37 )   Articolo 14, paragrafo 4, lettera b). Gli Stati membri possono decidere di non riconoscere lo status di rifugiato ad un richiedente quando la decisione di cui all’articolo 14, paragrafo 4, non è stata ancora presa (articolo 14, paragrafo 5). V. inoltre capo IV della direttiva procedure, relativo alla revoca dello status di rifugiato.

( 38 )   Articolo 20, paragrafo 1.

( 39 )   Articolo 20, paragrafo 2.

( 40 )   Una disposizione analoga riguardante persone ammissibili a beneficiare della protezione sussidiaria è contenuta nell’articolo 20, paragrafo 7.

( 41 )   Articolo 25, paragrafo 1.

( 42 )   Articolo 26, paragrafo 1.

( 43 )   Articolo 26, paragrafo 2.

( 44 )   Articolo 28, paragrafo 1.

( 45 )   Articolo 29, paragrafo 1.

( 46 )   Articolo 31.

( 47 )   Articolo 32.

( 48 )   Articolo 33.

( 49 )   Del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44) (in prosieguo: la «direttiva soggiornanti di lungo periodo» o la «direttiva 2003/109»). Tale direttiva è stata poi modificata dalla direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2011, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio per estenderne l’ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale (GU L 132, pag. 1) a decorrere dal 20 maggio 2011.

( 50 )   V. considerando 2 e 11 nonché articolo 1.

( 51 )   Articolo 13.

( 52 )   Articolo 2, lettera a) (il testo originale fa riferimento all’«articolo 17, paragrafo 1, del trattato»).

( 53 )   Articolo 2, lettera g).

( 54 )   La direttiva soggiornanti di lungo periodo è stata modificata dalla direttiva 2011/51. V. considerando da 1 a 4 e articolo 3 della direttiva 2011/51.

( 55 )   Articolo 4, paragrafo 1.

( 56 )   Articolo 8, paragrafo 1.

( 57 )   Articolo 8, paragrafo 2.

( 58 )   Articolo 9, paragrafo 1, lettera b).

( 59 )   Articolo 9, paragrafo 3.

( 60 )   Articolo 10.

( 61 )   Articolo 11.

( 62 )   Articolo 12, paragrafo 1.

( 63 )   Del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77) (in prosieguo: la «direttiva sulla cittadinanza»).

( 64 )   Articolo 1.

( 65 )   Esistono varie organizzazioni ad esso succedutesi, ad esempio, l’Eniya Rizgariya Neteweyî ya Kurdistanê («ENRK»), la KADEK e la KONGRA‑GEL. Ai fini delle presenti conclusioni, il termine PKK deve essere inteso nel senso che comprende anche queste organizzazioni.

( 66 )   Articolo 4, paragrafo 1. V. le eccezioni di cui all’articolo 1, paragrafo 2. Nelle presenti conclusioni ho utilizzato l’espressione «permesso di soggiorno» in senso generico.

( 67 )   Articolo 7.

( 68 )   Articolo 9, paragrafo 1.

( 69 )   L’articolo 25, paragrafo 1, non si applica qualora il cittadino di un paese terzo interessato sia stato allontanato per gravi motivi di sicurezza pubblica e di ordine pubblico.

( 70 )   Articolo 26, paragrafo 1.

( 71 )   V. anche articolo 26, paragrafo 4.

( 72 )   Articolo 50.

( 73 )   Articolo 51, paragrafo 1.

( 74 )   Articolo 54, paragrafo 5.

( 75 )   Articolo 54, lettera a).

( 76 )   Articoli 11 e 25, paragrafo 2.

( 77 )   Articolo 60, paragrafo 1.

( 78 )   Articolo 60, lettera a), punti 1 e 2.

( 79 )   Articolo 60, lettera a), punto 3.

( 80 )   Articolo 60, lettera a), punto 4.

( 81 )   Ai sensi dell’articolo 60, lettera a), dell’Aufenthaltsgesetz.

( 82 )   Sentenze Salahadin Abdulla e a. (C‑175/08, C‑176/08, C‑178/08 e C‑179/08, EU:C:2010:105, punto 52); Y e Z (C‑71/11 e C‑99/11, EU:C:2012:518, punto 47), e X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punto 39).

( 83 )   Sentenza X e a. (EU:C:2013:720, punto 40).

( 84 )   Sentenza X e a. (EU:C:2013:720, punto 40). V. anche articolo 10 della Carta.

( 85 )   V. articolo 6 della direttiva sulle condizioni di accoglienza e articolo 7 della direttiva procedure, citate alla nota 23.

( 86 )   Sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 7); v., inoltre, paragrafo 57 infra.

( 87 )   In generale, farò riferimento agli articoli 21, paragrafi 2 e 3, o 24, paragrafo 1 (a seconda dei casi), senza aggiungere le parole «della direttiva qualifiche», in modo da semplificare il testo.

( 88 )   V. supra, paragrafi 33, 34, 35 e 40.

( 89 )   V. supra, paragrafi 37 e 40.

( 90 )   Il giudice del rinvio non solleva questioni relativamente agli eventuali diritti di un cittadino di un paese terzo di cui alcuni figli siano cittadini dell’Unione. Pertanto, non approfondirò tale aspetto.

( 91 )   V. supra, paragrafo 34.

( 92 )   V. supra, paragrafo 10.

( 93 )   V. supra, paragrafo 7.

( 94 )   V. articolo 1 del protocollo 7 della CEDU relativo alle garanzie processuali in materia di espulsione degli stranieri.

( 95 )   V. infra, paragrafi 74 e segg., in cui espongo in cosa consistono gli «imperiosi motivi».

( 96 )   V. ad esempio, Corte eur. D.U., sentenza Vilvarajah e altri c. Regno Unito, del 30 ottobre 1991, Serie A n. 215, § 102.

( 97 )   Corte eur. D.U., sentenza S.F. e altri c. Svezia, del 15 maggio 2012, n. 52077/10, § 62 e giurisprudenza ivi citata.

( 98 )   Corte eur. D.U., sentenze Chahal c. Regno Unito, del 15 novembre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996‑V, § 74, e S.F. e altri c. Svezia, cit. alla nota 97, § 62; v., inoltre, Corte eur. D.U., sentenza Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito, n. 8139/09, §§ da 258 a 261, CEDU 2012 (estratti), riguardante il diritto a un equo processo garantito dall’articolo 6 della CEDU.

( 99 )   V. supra, paragrafo 48.

( 100 )   V. documento del Consiglio n. 8919/03 del 12 maggio 2003, pag. 24, per quanto riguarda l’articolo 22 della proposta, divenuto articolo 24 della direttiva qualifiche.

( 101 )   I cittadini di paesi terzi, che soggiornano regolarmente nel territorio di uno Stato contraente, necessitano di un permesso di soggiorno valido e di un documento di viaggio per circolare all’interno dello spazio Schengen, in cui essi possono soggiornare per un periodo massimo di 90 giorni entro il territorio dei rispettivi Stati contraenti; v. supra, paragrafo 10.

( 102 )   V. articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della direttiva soggiornanti di lungo periodo.

( 103 )   V. infra, paragrafi 104 e segg.

( 104 )   La direttiva 2011/95 ha abrogato e sostituito la direttiva qualifiche a decorrere dal 12 dicembre 2013, ossia dopo che l’ordine di espulsione è stato emesso nel procedimento principale (v. supra, paragrafo 40). Essa non trova pertanto applicazione in tale procedimento.

( 105 )   Sentenza Endendijk (C‑187/07, EU:C:2008:197, punto 22).

( 106 )   Sentenza Endendijk (EU:C:2008:197, punto 24).

( 107 )   V. supra, paragrafo 62.

( 108 )   GU 1999, C 73, pag. 1 (in prosieguo: gli «orientamenti comuni»). Siffatti accordi interistituzionali hanno ora una base giuridica nei trattati: v. articolo 295 TFUE.

( 109 )   Sentenza Jipa (C‑33/07, EU:C:2008:396, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

( 110 )   V. conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:322, paragrafo 47).

( 111 )   V. considerando 2 della direttiva soggiornanti di lungo periodo. Aggiungo per completezza che l’iter legislativo della direttiva qualifiche non sembra fornire chiarimenti in materia, in quanto né l’attuale articolo 14 né l’articolo 21, paragrafi 2 e 3, di tale direttiva erano contenuti nel testo della proposta iniziale della Commissione, cit. supra alla nota 100.

( 112 )   V. supra, paragrafo 11.

( 113 )   V. documento del Consiglio n. 8919/03 del 12 maggio 2003, cit. supra alla nota 100.

( 114 )   V. sentenza B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti 80 e 81), relativa all’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva qualifiche, che applico qui per analogia.

( 115 )   Sentenza B e D (EU:C:2010:661, punti 82 e 83).

( 116 )   La giurisprudenza, in rapida espansione, del Tribunale e della Corte di giustizia adita, in cui sono trattati procedimenti di impugnazione di decisioni di inserimento in elenchi, dovrebbe rendere cauti nel ritenere che, dato l’inserimento di una particolare organizzazione in un elenco, quest’ultima debba effettivamente configurarsi come organizzazione terroristica: v. supra, nota 18.

( 117 )   Sentenza B e D (EU:C:2010:661, punto 90), cit. alla nota 114.

( 118 )   Sentenza B e D (EU:C:2010:661, punto 89), cit. alla nota 114.

( 119 )   V. articoli 5 e 7 della direttiva soggiornanti di lungo periodo.

( 120 )   V. supra, paragrafi 39, 41 e 48.

( 121 )   V. articolo 2, lettera j), della direttiva qualifiche.

( 122 )   V. articolo 2, lettera d), della direttiva qualifiche.

( 123 )   Una persona mantiene lo status di rifugiato, dopo il suo riconoscimento, ai sensi della direttiva qualifiche, salvo che non si applichino (in particolare) l’articolo 11 (cessazione) o l’articolo 14 (revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato). Occorrerebbe inoltre seguire le opportune procedure di cui al capo IV della direttiva procedure. È pacifico che niente di tutto ciò trova applicazione e/o è accaduto nella fattispecie.

( 124 )   Articolo 21.

( 125 )   Articolo 23.

( 126 )   Articolo 25.

( 127 )   Rispettivamente articoli 26, 27, 28, 29 e 31.

( 128 )   Articolo 32.

( 129 )   Articolo 33.

( 130 )   Vedi supra, paragrafi 35 e 48.

( 131 )   V., in particolare, articolo 20, paragrafo 6 (e, per le persone ammissibili a beneficiare della protezione sussidiaria, la disposizione corrispondente contenuta nell’articolo 20, paragrafo 7).

( 132 )   V. punto 10 degli orientamenti comuni, cit. alla nota 108.

( 133 )   V. supra, paragrafo 40.

( 134 )   V. supra, paragrafo 3.

( 135 )   V. supra, paragrafo 10.

( 136 )   O strumenti di integrazione, che possono essere o meno rilevanti, dato che il sig. H.T. vive in Germania dal 1989.

( 137 )   V. articolo 3 della direttiva qualifiche.

( 138 )   Sebbene non sia in nessun caso un esatto equivalente, mi viene in mente la nozione di «ammissione temporanea», prevista nell’ordinamento giuridico nazionale, a me più familiare.

( 139 )   V., ad esempio, la giurisprudenza in materia di parità delle retribuzioni, come la sentenza Cadman (C‑17/05, EU:C:2006:633, punti 31 e 32).

( 140 )   Sentenza Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639, punti 32 e 33).

( 141 )   Sentenza Filipiak (C‑314/08, EU:C:2009:719, punto 81).

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