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Document 62012CJ0175

Sentenza della Corte (Decima Sezione) del 24 ottobre 2013.
Sandler AG contro Hauptzollamt Regensburg.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Finanzgericht München - Germania.
Unione doganale e tariffa doganale comune - Regime preferenziale per l’importazione di prodotti originari degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) - Articoli 16 e 32 del protocollo n. 1 dell’allegato V dell’accordo di Cotonou - Importazione di fibre sintetiche dalla Nigeria nell’Unione europea - Irregolarità nel certificato di circolazione delle merci EUR.1 redatto dalle autorità competenti dello Stato di esportazione - Timbro non conforme al facsimile trasmesso alla Commissione - Certificati rilasciati a posteriori e sostitutivi - Codice doganale comunitario - Articoli 220 e 236 - Possibilità di applicare a posteriori una tariffa doganale preferenziale non più in vigore alla data della domanda di rimborso - Presupposti.
Causa C-175/12.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2013:681

SENTENZA DELLA CORTE (Decima Sezione)

24 ottobre 2013 ( *1 )

«Unione doganale e tariffa doganale comune — Regime preferenziale per l’importazione di prodotti originari degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) — Articoli 16 e 32 del protocollo n. 1 dell’allegato V dell’accordo di Cotonou — Importazione di fibre sintetiche dalla Nigeria nell’Unione europea — Irregolarità nel certificato di circolazione delle merci EUR.1 redatto dalle autorità competenti dello Stato di esportazione — Timbro non conforme al facsimile trasmesso alla Commissione — Certificati rilasciati a posteriori e sostitutivi — Codice doganale comunitario — Articoli 220 e 236 — Possibilità di applicare a posteriori una tariffa doganale preferenziale non più in vigore alla data della domanda di rimborso — Presupposti»

Nella causa C‑175/12,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Finanzgericht München (Germania), con decisione del 16 febbraio 2012, pervenuta in cancelleria il 13 aprile 2012, nel procedimento

Sandler AG

contro

Hauptzollamt Regensburg

LA CORTE (Decima Sezione),

composta da E. Juhász, presidente della Decima Sezione, facente funzione di presidente di sezione, A. Rosas e C. Vajda (relatore), giudici,

avvocato generale: M. Wathelet

cancelliere: C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 luglio 2013,

considerate le osservazioni presentate:

per la Sandler AG, da H.-M. Wolffgang, Steuerberater, N. Harksen e R. Hannemann-Kacik, Rechtsanwältinnen;

per lo Hauptzollamt Regensburg, da M. Brandl e C. Stephan, in qualità di agenti;

per la Repubblica ellenica, da F. Dedousi, in qualità di agente;

per la Commissione europea, da L. Keppenne e B.‑R. Killmann, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 16 e 32 del protocollo n. 1 dell’allegato V dell’accordo di partenariato tra i membri del gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altro, firmato a Cotonou il 23 giugno 2000 (GU L 317, pag. 3) e approvato a nome della Comunità con la decisione 2003/159/CE del Consiglio, del 19 dicembre 2002 (GU 2003, L 65, pag. 27; in prosieguo: l’«accordo di Cotonou»), degli articoli 220 e 236 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 1791/2006 del Consiglio, del 20 novembre 2006 (GU L 363, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»), nonché dell’articolo 889, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento n. 2913/92 (GU L 253, pag. 1), come da ultimo modificato dal regolamento (CE) n. 214/2007 della Commissione, del 28 febbraio 2007 (GU L 62, pag. 6; in prosieguo: il «regolamento n. 2454/93»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Sandler AG (in prosieguo: la «Sandler») e lo Hauptzollamt Regensburg [Ufficio principale delle dogane di Ratisbona (Germania); in prosieguo: lo «HZA») in merito a due avvisi di accertamento relativi ai dazi all’importazione emessi dallo HZA a seguito di un controllo a posteriori a causa della non conformità di timbri figuranti su certificati di circolazione delle merci EUR.1 (in prosieguo: i «certificati EUR.1») compilati dalle autorità competenti nigeriane con quelli trasmessi da dette autorità alla Commissione europea.

Contesto normativo

L’accordo di Cotonou

3

Mediante l’accordo di Cotonou, l’Unione europea aveva accordato, in modo non reciproco, un trattamento tariffario preferenziale ai prodotti originari del gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) (in prosieguo: gli «Stati ACP»). Essa aveva ottenuto una deroga, sino al 31 dicembre 2007, alla clausola della nazione più favorita prevista all’articolo 1, paragrafo 1, dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 (GATT), figurante all’allegato 1A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986‑1994) (GU L 336, pag. 1). Tale regime non è più applicabile dal 1o gennaio 2008.

4

L’articolo 36, paragrafo 3, dell’accordo di Cotonou prevedeva che le preferenze commerciali non reciproche applicate in conformità della quarta convenzione conclusa tra gli Stati ACP e la Comunità venissero mantenute durante il periodo preparatorio per tutti gli Stati ACP, alle condizioni definite nell’allegato V di detto accordo. Taluni prodotti, inclusi tessili originari degli Stati ACP, erano di conseguenza ammessi all’importazione nell’Unione in esenzione da dazi doganali e da tasse di effetto equivalente. L’articolo 37, paragrafo 1, di detto accordo precisava che il periodo preparatorio terminava al più tardi il 31 dicembre 2007.

5

L’allegato V di detto medesimo accordo fissava le condizioni di applicazione del regime commerciale applicabile durante il periodo preparatorio. In virtù delle disposizioni del protocollo n. 1 di detto allegato, relativo alla definizione della nozione di «prodotti originari» e ai metodi di cooperazione amministrativa (in prosieguo: il «protocollo n. 1»), i prodotti originari degli Stati ACP, in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del protocollo n. 1, potevano beneficiare delle disposizioni dell’allegato V dell’accordo di Cotonou all’atto della loro importazione nell’Unione su presentazione di un certificato EUR.1 rilasciato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, del protocollo n. 1.

6

I certificati EUR.1 erano muniti di un timbro delle autorità doganali dello Stato di esportazione le cui impronte, in virtù dell’articolo 31, paragrafo 1, del protocollo n. 1, dovevano essere trasmesse alla Commissione, la quale le trasmetteva agli Stati membri. La medesima disposizione prevedeva che i certificati EUR.1 fossero accettati ai fini dell’applicazione del trattamento preferenziale a decorrere dalla data in cui le informazioni necessarie erano pervenute alla Commissione. L’articolo 31, paragrafo 2, del protocollo n. 1 precisava che l’Unione e gli Stati ACP si prestavano reciproca assistenza, mediante le rispettive amministrazioni doganali, nel controllo dell’autenticità dei certificati EUR.1.

7

L’articolo 23 del protocollo n. 1 prevedeva che le prove dell’origine dovessero essere presentate alle autorità doganali del paese d’importazione conformemente alle procedure applicabili in tale paese.

8

L’articolo 16 del protocollo n. 1, rubricato «Rilascio a posteriori dei certificati di circolazione EUR.1», era formulato come segue:

«1.   (...) il [certificato EUR.1] può essere rilasciato, in via eccezionale, dopo l’esportazione dei prodotti cui si riferisce, se:

a)

non è stato rilasciato al momento dell’esportazione a causa di errori, omissioni involontarie o circostanze particolari o

b)

vengono fornite alle autorità doganali prove sufficienti del fatto che un [certificato EUR.1] è stato rilasciato ma non è stato accettato all’importazione per motivi tecnici.

2.   Ai fini dell’applicazione del paragrafo 1, l’esportatore deve indicare nella domanda il luogo e la data di esportazione dei prodotti cui si riferisce il [certificato EUR.1], nonché i motivi della sua richiesta.

3.   Le autorità doganali possono rilasciare a posteriori un [certificato EUR.1] solo dopo aver verificato che le indicazioni contenute nella domanda dell’esportatore sono conformi a quelle della pratica corrispondente.

4.   I [certificati EUR.1] rilasciati a posteriori devono recare una delle seguenti diciture:

“NACHTRÄGLICH AUSGESTELLT”, “DÉLIVRÉ A POSTERIORI”, “RILASCIATO A POSTERIORI”, “AFGEGEVEN A POSTERIORI”, “ISSUED RETROSPECTIVELY”, “UDSTEDT EFTERFØLGENDE”, “ΕΚΔΟΘΕΝ ΕΚ ΤΩΝ ΥΣΤΕΡΩΝ”, “EXPEDIDO A POSTERIORI”, “EMITIDO A POSTERIORI”, “ANNETTU JÄLKIKÄTEEN”, “UTFÄRDAT I EFTERHAND”.

5.   Le diciture di cui al paragrafo 4 devono figurare nella casella “Osservazioni” del [certificato EUR.1]».

9

L’articolo 18 del protocollo n. 1, rubricato «Rilascio dei [certificati EUR.1] sulla base di una prova dell’origine rilasciata o compilata in precedenza», prevedeva:

«Se i prodotti originari sono posti sotto il controllo di un ufficio doganale in uno Stato ACP o nel[l’Unione], si può sostituire l’originale della prova dell’origine con uno o più [certificati EUR.1] al fine di inviare tutti i prodotti, o parte di essi, altrove negli Stati ACP o nel[l’Unione]. I [certificati EUR.1] sostitutivi sono rilasciati dall’ufficio doganale sotto il cui controllo sono posti i prodotti».

10

L’articolo 32 del protocollo n. 1, intitolato «Verifica delle prove dell’origine», così stabiliva:

«1.   Il controllo a posteriori delle prove dell’origine è effettuato per sondaggio o ogniqualvolta le autorità doganali del paese di importazione abbiano fondati motivi di dubitare dell’autenticità dei documenti, del carattere originario dei prodotti in questione o dell’osservanza degli altri requisiti del presente protocollo.

2.   Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del paragrafo 1, le autorità doganali del paese d’importazione rispediscono alle autorità doganali del paese di esportazione il [certificato EUR.1] e la fattura, se è stata presentata, la dichiarazione su fattura, ovvero una copia di questi documenti, indicando, se del caso, i motivi che giustificano un’inchiesta. A corredo della richiesta di controllo, devono essere inviati tutti i documenti e le informazioni ottenute che facciano sospettare la presenza di inesattezze nelle informazioni relative alla prova dell’origine.

3.   Il controllo viene effettuato dalle autorità doganali del paese di esportazione. A tal fine, esse hanno la facoltà di richiedere qualsiasi prova e di procedere a qualsiasi controllo dei conti dell’esportatore nonché a tutte le altre verifiche che ritengano opportune.

4.   Qualora le autorità doganali del paese d’importazione decidano di sospendere la concessione del trattamento preferenziale ai prodotti in questione in attesa dei risultati del controllo, esse offrono all’importatore la possibilità di svincolare i prodotti, riservandosi di applicare le misure cautelari ritenute necessarie.

5.   I risultati del controllo devono essere comunicati al più presto alle autorità doganali che lo hanno richiesto, indicando chiaramente se i documenti sono autentici, se i prodotti in questione possono essere considerati originari degli Stati ACP (…) e se soddisfano gli altri requisiti del presente protocollo.

6.   Qualora, in caso di ragionevole dubbio, non sia pervenuta alcuna risposta entro dieci mesi dalla data della richiesta di controllo o qualora la risposta non contenga informazioni sufficienti per determinare l’autenticità del documento in questione o l’effettiva origine dei prodotti, le autorità doganali che hanno richiesto il controllo li escludono dal trattamento preferenziale, salvo circostanze eccezionali.

7.   Qualora dalla procedura di controllo o da qualsiasi altra informazione disponibile emergano indizi di violazioni delle disposizioni del presente protocollo, lo Stato ACP effettua, di propria iniziativa o su richiesta della Comunità, le inchieste necessarie o dispone affinché tali inchieste siano effettuate con la dovuta sollecitudine allo scopo di individuare e prevenire siffatte violazioni. A tal fine, lo Stato ACP può invitare la Comunità a partecipare a dette inchieste».

11

Per aiutare gli Stati membri d’importazione ad applicare le disposizioni relative ai regimi di scambi preferenziali previsti dall’accordo di Cotonou, la Commissione ha pubblicato un documento intitolato «Note esplicative concernenti il protocollo 1 dell’allegato V dell’accordo di partenariato ACP‑CE, relativo alla definizione della nozione di prodotti originari e ai metodi di cooperazione amministrativa» (GU 2002, C 228, pag. 2; in prosieguo: le «note»).

12

Ai punti 10, 15 e 17 delle medesime, le note contengono spiegazioni supplementari per quanto riguarda gli articoli 16 e 32 del protocollo n. 1, nonché esempi di fattispecie con indicazione del comportamento da tenere.

13

Il punto 10 delle note, intitolato «Articolo 16 — Motivi tecnici», dispone quanto segue:

«Un [certificato EUR.1] che non sia stato compilato nel rispetto delle disposizioni in vigore, può essere respinto per “motivi tecnici”. In questi casi può essere presentato in un secondo tempo un certificato rilasciato a posteriori. Questa categoria riguarda, ad esempio, le situazioni in cui:

(...)

manchino timbro e firma [sul certificato EUR.1] (casella 11),

(...)

il [certificato EUR.1] sia vistato con un nuovo timbro non ancora comunicato,

(...)

Comportamento da tenere

Dopo aver apposto la menzione “documento respinto”, indicandone il o i motivi, il certificato è restituito all’importatore per permettergli di ottenere il rilascio a posteriori di un nuovo certificato. L’amministrazione doganale può eventualmente conservare una fotocopia del certificato respinto in vista di un controllo a posteriori o qualora abbia motivo di supporre una frode».

14

Il punto 15 delle note, intitolato «Articolo 32 — Rifiuto del regime preferenziale senza verifica», prevede che:

«Si tratta di casi in cui la prova dell’origine è considerata inapplicabile. Questa categoria riguarda, tra l’altro, le seguenti situazioni:

prodotti oggetto del [certificato EUR.1] non beneficiano del regime preferenziale,

la casella “designazione delle merci” (casella 8 EUR.1) non è stata compilata o si riferisce a merci diverse da quelle presentate;

(...)

Comportamento da tenere

La prova dell’origine con la menzione “INAPPLICABILE” deve essere conservata dall’amministrazione doganale alla quale è stata presentata, per evitare ulteriori tentativi di utilizzazione.

Se del caso, le autorità doganali del paese di importazione informano senza indugio le autorità doganali del paese di esportazione del rifiuto».

15

Il punto 17 delle note, intitolato «Articolo 32 — Dubbio ragionevole», è formulato come segue:

«Questa situazione riguarda, ad esempio, i casi in cui:

(...)

manchi la firma dell’autorità che ha rilasciato il [certificato EUR.1], o la data

le merci, gli imballaggi o gli altri documenti di accompagnamento siano corredati da marchi relativi ad un’origine diversa da quella figurante nel [certificato EUR.1],

(...)

il timbro utilizzato per il visto del documento è diverso da quello che è stato comunicato.

Comportamento da tenere

Il documento viene inviato per controllo a posteriori alle autorità del paese di esportazione con l’indicazione dei motivi che giustificano la richiesta di controllo. In attesa dei risultati, le autorità doganali adottano le misure conservative del caso, per garantire il pagamento dei dazi applicabili».

Il codice doganale

16

Il codice doganale è stato abrogato dal regolamento (CE) n. 450/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, che istituisce il codice doganale comunitario (codice doganale aggiornato) (GU L 145, pag. 1), di cui talune disposizioni sono divenute applicabili a decorrere dal 24 giugno 2008, mentre le restanti disposizioni sono divenute applicabili a decorrere dal 24 giugno 2013. Tuttavia, tenuto conto della data dei fatti della controversia principale, quest’ultima permane disciplinata dalle disposizioni enunciate nel codice doganale.

17

L’articolo 77 del codice doganale riguardava il caso in cui la dichiarazione in dogana veniva fatta con un procedimento informatico e prevedeva che le autorità doganali potessero dispensare il dichiarante dall’obbligo di presentare i documenti di accompagnamento assieme alla dichiarazione. In tali casi, detti documenti dovevano tuttavia essere tenuti a disposizione delle autorità doganali.

18

L’articolo 78 del codice doganale consentiva alle autorità doganali di procedere alla revisione della dichiarazione doganale nonché ad un controllo a posteriori dei documenti e dati commerciali relativi alle operazioni d’importazione, dopo la concessione dello svincolo della merce. Quando dalla revisione della dichiarazione o dai controlli a posteriori risultava che le disposizioni disciplinanti il regime doganale considerato erano state applicate in base ad elementi inesatti o incompleti, l’autorità doganale, tenendo conto dei nuovi elementi di cui disponevano, dovevano adottare i provvedimenti necessari a regolarizzare la situazione.

19

Per quanto riguarda la procedura relativa al rimborso o allo sgravio dei dazi relativi ad un’obbligazione doganale ritenuta inesistente, l’articolo 236, paragrafo 1, del codice doganale precisava segnatamente quanto segue:

«Si procede al rimborso dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione quando si constati che al momento del pagamento il loro importo non era legalmente dovuto o che l’importo è stato contabilizzato contrariamente all’articolo 220, paragrafo 2.

(...)

Non vengono accordati né rimborso né sgravio qualora i fatti che hanno dato luogo al pagamento o alla contabilizzazione di un importo che non era legalmente dovuto risultano da una frode dell’interessato».

20

In virtù dell’articolo 247 del codice doganale, le disposizioni necessarie per l’applicazione di detto codice erano adottate dalla Commissione.

21

Per quanto riguarda la procedura di rimborso o di sgravio dei dazi, l’articolo 889, paragrafo 1, del regolamento n. 2454/93 conteneva un certo numero di norme relative alla concessione a posteriori di un regime tariffario preferenziale e disponeva quanto segue:

«Quando la domanda di rimborso o di sgravio si fondi sull’esistenza, alla data di accettazione della dichiarazione di immissione in libera pratica delle merci, di un dazio all’importazione ridotto o nullo applicabile nel quadro di un contingente tariffario, di un massimale tariffario o di un altro regime tariffario preferenziale, il rimborso o lo sgravio è concesso se, alla data della presentazione della domanda, corredata dei documenti necessari:

nel caso di un contingente tariffario, il suo volume non risulti esaurito,

negli altri casi, non sia stato ripristinato il dazio normalmente da pagare.

Tuttavia, il rimborso o lo sgravio è concesso anche se non sono soddisfatte le condizioni di cui al comma precedente, quando, per un errore commesso dalla stessa autorità doganale, il dazio ridotto o nullo non sia stato applicato a merci la cui dichiarazione per la libera pratica comportava tutti gli elementi stabiliti ed era accompagnata da tutti i documenti necessari per l’applicazione di tale dazio ridotto o nullo».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

22

Tra il 19 maggio 2005 e l’11 luglio 2007, tramite dichiarazioni doganali effettuate per via elettronica e in applicazione del sistema ATLAS, la Sandler ha immesso in libera pratica nell’Unione svariate partite di fibre sintetiche. Lo Hauptzollamt Hamburg‑Hafen‑Waltershof [Ufficio principale delle dogane del porto di Amburgo (Germania)] ha immesso tali merci in libera pratica fondandosi sull’origine dichiarata, vale a dire la Nigeria, consentendo la concessione del dazio doganale preferenziale «zero». Le autorità doganali hanno rinunciato alla presentazione e alla revisione dei certificati EUR.1 indicati nelle dichiarazioni doganali.

23

Nel 2008, in occasione di un controllo a posteriori, in applicazione dell’articolo 78 del codice doganale, dei certificati EUR.1, lo HZA ha riscontrato che su 34 certificati EUR.1 era stato apposto un timbro rotondo recante il testo «NIGERIA CUSTOMS SERVICE» e «TIN CAN ISLAND PORT.LAGOS» a margine e con la dicitura «ASST.COMPTROLLER o/c Export Seat Releasing Officer» all’interno del timbro. Secondo lo HZA, tale timbro non era conforme al facsimile trasmesso alla Commissione dalle autorità nigeriane in applicazione dell’articolo 31, paragrafo 1, del protocollo n. 1, che consisteva in un timbro arcuato con il testo «NIGERIA CUSTOMS SERVICE» e «EXPORT SEAT» e, all’interno del timbro, dopo una data, i termini «TINCAN PORT»:

Timbro apposto sui certificati EUR.1

Facsimile di timbro trasmesso dalle autorità nigeriane

Image

24

Secondo le informazioni fornite dallo HZA al giudice del rinvio, i facsimile di timbri comunicati dalle autorità nigeriane erano in vigore dal 1o luglio 2003 fino alla scadenza del regime preferenziale previsto dall’allegato V dell’accordo di Cotonou, vale a dire il 31 dicembre 2007, e le autorità nigeriane non hanno comunicato alcuna modifica di tali facsimile tra tali due date.

25

È per tale motivo che lo HZA ha informato la Sandler, con lettera del 30 aprile 2008, che i certificati EUR.1 non potevano essere accettati e che vi doveva essere apposta la dicitura «documento non accettato». Inoltre, lo HZA ha precisato che occorreva riscuotere dazi doganali all’importazione, ma che, tuttavia, su presentazione di un nuovo certificato EUR.1, sarebbe stato possibile un rimborso dei dazi riscossi. Mediante due avvisi di accertamento relativi ai dazi all’importazione del 14 maggio 2003 e del 3 giugno 2008, lo HZA ha imposto il pagamento di dazi doganali per un importo complessivo di EUR 65 612,71, quantificato applicando l’aliquota del dazio per i paesi terzi del 4%.

26

Il 10 settembre 2008, la Sandler ha presentato certificati EUR.1 muniti di timbri conformi al facsimile trasmesso alla Commissione e ha chiesto il rimborso dei dazi doganali versati a seguito dei due avvisi di accertamento. Alla casella 7, intitolata «Osservazioni», tali certificati EUR.1 recavano la dicitura «being issued in replacement of EUR.1 …» («Rilasciati in sostituzione di EUR.1 …»), assieme alla data e al numero dei certificati EUR.1 che erano stati rifiutati dallo HZA.

27

Con decisione del 22 settembre 2008, lo HZA ha rifiutato il rimborso in quanto, in virtù dell’articolo 889, paragrafo 1, del regolamento n. 2454/93, la concessione a posteriori del regime preferenziale poteva effettuarsi solo ove il dazio doganale preferenziale richiesto fosse stato ancora in vigore al momento della presentazione della domanda di rimborso. Orbene, dato che il regime preferenziale previsto dall’accordo di Cotonou era scaduto il 31 dicembre 2007, non era più previsto alcun dazio doganale preferenziale per le merci importate dalla Nigeria partire dal 1o gennaio 2008.

28

La Sandler aveva peraltro richiesto il rimborso dei dazi doganali sulla base dell’equità, in virtù dell’articolo 239 del codice doganale. Anche tale domanda è stata respinta dallo HZA con decisione del 23 febbraio 2009.

29

La Sandler ha proposto opposizione nei confronti di ciascuna di tali due decisioni dello HZA, opposizioni che sono state entrambe respinte. La Sandler ha presentato poi un ricorso avverso ciascuna di tali due decisioni di rigetto dinanzi al giudice del rinvio. Tali ricorsi sono stati riuniti da detto giudice.

30

Dinanzi al giudice del rinvio la Sandler fa valere che un’inesattezza in un certificato EUR.1 rilevata dalle autorità doganali di uno Stato terzo nel quadro del sistema di cooperazione amministrativa integra un errore che l’operatore economico non può riconoscere. Infatti, quest’ultimo non svolge alcuna funzione di controllo, tanto più che non è previsto che il facsimile di timbro necessario possa essere consultato presso le autorità doganali dello Stato d’importazione. La Sandler rileva inoltre che i certificati EUR.1 iniziali erano stati redatti correttamente da un punto di vista sostanziale e che era solo stato utilizzato un timbro errato. Essa sostiene che non si trattava quindi nemmeno di certificati EUR.1 invalidi. Apponendo un timbro errato, le autorità nigeriane sarebbero semplicemente incorse in un vizio di forma che avrebbero sanato rilasciando a posteriori certificati EUR.1 riveduti.

31

A sostegno del proprio punto di vista, la Sandler deduce che, nella fattispecie, invece di invocare la procedura prevista all’articolo 16 del protocollo n. 1, avrebbe dovuto essere effettuato un controllo a posteriori dei certificati EUR.1 a titolo dell’articolo 32 di detto protocollo, in quanto i certificati EUR.1 di origine redatti dalle autorità competenti di uno Stato parte dell’accordo di Cotonou non avrebbero potuto essere annullati unilateralmente senza la partecipazione delle autorità di tale Stato. In caso di rifiuto di un certificato EUR.1 basato sull’articolo 16 del protocollo n. 1, l’origine preferenziale della merce sarebbe incontestabile e sarebbe problematico solo il rilascio regolare dei certificati EUR.1 per ragioni di amministrazione interna. Poiché lo HZA non avrebbe presentato domanda di controllo a posteriori, a titolo dell’articolo 32 del protocollo n. 1, occorrerebbe considerare che non vi era alcun dubbio quanto all’autenticità dell’attestazione del regime preferenziale.

32

Lo HZA fa sostanzialmente valere che l’articolo 16 del protocollo n. 1 era applicabile nella fattispecie perché certificati EUR.1 originali recavano un timbro chiaramente diverso dai facsimile trasmessi dalle autorità nigeriane. Gli errori tecnici di cui all’articolo 16 del protocollo n. 1 riguardavano errori più gravi di quelli previsti dall’articolo 32 di detto protocollo. Lo HZA rileva inoltre che, nella fattispecie, il timbro utilizzato differiva totalmente dai facsimile trasmessi e non presentava alcuna somiglianza con questi ultimi, per cui non si trattava di una «differenza» ai sensi del punto 17 delle note rispetto ad un facsimile trasmesso che avrebbe giustificato un dubbio quanto all’autenticità del certificato EUR.1. La differenza tra i timbri oggetto del procedimento principale e i facsimile trasmessi dalle autorità nigeriane sarebbe talmente rilevante da escludere l’applicazione del dazio doganale preferenziale.

33

Il giudice del rinvio ritiene che, per decidere sulla controversia ad esso sottoposta, sia determinante sapere se lo HZA possa opporre alla domanda di rimborso della Sandler la circostanza che, in virtù del l’articolo 889 del regolamento n. 2454/93, un rimborso può essere accordato solo se la tariffa preferenziale che era in vigore al momento in cui le merci sono state immesse in libera pratica sia ancora applicabile al momento del deposito della domanda di rimborso. Qualora l’articolo 889 del regolamento n. 2454/93 non osti ad un rimborso in un tale caso, si porrebbe la questione se le autorità di uno Stato membro, in assenza di una domanda formale di controllo a posteriori sulla base dell’articolo 32 del protocollo n. 1, possano controllare e/o rifiutare un certificato EUR.1 rilasciato da uno Stato ACP quando le autorità doganali di tale Stato abbiano usato un timbro diverso da quello trasmesso alla Commissione e, di conseguenza, rifiutare di propria iniziativa all’importatore la concessione di un dazio doganale preferenziale.

34

Alla luce di quanto sopra, il Finanzgericht München ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 889, paragrafo 1, primo comma, secondo trattino, del [regolamento n. 2454/93] debba essere interpretato nel senso che disciplina soltanto la richiesta di rimborso nel caso in cui la merce sia stata prima immessa in libera pratica con applicazione dell’aliquota del dazio per i paesi terzi e, successivamente, sia emerso che all’atto dell’accettazione della dichiarazione vigeva in realtà un dazio ridotto o nullo (nella fattispecie, un regime tariffario preferenziale), che al momento della presentazione della domanda di rimborso era tuttavia già scaduto, con l’effetto che la scadenza di un regime preferenziale temporalmente limitato non può essere opposta all’interessato al momento della presentazione della domanda di rimborso, se all’atto dell’immissione in libera pratica era stato concesso il regime tariffario preferenziale e solo in sede di recupero a posteriori da parte dell’amministrazione è stata negata la preferenza tariffaria e applicata l’aliquota del dazio per i paesi terzi.

2)

Se l’articolo 16, paragrafo 1, lettera b), o l’articolo 32 del protocollo n. 1 (…) debba essere interpretato nel senso che le autorità doganali dello Stato di importazione, qualora lo Stato di esportazione abbia fornito un [certificato EUR.1] con un timbro diverso rispetto al facsimile delle riproduzioni dei timbri trasmesso alla Commissione, possono considerare, nel dubbio, questa divergenza come un “errore tecnico” ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera b), del protocollo n. 1 (…) e dichiarare pertanto invalido detto [certificato] senza richiedere l’intervento delle autorità doganali dello Stato di esportazione.

3)

In caso di risposta affermativa alla seconda questione pregiudiziale:

a)

Se l’articolo 16, paragrafo 1, lettera b), del protocollo n 1 (…) trovi applicazione anche quando l’errore tecnico non è stato riconosciuto immediatamente all’atto dell’importazione, ma in occasione di un successivo controllo da parte dell’autorità doganale.

b)

Se l’articolo 16, paragrafi 4 e 5, del protocollo n. 1 (…) debba essere interpretato nel senso che un errore tecnico si ritiene rimosso se, nel caso di un [certificato EUR.1] rilasciato a posteriori, nella casella «Osservazioni» non viene riportata letteralmente una delle diciture di cui all’articolo 16, paragrafo 4, di detto protocollo (…), ma è inserita solo una dicitura che, in conclusione, attesta che la prova della preferenza tariffaria è stata rilasciata a posteriori.

4)

In caso di risposta negativa alla seconda questione pregiudiziale:

Se l’articolo 236, paragrafo 1, del codice doganale debba essere interpretato nel senso che i dazi all’importazione non erano legalmente dovuti e sono stati quindi recuperati a posteriori indebitamente ai sensi dell’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale, qualora i [certificati EUR.1] inizialmente utilizzati non potessero essere dichiarati invalidi dall’autorità doganale dello Stato di importazione senza l’intervento delle autorità doganali dello Stato di esportazione.

5)

Se, anche nel caso in cui venga presentato un [certificato EUR.1] rilasciato a posteriori ai sensi dell’articolo 16 del protocollo 1 (…), il rimborso dei dazi all’importazione recuperati a posteriori e versati sia possibile, in virtù dell’articolo 889 del [regolamento n. 2454/93], soltanto qualora il regime tariffario preferenziale sia ancora in vigore al momento della presentazione della domanda di rimborso».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

35

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio vuole sostanzialmente sapere se l’articolo 889, paragrafo 1, primo comma, secondo trattino, del regolamento n. 2454/93 debba essere interpretato nel senso che osta a una domanda di rimborso di dazi quando un regime tariffario preferenziale è stato chiesto e concesso all’atto dell’immissione in libera pratica delle merci ed è solo successivamente, nel quadro di una verifica a posteriori intervenuta dopo la scadenza del regime tariffario preferenziale e il ripristino del dazio normalmente dovuto, che le autorità dello Stato di importazione hanno proceduto alla riscossione della differenza rispetto al dazio doganale applicabile alle merci originarie di paesi terzi.

36

Occorre constatare a tal proposito che, come del resto rilevato dal giudice del rinvio nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, la deroga all’applicazione dell’articolo 236 del codice doganale prevista all’articolo 889, paragrafo 1, primo comma, secondo trattino, del regolamento n. 2454/93 riguarda, secondo la lettera di quest’ultima disposizione, solo i casi in cui una merce venga immessa in libera pratica in applicazione del dazio doganale normalmente dovuto, ma risulti successivamente che avrebbero potuto essere invocati un dazio doganale ridotto, o addirittura un’esenzione doganale, in virtù, ad esempio, di un regime preferenziale.

37

Di conseguenza, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui un regime tariffario preferenziale è stato chiesto e concesso all’atto dell’immissione in libera pratica delle merci e solo successivamente, nel quadro di una verifica a posteriori intervenuta dopo la scadenza del regime tariffario preferenziale e il ripristino del dazio normalmente dovuto, le autorità dello Stato di importazione hanno proceduto alla riscossione della differenza rispetto al dazio doganale applicabile alle merci originarie di paesi terzi, l’articolo 889, paragrafo 1, primo comma, secondo trattino, del regolamento n. 2454/93 non può ostacolare una domanda di rimborso di detta differenza.

38

Occorre pertanto rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 889, paragrafo 1, primo comma, secondo trattino, del regolamento n. 2454/93 deve essere interpretato nel senso che non osta ad una domanda di rimborso di dazi qualora un regime tariffario preferenziale sia stato chiesto e concesso all’atto dell’immissione in libera pratica delle merci e solo successivamente, nel quadro di una verifica a posteriori intervenuta dopo la scadenza del regime tariffario preferenziale e il ripristino del dazio normalmente dovuto, le autorità dello Stato di importazione abbiano proceduto alla riscossione della differenza rispetto al dazio doganale applicabile alle merci originarie di paesi terzi.

Sulla seconda questione nonché sulla prima parte della terza questione

39

Con la seconda questione nonché con la prima parte della terza questione, che occorre trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 16, paragrafo 1, lettera b), e 32 del protocollo n. 1 debbano essere interpretati nel senso che, ove risulti, in sede di un controllo a posteriori, che sul certificato EUR.1 è stato apposto un timbro non corrispondente al facsimile trasmesso dalle autorità dello Stato di esportazione, le autorità doganali dello Stato di importazione possano rifiutare detto certificato e restituirlo all’importatore per consentirgli di ottenere il rilascio di un certificato a posteriori sulla base dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera b), del protocollo n. 1, invece di avviare la procedura prevista all’articolo 32 di detto protocollo.

40

A tal proposito occorre ricordare che, in virtù dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del protocollo n. 1, la presentazione di un certificato EUR.1 rilasciato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione era una condizione procedurale preliminare per l’ammissione di prodotti originari dagli Stati ACP al beneficio del regime istituito dall’allegato V dell’accordo di Cotonou.

41

L’articolo 31, paragrafo 1, del protocollo n. 1 prevedeva peraltro che i certificati EUR.1 dovessero essere muniti di un timbro delle autorità doganali dello Stato di esportazione i cui facsimile delle riproduzioni erano comunicati alla Commissione, la quale li trasmetteva agli Stati membri. In virtù del secondo comma della medesima disposizione, i certificati EUR.1 erano accettati per l’applicazione del trattamento preferenziale a partire dalla data in cui la Commissione riceveva le informazioni necessarie.

42

È pacifico che i timbri apposti sui certificati EUR.1 di cui trattasi nel procedimento principale, manifestamente, non erano conformi al facsimile trasmesso alla Commissione dalle autorità nigeriane; tali facsimile di timbri erano in vigore dal 1o luglio 2003 sino alla scadenza del regime preferenziale previsto all’allegato V dell’accordo di Cotonou, ovvero il 31 dicembre 2007, senza che nel frattempo venisse trasmessa dalle autorità nigeriane una qualsiasi modifica.

43

Ne risulta che, in forza dell’articolo 31, paragrafo 1, secondo comma, del protocollo n. 1, le autorità dello Stato membro di importazione non potevano, ad ogni modo, accettare certificati EUR.1 come quelli di cui trattasi nel procedimento principale.

44

Per quanto riguarda il comportamento da tenere in una tale situazione da parte delle autorità dello Stato membro di importazione, il protocollo n. 1 non contiene alcuna disposizione che delimiti esplicitamente gli ambiti di applicazione rispettivi, da una parte, della procedura di cui all’articolo 16 di tale protocollo e, dall’altra, di quella prevista al suo articolo 32. Tale protocollo sembra dunque consentire un certo margine discrezionale in capo alle autorità dello Stato membro di importazione.

45

La scelta tra tali due procedure deve effettuarsi tenendo conto, oltre che delle norme del protocollo n. 1 e delle note, di tutte le circostanze della fattispecie, compresi gli elementi del contesto fattuale.

46

Nemmeno le note, che, pur non avendo alcun carattere vincolante per le autorità degli Stati membri, costituiscono uno strumento utile per garantire l’applicazione uniforme delle disposizioni del protocollo n. 1, contengono peraltro indicazioni a tal proposito.

47

Infatti, i punti 10 e 17 di tali note sono idonei a guidare il comportamento di un’autorità confrontata ad una difformità tra i timbri usati rispetto al facsimile trasmesso. Il punto 10 di dette note raccomanda, in caso di utilizzo di un «nuovo timbro non ancora comunicato», la restituzione del certificato all’importatore per consentirgli di ottenere il rilascio di un certificato a posteriori in virtù dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera b), del protocollo n. 1. Il punto 17 di tali medesime note consiglia, invece, nel caso in cui il timbro usato «è diverso da quello che è stato comunicato», l’invio del certificato per il controllo a posteriori alle autorità dello Stato d’esportazione in applicazione dell’articolo 32 del protocollo n. 1.

48

Occorre tuttavia ricordare che il punto 10 delle note evoca la possibilità di un’applicazione parallela delle disposizioni degli articoli 16, paragrafo 1, e 32 del protocollo n. 1 e conferma pertanto che, contrariamente a quanto fa valere la Commissione nelle sue osservazioni scritte, gli ambiti di applicazione di tali disposizioni non si escludono reciprocamente. Detto punto 10 prevede infatti che l’autorità dello Stato membro di importazione che restituisce un certificato rifiutato all’importatore per consentirgli di chiedere il rilascio a posteriori di un nuovo certificato in applicazione dell’articolo 16, paragrafo 1, del protocollo n. 1 conservi una fotocopia del certificato rifiutato, segnatamente, «in vista di un controllo a posteriori» in applicazione dell’articolo 32 del protocollo n. 1.

49

Da una giurisprudenza costante emerge che il sistema di cooperazione amministrativa attuato da un protocollo che enuncia, nell’allegato di un accordo concluso tra l’Unione e uno Stato terzo, disposizioni riguardanti l’origine di prodotti si basa sulla reciproca fiducia tra le autorità degli Stati membri d’importazione e quelle dello Stato di esportazione e che la cooperazione sancita da un protocollo relativo all’origine di prodotti può funzionare soltanto se lo Stato di importazione accetta le valutazioni legalmente effettuate al riguardo dallo Stato di esportazione (v. sentenza del 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C-409/10, Racc. pag. I-13331, punti 28 e 29 nonché la giurisprudenza ivi citata).

50

Tuttavia, il requisito della fiducia reciproca non è rimesso in discussione dal fatto che il protocollo n. 1 consente, secondo le circostanze, una scelta da parte delle autorità dello Stato di importazione tra le procedure previste agli articoli 16 e 32 di tale protocollo. Infatti, contrariamente a quanto suggeriscono la Sandler e la Commissione, sia l’una che l’altra procedura richiedono la partecipazione delle autorità dello Stato di esportazione e l’unica differenza consiste nella questione se tali autorità vengano contattate dalle autorità dello Stato membro di importazione, in applicazione dell’articolo 32 del protocollo n. 1, o dall’importatore, in applicazione dell’articolo 16, paragrafo 1, del protocollo n. 1. In entrambi i casi è solo dopo l’intervento delle autorità dello Stato d’esportazione che prodotti originari dello Stato ACP interessato potranno essere ammessi al beneficio del regime istituito dall’allegato V dell’accordo di Cotonou. Cosi, in applicazione dell’articolo 16 del protocollo n. 1, erano le autorità dello Stato d’esportazione che, dopo verifica delle indicazioni contenute nella domanda dell’esaminatore, potevano rilasciare un certificato EUR.1 a posteriori. Parimenti, i controlli previsti dall’articolo 32 di detto protocollo erano effettuati dalle autorità dello Stato di esportazione al fine di confermare l’autenticità dei certificati EUR.1 e l’origine dei prodotti.

51

Deve inoltre essere respinto l’argomento della Commissione secondo cui solo quando sospettano che esistano nuovi timbri e pensano che essi saranno loro trasmessi dallo Stato terzo le autorità dello Stato membro d’importazione possono rifiutare il certificato EUR.1, laddove, se esse non credono che verranno loro notificati nuovi timbri, non potranno far altro che avviare la procedura di controllo a posteriori prevista dall’articolo 32 del protocollo n.1. Sarebbe infatti impossibile, in pratica, per le autorità dello Stato membro d’importazione distinguere utilmente tali due fattispecie.

52

Per quanto riguarda la questione se, nel caso in cui una difformità fra i timbri, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, sia riconosciuta non direttamente all’atto dell’importazione, ma solo durante un controllo a posteriori, le autorità dello Stato membro d’importazione possano ancora rifiutare un certificato EUR.1 e invitare gli importatori a conformarsi alla procedura prevista all’articolo 16, paragrafo 1, lettera b), del protocollo n. 1, occorre precisare che la nozione di «importazione», ai sensi di tale disposizione, deve, come rilevato dalla Commissione, essere intesa in senso ampio e copre dunque, in linea di principio, l’intero periodo intercorso sino all’estinzione di tutti gli obblighi dell’importatore.

53

Ai termini dell’articolo 23 del protocollo n. 1, le prove dell’origine dovevano infatti essere presentate alle autorità doganali seguendo le norme di procedura in vigore nello Stato d’importazione, il che significa, in un caso come quello di cui trattasi nel procedimento principale, segnatamente seguendo il codice doganale.

54

L’articolo 77, paragrafo 2, del codice doganale specificava a tal proposito che, quando le formalità doganali venivano adempiute per via informatica, come nel procedimento principale, le autorità doganali potevano accettare che i certificati EUR.1 non venissero presentati con la dichiarazione doganale, ma venissero mantenuti a disposizione di dette autorità per poter successivamente procedere a controlli. L’articolo 16 del codice doganale prevedeva peraltro che le persone interessate dovessero conservare, durante il periodo stabilito dalle disposizioni in vigore e per tre anni civili almeno, tutti i documenti e le informazioni, indipendentemente dal loro supporto, e l’articolo 221, paragrafo 3, del codice doganale, in combinato disposto con l’articolo 201, paragrafo 2, del medesimo codice permetteva una comunicazione dei dazi sino a tre anni a decorrere dall’accettazione della dichiarazione doganale.

55

Con riferimento a queste considerazioni, i termini «non è stato accettato all’importazione per motivi tecnici», figuranti all’articolo 16, paragrafo 1, lettera b), del protocollo n. 1, devono essere letti in combinato disposto con l’articolo 23 di tale protocollo nonché con l’articolo 77, paragrafo 2, del codice doganale, nel senso che tali termini si riferiscono al momento in cui il paese d’importazione controlla effettivamente per la prima volta, conformemente alle proprie regole di procedura, i certificati EUR.1. Pertanto, detti termini possono anche applicarsi in sede di controllo a posteriori.

56

Occorre di conseguenza rispondere alla seconda questione nonché alla prima parte della terza questione che gli articoli 16, paragrafo 1, lettera b), e 32 del protocollo n. 1 devono essere interpretati nel senso che, ove risulti, durante un controllo a posteriori, che sul certificato EUR.1 sia stato apposto un timbro non corrispondente al facsimile trasmesso dalle autorità dello Stato d’esportazione, le autorità doganali dello Stato d’importazione possono rifiutare tale certificato e restituirlo all’importatore per consentirgli di ottenere il rilascio di un certificato a posteriori sulla base dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera b), del protocollo n. 1 invece di avviare la procedura prevista all’articolo 32 di detto protocollo.

Sulla seconda parte della terza questione

57

Con la seconda parte della terza questione, il giudice del rinvio cerca sostanzialmente di sapere se l’articolo 16, paragrafi 4 e 5, del protocollo n. 1 debba essere interpretato nel senso che un certificato EUR.1 recante, nella settima casella del medesimo, intitolata «Osservazioni», non la dicitura specificata al paragrafo 4 di detta disposizione, ma un’indicazione che, in conclusione, deve essere interpretata nel senso che il certificato EUR.1 è stato rilasciato in applicazione dell’articolo 16, paragrafo 1, di tale protocollo deve, in circostanze come quelle del procedimento principale, essere considerato come un certificato EUR.1 rilasciato a posteriori idoneo a consentire alle merci interessate di essere ammesse al beneficio del regime istituito dall’allegato V dell’accordo di Cotonou.

58

Occorre ricordare a tal proposito che, conformemente agli articoli 14 e 15, paragrafo 7, del protocollo n. 1, il certificato EUR.1, per poter essere presentato alle autorità doganali dello Stato d’importazione, deve, in linea di principio, essere stato rilasciato appena effettuata l’esportazione effettiva delle merci.

59

L’articolo 16, paragrafo 1, del protocollo n. 1 costituisce un’eccezione a tale regola in quanto consente, in via eccezionale e in deroga esplicita all’articolo 15, paragrafo 7, di tale protocollo, la redazione di certificati EUR.1 dopo l’esportazione, segnatamente quando venga dimostrato che un certificato EUR.1 è stato rilasciato, ma non è stato accettato all’importazione per ragioni tecniche.

60

L’articolo 16, paragrafi 4 e 5, del protocollo n. 1 richiede in tale contesto che i certificati EUR.1 rilasciati a posteriori debbano recare, nella casella «Osservazioni», una delle diciture specifiche la cui lettera precisa figura al detto paragrafo 4, ovvero «rilasciato a posteriori».

61

Nel procedimento principale è invece pacifico che i certificati EUR.1, presentati dalla Sandler dopo che lo HZA ha rifiutato di accettare i certificati EUR.1 che essa aveva inizialmente presentato, sebbene recassero timbri conformi al facsimile trasmesso alla Commissione, contenevano, nella casella «Osservazioni», non la dicitura specificata all’articolo 16, paragrafo 4, del protocollo n. 1, ma la dicitura «rilasciati in sostituzione», in combinazione con la data e il numero dei certificati EUR.1 rifiutati.

62

Quest’ultima formula potrebbe invero lasciar intendere che i certificati presentati dalla Sandler in un secondo tempo erano stati rilasciati in applicazione dell’articolo 18 del protocollo n. 1 relativo ai certificati sostitutivi.

63

Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, l’autorità di rilascio, con tali diciture, ha essenzialmente indicato, in maniera sufficientemente precisa, che i certificati EUR.1 rilasciati successivamente dovevano sostituire gli attestati di regime preferenziale inizialmente rilasciati. Inoltre, non emerge dal fascicolo sottoposto alla Corte che la Sandler o le autorità dello Stato d’esportazione avessero previsto di invocare l’articolo 18 del protocollo n. 1 o che le condizioni per l’applicazione di tale disposizione fossero soddisfatte.

64

Ciò premesso, certificati EUR.1 come quelli di cui trattasi nel procedimento principale potevano, in linea di principio, essere assimilati a certificati EUR.1 rilasciati a posteriori e, di conseguenza, le autorità dello Stato d’importazione non potevano rifiutarsi di accettarli in quanto tali.

65

Le autorità dello Stato d’importazione sono pertanto tenute, dopo aver valutato tutte le circostanze rilevanti, o ad accettare i nuovi certificati EUR.1 come rettificativi dell’errore tecnico commesso nella prima serie di certificati o, ove nutrano dubbi fondati sull’autenticità dei documenti di cui trattasi o sul carattere originario dei prodotti interessati, avviare la procedura di controllo prevista all’articolo 32 del protocollo n. 1.

66

Occorre rispondere alla seconda parte della terza questione che gli articoli 16, paragrafi 4 e 5, e 32 del protocollo n. 1 devono essere interpretati nel senso che ostano a che le autorità di uno Stato d’importazione si rifiutino di accettare, in quanto certificato EUR.1 rilasciato a posteriori ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, di tale protocollo, un certificato EUR.1 che, pur essendo conforme in tutti gli altri elementi ai requisiti delle disposizioni di tale protocollo, rechi, nella casella «Osservazioni», non la dicitura specificata al paragrafo 4 di tale disposizione, ma una dicitura che, in conclusione, deve essere interpretata nel senso che il certificato EUR.1 è stato rilasciato in applicazione dell’articolo 16, paragrafo 1, di tale protocollo. In caso di dubbi relativi all’autenticità di tale documento o al carattere originario dei prodotti interessati, tali autorità sono tenute ad avviare la procedura di controllo prevista all’articolo 32 di detto protocollo.

Sulla quarta questione

67

Alla luce della risposta fornita alla seconda questione, non occorre rispondere alla quarta questione.

Sulla quinta questione

68

Tenuto conto della risposta fornita alla prima questione, non occorre rispondere alla quinta questione.

Sulle spese

69

Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Decima Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 889, paragrafo 1, primo comma, secondo trattino, del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce un codice doganale comunitario, come da ultimo modificato dal regolamento (CE) n. 214/2007 della Commissione, del 28 febbraio 2007, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una domanda di rimborso di dazi qualora un regime tariffario preferenziale sia stato chiesto e concesso all’atto dell’immissione in libera pratica delle merci e solo successivamente, nel quadro di una verifica a posteriori intervenuta dopo la scadenza del regime tariffario preferenziale e il ripristino del dazio normalmente dovuto, le autorità dello Stato di importazione abbiano proceduto alla riscossione della differenza rispetto al dazio doganale applicabile alle merci originarie di paesi terzi.

 

2)

Gli articoli 16, paragrafo 1, lettera b), e 32 del protocollo n. 1 dell’allegato V dell’accordo di partenariato tra i membri del gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altro, firmato a Cotonou il 23 giugno 2000 e approvato a nome della Comunità con la decisione 2003/159/CE del Consiglio, del 19 dicembre 2002, devono essere interpretati nel senso che, ove risulti, durante un controllo a posteriori, che sul certificato di circolazione delle merci EUR.1 sia stato apposto un timbro non corrispondente al facsimile trasmesso dalle autorità dello Stato d’esportazione, le autorità doganali dello Stato d’importazione possono rifiutare tale certificato e restituirlo all’importatore per consentirgli di ottenere il rilascio di un certificato a posteriori sulla base dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera b), di tale protocollo invece di avviare la procedura prevista all’articolo 32 di detto protocollo.

 

3)

Gli articoli 16, paragrafi 4 e 5, e 32 di detto protocollo n. 1 devono essere interpretati nel senso che ostano a che le autorità di uno Stato d’importazione si rifiutino di accettare, in quanto certificato di circolazione delle merci EUR.1 rilasciato a posteriori ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, di tale protocollo, un certificato di circolazione delle merci EUR.1 che, pur essendo conforme in tutti gli altri elementi ai requisiti delle disposizioni del medesimo protocollo, rechi, nella casella «Osservazioni», non la dicitura specificata al paragrafo 4 di tale disposizione, ma una dicitura che, in conclusione, deve essere interpretata nel senso che il certificato di circolazione delle merci EUR.1 è stato rilasciato in applicazione dell’articolo 16, paragrafo 1, di tale protocollo. In caso di dubbi relativi all’autenticità di tale documento o al carattere originario dei prodotti interessati, tali autorità sono tenute ad avviare la procedura di controllo prevista all’articolo 32 di detto protocollo.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.

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