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Document 62012CC0401

    Conclusioni dell'avvocato generale N. Jääskinen, presentate il 8 maggio 2014.
    Consiglio dell'Unione europea e a. contro Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht.
    Impugnazione – Direttiva 2008/50/CE – Direttiva relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa – Decisione relativa alla notifica da parte del Regno dei Paesi Bassi della proroga del termine fissato per raggiungere i valori limite per il biossido di azoto e dell’esenzione dall’obbligo di applicare i valori limite per le particelle (PM10) – Richiesta di riesame interno di tale decisione, proposta ai sensi delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1367/2006 – Decisione della Commissione che dichiara la domanda irricevibile – Misura di portata individuale – Convenzione di Aarhus – Validità del regolamento (CE) n. 1367/2006 alla luce di detta convenzione.
    Cause riunite C-401/12 P – C-403/12 P.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2014:310

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    NIILO JÄÄSKINEN

    presentate l’8 maggio 2014 ( 1 )

    Cause riunite da C‑401/12 P a C‑403/12 P

    Consiglio dell’Unione europea

    Parlamento europeo

    Commissione europea

    contro

    Vereniging Milieudefensie e

    Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht

    «Impugnazione — Articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus — Articolo 2, paragrafo 1, lettera g), e articolo 10 del regolamento (CE) n. 1367/2006 — Richiesta di riesame interno — Irricevibilità — Eccezione di illegittimità — Controllo della validità del diritto derivato dell’Unione rispetto a un accordo internazionale — Giurisprudenza derivante dalle sentenze Fediol/Commissione e Nakajima/Consiglio — Condizioni di invocabilità diretta delle norme convenzionali»

    Indice

     

    I – Introduzione

     

    II – Fatti e sentenza impugnata

     

    III – Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

     

    IV – Sul fondamento del controllo di legittimità delle norme di diritto derivato alla luce del diritto internazionale convenzionale (primo motivo delle impugnazioni)

     

    A – Argomenti delle parti

     

    B – Sugli effetti del diritto internazionale nel diritto dell’Unione

     

    C – Sulla sentenza impugnata

     

    V – Sulla soluzione alternativa ai fini del controllo di legittimità – ragioni del rinvio della causa al Tribunale

     

    A – Sull’invocabilità diretta delle norme convenzionali ai fini del controllo della legittimità del diritto derivato dell’Unione

     

    1. Sull’«applicabilità diretta» come condizione del controllo della legittimità

     

    2. Sull’adeguamento delle condizioni prescritte ai fini dell’invocabilità diretta

     

    B – L’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus quale norma di riferimento ai fini del controllo di legittimità

     

    VI – Analisi, effettuata in via subordinata, riguardo al controllo di legittimità

     

    A – Osservazioni preliminari

     

    B – Argomenti sviluppati dalla Commissione nell’ambito del secondo motivo

     

    C – Sull’esistenza di un controllo delle violazioni del diritto dell’ambiente nell’ambito della convenzione di Aarhus

     

    D – Sulla portata del controllo delle violazioni del diritto dell’ambiente nel regolamento di Aarhus

     

    E – Riflessioni complementari

     

    VII – Sull’impugnazione incidentale

     

    VIII – Conclusione

    I – Introduzione

    1.

    La presente serie di impugnazioni solleva questioni fondamentali per l’ordinamento giuridico dell’Unione europea. Infatti, riguardando interessi di natura costituzionale, essa riflette un conflitto tra, da un lato, la necessità di preservare l’autonomia del diritto dell’Unione e, dall’altro, la volontà di conformarsi ad impegni internazionali derivanti da accordi cui l’Unione ha aderito.

    2.

    La specificità delle cause in esame consiste nel fatto che la convenzione internazionale in questione, ossia la convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (in prosieguo: la «convenzione di Aarhus»), approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 ( 2 ), è diretta, in particolare, a creare diritti processuali speciali a favore delle organizzazioni di tutela dell’ambiente al fine di tutelare, nell’interesse generale, l’ambiente inteso come bene comune. Tale caso di specie supera così la dicotomia tra i soggetti pubblici e i soggetti privati, che costituisce il criterio tradizionalmente utilizzato nell’analisi degli effetti interni degli obblighi convenzionali ( 3 ).

    3.

    Nel contesto particolare della convenzione di Aarhus, la Corte è pertanto invitata a rivedere le condizioni di invocabilità ( 4 ) delle disposizioni del diritto convenzionale internazionale dinanzi ai giudici dell’Unione nell’ambito del contenzioso di annullamento ai fini del controllo della legittimità del diritto derivato dell’Unione.

    4.

    La presente serie di cause ha origine nella giustapposizione di due disposizioni, una di diritto internazionale convenzionale e l’altra di diritto derivato dell’Unione, il cui obiettivo è di dare attuazione alla convenzione in questione.

    5.

    Infatti, l’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, relativo all’«accesso alla giustizia», prevede che, «ferme restando le procedure di ricorso di cui ai paragrafi 1 e 2, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale». La portata di tale disposizione è precisata al paragrafo 4 del medesimo articolo, il quale esige, in particolare, che le procedure di cui al paragrafo 3 offrano rimedi adeguati ed effettivi, ivi compresi, eventualmente, provvedimenti ingiuntivi, e siano obiettive, eque, rapide e non eccessivamente onerose.

    6.

    L’applicazione alle istituzioni e agli organi dell’Unione delle disposizioni della convenzione di Aarhus è disciplinata dal regolamento (CE) n. 1367/2006 ( 5 ) (in prosieguo: il «regolamento di Aarhus»). Conformemente all’articolo 10, paragrafo 1, del suddetto regolamento, relativo alla procedura di «riesame interno degli atti amministrativi», «[q]ualsiasi organizzazione non governativa che soddisfa i criteri di cui all’articolo 11 [ ( 6 )] può presentare una richiesta di riesame interno all’istituzione o all’organo comunitario che ha adottato un atto amministrativo ai sensi del diritto ambientale o, in caso di presunta omissione amministrativa, che avrebbe dovuto adottarlo». Per contro, la nozione di «atto amministrativo» ai sensi del regolamento in parola è definita all’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento di Aarhus, come «qualsiasi provvedimento di portata individuale nell’ambito del diritto ambientale adottato da un’istituzione o da un organo comunitari e avente effetti esterni e giuridicamente vincolanti». Il legislatore dell’Unione ha così escluso gli atti di portata generale dal controllo che le organizzazioni di tutela dell’ambiente hanno la facoltà di attivare.

    7.

    Nella sentenza Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht/Commissione (T‑396/09, EU:T:2012:301; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), il Tribunale ha proceduto al controllo della legittimità del regolamento di Aarhus, alla luce della convenzione di Aarhus, fondandosi sulla giurisprudenza derivante dalle sentenze Fediol/Commissione e Nakajima/Consiglio relativa a disposizioni dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (in prosieguo: il «GATT») e dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (in prosieguo: l’«accordo OMC») ( 7 ).

    8.

    Sebbene la sentenza del Tribunale mi sembri, per tale motivo, viziata da un errore di diritto che comporta necessariamente il suo annullamento, tuttavia l’aspetto essenziale di tale errore attiene alle condizioni di invocabilità delle norme convenzionali stabilite dalla Corte nella sua giurisprudenza, le quali non sembrano costituire un insieme del tutto coerente. Secondo tale giurisprudenza, per poter costituire un criterio di validità di un atto di diritto dell’Unione, una norma convenzionale deve essere, in particolare, incondizionata e sufficientemente precisa, quindi direttamente applicabile ( 8 ). Orbene, nel cercare, giustamente, una soluzione che consentisse di verificare la conformità del regolamento di Aarhus alla convenzione di Aarhus, il Tribunale ha tentato manifestamente di eludere tale condizione ( 9 ). Ritengo, a mia volta, che il segnale così lanciato dal Tribunale debba essere considerato con attenzione.

    9.

    Pertanto, se la mia analisi dell’errore commesso dal Tribunale fosse condivisa, alla Corte si prospetterebbe la seguente scelta. Qualora la Corte non nutrisse dubbi, sarebbe ipotizzabile inserirsi nel solco della giurisprudenza rappresentata dalla sentenza Intertanko e a. ( 10 ), la quale subordina la possibilità di un controllo di validità al criterio dell’applicabilità diretta, ed escludere così, in modo definitivo, i mezzi di controllo della legittimità del diritto interno, dando attuazione all’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus sia a livello dell’Unione che a livello degli Stati membri.

    10.

    Tuttavia, per le ragioni che esporrò, mi sembra preferibile optare per un adeguamento, da parte della Corte, delle condizioni di invocabilità, al pari, in particolare, dell’approccio adottato nella cosiddetta sentenza «Biotech» ( 11 ), la quale ha espressamente escluso che l’applicabilità diretta fosse una condizione di invocabilità universalmente riconosciuta nell’ambito del controllo di legittimità.

    11.

    Pertanto, anche in caso di rinvio della causa dinanzi al Tribunale, un’attenuazione delle condizioni di invocabilità consentirebbe al medesimo di verificare, basandosi su un fondamento adeguato, se, adottando il regolamento di Aarhus, il legislatore comunitario abbia concesso ai soggetti un grado di tutela giurisdizionale sufficiente alla luce della convenzione di Aarhus.

    II – Fatti e sentenza impugnata

    12.

    Le cause sorgono da una decisione della Commissione europea del 7 aprile 2009 ( 12 ), con la quale essa ha concesso al Regno dei Paesi Bassi una deroga temporanea agli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa ( 13 ) (in prosieguo: la «decisione di deroga»).

    13.

    Con lettera del 18 maggio 2009 la Vereniging Milieudefensie e la Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht (in prosieguo: le «organizzazioni di tutela dell’ambiente») hanno presentato alla Commissione una richiesta di riesame interno della decisione di deroga, conformemente all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento di Aarhus. Con la sua decisione C(2009) 6121, del 28 luglio 2009 (in prosieguo: la «decisione di irricevibilità»), la Commissione ha respinto tale richiesta in quanto irricevibile con la motivazione che la decisione di deroga non era un provvedimento di portata individuale e, quindi, non poteva essere oggetto della procedura di riesame interno prevista dal regolamento di Aarhus. Le organizzazioni di tutela dell’ambiente hanno pertanto proposto ricorso dinanzi al Tribunale.

    14.

    Nella sentenza impugnata, dopo aver respinto i motivi delle organizzazioni diretti a qualificare la decisione di deroga come provvedimento individuale, il Tribunale ha accolto un’eccezione di illegittimità sollevata dalle suddette organizzazioni riguardo all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento di Aarhus in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 1, lettera g) del medesimo regolamento, relativa all’incompatibilità di tali disposizioni con la convenzione di Aarhus. Pertanto, su richiesta delle organizzazioni di tutela dell’ambiente, il Tribunale ha annullato la decisione di irricevibilità.

    15.

    Per una descrizione dettagliata dei fatti e del procedimento all’origine della controversia, si rinvia alla presentazione contenuta nella sentenza impugnata.

    III – Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

    16.

    Con la sua impugnazione, proposta il 3 settembre 2012 (causa C‑401/12 P), il Consiglio dell’Unione europea chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata, di respingere il ricorso delle ricorrenti nella sua integralità e di condannare in solido le ricorrenti alle spese.

    17.

    Con la sua impugnazione, proposta il 24 agosto 2012 (causa C‑402/12 P), il Parlamento europeo chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata, di respingere il ricorso nel merito e di condannare le ricorrenti in primo grado alle spese della presente impugnazione.

    18.

    Con la sua impugnazione, proposta il 27 agosto 2012 (causa C‑403/12 P), la Commissione chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata, di decidere la causa nel merito e di respingere il ricorso di annullamento della decisione di irricevibilità, nonché di condannare le ricorrenti in primo grado alle spese sostenute dalla Commissione in primo grado e nell’ambito della presente impugnazione.

    19.

    Con ordinanza del presidente della Corte, del 21 novembre 2012, le cause C‑401/12 P, C‑402/12 P e C‑403/12 P sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza.

    20.

    In data 25 febbraio 2012 le organizzazioni di tutela dell’ambiente hanno depositato una comparsa di risposta all’impugnazione. In seguito alla domanda di regolarizzazione, in data 1o marzo 2012 le suddette parti hanno proposto un’impugnazione incidentale conformemente all’articolo 176, paragrafo 2, del regolamento di procedura.

    21.

    Il Consiglio, il Parlamento, la Commissione, le organizzazioni di tutela dell’ambiente nonché il governo ceco ( 14 ) sono stati sentiti all’udienza che si è tenuta il 10 dicembre 2013.

    IV – Sul fondamento del controllo di legittimità delle norme di diritto derivato alla luce del diritto internazionale convenzionale (primo motivo delle impugnazioni)

    A – Argomenti delle parti

    22.

    Con i loro primi motivi, il Consiglio, il Parlamento e la Commissione affermano in sostanza che, nella fattispecie, non può aver luogo alcun controllo di validità del regolamento di Aarhus, considerata l’assenza di applicabilità diretta dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, riconosciuta dalla Corte nella sentenza Lesoochranárske zoskupenie ( 15 ), e tenuto conto del fatto che le condizioni stabilite nella giurisprudenza della Corte ai fini dell’ammissibilità del controllo di legittimità degli atti di diritto derivato avevano natura eccezionale. Pertanto, escludendo l’approccio derivante dalla sentenza Lesoochranárske zoskupenie, e fondandosi sulla giurisprudenza derivante dalle sentenze Fediol/Commissione e Nakajima/Consiglio ( 16 ), la quale ammette una possibilità di controllo della legittimità degli atti di diritto derivato in casi eccezionali, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto.

    23.

    A tal proposito, le parti ricorrenti nell’impugnazione sono concordi nel ritenere che, essendo necessario interpretare le eccezioni in senso restrittivo ( 17 ), le disposizioni del regolamento di Aarhus non soddisfino, in ogni caso, le condizioni stabilite nella giurisprudenza Fediol/Commissione e Nakajima/Consiglio.

    24.

    Secondo il Consiglio, la sentenza Fediol/Commissione riguarderebbe il caso in cui un atto dell’Unione rinvia espressamente a disposizioni specifiche di un accordo internazionale. Tale ipotesi non ricorrerebbe nel caso del regolamento di Aarhus, dato che il mero riferimento, da parte di un atto di diritto derivato, a uno strumento di diritto internazionale non basterebbe a giustificare il fatto che esso possa essere sottoposto a un controllo giurisdizionale alla luce di tale strumento. Parimenti, il Tribunale non potrebbe fondarsi sulla sentenza Nakajima/Consiglio che riguarderebbe una diversa situazione in cui l’atto di diritto dell’Unione intende dare esecuzione a un obbligo «particolare» dell’accordo internazionale.

    25.

    Il Parlamento condivide tale analisi della sentenza Fediol/Commissione. Per quanto riguarda la sentenza Nakajima/Consiglio, il Parlamento sottolinea che tale giurisprudenza ha un ambito di applicazione assai limitato ( 18 ) e riguarda il caso in cui l’Unione intende «dare esecuzione» a un «obbligo particolare». Non si tratterebbe quindi, per l’Unione, di conformarsi ai suoi obblighi internazionali in generale quando dispone di un potere discrezionale quanto al modo di conformarsi agli obblighi ad essa incombenti ai sensi di un accordo internazionale determinato ( 19 ), bensì di dare esecuzione a un accordo che impone all’Unione un obbligo positivo di agire in un determinato senso e che non le lascia alcun margine di discrezionalità ( 20 ).

    26.

    Dal canto suo, la Commissione aggiunge che la sentenza Nakajima/Consiglio ha origine nei casi antidumping ed è stata applicata, in effetti, nella giurisprudenza della Corte, quasi esclusivamente a casi di controllo, in via incidentale, della conformità dei regolamenti antidumping dell’Unione alle disposizioni dei codici antidumping del GATT del 1979 e del 1994. Secondo la Commissione, non è possibile interpretare la suddetta sentenza come riferita a tutti i casi in cui l’Unione adotta un provvedimento per osservare i suoi obblighi nell’ambito di convenzioni internazionali.

    27.

    Nella comparsa di risposta alle impugnazioni le organizzazioni di tutela dell’ambiente chiedono alla Corte di «confermare la sentenza impugnata, correggendo o meno la motivazione sulla quale essa è fondata; di respingere le impugnazioni proposte dalla Commissione, dal Consiglio e dal Parlamento in tutti i loro elementi». Esse ritengono che la natura e l’oggetto della convenzione di Aarhus non ostino al controllo di validità e che le condizioni della sentenza Fediol/Commissione siano soddisfatte nel caso di specie, dato che il regolamento di Aarhus contiene vari riferimenti a tale convenzione.

    B – Sugli effetti del diritto internazionale nel diritto dell’Unione

    28.

    È stato detto che per comprendere e valutare il comportamento dei giudici nazionali dinanzi agli accordi internazionali, era necessario addentrarsi sino ai fondamenti costituzionali dello Stato ( 21 ). Tale esigenza si impone con forza ancora maggiore nelle cause in esame in quanto la Corte deve precisare le norme di riferimento applicabili al controllo della legittimità degli effetti interni della convenzione di Aarhus nell’ordinamento giuridico dell’Unione, mentre per decenni la giurisprudenza relativa ai rapporti tra il diritto internazionale e il diritto dell’Unione ha elaborato principi la cui applicazione non manca di suscitare interrogativi.

    29.

    Come ho già rilevato, sono del parere che applicando nella fattispecie la giurisprudenza derivante dalle sentenze Fediol/Commissione e Nakajima/Consiglio, il Tribunale sia incorso in un errore di diritto, dato che tali sentenze prevedono un’eccezione limitata, stabilita nell’ambito della giurisprudenza sugli accordi GATT e OMC, e non un approccio generale riguardo al controllo della legittimità del diritto dell’Unione. Al fine di illustrare tale tesi, è tuttavia necessario analizzare lo sviluppo della giurisprudenza vertente sugli effetti interni degli obblighi di diritto internazionale nel diritto dell’Unione. Ne risulterà che, come un albero, la giurisprudenza si è sviluppata, nel corso degli anni, in vari rami, che si ricollegano tuttavia a un «tronco comune» rappresentato dal principio monistico.

    – Il tronco comune monistico

    30.

    Da un punto di vista generale, sembra pacifico, a partire dalla sentenza Haegeman, pronunciata nel 1974 ( 22 ), che all’approccio monistico è sotteso l’articolo 216 TFUE (ex articolo 300, paragrafo 7, CE), a norma del quale «[g]li accordi conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri» ( 23 ), il che implica l’«incorporazione automatica» ( 24 ), con la conseguenza che gli accordi internazionali fanno parte, in quanto tali, delle fonti del diritto dell’Unione.

    31.

    Con la sentenza Kupferberg, pronunciata nel 1982 ( 25 ), la Corte ha confermato l’incorporazione degli accordi internazionali nell’ordinamento giuridico comunitario, pur sottolineando che «gli effetti, nella Comunità, delle disposizioni di un accordo [internazionale] non possono essere determinati prescindendo dall’origine internazionale delle disposizioni di cui trattasi», e che, «[in] conformità ai principi del diritto internazionale, [le parti contraenti possono] convenire (…) degli effetti che le disposizioni dell’accordo devono produrre nell’ordinamento interno delle parti contraenti». La Corte ha precisato che le istituzioni competenti a negoziare e concludere un accordo con un paese terzo sono libere di convenire effetti che le disposizioni devono produrre nell’ordinamento interno. Solo se tale questione non sia stata disciplinata dall’accordo incombe alla Corte risolverla ( 26 ).

    32.

    Conformemente all’approccio monistico, le disposizioni convenzionali producono quindi effetti nell’ordinamento giuridico dell’Unione anche in assenza di qualsiasi atto legislativo o regolamentare adottato ai fini della loro attuazione ( 27 ). Come ha sintetizzato l’avvocato generale Rozès nella causa Polydor, il regolamento che approva l’accordo internazionale ha quindi soltanto un valore strumentale ( 28 ). Una copiosa giurisprudenza successiva conferma che le disposizioni degli accordi internazionali formano parte integrante del diritto dell’Unione, anche quando le loro disposizioni non costituiscono norme di riferimento ai fini del controllo della legittimità del diritto derivato ( 29 ).

    33.

    Al riguardo, occorre sottolineare che il problema dell’invocabilità del diritto internazionale si è posto proprio in ragione del principio monistico, più in particolare alla luce del principio del diritto dell’Unione in forza del quale gli accordi internazionali sono gerarchicamente superiori a tutti gli atti di diritto derivato ( 30 ). Infatti, la giurisprudenza ammette che l’articolo 216, paragrafo 2, TFUE possa costituire il fondamento per invalidare una disposizione di diritto derivato incompatibile con il diritto internazionale. Nel diritto dell’Unione, tale preminenza non si estende al diritto primario e, in particolare, ai principi generali e ai diritti fondamentali ( 31 ).

    34.

    Per quanto riguarda l’ipotesi del controllo della legittimità di un atto di diritto dell’Unione alla luce di una disposizione di diritto internazionale, la Corte ha così osservato, nella sentenza International Fruit Company e a. del 1972, che la sua competenza ai fini del controllo di validità, nell’ambito del rinvio pregiudiziale, si estendeva a tutti i motivi di invalidità degli atti di diritto derivato ed era tenuta ad esaminare se la validità dei suddetti atti potesse essere inficiata dalla loro incompatibilità con una norma di diritto internazionale ( 32 ), esigendo, al contempo, che la condizione dell’applicabilità diretta fosse soddisfatta dinanzi al giudice nazionale.

    35.

    Infine, la preminenza degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sugli atti di diritto derivato impone anche di interpretare questi ultimi, per quanto possibile, in maniera conforme ai suddetti accordi ( 33 ).

    36.

    Ai fini della causa in esame occorre sottolineare che l’approccio monistico, che comporta un’incorporazione automatica delle disposizioni di diritto internazionale, costituisce la regola di base che consente di comprendere il rapporto tra il diritto dell’Unione e il diritto internazionale ( 34 ). Tuttavia, tale rapporto stretto richiede un atteggiamento prudente in nome dell’autonomia del diritto dell’Unione, il cui esempio più significativo è costituito dal rifiuto della Corte di riconoscere un’applicabilità diretta alle disposizioni degli accordi GATT e OMC ( 35 ), che ne avrebbe consentito l’invocabilità.

    – Primo ramo dualistico (giurisprudenza GATT/OMC)

    37.

    Sebbene la distinzione tra il monismo e il dualismo rappresenti una semplificazione che maschera importanti differenze tra i sistemi appartenenti all’uno o all’altro ambito ( 36 ), tuttavia, una caratteristica del dualismo consiste nel fatto che le disposizioni del diritto internazionale convenzionale non sono direttamente applicabili a livello nazionale, poiché i loro effetti giuridici, nell’ordinamento giuridico interno, dipendono da atti legislativi o regolamentari interni destinati a garantire la loro attuazione (trasformazione). Per contro, a causa della sussistenza di una fonte internazionale, l’interpretazione delle disposizioni interne in questione è regolata dal principio di «treaty friendly interpretation» onde evitare, per quanto possibile, gli eventuali conflitti tra la disposizione nazionale e un obbligo convenzionale. È questo l’approccio applicato, in sostanza, dalla Corte nella giurisprudenza relativa agli accordi GATT e OMC ( 37 ), senza tuttavia ammettere di essersi discostata dal monismo come principio fondamentale.

    38.

    Così, rispondendo all’invito dell’avvocato generale Mayras, che si era pronunciato a favore della coerenza tra gli accordi internazionali e gli atti delle istituzioni, la Corte ha dichiarato, nella causa International Fruit Company e a., che la validità di questi ultimi poteva «essere influenzata da una norma di diritto internazionale qualora detta norma sia vincolante per la Comunità ed attribuisca ai singoli cittadini di questa il diritto di esigerne giudizialmente l’osservanza» ( 38 ). Nella fattispecie, la Corte ha tuttavia dichiarato che l’articolo XI dell’accordo GATT non produceva un effetto di tal genere.

    39.

    La giurisprudenza così adottata conferma la natura particolare degli accordi GATT e OMC ( 39 ), attinente, da un lato, al fatto che essi sono fondati sul principio di negoziati da condursi su una «base di reciprocità e di vantaggio mutui» e, dall’altro, alla posizione della Comunità all’epoca della loro adozione ( 40 ).

    40.

    Infatti, è pacifico che gli accordi dell’OMC non contengono alcun riferimento allo status degli accordi nell’ordinamento giuridico interno degli Stati firmatari. A differenza della situazione esistente nel diritto dell’Unione a seguito dell’affermazione di principio contenuta nella sentenza Van Gend en Loos, gli accordi GATT e OMC non hanno creato un nuovo ordinamento giuridico comprendente le parti contraenti o gli Stati membri e i loro cittadini ( 41 ). Pertanto, il sistema degli accordi dell’OMC riconosce diritti ai singoli unicamente attraverso soluzioni adottate dai membri dell’OMC e non obbliga in alcun modo i giudici nazionali a non applicare una disposizione contraria alle norme dell’OMC ( 42 ).

    41.

    Per quanto riguarda il GATT, la Corte ha chiaramente osservato che il suddetto accordo non poteva essere invocato da un singolo dinanzi ai giudici comunitari al fine di contestare la validità di una misura comunitaria ( 43 ). L’accordo GATT è caratterizzato dalla flessibilità delle sue disposizioni, tenuto conto del suo sistema di risoluzione delle controversie non vincolante, nonché dalla possibilità di sottrarsi agli obblighi dell’accordo quando un danno veniva causato o rischiava di essere causato per effetto degli impegni convenuti nell’ambito del GATT.

    42.

    Per quanto riguarda gli accordi dell’OMC, la Corte ha precisato, in primo luogo, che tali accordi non stabiliscono i mezzi giuridici idonei a provvedere al loro adempimento in buona fede nell’ordinamento giuridico interno dei membri dell’OMC ( 44 ). La Corte ha sottolineato che il sistema di risoluzione delle controversie attribuiva una posizione di rilievo alla negoziazione tra le parti. Ciò consentirebbe quindi a un membro che abbia adottato provvedimenti incompatibili con le norme dell’OMC, di fare ricorso a una compensazione reciproca, anziché procedere al ritiro dei provvedimenti in questione. L’annullamento di un provvedimento contrario agli obblighi derivanti dagli accordi dell’OMC equivarrebbe a privare gli organi legislativi o esecutivi delle parti contraenti della possibilità di trovare soluzioni negoziate. La Corte si è altresì fondata su considerazioni di reciprocità connesse al rifiuto delle controparti commerciali della Comunità di sottoporsi al controllo di legittimità del loro diritto interno in base agli accordi dell’OMC ( 45 ).

    43.

    La Corte si è strettamente attenuta al suo approccio escludendo la possibilità per un singolo di invocare la violazione delle norme dell’OMC in un’azione risarcitoria, anche nel caso in cui l’atto contestato sia stato censurato dall’Organo di conciliazione dell’OMC ( 46 ). Tale giurisprudenza implica altresì che gli stessi ricorrenti privilegiati non possano chiedere il controllo di legittimità ( 47 ). Tale approccio non ha impedito tuttavia alla Corte di accertare un inadempimento per inosservanza delle disposizioni dell’accordo GATT ( 48 ).

    44.

    Tutto ciò non rimette tuttavia in discussione la regola fondamentale secondo la quale l’accordo GATT e gli accordi OMC fanno parte del diritto comunitario e vincolano quindi, in via di principio, la Comunità ( 49 ). Pertanto, secondo la Corte, le norme dell’OMC (nella fattispecie gli accordi ADPIC), in quanto parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario, sono norme di riferimento nell’interpretazione degli atti di diritto dell’Unione ( 50 ).

    – Una ramificazione del primo ramo (giurisprudenza derivante dalle sentenze Fediol/Commissione e Nakajima/Consiglio)

    45.

    Tenuto conto del carattere restrittivo della giurisprudenza generale relativa agli effetti degli accordi GATT e OMC, la Corte ha stabilito un’eccezione ( 51 ), parimenti conosciuta con la denominazione di «principio di attuazione» ( 52 ), secondo la quale i giudici comunitari possono controllare la legittimità di un atto di diritto derivato alla luce delle norme dell’OMC, tra cui il GATT, nel caso in cui «la Comunità abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC, ovvero nel caso in cui l’atto comunitario rinvii espressamente a precise disposizioni degli accordi OMC» ( 53 ).

    46.

    Nella causa Fediol/Commissione la ricorrente contestava la legittimità della decisione della Commissione che respingeva la sua denuncia volta ad ottenere l’avvio di una procedura d’esame relativa a pratiche commerciali dell’Argentina. A tal fine, essa si basava sul regolamento (CEE) n. 2641/84 del Consiglio, del 17 settembre 1984, relativo al rafforzamento della politica commerciale comune, particolarmente in materia di difesa contro le pratiche commerciali illecite ( 54 ) e aggiungeva che le suddette pratiche erano anche contrarie a varie disposizioni del GATT ( 55 ). Nella causa Nakajima/Consiglio la ricorrente ha fatto valere, sul fondamento dell’articolo 184 CEE, l’inapplicabilità di disposizioni di un regolamento antidumping sostenendo, in particolare, che tale regolamento era contrario a talune disposizioni del codice antidumping del GATT.

    47.

    Come emerge dalla sentenza Van Parys ( 56 ), le suddette sentenze rappresentano le uniche due eccezioni alla regola generale, eccezioni proprie del settore degli accordi GATT e OMC, tenuto conto della loro natura e della loro sistematica, le quali si fondano sui principi dei negoziati e della reciprocità, nonché della necessità di preservare il margine di manovra delle istituzioni dell’Unione.

    48.

    Il primo motivo delle presenti impugnazioni deve essere analizzato alla luce di tutte le suesposte considerazioni.

    C – Sulla sentenza impugnata

    49.

    Osservo, anzitutto, che l’iter logico seguito dal Tribunale ai punti da 55 a 57 della sentenza impugnata si fonda principalmente su una delle eccezioni elaborate nell’ambito degli accordi GATT e OMC, ossia la giurisprudenza Nakajima/Consiglio, mentre il riferimento alla sentenza Fediol/Commissione è soltanto secondario, se non addirittura di ordine puramente redazionale ( 57 ). Ritengo, infatti, che il punto 58 della sentenza impugnata costituisca una giustificazione dell’affermazione ivi contenuta come prima frase, secondo la quale il regolamento di Aarhus è stato adottato per adempiere gli obblighi dell’Unione derivanti dall’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus.

    50.

    Pertanto, dinanzi al rifiuto opposto dalla Corte, nella sentenza Lesoochranárske zoskupenie (EU:C:2011:125), di riconoscere un qualsiasi effetto diretto all’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, e poiché tale rifiuto sembrava escludere qualsiasi possibilità di controllo della legittimità del diritto derivato rispetto a una disposizione convenzionale, il Tribunale ha scelto di applicare un’eccezione relativa all’«attuazione» di un accordo internazionale, fondata sulla sentenza Nakajima/Consiglio.

    51.

    Così facendo, il Tribunale è incorso, a mio parere, in un errore di diritto che si manifesta a due livelli.

    52.

    Al primo livello, l’errore in questione consiste nell’attribuire a una giurisprudenza vertente sugli accordi GATT e OMC una portata universale. L’errore consta quindi nell’applicazione di una giurisprudenza vertente su accordi specifici, caratterizzati, come emerge dalle osservazioni precedenti, da una logica e da un sistema giuridico propri di un settore fondamentalmente distinto, ossia quello della convenzione di Aarhus, al fine di procedere a un controllo di legittimità del diritto derivato dell’Unione alla luce della suddetta convenzione. Orbene, è esclusa, a mio parere, l’applicazione del ragionamento che ha motivato la suddetta giurisprudenza ad altri campi del diritto ( 58 ).

    53.

    La Corte ha già avuto occasione di porre in risalto la particolare natura delle norme applicabili nell’ambito degli accordi GATT e OMC rispetto a quelle risultanti da altre convenzioni internazionali, quali la convenzione per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi ( 59 ) e la convenzione sulla diversità biologica ( 60 ) al fine di dedurne l’impossibilità di applicare le suddette norme al di fuori del loro ambito. La Corte ha così precisato che l’esclusione del controllo della legittimità di un atto comunitario alla luce degli accordi OMC/ADPIC/OTC non può essere applicata a una convenzione che, a differenza dell’accordo OMC, non è strettamente fondata sul principio della reciproca convenienza ( 61 ).

    54.

    Correlativamente, a un secondo livello, il Tribunale ha tentato erroneamente di giustificare il controllo della legittimità in base a un’eccezione stabilita dalla sentenza Nakajima/Consiglio, sebbene la suddetta sentenza rappresenti una ramificazione della giurisprudenza in seno alla giurisprudenza relativa agli accordi GATT e OMC, propria di tale settore giuridico.

    55.

    Infatti, come ha ricordato il Tribunale nella sentenza Chiquita Brands e a./Commissione, la regola emersa dalla sentenza Nakajima/Consiglio è volta, a titolo eccezionale, a consentire al soggetto di diritto di dedurre, in via incidentale, la violazione da parte della Comunità o delle sue istituzioni delle norme del GATT o degli accordi OMC. In quanto eccezione al principio secondo il quale i singoli non possono invocare direttamente le disposizioni degli accordi OMC dinanzi al giudice comunitario, tale regola è soggetta ad interpretazione restrittiva ( 62 ). Ritengo che siffatta definizione della sua portata escluda qualsiasi possibilità di farla valere al di fuori dell’ambito delle norme degli accordi GATT e OMC. Pertanto, non occorre neppure esaminare se le eccezioni in questione siano state correttamente applicate nella fattispecie.

    56.

    Propongo pertanto di accogliere il primo motivo delle impugnazioni e di annullare la sentenza impugnata per la parte in cui ha accolto il secondo motivo dedotto in primo grado e ha proceduto al controllo della legittimità fondandosi sulla giurisprudenza derivante dalle sentenze Fediol/Commissione e Nakajima/Consiglio.

    57.

    Per le ragioni di seguito esposte, e che non hanno potuto essere oggetto di discussione tra le parti, mi sembra che lo stato degli atti non consenta di statuire definitivamente sulla controversia ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia e che la causa debba essere rinviata al Tribunale. Per contro, qualora la Corte decidesse di statuire, nella fattispecie, sul fondamento della citata sentenza Intertanko e a. (EU:C:2008:312), sulla quale si fondano le impugnazioni, il rinvio della causa non sarebbe più necessario.

    V – Sulla soluzione alternativa ai fini del controllo di legittimità – ragioni del rinvio della causa al Tribunale

    A – Sull’invocabilità diretta delle norme convenzionali ai fini del controllo della legittimità del diritto derivato dell’Unione

    1. Sull’«applicabilità diretta» come condizione del controllo della legittimità

    58.

    È pacifico che la validità di un atto dell’Unione può essere inficiata dalla sua incompatibilità con tali norme di diritto internazionale ( 63 ). Nella giurisprudenza classica, la Corte verifica siffatta incompatibilità procedendo per fasi successive. Così, l’Unione dev’essere anzitutto vincolata dalle norme in questione ( 64 ). Inoltre, la Corte può procedere all’esame della validità di un atto di diritto dell’Unione alla luce di un accordo internazionale solo ove ciò non sia escluso né dalla natura né dalla sistematica dello stesso ( 65 ). Infine, qualora la natura e la sistematica ( 66 ) dell’accordo in questione consentano di ipotizzare un controllo della validità dell’atto di diritto dell’Unione alla luce delle disposizioni di detto accordo, è altresì necessario che le disposizioni di tale accordo invocate ai fini dell’esame della validità dell’atto di diritto dell’Unione appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise, quindi direttamente applicabili ( 67 ).

    59.

    La condizione dell’applicabilità diretta è soddisfatta quando la disposizione invocata implichi un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano subordinati all’adozione di alcun atto ulteriore ( 68 ).

    60.

    Tuttavia, allo stato attuale del diritto dell’Unione, risulta difficile sostenere che esista un unico approccio uniforme in materia di controllo della legittimità del diritto derivato alla luce degli strumenti di diritto convenzionale. Infatti, la relativa giurisprudenza non costituisce più un blocco consolidato, ma sembra caratterizzata, al contrario, da una certa diversità che rasenta, talvolta, l’incoerenza.

    61.

    Innanzi tutto, per quanto riguarda il riconoscimento stesso dell’applicabilità diretta di disposizioni di un accordo internazionale, il giudice dell’Unione dà manifestamente prova di flessibilità riguardo all’invocabilità diretta degli accordi con Stati terzi, in particolare degli accordi di associazione ( 69 ). Tale approccio consente ai singoli di far valere in giudizio le disposizioni in questione, in quanto una convenzione internazionale può incidere direttamente sulla loro situazione ( 70 ). Per contro, come ho già rilevato, nel settore particolare degli accordi OMC e degli accordi ADPIC e OTC, caratterizzati da una natura e da una sistematica specifiche, le disposizioni dei suddetti accordi non figurano tra le norme alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie ( 71 ).

    62.

    L’approccio «classico» summenzionato dev’essere messo a confronto con la realtà da cui emerge una maggiore diversità tra gli accordi di cui l’Unione è parte, il che implica una diversità degli effetti prodotti da tali accordi nel diritto dell’Unione. Infatti, è pacifico che un accordo di cooperazione commerciale non può produrre, nell’ordinamento interno, effetti paragonabili a una convenzione multilaterale che crea un regime di portata generale implicante obiettivi «politici» ambiziosi, che è spesso quanto avviene, in particolare, in materia di tutela dell’ambiente e di diritto dei trasporti ( 72 ). Inoltre, gli accordi di associazione e di partenariato presentano una rilevante specificità quando stabiliscono il ravvicinamento tra i principi relativi alle libertà fondamentali ( 73 ).

    63.

    Per quanto riguarda il controllo di legittimità, se è vero che, in taluni casi, la Corte procede a un controllo alla luce delle disposizioni di diritto convenzionale, senza fornire, al riguardo, una motivazione approfondita al pari della sentenza pronunciata nella causa IATA e ELFAA ( 74 ), in altri casi, la Corte adotta una posizione più rigorosa, al pari dell’approccio adottato nella causa Intertanko e a.

    64.

    Nelle conclusioni presentate in quest’ultima causa, l’avvocato generale Kokott ha considerato che la convenzione sul diritto del mare poteva rappresentare un «criterio [di controllo]» per valutare la legittimità degli atti di diritto derivato ( 75 ). La Corte non ha seguito tuttavia l’iter logico proposto dal suo avvocato generale, fondandosi sulla mancanza di norme destinate a essere direttamente e immediatamente applicate ai singoli e a conferire a questi ultimi diritti o libertà che possono essere fatti valere nei confronti degli Stati ( 76 ).

    65.

    La soluzione così accolta nella causa Intertanko e a. ha suscitato interrogativi in quanto costituisce un punto di rottura rispetto a una sentenza precedente, pronunciata nella causa Poulsen e Diva Navigation ( 77 ), nella quale la Corte aveva riconosciuto ai singoli il diritto di fare riferimento alla medesima convenzione sul diritto del mare in quanto espressione del diritto internazionale consuetudinario ( 78 ).

    66.

    La Corte ha fornito alcune precisazioni relative all’invocabilità del diritto internazionale consuetudinario nella sentenza ATA e a. (EU:C:2011:864), nella quale essa ha dichiarato che «i principi di diritto internazionale consuetudinario (…) possono essere invocati da un singolo ai fini dell’esame, da parte della Corte, della validità di un atto dell’Unione se e in quanto, da un lato, essi siano idonei a mettere in discussione la competenza dell’Unione ad adottare tale atto [ ( 79 )] e, dall’altro, l’atto in questione possa incidere su diritti attribuiti al singolo dal diritto dell’Unione oppure far sorgere in capo a tale singolo obblighi correlati al diritto dell’Unione stesso» ( 80 ).

    67.

    Infine, la causa che si discosta in modo più netto dall’approccio «classico» summenzionato è, con tutta evidenza, quella che ha dato luogo alla citata sentenza, cosiddetta «Biotech» (EU:C:2001:523) ( 81 ). Infatti, la Corte ha considerato che il fatto che un accordo internazionale contenga disposizioni non direttamente applicabili, nel senso che esse non creerebbero diritti che i privati possano far valere direttamente in giudizio, non costituisce un ostacolo al controllo, da parte del giudice, dell’osservanza degli obblighi incombenti alla Comunità in quanto parte di tale accordo ( 82 ).

    68.

    Orbene, siffatta presa di posizione mi sembra decisiva per le cause in esame.

    69.

    Inoltre, è giocoforza constatare il conflitto esistente tra il rifiuto di riconoscere l’invocabilità diretta dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, giustificato dalla necessità di adottare misure di attuazione, e la volontà di garantire una tutela giurisdizionale effettiva conforme ai requisiti fissati dalla convenzione, quale espressa nella sentenza Lesoochranárske zoskupenie ( 83 ). La Corte ha così sottolineato che le disposizioni della suddetta convenzione «benché redatt[e] in termini generali, ha[nno] lo scopo di permettere di assicurare una tutela effettiva dell’ambiente». Essa ha quindi imposto ai giudici nazionali di interpretare il diritto nazionale, «nei limiti del possibile, in conformità agli scopi dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus» ( 84 ). Orbene, è indubbio che, in quanto istituzione, la Corte sia anch’essa tenuta a conformarsi alla convenzione di Aarhus ( 85 ).

    2. Sull’adeguamento delle condizioni prescritte ai fini dell’invocabilità diretta

    70.

    Ricordo che, conformemente a una giurisprudenza costante ( 86 ), la Comunità è una comunità di diritto nel senso che né gli Stati che ne fanno parte, né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale di base costituita dal Trattato. La nozione di comunità di diritto presenta una duplice dimensione: anzitutto, una dimensione normativa che implica un obbligo di conformità al Trattato, e poi una dimensione giurisdizionale che presuppone una tutela giurisdizionale dei singoli contro gli atti di diritto derivato illegittimi ( 87 ).

    71.

    Inoltre, risulta sempre più spesso difficile, per la Corte, garantire l’osservanza degli obblighi internazionali incombenti all’Unione, preservando, al contempo, l’autonomia del diritto dell’Unione, in particolare nel settore del diritto internazionale dell’ambiente ( 88 ). Il diritto dell’ambiente è, infatti, uno degli esempi del moltiplicarsi delle sedi di elaborazione e di applicazione del diritto, circostanza che conduce necessariamente a fenomeni di interazione, di internazionalizzazione se non addirittura di globalizzazione del suddetto diritto ( 89 ). Tale contesto normativo stratificato richiede, a mio avviso, un approccio diversificato.

    72.

    È vero che l’applicabilità diretta rappresenta un principio che autorizza il giudice nazionale ad applicare una norma di diritto internazionale quale fondamento autonomo della sua decisione quando detta norma non è recepita oppure è recepita in modo inadeguato nel diritto nazionale ( 90 ). Nel diritto dell’Unione la teoria dell’applicabilità diretta, come applicata ai rapporti tra il diritto dell’Unione e l’ordinamento giuridico degli Stati membri, è limitata a norme rispondenti all’esigenza di esaustività ( 91 ). È pacifico che la nozione di applicabilità diretta è quindi propria della situazione di un singolo che, nel contesto normativo nazionale, intende far valere il diritto dell’Unione, ivi comprese le convenzioni internazionali che vincolano l’Unione stessa. Tuttavia, allo stato attuale dello sviluppo del diritto dell’Unione, la teoria dell’applicabilità diretta, che ha potuto essere qualificata come «malattia infantile» del diritto dell’Unione ( 92 ), non è più volta a tutelare la sua autonomia sul piano internazionale.

    73.

    Inoltre, alla luce della suesposta giurisprudenza, la teoria dell’applicabilità diretta non rappresenta un principio universale e obbligatorio nell’ambito del controllo, da parte del giudice dell’Unione, degli atti delle istituzioni dell’Unione.

    74.

    Orbene, nell’ambito delle presenti impugnazioni, occorre osservare che l’applicazione automatica e senza riserve della giurisprudenza derivante dalla sentenza Intertanko e a. in combinato disposto con la sentenza Lesoochranárske zoskupenie porterebbe la Corte a escludere qualsiasi controllo giurisdizionale dell’osservanza degli impegni dell’Unione europea derivanti dall’articolo 9, paragrafo 3, della convention di Aarhus sia da parte del giudice nazionale che da parte del giudice dell’Unione. Pertanto, la nozione di tutela giurisdizionale nell’ordinamento giuridico dell’Unione, intesa in senso ampio come avente ad oggetto non solo i mezzi di ricorso diretti, ma anche il meccanismo del rinvio pregiudiziale, rischia di risultarne sostanzialmente compromessa.

    75.

    Tenuto conto di tutte le suesposte considerazioni, risulta quindi legittimo chiedersi come far evolvere la condizione dell’applicabilità diretta ai fini dell’invocabilità diretta delle disposizioni convenzionali.

    76.

    Alla luce dell’iter logico seguito dalla Corte nella causa Air Transport Association of America e a. (EU:C:2011:864), l’invocabilità diretta di un atto di diritto internazionale presuppone, anzitutto, che esso sia esaminato alla luce della sua natura, della sua sistematica e dei suoi obiettivi, salvo che sia stato stabilito che l’Unione è assolutamente vincolata dall’atto in questione. Per quanto riguarda, in un secondo tempo, una disposizione convenzionale particolare, che può fungere da criterio di riferimento per il controllo della legittimità del diritto derivato dell’Unione, occorre analizzare le sue caratteristiche.

    77.

    Sono del parere che si debba distinguere chiaramente, sul piano concettuale, tra il caso di specie in cui un singolo intenda invocare direttamente un atto di diritto internazionale facendo valere un diritto, che sarebbe ivi stabilito a suo favore, e quello del controllo del potere discrezionale delle istituzioni dell’Unione durante il processo di allineamento ( 93 ) di un atto di diritto dell’Unione a un atto di diritto internazionale. Di norma, spetta agli attori privilegiati attivare siffatto controllo dinanzi ai giudici dell’Unione, ma nell’ambito della convenzione di Aarhus tale possibilità è stata parimenti offerta alle organizzazioni di tutela dell’ambiente che soddisfino i criteri previsti a tal fine.

    78.

    Onde evitare la creazione di uno spazio sottratto a qualsiasi controllo giurisdizionale, mi sembra legittimo sostenere che, nell’ambito del controllo della conformità di un atto di diritto dell’Unione al diritto internazionale, l’assenza di applicabilità diretta di una disposizione, intesa come norma esaustiva e fonte di diritti, non dovrebbe costituire un ostacolo all’esame della legittimità, purché le caratteristiche della convenzione in questione non ostino a tale esame.

    79.

    Per contro, la disposizione di diritto internazionale che può fungere da criterio di riferimento ai fini del controllo di legittimità deve contenere necessariamente elementi sufficientemente chiari, intellegibili e precisi. Tuttavia, occorre sottolineare che siffatta disposizione può avere natura mista. Se è possibile isolare nel suo contenuto alcune parti rispondenti alla predetta condizione, deve potersi procedere al suddetto controllo di legittimità.

    80.

    Infatti, una disposizione di diritto internazionale, pur lasciando alle parti contraenti un apprezzabile margine di manovra per taluni aspetti, può contenere, parallelamente, norme precise e incondizionate ( 94 ). Osservo che siffatte disposizioni miste sono frequenti nel diritto dell’ambiente.

    81.

    L’adeguamento delle condizioni di invocabilità che propongo, non è in contrasto, del resto, con la posizione della Corte secondo la quale, in caso di norme non direttamente applicabili, come gli accordi OMC, i ricorrenti privilegiati non possono neppure richiedere un controllo di legittimità ai sensi dell’articolo 263 TFUE. Per contro, ritengo che l’approccio adottato nella sentenza Germania/Consiglio ( 95 ), poi confermato nella sentenza Portogallo/Consiglio, EU:C:1999:574, rifletta giustamente l’idea secondo la quale sono innanzi tutto le particolarità dell’accordo internazionale in questione a giustificare o, al contrario, a impedire l’invocabilità diretta da parte di un singolo nonché l’esercizio del controllo di legittimità da parte della Corte ( 96 ).

    82.

    Peraltro, la necessità di stabilire, nella giurisprudenza della Corte, una distinzione tra la questione dell’invocabilità diretta di una disposizione convenzionale e la possibilità di controllare la validità di una norma di diritto derivato alla luce del diritto internazionale è stata posta in numerose analisi dottrinali ( 97 ) nonché rilevata dagli avvocati generali ( 98 ). È stato così sostenuto, correttamente, che la teoria dell’invocabilità diretta dovrebbe essere ricostruita autonomamente ( 99 ).

    83.

    In particolare, taluni autori hanno considerato che la questione se un accordo internazionale conferisca diritti ai singoli era irrilevante al fine di valutare se una disposizione in questione figuri tra le norme alle quali la Corte fa riferimento ai fini del controllo della legittimità degli atti di diritto dell’Unione ( 100 ).

    84.

    Occorre quindi verificare se l’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus soddisfi le condizioni prescritte ai fini della sua invocabilità.

    B – L’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus quale norma di riferimento ai fini del controllo di legittimità

    85.

    Innanzi tutto, occorre ricordare che la convenzione di Aarhus, considerata come un «pilastro della democrazia ambientale» ( 101 ), è stata sottoscritta dalla Comunità e poi approvata con la decisione 2005/370. In quanto accordo misto concluso, al contempo, dall’Unione e dai suoi Stati membri, la convenzione costituisce ormai parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione ( 102 ). L’Unione è quindi vincolata dalla suddetta convenzione proprio come lo sono tutte le sue istituzioni legislative, esecutive e giurisdizionali.

    86.

    La Corte ha già confermato la sua competenza a interpretare le disposizioni della convenzione di Aarhus ( 103 ) e ha pronunciato in proposito un numero consistente di sentenze nell’ambito di questioni pregiudiziali interpretative nonché di procedimenti di inadempimento ( 104 ).

    87.

    Concedendo ai cittadini tre diritti processuali in materia di ambiente ( 105 ), la convenzione di Aarhus stabilisce anche degli obblighi. Così, essa prevede che ogni persona abbia il dovere «di tutelare e migliorare l’ambiente nell’interesse delle generazioni presenti e future». Per la parte in cui essa riconosce diritti che si ricollegano agli obiettivi di tutela dell’ambiente, la convenzione di Aarhus ha natura di strumento processuale. Infatti, la tutela dell’ambiente è possibile solo nel caso in cui gli interessati possano avvalersi di veri e propri strumenti di azione nel settore, assai vasto, disciplinato dalla convenzione. La convenzione di Aarhus è quindi una fonte di «diritti di partecipazione civica», sotto forma di codificazione di diritti processuali in materia di ambiente.

    88.

    A differenza, ad esempio, dell’accordo OMC, la convenzione di Aarhus non è quindi fondata sul principio della reciproca convenienza delle parti contraenti ( 106 ).

    89.

    Per contro, la convenzione di Aarhus ha lo scopo di consentire alle autorità pubbliche e ai cittadini di assumersi le proprie responsabilità individuali e collettive al fine di tutelare e migliorare l’ambiente, per il benessere e la prosperità delle generazioni presenti e future ( 107 ). Essa non costituisce un esempio tecnico di accordo nel settore dell’ambiente, bensì l’espressione di un diritto umano all’ambiente nella sua dimensione più solenne. Pertanto, è molto probabile che, tra le disposizioni in essa contenute, alcune non siano immediatamente applicabili («self‑executing»). Ciò spiega l’importanza delle disposizioni nazionali adottate al fine di garantire l’effettività di tali prescrizioni internazionali nel diritto interno e, di conseguenza, la necessità di un controllo della legittimità di siffatte norme.

    90.

    Per quanto riguarda, più in particolare, l’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, detta disposizione stabilisce la possibilità di contestare la violazione di disposizioni di diritto ambientale nazionale.

    91.

    È vero che la Corte, nella sentenza Lesoochranárske zoskupenie, ha dichiarato che le disposizioni del suddetto articolo «non cont[engono] alcun obbligo chiaro e preciso idoneo a regolare direttamente la situazione giuridica dei cittadini» ( 108 ). In tale prospettiva, la disposizione in parola è chiaramente subordinata all’adozione di un atto successivo e i singoli non possono farla valere. Infatti, l’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus riconosce alle parti contraenti la possibilità di definire i criteri in base ai quali i membri del pubblico possono ottenere che sia concesso loro il diritto di stare in giudizio.

    92.

    Mi sembra, tuttavia, che l’articolo 9, paragrafo 3, costituisca una «disposizione mista», in quanto contiene anche un obbligo di risultato chiaramente individuabile per le parti contraenti.

    93.

    La Corte stessa ha rilevato che «benché redatt[e] in termini generali, [le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 3, hanno] lo scopo di permettere di assicurare una tutela effettiva dell’ambiente» ( 109 ). Tale tutela si traduce, all’articolo 9 della convenzione di Aarhus, nell’istituzione di modalità procedurali applicabili ai ricorsi destinati a garantire la salvaguardia dei «diritti di partecipazione civica» derivanti dalla convenzione stessa. Inoltre, l’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus dev’essere letto in combinato disposto con l’articolo 1 della suddetta convenzione, che impone a ciascuna parte contraente l’obbligo di garantire i diritti di accesso alla giustizia in materia ambientale.

    94.

    In ogni caso, la natura mista della norma di cui all’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus si traduce, sul piano nazionale, nel potere discrezionale concesso al legislatore al fine di determinare taluni criteri cui deve rispondere un’organizzazione per contestare la violazione del diritto dell’ambiente. Tuttavia, mi sembra indubbio che l’obbligo di garantire l’accesso alla giustizia è sufficientemente chiaro per ostare a una norma che abbia come scopo o come effetto di escludere talune categorie di decisioni non legislative delle autorità pubbliche dall’ambito del controllo che deve essere esercitato dai giudici nazionali.

    95.

    A mio avviso, alla luce del suo obiettivo e della sua sistematica, l’articolo 9, paragrafo 3, costituisce quindi, in parte, una norma sufficientemente chiara per poter fungere da fondamento al controllo di legittimità per quanto riguarda l’accesso alla giustizia delle organizzazioni aventi capacità di agire ai sensi della normativa nazionale se non addirittura di quella dell’Unione. Pertanto, l’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus può fungere da criterio di riferimento ai fini della valutazione della legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione.

    VI – Analisi, effettuata in via subordinata, riguardo al controllo di legittimità

    A – Osservazioni preliminari

    96.

    Sia nell’ipotesi di un rinvio della causa al Tribunale sia nell’ipotesi in cui la Corte ritenga di poter statuire nel merito, mi sembra indispensabile presentare, in subordine, alcune osservazioni relative all’esame della legittimità del regolamento di Aarhus alla luce della convenzione di Aarhus.

    97.

    Al riguardo, occorre precisare che la presente serie di cause non riguarda le condizioni generali di accesso alla giustizia ai sensi dell’articolo 263 TFUE nel settore del diritto dell’ambiente, ma è diretta ad analizzare se il legislatore dell’Unione abbia correttamente integrato i mezzi di ricorso alla luce dei requisiti fissati dalla convenzione di Aarhus, restringendo la nozione di atti e, più precisamente, se, in tale contesto, esso abbia potuto escludere l’accesso alla giustizia prescritto nei confronti di atti non legislativi di portata generale adottati dalle istituzioni dell’Unione. Infatti, come emerge dai lavori preparatori del regolamento di Aarhus, con la firma della convenzione di Aarhus, la Comunità europea si è impegnata ad allineare la sua normativa ai requisiti fissati dalla convenzione in materia di accesso alla giustizia.

    B – Argomenti sviluppati dalla Commissione nell’ambito del secondo motivo

    98.

    Nella sua impugnazione la Commissione deduce un secondo motivo vertente sulla circostanza che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nell’interpretare l’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus. Essa fa valere che tale disposizione offrirebbe un’alternativa alle parti contraenti in quanto impone loro di assicurare procedimenti di ricorso amministrativi o giurisdizionali di revisione. Pertanto, il Tribunale avrebbe dovuto quantomeno verificare se le ricorrenti fossero in grado di ricorrere a un procedimento giurisdizionale contro il provvedimento di portata individuale in questione, o nei Paesi Bassi o nell’ambito dell’Unione, prima di constatare l’incompatibilità dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento di Aarhus con l’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione. La Commissione ricorda che, conformemente all’articolo 33 della direttiva 2008/50, il Regno dei Paesi Bassi ha attuato la deroga temporanea agli obblighi della suddetta direttiva mediante un decreto del 19 agosto 2009 ( 110 ). Secondo la Commissione, le organizzazioni di tutela dell’ambiente hanno avuto quindi la possibilità di adire il giudice nazionale contro le misure di attuazione. L’esame della validità della decisione di deroga avrebbe potuto formare oggetto di una questione pregiudiziale.

    99.

    In ogni caso, secondo la Commissione, non risulta che l’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento di Aarhus sia l’unica disposizione a dare esecuzione all’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus: a suo giudizio, il fatto che tale articolo limiti il procedimento di revisione agli atti di portata individuale dimostra che il legislatore dell’Unione ha considerato che, per gli atti di portata generale, i mezzi giuridici sono sufficienti per l’osservanza dei requisiti di cui all’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus.

    C – Sull’esistenza di un controllo delle violazioni del diritto dell’ambiente nell’ambito della convenzione di Aarhus

    100.

    In conformità a una costante giurisprudenza, un accordo internazionale dev’essere interpretato non soltanto alla stregua dei termini in cui è redatto, ma anche alla luce dei suoi obiettivi. Gli articoli 31 delle convenzioni di Vienna, del 23 maggio 1969, sul diritto dei trattati, e del 21 marzo 1986, sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali, che costituiscono, in materia, espressione del diritto internazionale consuetudinario, precisano, a tal proposito, che un trattato dev’essere interpretato in buona fede, secondo il senso comune da attribuire ai suoi termini nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo ( 111 ).

    101.

    Dal preambolo della convenzione di Aarhus risulta che, tenuto conto della necessità di salvaguardare, tutelare e migliorare lo stato dell’ambiente, le parti contraenti hanno riconosciuto l’importanza, per i cittadini, dell’accesso alla giustizia in materia ambientale, restando inteso che essi possono aver bisogno di assistenza per esercitare i loro diritti. Risulta altresì, dal medesimo preambolo, che le parti hanno condiviso l’interesse a che il pubblico – comprese le organizzazioni – abbia accesso a meccanismi giudiziari efficaci, in grado di tutelarne i legittimi interessi ( 112 ). La portata che gli estensori della convenzione di Aarhus hanno voluto attribuire alle disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 3, della suddetta convenzione dev’essere quindi valutata alla luce di tali obiettivi.

    102.

    L’accesso alla giustizia è previsto all’articolo 9 per le tre ipotesi declinate al paragrafo 1 (ricorso relativo all’accesso alle informazioni), al paragrafo 2 (ricorso contro qualsiasi decisione relativa ad attività particolari che riguardano l’ambiente) e al paragrafo 3 (accesso a procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità ( 113 ) compiuti in violazione del diritto dell’ambiente). In termini più generali, desidero ricordare il ruolo particolare svolto dall’articolo 9 della convenzione di Aarhus, in quanto esso costituisce, da un lato, una garanzia dei diritti all’informazione e di partecipazione al processo decisionale conferiti dalla convenzione e dal diritto nazionale e, dall’altro, un mezzo di tutela obiettiva di un ordinamento giuridico ( 114 ).

    103.

    Per quanto riguarda l’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, occorre osservare che detta disposizione consente di stabilire, nel diritto interno, i criteri specifici cui devono rispondere i membri del pubblico autorizzati a contestare le violazioni del diritto dell’ambiente. È quindi chiaro che le parti della convenzione possono esercitare il potere discrezionale ad esse riconosciuto sotto il profilo della qualificazione dei soggetti summenzionati. Pertanto, risulta giustificato sostenere che l’articolo 9, paragrafo 3, non intende istituire un’actio popularis nel diritto dell’ambiente ( 115 ).

    104.

    Per contro, per quanto riguarda l’ambito di applicazione ratione materiae dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, desidero sottolineare che detta disposizione dev’essere interpretata alla luce degli obiettivi summenzionati, volti a garantire meccanismi efficaci in grado di tutelare gli interessi del pubblico ( 116 ).

    105.

    Inoltre, occorre procedere a una lettura congiunta dell’articolo 9, paragrafo 3, e dei requisiti applicabili conformemente ai paragrafi 4 e 5 della medesima disposizione. Infatti, conformemente ai suddetti paragrafi, i procedimenti previsti devono offrire ricorsi sufficienti ed effettivi; essi devono essere obiettivi, equi, rapidi e non eccessivamente onerosi. Il requisito della pubblicità emerge chiaramente dal paragrafo 5 dell’articolo 9 della convenzione.

    106.

    Pertanto, le parti contraenti sono tenute ad adottare un meccanismo soprattutto efficace e non unicamente a effettuare una scelta tra diversi tipi di procedimenti. Così, si deve considerare che i firmatari della convenzione godono di un margine di manovra per quanto riguarda i procedimenti da avviare, ma l’obbligo di esperire mezzi di ricorso amministrativi o giurisdizionali deve essere eseguito conformemente ai requisiti fissati dalla convenzione al fine di garantire la possibilità di contestare violazioni del diritto dell’ambiente conformemente al suo articolo 9, paragrafo 3. Ne consegue che l’esecuzione del suddetto obbligo dev’essere valutata alla luce dell’esigenza dell’accesso effettivo alla giustizia. Tale interpretazione è altresì suffragata dalla rubrica dell’articolo 9 della convenzione di Aarhus – «accesso alla giustizia».

    107.

    Ciò mi porta alla nozione fondamentale nell’ambito dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, ossia la nozione di atto che può essere sottoposto a controllo.

    108.

    È vero che tale termine non viene definito nella convenzione di Aarhus. Un’interpretazione letterale dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione non consente neppure di ritenere che la suddetta nozione rientri nel potere discrezionale riconosciuto alle parti contraenti. Inoltre, la medesima disposizione non prescrive nemmeno il carattere giuridicamente vincolante degli atti considerati. La dottrina è quindi concorde nell’ammettere che la suddetta disposizione comprende qualsiasi ipotesi di violazione di disposizioni di diritto nazionale ( 117 ) dell’ambiente ( 118 ).

    109.

    La portata, prima facie, estremamente ampia dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, a fortiori rispetto a quella dei paragrafi 1 e 2 del medesimo articolo, può essere tuttavia temperata. Infatti, l’ambito di applicazione ratione materiae dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione è delimitato dall’articolo 2, paragrafo 2, secondo comma, della convenzione da cui emerge che quest’ultima non si applica agli atti di natura legislativa. Conformemente alla suddetta disposizione, la nozione di «autorità pubblica», i cui atti compiuti in violazione del diritto dell’ambiente possono essere oggetto di contestazioni, esclude le istituzioni che agiscono nell’esercizio di poteri giurisdizionali e legislativi.

    110.

    Risulta quindi chiaramente che le parti firmatarie della convenzione di Aarhus hanno inteso includere nel suo ambito di applicazione esclusivamente provvedimenti non legislativi.

    111.

    In altri termini, fatta eccezione per gli atti legislativi, tutti gli altri tipi di atti adottati da privati e da autorità pubbliche, che si tratti di atti di portata generale o di portata individuale, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus.

    112.

    Altri elementi confermano tale analisi.

    113.

    Innanzi tutto, è essenziale accennare al fatto che l’interpretazione, da parte della Corte, della nozione di atto legislativo, nel contesto dell’attuazione della convenzione di Aarhus, tende a preservare l’effetto utile dell’articolo 9 della medesima convenzione ( 119 ). La Corte interpreta le diverse disposizioni del diritto dell’Unione alla luce e tenendo conto degli obiettivi della convenzione di Aarhus rispetto alla quale la normativa dell’Unione deve essere «correttamente allineata» ( 120 ). Tale approccio è fondamentale per l’interpretazione del regolamento di Aarhus alla luce della convenzione.

    114.

    Occorre fare altresì riferimento alla posizione adottata dal Comitato di controllo dell’osservanza delle disposizioni della convenzione di Aarhus, secondo il quale le parti contraenti non hanno la possibilità di introdurre o di mantenere criteri talmente rigorosi da comportare il divieto per le organizzazioni non governative di impugnare atti o di contestare omissioni compiuti in violazione di disposizioni nazionali relative alla tutela dell’ambiente ( 121 ). Ciò si ricollega chiaramente alla posizione adottata dalla Corte nella giurisprudenza summenzionata ( 122 ). Peraltro, il Comitato ha espresso dubbi quanto al rispetto, da parte dell’Unione, delle condizioni fissate all’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione ( 123 ).

    115.

    Infine, benché la guida all’applicazione della convenzione di Aarhus non abbia, secondo la giurisprudenza, alcuna forza vincolante ( 124 ), tale guida può fungere tuttavia da punto di riferimento nell’ambito dell’interpretazione delle disposizioni pertinenti della convenzione ( 125 ). In una recente sentenza, pronunciata nella causa Fish Legal e Shirley ( 126 ), la Corte ha fatto anche riferimento, in modo sistematico, alla suddetta guida interpretando la direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio ( 127 ), alla luce della convenzione di Aarhus. Orbene, la guida spiega e raccomanda un’interpretazione estensiva delle condizioni di accesso alla giustizia conformemente al tenore letterale e allo spirito della convenzione di Aarhus. Infatti, per quanto riguarda gli atti che possono essere sottoposti a controllo, emerge dalla guida che i membri del pubblico hanno diritto di contestare le violazioni del diritto nazionale dell’ambiente anche «indipendentemente dal fatto che essi presentino un nesso con l’informazione del pubblico e con il diritto di partecipazione quale garantito dalla convenzione» ( 128 ). Emerge altresì che il controllo previsto all’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus ( 129 ) si fonda sull’idea del «citizen enforcement» (applicazione della legge da parte dei cittadini) in senso diretto e indiretto ( 130 ).

    D – Sulla portata del controllo delle violazioni del diritto dell’ambiente nel regolamento di Aarhus

    116.

    Ai fini dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione, si deve tener conto non solo dei termini di quest’ultima e degli obiettivi che essa persegue, ma anche del suo contesto nonché dell’insieme delle disposizioni del diritto dell’Unione ( 131 ).

    117.

    Innanzi tutto, al fine di valutare l’esecuzione degli obblighi particolari derivanti dalla convenzione di Aarhus nel diritto dell’Unione, occorre tener presente che gli effetti della convenzione, che è una convenzione mista, sono stati precisati mediante la dichiarazione della Comunità europea allegata alla decisione 2005/370. Ne risulta chiaramente che, all’epoca della firma della convenzione, gli strumenti giuridici in vigore non erano sufficienti a garantire l’integrale esecuzione degli obblighi derivanti dall’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, poiché essi riguardavano procedimenti di impugnazione contro gli atti o di contestazione contro le omissioni di privati o di pubbliche autorità diverse dalle istituzioni di cui all’articolo 2, paragrafo 2, secondo comma, della convenzione. Pertanto, gli Stati membri rimanevano responsabili dell’esecuzione dei suddetti obblighi sino all’adozione, da parte della Comunità, di disposizioni che garantissero l’esecuzione dei medesimi obblighi.

    118.

    Orbene, come ho già ricordato, dai lavori legislativi che precedono l’adozione del regolamento di Aarhus emerge che il predetto regolamento aveva lo scopo di allineare il diritto comunitario alle disposizioni della convenzione ( 132 ). È vero che l’applicazione della convenzione implicava, a livello dell’Unione, l’adozione di altri atti di diritto derivato ( 133 ). Tuttavia, pur contribuendo al perseguimento degli obiettivi della politica di tutela dell’ambiente, il regolamento di Aarhus ha provveduto, in via principale, a integrare aspetti particolari relativi all’accesso alla giustizia all’interno di un sistema comunitario prestabilito mediante gli articoli da 9 a 13 del regolamento di Aarhus ( 134 ). Ciò risulta tanto più importante in quanto il progetto di direttiva sull’accesso alla giustizia non ha ancora avuto un esito positivo nel diritto dell’Unione ( 135 ).

    119.

    Pertanto, il controllo della legittimità del regolamento di Aarhus alla luce della convenzione eponima si impone tanto più allo stato attuale del diritto dell’Unione, in quanto l’Unione è tenuta ad adempiere pienamente i suoi impegni mediante l’attuazione degli obblighi derivanti dalla convenzione di Aarhus.

    120.

    In tale contesto, propongo di respingere l’argomento della Commissione vertente sulla necessità di un esame complessivo del sistema della tutela giurisdizionale effettiva nel diritto dell’Unione È pacifico che la tutela giurisdizionale dei singoli, nel sistema contenzioso dell’Unione, è garantita non solo dai vari mezzi di ricorso diretti, ma anche grazie al meccanismo del rinvio pregiudiziale. Tuttavia, il meccanismo del rinvio pregiudiziale non può rimediare e colmare in tal modo le lacune derivanti da un approccio restrittivo adottato dal legislatore dell’Unione nell’attuazione di una disposizione di una convenzione di cui l’Unione è parte aderente.

    121.

    A differenza della Commissione, considero che l’istituzione di mezzi di ricorso principalmente a livello nazionale contro atti «compiuti in violazione del diritto dell’ambiente» equivarrebbe a un nuovo trasferimento agli Stati membri della responsabilità incombente all’Unione. Orbene, l’Unione non può esigere dagli Stati membri che essi garantiscano un determinato livello di controllo al fine di colmare le lacune del diritto derivato. Di fatto, con l’adozione del regolamento di Aarhus, l’Unione rimane interamente responsabile dell’esecuzione degli obblighi ad essa incombenti in forza della convenzione di Aarhus.

    122.

    Per contro, ammetto volentieri che la valutazione della conformità dell’attuazione degli obblighi derivanti dalla convenzione di Aarhus dovrebbe essere diversa se tale attuazione passasse attraverso direttive, in quanto essa è garantita in due fasi, ossia l’adozione delle suddette direttive e il loro recepimento nel diritto degli Stati membri ( 136 ).

    123.

    Inoltre, per quanto riguarda la portata dell’accesso alla giustizia nel regolamento di Aarhus, si deve constatare che l’articolo 10, paragrafo 1, del medesimo regolamento interpreta tale obiettivo conferendo agli enti qualificati, ossia associazioni rappresentative del pubblico, la possibilità di presentare una richiesta di riesame interno di un atto compiuto in violazione del diritto dell’ambiente. Dai lavori preparatori emerge chiaramente che il riesame è stato introdotto per non interferire con il diritto di accesso alla giustizia ai sensi del Trattato in virtù del quale una persona può proporre un ricorso dinanzi alla Corte di giustizia contro decisioni che la riguardano direttamente e individualmente ( 137 ).

    124.

    Sotto il profilo dell’ambito di applicazione ratione personae, istituendo una procedura di riesame, l’articolo 10 del regolamento di Aarhus ha agevolato l’accesso alla giustizia delle organizzazioni non governative, dato che queste ultime non devono far valere un interesse sufficiente né devono asserire la violazione di un diritto per poter esercitare tale diritto conformemente all’articolo 263 TFUE. Il regolamento riconosce quindi a tali gruppi la qualità di destinatari ( 138 ).

    125.

    Per contro, sotto il profilo dell’ambito di applicazione ratione materiae, l’ambito di applicazione delle eventuali contestazioni attraverso la cosiddetta procedura di «riesame» è definito alla luce dell’articolo 10 in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento di Aarhus nel senso che esso comprende gli atti di portata individuale nell’ambito del diritto ambientale adottati da un’istituzione o da un organo comunitari e aventi effetti esterni e giuridicamente vincolanti. Inoltre, il provvedimento che può essere oggetto di contestazione nell’ambito di siffatto «riesame» è definito nel senso che esso esclude, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di Aarhus, gli atti amministrativi adottati dalle istituzioni o dagli organi dell’Unione «in qualità di organi di controllo amministrativo».

    126.

    Osservo, al riguardo, che, nella sua versione iniziale, la proposta di regolamento definiva la nozione di atto nel senso che esso veniva inteso come «qualsiasi provvedimento amministrativo adottato da un’istituzione o da un organo comunitari nell’ambito del diritto ambientale e avente effetti esterni e giuridicamente vincolanti» ( 139 ). La nozione di atti «amministrativi di portata individuale» è comparsa soltanto nella fase della posizione comune adottata dal Consiglio ( 140 ) ed è stata ripresa dal Parlamento in seconda lettura ( 141 ) senza che venisse fornita alcuna motivazione.

    127.

    In mancanza di qualsiasi definizione della nozione di atto amministrativo in altre fonti del diritto dell’Unione, si tratta di una definizione ad hoc nel regolamento di Aarhus la cui portata resta difficile da delimitare ( 142 ). Tuttavia mi sembra evidente che la volontà del legislatore sia stata di limitare la portata della procedura di riesame.

    128.

    È vero che l’atto è definito all’articolo 2, lettera g), del regolamento di Aarhus nel senso che esso viene inteso come un provvedimento adottato «nell’ambito del diritto ambientale». Quest’ultima condizione è quindi prevista in senso ampio rispetto agli obiettivi derivanti dall’articolo 191 TFUE ( 143 ). È vero altresì che il carattere generale ( 144 ) o individuale di una decisione viene valutato, secondo la giurisprudenza, alla luce del suo contenuto al fine di constatare se le sue disposizioni siano tali da incidere individualmente e direttamente sulla situazione degli interessati ( 145 ). Nell’ambito del regolamento di Aarhus, tale distinzione dipende fondamentalmente dall’interpretazione della nozione di «normativa» ai sensi della convenzione di Aarhus, come ripresa dal regolamento di Aarhus, la cui interpretazione forma oggetto delle mie conclusioni parallele nelle cause Consiglio e Commissione/Stichting Natuur en Milieu e Pesticide Action Network Europe (C‑404/12 P e C‑405/12 P) ( 146 ).

    129.

    È tuttavia pacifico che la procedura di riesame ( 147 ) si applica soltanto a decisioni individuali che comportano effetti giuridici tali da incidere sugli interessi dei loro destinatari. Precisamente, la portata assai limitata delle contestazioni vertenti su violazioni del diritto dell’ambiente, ai sensi dell’articolo 10 del regolamento di Aarhus è stata confermata in udienza dalla Commissione, che ha fornito, non senza difficoltà, un solo esempio di applicazione concreta della procedura di riesame, ossia l’autorizzazione all’immissione in commercio di un OGM. È giocoforza constatare, del resto, che il settore degli OGM nonché l’immissione sul mercato dei prodotti chimici conformemente al regolamento REACH ( 148 ) sembrano costituire l’ambito principale in cui la procedura di riesame trova effettivamente applicazione ( 149 ). La prassi della Commissione conferma così l’interpretazione restrittiva del regolamento di Aarhus ( 150 ).

    130.

    Infine, occorre rilevare che, secondo il regolamento di Aarhus, i ricorsi dinanzi alla Corte, conformemente all’articolo 12 del predetto regolamento, vertono non già sull’atto amministrativo controverso, bensì sulla risposta inviata dall’istituzione o dall’organo cui è stata presentata la richiesta di riesame interno. Pertanto, un’organizzazione non governativa potrebbe chiedere un esame nel merito solo attraverso l’eccezione di illegittimità, al pari di quella all’origine delle cause in esame.

    131.

    Di conseguenza, è giocoforza constatare che l’articolo 10 del regolamento di Aarhus non costituisce un’attuazione completa degli obblighi derivanti dall’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus ( 151 ).

    132.

    Per le ragioni precedentemente esposte riguardo all’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, tale constatazione non è inficiata dalla portata del margine di manovra conferito ai firmatari della convenzione di Aarhus. Infatti, pur riconoscendo siffatto margine nell’attuazione dell’articolo 9 della convenzione di Aarhus (e, ad esempio, dell’articolo 15 bis della direttiva 96/61/CE ( 152 )) ( 153 ), la Corte ha propugnato un approccio volto alla massima tutela dell’effetto utile e degli obiettivi della convenzione quanto agli obblighi di attuazione incombenti agli Stati membri ( 154 ). Pertanto, non mi sembra ipotizzabile adottare un diverso approccio nei confronti dell’Unione stessa ( 155 ).

    133.

    Tenuto conto di tutte le suesposte considerazioni, ritengo che il Tribunale, nella sentenza impugnata, sia giunto correttamente alla conclusione secondo la quale l’eccezione di illegittimità diretta contro l’articolo 10 del regolamento di Aarhus in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), di detto regolamento debba essere accolta. Qualora la Corte decidesse di esaminare la presente questione, propongo che sia respinto il secondo motivo della Commissione.

    E – Riflessioni complementari

    134.

    In caso di assenza di applicabilità diretta di un accordo internazionale inteso come fonte di diritti per i singoli, può risultare utile menzionare il principio dell’interpretazione conforme, quale strumento che consente di rendere applicabile siffatto accordo.

    135.

    Infatti, l’interpretazione del diritto derivato in conformità agli accordi internazionali che vincolano la Comunità si impone allo stesso giudice dell’Unione ( 156 ). È pacifico in giurisprudenza che le disposizioni del diritto dell’Unione devono essere interpretate, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità degli accordi internazionali di cui l’Unione è parte aderente ( 157 ). Siffatta «lettura conciliatrice» ( 158 ) è soggetta, nel caso del diritto internazionale, a un limite in forza del quale il suddetto principio «si applica solo nell’ipotesi in cui l’accordo internazionale di cui trattasi prevalga sulla norma di diritto comunitario interessata» ( 159 ). Pertanto, siffatta interpretazione sarebbe, in via di principio, ammissibile nella fattispecie.

    136.

    Tuttavia, il metodo dell’interpretazione conforme può essere utilizzato solo quando la disposizione controversa non è sufficientemente chiara o quando si presta a più interpretazioni alla luce del contesto, della natura o della sistematica della disposizione o dell’atto di base cui essa appartiene. Orbene, tale ipotesi non ricorre, alla luce delle osservazioni precedenti, per l’articolo 10 del regolamento di Aarhus, da cui emerge chiaramente la volontà di escludere gli atti di portata generale dal suo ambito di applicazione.

    137.

    Inoltre, al pari delle norme applicabili all’interpretazione del diritto nazionale, l’interpretazione conforme è limitata dai principi generali del diritto e dall’esclusione di qualsiasi interpretazione contra legem ( 160 ). Orbene, poiché, a mio avviso, l’ambito di applicazione del regolamento di Aarhus limita l’accesso alla giustizia mediante la definizione dell’atto rientrante nella procedura di riesame eccessivamente restrittiva con riferimento all’ambito di applicazione della convenzione di Aarhus, un’interpretazione conforme mi sembra esclusa nella fattispecie.

    VII – Sull’impugnazione incidentale

    138.

    Le organizzazioni di tutela dell’ambiente hanno proposto un’impugnazione incidentale nelle cause da C‑401/12 P a C‑403/12 P, qualificata come «condizionata» dalle suddette organizzazioni, in quanto sarebbe stata proposta esclusivamente «nell’eventualità che la Corte non accolga i motivi dedotti nella comparsa di risposta». Le suddette organizzazioni deducono, in tale ambito, un motivo unico vertente sulla circostanza che il Tribunale avrebbe omesso, erroneamente, di riconoscere l’applicabilità diretta della nozione di «atti» contenuta all’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus.

    139.

    Il Consiglio, la Commissione e il Parlamento sono concordi nel ritenere che siffatta impugnazione incidentale «condizionata» ( 161 ) sia irricevibile. Quanto al merito, essi propongono di respingere gli argomenti delle organizzazioni, in quanto infondati. Inoltre, essi osservano che le organizzazioni non mirano all’annullamento del dispositivo della sentenza impugnata, ma chiedono in realtà una nuova sentenza che confermi la sentenza impugnata, in base, tuttavia, a un’altra motivazione.

    140.

    Innanzi tutto, osservo che, nelle loro conclusioni, le organizzazioni chiedono «di annullare la sentenza impugnata e di annullare altresì la decisione di irricevibilità della Commissione». Per la parte in cui esse chiedono alla Corte di dichiarare che la nozione di atto dev’essere intesa nel senso che esso è direttamente applicabile, il che consentirebbe di esaminare la validità del regolamento di Aarhus, le organizzazioni di tutela dell’ambiente non mirano a «integrare» la sentenza impugnata. Infatti, la censura vertente sull’assenza della dichiarazione di applicabilità diretta, qualora fosse ammessa, porterebbe ad annullare l’intero ragionamento del Tribunale, il quale ha fondato l’esame della legittimità sulla giurisprudenza Fediol/Commissione e Nakajima/Consiglio. Le suddette organizzazioni rimettono quindi in discussione la sentenza Lesoochranárske zoskupenie, senza tuttavia fornire gli argomenti giuridici a specifico sostegno di tale domanda. Infatti, non emerge in alcun modo dalle memorie su quale fondamento sia possibile pronunciare la dichiarazione di applicabilità diretta al fine di procedere al controllo di legittimità del regolamento di Aarhus.

    141.

    Orbene, si deve considerare irricevibile un’impugnazione che non contiene alcun argomento specificamente diretto a individuare l’errore di diritto da cui sarebbe viziata la sentenza del Tribunale ( 162 ). Così avviene nella presente impugnazione incidentale con la quale le parti contestano in sostanza al Tribunale di non essersi pronunciato su un aspetto, senza che sia stabilito alcun errore di diritto conseguente. Infatti, un’impugnazione di tal genere, anche quando si tratti di un’impugnazione incidentale, è inidonea a formare oggetto di una valutazione giuridica che consenta alla Corte di esercitare il compito cui è chiamata nel settore di cui trattasi e di effettuare il proprio sindacato di legittimità ( 163 ).

    142.

    Propongo, pertanto, di respingere l’impugnazione incidentale in quanto irricevibile.

    VIII – Conclusione

    143.

    Propongo alla Corte:

    di annullare la sentenza del Tribunale Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht/Commissione (T‑396/09, EU:T:2012:301), per la parte in cui ha accolto il secondo motivo in primo grado e ha proceduto al controllo della legittimità sul fondamento della giurisprudenza derivante dalle sentenze Fediol/Commissione (70/87, EU:C:1989:254) e Nakajima/Consiglio (69/89, EU:C:1991:186);

    di rinviare la causa al Tribunale;

    di respingere l’impugnazione incidentale nelle cause riunite da C‑401/12 P a C‑403/12 P;

    di riservare le spese.


    ( 1 ) Lingua originale: il francese.

    ( 2 ) GU L 124, pag. 1.

    ( 3 ) Le presenti impugnazioni sono strettamente connesse a una seconda serie di impugnazioni, nelle cause Consiglio e Commissione/Stichting Natuur en Milieu e Pesticide Action Network Europe (C‑404/12 P e C‑405/12 P), per le quali presenterò le mie conclusioni lo stesso giorno.

    ( 4 ) Come è stato proposto dall’avvocato generale Maduro nelle conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione (C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476), occorre menzionare, da un punto di vista terminologico, l’applicabilità diretta nell’ambito dell’attuazione del diritto dell’Unione negli Stati membri e l’«invocabilità diretta» per le norme internazionali convenzionali. V. anche Dutheil de la Rochère, J., «L’effet direct des accords internationaux», in Court of Justice and the Construction of Europe, 2013.

    ( 5 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus (GU L 264, pag. 13). Secondo l’articolo 1 del suddetto regolamento, il medesimo ha lo scopo di contribuire all’adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione di Aarhus, stabilendo le regole per applicare le disposizioni della convenzione alle istituzioni e agli organi comunitari, in particolare garantendo l’accesso alla giustizia in materia ambientale a livello comunitario alle condizioni stabilite dal regolamento.

    ( 6 ) È pacifico che le organizzazioni convenute nell’impugnazione soddisfano tali criteri.

    ( 7 ) Sentenze Fediol/Commissione (70/87, EU:C:1989:254), e Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186).

    ( 8 ) V. sentenze Pabst & Richarz (17/81, EU:C:1982:129, punto 27); Demirel (12/86, EU:C:1987:400, punto 14), nonché conclusioni dell’avvocato generale Darmon nella medesima causa (EU:C:1987:232, paragrafo 18). V. anche sentenze Racke (C‑162/96, EU:C:1998:293, punto 31); IATA e ELFAA (C‑344/04, EU:C:2006:10, punto 39); Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 54), e Z (C‑363/12, EU:C:2014:159, punti da 84 a 86).

    ( 9 ) V. sentenza Lesoochranárske zoskupenie (C‑240/09, EU:C:2011:125), nella quale la Corte ha dichiarato che l’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus non era direttamente applicabile.

    ( 10 ) Tale sentenza (C‑308/06, EU:C:2008:312, punti da 42 a 45) è così formulata: «Come risulta dall’art[icolo] 300, [paragrafo] 7, CE, le istituzioni della Comunità sono vincolate dagli accordi conclusi da quest’ultima e, di conseguenza, tali accordi prevalgono sugli atti di diritto comunitario derivato. Ne consegue che l’incompatibilità di un atto di diritto comunitario derivato con siffatte disposizioni del diritto internazionale può incidere sulla sua validità. (…) la Corte verifica quindi, in applicazione dell’art[icolo] 234 CE, la validità dell’atto comunitario in esame alla luce di tutte le norme del diritto internazionale, purché siano rispettate due condizioni. In primo luogo, la Comunità deve essere vincolata da tali norme. In secondo luogo, la Corte può procedere all’esame della validità (…) solo ove ciò non sia escluso né dalla natura né dalla struttura di esso e, inoltre, le sue disposizioni appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise».

    ( 11 ) Sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (C‑377/98, EU:C:2001:523, punti da 52 a 54): «È pacifico che, in linea di principio, la legittimità di un atto comunitario non dipende dalla sua conformità a una convenzione internazionale alla quale la Comunità non abbia aderito (…). La sua legittimità non può nemmeno essere valutata alla luce di atti di diritto internazionale (…) come l’accordo OMC e gli accordi ADPIC e OTS (…). Ma conclusioni analoghe non possono essere considerate valide per la [convenzione sulla diversità biologica, firmata a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 (CDB)] la quale, a differenza dell’accordo OMC, non è strettamente fondata sul principio della reciproca convenienza. Anche ipotizzando che, come sostiene il Consiglio, [la CDB] contenga disposizioni non direttamente applicabili, nel senso che esse non creerebbero diritti che i privati possano far valere direttamente in giudizio, questa circostanza non costituirebbe un ostacolo al controllo da parte del giudice dell’osservanza degli obblighi incombenti alla Comunità in qualità di parte aderente al detto accordo».

    ( 12 ) Decisione della Commissione C(2009) 2560 definitivo.

    ( 13 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008 (GU L 152, pag. 1).

    ( 14 ) La domanda d’intervento del governo ceco a sostegno della Commissione è stata depositata dopo la scadenza del termine previsto. L’intervento è stato ammesso soltanto ai fini della fase orale.

    ( 15 ) EU:C:2011:125.

    ( 16 ) EU:C:1989:254 e EU:C:1991:186.

    ( 17 ) V., in tal senso, sentenza Chiquita Brands e a./Commissione (T‑19/01, EU:T:2005:31, punto 117).

    ( 18 ) Quello della normativa antidumping, ad eccezione del settore cui si riferisce la sentenza Italia/Consiglio (C‑352/96, EU:C:1998:531), che riguardava le disposizioni del GATT.

    ( 19 ) Sentenze Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367, punto 111); Portogallo/Consiglio (C‑149/96, EU:C:1999:574, punto 51), e Van Parys (C‑377/02, EU:C:2005:121, punti da 39 a 42).

    ( 20 ) Sentenza Chiquita Brands e a./Commissione (EU:T:2005:31, punti da 125 a 169).

    ( 21 ) Pescatore, P., «L’application judiciaire des traités internationaux dans la Communauté européenne et dans ses États membres» in Études de droit des Communautés européennes, Mélanges Teitgen, 1984, pag. 356.

    ( 22 ) La sentenza Haegeman (181/73, EU:C:1974:41) riguardava l’accordo di associazione con la Repubblica ellenica.

    ( 23 ) Tale analisi non è unanime in dottrina. Infatti, benché taluni autori sostengano il concetto monistico [Pescatore, P., Die Rechtsprechung des Europaischen Gerichtshofs zur innergemeischaftlichen Wirkung Volkerrechtlicher Abkommen, 1986, nonché «L’application judiciaire des traités internationaux (…)», op. cit., pag. 395], altri propugnano un approccio dualistico (Hartley, T.C., International Agreements and the Community Legal System, 8 ELR, 1983, pagg. 383 e 390). Esiste anche un’analisi più sfumata secondo la quale sarebbe poco utile privilegiare un approccio piuttosto che un altro (Everling, «The Law of the External Economis Relations of the EC», in Hilf, M., Jacobs, G., e Petersmann, E.‑U., The European Community and GATT, Kluwer, 1986, pagg. 85 e 95).

    ( 24 ) V. de Burca, G., «The ECJ and the international legal order», in The Worlds of European Constitutionalism, pag. 105.

    ( 25 ) 104/81, EU:C:1982:362.

    ( 26 ) Ibidem, punto 17. V. anche sentenza Demirel (EU:C:1987:400).

    ( 27 ) V. Rosas, A., citato da Mardsen, S.: «As far as treaties are concerned, the EU approach is basically a monist one: the treaties concluded by the Council become ipso facto part of EU law, without any need for further measures of transposition or incorporation. The decision by the Council to conclude the agreement thus makes it directly applicable»; «Invoking direct application and effect of international treaties by the European Court of Justice», International and Comparative Law Quarterly, vol. 60, n. 30, pagg. da 737 a 757.

    ( 28 ) 270/80, EU:C:1981:286, pag. 353.

    ( 29 ) Sentenze Demirel (EU:C:1987:400); Andersson e Wåkerås‑Andersson (C‑321/97, EU:C:1999:307), e Jacob Meijer e Eagle International Freight (C‑304/04 e C‑305/04, EU:C:2005:441). V. anche sentenza Grecia/Commissione (30/88, EU:C:1989:422, punto 13). Per quanto riguarda la comunitarizzazione degli accordi misti, v. sentenze Commissione/Germania (C‑61/94, EU:C:1996:313), e Commissione/Francia (C‑239/03, EU:C:2004:598). V. anche sentenza Opel Austria/Consiglio (T‑115/94, EU:T:1997:3).

    ( 30 ) Sentenza International Fruit Company e a. (da 21/72 a 24/72, EU:C:1972:115), e conclusioni in tal senso dell’avvocato generale Mayras. V. anche sentenza Air Transport Association of America e a. (EU:C:2011:864, punto 50 e giurisprudenza ivi citata). V., altresì, sentenza HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punto 28).

    ( 31 ) V., in tal senso, sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 308).

    ( 32 ) EU:C:1972:115 (punti 6 e 7).

    ( 33 ) La regola interpretativa è stata enunciata per la prima volta nella sentenza Interfood (92/71, EU:C:1972:30), e confermata dalla sentenza Commissione/Germania (EU:C:1996:313, punto 52). V., più di recente, sentenza HK Danmark (EU:C:2013:222).

    ( 34 ) V., de Burca, G., op. cit., pag. 106. Taluni commentatori hanno rilevato che l’Unione, sorta essa stessa da trattati internazionali, non poteva che adottare un atteggiamento aperto nei riguardi del diritto internazionale, in forza del principio di «völkerrechtsfreundliche Integration». V., ad esempio, Timmermans, «The EU and Public International Law», European Foreign Affairs Review, 1999, pagg. da 181 a 194.

    ( 35 ) V. sentenze International Fruit Company e a. (EU:C:1972:115), nonché Portogallo/Consiglio (EU:C:1999:574). Per contro, un effetto di tal genere è spesso riconosciuto alle disposizioni degli accordi di associazione nell’ambito dei quali l’Unione risulta in posizione di forza: v., Klabbers, J., «International Law in Community Law, The Law and Politics of Direct Effect», Yearbook of European Law, 2001, 21 (1): pagg. da 263 a 298. Klabbers rileva altresì, riguardo agli accordi conclusi nell’ambito del Consiglio d’Europa, l’applicazione di una clausola cosiddetta «di disconnessione» («disconnection clause») in forza della quale gli Stati contraenti, pur essendo obbligati a rispettare il trattato internazionale, sono tenuti a far prevalere, nei loro rapporti con l’Unione, il diritto dell’Unione. V. Economides, C., «La clause de déconnexion en faveur du droit communautaire, une pratique critiquable», Revue générale de droit international public, 2006, pagg. da 273 a 302.

    ( 36 ) Waelbroeck, M., «Enforceability of the EEC‑EFTA Free Trade Agreements: A Reply», European Law Review, 1978, pagg. 27 e 28.

    ( 37 ) V. anche conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella causa Merck Genericos – Produtos Farmacêuticos (C‑431/05, EU:C:2007:48, punti da 76 a 79) riguardo al dualismo.

    ( 38 ) EU:C:1972:115.

    ( 39 ) Per quanto riguarda l’assenza di applicabilità diretta di tali accordi, v. Kokott, J., «International law – a neglected “integral” part», in De Rome à Lisbonne: les juridictions de l’Union européenne à la croisée des chemins, Bruylant, 2013.

    ( 40 ) Sentenza International Fruit Company e a. (EU:C:1972:115, punto 21). Inoltre, in tale sentenza la Corte ha ammesso che la Comunità si è sostituita, in gran parte, agli Stati membri, nei loro diritti e obblighi ai sensi dell’accordo GATT.

    ( 41 ) V. presa di posizione del panel WTO: Sections US‑301‑310 of the Trade Act of 1974 WT/DS 152/R, 1999, § 7.72.

    ( 42 ) V., al riguardo, Slotboom, M., «A comparison of WTO and EC law», Cameron, maggio 2006, pag. 65.

    ( 43 ) Sentenza International Fruit Company e a. (EU:C:1972:115).

    ( 44 ) Sentenza Portogallo/Consiglio (EU:C:1999:574, punto 41).

    ( 45 ) Ibidem, punti 44 e 45.

    ( 46 ) Sentenze Biret International/Consiglio (C‑93/02 P, EU:C:2003:517), e FIAMM e a./Consiglio e Commissione (EU:C:2008:476). Riguardo all’invocabilità del diritto dell’OMC, v. conclusioni dell’avvocato generale Maduro nella causa FIAMM e a./Consiglio e Commissione (EU:C:2008:98).

    ( 47 ) Sentenza Germania/Consiglio (EU:C:1994:367, punto 109), confermata dalla sentenza Portogallo/Consiglio (EU:C:1999:574) (la Corte ha dichiarato che «le particolarità dell’Accordo generale, rilevate dalla Corte per constatare che i singoli della Comunità non possono farle valere in giudizio per contestare la legittimità di atti comunitari, ostano parimenti a che la Corte prenda in considerazione le disposizioni dell’Accordo generale per valutare la legittimità di un regolamento nell’ambito di un ricorso proposto da uno Stato membro ai sensi dell’art[icolo] 173, primo comma, del Trattato»).

    ( 48 ) V. sentenza Commissione/Germania (EU:C:1996:313).

    ( 49 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Intertanko e a. (EU:C:2007:689, punti 73 e 74). L’avvocato generale fa riferimento alle sentenze Fediol/Commissione (EU:C:1989:254, punti 19 e segg.); Nakajima/Consiglio (EU:C:1991:186, punto 31); Portogallo/Consiglio (EU:C:1999:574, punto 49); Biret International/Consiglio (EU:C:2003:517, punto 53), e Van Parys (EU:C:2005:121, punto 40).

    ( 50 ) Sentenze Hermès (C‑53/96, EU:C:1998:292, punto 35), e Dior e a. (C‑300/98 e C‑392/98, EU:C:2000:688).

    ( 51 ) Bourgeois, J., «The European Court of Justice and the WTO», in Towards a Common Law of International Trade, Weiler, OUP, 2000, pag. 103.

    ( 52 ) Eeckhout, P., External Relations of the European Union, OUP, 2004, pag. 316.

    ( 53 ) Sentenza Portogallo/Consiglio (EU:C:1999:574, punto 49); v., anche sentenze Italia/Consiglio (EU:C:1998:531, punto 19), e Germania/Consiglio (EU:C:1994:367, punto 111).

    ( 54 ) GU L 252, pag. 1.

    ( 55 ) Occorre precisare che nell’ambito della sentenza Fediol/Commissione, non era invocato l’accordo in quanto tale, bensì l’atto comunitario che fa da tramite tra il diritto dell’Unione e il diritto internazionale.

    ( 56 ) EU:C:2005:121, punti 39 e 40.

    ( 57 ) Il punto 54 della sentenza impugnata contiene una citazione generica della sentenza Fediol/Commissione; successivamente, al punto 58 della sentenza impugnata, il Tribunale menziona soltanto un riferimento espresso all’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus, contenuto al considerando 18 del regolamento di Aarhus.

    ( 58 ) V. sentenza Portogallo/Consiglio (EU:C:1999:574).

    ( 59 ) V. sentenza Intertanko e a. (EU:C:2008:312, punto 48).

    ( 60 ) V. sentenza cosiddetta «Biotech» (EU:C:2001:523, punto 53).

    ( 61 ) Ibidem (punto 53).

    ( 62 ) EU:T:2005:31, punto 117.

    ( 63 ) V. sentenza Air Transport Association of America e a. (EU:C:2011:864, punto 51).

    ( 64 ) Ibidem (punto 7) e sentenza Intertanko e a. (EU:C:2008:312, punto 44).

    ( 65 ) Sentenza FIAMM e a./Consiglio e Commissione (EU:C:2008:476, punto 110).

    ( 66 ) Nella sentenza Demirel (EU:C:1987:400), la Corte fa riferimento all’«oggetto e [a]lla natura dell’accordo» (punto 14).

    ( 67 ) V., in particolare, sentenze Kupferberg (EU:C:1982:362, punto 22); IATA e ELFAA (EU:C:2006:10, punto 39), e Intertanko e a. (EU:C:2008:312, punto 45).

    ( 68 ) V. sentenza Demirel (EU:C:1987:400, punto 14), e conclusioni dell’avvocato generale Darmon nella medesima causa (EU:C:1987:232, paragrafo 18); v. anche sentenza Pêcheurs de l’étang de Berre (C‑213/03, EU:C:2004:464, punto 39).

    ( 69 ) V. sentenza Demirel (EU:C:1987:400, punto 14). Sugli accordi di associazione, v. sentenze Pokrzeptowicz‑Meyer (C‑162/00, EU:C:2002:57); Deutscher Handballbund (C‑438/00, EU:C:2003:255), e Simutenkov (C‑265/03, EU:C:2005:213), nelle quali la Corte ha fatto riferimento al principio di non discriminazione per fondare l’invocabilità della disposizione convenzionale. V. anche il commento di Jacobs, F., «The Internal Legal Effects of EU’s agreements», in A constitutional order of States? Essays in EU Law in honour of A. Dashwood, pag. 535. V. anche, sentenza Toprak e Ogus (C‑300/09 e C‑301/09, EU:C:2010:756).

    ( 70 ) V., a contrario, sentenza Ioannis Katsivardas – Nikolaos Tsitsikas (C‑160/09, EU:C:2010:293, punto 45).

    ( 71 ) Sentenza Portogallo/Consiglio (EU:C:1999:574, punto 47); sentenza cosiddetta «Biotech» (EU:C:2001:523, punto 52), e sentenza Dior e a. (EU:C:2000:688, punto 43). V. anche ordinanza OGT Fruchthandelsgesellschaft (C‑307/99, EU:C:2001:228, punto 24), e sentenza Van Parys (EU:C:2005:121, punto 39).

    ( 72 ) Ad esempio, accordo OMC, convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, Protocollo di Kyoto alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici dell’11 dicembre 1997 e accordo sul trasporto aereo «open skies» tra la CE e gli Stati Uniti.

    ( 73 ) V. accordi CEE‑Turchia (ad esempio, sentenza Cetinkaya, C‑467/02, EU:C:2004:708), accordo di associazione CEE‑Marocco (sentenza Kziber, C‑18/90, EU:C:1991:36), accordi europei di preadesione (ad esempio, quelli conclusi con la Repubblica di Polonia e la Repubblica ceca, v. sentenza Jany e a., C‑268/99, EU:C:2001:616). Per quanto riguarda gli accordi conclusi tra la Comunità europea e i suoi Stati membri e la Confederazione svizzera, v. sentenza del 28 febbraio 2013, Ettwein (C‑425/11, EU:C:2013:121).

    ( 74 ) EU:C:2006:10, punto 39.

    ( 75 ) Intertanko e a. (EU:C:2007:689, punto 59).

    ( 76 ) Sentenza Intertanko e a. (EU:C:2008:312, punto 64). Si deve inoltre osservare, a proposito di tale causa, che i singoli non tentavano di far valere diritti nel proprio interesse, ma tentavano piuttosto di ottenere la verifica della compatibilità della normativa dell’Unione con i suoi obblighi internazionali.

    ( 77 ) C‑286/90, EU:C:1992:453.

    ( 78 ) Wenneras, P., «Towards an Ever Greener Union», CMLR 45, 2008, 1679. Mentre nella sentenza Intertanko e a., la Corte ha rifiutato di esercitare un controllo di legittimità, facendo riferimento alla convenzione sul diritto del mare, in una sentenza per inadempimento, essa ha accettato di procedere alla verifica della compatibilità della normativa di uno Stato membro con la stessa convenzione (sentenza Commissione/Irlanda, cosiddetta «MOX Plant», C‑459/03, EU:C:2006:345, punto 121).

    ( 79 ) La Corte fa qui riferimento alle sentenze Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione (89/85, 104/85, 114/85, 116/85, 117/85 e da 125/85 a 129/85, EU:C:1988:447, punti da 14 a 18), nonché Mondiet (C‑405/92, EU:C:1993:906, punti da 11 a 16).

    ( 80 ) La Corte aggiunge, inoltre, che «poiché un principio di diritto internazionale consuetudinario non presenta lo stesso grado di precisione di una disposizione di un accordo internazionale, il controllo giurisdizionale deve necessariamente limitarsi a stabilire se, nell’adottare l’atto in questione, le istituzioni dell’Unione abbiano commesso manifesti errori di valutazione riguardo ai presupposti di applicazione dei principi di cui trattasi».

    ( 81 ) Eeckhout, P., individua, tuttavia, nella suddetta sentenza «enigmatic statements», CMLR 46, 2009, pag. 2052.

    ( 82 ) Sentenza cosiddetta «Biotech» (EU:C:2001:523, punto 54). Occorre rilevare che la Corte, riguardo al diritto internazionale consuetudinario, ha fatto tuttavia riferimento alla sentenza Racke (EU:C:1998:293, punti 45, 47 e 51).

    ( 83 ) EU:C:2011:125, punto 46.

    ( 84 ) Ibidem (punto 51).

    ( 85 ) È stato tuttavia osservato che tale approccio poteva essere giustificato dal fatto che le suddetta convenzione è stata conclusa dalla Comunità e da tutti i suoi Stati membri in forza di una competenza concorrente, e la convenzione di Aarhus è quindi un accordo misto. V., in particolare, Neframi, E., Mixed Agreements as a source of European Union Law, pag. 335.

    ( 86 ) Sentenza Les Verts/Parlamento (294/83, EU:C:1986:166, punto 23).

    ( 87 ) V., Simon, D., «La Communauté de droit», in Sudre, F., e Labayle, H., Réalité et perspectives du droit communautaires, 2000, pag. 85.

    ( 88 ) V., in materia, sentenze Pêcheurs de l’étang de Berre (EU:C:2004:464, punti da 42 a 52); Commissione/Francia (EU:C:2004:598, punto 29); Commissione/Irlanda (EU:C:2006:345); Intertanko e a. (EU:C:2008:312), e Lesoochranárske zoskupenie (EU:C:2011:125).

    ( 89 ) Non contesto il fatto che altri settori siano caratterizzati da un fenomeno analogo di elaborazione del diritto a più livelli come le norme che disciplinano la lotta al riciclaggio di denaro, la politica commerciale, il trasporto aereo, ecc.

    ( 90 ) Betlem, G., e Nollkaemper, A., «Giving Effect to Public International Law and European Community Law before Domestic Courts», EJIL 2003, vol. 14, n. 3, pagg. da 569 a 589.

    ( 91 ) V., al riguardo, conclusioni dell’avvocato generale Trabucchi nella causa Defrenne, cosiddetta «Defrenne II» (43/75, EU:C:1976:39).

    ( 92 ) Pescatore, P., «The Doctrine of “Direct Effect”; An Infant Disease of Community Law», ELR, 1983, 8, pag. 155.

    ( 93 ) Il termine è mutuato dalla sentenza Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, Landesverband Nordrhein-Westfalen (C‑115/09, EU:C:2011:289, punto 41): «come risulta dal quinto considerando della direttiva 2003/35, la normativa dell’Unione deve essere “correttamente allineata”» rispetto alla convenzione di Aarhus.

    ( 94 ) V., a titolo esemplificativo, l’analisi di una disposizione siffatta nel diritto dell’Unione nella sentenza Bund für Umwelt und Naturschutz, Landesverband Nordrhein-Westfalen, EU:C:2011:289 (punti da 55 a 59).

    ( 95 ) EU:C:1994:367, punto 109.

    ( 96 ) Nell’ambito del controllo di legittimità occorre osservare la pertinenza della ricevibilità dell’eccezione di illegittimità ammessa dal Tribunale. Infatti, la Corte è stata investita della presente controversia in seguito a un’eccezione di illegittimità sollevata contro il regolamento di Aarhus. Secondo la giurisprudenza, l’articolo 277 TFUE è espressione di un principio generale che garantisce a qualsiasi parte il diritto di contestare, al fine di ottenere l’annullamento di una decisione che la concerne direttamente e individualmente, la validità di precedenti atti delle istituzioni comunitarie, che costituiscono il fondamento giuridico della decisione impugnata, qualora non avesse il diritto di proporre un ricorso diretto contro tali atti, di cui essa subisce così le conseguenze senza averne potuto chiedere l’annullamento (v. sentenza Simmenthal/Commissione, 92/78, EU:C:1979:53). La possibilità di invocare l’eccezione di illegittimità presuppone quindi la ricevibilità del ricorso in occasione del quale essa è sollevata (sentenza Ripa di Meana e a./Parlamento, da T‑83/99 a T‑85/99, EU:T:2000:244, punto 35). Ne consegue che il meccanismo dell’eccezione di illegittimità deve essere consentito alle parti contro atti che esse non possono impugnare direttamente mediante un ricorso di annullamento (sentenza Kik/UAMI, T‑120/99, EU:T:2001:189).

    ( 97 ) V., ex multis, Manin, P., «À propos de l’accord instituant l’OMC», RTDE 1997; Klabbers, J., op. cit.; Lenaerts, K., e Corthauts, T. «On birds and hedges», E.L. Rev. 2006, 31(3), pagg. da 287 a 315, punto 298; Pavoni, R., «Controversial aspects of the interaction between international and EU law in environmental matters: direct effects and Members State’s unilateral measures», in The EU external Environmental Policy of the European Union, Cambridge University Press, 2012, pagg. da 347 a 377. Inoltre, è stato proposto di invertire l’ordine del ragionamento della Corte la quale analizza innanzi tutto la disposizione, al fine di verificare se essa soddisfi il criterio dell’applicabilità diretta (carattere chiaro, preciso e incondizionato) per poi analizzare l’accordo stesso. V., Jacobs, F. «The Internal Legal Effects of EU’s agreements», op. cit., pag. 532.

    ( 98 ) L’avvocato generale Gulmann ha fissato tale distinzione sostenendo nel contempo che l’approccio monistico, il quale implica che gli accordi internazionali costituiscano parte integrante del diritto dell’Unione, non comporta come conseguenza che questi ultimi possano costituire un parametro per l’esame della legittimità degli atti di diritto dell’Unione. A suo avviso, «[p]uò accadere che si possa invocare un accordo nell’ambito di una causa promossa in base all’art[icolo] 173, anche se esso non ha efficacia diretta, ma può anche succedere che i motivi che inducono a negare efficacia diretta all’accordo siano di natura tale da condurre altresì a rifiutare l’accordo come parte del patrimonio giuridico sulla base del quale la Corte svolge il proprio sindacato di legittimità». V., in tal senso, conclusioni nella causa Germania/Consiglio (EU:C:1994:235, punto 137).

    ( 99 ) V., Manin, P., op. cit.

    ( 100 ) Lenaerts, K., e Corthauts T., «On birds and hedges»; op. cit., punto 299: «the invoked articles need to be unconditional and sufficiently precise, but only to the extent that they must be apt to serve as yardstick for review, not in the sense that they confer rights on individuals as required in cases involving direct effect».

    ( 101 ) Prieur, M., «La convention d’Aarhus, instrument universel de la démocratie environnementale», RJE, 1999, pag. 9, citato da Guiorguieff, J., «Les règles de recevabilité concernant les actions des particuliers et la convention d’Aarhus», R.A.E, 2012/3, pag. 629.

    ( 102 ) Sentenze Lesoochranárske zoskupenie (EU:C:2011:125, punto 31), e Haegeman, (EU:C:1974:41). V., per analogia, in particolare, sentenze IATA e ELFAA (EU:C:2006:10, punto 36) e Commissione/Irlanda (EU:C:2006:345, punto 82).

    ( 103 ) Sentenza Lesoochranárske zoskupenie (EU:C:2011:125, punto 30) (la Corte fa riferimento, in particolare, alle sentenze Haegeman, EU:C:1974:41, punti da 4 a 6, e Demirel, EU:C:1987:400, punto 7).

    ( 104 ) V. sentenze Boxus e a. (da C‑128/09 a C‑131/09, C‑134/09 e C‑135/09, EU:C:2011:667); Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8); Edwards e Pallikaropoulos (C‑260/11, EU:C:2013:221); Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, Landesverband Nordrhein-Westfalen (EU:C:2011:289); Lesoochranárske zoskupenie (EU:C:2011:125), nonché conclusioni del 12 settembre 2013 nella causa Commissione/Regno Unito (C‑530/11, ancora pendente dinanzi alla Corte).

    ( 105 ) Commission économique pour l’Europe, The Aarhus Convention: An Implementation Guide, 2a ed., 2013, pag. 6; Beyerlin, U., e Grote Stoutenburg, J., «Environment, International Protection», sotto la direzione di Wolfrum, R., Max Planck Encyclopedia of Public International Law, punto 73.

    ( 106 ) V., per un’applicazione di tale criterio, sentenza cosiddetta «Biotech» (EU:C:2001:523, punti da 51 a 53).

    ( 107 ) Risoluzione del Parlamento europeo sulla strategia dell’Unione europea in vista della Conferenza di Almaty sulla Convenzione di Aarhus, P6_TA(2005)0176.

    ( 108 ) EU:C:2011:125, punto 45.

    ( 109 ) Ibidem (punto 46).

    ( 110 ) Sentenza intitolata «Besluit derogatie (luchtkwaliteitseisen)», pubblicata nel Staatsblad, 2009, n. 366.

    ( 111 ) V. sentenza IATA e ELFAA (EU:C:2006:10, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 112 ) V. considerando 8 e 18 della convenzione di Aarhus.

    ( 113 ) Fatta eccezione per atti adottati nell’ambito delle attività legislativa o giurisdizionale, v. mie conclusioni parallele nelle cause Consiglio e Commissione/Stichting Natuur en Milieu e Pesticide Action Network Europe (C‑404/12 P e C‑405/12 P).

    ( 114 ) Stec, S., e Casey‑Lefkowitz, S., The Aarhus Convention, An Implementation Guide, pagg. da 23 a 25.

    ( 115 ) V., Andrusevyvh, K., Case Law of the Aarhus Convention, 2004‑2011, pag. 80.

    ( 116 ) L’articolo 9, paragrafo 3, dev’essere letto alla luce del preambolo e di altre disposizioni quali gli articoli 1 e 3 della convenzione. Conformemente alla volontà delle parti, il pubblico, comprese le organizzazioni, dovrebbe godere di un diritto di accesso a meccanismi efficaci in grado di proteggere i loro legittimi interessi (v. considerando 18 del preambolo).

    ( 117 ) Il diritto dell’Unione è assimilato a tal fine al diritto nazionale: v. comunicazione ACCC/C/2008/32, punto 76.

    ( 118 ) Larssen C., Jadot B., «La convention d’Aarhus», pag. 219, in L’accès à la justice en matière d’environnement, Bruylant, 2005.

    ( 119 ) Sentenza Boxus e a. (EU:C:2011:667, punto 53).

    ( 120 ) V., riguardo al considerando 5 della direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia (GU L 156, pag. 17), sentenze Edwards e Pallikaropoulos (EU:C:2013:221, punto 26), e Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, Landesverband Nordrhein-Westfalen (EU:C:2011:289, punto 41). Per quanto riguarda la trasposizione dell’interpretazione della direttiva 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175, pag. 40), all’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 2, della convenzione, v. sentenza Solvay e a. (C‑182/10, EU:C:2012:82, punto 42).

    ( 121 ) Comitato d’esame per il rispetto delle disposizioni della convenzione di Aarhus, 14 giugno 2005, comunicazione ACCC/C/2005/11 (Belgio).

    ( 122 ) V. sentenza Boxus e a. (EU:C:2011:667).

    ( 123 ) Comunicazione ACCC/C/2008/32 (UE), (http://www.unece.org/fileadmin/DAM/env/pp/compliance/C2008‑32/DRF/C32Findings27April2011.pdf, punto 88).

    ( 124 ) Sentenza Solvay e a. (EU:C:2012:82, punto 28).

    ( 125 ) V. sentenza Edwards e Pallikaropoulos (EU:C:2013:221, punto 34): «anche se il documento pubblicato nel 2000 dalla Commissione economica per l’Europa dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, intitolato “La convenzione di Aarhus, guida all’applicazione”, non può fornire un’interpretazione vincolante di tale convenzione, si può rilevare che quest’ultima precisa che le spese di un ricorso ai sensi della convenzione o per fare applicare il diritto nazionale dell’ambiente non devono essere tanto elevate da impedire ai membri del pubblico di proporre ricorso ove lo reputino necessario».

    ( 126 ) C‑279/12, EU:C:2013:853.

    ( 127 ) GU L 41, pag. 26.

    ( 128 ) http://www.unece.org/fileadmin/DAM/env/pp/acig.pdf, pag. 131: «The provision potentially covers a wide range of administrative and judicial procedures, including the “citizen enforcement” concept, in which members of the public are given standing to directly enforce environmental law in court. The obligation can also be met, for example, by providing for the opportunity to initiate an administrative procedure. Regardless of the particular mechanism, the Convention makes it abundantly clear that it is not only the province of environmental authorities and public prosecutors to enforce environmental law, but that the public also has a role to play».

    ( 129 ) http://www.unece.org/fileadmin/DAM/env/pp/acig.pdf, pag. 125: «Provides review procedures for public review of acts and omissions of private persons or public authorities concerning national law relating to the environment».

    ( 130 ) http://www.unece.org/fileadmin/DAM/env/pp/acig.pdf, pag. 130.

    ( 131 ) V., in tal senso, sentenza Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 20). La genesi di una disposizione di diritto dell’Unione può anch’essa presentare elementi pertinenti per la sua interpretazione (sentenza Pringle, C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 135).

    ( 132 ) COM(2003) 622 definitivo, COD 2003/0242, pag. 17.

    ( 133 ) Dal considerando 11 della direttiva 2003/35 emerge che tale direttiva è stata adottata «per garantir[e] la totale compatibilità [della normativa dell’Unione] con le disposizioni della convenzione di Aarhus, in particolare con (…) l’articolo 9, [paragrafo] 2 (…)». (V., inoltre, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Regno Unito, C‑530/11, EU:C:2013:554, e conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa che ha dato luogo alla sentenza Gemeinde Altrip e a., C‑72/12, EU:C:2013:712). Il considerando 5 della direttiva 2003/4 precisa anch’esso che, adottando tale direttiva, il legislatore dell’Unione ha inteso garantire la compatibilità del diritto dell’Unione con la convenzione di Aarhus sul diritto di accesso alle informazioni ambientali (v., in proposito, sentenza Flachglas Torgau, C‑204/09, EU:C:2012:71, punto 31).

    ( 134 ) Infatti, per quanto riguarda l’accesso alla giustizia, erano applicabili gli ex articoli 230 CE e 232 CE che garantivano l’accesso alla giustizia dell’UE. Orbene, tali disposizioni non consentivano alla Comunità di ratificare la convenzione in quanto alcune delle disposizioni di tale convenzione sono più dettagliate o più ambiziose delle disposizioni comunitarie esistenti. V. COM(2003) 622 definitivo – COD 2003/0242, pag. 3.

    ( 135 ) Il progetto di direttiva sull’accesso alla giustizia in materia ambientale, che mira a definire un insieme di requisiti minimi relativi all’accesso ai procedimenti amministrativi e giurisdizionali in materia ambientale, dando così attuazione nel diritto dell’Unione e in quello degli Stati membri al terzo pilastro della convenzione di Aarhus. V. COM(2003) 624 definitivo.

    ( 136 ) Report by the Compliance Committee on the Compliance by the European Community with its obligation under the Convention presented to the Third meeting of the Parties to the Convention (Kazokiskes Report) http://www.unece.org/fileadmin/DAM/env/documents/2008/pp/mop3/ece_mp_pp_2008_5_add_10_e.pdf.

    ( 137 ) COM(2003) 622 definitivo – COD 2003/0242.

    ( 138 ) Dai lavori legislativi che precedono l’adozione del regolamento di Aarhus emerge che «[l’]estensione della legittimazione ad agire a tutte le persone fisiche e giuridiche non è stata considerata una soluzione praticabile (…) in quanto implicherebbe una modifica degli articoli 230 e 232 del trattato CE e non potrebbe quindi essere introdotta da norme di diritto derivato. La (…) proposta limita la legittimazione ad agire [ai] (…) “soggetti abilitati”». V. proposta di regolamento COM(2003) 622 definitivo, pag. 17.

    ( 139 ) COM(2003) 622 definitivo, pag. 28. Si deve rilevare che la questione dell’esclusione degli atti adottati nell’esercizio dei poteri legislativi o giurisdizionali è stata anzitutto distinta da quella dell’esclusione degli atti adottati in qualità di organo di controllo amministrativo (aiuti di Stato, infrazioni, mediazioni, OLAF, ecc.) (ibidem, pag. 11).

    ( 140 ) Posizione comune del 20 aprile 2005, 6273/05 (ENV 57, JUSTCIV 24 INF 38 ONU 10 CODEC 81 OC 80).

    ( 141 ) Risoluzione legislativa del Parlamento europeo relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell’adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale [6273/2/2005 – C6-0297/2005 – 2003/0242(COD)]. Sin dalla fase della posizione comune, il Regno del Belgio ha rilevato un’incompatibilità con la convenzione di Aarhus, in quanto le disposizioni hanno come effetto di limitare indebitamente l’accesso ai mezzi di ricorso dei membri del pubblico che le istituzioni sarebbero tenute a garantire conformemente alla convenzione. V., a tal proposito, dichiarazione del Regno del Belgio: http://register.consilium.europa.eu/pdf/fr/05/st10/st10896-ad01.fr05.pdf.

    ( 142 ) Per un’analisi più completa della problematica della procedura di riesame, v., Pallemaerts, M., «Acces to Environmental Justice at EU level», in The Aarhus Convention at Ten, Interactions and Tensions between Conventional International Law and EU Environmental Law, Europa Law Publishing, 2001.

    ( 143 ) Si tratterebbe quindi non solo di atti adottati sul fondamento dell’articolo 191 TFUE, ma anche di atti aventi un duplice fondamento normativo (v., in particolare, sentenze Commissione/Consiglio, C‑94/03, EU:C:2006:2, e Commissione/Parlamento e Consiglio, C‑411/06, EU:C:2009:518).

    ( 144 ) Contrariamente ad atti di portata generale che si applicano a situazioni determinate obiettivamente ed implicano effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in modo generale e astratto (v., sentenza Calpak e Società Emiliana Lavorazione Frutta/Commissione, 789/79 e 790/79, EU:C:1980:159, punto 9).

    ( 145 ) Sentenza del 9 giugno 1964, Acciaierie Fonderie Ferriere di Modena/Alta Autorità (da 55/63 a 59/63 e da 61/63 a 63/63, EU:C:1964:37).

    ( 146 ) Conclusioni pronunciate congiuntamente l’8 maggio 2014.

    ( 147 ) Per gli aspetti procedurali, v. decisione 2008/50/CE della Commissione, del 13 dicembre 2007, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla convenzione di Aarhus con riguardo alle richieste di riesame interno degli atti amministrativi (GU 2008, L 13, pag. 24).

    ( 148 ) Articolo 64 del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un’agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE (GU L 396, pag. 1).

    ( 149 ) V. la procedura in conformità al regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (GU L 268, pag. 1) – Risposta della Commissione del 26 maggio 2008 pubblicata sul sito http://ec.europa.eu/environment/aarhus/pdf/title_iv/Reply%20to%20J_E.pdf.

    ( 150 ) La Commissione ha così ritenuto che la richiesta di riesame della decisione di approvazione di un programma di assistenza del Fondo europeo di sviluppo regionale, sebbene giuridicamente vincolante, fosse priva di effetti esterni sulla base del rilievo che lo Stato membro beneficiario poteva stabilire quali progetti rispondessero ai requisiti (v. risposta della Commissione all’Ekologicky Pravni Servis del 6 agosto 2008, pubblicata sul sito Internet della Commissione: http://ec.europa.eu/environment/aarhus/pdf/title_iv/Reply%20to%20EPS.pdf). Fondandosi sulla stessa motivazione, la Commissione ha respinto, in quanto irricevibile, una richiesta di riesame della decisione in cui viene stilata una «short‑list» dei candidati al posto di direttore esecutivo dell’agenzia REACH (risposta della Commissione all’Ekologicky Pravni Servis del 6 agosto 2008, pubblicata sul sito Internet della Commissione: http://ec.europa.eu/environment/aarhus/pdf/title_iv/Reply%20to%20EPS.pdf).

    ( 151 ) Come ho già rilevato, il regolamento di Aarhus è stato considerato dal Comitato (Aarhus Convention Compliance Committe) eccessivamente restrittivo, se non addirittura incompatibile con la convenzione. «The scope of the Aarhus Regulation is far more restrictive than that of the Aarhus Convention, and so the Regulation fails to fully implement the Convention. This causes three specific problems. First, it appears to make it impossible to challenge a whole range of EC institutions and bodies’ decisions. Second, it fails to transpose of article 9(2) of the Convention. Third, it incorrectly transposes article 9(3) of the Convention». http://www.unece.org/fileadmin/DAM/env/pp/compliance/C2008‑32/communication/Communication.pdf, pag. 20.

    ( 152 ) Direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 257, pag. 26).

    ( 153 ) Sentenza Križan e a. (EU:C:2013:8, punto 106).

    ( 154 ) Sentenze Boxus e a. (EU:C:2011:667, punto 53), e Deutsche Umwelthilfe (C‑515/11, EU:C:2013:523).

    ( 155 ) V. le dichiarazioni che accompagnano l’adozione della convenzione di Aarhus: «Fully supporting the objectives pursued by the Convention and considering that the EC itself is being actively involved in the protection of the environment through a comprehensive and evolving set of legislation, it was felt important not only to sign up to the Convention at the Community level but also to cover its own institutions, alongside national public authorities», dichiarazione riprodotta da: Pallemaerts, M., «Access to Environmental Justice at EU level», op. cit., pag. 273. V. anche decisione 2005/370.

    ( 156 ) Il principio dell’interpretazione conforme è stato stabilito dalla sentenza Interfood (EU:C:1972:30). V. sentenza Kupferberg (EU:C:1982:362, punto 14).

    ( 157 ) Sentenze Hermès (EU:C:1998:292, punto 28); Safety Hi‑Tech (C‑284/95, EU:C:1998:352, punto 22), e Bellio F.lli (C‑286/02, EU:C:2004:212, punto 33).

    ( 158 ) Simon, D., «La panacée de l’interprétation conforme», in De Rome à Lisbonne: les juridictions de l’Union européenne à la croisée des chemins, Bruylant 2013, pag. 284.

    ( 159 ) Sentenza Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289, punto 798).

    ( 160 ) Regola enunciata, riguardo all’interpretazione del diritto nazionale, ad esempio, nella sentenza Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 25).

    ( 161 ) Per quanto riguarda la natura condizionata dell’impugnazione incidentale, temo che quest’unico aspetto possa costituire un motivo di irricevibilità. Infatti, l’impugnazione incidentale mi sembra condizionata per natura, in quanto dipende dall’esito riservato ai motivi nell’ambito dell’impugnazione principale.

    ( 162 ) V., in tal senso, ordinanza del 6 febbraio 2014, Thesing e Bloomberg Finance/BCE (C‑28/13 P, EU:C:2014:96, punto 25).

    ( 163 ) Sentenza Wam Industriale/Commissione (C‑560/12 P, EU:C:2013:726, punto 44).

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