Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62012CC0065

    Conclusioni dell'avvocato generale Kokott del 21 marzo 2013.
    Leidseplein Beheer BV e Hendrikus de Vries contro Red Bull GmbH e Red Bull Nederland BV.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Hoge Raad der Nederlanden - Paesi Bassi.
    Rinvio pregiudiziale - Marchi - Direttiva 89/104/CEE - Diritti conferiti dal marchio - Marchio notorio - Tutela estesa a prodotti o servizi non simili - Utilizzo da parte di un terzo senza giusto motivo di un segno identico o simile al marchio notorio - Nozione di "giusto motivo".
    Causa C-65/12.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2013:196

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    JULIANE KOKOTT

    presentate il 21 marzo 2013 ( 1 )

    Causa C‑65/12

    Leidseplein Beheer BV

    H.J.M. de Vries

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi)]

    «Direttiva 2008/95/CE — Diritto dei marchi — Diritto del titolare di un marchio registrato — Marchio notorio — Uso senza giusto motivo e indebito di un segno identico ad un marchio notorio o ad esso simile da parte di un terzo — Nozione di “giusto motivo”»

    I – Introduzione

    1.

    Gli Stati membri possono conferire ai titolari di marchi notori il diritto di vietare ai terzi di usare segni simili, qualora l’uso del segno consenta di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio d’impresa o rechi pregiudizio agli stessi.

    2.

    Dopo che la Corte, a proposito di un annuncio pubblicitario su Internet con parole chiave, ha già discusso determinati aspetti di una possibile giustificazione ( 2 ), resta ora da esaminare in che misura l’uso di un segno in buona fede prima della domanda di registrazione di un marchio simile, che in seguito acquista notorietà, può giustificare l’ulteriore uso del primo segno. Il sig. de Vries e la sua società, la Leidseplein Beheer BV utilizzavano, infatti, l’immagine di un bulldog con la scritta «The Bulldog» già molto tempo prima che la Red Bull registrasse per la prima volta i suoi marchi. Oggetto dell’attuale controversia è la questione se la Red Bull possa vietare l’uso di tale segno per una bevanda energetica.

    II – Contesto normativo

    A – Diritto dell’Unione

    3.

    L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sui marchi ( 3 ) disciplina i diritti spettanti a tutti i titolari di marchi:

    «Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

    a)

    un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato;

    b)

    un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio di impresa».

    4.

    L’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi disciplina i diritti ulteriori del titolare di marchi notori:

    «Ciascuno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno (…) simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».

    B – Normativa dei Paesi Bassi

    5.

    La normativa in materia di marchi nei Paesi Bassi è contenuta nella Convenzione del Benelux sulla proprietà intellettuale conclusa a L’Aia il 25 febbraio 2005. L’articolo 2.20, paragrafo 1, lettera c), della convenzione corrisponde all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi.

    III – Fatti e domanda di pronuncia pregiudiziale

    6.

    La Red Bull è titolare del marchio denominativo/figurativo «Red Bull Krating-Daeng», registrato l’11 luglio 1983 per la classe 32 (bevande analcoliche). Il prodotto più noto di detta società è l’omonima bevanda energetica.

    7.

    Il sig. de Vries è titolare del marchio denominativo/figurativo «The Bulldog», registrato il 14 luglio 1983 ugualmente per la classe 32 (bevande analcoliche), nonché di marchi simili più recenti. Egli utilizzava detto segno, (molto tempo) prima che la Red Bull, nel 1983, registrasse il suo marchio, per «servizi di ristorazione con vendita di bevande» e per diverse attività di merchandising, precisamente, secondo le sue indicazioni, dal 1975 inter alia per i cosiddetti «coffee shop», ma anche per caffetterie, un albergo, un noleggio di biciclette e, a partire dal 1997, per una bevanda energetica. La Leidseplein Beheer BV sembra essere la società di cui si serve il sig. de Vries per gestire tali attività.

    8.

    La Red Bull mira, in particolare, all’obiettivo di impedire al sig de Vries di produrre e commercializzare bevande energetiche con presentazioni in cui figurino il segno «Bull Dog», un altro segno in cui compaia la parola «Bull», o altri segni confondibili con i marchi registrati dalla Red Bull.

    9.

    In primo grado, dinanzi alla Rechtbank Amsterdam, veniva accolto il ricorso del sig. de Vries, in secondo grado, invece, dinanzi al Gerechtshof te Amsterdam, quello della Red Bull. Il ricorso per cassazione presentato dal sig. de Vries è attualmente pendente dinanzi allo Hoge Raad der Nederlanden.

    10.

    Secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, finora non è stata ancora valutata a sufficienza la somiglianza fra i due segni. Nel presente procedimento non si può pertanto ritenere sussistente un rischio di confusione. Inoltre, la domanda di pronuncia pregiudiziale lasciava aperta la questione se il sig. de Vries abbia inteso approfittare del fatturato miliardario della Red Bull in bevande energetiche e che egli, sulla scia della notorietà di detto marchio, abbia tratto un vantaggio indebito dalla reputazione di quest’ultimo ( 4 ).

    11.

    Piuttosto lo Hoge Raad nutre dubbi che l’uso anteriore del segno possa realmente essere motivato. Esso sottopone pertanto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

    «Se l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi debba essere interpretato nel senso che può configurarsi un giusto motivo, ai sensi di tale disposizione, anche se il segno identico o simile al marchio che gode di notorietà veniva già utilizzato in buona fede dal terzo interessato (dai terzi interessati) prima che siffatto marchio venisse depositato».

    12.

    Le parti del procedimento principale, la Leidseplein Beheer BV congiuntamente con il sig. H.J.M. de Vries e la Red Bull GmbH, nonché la Repubblica italiana e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte e, a parte l’Italia, hanno anche partecipato all’udienza del 27 febbraio 2013.

    IV – Valutazione giuridica

    A – Sullo sfondo della questione pregiudiziale

    13.

    Per quanto riguarda, anzitutto, l’applicabilità delle norme enunciate dall’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi, occorre constatare che, secondo costante giurisprudenza, pur se tali disposizioni si riferiscono espressamente solo all’ipotesi in cui sia fatto uso di un segno identico o simile ad un marchio che gode di notorietà per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, la tutela in essi enunciata vale, a maggior ragione, anche nei confronti dell’uso di un segno identico o simile ad un marchio che gode di notorietà per prodotti o servizi che sono identici o simili a quelli per i quali il marchio è stato registrato ( 5 ). Esse si applicano dunque anche nel caso di specie, avente ad oggetto prodotti identici, precisamente bevande energetiche.

    14.

    Per quanto riguarda poi la portata della tutela conferita ai marchi che godono di notorietà, risulta dalla formulazione dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi che i titolari di marchi del genere hanno il diritto di vietare l’uso nel commercio di segni identici o simili a tali marchi da parte di terzi, immotivato e senza il loro consenso, qualora l’uso in questione tragga indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà di tali marchi o arrechi pregiudizio a detto carattere distintivo o a detta notorietà. L’esercizio di tale diritto da parte del titolare del marchio che gode di notorietà non presuppone l’esistenza di un rischio di confusione nella mente del pubblico considerato ( 6 ).

    15.

    Le violazioni contro le quali l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi garantisce la tutela sono, anzitutto, il pregiudizio al carattere distintivo del marchio («diluizione»), poi, il pregiudizio arrecato alla notorietà di detto marchio («annacquamento») e, infine, il vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà dello stesso («parassitismo»), essendo sufficiente che sussista una sola di dette violazioni affinché si applichi la norma enunciata in tali disposizioni ( 7 ).

    16.

    Nel procedimento nazionale, il giudice di secondo grado, il Gerechtshof, riteneva sussistente un «vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio», detto anche «parassitismo». Tale violazione dei diritti del titolare di un marchio non si ricollega al pregiudizio subito dal marchio, quanto piuttosto al vantaggio tratto dal terzo dall’uso del segno identico o simile al marchio. Essa comprende, in particolare, il caso in cui, grazie ad un trasferimento dell’immagine del marchio o delle caratteristiche da questo proiettate sui prodotti designati dal segno identico o simile, sussiste un palese sfruttamento parassitario nel tentativo di infilarsi nella scia del marchio notorio ( 8 ).

    17.

    Lo Hoge Raad der Nederlanden si riservava provvisoriamente la decisione sul corrispondente motivo di cassazione dedotto dal sig. de Vries per chiedere anzitutto alla Corte se può configurarsi un giusto motivo, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi, anche se il segno identico o simile al marchio che gode di notorietà veniva già utilizzato in buona fede dal terzo interessato (dai terzi interessati) prima che siffatto marchio venisse registrato.

    B – Sull’ipotesi formulata dalla Red Bull

    18.

    La Red Bull sostiene a tal riguardo che si configura un giusto motivo solo se sussiste la necessità per l’utilizzatore di tale segno di usare proprio quest’ultimo, e se, a prescindere dal danno arrecato al titolare del marchio attraverso l’uso, non si può ragionevolmente pretendere da esso di astenersi da detto uso. In altri termini: si deve trattare di un motivo cogente che escluda una rinuncia all’uso controverso. La Red Bull poggia tale tesi su una sentenza del Tribunale ( 9 ), una decisione di una commissione di ricorso dell’UAMI ( 10 ) e la precedente giurisprudenza della Corte di giustizia del Benelux ( 11 ).

    C – Sul tenore letterale

    19.

    Sulla base della versione olandese dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi, può sembrare un po’ più coerente la tesi restrittiva sostenuta dalla Red Bull rispetto ad altre versioni linguistiche. In olandese non viene usata la nozione di «giusto motivo» («rechtvaardige reden»), ma quella di «motivo fondato» oppure di «motivo valido» («geldige reden»). Detta versione potrebbe quasi interpretarsi nel senso che debba sussistere un diritto specifico all’uso del segno, ad esempio un diritto al nome oppure un marchio anteriore.

    20.

    Invece, si può interpretare la nozione tedesca di «rechtfertigender Grund» (giusto motivo), ma anche le analoghe nozioni delle versioni francese – «juste motif» – e inglese – «due cause» –, anche nel senso che il motivo sottostante all’uso del segno non debba essere di natura cogente. Potrebbe pertanto essere sufficiente la mera sussistenza di un interesse legittimo che prevalga nei confronti degli interessi del titolare del marchio che gode di notorietà.

    21.

    Prima facie non si vede perché l’uso anteriore di un segno debba essere inidoneo a fondare un interesse legittimo potenzialmente prevalente.

    22.

    Tuttavia, le diverse versioni linguistiche di una disposizione dell’Unione devono essere interpretate uniformemente. In caso di divergenza tra le versioni stesse, la disposizione deve essere pertanto intesa, in linea di principio, in funzione dell’economia generale e delle finalità della normativa di cui essa fa parte ( 12 ).

    D – Sul sistema della direttiva sui marchi

    23.

    La Red Bull si richiama, in effetti, al sistema della direttiva sui marchi e alla sua trasposizione nella Convenzione del Benelux per avvalorare la propria tesi. Essa poggia sulle norme di protezione dei cosiddetti marchi di fatto, vale a dire marchi che non sono registrati ma sono protetti solo in ragione dell’uso che se n’è fatto.

    24.

    La direttiva sui marchi, all’articolo 4, paragrafo 4, lettera b), consente agli Stati membri di rifiutare la registrazione di un marchio in caso di preesistenza di diritti a un marchio di impresa non registrato e qualora questo marchio di impresa non registrato dia al suo titolare il diritto di vietare l’uso del marchio di impresa successivo. Inoltre l’articolo 6, paragrafo 2, consente agli Stati membri di riconoscere diritti anteriori di portata locale. Come risulta pure dal quinto considerando, se dunque gli Stati membri possono riconoscere e tutelare marchi non registrati, non sono però tenuti a farlo.

    25.

    La Convenzione del Benelux non si avvale di tali opzioni. Secondo le sue disposizioni, un marchio può essere acquisito solo attraverso registrazione e non per mero uso. La Red Bull ritiene che in un sistema puro basato sulla registrazione l’unico correttivo è la sanzione di una domanda di marchio presentata in mala fede ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), della direttiva sui marchi. Anche l’Italia espone che in un sistema del genere l’uso anteriore di un segno in buona fede non può essere motivato ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2.

    26.

    Tale linea argomentativa si risolve nel sostenere che il riconoscimento di un uso anteriore del segno in buona fede come possibile giusto motivo ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi, comporterebbe in via indiretta la tutela di marchi non registrati.

    27.

    Tuttavia, tale tesi non è convincente. Il riconoscimento quale potenziale giusto motivo non significa che chi abbia utilizzato un segno senza registrazione possa avvalersi dei diritti conferiti da un marchio, né da un siffatto riconoscimento deriva l’accoglimento in ogni caso di tale giustificazione.

    28.

    Inoltre, l’uso di un segno giustificato, ove possibile, nell’ambito dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi può essere sempre vietato ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, qualora sussista un rischio di confusione, dato che in tal caso si potrebbe configurare un inganno a danno dei consumatori.

    29.

    A tale ultima considerazione la Red Bull obietta che la tutela fornita dall’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi è più ampia di quella offerta dall’articolo 5, paragrafo 1, tuttavia anche tale argomento non convince. In effetti, tali due prerogative hanno diverse funzioni. L’articolo 5, paragrafo 2, serve esclusivamente alla tutela del titolare del marchio, mentre l’articolo 5, paragrafo 1, serve anche alla tutela dei consumatori dalle frodi. Pertanto, la tutela dei marchi semplici può subentrare nei casi in cui non sia applicabile la tutela dei marchi che godono di notorietà e viceversa.

    30.

    Va rilevato, in via integrativa, che il sistema della direttiva sui marchi potrebbe essere vulnerato sotto un altro aspetto, precisamente negli impedimenti relativi alla registrazione del marchio notorio di cui all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, lettera a). Tali disposizioni impiegano infatti i medesimi termini dell’articolo 5, paragrafo 2. Dato che nel presente caso, tuttavia, il segno controverso era già stato registrato prima che «Red Bull» diventasse un marchio notorio, non si deve decidere in merito alle possibili conseguenze dell’interpretazione qui proposta dell’articolo 5, paragrafo 2, relativa alla registrazione dei marchi.

    31.

    Pertanto, neanche il sistema della direttiva esige che venga seguita la tesi restrittiva proposta dalla Red Bull.

    E – Sulla necessaria ponderazione

    32.

    In un simile contesto non è sorprendente che la Corte, nella recente sentenza Interflora e Interflora British Unit, invocata anche dallo Hoge Raad der Nederlanden, al fine di motivare la necessità della sua domanda di pronuncia pregiudiziale, non abbia interpretato la nozione di «giusto motivo» nel senso di motivo cogente. Tale caso riguardava un annuncio pubblicitario in Internet a partire da una parola chiave corrispondente ad un marchio che gode di notorietà. Tale annuncio pubblicitario proponeva un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio notorio, senza però offrire una semplice imitazione dei prodotti e dei servizi del titolare di tale marchio, senza provocare una diluizione o una corrosione e senza peraltro arrecare pregiudizio alle funzioni di detto marchio. Un siffatto uso rientra, in linea di principio, in una concorrenza sana e leale nell’ambito dei prodotti o dei servizi considerati ed è quindi «motivato» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi ( 13 ).

    33.

    Per favorire una concorrenza sana e leale con il titolare del marchio che gode di notorietà può essere invero utile impiegare tale marchio come parola chiave nella pubblicità in Internet. Una siffatta pubblicità non è, tuttavia, una condizione strettamente necessaria di tale concorrenza.

    34.

    Di conseguenza, nella sentenza Interflora e Interflora British Unit, la Corte non si è basata sul fatto che l’utilizzazione di marchi notori come parole chiave fosse inevitabile. Piuttosto, la sua decisione si fonda su una ponderazione tra il pregiudizio subito dal marchio e altri beni giuridicamente protetti, in particolare la libertà di concorrenza.

    35.

    Del resto, si rinviene una ponderazione anche più evidente nella giurisprudenza della Corte, secondo cui la direttiva è diretta, in maniera generale, a contemperare, da un lato, gli interessi del titolare di un marchio a salvaguardare la funzione essenziale di quest’ultimo e, dall’altro, l’interesse di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi ( 14 ).

    36.

    Una ponderazione si ritrova anche nell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sui marchi. Il titolare di un marchio che gode di notorietà non può infatti vietare qualsiasi uso del marchio o di segni simili, ma solo un uso immotivato che consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi. A tal riguardo, l’indebito vantaggio o pregiudizio è strettamente collegato all’assenza di un giusto motivo. Qualora l’utilizzazione del segno sia giustificata, infatti, essa non può essere qualificata, in modo denigratorio, come sleale ( 15 ).

    37.

    È dunque opportuno collegare l’esame del giusto motivo alla verifica se l’uso del segno tragga indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio. Ciò richiede una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie ( 16 ).

    38.

    A tal proposito, la Corte ha preso in considerazione, in particolare, l’intensità della notorietà e il grado del carattere distintivo del marchio, il grado di somiglianza fra i marchi in conflitto, nonché la natura e il grado di prossimità dei prodotti o dei servizi interessati. Relativamente all’intensità della notorietà e del grado di carattere distintivo del marchio anteriore, più il carattere distintivo e la notorietà del marchio di cui si tratta sono rilevanti, più facilmente sarà ammessa l’esistenza di una violazione. Più l’evocazione del marchio ad opera del segno è immediata e forte, più aumenta il rischio che l’uso attuale o futuro del segno tragga un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o rechi loro pregiudizio ( 17 ).

    39.

    In tale esame i giudici nazionali devono tener conto del fatto che si tratta di prodotti identici e pertanto può essere particolarmente evidente un’associazione con il marchio che gode di grande notorietà in relazione a tali prodotti. Tuttavia, i segni non sono identici ma coincidono nella sola parola «Bull» che, nel segno di cui è titolare il sig. de Vries, costituisce soltanto un elemento della parola Bulldog ed è associata ad un’immagine del tutto diversa.

    40.

    Ad ogni modo l’elemento essenziale di un indebito vantaggio consiste nel fatto che un terzo tenta, con l’uso di un segno simile ad un marchio notorio, di porsi nel solco tracciato da quest’ultimo, al fine di beneficiare del suo potere attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio, così come di sfruttare, senza qualsivoglia corrispettivo economico e senza dover operare sforzi propri a tale scopo, lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per creare e mantenere l’immagine di detto marchio ( 18 ).

    41.

    Nell’effettuare detta valutazione può assumere grande importanza il fatto che il segno «The Bulldog» sia registrato già dal 1983 come marchio per bevande analcoliche. Sebbene il marchio «Red Bull» sia anteriore di alcuni giorni, è tuttavia dubbio che esso avesse già acquisito notorietà in tale data. Pertanto il sig. de Vries può invocare, in linea di massima, con riguardo a detto marchio, il principio della conservazione dei diritti acquisiti riconosciuto dal diritto dell’Unione ( 19 ), per giustificarne l’uso per una bevanda energetica analcolica. Lo sfruttamento di un diritto esistente non può essere, in linea di principio, indebito e immotivato perché un altro marchio raggiunge successivamente un alto grado di notorietà e così il suo ambito di protezione viene a collidere con quello di marchi esistenti.

    42.

    D’altro canto, va riconosciuto che il sig. de Vries non deduce di aver usato detto marchio per bevande energetiche prima del 1997. Anche lo Hoge Raad der Nederlanden, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, non si è manifestamente occupato degli effetti di tale marchio. Piuttosto si è basato sul fatto che il marchio sia stato utilizzato per altre attività economiche nell’ambito della ristorazione.

    43.

    Tuttavia, nella ponderazione degli interessi in gioco occorre tener conto anche di un siffatto uso. Infatti, esso costituisce uno sforzo proprio del terzo al quale in ogni caso non si può più addebitare di sfruttare la notorietà altrui senza intraprendere egli stesso tale sforzo. Anzi, per effetto dell’utilizzazione anteriore, il segno può incrementare del pari il suo potere di attrazione, la reputazione e il prestigio che devono essere presi in considerazione quali interessi legittimi del terzo. In misura minore ciò vale pure qualora il segno sia stato usato dopo la registrazione del marchio ma prima che esso abbia acquisito notorietà. Quale rilievo debba attribuirsi all’uso di un segno che abbia avuto luogo dopo che un marchio ha acquisito notorietà, non deve essere deciso nel presente caso.

    44.

    Siccome dall’utilizzazione anteriore di un segno possono derivare potere di attrazione, reputazione e prestigio, il suo attuale uso può inoltre essere idoneo altresì a realizzare la funzione di origine del marchio e pertanto a contribuire ad una migliore informazione dei consumatori. Così, nel caso di specie, è possibile che almeno i consumatori in Amsterdam possano associare ad una determinata società il segno «The Bulldog» piuttosto che i nomi «de Vries» e «Leidseplein Beheer» o una denominazione del tutto nuova.

    45.

    Tale interesse legittimo all’utilizzazione di un segno impiegato anteriormente non perde valore neanche per il fatto che il sig. de Vries possa aver iniziato la commercializzazione di bevande energetiche dopo che la Red Bull aveva conseguito un notevole successo con tale prodotto. La normativa in materia di marchi non mira ad impedire a determinate imprese di essere in concorrenza su determinati mercati. Come mostra la sentenza Interflora e Interflora British Unit, una siffatta concorrenza nel mercato interno è anzi auspicata ( 20 ). E nell’ambito di tale concorrenza le imprese dovrebbero avere, in linea di massima, – salvo il rischio di confusione – anche il diritto di utilizzare i segni con i quali sono conosciute sul mercato.

    46.

    Conseguentemente, anche il caso menzionato dalla Red Bull concernente una libreria storica dal nome «Green Apple» che comincia a vendere computer sotto tale denominazione, non può essere considerata ipso iure una violazione dei diritti al marchio notorio «Apple».

    47.

    Come sottolinea però correttamente la Commissione, è sempre possibile procedere contro determinate forme di utilizzazione di segni precedentemente usati, qualora esse, in considerazione di tutte le circostanze, siano atte a produrre un vantaggio indebito e immotivato grazie al carattere distintivo o alla notorietà del marchio anteriore o a recarvi pregiudizio. Questo sarebbe il caso, ad esempio, qualora la presentazione del segno susciti nel consumatore l’impressione di una particolare prossimità al marchio che gode di notorietà.

    48.

    Tutti tali fattori devono essere presi in considerazione singolarmente dai giudici nazionali competenti allorché si troveranno ad esaminare se l’uso immotivato di un segno tragga indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o rechi pregiudizio agli stessi.

    V – Conclusione

    49.

    Propongo, pertanto, alla Corte di rispondere come segue alla domanda di pronuncia pregiudiziale:

    Nell’ambito della ponderazione diretta a valutare se un terzo, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, tragga un vantaggio indebito e senza giusto motivo dal carattere distintivo o dalla notorietà di un marchio notorio, utilizzando un segno simile al marchio notorio, deve essere preso in considerazione a suo favore il fatto di aver già utilizzato il segno in buona fede per altri prodotti o servizi, prima che il marchio notorio venisse registrato oppure avesse acquisito notorietà.


    ( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

    ( 2 ) Sentenza del 22 settembre 2011, Interflora e Interflora British Unit (C-323/09, Racc. pag. I-8625, punto 91).

    ( 3 ) La domanda di pronuncia pregiudiziale di riferisce alla prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1). Tuttavia è applicabile la direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 299, pag. 25), le cui pertinenti disposizioni non sono però sostanzialmente diverse dalla prima direttiva.

    ( 4 ) Punto 3.10.2 della domanda di pronuncia pregiudiziale.

    ( 5 ) Sentenze del 9 gennaio 2003, Davidoff (C-292/00, Racc. pag. I-389, punto 30), del 23 marzo 2010, Google Francia e Google (da C-236/08 a C-238/08, Racc. pag. I-2417, punto 48), nonché Interflora e Interflora British Unit (cit. alla nota 2, punto 68).

    ( 6 ) Sentenze del 18 giugno 2009, L’Oréal e a. (C-487/07, Racc. pag. I-5185, punto 36), nonché Interflora e Interflora British Unit (cit. alla nota 2, punti 70 e segg.).

    ( 7 ) Sentenze del 27 novembre 2008, Intel Corporation (C-252/07, Racc. pag. I-8823, punti 27 e segg.), L’Oréal e a. (cit. alla nota 6, punti 38 e 42), nonché Interflora e Interflora British Unit (cit. alla nota 2, punti 70 e segg.).

    ( 8 ) Sentenze L’Oréal e a. (cit. alla nota 6, punto 41), nonché Interflora e Interflora British Unit (cit. alla nota 2, punto 74).

    ( 9 ) Sentenza del 25 marzo 2009, L’Oréal/UAMI – Spa Monopole (SPALINE) (T‑21/07, punto 43).

    ( 10 ) Decisione della seconda commissione di ricorso dell’UAMI del 10 novembre 2010 (OStCaR/OSCAR) (R 1797/2008‑2, punto 63).

    ( 11 ) Sentenza del 1o marzo 1975, Bols/Colgate Palmolive (Clareyn/Klarein) GRUR International 1975, pag. 399, 401.

    ( 12 ) Sentenze del 5 dicembre 1967, van der Vecht (19/67, Racc. pagg. 462, 473), del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, Racc. pag. 1999, punti 13 e 14), del 14 giugno 2007, Euro Tex (C-56/06, Racc. pag. I-4859, punto 27), e del 21 febbraio 2008, Tele2 Telecommunication (C-426/05, Racc. pag. I-685, punto 25).

    ( 13 ) Sentenza Interflora e Interflora British Unit (cit. alla nota 2, punto 91).

    ( 14 ) Sentenze del 27 aprile 2006, Levi Strauss (C-145/05, Racc. pag. I-3703, punto 29), e del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar (C-482/09, Racc. pag. I-8701, punto 34).

    ( 15 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi del 10 febbraio 2009, L’Oréal e a. (cit. alla nota 6, paragrafi 105 e segg.), Hacker, F., «§ 14 – Ausschließliches Recht – Sonderschutz der bekannten Marke», in Ströbele/Hacker, Markengesetz-Kommentar, IX ed., Carl-Heymanns-Verlag, Colonia 2009, pag. 925, paragrafo 323, Fezer, K.-H., Markenrecht, IV ed., Monaco 2009, articolo 14, pag. 1167, paragrafo 814.

    ( 16 ) Sentenze Intel Corporation (cit. alla nota 7, punto 68) e L’Oréal e a. (cit. alla nota 6, punto 44).

    ( 17 ) Sentenze Intel Corporation (cit. alla nota 7, punti da 67 a 69) e L’Oréal e a. (cit. alla nota 6, punto 44).

    ( 18 ) Sentenze L’Oréal e a. (cit. alla nota 6, punto 49), Google Francia e Google (cit. alla nota 5, punto 102), nonché Interflora e Interflora British Unit (cit. alla nota 2, punto 89).

    ( 19 ) Sentenza del 27 gennaio 2011, Flos (C-168/09, Racc. pag. I-181, punto 50).

    ( 20 ) Sentenza Interflora e Interflora British Unit (cit. alla nota 2, punto 91). V. inoltre l’articolo 3, paragrafo 3, TUE relativo all’istituzione di un mercato interno e il protocollo n. 27 sul mercato interno e sulla concorrenza, nonché la sentenza del 17 novembre 2011, Commissione/Italia (C-496/09, Racc. pag. I-11483, punto 60).

    Top