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Document 62012CC0064

    Conclusioni dell'avvocato generale Wahl del 16 aprile 2013.
    Anton Schlecker contro Melitta Josefa Boedeker.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Hoge Raad der Nederlanden - Paesi Bassi.
    Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali - Contratto di lavoro - Articolo 6, paragrafo 2 - Legge applicabile ove non sia stata effettuata una scelta - Legge del paese in cui il lavoratore "compie abitualmente il suo lavoro" - Contratto che presenta un collegamento più stretto con un altro Stato membro.
    Causa C-64/12.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2013:241

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    NILS WAHL

    presentate il 16 aprile 2013 ( 1 )

    Causa C‑64/12

    Anton Schlecker, con denominazione commerciale Firma Anton Schlecker,

    contro

    Melitta Josefa Boedeker

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi)]

    «Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali — Contratto di lavoro — Legge applicabile in mancanza di scelta delle parti — Legge del paese di esecuzione abituale del lavoro — Possibilità di escludere tale legge in considerazione dell’esistenza di un collegamento più stretto con unaltro paese — Portata»

    I – Introduzione

    1.

    Nella presente causa la Corte è chiamata ad interpretare l’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 (in prosieguo: la «Convenzione di Roma») ( 2 ), disposizione che disciplina la designazione della legge applicabile al contratto di lavoro in mancanza di una scelta espressa dalle parti. Le questioni pregiudiziali sollevate nel caso di specie dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi) rientrano nell’ambito di una controversia, conseguente ad una modifica unilaterale del luogo di lavoro, che oppone la sig.ra Boedeker, cittadina e residente tedesca, la quale aveva svolto la sua attività professionale senza interruzione ed esclusivamente nei Paesi Bassi per oltre undici anni, al suo datore di lavoro, la ditta Anton Schlecker, (in prosieguo: la «Schlecker»), con sede in Germania ( 3 ).

    2.

    Più precisamente, la Corte è invitata a pronunciarsi sulla portata della clausola contenuta nella parte finale di tale disposizione, che consente di escludere l’applicazione della legge designata attraverso la serie di collegamenti espressamente previsti dalle lettere a) e b), nell’ipotesi in cui «risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese», e, pertanto, a completare la giurisprudenza sviluppatasi dalle sentenze Koelzsch ( 4 ) e Voogsgeerd ( 5 ). Infatti, sebbene la Corte si sia già pronunciata, nella sentenza ICF ( 6 ), sulle condizioni di applicazione della cosiddetta clausola «d’eccezione» di portata generale, prevista dall’articolo 4, paragrafo 5, seconda frase, della Convenzione di Roma, ed abbia inoltre avuto occasione, nelle sentenze Koelzsch e Voogsgeerd, di fornire importanti precisazioni in merito alla gerarchia dei criteri di collegamento di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettere a) e b), è la prima volta che essa viene interrogata in merito alla portata della cosiddetta clausola «di salvaguardia» («escape clause») ( 7 ) relativa ai contratti individuali di lavoro ripresa nella parte finale di detta disposizione.

    3.

    La questione è decisamente rilevante ( 8 ) in quanto si ricollega, in un contesto di mobilità internazionale dei lavoratori, ad una problematica sollevata nell’ambito di un certo numero di controversie relative ai rapporti individuali di lavoro. La diversità delle soluzioni adottate al riguardo dai giudici nazionali dimostra inoltre che si tratta di una questione delicata. Nella presente causa appare necessario adottare un approccio che tenga conto non solo delle esigenze di prevedibilità delle soluzioni e di certezza del diritto, che hanno ispirato l’adozione delle norme in materia ( 9 ), ma anche degli imperativi di prossimità e di tutela del lavoratore, ai quali, conformemente agli auspici espressi dagli estensori della Convenzione di Roma ( 10 ), ma più in particolare agli orientamenti generalmente più seguiti dalla Corte ( 11 ), occorre attribuire un certo peso.

    II – Ambito normativo

    4.

    L’articolo 3 della Convenzione di Roma, intitolato «Libertà di scelta», così recita:

    «1.   Il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti. La scelta dev’essere espressa o risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze. Le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto, ovvero a una parte soltanto di esso.

    (…)».

    5.

    In mancanza di scelta, la Convenzione di Roma enuncia, all’articolo 4, un criterio generale comune a tutti i contratti ai fini della determinazione della legge applicabile, ossia quello del paese col quale il contratto presenta il collegamento più stretto, corredato di un certo numero di criteri particolari che consentono di presumere con quale paese il contratto presenti tale collegamento. Detto articolo è così formulato:

    «1.   Nella misura in cui la legge che regola il contratto non sia stata scelta a norma dell’articolo 3, il contratto è regolato dalla legge del paese col quale presenta il collegamento più stretto. (…)

    (...)

    5.   È esclusa l’applicazione del paragrafo 2 quando la prestazione caratteristica non può essere determinata. Le presunzioni dei paragrafi 2, 3 e 4 vengono meno quando dal complesso delle circostanze risulta che il contratto presenta un collegamento più stretto con un altro paese».

    6.

    L’articolo 6 della Convenzione di Roma stabilisce norme di conflitto speciali relative al contratto individuale di lavoro, in deroga alle norme generali contenute negli articoli 3 e 4, riguardanti rispettivamente la libertà di scelta della legge applicabile e i criteri di determinazione di quest’ultima in mancanza di una siffatta scelta. Esso è così formulato:

    «1.   In deroga all’articolo 3, nei contratti di lavoro, la scelta della legge applicabile ad opera delle parti non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che regolerebbe il contratto, in mancanza di scelta, a norma del paragrafo 2.

    2.   In deroga all’articolo 4 ed in mancanza di scelta a norma dell’articolo 3, il contratto di lavoro è regolato:

    a)

    dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, anche se è inviato temporaneamente in un altro paese, oppure

    b)

    dalla legge del paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso paese,

    a meno che non risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese. In questo caso si applica la legge di quest’altro paese».

    III – Fatti e procedimento principale

    7.

    La Schlecker è una società di diritto tedesco attiva nel settore della vendita di prodotti di drogheria. Pur avendo sede in Germania, essa possiede numerose succursali in vari Stati membri dell’Unione europea.

    8.

    La sig.ra Boedeker, cittadina tedesca residente in Germania, è stata assunta presso la Schlecker in base ad un primo contratto di lavoro e ha svolto la sua attività in tale paese dal 1o dicembre 1979 al 1o gennaio 1994.

    9.

    In forza di un nuovo contratto, concluso il 30 novembre 1994, la sig.ra Boedeker è stata assunta dalla Schlecker, a decorrere dal 1o marzo 1995 e fino all’estate 2006, in qualità di responsabile della distribuzione («Geschäftsführerin/Vertrieb») per l’intero territorio olandese e in tale qualità ha effettivamente svolto le sue funzioni nei Paesi Bassi.

    10.

    Con lettera del 19 giugno 2006 la Schlecker informava la sig.ra Boedeker, tra l’altro, che il suo posto di responsabile per i Paesi Bassi sarebbe stato soppresso con effetto dal 30 giugno 2006 e la invitava ad assumere, alle medesime condizioni contrattuali, le funzioni di direttrice ispettiva («Bereichsleiterin Revision») a Dortmund (Germania) a partire dal 1o luglio 2006.

    11.

    Pur avendo proposto, in data 4 luglio 2006, un reclamo contro tale modifica unilaterale del suo luogo di lavoro («Änderungskündigung»), la sig.ra Boedeker si presentava presso il suo posto di responsabile regionale a Dortmund.

    12.

    Il 5 luglio 2006 essa si dichiarava malata.

    13.

    A partire dal 16 agosto 2006 riceveva un sussidio erogato dalla cassa malattia tedesca.

    14.

    In seguito, le parti avviavano diversi procedimenti giudiziari.

    15.

    In uno di questi il Kantonrechter te Tiel (Tribunale cantonale di Tiel), pronunciandosi nel merito, accoglieva la domanda della sig.ra Boedeker diretta a far dichiarare l’applicabilità del diritto olandese al contratto di lavoro concluso tra la medesima e la Schlecker, annullava detto contratto con effetto dal 15 dicembre 2007 e riconosceva il diritto della sig.ra Boedeker ad un indennizzo lordo di EUR 557 651,52.

    16.

    Adito in appello dalla Schlecker, il Gerechtshof te Arnhem (Corte d’appello di Arnhem) confermava, con sentenza del 15 dicembre 2009, la sentenza del Kantonrechter quanto alla determinazione della legge applicabile al contratto. Esso rilevava in particolare che, al momento della stipula del contratto, le parti non erano consapevoli, o non abbastanza, del possibile aspetto transfrontaliero che il contratto di lavoro avrebbe assunto e che non si poteva a posteriori costruire una scelta tacita per il diritto tedesco. Esso considerava inoltre che, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della Convenzione di Roma, il diritto applicabile al contratto di lavoro concluso tra la Schlecker e la sig.ra Boedeker era, in linea di principio, quello olandese e che i vari elementi addotti dalla Schlecker non costituivano circostanze atte a dimostrare che il contratto di lavoro presentasse un collegamento più stretto con la Germania che non con i Paesi Bassi.

    17.

    Statuendo sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza definitiva del Gerechtshof te Arnhem e pronunciandosi sulla legge applicabile al contratto di lavoro, lo Hoge Raad der Nederlanden ha affermato di nutrire dubbi sull’interpretazione della portata della clausola di cui all’articolo 6, paragrafo 2, in fine, della Convenzione di Roma, la quale consente di escludere l’applicazione della legge designata attraverso la serie di collegamenti espressamente previsti dall’articolo 6, paragrafo 2, lettere a) e b), di tale Convenzione nell’ipotesi in cui risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese.

    IV – Questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

    18.

    In tale contesto, lo Hoge Raad der Nederlanden ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Se il disposto dell’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione di Roma debba essere interpretato nel senso che, se un lavoratore svolge il lavoro in esecuzione del contratto non solo abitualmente, ma anche per lungo tempo e senza interruzione nello stesso paese, occorra applicare in ogni caso il diritto di tale paese, anche se tutte le altre circostanze indicano una stretta relazione del contratto di lavoro con un paese diverso.

    2)

    Se per una risposta affermativa alla prima questione sia necessario che il datore di lavoro e il lavoratore, in sede di conclusione del contratto di lavoro, o almeno all’inizio del lavoro, abbiano inteso, o siano stati consapevoli della circostanza, che il lavoro sarebbe stato svolto per lungo tempo e senza interruzione nello stesso paese».

    19.

    Hanno presentato osservazioni scritte la resistente nella causa principale, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d’Austria e la Commissione europea. Non è stata presentata alcuna domanda di trattazione orale.

    V – Analisi giuridica

    20.

    Mi sembra che, per poter rispondere alle questioni sollevate dal giudice del rinvio, vertenti sostanzialmente sulla portata della deroga di cui all’articolo 6, paragrafo 2, secondo comma, della Convenzione di Roma, sia necessario fornire alcune precisazioni in merito a ciò che costituisce, a mio avviso, l’economia del meccanismo istituito da tale Convenzione, quale interpretata dalla Corte, ai fini della determinazione della legge applicabile ai contratti individuali di lavoro.

    A – Sull’economia del meccanismo di determinazione della legge applicabile ai contratti individuali di lavoro previsto dalla Convenzione di Roma

    21.

    Ricordo che, conformemente all’articolo 3 della Convenzione di Roma, il principio dell’autonomia della volontà delle parti è quello prevalente nella determinazione della legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. In mancanza di scelta delle parti, l’articolo 4 di tale Convenzione prevede quale criterio e principio generale ( 12 ) di determinazione della legge applicabile quello del paese col quale il contratto presenta «il collegamento più stretto», criterio cui è associato, ai paragrafi da 2 a 4, un certo numero di presunzioni. Il paragrafo 5 di detto articolo 4 prevede una cosiddetta clausola d’eccezione che consente di escludere dette presunzioni. Tali norme di conflitto devono essere considerate astratte e neutre, nel senso che non mirano a favorire una parte contraente a scapito dell’altra. Il contenuto delle leggi pertinenti non viene quindi preso in considerazione nella determinazione della legge applicabile.

    22.

    Tuttavia, al pari di quanto previsto per la determinazione della legge applicabile ai contratti conclusi dai consumatori (articolo 5), la Convenzione di Roma enuncia, all’articolo 6, specifiche norme sul conflitto di leggi in materia di contratti individuali di lavoro. Conformemente all’obiettivo perseguito dagli estensori della Convenzione di Roma ( 13 ), è quindi comunemente ammesso che, a differenza delle regole generali di cui agli articoli 3 e 4, le norme che disciplinano i conflitti tra leggi in tale materia non sono totalmente neutre, bensì articolate attorno all’idea di tutela del lavoratore. Ispirandosi ai principi elaborati nell’interpretazione della Convenzione di Bruxelles, la Corte ha infatti dichiarato che l’obiettivo dell’articolo 6 della Convenzione di Roma era di assicurare una tutela adeguata al lavoratore ( 14 ).

    23.

    Tale specificità si sostanzia nell’articolo 6 della Convenzione attraverso due elementi essenziali.

    24.

    In primo luogo, l’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione di Roma introduce un’importante attenuazione del principio dell’autonomia della volontà. Tale disposizione prevede infatti che, in deroga all’articolo 3, le parti contraenti non possono, con il loro accordo, privare il lavoratore della tutela delle disposizioni imperative contenute nella legge applicabile al contratto di lavoro in mancanza di scelta. Di fronte ad un contratto per il quale le parti hanno espresso la loro scelta riguardo alla legge applicabile, il giudice dovrà, anzitutto, stabilire quale legge si applicherebbe al contratto di lavoro, in base ai criteri definiti al paragrafo 2 di detto articolo 6, in mancanza di scelta; inoltre, esaminare se detta legge contenga disposizioni imperative di tutela dei lavoratori e, infine, applicare, tra le medesime, quelle più favorevoli ai lavoratori rispetto alle pertinenti disposizioni della legge scelta, che rimane applicabile per il resto.

    25.

    A mio avviso, attraverso tale disposizione si esprime in particolare l’obiettivo, perseguito dagli autori della Convenzione di Roma ( 15 ), di tutela del lavoratore, considerato tradizionalmente quale parte più debole dal punto di vista socioeconomico. Infatti, tenuto conto del vincolo di subordinazione che caratterizza il rapporto di lavoro, il lavoratore dipendente corre il rischio che il datore di lavoro gli imponga l’applicazione della legge di un paese che non presenta alcuna relazione oggettiva con la realtà del rapporto contrattuale che li lega.

    26.

    Come si è potuto sottolineare, il collegamento considerato in materia di contratti di lavoro è un collegamento di prossimità, in quanto la Convenzione di Roma è intesa a determinare il paese col quale il rapporto di lavoro presenta il collegamento più stretto ( 16 ). L’obiettivo non è favorire sistematicamente il lavoratore subordinato, ma piuttosto tutelarlo rendendogli applicabile le disposizioni imperative della legge corrispondente al collegamento più significativo, vale a dire quello dell’ambiente sociale in cui si esprime il suo rapporto di lavoro ( 17 ).

    27.

    Pertanto, qualora le parti abbiano espresso una scelta riguardo alla legge applicabile al contratto di lavoro, spetterà al giudice assicurarsi che tale legge non privi il lavoratore subordinato della tutela giuridica che gli garantirebbero le disposizioni imperative della legge più prossima al contratto di lavoro, legge che si potrebbe qualificare come «oggettivamente applicabile».

    28.

    In secondo luogo, l’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione di Roma stabilisce criteri di collegamento specifici che consentono, in mancanza di scelta delle parti, di designare la legge applicabile al contratto.

    29.

    Tali criteri sono quello del paese in cui il lavoratore «compie abitualmente il suo lavoro» [articolo 6, paragrafo 2, lettera a)], o, in mancanza di tale luogo, quello della «sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore» [articolo 6, paragrafo 2, lettera b)], precisato che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, il primo criterio deve essere preso in considerazione in via prioritaria ( 18 ). Inoltre, questo paragrafo 2 prevede che i due suddetti criteri di collegamento non siano applicabili qualora dall’insieme delle circostanze emerga che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese, nel qual caso è applicabile la legge di quest’altro paese ( 19 ).

    30.

    Dal testo dell’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione di Roma risulta quindi che il giudice nazionale, dovendo individuare la legge applicabile al contratto in mancanza di una scelta espressa delle parti, deve accertare, conformemente al principio di prossimità, quale sia la legge che presenta oggettivamente il collegamento più stretto con il contratto stesso.

    31.

    A tal fine, il giudice deve individuare il luogo che, a suo parere, costituisce il centro di gravità del rapporto contrattuale applicando i criteri definiti all’articolo 6, paragrafo 2, lettere a) (luogo di compimento abituale del lavoro) e b) (luogo di assunzione), ma non solo, dato che dal tenore letterale di detto articolo risulta chiaramente che il giudice può escludere i collegamenti previsti da tali disposizioni qualora dall’insieme delle circostanze risulti che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese.

    32.

    Contrariamente a quanto si è rilevato in relazione all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione di Roma, il principio di tutela della parte considerata più debole non impone al giudice, nell’applicazione dei criteri di determinazione della legge applicabile di cui al paragrafo 2 del medesimo articolo, di confrontare il contenuto delle disposizioni imperative delle leggi in conflitto e di applicare quella che gli sembri più vantaggiosa alla luce delle circostanze particolari del caso di specie. L’osservanza del principio del favor laboratoris è garantita dall’applicazione delle disposizioni imperative della legge che, tra le leggi potenzialmente applicabili, presenta il collegamento più stretto con il contratto di lavoro, e non necessariamente di quella che risulta più vantaggiosa per il lavoratore ( 20 ). Infatti, ritengo che l’articolo 6 della Convenzione di Roma debba rispondere contemporaneamente a due obiettivi: da un lato, l’intento di garantire una tutela adeguata del lavoratore che, in forza del principio di prossimità, favorisca la designazione del paese col quale il contratto di lavoro presenta il collegamento più stretto e, dall’altro, un obiettivo di certezza del diritto, il quale presuppone la designazione di criteri che consentano di determinare la legge applicabile al contratto in mancanza di scelta.

    33.

    Per illustrare le ipotesi previste rispettivamente da ciascuno dei paragrafi dell’articolo 6 della Convenzione di Roma, farò riferimento, a titolo d’esempio, al caso di un contratto di lavoro concluso ed eseguito in modo abituale e continuato in Lussemburgo tra una società stabilita in Svezia ed un residente in Lussemburgo.

    34.

    Immaginiamo anzitutto che le parti, conformemente alle esigenze derivanti dall’articolo 3 della Convenzione di Roma, abbiano espressamente e chiaramente scelto di applicare il diritto svedese al contratto di lavoro. In mancanza di tale scelta, si potrebbe ritenere che la legge oggettivamente applicabile in base ai criteri enunciati al paragrafo 2 sia quella lussemburghese. Pertanto, qualora sorga una controversia, ad esempio in seguito al licenziamento del lavoratore, spetterà al giudice adito stabilire, mediante una sorta di esame comparato degli elementi normativi direttamente pertinenti alla controversia, se il diritto lussemburghese contenga disposizioni imperative di tutela del lavoratore più favorevoli rispetto a quelle del diritto svedese, come quelle relative, in particolare, al termine di preavviso o al pagamento di indennità a seguito di una decisione di licenziamento. In tal caso, il giudice non dovrà applicare le pertinenti disposizioni del diritto svedese, bensì quelle del diritto lussemburghese. In caso contrario, rimarrà applicabile il diritto svedese, dato che le parti di un contratto di lavoro possono sempre accordarsi affinché il lavoratore benefici di disposizioni di legge più favorevoli.

    35.

    Per contro, nel caso in cui le parti non abbiano espressamente e chiaramente manifestato la loro scelta per l’applicazione di una determinata legge, è comunque applicabile la legge designata oggettivamente attraverso la serie di criteri definiti all’articolo 6, paragrafo 2, vale a dire il diritto lussemburghese. In tal caso, il lavoratore non può rivendicare l’applicazione delle disposizioni svedesi per lui eventualmente più favorevoli.

    36.

    In definitiva, desidero sottolineare che le regole concernenti la determinazione della legge applicabile al contratto, pur tenendo conto della specificità del rapporto di lavoro, non devono condurre, secondo me, a concedere al lavoratore, in tutti i casi e a prescindere dalla natura della controversia, il beneficio della legge nazionale che, tra tutte le leggi in conflitto e nelle circostanze particolari del caso di specie, risulti più favorevole. Contrariamente a quanto si potrebbe dedurre, a prima vista, dai fatti all’origine delle cause che hanno dato luogo alle citate sentenze Koelzsch e Voogsgeerd, è al fine chiaramente dichiarato di assicurare una tutela «adeguata», e non necessariamente ottimale o «di favore», del lavoratore, nonché, sulla base delle considerazioni già svolte dalla Corte nell’interpretazione delle norme in materia di competenza giurisdizionale dalla Convenzione di Bruxelles, che la Corte stessa ha ritenuto che «occorra garantire, per quanto possibile, l’osservanza delle norme di tutela del lavoro previste dal diritto del paese in cui il lavoratore svolge la sua attività» ( 21 ).

    37.

    Un’interpretazione diversa recherebbe, a mio avviso, grave pregiudizio alla certezza del diritto e alla prevedibilità delle soluzioni adottate nell’ambito del meccanismo di determinazione della legge applicabile al contratto individuale di lavoro, nel senso che, a seconda della natura della controversia e del momento in cui il giudice è chiamato a statuire, la legge considerata più favorevole non sarà necessariamente la stessa. A tal riguardo, infatti, non si deve dimenticare che, potenzialmente, un contratto può presentare un collegamento con molti paesi, tenuto conto del luogo in cui è stato concluso, della nazionalità o del luogo di stabilimento dei contraenti o ancora della molteplicità dei luoghi di esecuzione ( 22 ). Inoltre, il fatto di imporre al giudice un esame comparato delle disposizioni di tutela del lavoratore può rivelarsi un esercizio non solo particolarmente fastidioso, ma anche profondamente aleatorio. Considerata l’astrattezza dei criteri di collegamento di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, appare difficile stabilire a priori quale sia, in definitiva, la legge più favorevole.

    38.

    Mi sembra peraltro che le regole definite nella Convenzione di Roma, pur mirando anzitutto ad evitare che si creino a danno del lavoratore situazioni equiparabili ad un «law shopping», non debbano nemmeno condurre ad offrire al lavoratore una scelta illimitata tra le disposizioni sostanziali da lui ritenute applicabili e determinare così un’alea considerevole nella designazione della legge applicabile.

    39.

    È alla luce di tali considerazioni che esaminerò le questioni pregiudiziali.

    B – Sulla prima questione pregiudiziale

    40.

    Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede chiarimenti sulla rilevanza che occorre attribuire al criterio di collegamento definito all’articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della Convenzione di Roma, rispetto alla possibilità, offerta al giudice dalla parte finale del medesimo articolo, di designare quale legge applicabile al contratto di lavoro quella del paese che presenta il collegamento più stretto con tale contratto. Più precisamente, esso chiede quali siano la portata e le condizioni di applicazione di quest’ultima disposizione nella specifica ipotesi in cui il lavoratore abbia eseguito un contratto di lavoro in modo abituale, durevole e ininterrotto in un unico paese.

    1. Portata della clausola figurante all’articolo 6, paragrafo 2, secondo comma, della Convenzione di Roma

    41.

    Nella fattispecie la Corte è invitata a partecipare ad una discussione ( 23 ), già annosa sia in dottrina che tra alcuni giudici nazionali, relativa al rapporto tra i criteri di collegamento definiti all’articolo 6, paragrafo 2, primo comma, della Convenzione di Roma e la clausola di salvaguardia ripresa nella parte finale di tale disposizione.

    42.

    Si contrappongono sostanzialmente due concezioni. Secondo una prima tesi, tra queste due disposizioni intercorrerebbe un rapporto regola‑eccezione, con la conseguenza che si potrebbe cercare un eventuale collegamento più stretto con un altro paese solo in via eccezionale, vale a dire quando il sistema delle presunzioni porti a designare una legge manifestamente inadeguata al contratto. Secondo un’altra interpretazione, non esisterebbe alcun rapporto gerarchico tra le disposizioni in questione e il giudice disporrebbe di un certo margine di discrezionalità per determinare la legge che presenta il collegamento più stretto con il contratto considerato.

    43.

    Per comprendere esattamente le implicazioni della discussione e chiarire le mie considerazioni, mi permetto di proporre un esempio, analogo al caso di specie. Mi riferisco alla situazione di un contratto concluso in Francia tra una società francese ed una cittadina francese, contratto che, con tutta probabilità, si presumeva sarebbe stato eseguito in Francia ma che, nell’ambito di un distaccamento di lunga durata (superiore a 10 anni), è stato sostanzialmente eseguito in modo continuativo in Arabia Saudita. Se si accogliesse la tesi secondo cui la deroga contemplata dall’articolo 6, paragrafo 2, in fine, della Convenzione di Roma potrebbe entrare in gioco solo in via del tutto subordinata ed eccezionale, vale a dire qualora il collegamento con il luogo di esecuzione del contratto di lavoro risulti del tutto inadeguato, ipotesi che evidentemente non ricorre nel caso di un’esecuzione continuativa in un unico luogo, si dovrebbe applicare senza esitazioni la legge saudita. Per contro, se si accogliesse la tesi secondo cui, quand’anche il luogo di esecuzione del contratto risultasse particolarmente agevole da definire, il giudice potrebbe verificare se tale contratto presenti eventualmente un collegamento più stretto con un altro paese, la risposta sembrerebbe molto meno evidente, dato che, sebbene il contratto venga eseguito abitualmente in Arabia Saudita, numerosi elementi contestuali tendono piuttosto a designare la legge francese.

    44.

    Ritengo che debba prevalere la seconda interpretazione, per i seguenti motivi.

    45.

    In primo luogo, il fatto che la regola, sancita dall’articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della Convenzione di Roma, secondo cui, in mancanza di scelta delle parti, si applica la legge del luogo di esecuzione del contratto, debba essere interpretata in modo ampio, in conformità con i precetti delle citate sentenze Koelzsch e Voogsgeerd, non implica correlativamente che si possa fare ricorso alla clausola di salvaguardia prevista nella parte finale dell’articolo 6, paragrafo 2, solo in via eccezionale o che tale possibilità sia preclusa del tutto qualora non vi siano dubbi sul luogo abituale di esecuzione del lavoro.

    46.

    A tale proposito ricordo che nella sentenza Koelzsch, citata, la Corte si è limitata a dichiarare che, poiché l’obiettivo dell’articolo 6 della Convenzione di Roma è di assicurare una tutela adeguata al lavoratore, tale disposizione deve essere intesa nel senso che essa garantisce l’applicabilità della legge dello Stato in cui egli svolge le sue attività professionali piuttosto che di quella dello Stato della sede del datore di lavoro ( 24 ). Essa ne ha dedotto che il criterio del paese in cui il lavoratore «compie abitualmente il suo lavoro», sancito dal paragrafo 2, lettera a), dello stesso articolo, deve essere interpretato in senso ampio, mentre il criterio della «sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore», di cui al paragrafo 2, lettera b), dello stesso articolo, dovrebbe trovare applicazione qualora il giudice adito non sia in condizione di individuare il paese di esecuzione abituale del lavoro ( 25 ).

    47.

    Mi sembra che un approccio analogo sia stato adottato nella sentenza Voogsgeerd, citata, in quanto la Corte ha ricordato che il criterio del luogo in cui lavoratore compie abitualmente il suo lavoro deve essere applicato in via prioritaria ( 26 ).

    48.

    Rilevo, inoltre, che le cause che hanno dato luogo a dette sentenze vertevano appunto su casi in cui le parti avevano optato per l’applicazione della legge di un determinato paese (il diritto lussemburghese), ma risultava che la legge oggettivamente applicabile, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, conteneva disposizioni imperative di maggiore tutela dei lavoratori rispetto a quelle contenute nella legge scelta inizialmente. Nella prima causa era stato affermato che le disposizioni applicabili ai licenziamenti dei membri del consiglio aziendale, di cui il sig. Koelzsch faceva parte, offrivano una tutela maggiore in Germania. Nella seconda causa, l’azione di risarcimento esperita dal sig. Voogsgeerd per la risoluzione asseritamente illegittima del contratto di lavoro marittimo che lo legava al suo ex datore di lavoro contravveniva alle disposizioni del diritto lussemburghese che prevedevano un termine di decadenza di tre mesi, termine che sarebbe stato escluso e perfino contrario alla legge applicabile in Belgio.

    49.

    Secondo me, sebbene dalla giurisprudenza risultante dalle citate sentenze Koelzsch e Voogsgeerd emerga chiaramente che il criterio di collegamento definito all’articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della Convenzione di Roma, vale a dire quello del luogo abituale di esecuzione del contratto di lavoro, deve essere privilegiato, per quanto possibile, rispetto a quello del luogo di assunzione di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera b) ( 27 ), tuttavia non ne consegue che debba essere marginalizzato anche il ricorso alla clausola contenuta nella parte finale di tale articolo 6, paragrafo 2, nel senso che il giudice potrebbe applicarla solo in via del tutto eccezionale.

    50.

    A mio avviso, la gerarchia riconosciuta dalla Corte fra i criteri da prendere in considerazione per determinare la legge applicabile riguarda esclusivamente i criteri di collegamento di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettere a) e b), della Convenzione di Roma, vale a dire quello del luogo di esecuzione e quello del luogo di assunzione, e non la possibilità per il giudice di applicare la legge del paese con cui il contratto presenta il collegamento più stretto ai sensi del secondo comma di detto articolo 6, paragrafo 2.

    51.

    Pertanto, anche se, al fine di garantire un certo livello di prevedibilità, il giudice è tenuto a procedere alla determinazione della legge applicabile al contratto facendo riferimento ai criteri di collegamento definiti all’articolo 6, paragrafo 2, primo comma, della Convenzione di Roma, e in particolare al criterio del luogo di compimento del lavoro, di cui al paragrafo 2, lettera a), ritengo che esso possa nondimeno considerare, conformemente al chiaro tenore del secondo capoverso di detto paragrafo, che occorra escludere la legge in questione qualora sussista un collegamento più stretto con un altro paese. Quest’ultima disposizione deve essere intesa, a mio avviso, come una norma di confitto aperta idonea a sostituire tanto la legge del luogo di compimento abituale del lavoro quanto la legge del luogo di assunzione ( 28 ). Desidero peraltro sottolineare che la Corte ha per l’appunto ricordato, al punto 51 della sentenza Voogsgeerd, che il giudice del rinvio può prendere in considerazione ulteriori elementi del rapporto di lavoro, ove appaia che quelli riguardanti i due criteri di collegamento, sanciti da questo articolo e relativi rispettivamente al luogo di compimento del lavoro e al luogo della sede dell’impresa che occupa il lavoratore, inducono a ritenere che il contratto presenti un collegamento più stretto con uno Stato diverso da quello indicato da tali criteri.

    52.

    In secondo luogo, siffatta interpretazione mi sembra coerente con la soluzione adottata dalla Corte nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza ICF, causa che, certamente, verteva sulla deroga di portata generale – formulata in termini analoghi a quella in discussione nel procedimento principale – di cui all’articolo 4, paragrafo 5, della Convenzione di Roma, ma che nondimeno assume una certa rilevanza, per i motivi che ricorderò più avanti e nonostante le regole specifiche di determinazione della legge applicabile ai contratti individuali di lavoro.

    53.

    Ricordo che, tra le questioni sollevate in detta causa dallo Hoge Raad der Nederlanden, la quinta questione mirava precisamente ad ottenere chiarimenti sulla rilevanza da attribuire ai criteri di collegamento definiti all’articolo 4, paragrafi da 2 a 4, della Convenzione di Roma e, pertanto, sulla possibilità di escludere dette presunzioni in forza del paragrafo 5, seconda frase, dello stesso articolo «quando dal complesso delle circostanze risulta che il contratto presenta un collegamento più stretto con un altro paese» ( 29 ).

    54.

    Il giudice del rinvio chiedeva quindi alla Corte se l’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 5, seconda frase, della Convenzione dovesse essere interpretata nel senso che le presunzioni risultanti dal detto articolo 4, paragrafi da 2 a 4, non valgono solo qualora dal complesso delle circostanze risulti che i criteri in esse contenuti non hanno un effettivo valore di collegamento oppure se il giudice possa escluderle anche qualora da tali circostanze risulti l’esistenza di un collegamento più importante con un altro paese. In tale contesto e analogamente a quanto avviene nel procedimento principale, si prospettavano due soluzioni: la prima, che limita l’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 5, della Convenzione di Roma ad ipotesi eccezionali, consente di escludere le presunzioni generali solo qualora non abbiano un effettivo valore di collegamento con il contratto considerato. La seconda soluzione, che concede molta più flessibilità al giudice, gli consente di escludere la serie di presunzioni definite dall’articolo 4, paragrafi da 2 a 4, in base alla mera constatazione che il contratto di cui trattasi presenta un collegamento più stretto con un altro paese ( 30 ).

    55.

    Richiamandosi alla relazione Giuliano‑Lagarde e ritenendo che, in definitiva, occorresse conciliare le esigenze di prevedibilità della legge e quindi della certezza del diritto nelle relazioni contrattuali con la necessità di prevedere una certa flessibilità nella determinazione della legge, la Corte, al termine del suo esame, ha concluso che l’articolo 4, paragrafo 5, della Convenzione di Roma deve essere interpretato nel senso che, se dall’insieme delle circostanze risulta chiaramente che il contratto presenta un collegamento più stretto con un paese diverso da quello designato sulla scorta di uno dei criteri previsti dai menzionati paragrafi da 2 a 4, il giudice deve escludere detti criteri ed applicare la legge del paese con cui il contratto presenta il collegamento più stretto. Tale potere del giudice sussiste, secondo la Corte, nonostante il fatto che quest’ultimo debba sempre procedere alla determinazione della legge applicabile sulla base delle presunzioni stabilite dall’articolo 4, paragrafi da 2 a 4, della Convenzione di Roma, le quali rispondono alla generale esigenza di prevedibilità della legge e quindi di certezza del diritto nelle relazioni contrattuali ( 31 ).

    56.

    Sebbene l’intento di tutelare il lavoratore abbia indotto gli autori della Convenzione di Roma a prevedere in materia di contratti individuali di lavoro norme sul conflitto di leggi in deroga alle regole generali di cui agli articoli 3 e 4 di detta Convenzione, tale intento si esprime, anzitutto e come ho già rilevato, non nei collegamenti di favore all’articolo 6, paragrafo 2, bensì nell’applicazione della legge che ha il rapporto di maggior vicinanza con il contratto di lavoro. Analogamente a quanto si è rilevato in merito all’articolo 4 della Convenzione di Roma, le regole di cui all’articolo 6 sono quindi parimenti basate sull’idea di prossimità.

    2. Condizioni di applicazione della clausola di cui all’articolo 6, paragrafo 2, secondo comma, della Convenzione di Roma

    57.

    Una prima questione riguarda le condizioni nelle quali il giudice può escludere la legge definita in base al criterio del luogo di esecuzione del contratto di lavoro. Tale questione trae origine dal fatto che la Corte, pur optando per una posizione sfumata, ha indicato nella sentenza ICF, citata, che deve risultare «chiaramente» dal complesso delle circostanze che il contratto presenta un collegamento più stretto con un paese diverso da quello determinato in base ad uno dei criteri di cui all’articolo 4, paragrafi da 2 a 4, della Convenzione di Roma ( 32 ). Si deve riprendere tale condizione con riguardo alla clausola di cui all’articolo 6 della Convenzione di Roma? Non sono di questa opinione, per due motivi.

    58.

    In primo luogo rilevo che, mentre nella formulazione della clausola d’eccezione generale attualmente enunciata all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento Roma I viene espressamente ripreso l’avverbio «manifestamente» ( 33 ), ciò non avviene nel caso della disposizione riguardante specificamente i contratti di lavoro contenuta nell’articolo 8, paragrafo 4, del medesimo regolamento ( 34 ). Mi sembra che tale volontà di delimitare il ricorso alla clausola d’eccezione di cui all’articolo 4 della Convenzione di Roma sia confermata dal fatto che, come risulta dai lavori preparatori, è stata anche contemplata la possibilità di sopprimerla ( 35 ). Se pure è vero che il regolamento Roma I non è applicabile ratione temporis al procedimento principale, tuttavia ritengo, sulla base delle considerazioni svolte dalla Corte nella sentenza Koelzsch, citata ( 36 ), che detto regolamento costituisca un elemento atto a corroborare l’interpretazione che deve essere adottata con riguardo alla Convenzione di Roma.

    59.

    In secondo luogo, mi sembra che la condizione secondo cui l’esistenza di un collegamento più stretto deve risultare «chiaramente» dalle circostanze sia spiegabile con il fatto che, a differenza delle regole definite all’articolo 6 della Convenzione di Roma, che si ispirano tanto all’idea di prossimità quanto a quella di tutela del lavoratore, l’articolo 4 stabilisce una norma sul conflitto di leggi totalmente neutra che persegue, in via principale e a parte ogni altra considerazione, un obiettivo di prevedibilità e di certezza del diritto ( 37 ).

    60.

    Ne consegue a mio avviso che, anche ammesso che sia pacifico che l’esecuzione del contratto di lavoro è stata effettuata in modo durevole, continuativo e ininterrotto in un unico paese, dal che discenderebbe, in linea di principio, che debba trovare applicazione la legge di tale paese, la disposizione figurante all’articolo 6, paragrafo 2, secondo comma, della Convenzione non perde comunque la sua ragion d’essere. Infatti, se il contratto risulta chiaramente localizzato in uno Stato diverso da quello dell’esecuzione abituale del lavoro, è ancora possibile applicare la suddetta disposizione.

    61.

    Non si tratta qui di marginalizzare il criterio di collegamento significativo costituito generalmente ( 38 ) dal luogo abituale di esecuzione del lavoro, bensì di lasciare al giudice nazionale la possibilità di escluderlo qualora, nelle circostanze del caso di specie, risulti che il centro di gravità del rapporto di lavoro non è situato nel paese di compimento del lavoro. L’articolo 6, paragrafo 2, secondo comma, della Convenzione di Roma deve essere inteso come un meccanismo di salvaguardia. Non si deve giungere ad occultare i collegamenti previsti da detto articolo e, in particolare, il collegamento forte costituito dalla legge del luogo di lavoro, facendo così venir meno la prevedibilità delle soluzioni che verranno adottate.

    62.

    Nella fattispecie, il giudice del rinvio sembra muovere dalla premessa secondo cui, a parte il luogo di esecuzione del lavoro compiuto ininterrottamente dalla sig.ra Boedeker per oltre undici anni in base al contratto da essa concluso con la Schlecker, tutte le altre circostanze deporrebbero a favore dell’esistenza di un collegamento più stretto con la Germania. Detto giudice sottolinea, in particolare, che il datore di lavoro è una persona giuridica tedesca, che la lavoratrice risiedeva in Germania nel periodo in cui ha svolto la sua attività, che le spese di viaggio tra il domicilio della lavoratrice e il luogo di lavoro erano rimborsate dal datore di lavoro, che, prima dell’introduzione dell’euro, la retribuzione veniva corrisposta in marchi tedeschi, che il regime pensionistico al quale era iscritta la lavoratrice era gestito da un organismo tedesco, che i contributi previdenziali venivano versati in Germania e che il contratto di lavoro, redatto in tedesco, faceva riferimento a disposizioni vincolanti del diritto tedesco.

    63.

    Pertanto, come risulta chiaramente dal testo della prima questione posta, il giudice del rinvio non intendeva chiedere lumi in merito agli elementi che consentirebbero, se del caso, di escludere la presunzione di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della Convenzione di Roma.

    64.

    Peraltro, sono consapevole del fatto che spetta unicamente al giudice nazionale valutare il complesso degli elementi relativi al contratto di lavoro ed esaminare quello o quelli che, a suo parere, risultano maggiormente significativi.

    65.

    Tuttavia, al fine di dare una risposta utile al giudice del rinvio, è opportuno fornire alcune indicazioni riguardo ai parametri di cui il giudice nazionale può eventualmente tenere conto per determinare il paese con cui il contratto presenta il collegamento più stretto.

    66.

    A tal riguardo, ritengo che il giudice, chiamato a statuire su un caso concreto, non possa automaticamente concludere che la legge del paese di esecuzione del contratto, designato ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della Convenzione di Roma, debba essere esclusa per il solo fatto che le altre circostanze pertinenti portate a sua conoscenza designano per il loro numero un paese diverso, bensì debba tenere conto del peso specifico di ciascuna di tali circostanze nella determinazione del centro di gravità del rapporto di lavoro.

    67.

    Infatti, perché si possa concludere per l’esistenza di un collegamento più stretto, alcuni degli elementi oggettivi sottoposti alla valutazione del giudice devono essere considerati meno importanti rispetto ad altri.

    68.

    Senza pretese di esaustività, ritengo che costituiscano elementi significativi di collegamento, anzitutto, il paese in cui il lavoratore versa le imposte e le tasse sui redditi della sua attività nonché quello in cui egli beneficia del sistema di previdenza sociale e dei vari regimi pensionistici, di assicurazione malattia e di invalidità. Infatti, come ha rilevato il governo olandese, a prescindere dalle regole specificamente applicabili a talune categorie di lavoratori, il principio prevalente in materia di affiliazione al regime di previdenza sociale, salvo il caso particolare del distaccamento del lavoratore, è quello della ex loci laboris ( 39 ), il quale implica che un lavoratore subordinato è soggetto al regime previdenziale dello Stato in cui svolge abitualmente la sua attività. Mi sembra che sottraendosi a tale regola, come consentito dal pertinente regolamento di base ( 40 ), le parti interessate volessero spostare il centro di gravità del loro rapporto in un altro paese. Occorre tuttavia esaminare, sempre nell’ottica di assicurare una tutela adeguata alla parte considerata economicamente e socialmente più debole, se il collegamento ai regimi previdenziali sia stato concordato dalle parti oppure sia stato imposto al lavoratore.

    69.

    Analogamente, sono incline a ritenere che occorra riconoscere una certa rilevanza ai parametri presi in considerazione per stabilire la retribuzione e le condizioni di lavoro. Più precisamente, il giudice potrà esaminare in base a quale accordo o tariffario nazionale sono state fissate la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Tale esame, a mio parere, potrà essere effettuato alla luce delle indicazioni contenute nel contratto di lavoro e dei documenti eventualmente allegati al medesimo o ai quali esso fa espressamente riferimento.

    70.

    Per contro, costituiscono parametri di minore importanza il fatto che le parti abbiano concluso il contratto in un determinato paese, siano di una determinata nazionalità o abbiano scelto di risiedere in un determinato paese. Analogamente, la lingua in cui è stato redatto il contratto di lavoro o il fatto che esso si riferisca ad una determinata valuta, pur potendo costituire elementi rilevanti, non dovrebbero assumere un rilievo determinante.

    71.

    In base al complesso di tali considerazioni, propongo di rispondere alla prima questione che l’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione di Roma deve essere interpretato nel senso che, anche nell’ipotesi in cui un lavoratore svolga il lavoro in esecuzione del contratto non solo abitualmente, ma anche per lungo tempo e senza interruzione nello stesso paese, il giudice nazionale può escludere, in forza del secondo comma di detta disposizione, la legge applicabile in tale paese qualora dall’insieme delle circostanze risulti che esiste un collegamento più stretto fra detto contratto e un altro paese.

    C – Sulla seconda questione pregiudiziale

    72.

    Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede se, per una risposta affermativa alla prima questione, sia necessario che le parti contraenti abbiano inteso, o siano state consapevoli – in sede di conclusione del contratto di lavoro, o almeno all’inizio della sua esecuzione – della circostanza che il lavoro sarebbe stato svolto per lungo tempo e senza interruzione nello stesso paese.

    73.

    Poiché si è risposto in senso negativo alla prima questione, si potrebbe ritenere che non occorra più rispondere alla seconda. Infatti, risulta chiaramente che con la seconda questione si chiede se, per escludere immediatamente nel procedimento principale la clausola d’eccezione prevista dalla parte finale dell’articolo 6 della Convenzione di Roma, nel caso in cui non vi siano dubbi sul luogo di esecuzione del contratto, sia necessario che le parti nel procedimento principale fossero a conoscenza del luogo effettivo e della lunga durata del contratto di lavoro.

    74.

    Mi sembra tuttavia che tale questione possa presentare una certa utilità, nei limiti in cui rinvia potenzialmente e più in generale alla pertinenza della presa in considerazione dell’intento o della consapevolezza delle parti – in sede di conclusione del contratto, o almeno all’inizio della sua esecuzione – nella determinazione della legge applicabile al contratto di lavoro ai sensi della Convenzione di Roma.

    75.

    A tale proposito, vorrei fare brevemente cenno ai seguenti elementi.

    76.

    Mi pare abbastanza chiaro che è difficile tenere conto di tale consapevolezza o intenzione delle parti per stabilire se esse abbiano espresso in qualche modo la loro scelta di applicare una determinata legge. Infatti, l’articolo 3 della Convenzione di Roma, cui fa espressamente rinvio l’articolo 6, paragrafo 1, della stessa, stabilisce che «[l]a scelta dev’essere espressa, o risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze». Una mera intenzione o volontà comune delle parti è manifestamente inidonea a soddisfare tali requisiti, potendo tutt’al più essere considerata l’espressione di una scelta implicita, non rispondente alle condizioni stabilite dalle pertinenti disposizioni.

    77.

    Sono invece incline a ritenere che gli indizi concreti relativi al luogo di esecuzione del contratto portati a conoscenza delle parti possano presentare una certa utilità. Di conseguenza, l’intenzione o la consapevolezza delle parti in sede di conclusione del contratto o eventualmente all’inizio della sua esecuzione, sempreché sia fondata su elementi concreti e oggettivi, può costituire un indicatore pertinente al fine di individuare il paese con cui il contratto di lavoro presenta il collegamento più stretto.

    78.

    Pertanto, il giudice potrà tenere conto, nel suo esame complessivo delle circostanze sulla cui base definirà il paese col quale il contratto presenta il collegamento più stretto, degli elementi relativi all’esecuzione del medesimo che erano stati effettivamente portati a conoscenza delle parti.

    79.

    Propongo quindi di rispondere alla seconda questione che, per applicare la legge del paese del luogo abituale di esecuzione del lavoro, si può tenere conto degli elementi concreti dai quali risulta che il datore di lavoro e il lavoratore, in sede di conclusione del contratto di lavoro, o almeno all’inizio del lavoro, intendevano, o erano consapevoli della circostanza, che il lavoro sarebbe stato svolto per lungo tempo e senza interruzione nello stesso paese.

    VI – Conclusione

    80.

    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, propongo di rispondere nei termini seguenti alle questioni pregiudiziali poste dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi):

    1)

    L’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione di Roma applicabile alle obbligazioni contrattuali aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980, deve essere interpretato nel senso che, anche nell’ipotesi in cui un lavoratore svolga il lavoro in esecuzione del contratto non solo abitualmente, ma anche per lungo tempo e senza interruzione nello stesso paese, il giudice nazionale può escludere, in forza del secondo comma di detta disposizione, la legge applicabile in tale paese qualora dall’insieme delle circostanze risulti che esiste un collegamento più stretto con un altro paese.

    2)

    Per applicare la legge del paese del luogo abituale di esecuzione del lavoro si può tenere conto degli elementi concreti dai quali risulta che il datore di lavoro e il lavoratore, in sede di conclusione del contratto di lavoro, o almeno all’inizio del lavoro, hanno inteso, o sono stati consapevoli della circostanza, che il lavoro sarebbe stato svolto per lungo tempo e senza interruzione nello stesso paese.


    ( 1 ) Lingua originale: il francese.

    ( 2 ) GU 1980, L 266, pag. 1.

    ( 3 ) Conformemente all’articolo 1 del primo protocollo del 19 dicembre 1988 relativo all’interpretazione da parte della Corte di giustizia della Convenzione di Roma 1980 (GU 1998, C 27, pag. 47), entrato in vigore il 1o agosto 2004, la Corte è competente a pronunciarsi sulle domande di pronuncia pregiudiziale vertenti sull’interpretazione delle disposizioni di detta Convenzione. Inoltre, ai sensi dell’articolo 2, lettera a), di tale protocollo, lo Hoge Raad der Nederlanden ha il potere di domandare alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale su una questione sollevata in una causa pendente dinanzi ad esso e relativa all’interpretazione di dette disposizioni. Per quanto riguarda l’applicabilità ratione temporis della Convenzione di Roma, è sufficiente ricordare che il regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (GU L 177, pag. 6) (in prosieguo: il «regolamento Roma I»), che ha sostituito la Convenzione di Roma, si applica solo ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009 (v. articolo 28 di detto regolamento). Orbene, dalla decisione di rinvio risulta chiaramente che il contratto di lavoro in discussione nella controversia principale è stato concluso molto prima di tale data, ossia il 30 novembre 1994.

    ( 4 ) Sentenza del 15 marzo 2011 (C-29/10, Racc. pag. I-1595).

    ( 5 ) Sentenza del 15 dicembre 2011 (C-384/10, Racc. pag. I-13275).

    ( 6 ) Sentenza del 6 ottobre 2009 (C-133/08, Racc. pag. I-9687).

    ( 7 ) Mi sembra che in questa fase sia preferibile fare ricorso a tale nozione, riscontrabile in un certo numero di contributi della dottrina, in quanto la nozione di clausola «d’eccezione» anticipa, secondo me, la valutazione relativa al carattere eccezionale delle circostanze nelle quali è possibile far valere la menzionata disposizione.

    ( 8 ) Tale interesse sussiste nonostante l’entrata in vigore del regolamento Roma I. Non solo detto regolamento si applica esclusivamente ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009, ma le norme sul conflitto di leggi applicabili ai contratti individuali di lavoro ivi contenute (v. articolo 8) sono sostanzialmente identiche. A tal riguardo, la Corte ha accertato un nesso tra questi due strumenti (v. sentenza Koelzsch, cit., punto 46).

    ( 9 ) Per un’esposizione degli obiettivi perseguiti dalla Convenzione di Roma si rinvia in particolare alla sentenza ICF, cit. (punti 22 e 23).

    ( 10 ) Nella relazione di Mario Giuliano, professore all’università di Milano, e Paul Lagarde, professore all’università di Parigi, sulla Convenzione relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (GU 1980, C 282, pag. 1; in prosieguo: la «relazione Giuliano‑Lagarde», in particolare pagg. 25 e 26) si afferma infatti che si tratta «di applicare una normativa più adatta a materie nelle quali gli interessi di una parte contraente non si pongono sullo stesso piano degli interessi dell’altra, e di assicurare parallelamente, tramite detta normativa, una migliore tutela a quella parte che, sotto l’aspetto socio-economico, dev’essere considerata come la più debole nel rapporto contrattuale».

    ( 11 ) L’idea secondo cui è opportuno tutelare la parte più debole con regole più favorevoli ai suoi interessi rispetto alle norme generali è riscontrabile più in generale nei testi di diritto internazionale privato e trova un’eco del tutto particolare nell’ambito dell’interpretazione delle disposizioni della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 1972, L 299, pag. 32), come modificata dalla Convenzione del 29 novembre 1996 relativa all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia (GU 1997, C 15, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione di Bruxelles») (v., segnatamente, sentenze del 26 maggio 1982, Ivenel, 133/81, Racc. pag. 1891, punto 14; del 13 luglio 1993, Mulox IBC, C-125/92, Racc. pag. I-4075, punto 18; del 9 gennaio 1997, Rutten, C-383/95, Racc. pag. I-57, punto 22; del 27 febbraio 2002, Weber, C-37/00, Racc. pag. I-2013, punto 40, e del 10 aprile 2003, Pugliese, C-437/00, Racc. pag. I-3573, punto 18), nonché del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1) (v., in particolare, sentenza del 19 luglio 2012, Mahamdia, C‑154/11, punti 44 e 46).

    ( 12 ) V. sentenza ICF, cit. (punto 26).

    ( 13 ) V. in particolare la relazione Giuliano‑Lagarde, pag. 25.

    ( 14 ) V. sentenza Koelzsch, cit. (punto 42).

    ( 15 ) Si vedano le considerazioni esposte nella relazione Giuliano‑Lagarde, pagg. 25 e 26.

    ( 16 ) V., al riguardo, Lagarde, P., «Convention de Rome», Répertoire de droit communautaire Dalloz (1992), punto 85.

    ( 17 ) Pataut, É., «Conflits de loi en droit du travail», Jurisclasseur droit international, fasc. 573-10 (novembre 2008), punto 14.

    ( 18 ) V. sentenza Voogsgeerd, cit. (punto 32).

    ( 19 ) V. sentenza Koelzsch, cit. (punto 36).

    ( 20 ) In tal senso è stato rilevato che, in virtù del principio di prossimità, la legge più «giusta» è quella «più vicina», e non quella «migliore» sotto il profilo del suo contenuto sostanziale (Ballarino, T., e Romano, G. P., «Le principe de proximité chez Paul Lagarde», in Le droit international privé: esprit et méthodes – Mélanges en l’honneur de Paul Lagarde, Dalloz, 2005, pag. 2).

    ( 21 ) V. sentenza Koelzsch, cit. (punti 41 e 42).

    ( 22 ) Lo testimoniano, ad esempio, i fatti all’origine della sentenza Voogsgeerd, cit., che riguardava una controversia tra un cittadino olandese ed una società stabilita in Lussemburgo vertente su un contratto di lavoro stipulato in Belgio. Nell’esecuzione del contratto, il sig. Voogsgeerd riceveva le istruzioni da un’altra società, strettamente collegata al suo datore di lavoro ma stabilita in Belgio.

    ( 23 ) Una discussione molto simile era stata osservata in relazione al rapporto esistente tra le presunzioni di cui all’articolo 4, paragrafi 2 e 4, della Convenzione di Roma e la possibilità, contemplata all’articolo 4, paragrafo 5, della medesima Convenzione, di escluderle qualora risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto presenta un collegamento più stretto con un altro paese (v. conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot il 19 maggio 2009 nella causa ICF, cit., paragrafi da 71 a 73).

    ( 24 ) V. punto 42 della sentenza.

    ( 25 ) Ibidem (punto 43).

    ( 26 ) V. punti da 31 a 41 della sentenza.

    ( 27 ) Tale «marginalizzazione» del luogo di assunzione in quanto criterio di collegamento si spiega, secondo me, con il carattere fortuito o artificioso che esso può assumere, ma soprattutto con il fatto che il datore di lavoro ha generalmente il pieno controllo sulla definizione di tale luogo, il che può comportare una violazione del principio di tutela del lavoratore.

    ( 28 ) È interessante notare che nel Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima [COM(2002) 654 def., pag. 38)] si afferma che, a prescindere dalla circostanza «che il lavoratore svolga o no abitualmente il proprio lavoro in uno stesso paese, il collegamento oggettivo definito dalla convenzione può essere disapplicato mediante una clausola d’eccezione (articolo 6, paragrafo 2, in fine), la quale permette in tal modo di evitare le conseguenze pregiudizievoli per il lavoratore di un rigido assoggettamento del contratto alla legge del luogo di esecuzione».

    ( 29 ) V. punto 19 della sentenza.

    ( 30 ) Per una sintesi degli argomenti addotti in proposito, si rinvia ai punti da 50 a 52 della sentenza ICF, cit.

    ( 31 ) Ibidem (punti da 58 a 62).

    ( 32 ) Ibidem (punto 64).

    ( 33 ) Ai sensi di tale disposizione, «[s]e dal complesso delle circostanze del caso risulta chiaramente che il contratto presenta collegamenti manifestamente più stretti con un paese diverso da quello indicato ai paragrafi 1 o 2, si applica la legge di tale diverso paese».

    ( 34 ) Ancorché si sia potuto sostenere che tale differenza testuale, in mancanza di una spiegazione dei motivi del regolamento, era probabilmente dovuta ad una dimenticanza (v. Gaudemet-Tallon, H., Jurisclasseur Droit international, fascicolo 552-15, 2009, punto 84).

    ( 35 ) V. Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima, cit., pag. 28.

    ( 36 ) V. punto 46 della sentenza.

    ( 37 ) Si vedano le considerazioni esposte ai paragrafi 21 e 22 supra.

    ( 38 ) Come risulta dalla sentenza Koelzsch, cit. (punto 42), il lavoratore esercita la sua funzione economica e sociale nel paese dell’esecuzione del lavoro.

    ( 39 ) V., segnatamente, articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU L 149, pag. 2), nella versione modificata e aggiornata dal regolamento (CE) n. 118/97 del Consiglio, del 2 dicembre 1996 (GU 1997, L 28, pag. 1); articolo 11, paragrafo 3, lettera a), del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166, pag. 1), e articolo 16, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 987/2009, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 284, pag. 1).

    ( 40 ) A tal riguardo, l’articolo 18 del regolamento n. 987/2009 enuncia che «[l]e richieste, da parte del datore di lavoro o dell’interessato, di deroghe agli articoli da 11 a 15 del regolamento di base sono sottoposte, se possibile preventivamente, all’autorità competente o all’organismo designato dall’autorità competente dello Stato membro di cui il lavoratore subordinato o l’interessato chiede di applicare la legislazione».

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